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Fondazione Studio Marangoni Firenze

Traendo ispirazione dalle atmosfere decadenti dei romanzi gotici sudisti, Split Land prende nome da «Yoknapatawpha», la fittizia contea del Mississippi inventata da William Faulkner, dove si consumano torbide vicende specchio di un paese dall’identità profondamente lacerata. Ambientati nelle oscure lande del meridione americano, le storie descrivono spesso le figure femminili come corrotte, malate, libertine, mute, folli. La guerra di secessione americana pose definitivamente fine alla “Cult of Womanhood”, sistema valoriale che vedeva la donna sottomessa alle regole silenziose del suo ruolo in società. L’angelo del focolare si era tramutato improvvisamente in demone alla ricerca di sé, imprigionato tra le mura di un’opprimente domesticità.

Dalle radici fortemente letterarie, l’immaginario di Split Land evoca una storia mai scritta, solo immaginata e fotografata. Un incontro di pellicola e fantasmi, luoghi naturali, energeticamente simili e speculari. Questo lavoro vuole ricreare una geografia emozionale fatta di retaggi culturali altri, mitologie introiettate e paure ancestrali. Come frasi disposte su un foglio, le fotografie sostengono un ritmo, imbrigliano il vuoto, sfiorano l’equilibrio sul precipizio della rivelazione.

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Quando potremo finalmente vivere in una società libera dagli stereotipi di genere?

Il Global Gender Gap Report 2021 stima - in base a quattro parametri di analisi (politica, economia, educazione e salute) - che saranno necessari circa 135,6 anni per abbattere le disuguaglianze tra donne e uomini.

L’esistenza di un mondo in armonia tra le parti sembra essere una delle sfide più grandi e urgenti di questa società. Trovare un modo per coesistere in maniera egualitaria in ogni ambito della vita, sul luogo di lavoro, all’interno di una famiglia, in una relazione. Una donna, a parità di mansioni e competenze, guadagna meno di un collega di sesso maschile e la declinazione al femminile di alcune professioni non è tuttora entrata nel linguaggio comune – avvocata e ingegnera “suonano male”, ma maestra e infermiera si possono usare.

Una donna, a un certo punto della sua vita, si sentirà dire che dovrebbe iniziare a pensare a metter su famiglia, perché poi sarà troppo tardi. Un padre che ricopre e svolge il ruolo di genitore viene soprannominato “mammo”.

A una donna, fin da bambina, viene insegnato a fare finta di niente e sorridere quando riceve attenzioni e comportamenti non richiesti, ad essere superiore perché alla fine… era solo un complimento.

Nell’orto botanico si opera e si vive con la prerogativa di conservare e apprendere il linguaggio ecosistemico articolato per mezzo delle specie che accoglie. Un giardino che circoscrive un paesaggio il quale si edifica e muta nel tempo per opera di un uomo che ha la necessità e l’emergenza di concretizzare la propria idea di “paradiso”. Un paradiso che diviene laboratorio e patrimonio di una conoscenza collettiva che possa anche fungere da naturale insegnante del mondo. L’orto è un luogo impostato per volontà di un uomo che definiremo “progettista”che nonostante tutto non è pienamente consapevole di come esso potrà evolversi nel tempo, egli si basa su previsioni ipotetiche suggerite dalla propria conoscenza ed esperienza che gli indicano come questo spazio col tempo si articolerebbe all’interno dei suoi confini. Nel pieno di questa inconsapevolezza “controllata” il progettista non smette mai di apprendere dal genio naturale ed il giardino diventa offerente di nozioni sulla propria costituzione e sul suo agire attraverso i rapporti tra specie diverse.

“À l’ombre des forêts” è un atlante visivo del rapporto tra uomo e natura, che si ibridano con il pretesto della scienza, divenendo collaboratori in un progetto vivo è destinato ad evolversi quotidianamente. Tutto questo all’interno delle mura medioevali di Urbino, all’ombra di una città che così gelosamente custodisce questo tesoro.

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