Missione di pace in Israele e Palestina

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Il programma 27 ottobre 2012

Tel Aviv. Trasferimento a di o ort op aer all’ o riv Ar a. tali nza dall’I mme. mma. ntro per l’illustrazione del progra e mm ia a Gerusale Sab ato 27 ottobre 2012 ntro con il Console Generale d’Ital

Il pro

• Partenza dall’Italia. Arrivo all Betlemme. ente am • ane Inc porraz ont ro con per tem l’illust are ion e del pr in modo da effettu ipanti saranno suddivisi in gruppi • Incontro con il Console Generale visite e incontri. Domenica 28 ottob,re 201 t 2 ioni di Betlemme Bei tuz isti le e i on azi oci ass le ie, igl fam le con i ntr I partecipanti saranno suddivisi in gru a our, Beit JalMissione di Pace in Israele e dive Palestina rse visite e -incontri. o di Cremisan ta al Convent 27 ottobre - 2 novembre me • Incontri con lem2013 le famigli ta della Chiesa della Natività di Bet e, tar le ass ocia i nei Umani ari li, Aff deg nto me Sah ina our ord Bei Co t Jala di nu l’O del io ontro con l’Uffic • Visita al Convento di Cremisan ritori Palestinesi Occupati di tinlao Na Ladel • toesa VisPat rca ita del riala Chi Shomali, m tività d llia Wi ns. Mo con e ion ess rifl ontro di • Incontro con l’Ufficio dell’Onu di C usalemme Territori Palestinesi O

nica 28 ottobre 2012


Diario & appunti di viaggio


La Pace: necessaria, giusta, possibile Primo: la pace è necessaria. Anzi, rappresenta l' unica via verso una reale sicurezza. Secondo: la pace è giusta. Non c' è dubbio che Israele abbia cercato il dialogo con fazioni pales<nesi che hanno scelto la via del terrore. È per questo che la sicurezza dev'essere al centro di qualsiasi accordo. Tu@avia, anche il diri@o del popolo pales<nese all' autodeterminazione e alla gius<zia dev'essere riconosciuto. Me@etevi nei loro panni, guardate il mondo a@raverso i loro occhi: non è giusto che una bambina pales<nese non possa crescere in un proprio Stato, e debba convivere con un esercito straniero che ogni singolo giorno controlla i movimen< dei suoi genitori. Non è giusto che la violenza dei coloni contro i pales<nesi rimanga impunita. Non è giusto impedire ai pales<nesi di col<vare le proprie terre; limitare la possibilità di uno studente a spostarsi all' interno della Cisgiordania, o allontanare le famiglie pales<nesi dalle loro case. La risposta non sta nell'occupazione, né nell' espulsione. Così come gli israeliani hanno costruito uno Stato nella loro patria, i pales<nesi hanno il diri@o di essere un popolo libero nella propria terra. Terzo: la pace è possibile. Vi chiedo di pensare a ciò che può essere fa@o per favorire la fiducia tra la gente

21 marzo 2013 -­‐ Barack Obama


Premessa Non turis< ma invia< a rappresentare la nostra provincia e le nostre scuole nella martoriata, assurda, straziante e bellissima terra di Israele e Pales<na. Terra che dovrebbe essere di pace ma che di pace non è. Questo siamo sta< per una seTmana, assieme a 206 altri italiani che hanno acce@ato l’invito del Coordinamento en< locali per la pace a partecipare alla missione di pace di Pales<na ed Israele. Si è tra@ato di una sfida alle nostre capacità di comprendere, al nostro impegno ad ascoltare, alla nostra volontà di cercare di cogliere la complessità del caleidoscopio israelo/pales<nese, senza divenire preda di facili semplificazioni. Ma anche senza rinunciare, come ci ha chiesto il vescovo ausiliare di Gerusalemme, mons. Shomali, a chiamare le cose con il loro nome. Il proge@o si è avviato grazie alla Provincia di Parma – assessore Marcella Saccani – e dopo la presenza in Israele e Pales<na ha previsto la res<tuzione dell’esperienza al territorio ed alla comunità locale mediante la mostra fotografica e video a Palazzo Giordani (2-­‐10 maggio 2013) ed il seminario di studio Scuola, territorio ed educazione alla ci=adinanza glocale (3 maggio 2013) La presente pubblicazione, che accompagna la mostra e che è disponibile sia in cartaceo che, sopra@u@o, in versione digitale, vuole essere tes<monianza di un percorso che è nel contempo di scoperta, di riflessione, di assunzione di responsabilità. Un percorso educa<vo / forma<vo alla ci@adinanza glocale.

Pietro Barazzoni Silvia Cacciani Alberto Manassero Sara Tedeschi Aluisi Tosolini Maria Chiara Zaccardi


27 o=obre 2012 Partenza. Arrivo all’aeroporto di Tel Aviv e poi Betlemme.

