Lelli delle farfalle

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Lelli delle farfalle

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Pungi come un’ape e sii leggera come una farfalla

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"Il giorno che me ne andrò un esercito di farfalle verrà a prendermi,che quando ero piccola mio padre mi diceva che io ero una farfalla,delicata e gentile. Non credo piÚ a nulla,solo nelle farfalle. La morte non mi fa paura,sono una farfalla."

Lelli

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Ho iniziato anni fa a cercare le parole per questa lettera, e la verità è che le ho trovate in un giorno particolarmente freddo, in cui non avevo una voce a cui farle indossare. sono rimasta in silenzio, allora, in disparte, a guardarti crescere. ho ripreso in mano la tua foto, ieri. ancora una volta mi hanno detto che mi somigli. eppure tu sei così bella. ma è vero: avevo la tua stessa bellezza, da bambina. non fare come me, non dimenticarla dentro alle foto nell’album dei tuoi genitori. portatela dietro, questa tua meraviglia senza termini di paragone, mescolane sempre un poco in mezzo alla cipria del mattino, impigliane qualche granello nella cucitura della fodera, dentro alle tasche dei jeans. ogni giorno, fai una lista delle cose a cui non vuoi rinunciare e una di quelle a cui non sai rinunciare, prendi una matita e cancella dalla seconda ciò che non compare anche nella prima. poi buttale, entrambe: una volta che hai tirato a lucido la mente, le appendici di carta non servono. prendi dagli altri tutto quello che ti lasciano prendere, e ricorda: con te faranno lo stesso, mangeranno quello che metterai loro nel piatto, calpesteranno quello che appoggerai loro sotto ai piedi. e se mostri loro le crepe, c’è caso che ti mandino in frantumi. tu raccogliti, sempre, e incollati come meglio riesci. inevitabilmente, le cose si rompono. il tuo maglione preferito non è immune ai lavaggi sbagliati, il rossetto che più ti dona si può spezzare a metà, le scarpe più comode non sono mai quelle più belle. facci caso, il filo conduttore di tutte queste cose positive di cui lamenti la perdita o l’assenza sei tu. anche le persone si rompono, a volte. maneggiale con cautela. le favole cominceranno a servirti davvero quando avrai smesso di credere che un lieto fine ti sia dovuto. non credere agli specchi, mentono il più delle volte. credi ai 4


libri, invece, ma non che le canzoni ti stiano ritagliando un contorno. tra non molto comincerai a sentir parlare d’amore: a sproposito, il più delle volte. dieci dita non ti basteranno per contare le volte in cui crederai di averne imparato i sentieri, ma è scambiando qualche parola con chi, come te, si è smarrito tra le strade sbagliate che troverai qualcosa che gli assomiglia. sii pronta a guardarlo negli occhi, quel giorno, ma non biasimarti se per un attimo eri distratta o stavi pulendo gli occhiali. anche l’amore succede, un po’ come tutto il resto, e comunque fino a che non ci sei dentro e con l’acqua al ginocchio non hai modo di dire se è vero, o se è stato tutto un errore. ti diranno, forse già te l’hanno detto, che gli errori servono. per crescere, certo, ma soprattutto per non crescere troppo in fretta. a crescere prima del tempo si rischia di non essere mai della taglia giusta per il mondo che ci sta attorno, lo sai questo?, e comunque non sta scritto da nessuna parte che l’acqua che abbiamo nel corpo debba per forza finire tutta in lacrime. cerca sempre di avere lo spazio, nella tua vita, per stirare le braccia e le gambe, e se riesci fatti comprare un cavallo a dondolo, ché l’equilibrio alle volte va guardato da fuori.

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Questo racconto semplice,parte da qui…da me. …di come sto in bilico sopra questo pavimento di cristallo,attenta a non muovermi troppo per paura di precipitare di sotto….sebbene mi dicano che io sia leggera come una piuma,pare che il cristallo sia più leggero di me. Sto dimagrendo a vista d’occhio,lo so da fuori non si vede,ma è dentro che sto diventando sottile,non mi servono specchi per sentirmi magra dentro,è una sensazione strana che non so descrivere,perché io non sono brava con le parole come te,mia dolce Lessi,eppure e a te che decido di scrivere,fintanto che le mie dita riusciranno a tenere in mano questa penna,fintanto che riuscirò a inforcare gli occhiali e sedermi a questo tavolo,mentre solo la luce intermittente di una televisione senza volume mi fa compagnia. A volte le parole non servono,lo sappiamo bene noi due,che basta guardarci negli occhi per capire tutto,ma ora devo trovare il coraggio di dire,devo trovare la forza di buttare su questi fogli stropicciati tutta l’anima che ti è sconosciuta,devo farlo per te e anche per me… Vorrei essere in grado di darti tutte le risposte alle domande che sono rimaste lì,a mezz’aria,come le bolle di sapone…vorrei raccontarti la storia delle mie dita e del mio cuore. Vorrei avere il tempo per mostrarti la bellezza che risiede dietro i miei occhi,tu che fino ad oggi hai osservato solo la paura e lo scontento,che hai cercato di farmi ridere con gli occhi pieni di lacrime….sapevi che un sorriso me lo avresti strappato persino in mezzo al inferno. Vorrei mostrarti i pensieri che proietto sul soffitto quando mi sdraio a letto,tutti quei disegni che persino io fatico a decifrare,che ultimamente parlo poco,da quando la mia voce è diventata un lamento sottile,so che ti fa paura,lo so.

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E’ così gioia mia,a volte la vita ti entra forte dentro e ti devasta le corde vocali,altrimenti se solo potessi urlare di nuovo,il mio urlo sarebbe sgraziato e terribile. Ci pensa la vita a non farti commettere gli stessi errori di sempre,è così che si diventa grandi. Certe cose invece non le impari mai…nemmeno adesso che il destino ha bussato alla mia porta,nemmeno adesso che questo dolore si fa sentire forte… Ho ancora tante cose da imparare,ma cerco di farmi bastare quello che ho e provo a dirtelo,con la mia voce di mamma,che quando leggerai,sono certa potrai sentirla di nuovo e spero che quel giorno,tu ti sia invece scordata di questa voce qui,piccola e sottile che tanto temi. Scrivere non è come parlare,lo so. Ma quando parli,poi le parole volano via come il fumo delle sigarette,ed io vorrei che tu potessi tenerle invece vicino a te…per quando un giorno anche io sarò volata via,esattamente come quel fumo.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: Te ne stavi seduta in quel balcone del quarto piano ad ammirare le ombre perfette della sera,che anche se era estate sembrava autunno...avevi freddo mentre il mondo si svestiva,e la coperta stretta alle tue spalle mi ricordava che l 'inverno non sarebbe mai arrivato ad abitare i tuoi occhi. Avevi uno strano modo di avere paura,aprivi forte gli occhi e lasciavi che le lacrime cadessero silenziose,io ti fissavo in silenzio per non sporcare quel tramonto rosso che incendiava la scena,rendendola in qualche modo eterna...tutte le cose che ci spaventavano rimanevano sospese in quelle luci e io ti scattavo tante piccole fotografie con gli occhi...la semplicità con cui ti muovevi e con cui osservavi il cielo mi faceva partecipe di quel tuo assorbire la luce in attesa del nero...era proprio quella la sensazione,che se avessi scattato davvero una foto non avrebbe reso giustizia come con le parole... Mi chiedevo quanto potesse durare quel attimo in cui tutto sembrava pace,una tregua alla battaglia oltre i vetri che ci separavano dalle medicine,dal dolore,dalle bende,dagli aghi...dalla realtà. Avrei voluto dirti: "mamma restiamo qui per sempre,lontane dai tormenti e dai pensieri irrisolvibili,lontane da quel futuro incerto che si perde dietro l orizzonte,saturo d infinito. Quelli erano i giorni dell'attesa e non potevamo fare nulla se non rubare quegli attimi,se non rubare l'orizzonte e tenerlo stretto negli occhi,per quando non avremmo più potuto barare o dimenticare...per quando non avresti più avuto la forza di sederti in balcone e aprire forte gli occhi,per quando tutte le coperte del mondo non ti avrebbero salvata dal freddo. Lo sapevo io e lo sapevi anche tu. Ogni lacrima che quella sera ti è caduta dagli occhi aveva il colore del tramonto,era rossa e brillava,in ogni lacrima c'era la paura del vuoto,il terrore di morire,il buio che strappai capelli,c'erano i nostri volti che avevi amato e le mille sfumature di quei giorni ballerini...non c'era traccia di nostalgia,nè di rimpianto. Era come se quel destino tracciato a computer sulla carta non esistesse nemmeno per me,quel destino che ci aveva colto alla sprovvista e che aveva cambiato per sempre le linee della tua

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mano e di quel orizzonte,un ladro che si porta via tutto,che si sarebbe portato via anche te. L'esigenza di quel silenzio non ci ha permesso di dire,ma io sentivo tutto,le tue urla arrivavano al mio cuore e sapevo che prima o poi quella foto che ti avevo fatto senza mani sarebbe tornata prepotente nella mia mente...ogni sera,al tramonto ripenso a te,aspetto in silenzio che i ladri d'orizzonte portino via quel rosso e tutti quei sorrisi illusi,disperati,finti in modo che il foglio torni bianco e io possa scrivere l'unica poesia possibile...tu!

Fumo ancora sai,di nascosto…quando per un attimo mi lasci sola,quando ti volti per fingere di vivere la tua vita. Vado in balcone,mi affaccio e guardo il cielo. Ho un sacco di domande in testa,ma non voglio le risposte,non m’interessano più… Tossisco ad ogni tirata,che i miei polmoni sono ammalati,di fumo,di grigio di tristezza…ma non smetto,non ci riesco… So che lo sai,hai smesso di sgridarmi però,mi concedi questo stupido vizio perché nel tuo cuore sai già che una sigaretta in più non fermerà l’inesorabile avanzata del destino… E’ troppo triste anche solo pensarlo,così io e te non ce lo diciamo,non serve. In realtà quando decido di uscire sul balcone e di fumarmi la sigaretta è solo per trovare dentro di me le parole adatte per scriverti…respiro il cielo tra una boccata e l’altra,perché è stato proprio quel cielo a regalarmi te. Me lo ricordo come se fossero passati 3 minuti invece che trent’anni,ricordo che quando tu sei nata io ho guardato fuori dalla finestra,il cielo era bianco,nevicava forte quella mattina di gennaio,nevicava senza far rumore mentre tu venivi al mondo strillando e scalciando. 9


Ero felice sai….la donna più felice del mondo. Credo che da quel momento io e te abbiamo cominciato ad essere una cosa sola,inseparabile. Dal momento esatto in cui il dottore ti ha messo tra le mie braccia e tu hai smesso di piangere,è stato così per tanto tempo,ti abbracciavo e tu smettevi di piangere. Ora non ci riesco più,ora piangi per me,anche se ti guardi bene dal farlo davanti ai miei occhi…ti nascondi,dietro le vie del mondo,convinta di sfuggire ai miei sguardi…non sai che ti sento,in qualunque buco tu tenti di rifugiarti,dietro qualsiasi angolo….io ci sono e lo so,quando tu piangi,il mio cuore piange con te. Che stava succedendo qualcosa tu lo sapevi prima di tutti,persino prima di me…mi alzavo di notte,senza fare rumore,arrivavo in cucina e cercavo l’antidolorifico,che il mal di schiena stava diventando insopportabile ormai. Credevo che nessuno mi vedesse e mi sentisse,mentre come una ladra m infilavo in bagno,attenta a non fare il minimo rumore,passavo davanti a te,ti osservavo veloce,i tuoi occhi chiusi non m ingannavano Lessi,sapevo che eri sveglia,che fingevi di dormire,lasciandomi credere che quel dolore fosse passeggero,come tutti i dolori della nostra vita. Chissà forse lo hai creduto anche tu. Io invece sentivo che qualcosa dentro mi stava mangiando piano,partiva dalla schiena e risaliva ai polmoni,non mi faceva respirare…per quanto tempo bambina mia,l’abbiamo chiamato asma? Certi nomi fanno paura solo a pensarli,non si dicono,portano sfortuna,così sono stata in silenzio,ingoiando le mie paure e pregando di essermi sbagliata nel sentire. Ti ho insegnato che i giorni brutti passano….quel giorno brutto lì invece,sembrava non volesse finire mai.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: Pensa se adesso nevicasse,forse saremmo tutti un po’ più tranquilli. Io me lo ricordo il 1 giugno di un estate fa,lontana km e lacrime...ricordo il sole che sbatteva sulle persiane chiuse male,ricordo il caldo soffocante che ti saliva in gola,mi dicevi che ti bruciava,che qualcosa dentro ti bruciava... ricordo che tentavi di spegnere quel fuoco,ma che non ci riuscivi mai. io non capivo,che strano ne?...penso di non aver mai capito nulla di te,se non l'indispensabile per provare a viverti e a farti sentire meno male....pastrugnando la realtà con le mie parole,dipingendo grottesche realtà in cui tu eri la mia principessa. ogni tanto ridevi,in mezzo a quel fuoco...uscivamo poco,ma quando uscivamo te ne stavi li ad osservare quei tulipani rossi che crescevano sui bordi della strada...attraverso il finestrino sporco della macchina...che fuori non si respirava,tu non respiravi... Era il 1 giugno di un anno fa,quando ci siamo addormentate sul lettone,incrociando le braccia,tenendoci li. oggi non dormo,oggi non esco...oggi piove e se fuori ci fosse il sole io non avrei cmq. freddo come in quei giorni,quando tutto quello che di più caro avevo al mondo stava scomparendo piano dietro quel sole luccicante.

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E’ nato insieme all’estate,quella cosa dentro di me,lo sentivo contorcersi e dimenarsi…era estate ma io sentivo freddo,ti stupivi dei maglioni che ancora indossavo,delle mani gelate…non sai che c‘era qualcosa altro,oltre il freddo che tentavo di mascherare…i miei erano tentativi goffi e maldestri per evitarti il male,che nel frattempo era fuoriuscito dalla schiena,trasformandosi in un bozzo livido,grosso come un uovo. Quello che non avevo calcolato,erano i tuoi abbracci. Si,perché tu mi abbracciavi spesso quando mi vedevi triste,ti confesso ora che io non ero affatto triste,ero solo lontana. In uno di quegli abbracci,mentre tentavi di coprire quella che a te sembrava tristezza,che hai scorto quel male arrampicato sulla mia schiena,come una gobba venuta male,come un edera cattiva. Non volevo che lo toccassi,perché anche se non ero sicura che fosse il marcio,puzzolente mostro,sapevo che era sicuramente qualcosa di malvagio. La verità,bambina mia…è che bisogna scegliere nella vita,funziona così. Io ho scelto di non scegliere,sono stati gli altri a scegliere per me. Sei stata tu che hai deciso di portarmi dal dottore,che hai deciso di prenderti cura di me,visto che io avevo smesso. Sapevi che non sarebbero bastate 4 pastiglie per guarire,questa volta…. Quando si ha un dolore nell’anima,non c’è medicina che tenga. Eppure ti ho raccontato che una volta ero felice. …già,ero felice e fortunata,finché qualcosa è andato storto.

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Quel qualcosa che è iniziato….era qualcosa di luccicante e furibondo…non era buio,al contrario…era luce,e della luce non ci si spaventa,di solito. Ti ricordi quando eri piccola e ti dicevo di non fissare il sole perché ti avrebbe bruciato gli occhi? Ecco,per me è stato così,non ho ascoltato le mie parole che ti esordivano a distogliere lo sguardo,così per un po’ sono rimasta abbagliata da tutta quella luce,si è trasformata velocemente in buio,e dal buio non se ne esce più. …questo ho imparato. Nel mio buio c’era un vorticare di parole,di ossessioni,di ricordi,di paure,di brividi che costruivano dentro di me terribili castelli popolati da fantasmi che non riuscivo a sedare in alcun modo. Non ero capace io di difendermi,non ero capace di accendere una nuova luce,sebbene ciò che dal di fuori si vedeva,aveva i colori della normalità…dentro cresceva lo spavento. Lo spavento finisce con il mangiarti,cara Lessi,se non sai costruirti intorno delle recinzioni sicure,pronte a difenderti. Ho lasciato che qualcuno si portasse via la mia felicità,ho lasciato che spaventapasseri dalle lunghe braccia,devastassero il mio mondo,il nostro mondo. Il vuoto riempie tutto,a volte e quando t invade è difficile sbarazzarsene. Ecco,c’era un terribile vuoto vestito a festa dentro si me,l’ho riempito sai,ci ho provato…con tutte le cose sbagliate a portata di mano,volevo solo salvarmi la vita,invece ero solo uno sbattere di ossa e di cuore e annegavo dentro quei veleni dolci… Ti accorgi poi,quando è troppo tardi,che certi veleni si mascherano,hanno un buon sapore,ma solo per trarti in inganno…era la via più facile,cuore mio,per uscire dal

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tormento,avevo sbagliato strada però,mi allontanavo da te,da voi. Le distanze si colmano. Le distanze si accorciano. Quanti passi hai dovuto fare per arrivare a me? Quanto hai corso,ed io non mi facevo prendere,mi nascondevo,avevo paura…credo di non avertelo mai detto,non ce n’era bisogno. Ho provato per mille notti a respirare e a contare. Bevevo le tue tisane calde fingendo che mi facessero bene. Aspettavamo in silenzio l’esito di un esame. Ricordo sai,quel pomeriggio che io avevo troppo caldo e non riuscivo a respirare,quando mano nella mano,siamo andati a far controllare quel bozzo che il mio corpo aveva sputato fuori. C’era tutta una guerra sotto la mia pelle,nessuno lo sapeva,nemmeno io forse…camminavo con te,e da fuori sembravamo due persone normali,una madre ed una figlia,mano per mano. …che sarebbe iniziato un disastro,non potevamo immaginarlo quel pomeriggio d’ inizio estate,che la tua mano nella mia,mi salvava… Poi è arrivato l’esito e l’esito era qualcosa di assolutamente normale,era una ciste,benigna che dormiva sulla mia schiena. Mi chiedevo come una cosa benigna,potesse fare così male…mi chiedevo perchè io mi sentissi così stanca,così fragile… Ricordo il tuo sguardo,mentre leggevi l’esito,ricordo il tuo trattenere il respiro, e quel sorriso…oh quel sorriso Lessi,era il mio salvagente…se tu sorridevi,significava che io stavo bene,ci avrei vissuto dentro quel sorriso,avrei voluto tenerlo lì,inchiodato alla tua bocca per tutto il tempo. Ma il tempo ci ha ingannato. In quel momento ho guardato fuori dalla finestra,ero felice,avrebbe dovuto nevicare,ma c era il sole,iniziava 14


l’estate,avremmo messo nel baule della nonna gli incubi e gli spaventi e avremmo ricominciato da lì. Avrei voluto ricominciare,credimi. Per me,per te,per tuo fratello e per tuo padre. Già,ci sono anche loro dentro questa nostra storia,che non è più solo mia. Ci sono loro,ma è difficile raccontare quei silenzi.

Ti ho vista tornare a casa quella sera,ero nascosta dietro le tende,spiavo la strada…si è fermata una macchina,dopo pochi minuti sei scesa tu,eri bella bambina mia,eri felice forse,non lo so,da quanto tempo non ti chiedo più se sei felice… Sei scesa e sei rimasta lì un po’,hai guardato in su,verso di me,ma non mi hai vista,sei rimasta lì,con quello sguardo smarrito che spesso ritrovo sul tuo volto così simile al mio…e poi sei corsa dentro,imprevedibile ed adorabile,come solo tu sai essere… Mi sono seduta sulla poltrona e ti ho aspettato,fingendo di guardare la televisione… Sei entrata in silenzio,ma io ero lì…mi hai vista e mi ha chiesto cosa ci facessi ancora in piedi…non lo sapevi che la notte per me era diventata un incubo,non lo sapevi che le tue tisane calde nulla facevano al mio stomaco malmenato… Ti sedevi e mi raccontavi di quel tuo nuovo giovane amore. Non ero convinta,ora te lo posso dire,c’era qualcosa di strano in quella tua felicità,qualcosa che mi turbava. Forse poi te l’ho anche detto,ma tu non ci badavi più…eri troppo occupata a preoccuparti di me…avrei dovuto dirtelo quella sera,mentre tra di noi,nessun mostro si era ancora palesato,mentre avevi la tranquillità di vivere in modo normale la tua vita. Invece no. 15


Quella sera volevo che tu andassi a dormire con quel sorriso stampato in faccia,che forse da egoista,faceva bene anche a me. Non so più quante notti disperate sono passate da quella notte lì,che ti spiavo da dietro le tende…forse troppe. Ora che per arrivare in balcone ho bisogno di una maledetta stampella di ferro,di quelle che usano i vecchi,per non cadere. La odio con tutto il cuore,ma senza il suo aiuto ferroso,non farei un solo passo,ed io ho bisogno di camminare,proprio ora che le gambe non mi reggono più. Si sono gonfiate,così come le braccia ed il cuore. E’gonfio e pesa,credo che presto scoppierà.

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E’ successo che un giorno abbiamo deciso che quella ciste andava tolta dalla mia schiena,perché era brutta e faceva male…non lo sapevi il male che faceva. Avevo segnato sul calendario,con un pennarello rosso il giorno del operazione,era il 24 luglio… Quella mattina ero agitata,sapevo che avrei tolto quella ciste cattiva e sarei tornata a casa da voi,ma qualcosa mi lasciava lì,su quella sedia a tremare…avevo paura,ma era normale,era pur sempre un operazione,per quanto piccola,per quanto innocua…c’era qualcosa di stonato in quella mattina. non so dire esattamente cosa fosse. Fissavo il cerchio rosso sul calendario,guardavo i cani e poi il mio sguardo lo posavo su di te… Eri sbrigativa quella mattina…infastidita,volevi solo che tutto finisse il prima possibile. Lo volevo anch’ io,ma qualcosa m inchiodava lì. Imbambolata e stanca,attaccata alla mia casa. Sai cosa pensavo in quei momenti? Pensavo al mare. Provavo con tutta me stessa a fingere che era estate,c’era il sole cosa poteva succedere mai di cosi cattivo? Quando andavamo al mare,c’era sempre la musica a fare da sottofondo e le tue parole,che tu parlavi,parlavi,parlavi,fino a farmi venire il mal di testa…alzavo la radio per coprire la tua voce e cantavamo tutti insieme. Ero felice. Perché in quel momento non parlavi Lessi? Perché se mi voltavo vedevo una bambina grande con la faccia impaurita? Avevi paura anche tu,ma lo nascondevi bene,nessuna parola,quella mattina di inizio estate,mentre il mare non era altro che un ricordo lontano.

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Ci sono luoghi che hanno memoria di noi,ci portano impressi su quei muri,tra quelle stanze,nelle vie che diventano ombra al tramonto. Non lo so se certi luoghi hanno gli stessi ricordi nostri,io so con certezza che ciò che mi porto nel cuore ha lo stesso sapore del mare. Non ho piÚ nostalgia del passato,figlia mia,ora ho nostalgia del presente. Ho nostalgia di questo adesso che malforma la tua faccia in un ghigno,che di quel sorriso che ricordo,non ha nulla a che fare.

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Stava iniziando l’inverno,doveva essere così,perché io avevo un freddo tremendo sdraiata su quel lettino,a pancia in giù. Non riuscivo nemmeno a guardare fuori dalla finestra,nemmeno so se c’era una finestra,non lo ricordo,perché poi sono precipitata in una specie di sonno vigile,sentivo tutto bambina mia,sentivo male,di quel male che non si riesce a dire e sentivo le parole di quei medici… Mi stavano strappando dalla schiena quella cisti cattiva,ma lei non voleva mica venire via,loro tiravano,io gridavo e lei si ficcava ancora di più dentro di me,si nascondeva…non si faceva prendere. Ho pregato,forse,ho pensato a mio padre,tuo nonno,che quando ho paura,paura davvero io penso a lui… Lui che non avrebbe permesso a nessuno di farmi sentire un tale dolore,lui che mi avrebbe difeso da qualunque ciste maledetta,da qualunque mostro e da qualunque male. Quell’operazione che avrebbe dovuto essere breve e veloce si stava trasformando in un incubo di dolore e buio. Pensavo a te,che mi aspettavi fiduciosa,con la schiena appoggiata al muro,mentre chiacchieravi con qualcuno per ingannare l’attesa,che si faceva sempre più lunga e nervosa. Cosa avrei dovuto dirti amore mio,tornando da quel freddo,che poi non è mai andato via? Ho scavalcato le mie paure,restando in apnea,pensavo di morire su quel tavolo ferroso,volevo solo che tutto finisse,avrei voluto essere sorda per non sentire. Il trucco stava tutto nel trattenere il respiro,trattenere le urla che stavano venendo fuori,trattenere la disperazione che dispettosa colava dai miei occhi. Una dolce infermiera accarezzava la mia testa,lei si era accorta di me,lei sapeva che io potevo sentire tutto,benché imbambolata dai calmanti…forse lei capiva quelle lacrime,forse s’immaginava al mio posto,magari a casa aveva 19


anche lei dei figli che l’aspettavano….io dovevo tornare da te,da voi,avrei dovuto guarire,non ero lì per quello? DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: SeUrliTiPassa...così dicono,ma non ci sono abbastanza spazi aperti qui intorno,solo strade labirintiche che mi fanno perdere. Se urlo aprendo la finestra la mia voce s infrange sul muro che tappezza la mia vista. riesco a pensare di non essere alta abbastanza per appoggiare la mia testa sul tuo cuore quando mi abbracci,per questo mi servono i tacchi e mi serve il tuo cuore. batte come quella musica che si ballava in cucina,tra le sedie...ridendo spensierati,senza brutti ricordi legati intorno al collo come un cappio. una volta se mi affacciava alla finestra,un salice piangente mi sorrideva. quello che faceva paura se ne stava ancora accomodato dentro l'armadio,lasciamolo lì ancora per un po’. Poi succede che si cresce e si ha voglia di gridare...succede che i mostri diventano altri,che la porta dell'armadio mica esiste più...forse le grida servono a tenerli lontani?... Mi piacerebbe avere di nuovo quella pomata magica di mia nonna,che curava tutte le ferite,ne bastava un po’...chissà che fine ha fatto...forse dorme nei cassetti dimenticati nella sua casa immaginaria. mia nonna non sa più parlare,è tornata bambina...ma ogni tanto grida forte. Erano altri i dolori che sporcavano le ginocchia di sangue,erano altre le lacrime che increspavano le guance e a ben pensarci anche le urla non sono più le stesse.... io urlo spesso in silenzio. chissà se qualcuno se ne accorge. Mi ricordo un urlo in particolare,quello che non ha ancora smesso...un urlo a pieni polmoni,fortissimo davanti agli occhi di chi mi chiedeva con gli occhi: ...."poi si guarisce,vero?"

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Ci sono tante,troppe cose dalle quale non si guarisce mai. Il vino nel bicchiere,come uno stagno malato,rosso come il sangue che scorre nelle mie fragili vene,martoriate,emaciate,coperte da garze per non vedere. Il vino che lava via le colpe. La rabbia che avevo dentro da troppo tempo,tesoro mio,che si appoggiava sul mio stomaco e tirava calci. Mi mordeva l’anima…la vita di traverso,chiusa dentro gli occhi di chi non mi aveva mai vista davvero,si limitava a guardarmi come una figura fragile al posto sbagliato. E’ iniziata così,la lotta disperata dentro di me,il mio continuo cadere di fronte ad un mondo cattivo e senza pietà,che se sei in bilico,basta un po’ di vento per buttarti giù. Ero allegra una volta,figlia mia,mi portavo in giro i miei lunghi capelli e le mie gambe sottili,sfidavo il mondo sui tacchi e non ricordo di aver avuto mai davvero paura. Quante volte ti ho raccontato la storia meravigliosa del mio amore dagli occhi verdi…i suoi occhi che si sono impastati con i miei,e perdonami se uso questo verbo,ma è l’unico che mi viene in mente se penso a quel giorno,in cui sono rotolata nel suo cuore. Quel giorno soleggiato di Aprile,nel mio vestito azzurro mentre mi dirigevo a passi lenti verso quel uomo che poi sarebbe stato il mio per sempre. Mio padre accanto a me,che mi sorreggeva,perché io attanagliata dal emozione,non riuscivo nemmeno a respirare. La mia storia d’amore che diventava realtà. Poi la vita è corsa veloce…non si è fermata per farmi godere di quel istante e tutte le cose,tutte le parole si sono conficcate come schegge nel mio stomaco che si trasformava in un negozio di cristalli,pronto ad infrangersi da un momento al altro.