Giorno 1

“Siamo qui in primo luogo per ascoltare. Per incontrare persone, luoghi, storie. E poi per raccontare. Per comunicare la realtà Incontro con il Console che vediamo”. Esordisce così Flavio LoT CanHni accogliendo i 212 “folli” che a sera sono finalmente giun< – dopo un viaggio complesso e denso di imprevis< – a Betlemme. “Da qui – ha con<nuato – si vede la realtà del confli<o israelo-­‐pales>nese. Ognuno di voi incontrerà un frammento di questa realtà e deve prestare a<enzione a non assolu>zzarla. Perché la realtà è complessa, caleidoscopica. Magma>ca. Il programma di questa seFmana d’incontri è stato elaborato con enorme fa>ca perché sembra che per questa stessa terrà la parola pace Flavio LoT abbia perso di interesse. Per la prima volta dal 1989 infaF non riusciremo ad avere un momento congiunto di incontro, scambio e riflessione che veda compresen> i movimen> e le realtà della società civile pales>nese ed ll console Pierpaolo Can<ni israeliana”. “Occorre guardare a questa terra tenendo conto dell’evoluzione e dei cambiamen> con>nui che la cara<erizzano – dice il console italiano a Gerusalemme Pierpaolo Can<ni che è venuto a salutarci. -­‐ Oggi – con<nua il console – la prospeFva dei due sta>, prospeFva che con fa>ca la poli>ca internazionale e la diplomazia ha elaborato negli anni, sembra perdere giorno dopo giorno valore e di interesse”. Un modo gen<le – diploma<co – per dire che la pace si allontana invece di avvicinarsi. Ed anche che per dire del rischio che la ques<one


pales<nese e il processo di pace vengano messi ai margini da altre urgenze, altre storie. Altre guerre, altra violenza. Come quella che a pochi passi da qui insanguina la Siria. Sono quasi le 9 di sera quando chiudiamo la breve assemblea plenaria in cui ci siamo guarda< in faccia e saluta<. Ed in cui i 206 nostri compagni di viaggio di ques< giorni ci hanno subito iden<ficato come “quelli del Bertolucci” invia< dalla loro scuola e dalla loro provincia ad ascoltare per poi comunicare. Eravamo par<< pres<ssimo da Parma. Alle 3.30. E pioveva a diro@o. Betlemme ci ha accol< alle 20.00 dopo una giornata lunghissima in cui per ore abbiamo a@eso all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv l’arrivo del charter da Roma. Poi, finalmente, in bus: 212 persone, 4 autobus zeppi. Tel Aviv Betlemme sarebbero 45 minu< di autostrada. Ma il tempo qui obbedisce ad altre dinamiche: prima di Betlemme la strada è interro@a da polizia e militari che hanno chiuso l’accesso alla tomba di Rachele. Non si passa e così ci aspe@a un lungo giro e una lunga coda. L’autostrada è costeggiata a un lato da un al<ssimo muro che separa il territorio pales<nese da quello israeliano. Superiamo il check point ed entriamo a Betlemme, in territorio pales<nese. E’ un altro mondo. Pochi metri, eppure il confine si fa visibilissimo nei muri scrosta< delle case, nelle finestre scardinate. Nel selciato sconnesso. Nelle strade ra@oppate. Nell’insediamento israeliano che s’intravvede nella collina di fronte all’hotel: un for<no circondato da mura. Una ci@adella for<ficata. Suonano più vere le parole di Flavio LoT che, spiegando il senso della nostra presenza, sos<ene che dal tempo della crisi globale non si esce se non si riparte dall’insieme, dalla capacità di inquadrare anche la nostra crisi dentro la crisi più grande. E guardandola dai marciapiedi di fronte all’Hotel Bethlehem questa è davvero un’altra cosa. E’ no@e su Betlemme. Domani ci aspe@a l’incontro con il sindaco e con il rappresentante dell’Onu. Ma sopra@u@o alcune ore con le famiglie pales<nesi che ci accoglieranno a pranzo. 100 famiglie per 200 ospi<. Per condividere una pezzo di vita. “Ci si vede in municipio alle 8.30 “ – ci saluta il preside. Lui alle se@e andrà alla santa messa alla basilica della Na<vità. Betlemme: da qui è par<to duemila anni fa un for<ssimo messaggio di pace. E questa terra arsa e polverosa ne ha bisogno ancora come dell’acqua che dà vita.