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Schegge mi sembravano i tuoi occhi impazziti mentre qualcuno mi metteva in quel letto,ero appena uscita da quella fredda sala operatoria,da quel incubo senza nome…devo averlo avuto disegnato in faccia però,perché tu mi guardavi pallida e terrorizzata…avrei voluto dirti che andava tutto bene,avrei voluto tranquillizzarti,ma le parole non uscivano dalla mia bocca…riuscivo solo a piangere,in silenzio… C’era silenzio ovunque,assordante e bianco. …bianco,come il camice del dottore che si è sporto un poco per accarezzarmi il viso,non tutti i dottori lo fanno sai,lui si è sporto per accarezzare per un solo attimo quel inferno che era lì ad un centimetro da lui. Avrebbe potuto entrare nella stanza e rimanere lì,avrebbe potuto parlare da lontano e raccontarvi con il suo vocabolario da professionista il macello assurdo che aveva trovato,tentando di sradicare il male. Il male era rimasto lì,bambina mia….ben avvinghiato,attento a non scivolare. Sebbene la vicinanza,le sue parole mi arrivavano da lontano,come se non stesse parlando di me,ed io zitta e tremante,mi disperavo per quella povera donna a cui era toccata quella sorte infame e sorda….già,perché certi mali sono sordi a qualunque urlo,a qualunque disgraziata lacrima a qualunque pietà. Solo quel giorno,sdraiata in quel letto,mentre il dottore vi raccontava la mia storia clinica,io ho avuto pena per me,e non è una bella sensazione sai,avere pena per se stessi. Quanto tempo ho rubato a me,dicendomi delle bugie….per non sentire quella storia,la storia del mio corpo,che mi chiedeva aiuto. Sono stata una ladra di tempo,ed ora il tempo non ha pietà di me.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: Colpoditosse non esiste,nonostante questo è il nome che gli ho dato nel giorno che ha cambiato la mia vita,persempre. Quando ero piccola per attraversare la strada dovevo aspettare che mia madre mi desse la mano,io mi ribellavo,volevo essere grande,volevo attraversarla da sola,quella benedetta strada,sapevo che il semaforo verde mi diceva di passare e sapevo stare in bilico sulle strisce pedonali. ...ma mia mamma non si fidava,allora io le dicevo che quando avrei avuto 10 anni e sarei diventata grande,avrei potuto fare da sola.. Quando è arrivato colpoditosse doveva essere primavera,o giù di lì....perchè io avevo la maglietta a maniche corte,ero in cucina e mia madre in bagno...l'ho sentito forte....un colpo di tosse secco,strano....di quella tosse che non è influenza,nè raffreddore...non è nemmeno le troppe sigarette. Colpoditosse che ti rapisce il respiro,ti abbassa la voce,ti fa sentire dolore alla schiena,un dolore acuto che pensi,mi scoppiano i polmoni. Ricordo i miei passi dalla cucina al bagno,ricordo che ero a piedi nudi e sentivo il pavimento freddissimo,ricordo quella tosse cattiva che non la faceva respirare...ed io al di là della porta del bagno che le dicevo: "mamma stai bene?" "No" era la risposta di colpoditosse...possibile che io non l'abbia sentita. Non si pensa mai al peggio,siamo fatti così,si sdrammatizza,ci si ride su,che sarà mai un pò di tosse,inarrestabile,forte,cattiva...è solo tosse,mormorava colpoditosse nascosto tra i polmoni. E poi le notti,i passi di mia mamma,avanti e indietro,dalla camera alla cucina,dalla cucina al bagno e di nuovo in cucina...sentiva dolore,ma non lo diceva a nessuno....aveva mal di schiena,forse perchè tossiva troppo,pensavo io,pensava mio padre,pensava mio fratello....solo colpoditosse sapeva la verità,ma si guardava bene dal dirla...forse sussurrava all’ orecchio di mamma,che un'altra goccia e poi un'altra goccia ed il male sarebbe passato. Invece no.

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Colpoditosse si sarebbe trasformato presto in un mostro cattivo. Forse nemmeno lui lo sapeva,forse lui voleva solo giocare per un po’ a spaventarci. Poi il dolore si è trasformato in livido...grosso,viola sulla schiena...avevano tentato di prenderlo da lì,ma colpoditosse si era spaventato e più loro tentavano di afferrarlo più lui s'insinuava nel corpo morbido di mia mamma. Non voleva essere più cattivo,ma troppo tardi. Di nuovo i piedi nudi sul pavimento freddissimo,di nuovo a correre per ogni colpo di tosse che le toglieva l'aria...un rantolo lento,ecco cosa era diventato colpoditosse...un ultimo respiro prima di scomparire,di cadere,ma per finire dove?

E poi ti ritrovi lì,sulla strada,non hai più 9 anni....guardi a destra,guardi a sinistra,il semaforo è verde,le strisce pedonali ti aspettano sicure,ti volti....la mano di tua mamma non c'è più e tu vorresti non averli mai avuto quei dieci anni,non avresti mai voluto diventare grande.... adesso che senza la sua mano,non so attraversare nessuna strada del mondo. Colpoditosse non aveva mani e ciò a cui si è aggrappato non l'avrebbe mai fatto scivolare giù.

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Anche con te,figlia mia,sono stata ladra. Ho frugato tra le tue cose,mentre una notte dormivi,e ho trovato nella tua borsa parole spiegazzate,in tanti foglietti,appunti disperati in cui ti facevi e mi facevi mille domande,nemmeno una risposta sono stata in grado di darti. Lo voglio fare ora. Chiedendoti perdono per essermi infilata tra i tuoi pensieri,per aver voluto scoprire cosa la tua testa ed il tuo cuore pensavano di me,avevo bisogno di sapere. Se i tuoi occhi mi vedevano come mi vedevo io,di certo non mi sarei sentita una buona madre. Ho fatto tanto per proteggerti,per evitare che tu incappassi in certi dolori,ma è stato inevitabile…è stata colpa mia. Il senso di colpa,quello non passerà,ma tra le tue parole distrutte leggo un perdono che mi salva la vita. Proprio ora che l’unica cosa che mi rimane è di essere salvata. So che ti arrabbieresti se sapessi che ho letto,che so…quando scappi fingendo di dover fumare una sigaretta e ti rintani in quel sottoscale,scrivi come una piccola ape furibonda,scrivi di me,come se volessi imprimerti nella fronte questi ultimi momenti della mia vita… Tra le parole scorgo macchie rotonde,le tue lacrime. …più delle parole,sono quelle a farmi male,le lacrime che non andranno mai via,che sporcano il foglio senza cancellare,né sbiadire le parole,che rimangono per ricordarti di quanto può essere spietato dover essere lì,piegata su quel foglio bianco a narrare la morte. La scorgo tra le tue parole,so che prima o poi arriverà. Lo sai anche tu,sei sempre stata una ragazzina intelligente,non ho avuto bisogni di spiegarti le cose,tu ci arrivavi da sola. La prima volta che hai conosciuto la morte avevi 10 anni…era Natale ed il nonno stava chiuso in una bara di legno…

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“sembra che dorme” ti dicevano,ma tu lo sapevi bene che non stava dormendo. Ricordo la disperazione che ti colorava le guance,ricordo il mio essere impacciata,nessuna fiaba al mondo avrebbe potuto rendere quella realtà meno devastante per te. Sei diventata grande,quel giorno,di fronte al viso pallido di tuo nonno,mentre mille lacrime ti coprivano la faccia,mentre il loro rimbalzare sulle sue mani faceva un rumore così forte da spaccarmi i timpani. Era inverno,era Natale…ma aprivi la finestra e mettevi la testa fuori,respiravi forte quell’aria di neve,mentre la magia del Natale se ne stava ben lontana dal tuo cuore di bambina. “Mamma,come farà il nonno a respirare sotto terra?,avrà paura del buio?” Lui non respirava e non riuscivi a respirare nemmeno tu. Non è stato facile trovare le parole giuste per narrarti la morte,per ingannarti dicendoti che il nonno sarebbe diventato una stella,la più bella e la più luminosa e che dal cielo ti avrebbe osservato e protetto. Non ci credevi nemmeno un po’,ma per consolarmi facevi finta di sorridermi.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: .."mamma,dove si va quando si muore?"... ..."...quando si muore,si va in cielo..." ..."quindi ora il nonno è in cielo,e se io alzo gli occhi lui forse riesce a vedermi..." ..."...si il nonno è diventato quella stella...la vedi? quella li che brilla più di tutte...lui ti guarda e si assicura che tu stia bene,quando il nonno ti mancherà,tu ricordati di guardare quella stella..." ...."sai mamma,credo che lo farò,anche se non mi basterà..." mio nonno si era addormentato con la testa inclinata,i suoi occhi non si sarebbero riaperti più,era inutile continuare a chiamarlo,era inutile scuoterlo... avevo appena imparato la morte,la morte dalla quale non si torna più. aveva il sapore aspro di un the caldo al limone,aveva le guance rigate di mia nonna,aveva l'odore dell'incenso e il colore del grigio scuro,come i suoi abiti...lui che amava il blu... aveva la resistenza del legno duro dentro il quale l'avevano messo...che io ripetevo nella mia testa,come farà a respirare li dentro?... avevo pianto senza capire tutte le lacrime nuove della mia vita,stringevo forte la mano di mia mamma....e le ripetevo: ...."mamma,promettimi che tu non morirai mai..." ..."te lo prometto...."

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Hai continuato a sorridermi,anche se il mondo faceva le capriole sopra la nostra testa,mi piacerebbe sapere come facevi? Indossavi la tua perfetta da maschera da attrice,loro,gli attori possono recitare le poesie e il loro tono di voce è pulito e non lascia trasparire l’emozioni,sono bravi gli attori a mascherare,,ma tu no,io ti conosco a memoria. Entravi nella stanza di quel ospedale che puzzava di disinfettante…e per quanto fosse pulito e sterile,a me sapeva sempre di sporco,di cattivo,di malato. Arrivavi tu,in mezzo a quel bianco eri colore. Ti sentivo dal fondo del corridoio,le tue scarpe con il tacco,il loro tintinnare sopra il pavimento era la musica più bella che potessi sentire,in quelle giornate lunghe fatte di niente e di troppo. Cosa stavamo attendendo gioia mia? Uno schianto che sarebbe durato troppo. T’immaginavo correre con le tue gambe sottili,verso di me. Il tempo mentre ti aspettavo non passava più,si dilatava e si allungava. Sai a cosa pensavo io in quei momenti? Pensavo a te bambina. Pensavo alle tue manine,al tuo viso di porcellana,al tuo modo di starmi vicina,vicina,ad ogni costo,un vivere in simbiosi,il nostro. Da sempre,dall’inizio. Hai sempre avuto fame….fame di vita,fame di occhi,di quella fame che faceva il tuo viso rotondo. Divoravi le pappe,riempite del mio amore,crescevi sana ed io crescevo con te. Fino a che un giorno hai smesso di crescere. Rimanevi lì,attaccata al tuo essere bambina,piccola e minuta nei tuoi vestitini,mentre gli altri bambini andavano avanti,tu invece,quasi per paura di diventare grande,ti sei fermata.

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Lo sapevamo che non era un capriccio,che quel Peter pan che scalciava dentro di te,non era altro che una disfunzione di quel organo che dovrebbe funzionare in modo corretto e che invece ci ha preso in giro e facendoci il verso si è fermato,facendo fermare anche te. Erano altri corridoi,di un ospedale grande che tu guardavi con gli occhi stupiti e un po’ preoccupati. Mi chiedevi: “Mamma ma sono malata?” E io ti rispondevo di no,che qualcosa si era inceppato e che noi dovevamo rimetterlo a posto,ci avrebbero pensato i dottori. Camminavamo tenendoci per mano,ero io che dovevo tenere te,invece eri tu che mi conducevi con la tua mano piccola…io ho sempre avuto paura,del tuo stomaco piccolo,dei tuoi piedini magri,delle tue ossa che sporgevano,senza capire. Cercavamo una risposta.

La risposta è arrivata…è arrivata puntuale come un uragano,spazzando via quel poco del coraggio che mi avevi insegnato tu. La mia risposta era nera,la tua invece aveva i colori del futuro. Sei andata avanti e hai risposto al mondo che ti osservava piccola e fragile…alzando la testa e fregandotene. “Mi metterò i tacchi mamma” mi dicevi mentre io piangevo perché per i tuoi figli,desideri il meglio,desideri la normalità.. Tu eri speciale,eri la mia bambina speciale…non ti spaventava vedere il mondo da qualche centimetro in meno,in mezzo agli altri per me eri la più grande e la più bella. Credevo che tu fossi troppo bambina per capire il mio mondo popolato dalla paura,invece apparecchiavi una splendida tavola sulla mia pancia dispettosa e mi mostravi la bellezza,l’armonia che si nasconde dietro l’animo grande dei bambini. 29


Piccola,in quel letto troppo grande di quel ospedale,eri tu a consolare me. Molti anni dopo è successo la stessa cosa,ma c’ero io stavolta in quel letto e ancora tu a consolare me… Chi ti consolerà,piccola mia,quando questo tempo a nostra disposizione sarà finito? Ti sentivo arrivare e quel tragitto che dal corridoio ti portava nella mia camera,lo facevi trattenendo il fiato,salivi le scale correndo e arrivavi da me con il fiatone…mi stampavi un bacio e mi abbracciavi forte…. Solo un minuto prima io stavo piangendo,io piangevo e tu correvi,è stato così da che sempre. La tua folle corse non finiva nemmeno quando arrivavi a destinazione,correvi forte dentro di te,saltavi gli ostacoli e t immergevi in quel buio fitto,mi cercavi disperatamente,io ero lì,o forse mi ero allontanata troppo. Luci forzatamente educate e lenzuola dure. Ricordo tutto. Il momento prima. E quello immediatamente dopo. Un vuoto freddo che non puoi toccare, che ti respinge. Il velo che si spezza. L’altra parte.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: Io sono magra,me lo dicono sempre,peso troppo poco,per questo giro con una borsa pesante e scarpe con i tacchi. La prima mi tiene ben salda al suolo le secondo mi permettono invece di volare via con più facilità,basta staccare per un solo attimo la punta e via.Ho sempre pesato poco,31 kg e 38 grammi di solito...eppure sono piena,così tanto da scoppiare...sono piena di parole,di ricordi,di sorrisi,di lacrime,ma non bastano forse a riempire quel vuoto fottuto che ti dice la bilancia,quel vuoto che sta tra le costole ed il cuore...non so se ci avete mai pensato,ma le costole non sono altro che la prigione del cuore,la sua protezione,eppure sono fragili,basta poco per spezzarle. Le mie costole sono rotte...una volta un dottore mi ha detto che si rimarginano da sole....non lo so,ma nel caso non funzionasse così,mi chiedo chi cazzo abbia protetto il mio cuore fino ad adesso....si è sentito libero,sapendo bene di essere vulnerabile....strano organo il cuore. Quando il cuore si rompe avrà di sicuro il suono delle foglie quando le calpesti in autunno o il grido delle rondini quando arriva il momento di andarsene,o il pianto dei cigni,ma i cigni non piangono,gridano,come le rondini,forse un po’ più incazzosi e rissosi. Il mio cuore forse l'ho sentito gridare. Mi ricordo una volta,seduta su uno scalino con mia madre,mentre guardavamo con il naso all'insù il cielo pieno di rondini che volavano in circolo gridando forte...dovevo essere ben piccola,perchè ora le rondini non tornano più...comunque ho chiesto a mia madre per quale motivo urlassero così tanto...lei mi ha risposto che se ne stavano andando e che per questo motivo piangevano e che a volte il pianto quando è disperato,si trasforma in grida...Quando le persone se ne vanno allora gridano,ho pensato. Poi ho sentito il mio cuore quel giorno,quando si è messo a strillare,c'era qualcuno che se ne stava andando... Non so se sia vero ma qualcuno dice che il peso dell'anima è di 21 grammi,dopo quella scomparsa il mio peso era di 31 kg. e 17 grammi. Chissà se un giorno le rondini torneranno.

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I giorni mi rincorrono,voglio provare a correre più forte di loro,voglio seminarli,voglio che mi lascino il tempo per dirti. Il mio respiro si fa brusco,sempre di più…lo calmo un po’ con lo sciroppo,mi lascia il tempo necessario per qualche riga scritta in fretta,con questa calligrafia traballante. Mi sono accorta di non saper pregare,me ne sono accorta proprio mentre la gola mi si stringeva e il respiro si faceva corto e affannoso….eppure una volta le conoscevo le preghiere,una volta credevo in Dio e nella Madonnina. Quando ho smesso di pregare? So che te lo starai chiedendo. La risposta la puoi vedere,sporgendoti un poco dalla nostra finestra nel salotto,la risposta sta in quella casa,con i balconi verdi e una finestra che si apre come un occhio,che pare guardi nella nostra direzione. Dentro quella casa sono cresciuta,lì ci abitavo con la mia mamma,mio papà e mio fratello. Se guardo bene ci vedo me,mentre cresco spensierata,mentre corro in cortile a piedi scalzi,mentre tengo per mano mio fratello,mentre il tempo ci mangia piano e noi non ce ne accorgiamo nemmeno. Vedo un balcone,ci sono panni stesi ad asciugare,ma non li riconosco,vedo quel balcone e vedo me che facevo passare le mie gambette magre attraverso la ringhiera e facevo ciondolare nel vuoto. Sento l’odore forte del dopobarba di mio padre,doveva essere domenica,che di domenica,ricordo ero felice. Vedo un pupazzo di neve,con una sciarpa al collo…che si scioglie sotto il sole,io non sono neve,ma mi sto sciogliendo. Le lancette si rincorrono impazzite,sono loro che mi distolgono da questi pensieri,la penna diventa improvvisamente pesante,tanto che devo fermarmi a prendere fiato. Guardo fuori e vedo me,correre impazzita per quella via,entrare in quel portone e sparire. 32


Era quasi Natale,quel giorno in cui ho smesso di pregare,me lo ricordo bene,avevo ancora le mani sporche di quei palloni colorati che mettevamo sul albero. Avevo 28 anni,due figli piccoli e una mamma che stava per morire. Si cara Lessi,seduta di fronte a quel medico,mentre fuori uno stupido Natale a colori brillava forte,lui mi stava dicendo che mia madre aveva il cancro. Vorrei scriverti di quel momento,vorrei dirti cosa ho pensato,cosa ho fatto,ma non ricordo nulla,credo che il mio cuore per difendersi abbia cancellato quei momenti di terrore. So solo di aver smesso per sempre di pregare. Quale Dio poteva mangiarsi la mia mamma? Ancora non sapevo che Dio poco centrava con quello che stavo accovacciato dentro di lei… Ma dovevo prendermela con qualcuno. Certo poi le cose sono andate bene,la mia mamma è rimasta vicino a me,nessun mostro se l’è portata via…e non so bene se sono stata io a salvarla o meno,so che per tutto il tempo ho gridato di dolore,qualcuno deve aver sentito quelle urla.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: DICEMBRE 1980 “Signora,sua madre ha il cancro” …il tuo mondo si è fermato,una sera pochi giorni prima di Natale,mentre tu avevi 28 anni e due figli piccoli. Avevi 28 anni e non conoscevi l’esistenza di certi mostri,non eri preparata Mentre fuori faceva freddo ma non tanto quanto improvvisamente fosse diventata gelata quella stanza. Non riuscivi a muoverti,a formulare un solo pensiero di fronte a quel Dottore con le mani grandi e il viso serio…così me l’hai sempre descritto,un omone severo che ti guardava dall’altra parte della scrivania,mentre fuori era Natale,mentre a casa ti aspettavano regali da impacchettare e la cena da preparare,mentre tuo padre badava ai tuoi figli,mentre tua madre insegnava le preghiere alla tua bambina….pensavi: adesso chi le insegnerà a pregare,io non sono capace,io non prego mai…pensavi a lei,al suo maglione bianco da finire,alla pazienza in cui ti aveva insegnato a lavorare a maglia,al tuo modo imperfetto d’imparare. Pensavi a tua madre,ai suoi 56 anni,e pensavi che non poteva avere un cancro,perché la malattia brutta ti aveva sempre fatto troppa paura,anche solo per pensarci. Quel giorno,poco prima di Natale sei morta,in quella stanza gelata,accanto a tuo marito…si è spezzato qualcosa dentro di te,qualcosa che forse non sei mai più riuscita ad aggiustare…ma non l’hai detto a nessuno,hai ricomposto il tuo volto,sei uscita di lì e ti sei presa cura di tua madre,freneticamente e vorticando su te stessa,schiacciando il dolore forte sotto i tuoi tacchi alti,sotto il tuo corpicino magro,segnato da due gravidanze appena passate. Quello era il tuo mostro,così diverso dal mio,eppure così simile…non ti ho mai chiesto che forma e che nome tu gli avessi dato,so che non lo nominavi mai,so che probabilmente per te aveva la forma di non-futuro,aveva la forma di tutti i maglioni di lana che tua madre non sarebbe mai riuscita a finire,aveva la forma del volto distrutto di tuo padre…

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Persino il tuo modo di affrontarlo deve essere stato diverso dal mio,nessuna scala deserta su cui appoggiare i tuoi gomiti e scrivere,forse la stessa borsa gigante piena di caramelle e di carte,i tuoi appunti disperati te li annotavi in testa,erano gli incubi e i silenzi,era il tuo modo di gridare,così diverso dal mio. Eppure mi hai insegnato tu a buttare fuori tutto,a non tenere dentro nulla che potesse logorarti lo stomaco e la mente,forse per questo,mi ripetevi di raccontarti qualsiasi dolore abitasse la mia pancia…il dolore che se ne sta lì accovacciato,fa grossi danni,si arrampica sai e arriva fino al cuore. Avevi 28 anni il giorno in cui sei morta per la prima volta,il giorno in cui il sorriso ti è stato strappato via a forza,eri giovane e piena di speranze…e già da allora avevi quella strana fragilità appesa ai tuoi lunghi capelli,dietro i quali ti nascondevi per piangere. Hai atteso,dietro la porta sbarrata di quel futuro incerto che la vita volgesse da un’altra parte…me le hai raccontate quelle lunghe attese,quei due gradini ripidi e traballanti su cui ti arrampicavi per arrivare in quella sala d’attesa,tanto che mi sono immaginate le sedie grigie dove te ne stavi seduta,…la stessa che poi è tornata ad anni di distanza. Mi hai detto che hai pregato,senza trovare le parole,rivolgendoti a Gesù,come fosse un vecchio amico…pensavi a quelle preghiere che non avevi mai voluto imparare,che non sapevi recitare a memoria,pensavi che forse avresti dovuto rivolgerti a Dio in maniera un po’ più garbata. Mi dicevi che non potevi vivere senza tua madre,anche se il vostro rapporto era diverso da quello che avevamo noi due,non eravate amiche,né lei si confidava con te,ma era tua madre e non poteva morire,tu avevi ancora bisogno di lei. Mi dicevi che ti sentivi piccola,che quello che eri non era abbastanza Di quel Natale ad intermittenza ricordi solo quel silenzio,lo stesso che hai mantenuto di fronte a tuo padre e a tuo fratello,decidendo di portare il peso di quel nome che avevi paura anche solo di pronunciare. Hai protetto tutti,senza proteggere te stessa,hai sottovalutato la potenza distruttiva del mostro…questo credo tu l’abbia capito solo più avanti,solo quando il tuo stomaco si è trasformato in un

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negozio di cristallo,pronto ad infrangersi al minimo rumore e intorno a te solo pesanti elefanti che ci ballavano sopra. Sei arrivata alla fine di quella lotta,portandoti dietro tutti i segni e i graffi,correndo disperata senza mai fermarti‌avete sconfitto il mostro,hai sconfitto il mostro. Mi hai raccontato questa storia come una fiaba a lieto fine,mi hai raccontato di come sei morta e di come sei rinata,tenendomi forte per mano,mentre mi accompagnavi a scuola,mentre mi preparavi da mangiare,mentre mi mettevi a letto. Pensavo che certi mostri non vincono,pensavo che se ci fosse stata mia madre a difendermi e a difenderci non sarebbe successe nulla,pensavo a lei come ad un eroe gentile che sorridendo avesse spazzato via il male. Il mostro che abitava nella pancia di mia nonna non c’era piÚ,la mamma non aveva mai smesso di sorridere per tutto il tempo. Non credo che una risata racconti sempre di una felicità . Se solo avessi avuto per sempre sette anni.

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Hai urlato anche tu ,lo so bene,dentro quel pomeriggio in cui la maschera ti è caduta a terra,inzuppata di lacrime che non riuscivi a trattenere. Mi dicevi che era la rabbia a farti piangere. Sei entrata nella camera,con un fiore in mano,di quelli che crescono sul bordo della strada,di quelli che a me piacciono tanto…non ti sei accorta che mentre correvi per venirmi incontro io stavo dietro di te,attaccata a quella flebo che mi teneva su,camminavo piano verso di te,che di spalle ti apprestavi ad entrare nell’incubo che qualcuno ci stava disegnando intorno. …ma non lo sapevi ancora. Avrei voluto fermare il tempo,in quel’ istante,per evitarti un dolore che sapevo bene,assomigliava a quel Natale di trent’anni prima. Ti è bastato voltarti,ti è bastato sfiorare i miei occhi per capire. Qualcuno ci aveva condannati,sarebbe iniziato un lungo inferno che non aveva niente a che vedere con quel fiore che ti era caduto di mano,rosso e splendente come il sangue che vedevi nei miei occhi. Di sangue siamo fatti,cucciola mia,e al sangue non puoi mentire. Lui lo sa,conosce la storia che ci abita,ci lega e ci mischia. Ci separavano pochi centimetri quel pomeriggio,eppure io mi sentivo catapultata in un altro luogo,lontana da quel’ ospedale,da quel balconcino dove ce ne stavamo al riparo per respirare. Avevo smesso,figlia mia di respirare. In quel momento ero una nuvola che si muoveva piano sopra le nostre teste con movimenti impercettibili,spostata dal vento. Ho iniziato da lì,ad allontanarmi piano,a prepararmi per quel viaggio,chissà se ti sei accorta che il mostro che tentava di mangiarmi il cuore,io lo portavo negli occhi. 37


DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: i medici parlano una lingua che non capisco. La verità è che sapevi di biscotto. Ci ho provato anche a spiegarglielo cosa significasse sapere di biscotto,ma avrei anche dovuto spiegargli poi di tutte le cose buone nostre,che gli altri non potevano mica capire. Continuavo a ripetere però,quando sarà il momento della verità,sarà a me che dovete dirla... non sapete dei biscotti,di quelli che sanno di burro,delicati e fragili,che basta poco per spezzarli. Ricordi i loro volti inclinati,come se non capissero bene da dove provenisse la mia voce. "La verità" ripetevo...lasciate che lei rimanga biscotto. Ma poi non è stato così,poi un pomeriggio sono arrivata traballante su quei tacchi alti,che forse volevo solo arrivare fino al cielo o forse sentirmi meno nana tra quei giganti...sono arrivata con il sorriso e il fiatone di chi ha appena salito le scale che conducono all'inferno...ricordo quel fiore in mano,raccolto da terra...quel papavero rosso cresciuto sull'asfalto... Sei arrivata con le lacrime agli occhi,attaccata a quei tubi,trascinando i piedi...hai guardato il fiore e mi ha detto: morirà! In quel momento ho capito che sapevi. Ti avevano detto,in quel linguaggio medico a me incomprensibile che avevi il cancro. Tu Nn l'hai mai nominato il mostro,mai una volta...nemmeno quella. Eri quel fiore rosso attaccato alle mie dita che io avevo condannato cogliendole...avevi negli occhi incastrata quella verità che qualcuno ti avevo detto,dimenticandosi della storia del biscotto... Mi hai detto che ti sono cedute le gambe di fronte a quel nome...che non avevi paura per te,ma per me...che non sapevi come dirmi che il male brutto si era fatto strada nel tuo corpo...avevi paura per me,anche quando tutto il mondo si contorceva nella tua pancia...anche quando la tua vita vacillava

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su un filo sottile,mentre la mia ti osservava da quei tacchi alti,mentre mi sentivo la più piccola delle figlie... Sono corsa...attraverso quei corridoi gialli,sono arrivata davanti al dottore che ti aveva narrato la storia di una donna che muore,e ho capito che stava facendo solo il suo lavoro,che aveva studiato anni per dare quelle sentenze,per sputare quelle cattiverie,che non erano altre che verità,che non sapevano né di biscotti né di niente che mi ricordasse qualcosa di buono... la sua verità che stava diventando anche la nostra... Tornata in stanza ti ho visto lanciare quel papavero giù dalla finestra...ho visto quel rosso colare nel vento e ho capito che sapevi ancora di biscotto e che nessuno ci avrebbe tolto mai le nostre cose buone... Io avevo paura,sola paura. chissà come chiamano i medici, nella loro lingua, la paura...

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Forse ora comprenderai la mia fretta di insegnarti tutto,di dirti tutto… mi sono rimasti solo gli occhi e le mani. Che farò,mi chiedevo,quando mi rimarranno solo occhi e mani? Ti scrivo veloce,con questa calligrafia traballante e disordinata,approfittando dei pochi momenti in cui volgi lo sguardo altrove. Ho letto in uno di quei foglietti spiegazzati che hai scritto: “mamma,perché non sono riuscita ad arrivare al tuo cuore?” Non sai che tu nel mio cuore ci abiti,non sai che non hai mai avuto bisogno di arrivarci,perché ci sei da sempre. Sono stata io a spegnere la luce,a renderti cieca di fronte al burrone in cui stavo per lanciarmi…. E tu hai sempre avuto paura del buio,io no. Io nel buio mi nascondevo,rotolavo,nel buio c’eri tu,per quello che non l’ho mai temuto. Tu dormi con la luce accesa,il buio ti spaventa. Eppure ti ho mostrato che certi mostri saltano fuori anche alla luce,in un bel giorno d inizio estate,mentre fuori brilla il sole e nessun buio ci rincorre. Mi rimane solo questo pezzo di carta stropicciato per rassicurarti,per spiegarti…per raccontarti la storia di una bambina coraggiosa che si alza e conquista il mondo. Vorrei potertelo dire,guardandoti negli occhi,ma mi sono chiusa dentro me stessa,non posso permettermi di mostrarti la paura,né la disperazione che mi ferma il fiato. Se solo parlassi il magone si scioglierebbe in un pianto e tu non ti meriti più le lacrime. Te ne ho fatte mangiare troppe mentre mi allungavo tentando di sfiorare persone che guardavano altrove,mentre tentavo di spiegarmi con il silenzio,ma il silenzio non dice.