28 o=obre 2012 famiglie, associazioni e isHtuzioni di Betlemme, Ufficio dell’Onu di Coordinamento degli Affari Umanitari nei Territori PalesHnesi OccupaH

Giorno 2 “We need peace, but first of all jusHce”

Abbiamo bisogno di pace, ma prima di tu<o di gius>zia. Queste le parole di una donna Mons. William Shomali, pales<nese che da un giorno all’altro Patriarcato LaHno di si è ritrovata a dover vivere a pochi Gerusalemme metri da un muro di cemento e di odio: “ They stole our lands, our water, our freedom” (Ci hanno so<ra<o le nostre terre, la nostra acqua, la nostra libertà). Un ostacolo che non <ene conto di affeT o di proprietà che impedisce a chi si trova dal lato sbagliato (i pales<nesi), non solo di compiere le aTvità quo<diane come andare a scuola o al lavoro, ma persino di poter andare in ospedale a Gerusalemme in caso di un malessere grave. Ai cancelli (pochi) i controlli sono fin troppo rigidi e gli incarica< spesso esagerano nei confron< delle donne, che non hanno possibilità di reazione. Come se non bastasse per oltrepassarli indenni è necessaria una grande quan<tà di permessi. La problema<ca è stata ampiamente approfondita con un rappresentante dell’OCHA (Ufficio del Coordinamento degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite h<p://www.ochaopt.org): “Il muro è in completamento, ha già diviso Gerusalemme. Sarà lungo oltre 700 Km e interamente sorvegliato dalle forze militari israeliane che non si fanno scrupoli a sparare a vista a chi si avvicina alle zone militarizzate. È realmente u>le e giusta una tale misura? Essa comporta unicamente vantaggi agli israeliani che gius>ficano dietro le mo>vazioni di “sicurezza nazionale” un vero e proprio furto di iden>tà nei confron> dei pales>nesi. Una soluzione? Uno stato unito in cui convivere pacificamente. Possibilità per il momento decisamente utopica, in quanto le colonie israeliane (che conferiscono al paese l’aspe<o di un formaggio coi buchi) occupano altro territorio pales>nese e lo stesso popolo di Israele si rifiuta di convivere all’interno di un unico stato.”


L a n u o v a g e n e r a z i o n e pales<nese, essendo nata all’interno di un confli@o già a v v i a t o d a t e m p o , v i v e l ’ o p p r e s s i o n e c o m e un’abitudine all’ingius<zia ormai radicata nel tessuto sociale. Una generazione che ha bisogno di passapor< esteri per potersi muovere liberamente all’interno del proprio paese, ingabbiata all’interno di poca terra, ma che crede ancora nelle persone e nella gius<zia, come dimostrano diversi ragazzi e ragazze che oggi ci hanno aperto le loro case, i loro sogni e le loro speranze. Il mo@o che guiderà tu@o il nostro percorso ci é stato suggerito oggi da una ragazza pales<nese: “Come, See, Act” (Vieni, Vedi, Agisci). E’ inu<le parlare e discutere se poi non si agisce concretamente alla risoluzione del problema che, oltre ad essere causa di confliT interni di un unico stato, nega il raggiungimento della pace a livello mondiale.

Sindaco di un territorio gruviera

Non si può costruire uno stato su un territorio rido@o a gruviera: parola del presidente Bush. E’ questa l’immagine uno dei fili rossi della giornata vissuta oggi a Betlemme. Ha esordito così il sindaco della ci@à in cui è nato Gesù. Un anziano signore giunto al termine del suo mandato. Vitalissimo e nello stesso tempo dolente mentre racconta come Betlemme è diventata una fe@a di gruviera in cui in buchi occupano molto più spazio del resto. La municipalità si stenderebbe su 31 km2. Ma in realtà ne controlla e governa solo 6 a causa della confisca delle terre, dell’ insediamento di ben 22 colonie israeliane (per un totale di 87.000 coloni), della costruzione del muro che taglia strade e campi. Or< e case. E rende la vita impossibile a chi sta di qua del muro. I da< e le mappe dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari confermano con i numeri il processo di frammentazione che sta sempre trasformando la West Bank, la


Cisgiordania che secondo gli accordi di pace di Oslo e la successiva Road Map dovrebbe cos<tuire un paese, in uno spezza<no di terra arsa. Ma come può esistere un paese senza con<nuità territoriale? Non può. E così si trasforma in un carcere a cielo aperto dove la vita di un milione e 600mila persone si fa quo<diana lo@a contro l’assurdità delle violenza. Lo racconta Maria, una donna sulla quaran<na che da Beit Jala si reca ogni giorno a lavorare a Gerusalemme. Una delle poche fortunate che possono a@raversare il muro che taglia e chiude la via principale del paese dividendolo in due. Fortunata: per passare di là deve presentare un’ iden<ty card israeliana abbinata al permesso di lavoro. Si deve me@ere in coda e a@endere pazientemente che i militari israeliani effe@uino i controlli. Che comprendono anche le impronte digitali che passate al le@ore oTco che grazie al computer forniscono tuT i da< possibili su Maria. Ma allora – chiedo – a che servono tuT gli altri documen<? Per far< impazzire, forse. Per stremar<. E così per i 10 km che separano Beit Jala da Gerusalemme ci possono volere anche due ore contro i 10 minu< in situazione normale.