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La gente fatica a comprendere la fragilità,a volte pare un difetto perché chi è fragile non si sa difendere,tende a rompersi,come me. Non avevo scudi per ripararmi,amore mio,ho lasciato che i coriandoli di carnevali falsi mi piovessero addosso,le risate cattive mi spezzavano le braccia,le parole erano sassi che qualcuno si divertiva a lanciare. Eri tu,il mio sistema immunitario,il mio riparo,la mia consolazione. Quante volte ce lo siamo detti,tu eri la mia persona,io la tua. I ricordi passano svelti davanti ai miei occhi,tolgo gli occhiali perché non bisogno di lenti per vederli…ripasso a penna la mia voce scritta a matita,perché tu possa sentire. Sono una spugna,ho assorbito tutto ed ora mi sento gonfia di sporco e di vita. Lo vedi tesoro? La mia pancia si gonfia,non credere ai dottori,non è altro che tutto il male che mi sono mangiata,che si è fermato lì. Il male che avevo cucito addosso,che non sono mai riuscita a lavar via. La distanza tra me e quel dolore,era tutta rinchiusa in una pastiglia bianca…che mi addormentava,mi sfiancava,m’inebetiva. Non teneva lontano il male se non il tempo necessario per stordire la mia mente,che subito tornava lucida e pronta ad affrontare un’intollerabile realtà. Non c’era spazio abbastanza dentro di me,dovevo accartocciare,piegare,ridurre quel male di vivere,sarei scoppiata altrimenti. Non mi hanno curata,figlia mia,mi hanno solo ingannata,con pastiglie artificiali al sapore di nulla,con sonniferi e veleni. Non ho più tempo per mantenere le promesse che ti avevo fatto,non ho più tempo ora che ho capito come si 41


guarisce,mentre lancio dalla finestra aperta il mio finto paradiso,quello vero se ne sta in camera,con la porta chiusa a singhiozzare.

DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: Mi chiedo a volte come si possa chiamare poesia questa cosa che mi sbatte dentro ed è chiaro che di poetico qui non è rimasto niente,come questo fiore sbagliato,appoggiato distratto sul tavolo...non ha un senso.... reale invece sono questi quattro fantasmi di capelli sottili come il vento...ragnatele che mi avvolgono il cuore...guardo fuori,il cielo sta diventando arancio,il cielo che non sa nulla di me,che non concede tregua che cambia colore senza il mio permesso... ci sarebbero un sacco di cose da fare prima che sia sera,ma non riesco a muovermi da qui,da questo letto bianco che ti fa sembrare ancora più piccola...non riesco a levare i miei occhi dai tuoi,eppure dormi e sembra che tutti i mostri che ti si agitano dentro dormano con te...dormi pure,veglierò su di te,finché tutto sarà passato...

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Il tuo cuore che batte ha lo stesso rumore del mare. A questo penso mentre guardo la tua fronte aggrottata mentre ti agiti nel sonno,sento il tuo cuore battere,anche se la distanza che ci separa,non mi permette di appoggiare il mio orecchio sul tuo petto. Me ne sto qui,su questa poltrona e ti osservo dormire. Nel frattempo scrivo,come un pittore imbranato cerco di mettere su carta i tuoi lineamenti corrucciati,perché tu un giorno sappia che ho disegnato la tua immagine perfetta dentro di me e che nemmeno il viaggio da cui non si torna più,cancellerà mai. Ti ho impressa a fuoco nelle mie vene e dovunque andrò,tu sarai con me. Non mi spaventano le salite,se in cima ci trovo te…proverò ormai senza gambe a raggiungerti lì,dove tu pensi di avermi persa per sempre. Tuo padre è appena uscito da casa,ha lasciato qui un silenzio perfetto,che sbatte contro le tende che ancora non ho aperto,interrotto solo dal battere del tuo cuore e del mio. Serve musica per scrivere la tristezza e cosa c’è di più bello di due cuori che battono insieme? Sul tavolo in cucina c’è la lista delle medicine che ci hanno prescritto all’ospedale,che tu ogni mattina mi porgi con un bicchiere di acqua. Sei attenta,scrupolosa…per ogni pastiglia mi racconti una storia,c’è la pastiglia che calma la tosse,quella che calma la nausea,quella per fare pipì…e poi c’è la pastiglia che dovrebbe placare quel dolore continuo ed insistente. Ci hanno mandato a casa dall’ ospedale,dopo che un dottore serio ci ha fissato la data per la stanza del veleno. Si combatte il male con altro male. Nonostante la speranza se ne stava aggrappata alla mia schiena come una scimmia,ho capito dallo sguardo preoccupato di quel 43


dottore,che quella cura sarebbe stata solo una scusa,un rimedio,un palliativo,forse più per voi che per me. Io lo sapevo già. Ce lo nascondevamo a vicenda e ce lo nascondiamo ancora adesso. Se metto le mani in tasca di questa vestaglia di lana che mi hai regalato,che sa d inverno e sa di freddo…io ci trovo in tasca le ciocche di capelli che ogni santa mattina trovo sul cuscino,li nascondo ai tuoi occhi attenti,ma so che tu fai lo stesso con me. Nelle tue tasche ci sono gli stessi capelli. E’ il nostro modo per proteggerci a vicenda,senza dircelo. Nella stanza dei veleni,ci ho passato la più lunga mattina della mia vita…non è servito fare quella seduta di dolore,ma è servito far finta di crederci almeno un po’. Ricordo il rumore che faceva quel veleno quando mi entrava nel corpo,non sembrava liquido,sembrava di plastica,faceva male,alle mie mani,alle mie braccia,alla mia testa. Ti vedevo spiarmi da dietro la porta,non ti hanno permesso di entrare,è stato meglio così,cuore mio,non avresti sopportato la smorfia che mi stringeva gli occhi,non potevo fare a meno di pensare che qualcosa di estremamente maligno stesse cercando di divorare piccoli pezzi di un mostro che non finiva mai di rigenerarsi. Mi sono sentita davvero malata,in quel momento. Molto più fragile di tutte le volte che mi sono sentita fragile.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: "Non aver paura,non adesso"....ora è tempo di raccogliere le forze di combattere quei maledetti mulini a vento,di fingersi un imperfetto cavaliere con un cavallo zoppo,trovare il coraggio nascosto da qualche parte. Una sala d'attesa rossa come il sangue che non respira,facce estranee che si osservano dalla stessa parte del dolore,che si comprendono...che hanno capito che la vita non è altro che un dettaglio che si perde nel tempo. Ti stringo forte la mano,sento la paura e la comprendo...non riesco ancora a parlare,quel nodo in gola non si scioglie,il tuo nemmeno. Vorrei essere piÚ forte di quel mostro che ti mangia,vorrei prendere tutte le risate della nostra vita e farti scudo,vorrei essere io al tuo posto...strapparti quel male e raccontarti che abbiamo vinto. Non so nemmeno dove il tuo sguardo si volge,lontano da me,da questo mondo...torni bambina e hai bisogno anche tu di nuovo di tua mamma,la chiami,la vedi in me....sono sicura che ti sta accanto,anche se io non riesco a vederla,non ancora. Prego piano,io che avevo smesso di pregare....e poi guardo questo cielo incazzato di agosto e penso che la vita a volte e per certi versi sia ingiusta... fammi rotolare dentro di te....ho conservato lo scudo e la spada e i mulini a vento,non mi spaventano piÚ.

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Ho sempre odiato alzarmi presto la mattina,invece ultimamente non vedo l’ora di riaprire gli occhi e di gustarmi la luce che filtra dalle persiane….me ne sto lì…la fronte vicina a quella di tuo padre. Mi chiedo se gli mancherò il giorno che le farfalle verrano a prendermi per portarmi con loro,mi chiedo se riuscirà a capire che certi amori non finiscono,che te li porti dentro fino all’ eternità e ben oltre. Questa stanza è la stessa da sempre,ci sono i mobili che ho scelto io,che ho comprato con i risparmi del lavoro…ho scelto questa camera come ho scelto tuo padre,è stato amore a prima vista. Mi dormo accanto sereno,chissà se si accorge che me ne sto andando. Ho provato anche a spiegarglielo,ma lui forse non vuole sentire,ha bisogno di crederci ancora un po’. Tutte le mattine mi sveglio e cerco di fare qualcosa che lo renda felice,sono cose da poco…lascio che mi porti il caffè e che me lo appoggi sul comodino,come fa da trentatre anni,poco importa se poi non riesco a berlo perché la nausea ha il sopravvento… Rimane lì,la tazzina forma il cerchio sul comodino e mi ricorda che un giorno siamo stati felici.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: Si dice che i sogni se ne stanno a riposare nei comodini...bisogna solo stare attenti che non prendano troppa polvere,che il cassetto non sia sempre chiuso e sopratutto bisogna stare attenti a non dimenticarsene...perchè è così che succede,ti svegli una mattina e non solo i tuoi sogni non ci sono più,non c'è più nemmeno il comodino. ...ma non è dei miei sogni che voglio parlare,nè del mio comodino...voglio raccontarvi un'altra storia...la storia di sogni andati,persi...chiusi in un cassetto speciale di un comodino speciale. Mia mamma aveva una camera bellissima,l aveva scelta lei,comprata lei con i suoi risparmi...era una camera in stile veneziano,di tinta azzurra,il suo colore preferito...con i fiori in rilievo e gli angioletti...c erano angioletti dappertutto...era una bella camera e a lei piaceva tantissimo...l'aveva scelta. ...e poi c era il suo comodino. Sopra c'era una lampada per leggere,qualche foto,i libri e nel cassetto teneva gli occhiali,le lettere che io le scrivevo e altre cose,io non ho mai aperto quel cassetto perchè pensavo che era suo,che dentro aveva i suoi sogni,nascosti tra gli oggetti. solo quando stava male,di tanto in tanto,lo aprivo per portarle gli occhiali,le lettere che voleva rileggersi,le foto...ma lo aprivo veloce e lo richiudevo subito. Sopra il comodino c erano i cerchietti che formano le tazzine del caffè quando rimangono lì per un po’...mio padre tutte le mattine,da che si sono sposati,le portava il caffè a letto...ultimamente lei non voleva più che io le pulissi quelle macchiette che formavano il cerchio,sopra cui c'era stata la tazzina del caffè che ormai non beveva più,ma che mio padre continuava a portarle,come un rito da non spezzare. una volta mi sono arrabbiata,le ho detto: Mamma,vengono i dottori,fammi pulire il comodino"...lei mi ha risposto: "no,lascia quei cerchi,mi ricordano che tuo padre mi ama come il primo giorno che ha messo quella tazzina su questo comodino...voglio vedere i cerchi,mi ricordano che sono felice..."

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Quando mia mamma è volata via abbiamo dovuto vendere quella camera,seppur a malincuore...ricordo che io volevo a tutti i costi tenermi il suo comodino....invece ho dovuto svuotarlo,ho dovuto aprire il suo cassetto e ho dovuto lasciare che i suoi sogni volassero via,con lei... ma i cerchietti sul comodino,quelli no...quelli li ho lasciati...

Solo ora mi accorgo quanto pesa tutta questa felicità che lui si porta negli occhi. I suoi occhi verdi come il bosco,in cui era piacevole perdersi,ancora oggi mi raccontano di futuri improbabili e di vita. Rintraccio stupori e promesse,sfavillii di momenti cuciti addosso,nessuno ce li porterà mai via. Ho sempre avuto l’anima bucata,fa acqua da tutte le parti,lui era sempre pronta a tappare i buchi,usava le mani e gli occhi,senza nemmeno rendersene conto. Quelli con gli animi bucati fanno un rumore come di palloncino che si sgonfia piano,deve essere sempre riempito,altrimenti muore. …e se muore l’anima,cosa resta? Una cosa è certa,tesoro mio,l’anima di tua madre non morirà mai,vivrà dentro gli occhi verdi di tuo padre,nel sorriso di tuo fratello,in ogni pensiero che svolazzerà nella tua testa. Io sarò te,noi che ci assomigliamo in ogni piccolo dettaglio. Cosa importa se la mia presenza non riempirà le tue giornate,se la mia mano non accarezzerà la tua testa,se la mia voce non sarà più un suono che ti arriva nelle orecchie,ci sono altri modi per restare qui,accanto a voi. 48


La cosa più importante che devo fare ora,è lasciare che tu mi raggiunga un attimo,per capire. Forse un giorno,sarai in grado di spiegare a chi mi ha maltrattata e delusa,chi era tua madre. Non importa quando,non importa nemmeno se loro capiranno poi davvero….la cosa fondamentale è che tu sia orgogliosa di me,della tua mamma bambina. Questa lotta ci sta sfiancando,nella stanza del veleno non ci sono più tornata,ho finto di credere che i miei valori fossero troppo sballati per un’altra dose di plastica. Mi sono fatta accompagnare di nuovo in quel ospedale,ma solo per rimettere a posto il mio sangue ballerino,per avere ancora un po’ di energia che mi permettesse di non sprecare quel tempo prezioso che ci rimaneva. In realtà odiavo stare lì sdraiata con quella flebo nel braccio,mi sembrava del tutto inutile,quel tuo continuo dover raccontarmi bugie,che lo sapevo che ti faceva male. Sono stata brava però,figlia mia,anche se tu mi leggevi in faccia l’irrequietezza,l’ansia…non ce la facevo a star ferma,per quanto tempo lo sono stata? Succede sempre così,cuore mio,quando il tempo è poco ti accorgi che hai tante cose da fare e da dire. Avrò la forza? Questo mi chiedevo. Ma poi tutto è scivolato. Ho smesso di mangiare,perché tutto mi dava la nausea. Tu preparavi delle ottime minestre,mi compravi qualunque cosa pensavi potesse piacermi…anche tuo padre impazziva di fronte alla mia inappetenza….ma non ce la facevo tesoro ad ingoiare quel cibo,pesavo troppo nel mio stomaco malato. Ho smesso di mangiare e ho capito che la mia vita non sarebbe durata molto….sono qui,debole,stanca a malapena riesco a 49


scrivere…continuo a parlare al passato,a scriverti una storia che quasi è finita….chissà perché? Questo presente mi sta abbandonando…forse è questo il motivo dei miei tempi sbagliati. Sbagliati come me,ma c’è ancora qualcosa che ti devo dire,quindi prendo fiato e scrivo. Devo raccontarti la storia delle farfalle,quella che mio padre raccontava a me. Mi diceva che quando appoggiava la testa sul pancione della mia mamma,sentiva me,che mi muovevo e quel rumore parevano ali che sbattevano,ali splendidi di farfalla. Lui mi diceva che poi quando sei pronta a nascere,quelle ali ti cadono e vieni al mondo. Non ti servono le ali per camminare qui sulla terra,perciò loro ti attendono finche un giorno volerai via,un esercito di farfalle verrà a prenderti e ti restituirà le tue ali,per non farti cadere. Sono certa che le mie ali sono azzurre,che sai che è il mio colore preferito e so anche che tra breve mi permetteranno di volare via. Ti chiedi spesso se io so che sto per morire. Non me lo chiedi mai,come potresti?...la mia risposta,figlia mia è proprio qui,tra le ali delle farfalle. Non morirò,volerò via,semplicemente. E quando sarà il momento io lo saprò e tu anche lo saprai.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: T'imbocco,un frullato di pesca con tanto latte e tanto zucchero,che così ti rimetti in forze...che non pesi niente,che stai dimagrendo a vista d'occhio....che non puoi sparire,tanto latte e tanto zucchero che non pesi niente. Il "mostro" quello che ha deciso di venire ad abitare dentro di te,dobbiamo tenerlo a bada,che dorma il tempo necessario perchè tu possa fare e dire tutto quello che non hai fatto e non hai detto mai.....così ti dico,mentre mangi questo frullato che tra poco vomiterai in quel catino arancione,quello che avevamo comprato insieme mille anni fa,che ora è diventato il tuo stomaco al rovescio. Non ci credo piu nemmeno io alle bugie che ti racconto,ogni giorno diventano sempre più fragili,ma non smetto,diventerò un ottima attrice... in realtà lo so che questo tempo che ci rimane non potrà essere usato per fare tutte quelle cose che ci siamo dette,so che dovremo passare attraverso l'inferno invece,dovremmo tenerci forte per non cadere,perchè anche io non peso niente,mamma. So che vorresti che io raccontassi del "mostro"...quel ladro di tempo e di vita...che ti sta togliendo tutto,piano piano...la voce,il respiro,la pelle,i capelli...che non ti fa mangiare,bere,camminare,sognare....infido bastardo che alterna momenti tragici a momenti in cui ti senti "meglio" per poi crollare di nuovo.....e nonostante i sorrisi raggianti che vedi dietro la mia faccia,ormai i miei occhi sono diventati due lacrime,e vorrei provare a non odiare tutto quello che si muove intorno a noi,ma proprio non ce la faccio. Ho camminato avanti e indietro consumando puzzolenti corsie bianche di ospedali alla ricerca di una speranza che mi è stata negata da dottori nascosti dietro ai loro perfetti camici bianchi,professionali e severi...che volte si sentono Dio e si permettono di dare la loro sentenza di morte come se fosse la cosa piu naturale del mondo,la stessa litania che esce dalla loro bocca,da sempre...cambiano solo le persone che si trovano di fronte...e poi ti concedono,correndo via verso altri morti da

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annunciare,sono sempre di fretta perchè la morte non aspetta nessuno...e loro lo sanno.... Io mi preoccupo di te,di ogni minimo particolare che vedo cambiare e cerco di mascherarlo,ti ho comprato una parrucca perchè i tuoi capelli fini si stanno sciogliendo come la neve al sole,li ho nascosti dentro una busta,ma tu non lo sai...ti ho comprato una crema per le labbra,screpolate e viola,bianca cosi bianca da non farti vedere le croste che si sono formate...creme per la tua pelle che cade,e sonniferi,pastiglie,punture per non farti sentire il maledetto dolore,quel maledetto dolore che ti fa gridare...e ti tengo la mano forte e ti abbraccio,non ti lascio sola,siamo due contro uno...il mostro lo sa. Ho paura,hai paura anche tu...non ce lo diciamo mai,perchè noi siamo donne con le palle e non possiamo permetterci di dirci che abbiamo paura,dobbiamo difenderci,tu me io te,come un girotondo impazzito,come una madre ed una figlia,che siamo noi. Ti meriti queste parole che non leggerai mai,perchè la gente non vuole sapere come si muore un po’ alla volta e non voglio saperlo nemmeno io,ma me lo sta raccontando tutti i giorni questo tempo bastardo....e scriverlo lo rende reale....rende reale te,che rimani bella nonostante il mostro tenta di mangiarti,di scavarti,di bucarti...rimani bella come sempre,anzi di più...gli specchi li facciamo sparire,non servono,sarò io il tuo specchio e davanti a me sarai sempre meravigliosa. Mi chiedi musica perchè il silenzio ti racconta troppe cose,mi chiedi luce perchè il buio comincia a farti paura,mi chiedi di raccontarti la vita al di fuori da questo stupido letto che ti tiene stretta,allora apro le finestre,ti copro bene e ti faccio respirare il cielo e ti racconta davvero quella vita fuori,ti racconta storielle per farti ridere,ti parlo della gente che incontro la sera,quando tu chiudi gli occhi ed io finalmente posso piangere un pò... Abbiamo anche imparato a pregare,io che non prego mai....tu che preghi il tuo dio che forse è lo stesso mio,ma lo facciamo piano,prima di dormire,senza farci sentire,perchè in fondo quando decidi che è arrivato il momento di affidarti a qualcosa di piu grande,significa avere paura,significa che qui non c'è più niente e nessuno che ci puo aiutare davvero.

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E ci spero in quel miracolo,ma ho bisogno di non crederci troppo,perchè l'impatto poi con l'inferno è terrificante per chi non sarà pronto,e vi assicuro non si è mai pronti. Allora a volte serve avere il sangue ubriaco per non sentire cosi tanto male,per nascondersi un attimo,un attimo solo prima di tornare. Sono fatta così,questo è l'unico modo che conosco per affrontare questo "mostro" maledetto che sconvolge la vita delle persone,che ti ritrovi a fissarti in una sala di aspetto rosso sangue,con perfetti sconosciuti che però lo sanno a cosa stai pensando e cosa provi....e pensi che di "mostri" ce ne sono tanti,con nomi diversi,più o meno aggressivi,più o meno grandi,ma tutti ti fanno tremare gli occhi e spaventare il cuore. ...e non peso niente ma ho anima per sopportare questo dolore...e ti giuro mamma,qualunque cosa accadrà io non ti lascerò la mano e non smetterò mai di raccontare di te.

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Ho sempre pensato che se lasci aperte tutte le finestre prima o poi entra il cielo. …e con il cielo entra anche il mondo,quello che se ne sta qua fuori incurante di me,di te,di noi,di quello che sta succedendo. Ti chiamo quando sei nell’altra stanza,perché voglio mostrarti il mio cielo,così diverso dal tuo. E come te lo spiego adesso il cielo,che ci vorrebbe tutta la vita e forse nemmeno basterebbe… Le cose fatte di fretta vengono male,te l’ho sempre detto,eppure mi sono ridotta all’ultimo momento….eppure sono qui con la lentezza delle mie mani,che non riescono più a stare dietro ai miei pensieri,vanno veloci. A volte le parole che non riesco a scrivere le affido al cielo,sperando che un giorno te le restituisca. Ti permetta di capire,questo malessere della mia anima che si è mangiato il tempo…ora che il tempo è diventato uno sciocco impertinente e dispettoso gioco a chi arriva prima. Del mio mondo sussurrato a bassa voce per paura di dire,dei silenzi di cui ti ho resa partecipe,perché le parole quando muoiono in gola poi mica ti fanno respirare e non ti fanno nemmeno dire. Non mi resta altro da fare che tirare fuori ciò che dentro per troppo tempo,mi ha logorata e mangiata piano. Questa non è la storia dei miei errori,dei miei sbagli delle incomprensioni o dei vuoti,questa è semplicemente una confessione amara,un voler dare un senso a questa mamma che ti porti nel cuore,perché un senso,figlia mia,io te lo devo. Sei stata l’unica a voler capire,sei stata l’unica che mi ha permesso di credere ancora al gioco della fiducia,quello in cui ti butti di schiena tra le braccia di chi ti ama,e sai di non cadere,lo sai e basta. ti fidi. Fai conto che queste parole siano il mio buttarmi di schiena tra le tue braccia magre,nervose e smaniose di sapere. 54


So che sei forte,Lessi,lo sei sempre stata. Anche quando sarò caduta,tu ricordati che mi hai presa,non mi hai fatto scivolare giù e se per tutto questo tempo ho cercato di dare un senso alla mia vita,è solo per te. Il tempo,arriva e prende. Si consuma regalandoci tramonti impazziti che segnano la fine di una giornata,li osservo seduta qui e so con certezza che il mondo andrà avanti anche quando io mi sarò fermata,rammendo questi discorsi piccoli,cancello le sbavature e vado avanti,fino a che fuori dalla finestra brillerà questo arancione,fino a che il buio mi costringerà a mettere giù la penna. Questi sono i giorni del dolore. So che lo sai,so che qualcuno ti ha spiegato,senza avere la cura necessaria di abbassare la voce,che il dolore va placato,allentato,reso morbido…quella dottoressa dai modi gentili,tenta di farlo. Credi che io non sappia cosa ti dice quando dietro la porta ti racconta di come si fa a morire?... Non ha capito che il dolore va allenato,non allentato...non sa che non è il dolore fisico a spaventarmi,e che tutte quelle medicine scritte su quel foglio saranno solo un palliativo,un tentare di vivere bene la fine…ma a noi non piacciono i finali,noi volevamo ancora un po’ di vita. Lo sai,bambina mia,loro non sono i dottori che curano le ferite,non sono quelli che fanno guarire,sono solo i maghi che fanno cessare il dolore,quelli che ti accompagnano nel tuo viaggio,scarica di bagagli,in modo che il volo sia lieve. I giorni, in questi giorni, sono solo giorni interminabile e per quanto io cerchi di indirizzarli verso un’accettabile costanza mi ritrovo, infine, a spingerli lontano, a rifiutarli, come se potessi con qualche formula magica annullarne l’incidenza e non so spiegarti quanto mi senta defraudata, a ogni gesto inespresso 55


lacerata- eppure mi accompagno alla sera stringendo tra i denti l’inedia, quasi a volerla frantumare, e temo sia l’unico modo che i miei muscoli conoscano per non sentirsi indecenti. Non esiste purtroppo alcuna formula magica che annulli l’incedere zoppo del tempo,che si fa padrone e alza la voce. Vorrei chiedere ogni volta,alla dottoressa gentile di sedersi e di chiedermi di raccontarle la mia vita,invece lei si affanna a tentar di mettere insieme ciò che ormai si è rotto,tenta di mettere a fuoco i miei dolori,tenta di giustificare la mia voce bassa e le mie gambe gonfie,crede che esistano medicine per ogni singolo male,ma non è vero Lessi,non crederci mai,non si guarisce dalla paura,né dalla tristezza. E lei questi mali non li sa curare. Lo vedi ho la schiena che non mi regge più,eppure tutte le sere ho riempito questo foglio di parole,proprio come una vecchina stanca che trascina verso casa il suo cestino di vimini pieno di ciò che ha raccolto. I miei pensieri in frantumi,che nessuna colla al mondo potrà restituirteli interi,saranno i tuoi occhi a fare la magia,a mettere insieme le parole,perché divengano qualcosa su cui appoggiare gli occhi nelle sere che ti faranno paura,quando tutti i perché rotoleranno dai tuoi occhi. Di me,non deve rimanerti solo una foto scelta con attenzione dagli album della nostra vita,voglio che ti rimangano le mani,le parole,il sorriso e le lacrime,voglio che tu abbia una visione colorata e viva,non una foto sbiadita piazzata al centro di un tavolino…dovrai ricordarti la vita,non la morte.

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Soffiare sulla candelina,mentre mi tengo forte con la mano al tavolo,per non scivolare…mentre tutti fissano la mia bocca che sputa fuori un desiderio,solo tu ti sei accorta di quella mano isterica,aggrappata al legno per non cadere. L’ultima candelina della mia vita,appesa al legno e di fianco mio fratello,nei miei occhi tu… Sai che non si possono dire ad alta voce i desideri,sennò non si realizzano? Quindi non me lo chiedere,non te lo dirò. L’ultimo compleanno della mia vita,58 anni pieni di tutto. Me li sentivo pesare forte sulle spalle,mentre avrei voluto dire qualcosa,ma la voce si faceva ancora più piccola ed il mostro ruggiva così forte da non permettermi di sentire nulla,se non il soffocante mondo che batteva le mani e rideva. Mio fratello,il mio fratellino adorato,quante cose avrei voluto dire anche a lui,ma in quel momento se voltavo lo sguardo lo vedevo di nuovo piccolo,da difendere e da coccolare,avrei preso la sua mano e l’avrei portato con me,indietro nel tempo,per fargli vedere tutto il bene che gli ho voluto,non ci sarebbero state parole adatte per spiegargli meglio quello che io e lui sapevamo già. Sai,appena l’ho visto varcare la soglia di quel ospedale,subito dopo l’operazione,ho capito che ci doveva essere qualcosa di tremendamente sbagliato in quella sua corsa verso di me,ma vederlo lì mi ha spiazzato il cuore,tu lo sai,poco prima che arrivasse ho pianto e qualche lacrima è spuntata anche a te. Che io e lui eravamo come i bottoni. I bottoni si perdono,non si strappano via. Scivolano via da soli e senza che uno se ne accorga. quando vogliono loro,per questo, forse, ci sono i bottoni di riserva: per sostituire quelli che scivolano via, eppure non sono mai la stessa cosa, secondo me.

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C’era la mia nonna che appena sentiva un bottone più lento e precario, ecco, prendeva ago e filo e lo riaccomodava al suo posto. A lei non sono mai serviti i bottoni di riserva, era attenta e vigile e i bottoni riusciva ad addomesticarli, mica li strappava via. Io non sono mai riuscita ad addomesticare mio fratello,a fargli capire il mio cuore fragile,forse davanti a lui dovevo recitare la parte di quella forte,di quella che non aveva paura di niente. Il suo bottone saldo,che un giorno è scivolato via. Mi ha ritrovata così,mentre affogavo nelle mie vertigini,mentre con passi piccoli e mani stanche alzavo il volume dei ricordi. Che tuo zio,bambina mia,è come una scatola di fiammiferi, si accende, riscalda e, infine, brucia così in fretta che, anche se ci soffi sopra, quello che resta è macchia nera sopra le dita, fumo tra gli occhi e cenere dentro le narici. Così lui era per me…mica mai ci si dimentica di ciò che t invade l’anima,dello stesso sangue che circola tra le vene,che quando stai male tu,lo sento un po’ anch’ io. Tu che hai un fratello rabbioso chiuso dentro se stesso,io che ho un fratello che sa di musica e di caffelatte,quello più buono, alla finestra,aspettando papà. Quando il presente diventa un passato difficile da raccontare,quando ti vergogni per esserti arresa,per non aver detto,né spiegato,solo perché non trovavo un modo per farlo,nella mia testa regnava quel caos che solo ora tento di buttare fuori. Non so quando ho cominciato a riempirmi solo di cose nere e a collezionare sfortune. M’infilavo nelle tasche piume nere,raccoglievo quadrifogli mangiati dalle lumache,costretti a diventare trifogli,inconsapevoli della loro fortuna verde,accarezzavo la testa di persone tristi e la loro tristezza mi rimaneva tra le mani.