La vita quoHdiana all’ombra del muro

Potremmo mai immaginarci di dover mostrare un permesso per poter oltrepassare un confine tra Via Repubblica e Via Mazzini? Ogni giorno un ci@adino pales<nese si trova negato l’accesso a porzioni della propria terra e ad Israele a causa di un muro, di un check point, di un permesso o di una targa verde e non gialla. 400 km oggi, 700 km quando i lavori saranno conclusi. Al< listoni di cemento armano che tagliano in due anche la speranza. Ingius<zia della sorte? Chi nasce pales<nese e con gravi patologie, non ha la possibilità di raggiungere servizi sanitari specializza< in tempi u<li alla sopravvivenza. Se una persona ha bisogno di essere urgentemente operata per problemi cardiaci non


può essere trasportato dire@amente in ospedale: l’ambulanza pales<nese viene fermata al checkpoint del muro ed il paziente trasferito su un’ambulanza israeliana. Un bambino pales<nese non ha l’occasione di fare una gita scolas<ca perché lo stato israeliano obbliga la richiesta di un’autorizzazione con procedure molto lunghe e complicate. Queste limitazioni e ques< disagi sono chiaramente unidirezionali, gli israeliani godono infaT di libertà di movimento e le loro targhe sono contrassegnate appunto dal colore giallo. Un vero e proprio muro sia fisico che psicologico. Confli@o che antepone un capriccio poli<co al diri@o umano.

Mons. William Shomali

Ma ci deve essere poco di normale in questa terra se persino il vescovo ausiliare del patriarcato la<no di Gerusalemme, Mons. William Shomali, dice che oggi la pace è impossibile. La comunità internazionale non pare davvero aver intenzione di fare la voce grossa per far applicare ad Israele le risoluzioni dell’Onu. I paesi arabi sono divisi e non sembrano interessarsi dei pales<nesi se non per usarli per i loro giochi sullo scacchiere internazionale. E così la vita – se si può chiamare vita – con<nua a me@ersi fila ai checkpoints o a@accarsi al clacson delle auto con targa verde su fondo bianco. Sono le auto pales<nesi che non possono andare da nessuna parte se non girare nei frammenta< territori della Cisgiordania. E forse tuT ques< colpi di clacson che urlano nella piazza della Basilica della Na<vità altro non solo che l’urlo di rabbia e di frustrazione del popolo pales<nese. In carcere a casa propria.


29 o=obre 2012 Visite e incontri a Ramla, Gerusalemme e Tel Aviv Incontro con Peace Now

Giorno 3 Da Ramla alla tomba di Samuele: il mulHculturalismo alla prova

Al suono degli inni italiano e poi israeliano serpeggia la commozione tra i tan< riuni< nel raffinato auditorium dove il sindaco e diverse personalità culturali e religiose ci hanno accol< con una grande festa. Siamo a Ramla, Israele. Tra l’aeroporto e Tel Aviv. Siamo venu< ad incontrare una amministrazione locale che del mul<culturalismo ha fa@o la sua bandiera. Una ci@à di 73.000 abitan< di cui il 23% arabi (17.000) e ben il 31% di nuovi arriva<, immigra<. Ramla è infaT uno dei centri in cui la nuova immigrazione ebraica viene accolta, istruita, integrata. Vengono, dice il sindaco, da società meno avanzate rispe@o a quella israeliana, dal sud America e dalle repubbliche dell’ex Unione sovie<ca e l’impegno della municipalità è aiutarli ad entrare posi<vamente nella società israeliana che è mol< differente rispe@o alla comunità partenza. Ci sono poi le interazioni sempre più posi<ve tra arabi e israeliani. Lo tes<moniano il parroco della comunità ca@olica, un consigliere comunale arabo, la dirigente della scuola araba. Lo sforzo della ci@à è sincero e nasce, come sos<ene uno degli intervenu< citando papa Benede@o XVI, dalla consapevolezza che la coesione sociale è figlia del rispe@o reciproco. Non poteva mancare, in questo contesto, una domanda pre@amente poli<ca: perché non esportare la logica mul<culturale e del rispe@o anche a pochi km più a est, in Cisgiordania?. Il sindaco non si so@rae e dopo aver sostenuto che la maggior parte degli israeliani è favorevole al diri@o all’esistenza di uno stato pales<nese indipendente cita a riprova il fa@o che gli israeliani sono usci< da Gaza. Sono sta< cioè capaci rinunce significa<ve per di avere la pace. Anche se pace una pace fragile visto che proprio mentre siamo nell’auditorium si diffonde la no<zia dell’ennesimo lancio di missili da Gaza verso Israele. Ma, con<nua il sindaco, occorre che anche i pales<nesi facciano la loro parte e non pare che oggi le autorità pales<nesi riescano davvero a coordinare gli sforzi per la pace.


“Ciò che noi temiamo di più -­‐ conclude il sindaco -­‐ è il caos. Come per la situazione siriana: di certo Assad non è nostro amico o alleato ma noi temiamo mol>ssimo il giorno dopo la fine di Assad perché sappiamo che con molta probabilità il paese sarà preda del caos e degli estremis>. Noi viviamo in una regione di assurdi: non siamo amici di Assad ma temiamo che la sua fine compor> seri guai anche per noi”. Salu<amo l’ospitale Ramla e risaliamo verso Gerusalemme sino a giungere sulla collina dove si trova la tomba di Samuele. Metà moschea e metà sinagoga, quasi una conferma dell’impegno nel dialogo indicato dal sindaco di Ramla. Ma lo spiazzo della tomba di Samuele, stupenda terrazza da cui lo sguardo si perde su Gerusalemme, consegna anche altre visioni. Basta aprire una car<na con indica< gli insediamen< dei coloni sulla terra pales<nese per leggere uno spar<to diverso. E percorrere la famosissima arteria stradale 433 è ancora più impressionante: ai la< scorrono in diversi pun< ben tre diverse barriere. Il filo spinato, la rete metallica, il muro. Linee di demarcazione che corrono parallele a circa 10 metri di distanza l’una dall’altra. Sino a confluire


ad un grande incrocio in cui al muro sembrano aggiungersi anche diverse torre@e di guardia. Ma non è il muro, è famoso carcere di Ofra. Dal punto di vista delle losanghe di cemento armato con cui è costruito è del tu@o simile al muro. Solo che è un carcere. Osserviamo le guardie entrare e ripar<amo lungo la 433 road. Che in fondo non è altro che la linea di un altro <po di carcere che gli abitan< della West Bank non possono oltrepassare. Ripenso a Ramla. Così vicina, eppure così lontana, da queste brulle colline di Gerusalemme est.

Tel Aviv: a lezione di diplomazia dall’ambasciatore Talò

Francesco Maria Talò è un giovane ambasciatore. E’ a Tel Aviv solo da due mesi, dopo essere stato console a New York per quasi cinque anni. Ci riceve -­‐ in questo caldo pomeriggio di lunedì 29 o@obre -­‐ al 21 esimo piano di un bel palazzo sul lungomare di Tel Aviv. Siamo 20 persone e siamo i rappresentan< delle is<tuzioni presen< alla marcia della pace in Israele e Pales<na. Per il Liceo Bertolucci sono presen< la prof.ssa Silvia Cacciani e Maria Chiara Zaccardi. L’ambasciatore ci dedica quasi due ore del suo tempo. Esordisce sostenendo che l’Italia è molto impegnata in un processo di dialogo e confronto su tu@o lo scenario mediorientale e mediterraneo, a iniziare dal Libano. Il Libano è un paese difficile ma strategico: l’Italia ha contribuito molto al contenimento della crisi libanese anche grazie alla partecipazione di forze di pace italiane che operano so@o l’egida Onu nel sud del Libano. La chiacchierata / lezione dell’ambasciatore prosegue toccando lo scenario oggi più preoccupante e violento: in Siria la situazione – sos<ene Talò -­‐ è gravissima, “Ho


appena incontrato l’opposizione siriana e devo dire che, seppure l’Italia non abbia mai amato Assad, non è ancora chiaro chi sia l’opposizione. Modera>? Fondamentalis>? L’Italia e l’occidente hanno il terrore di passare da un >ranno ad un assolu>smo senza speranza ed altre<anto feroce”.

La terra dell’assurdo e del paradosso

Non bastasse, l’ambasciatore ha aggiunto che ciò che oggi è calmo può diventare una polveriera da un momento all’altro. Sta accadendo per l’Egi@o, sopra@u@o la zona del Sinai che confina con la striscia di Gaza, e può accadere da un momento all’altro per la tranquilla Giordania. Da qui la domanda: Israele saprà uscire da questo caos? “Oggi – dice l’ambasciatore – Israele è l’unica vera ed indiscu>bile democrazia del medio oriente. Per quanto concerne la situazione della Cisgiordania essa è certo durissima. L’Italia non riconosce l’occupazione di Gerusalemme est e della Cisgiordania. La posizione è chiara: due popoli / due sta>. Ma l’oFmismo dell’intelligenza ci suggerisce un qualche punto interroga>vo: siamo proprio sicuri che due sta> siano la soluzione migliore? “ La situazione si fa ogni g iorno più pesante a causa degli insediamen<. L’Italia e l’Europa considerano illegali gli insediamen<. Ma l’Italia e l’Europa sono anche consapevoli che vi è un serio problema di sicurezza per Israele e da quando è stato costruito il muro gli a@enta< si sono sostanzialmente azzera<. “Certo – con<nua l’ambasciatore Talò -­‐ siamo di fronte ad una seria lesione del diri<o e internazionale ma, paradossalmente, e senza che ciò implichi una qualche gius>ficazione della violenza, i pales>nesi sono tra i popoli arabi coloro che possiedono maggiore istruzione ed il turismo ha sos>tuito il se<ore agricolo come motore dell’economia”.