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Raccoglievo fazzoletti usati e margherite secche infilate nei bidoni della spazzatura,a testa in giù. La mia sfortuna stava tutta lì,non riuscivo ad apprezzare le cose belle che avevo,e di quanto fossi felice,solo ora me ne rendo conto. Ne avevo le tasche piene di rase d’infelicità,e riuscivo solo a darmi la colpa,riuscivo solo a piangere e,capisci cuore mio,come si fa a piangere di fronte al tuo fratellino? Come si fa a raccontargli della tua collezione d’infelicità? Ora lo so,ho battuto i denti per un freddo che non esisteva,ma se il freddo ce lo portiamo dentro,avremo sempre da tremare. Lui era il mio bottone ed io non avevo un altro bottone di riserva; Consegnagli tu i miei nodi,quelli che ho provato a sciogliere e quelli che invece sono rimasti lenti. Consegnagli tu la mia piccola e atroce consapevolezza.

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E poi sono scappata da quel salotto,sono corsa in camera attaccata al tuo braccio e a quello di tuo fratello…la nausea vinceva sempre lei,avevo bisogno di levarmi quella parrucca e avevo bisogno di quel catino arancione per sputare fuori quel‘inferno marcio di cui il mostro si nutriva. “Mostri di ossa,verdi di muffa”era diventata la mia litania. Strozzavo le tue domande,rispondendoti che ero stanca,che dovevo dormire,che la testa mi pesava. In sottoluce mi guardavi,mentre fingevo un sonno calmante che non sarebbe mai arrivato. Ti ho offerto lo spettacolo delle mie cicatrici,che non erano altro che i morsi maldestri lasciati dal mostro,di spalle,per non vedere.

DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: Ci s'incanta sul nulla,a volte! Capita di sedermi in terra davanti la lavatrice,quando voglio pensare a mia mamma. ... qualcuno penserà forse che esistono posti migliori,per me quello è il posto migliore. E' successo quando mia madre non stava bene,quando girava per caso impaziente e stanca,attaccata a quel aggeggio che le serviva per non cadere,che le sue gambe a fatica la reggevano. Non riusciva a star ferma,cosi quando la malattia dava tregua,la vedevo trafficare davanti la lavatrice,diceva che io non ero capace di usarla,che facevo gran casino e aveva ragione in effetti. Poi è capitato un giorno che passando per il bagno,l'ho trovata seduta in terra a fissare l'oblò...avevo capito che era caduta e che non riusciva ad alzarsi,ma di spalle non vedevo i suoi occhi.

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Cosi mi sono avvicinata e le ho chiesto se era tutto a posto...lei dopo un pò mi ha risposto che era solo stanca e che voleva stare un pò lì davanti la lavatrice,cosi,senza muoversi,solo per un po’. Mi sono seduta d fianco a lei,si sentiva dalla voce che piangeva piano,nonostante io non vedessi gli occhi sentivo le lacrime. Spiegami mamma,come funziona questo aggeggio maledetto...e lei ha cominciato a spiegarmi la storia della lana e della seta,dei gradi,della durezza dell'acqua...come se fosse una fiaba lenta. senza un finale. Era bello starsene lì in terra,vicino a lei,era bello dimenticarsi il motivo per il quale stavamo lì...sembrava un pic nic fatto solo di noi...anche se la storia che c stavamo raccontando era amara. Non so il tempo che siamo rimaste lì,schiena contro schiena,ognuna con le sue lacrime silenziose,decidendo che quello sarebbe stato il nostro posto migliore. Poi le ho detto che avremmo aspettato il papà,che ci avrebbe pensato lui a tirarci su... rimaniamo un altro po’,cosi insieme.

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Siedo qui,nel frigo ci sono gli avanzi della festa del mio ultimo compleanno. C’è la pianta che mi hai regalato,e quel biglietto…hai finito le parole,tu che scrivevi lunghe lettere piene di speranza e di amore. Sono le piccole cose che facciamo che ci danno le utili informazioni per capire,basta guardare bene,basta osservare…ed io amore mio,ti conosco meglio di quanto tu stessa credi di conoscerti. Non puoi dire le bugie alla tua mamma,perché il tuo tono di voce ti tradisce,persino la tua scrittura ti tradisce. Ho letto i tuoi ultimi appunti disperati,parli di un inferno senza fine,come potevi sorridermi oggi?... Non importa amore mio,se oggi doveva essere un giorno speciale….tutti i giorni sono speciali finché la mattina apro gli occhi e ci siete voi.

Oggi tu e tuo fratello siete rimasti lì con me,mentre vomitavo la rabbia e la stanchezza,mi avete accarezzato la fronte ed è stato quello il più bel regalo che ho ricevuto dalla vita. Voi due,i miei tesori preziosi. Siete così diversi,tu e tuo fratello…lui è come un bicchiere,fragile e con le pareti sottili,tu no…tu sei dura e arrabbiata e fai da scudo a tutto quello che ti piove in testa,sei anche il suo scudo,anche se ancora non lo sai. L’hai protetto con le tue mani piccole e scivolose di pianto,mentre lui si barricava dentro se stesso,perché la paura,gioca brutti scherzi,la paura non ti fa alzare la testa dal

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posto in cui hai deciso di nasconderla,che sia sotto un cuscino o dietro gli occhi chiusi per non vedere. Non so perché poi,al momento giusto,il coraggio ti viene fuori,d’improvviso,come una fucilata che ti rimbomba nelle orecchie e ti fa scattare in piedi… Quante volte hai sentito quella fucilata tesoro mio?...forse ti sarai persino chiesta per quale motivo io non la sentissi e tuo fratello nemmeno. La verità è che ci siamo nascosti nel nostro posto sicuro,dietro di te,nonostante tu sia piccola e magrolina,ci hai tenuto lì,ancora un po’. A volte la paura ti fa perdere i confini,allora hai bisogno di sfiorare qualcuno per capire dove ti trovi,per riuscire ad aprire gli occhi e affrontare il disastro….è come quando entravamo in ospedale ed io avevo bisogno della tua mano o del braccio di tuo padre,per trovare la forza necessaria. Io,per non avere paura,mi sono disegnata una linea intorno e ci ho racchiuso tutto quello di cui avevo bisogno per vivere un giorno di più…nella mia linea sghemba c’eravate voi,c’era quel poco di aria respirabile,un pezzo di cielo,la testa da accarezzare dei miei cani,i ricordi belli… Tu ce l’avevi la tua linea? Io credo di no. Ti sei lasciata attraversare,hai assorbito e accarezzato dolori altrui,senza smettere di sentire male,ma c’è chi invece non ci riesce,semplicemente non ce la fa. Credevi che ad un certo punto tuo fratello sarebbe saltato fuori da quella linea,la stessa mia,per venire a vedere quanto la realtà fosse allucinante e disastrata,invece lui è rimasto lì,al sicuro,ha preferito così. Le cose riusciva a vederle anche da dietro le tue spalle minute,ma eri tu a parare i colpi che il destino malefico lanciava contro di noi,a lui arrivavano le scintille e sai,le scintille fanno sempre un po’ meno male. 63


Cara la mia Lessi,la gente ha bisogno di questo,di essere rassicurata,di sentirsi protetta,al sicuro e quando questo non capita c’è sempre una via di fuga possibile,anche se rimani perché è giusto che tu rimanga. Si può rimanere in tanti modi,questo credo tu l’ abbia imparato. Tu non ti sei limitata a rimanere,ti sei avvicinata e hai guardato. Mentre con le tue mani sicure riparavi,imboccavi,cucivi,vestivi e lavavi i suoi occhi si sono riempiti di mille cicatrici sottili,funziona così amore mio,quando le lacrime marciscono negli occhi per paura di cadere. Guarda bene tutte le cicatrici che tuo fratello si porta dietro,per capire per quante volte non ha pianto quando invece avrebbe dovuto farlo. Ecco,nella sua linea,quella che si è disegnata intorno,stando ben attento a non lasciar entrare il dolore e la realtà,non si è accorto dei suoi occhi pieni di lividi e tagli. Servono occhi puliti per vedere bene,per vedere oltre. Questo sarà l’unico motivo per il quale tu un giorno te ne starai lì,con la tua penna ed un foglio bianco a riportare su carta la mia vita sconquassata,i miei pensieri e le mie lacrime. Non hai mai smesso di guardare,anche quando il paesaggio era immerso nella nebbia e le strade erano un labirinto nevrotico che si perdeva per chissà dove. Siete i miei figli,i miei bambini e a me non importa in quale parte della linea state,non importa se c’è chi ha gli occhi chiusi e gli occhi aperti,non importa se lui mi tiene la mano mentre tu ti dai da fare perché io non senta male,né freddo,né paura. Siete entrambi le mie medicine,solo che ognuno di voi lo fa in maniera diversa. Non essere arrabbiata tesoro mio per questo. Nemmeno quando la tempesta sarà passata,quando penserai che ricordare sarà fondamentale per te,quando di tutte le 64


schegge impazzite vorrai dare la giusta prospettiva per capire,fallo tu sola,c’è chi non vorrà mettersi lì e aprirsi il petto per tirare fuori alcunché. C’è chi dimentica,perché ricordare fa troppo male e c’è,come te,chi per salvarsi deve ricordare.

DAI TUOI APPUNTI DIPERATI: Seregno,19 Settembre 1987 cameretta,interno giorno. sole "Spacchiamo il salvadanaio" 1 2 3 4 5....si dai 5 mila lire bastano. "sei sicura?,quanto costa una rosa?" "Costerà 2 mila lire...gliene possiamo prendere 2 e basta" Nonna ci accompagni a prendere le rose che oggi è il compleanno della mamma? Seregno 19 settembre 2012 Tabacchino,esterno giorno,piove. Tiro fuori dalla tasca i soldi per le sigarette,mio fratello mi aspetta in macchina. Me li ha prestati lui quei soldi,che io non lavoro e in tasca mia ci sono solo le chiavi di casa e i sogni marciti. Cri,mi accompagni a prendere le sigarette,che senza impazzisco?

Seregno 19 settembre 1987 Fiorista,interno giorno. profumo di fiori. "Salve,senti noi vorremmo due rose per la mamma,che è bella e oggi è il suo compleanno."

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"Quanti soldi avete?" "cinquemila" "Ok,ve ne posso dare due,allora...però visto che la vostra mamma è bella,con un euro vi aggiungo una rosa,che regalare le rose pari,dicono porta male" Io e mio fratello ci guardiamo....pensiamo la stessa cosa,noi volevamo comprarci il gelato con quel mille lire che avanzava,che il gelato costa 500 lire. Seregno 19 settembre 2012 Tabaccaio,interno giorno. puzza di fumo. "Ciao,dimmi?" "mi dai un pacchetto di pall mall rosse?" "sono 4.30,grazie" Mi fermo,guardo il tabaccaio....mi ricorda un certo fiorista che oggi ha chiuso,vicino casa della nonna....chissà magari ha smesso di vendere fiori perchè le sigarette si vendono di più....penso con tristezza che forse era meglio quando faceva il fiorista,che vendeva profumo invece che puzza. Chissà se si ricorda di me. Forse no,sono passati troppi anni e lui è anziano e hai gli occhi tristi,io pure. Seregno,19 Settembre 1987 Strada,esterno giorno. mano per mano. "però potevamo comprarne tre di rose alla mamma,invece che comprarci il gelato" mi dice mio fratello mentre con una mano tiene il suo cornetto algida al cioccolato e con l'altra me,che tengo le due rose e un cornetto pure io,che si scioglie,ma io la mano a mio fratello la devo dare,che lui è piccolo. "dici che le porterà sfortuna?"chiedo io un po’ spaventata "nooooo",mi risponde"la mamma ci dice sempre che lei è fortunata,ha noi" e ride. Io lo guardo e penso che ha ragione,lo dice sempre la mamma che è fortunata. Seregno 19 Settembre 2012 macchina. interno giorno. nessuna parola. "Le hai prese le sigarette?"

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"No" "Perchè,sei scema?" "Indovina chi è il tabaccaio?...ti ricordi il fiorista vicino a casa della nonna? quello che diceva che comprare i fiori pari porta sfortuna?" Mio fratello mi guarda. Forse pensa che mi sono un po’ rincoglionita,ma il fiorista se lo ricorda pure lui. "E allora?" mi chiede "Allora oggi è il compleanno di mamma e una rosa costa 5 euro" Seregno 19 settembre 1987 casa. interno sera. profumo di torta al cioccolato. la mamma piange con quelle due rose in mano....ha 34 anni ed è bellissima. "mamma perchè piangi" "perchè sono felice" Forse con tre rose sarebbe stata ancora più felice,penso,mentre il mio stomaco si contorce per un breve attimo dalla paura,che poi passa subito,perchè sono bambina e basta una fetta di torta al cioccolato per farla andare via. Mio fratello invece,corre in cameretta e piange.... "cos'hai femminuccia?"chiedo io "se succede qualcosa alla mamma perchè le abbiamo comprato solo 2 rose io cosa faccio?" Seregno,19 settembre 2012 interno casa. "Cri,andiamo a comprare una rosa per la mamma....stasera l'attacchiamo alla lanterna cinese e gliela mandiamo in cielo." " non ho tempo e stasera non posso venire....te le inventi tutte eh,lo sai che io a queste cose non ci credo" "....Cri,per favore,anche se non ci credi,vieni con me" "No" Seregno,19 settembre 1987 "Promettimelo" "Cosa?" "che a mamma non accadrà nulla?"

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"Te lo prometto. ora vieni a mangiare la torta di là?" Seregno, 19 Settembre 2012 Mio fratello se ne va,non ho mantenuto la promessa. Mamma non c'è più,ma io una rosa gliela mando lo stesso,niente gelato,niente sigarette,nessuna torta al cioccolato. Mamma è ancora bella,avrebbe avuto 60 anni.

La nostalgia,quella credo non passerà mai,quindi non illuderti che mettendo le cose nel giusto ordine tu possa liberartene,non sarà così. La nostalgia rimane attaccata alla tua pelle,non te ne liberi,non ce la fai. Metti al sicuro le mie parole,mettile in ordine,dalle il giusto peso,ma non vivere mai pensando che forse un giorno passa,che non basta niente per farlo passare,ed è questo il mio cruccio più grande. Lasciarti lì,immersa in queste mie parole mentre la nostalgia ti divora piano,mi chiedo se saprai difenderti tu come ha fatto tuo fratello? A che distanza sarete uno dall’altro? Allenati ad avere cura di te e ricordati che le persone tendono a ricordare solo le cose belle,quelle brutte le mettono lì,nell’angolo e lasciano che si riempiano di polvere. Io sono fatta di cose belle e di cose brutte,impara da quelle cattive e stupide,per migliorarti,ricordale e trai il giusto insegnamento.