Cosa può fare l’Italia e le sue is<tuzioni? L’obieTvo a medio raggio dell’ambasciatore Talò è quello di avviare azioni sinergiche che vedano l’impegno della cooperazione italiana, delle aziende che vivono intensamente la propria responsabilità sociale, e le is<tuzioni e gli en< locali. In primo luogo l’ambasciatore intende operare per incrementare sopra@u@o gli scambi tra scuole e nel se@ore sanitario. Il mo<vo è semplice: “vogliamo par>re dai bisogni fondamentali: tuF vanno a scuola e tuF tengono all’educazione ed alla salute. Forse è il caso di par>re da qui per creare partnership che si incammino lungo la via della pace”. Forse è anche per questo che noi del Bertolucci, come scuola, siamo qui. E lo siamo in rappresentanza anche della Provincia di Parma e invia< dall’assessorato, guarda caso, alla salute e al sociale.

Peace Now Nel pomeriggio risaliamo verso Gerusalemme. Passato il confine non segnalato di Gerusalemme siamo entra< nella West Bank nella quale sono na< insediamen< Israeliani che, come ha sostenuto un rappresentate di Peace Now che ci fa da guida, sono dannosi in quanto ostacolano la formazione dei due sta< (pales<nese e Israeliano). L’associazione Peace Now è cos<tuita da ci@adini israeliani che cri<cano il proprio governo, una cri<ca costruTva con l’intento di aiutarlo e allo stesso tempo di difendere i diriT dei pales<nesi succubi dell’occupazione. La problema<ca maggiore che sta alla base di ques< insediamen< “illegali” è l’essere sostenu< dalle tasse della popolazione israeliana. Essa pur essendo a conoscenza della situazione, non fa niente per cambiarla ma appoggia il governo . Per poter costruire ques< insediamen<, gli israeliani li hanno chiama< con il nome della ci@à pales<nese che li affianca oppure li presentano come il prolungamento di insediamen< preesisten< anche se situa< lontani dagli stessi. Inoltre pales<nesi si vedono priva< di altro suolo a causa della costruzione di grandi strade di collegamento (come la Route 443) che in realtà non possono poi essere u<lizzate proprio dai pales<nesi per per mo<vi di “sicurezza”. Oggi in teoria l’accesso è consen<to, in praHca la situazione è immutata. È stata inoltre spesa una quan<tà considerevole di denaro per costruire dei tunnel recinta< e percorribili esclusivamente dai pales<nesi, il tu@o per evitare il passaggio di ques< per le aree israeliane.


30 o=obre 2012 Visite e incontri a Ramallah, e villaggi palesHnesi Conferenza sul futuro della quesHone palesHnese e la primavera araba e i conflia in medio Oriente

Giorno 4 I paradossi conHnuano

Le leggi internazionali proibiscono di costruire insediamen< civili all’interno di territori occupa< militarmente, ciò nonostante, all’interno di quelli pales<nesi, vengono ogni giorno costruite colonie israeliane. Abbiamo oggi visitato la comunità di beduini di Khan El Ahmar il cui capo, Abu Kamis, ci narra le sventure che da anni colpiscono questo piccolo villaggio. I beduini sono nomadi e pastori che col<vano anche qualche appezzamento di terreno a@orno ai loro accampamen<. Da anni gli israeliani cercano di spostarli dal territorio in cui vivono con i loro greggi spedendoli in un altro deserto. Mo<vo: il vicino insediamento israeliano intende espandersi e fa di tu@o per allontanare la comunità beduina u<lizzando anche forme di angherie davvero squallide. Ad esempio tuT i liquami dell’insediamento vanno a finire davan< al villaggio. Dove tu@avia non arriva la corrente ele@rica che serve l’insediamento. Sino a tre anni fa i bambini della comunità frequentavano la scuola a 5 chilometri di distanza e per accedervi dovevano a@raversare i pos< di blocco e sopra@u@o importan< arterie stradali con tuT i rischi conseguen<: una bambina, alcuni anni fa, a@raversando la strada per andare a scuola è rimasta uccisa. Da qui la richiesta di costruire una scuola nel villaggio. L’appello fu