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DAI TUOI APPUNTI DISPERATI: "Tu scrivi?" ..."no io urlo,urlo cazzo,non riesci a sentire?" Mi sono nascosta dietro la sua poltrona,credevo che il mondo non venisse a prendermi lì,nel mio nascondiglio perfetto,dove potevo persino fermare il tempo,senza essere maga,niente medicine amare,né tempo da gestire,ho lasciato tutto li,sul tavolo di legno sporco di dolore. Era il mio posto ecco...e certi posti non finiscono mai,e in certi posti poi o sorridi o ci muori. Lo sapete voi come si fa a diventare matti? basta chiudere la testa tra le ginocchia e ripetersi sempre le stesse domande e darsi sempre le stesse risposte,ma non si diventa matti,si diventa uguali agli altri...magari fossi matta,almeno saprei cose che gli altri non sanno,capirei i colori e potrei viverci davvero dietro la sua poltrona,avrei bisogno solo di me. Invece ad un certo punto ti alzi,qualcuno viene a chiamarti,ti scuote,e tu ritorni,sei stata via 10 anni o dieci minuti? che importa. Per te è solo una vecchia stupida poltrona,che ne sai dei suoi segreti sepolti tra i fiori disegnati,che ne sai della forma perfetta e della sua ombra trascinata via da sto tempo bastardo,credi che le ombre non si allunghino nel tempo?..che ne sai tu. Eppure ti alzi...eppure mi sono alzata,sono andata incontro all’ inferno con i miei due cani che mi seguivano con la coda tra le gambe,succede così quando si ha paura,solo che tu una coda mica ce l'hai,allora che ne puoi sapere del loro modo speciale di piangere e avere paura?...io invece si... e sai cosa so anche? so che i cani mica li vedono i colori,come noi,quindi l'inferno per loro non è rosso...sentivano l'odore di qualcosa di sbagliato,il loro inferno era quella poltrona vuota,era il silenzio... eppure sono rimasti con me,fino alla fine,mentre tutto il rotolante mondo fuori nemmeno s'immaginava la tragedia,la stessa che poi ho disegnato su dei fogli sudati di lacrime.

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Ho capito che il terrore di qualcosa che non sai non ti permette di tornare,né di esserci,quando dovresti...ci vuole coraggio,ma proprio tanto ad affrontare le proprie paure,i propri errori,le proprie stramaledette colpe...è più semplice uscire dal tunnel degli orrori o alzarsi da dietro la poltrona e fingere,inventarsi un lieto fine,strizzare gli occhi e tornare a casa....ma cosa succede se tu non sei Dorothy e la tua casa non esiste più? Ho tentato di spiegare cosa succede quando chiudo gli occhi....e lo vedi? il panico,in poche parole. Il non respirare. Non sono triste,anche la troppa felicità a volte ti uccide lo sapevi?...non sono triste,sto solo cercando di respirare,perchè quando torni dall'inferno non puoi mica fare finta di non esserci stato,te lo porti negli occhi... Sbatto ancora lungo i bordi,scusami amore mio,ma non ti ho mai raccontato di quella volte che ho chiesto a mia madre: "...ma tu,quanto bene mi vuoi?" e lei mi ha risposto:"Hai tempo di contare fino a perSempre?" Scrivere è quel urlo infinito...prima o poi finirà... che le cose finiscono è l'unica cosa che so.

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Là in alto, mentre prende confidenza col suo nuovo territorio, il funambolo si sente solo. Se ne vedrà a lungo la sagoma immobile. Aggrappato con le mani alla passerella davanti a questo cavo orizzontale sul quale non osa posare il piede, si crederebbe che egli beva pigramente il sole al tramonto. Non è così. Egli sta prendendo tempo. Misura lo spazio, palpa il vuoto, soppesa le distanze, controlla lo stato degli attrezzi, li predispone. Assapora fremendo quella solitudine: sa che, se ce la fa, sarà funambolo. Vuole allineare alla verticale dei suoi pensieri, i suoi dubbi e i suoi timori per issare fino a sè il coraggio che gli resta. Sarete uno scheletro in equilibrio su una lama. Oltre questo limite milioni di incantesimi, non esenti da paura, vi attendono. La mia ombra era fedele, mi ha portato fino qui, e se per caso il coraggio mi venisse a mancare, getterò alla rinfusa sul filo il cadavere dei miei ricordi fino a trovarmi nel cuore di un uragano, per meglio scalare ciò che mi riempie di terrore. Il funambolo, dopo l’ingresso sul filo, si ferma nel bel mezzo e s’inginocchia. Stacca una mano dal bilanciere. il saluto del funambolo è una dichiarazione di potenza e di trionfo. Egli getta il suo pugno in faccia ai venti. Ma al culmine del gesto il pugno si apre, la mano raccoglie la risposta, il funambolo la legge in ginocchio. Notizie di morte o promesse di gioie, in mezzo al cavo egli non lascia trasparire nulla di ciò che sa. Offrivo spettacoli ovunque e per chiunque, viaggiando come un trovatore con la mia vecchia sacca di pelle. Ho imparato a sfuggire alla polizia con il motociclo. sono stato affamato come un lupo; ho imparato a dominare la vita. 71


Ecco il viaggio da fare: alzati quando il filo si mischia alla carta del cielo. Il filo trema. Si vorrebbe imporgli la calma con la forza, mentre invece bisogna spostarsi con dolcezza, senza disturbare il canto della corda. Capire la corsa è accordare il vento della camminata al soffio del cavo, senza porsi domande. la corsa non è il modo per andare rapidamente da un’estremità all’altra del filo. La corsa, ah ah! È il riso del funambolo. Ogni pensiero sul filo è una caduta in agguato.

Philippe Petit

Mi sento come se fossi sul filo di una corda,mi mancano le forze,mi fanno male i piedi e gli occhi,non ce la faccio più a tenermi…sarebbe semplice lasciarsi andare e cadere. Aprire le braccia e buttarsi giù. Quando alla sera ti dico: “Rimango sveglia per te,Lessi” Significa solo che non mi butto,non ancora. Resisto,finché questa penna scivolerà via dalle mie mani,resisto perché ho ancora qualcosa da dirti,resisto perché questo addio è ingiusto e mi strazia l’anima. Appena ieri sera,abbiamo pianto insieme,io e te,vicino al frigorifero,mentre come al solito,tentavo di aggrapparmi a qualcosa che invece era più fragile di me. So che non capisci e questa è l’unica cosa che non posso spiegarti.

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Ricordati solo di non avere mai paura delle persone fragili e nemmeno delle loro fragilità,qualunque esse siano. Non mi salverai ora,strappandomi di mano ciò che mi uccide,ti chiedo solo di trovare da sola la giusta risposta,di dare un senso alle mie fragilità,solo così riuscirai a sopportarle e a non caderci dentro. Io non ce l’ho fatta. La vita è anche meravigliosa Lessi del mio cuore,non dimenticarlo mai. Non dimenticarti di fare l’albero di Natale,per tutti i Natali della tua vita,non dimenticarti che i regali veri non li troverai mai ai suoi piedi,i regali veri sono quelli silenziosi,di quando si stava insieme,con la luce spenta a guardare quelle lucine colorate,quei palloni sfavillanti e ci si riempiva di magia. Fa che la magia non manchi mai nella tua vita. Io sarò lì,in quelle lucine accese,so che mi sentirai e non m’importerà se una lacrima disubbidiente ti segnerà il volto,piangerò con te,ma per la gioia. E quando voltandoti non mi vedrai,non ti spaventare,per ritrovarmi basterà che tu metta un po’ di musica,quello sarà il regalo che farai a te stessa e a me,nemmeno la musica dovrà mai mancare nella tua vita. Copri il silenzio,copri i rimorsi ed i rimpianti,coprili cantando e ballando e ridi,ridi forte,non c’è musica più bella al mondo. Circondati di cose vere,le bugie lasciale ai poco coraggiosi,ai vili e agli stupidi…di sempre la verità e ne uscirai vincitrice. Non avere mai vergognare di mostrare le tue ferite,portale orgogliosa e a testa alta e non ricacciare indietro le lacrime,il magone ti farà soffocare. Prendi i miei anelli e portali sulle tue dita come una promessa e quando ti sembrerà di cadere e di non farcela,ricordati che quella premessa la devi mantenere.

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Conquista il mondo figlia mia e non averne paura,non avere paura del buio,c’è sempre una luce da qualche parte che possiamo accendere… Conserva l’azzurro che ho tentato di spiegarti dentro di te,non lasciare che il mio abito da sposa marcisca in una scatola,mettilo in un cassetto e ogni tanto tiralo fuori e stropiccialo,vivilo… Non ti dirò di portarmi i fiori al cimitero,sai bene che odio i cimiteri,comprati una rosa rossa ogni tanto e lasciala seccare dentro il tuo libro preferito,io sarò là,nelle cose vive non in quelle immobili. Non darti mai la pena di spiegare te stessa a chi non gli importa nulla di te,impara a capire che negli occhi di chi ti guarda risiede la verità a cui ognuno di noi ha deciso di credere,quindi non ti affannare troppo a sprecare parole per chi non le merita. Ogni tanto ricordati di sederti là,nel nostro posto speciale,e non dimenticarti mai dei tappetini azzurri in bagno,in qualunque bagno sarai,portali con te…siamo rimaste sedute lì,a raccontarci la vita e l’azzurro ci ha aiutate a non cadere,per troppe volte. Sii fedele a te stessa,non raccontarti bugie e amati,amati da morire. Non sederti ad aspettare che le cose giungano a te,alzati e valle a prendere. Inganna la paura,distorci la realtà,ma solo un pochino,il tempo di riprendere fiato. Vai a trovare la Madonnina sulla montagna e butta un fiore nel mare. Trova un uomo che ha il coraggio di rimanere quando tutti gli altri se ne saranno andati,qualcuno che ti darà la mano per affrontare le guerre,che non ti lascerà cadere ma non ti prenderà nemmeno in braccia,semplicemente camminerà al tuo fianco,capirai che sarà l’uomo giusto,non temere. 74


Racconta ai tuoi figli della loro nonna,di loro che li avrei amati e coccolati fino a togliergli il respiro,non ti vergognare di quello che sono stata,mai. Tutti sbagliano,il problema è solo nell’ammetterlo. Se riesci ad ammettere gli errori,hai vinto. Stupisciti ancora e poi ancora,ti sentirai viva. Quando non troverai le risposte alle domande,pazienta,un giorno tutto ti sarà chiaro. Aspettare è l’unica risposta possibile. Non lasciare solo tuo padre,chissà che combinerà senza di me. Ogni tanto ricordagli che lui era la mia forza ed il mio braccio,il mio persempre e ricordagli che la promessa che mi ha fatto quel giorno davanti a Dio,l’ha mantenuta. Ricordaglielo per quando gli sembrerà di scivolare,ricordagli chi è,in modo che non se lo dimentichi più. Resisti gioia mia,che la tua mamma ora e stanca e deve andare. Sento le farfalle,le sento forte nelle orecchie,stanno venendo a prendermi. Non ho paura. Non preoccuparti di questo,so che sarai lì,ci sei stata per tutto il tempo,io non sarò sola. Non ho paura,e a non aver paura,me l’hai insegnato tu.

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Ti amo dolce bambina,ti amo Lessi del mio cuore,ti amo quanto tutto il mondo,fino al cielo,fino al universo e poi ancora pi첫 su. Non dimenticarlo.

La tua mamma

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Al mio Felice: "Non voglio più essere giovane per sempre,perchè vorrebbe dire non poter invecchiare con te...e poi dicono che quando s'invecchia ci si rimpicciolisce un po’,così potrei tenerti stretto tra le mie braccia ed avvolgerti come una coperta,nel caso tu avessi freddo....imparerei ad amare i capelli bianchi e la lentezza dei gesti,i sorrisi sdentati e gli occhi lucidi....i muscoli che fanno male e gambe che reggono a fatica....sarà bello essere il tuo bastone e tu il mio. forse dovremmo comprare un letto più piccolo,perchè accorciandoci potremmo stare ancora più vicini,ma il nostro amore non si accorcerà,diventerà sempre più grande e più avvolgente.... Mi specchierò nei tuoi occhi e il loro riflesso mi rimanderà la mia immagine ragazzina...non avremo bisogno di specchi. Ti ricorderai di me,anche quando la testa comincerà a perdere colpi e il peso degli anni si farà cemento sulla nostra schiena,ingobbendoci....senza sapere che invece noi da qui sentiremo meglio l'odore dei fiori e che le nostre orecchie cominceranno ad imparare la strada che conduce alle stelle. ...senza denti si può comunque fischiare,quindi noi cominciamo a prepararci il nostro fischio di riconoscimento che lassù in paradiso sarà pieno di gente,io riconoscerò il tuo fischio nel caso tu arrivassi prima di me...accomodati paziente su quella panchina sotto il salice e aspettami...ogni tanto sbircia giù e controlla che io non senta troppo male durante la tua assenza. Nel caso invece che sia io a dover andare per prima,farò lo stesso...mi sto allenando già da adesso a fischiare,che sai che non sono mai stata capace....ma imparerò,sarai tu ad insegnarmelo.

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La nostra storia è scritta nelle rughe,nelle sopracciglia aggrottate,nelle mani stanche...la portiamo con noi,non serviranno valigie pesanti o fotografie,per ricordarci chi siamo stati,non smetteremo mai di amarci,perchè l'amore va oltre,l'amore arriva fino al cielo e si posa leggero su quella panchina di legno,sotto il grande albero che piange... Non ho paura e non devi averne nemmeno tu...abbiamo imparato a memoria la strada che conduce alle stelle,abbiamo tracciato una mappa perfetta tutti i giorni,con i sorrisi,i pianti,i dolori,le gioie...ogni giorno insieme segnava un puntino nuovo verso le stelle,e noi nemmeno lo sapevamo.... Forse si torna bambini,ecco perchè i nostri nipoti ci adorano così tanto....loro lo sanno del cielo,conoscono le stelle...sanno quello che noi ci abbiamo messo una vita per impararlo... crescendo ci si dimentica della bellezza ma poi ritorna imponente. Ecco perchè non voglio più rimanere giovane per sempre...ecco perchè non ho più paura di morire...perchè so che tu mi aspetterai ed io ti aspetterò nel posto dove ci si attende...ora so fischiare,sono pronta.

Lelli

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"mamma dove si va quando si muore?" "si va in cielo Lessi....si diventa stella" "mamma mi prometti che tu non morirai mai?" "te lo prometto amore mio,ma se dovesse succedere,tu sarai vecchia e stanca,ed io sarò una stella,la piÚ luminosa che esista"

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