accolto da alcune associazioni di volontariato e dopo tre anni si aprì il can<ere. La stru@ura é chiamata Scuola di Gomma perché è costruita all’esterno con pneuma<ci di macchine usate e fango mentre all’interno una par<colare stru@ura ecosostenibile di legno la isola rendendola fruibile sia d’estate (dove da maggio a se@embre ci sono 50 gradi) che d’inverno quando piove in con<nuazione e tu@o diventa fango. “La più bella immagine che mi rimane in testa di ques> anni – ci dice Abu Kamis – riguarda europei, americani e israeliani che affondano nel fango mentre vengono a intonacare la nostra scuola”. Ma nulla è normale in questa terra: Israele ha ordinato il primo stop ai lavori poco prima che si concludessero. “Ma noi – con<nua Kamis – abbiamo organizzato due gruppi di lavoratori. Un gruppo faceva da vede<a ed un altro con>nuava alacremente la costruzione”. Pochi mesi dopo l’inaugurazione arriva la sentenza della Corte Suprema israeliana che ordina di spostare tu@a la comunità. Questo ordine è ancora valido ma non è ancora stato eseguito: Abu Kamis chiede anche all’Italia di difendere i loro diriT viola<. Ci chiede di parlare, di diffondere quello che abbiamo visto. La scuola di gomma è stata finanziata anche dalla comunità europea e dalla cooperazione italiana che oggi – come ci ha de@o il console Can<ni – sta con<nuando a fare pressione su Israele perché receda dalla decisione di spostare la comunità di Khan El Ahmar. Che senso può infaT avere pagare la costruzione di una scuola e poi tacere se gli allea< israeliani la distruggono? Non solo i servizi educa<vi sono migliora< in ques< anni grazie alla cooperazione italiana ma anche quelli sanitari. Due suore comboniane girano per i villaggi dei beduini a bordo di una “clinic mobile” donata dalla ci@à di Bari ed hanno coinvolto in questa avventura medici ed infermieri sia pales<nesi che israeliani. I beduini non ricevevano infaT cure sanitarie né da Israele né dalla Autorità Nazionale Pales<nese. Un mondo veramente paradossale. E, tanto per non farci mancare nulla, tornando a Betlemme siamo sta< ferma< al checkpoint di Ramallah. Siamo sta< cotreT a scendere, passare a@raverso i tornelli, mostrare i passapor< a giovani militari con mitra a tracolla. Ma non andavano né allo stadio né in uno stato straniero: ci muovevamo semplicemente dentro la Cisgiornania. O West Bank. O territori arabi occupa<. Nemmeno i nomi sono univoci in questo mondo del paradosso.


Una normale giornata di tensione Tornare nuovamente a conta@o con le famiglie pales<nesi,ascoltare le loro storie, le loro paure e le loro richieste, rende sempre piú difficile la nostra missione qui in Israele. Oggi abbiamo potuto fare qualcosa per queste persone: siamo anda< in un villaggio pales<nese ad aiutare gli abitan< nella raccolta delle olive per la produzione di olio, unica loro fonte di reddito. Il sindaco di questo piccolo centro abitato ci ha raccontato di come difficile sia la loro situazione. Il governo israeliano impedisce di u<lizzare liberamente gli ulive<, pretende la richiesta di un permesso speciale per raccogliere le olive e di tanto in tanto puó capitare che gli abitan< israeliani di insediamen< limitrofi invadano gli ulive< per fare razzia. Ancor piú interessante é stato ció che é capitato sulla strada del ritorno. Il controllo a cui siamo sta< so@opos< al check point per uscire da Ramallah (la capitale della Cisgiordania dove ha sede l’autorità nazionale pales<nese) ed entrare a Gerusalemme est, che formalmente è ancora territorio pales<nese, ci ha fa@o sperimentare in piccolo cosa realmente vuol dire essere pales<nese. Come una mandria di capre siamo sta< messi in fila entro una alta ringhiera di ferro ed uno ad uno faT passare a@raverso un tornello al<ssimo Questa la scena. Ci fanno scendere. L’autobus va avan<. Noi entriamo in una sorta di corridoio vetrato, un tunnel. Siamo ammutoli<. In fondo c’è un tornello a figura intera. Si entra in una sorta di gabbia. Ci viene de@o di me@ere le borse e tuT gli zaini nel metal detector come all’aeroporto. Con la differenza che rimani bloccato da solo in una stanza dove da un vetro un soldato < chiede di mostrare il passaporto appoggiandolo contro il vetro. Che nel nostro caso il soldato neppure


guarda. Con un cenno della testa dà il permesso di andare e così si entra in un novo tornello e si esce dall’altra parte. TuT i militari presen< hanno il mitra sul fianco. Il più anziano avrà avuto 20/22 anni e sono tuT molto, molto nervosi. Mi sono spaventata perché la signora dietro di me non trovava il passaporto e ci supplicava di aspe@arla.

Ti sen< addosso una pressione for<ssima, anche se in fondo per noi non c’è realmente nulla da temere. Il tuo pensiero corre all’indietro a cercare di capire se hai fa@o qualcosa che non dovevi fare. Grazie alle visite di oggi siamo riusci< a immedesimarci nella reale situazione delle popolazioni che convivono all'interno di questa terra martoriata. I beduini che convivono con il terrore costante della distruzione dei loro villaggi da parte dell'esercito e i pales<nesi che non sanno se potranno tornare alle loro case a causa del muro. Ció che possiamo fare è a@uare ció che il capo della comunità beduina ci ha pregato di fare: quando torneremo a casa non dovremo dimen<care quello che abbiamo visto e capito, ma impegnarci per condividerlo e per sensibilizzare le persone intorno a noi.


31 o=obre 2012 Visita della scuola La Salle Visita di Gerusalemme con gli studenH ed i giovani della ci=à santa

Giorno 5 I confini invisibili di Gerusalemme

Il nostro viaggio è cominciato incontrando il contesto familiare e privato del popolo pales<nese. Oggi, ormai vicini alla fine di questo nostro percorso, abbiamo avuto l’occasione di vivere in prima persona le contraddizioni presen< ed eviden< all’interno della capitale delle tre religioni monoteiste: Gerusalemme. Si è tra@ato di una visita singolare e non certo turis<ca. Una vera fortuna. La fortuna di essere guida< da nostri coetanei che abitano a Gerusalemme est, ci@à pales<nese so@o giurisdizione giordana sino al 1967 quando è stata occupata militarmente dall’esercito israeliano. Ci è parsa subito palese la “gheTzzazione” del popolo pales<nese all’interno della ci@à. Massiccia la presenza di telecamere ad ogni angolo, numerosi i bambini israeliani scorta< da forze armate nel tragi@o casa-­‐scuola. Ciononostante le vie da noi percorse erano cara@erizzate da mol< colori, odori e sapori, che ci perme@evano di vedere la forza di un popolo an<co e ricco di tradizioni. C o m e f a c c i a m o a conoscere al meglio un popolo? Da ciò che vende e da ciò che compra. Il mercato a ra b o è s i n t e s i d i queste informazioni, u n a m o l < t u d i n e d i s e n s a z i o n i c h e risvegliano i nostri is<n< più sopi<, ricordandoci radici ormai perdute. Il popolo pales<nese difende disperatamente le proprie tradizioni dall’opprimente peso dell’occupazione. Un patrimonio di conoscenze e


vissu< espresso da mol<ssime e differen< esperienze umane che pur essendo differen< non sono necessariamente nemiche ma possono convivere. Specialmente le nostre guide ci hanno spiegato come esprimere –in m a n i e r a s p e s s o diversa-­‐ la propria iden<tà (ci<amo ad esempio il fa@o che una d i e s s e p o r t a v a i l chador, mentre l’altra a v e v a u n ’ i m p r o n t a decisamente più vicina al modello occidentale) p u r r i m a n e n d o f a v o r e v o l i a d u n a convivenza pacifica, se basata sul reciproco rispe@o. Un sogno che però ha il passaporto sbagliato. Dopo aver vissuto tu@o questo, dopo aver condiviso i nostri desideri e le nostre vite con queste persone, come possiamo perme@erci di rimanere indifferen< oltrepassando anche noi il Muro, un Muro dietro il quale sappiamo esistere tali sofferenze? Lo stesso muro che divide Betania da Rass l’Amoud, entrambi paesi pales<nesi alla pendici del monte degli ulivi. Muro al<ssimo. Impressionante. Ed è davan< a questo muro che è stata sca@ata la nostra prima foto di gruppo. Un impegno ad abba@erli, i muri.

Una passeggiata a Gerusalemme: specchio di una pace impossibile? Gerusalemme è una ci@à magica. Stupenda. Osservata al tramonto dal Geztmenani, percorsa nei suoi vicoli anima<, vissuta nei suoi luoghi di culto che in pochi passi racchiudono il nucleo stesso delle tre religioni monoteiste. E diversissimi sono gli approcci con cui ci si può avvicinare a Gerusalemme: quello del credente, dello storico dell’arte, dell’uomo di


cultura, del turista, del curioso. Cambiando gli occhi e gli sguardi cambiano anche le narrazioni, le percezioni, le storie, le cause dei confliT ed il senso degli stessi. Come scaT fotografici. Immagini di una ci@à. Sca=o 1. Intersezioni e traffici Cammini per Gerusalemme vecchia è qualunque quar<ere tu percorra incroci persone diversissime tra di loro che si intersecano sulle stesse pietre. Ragazze velate e ragazzi ebrei ortodossi. Sacerdo< e religiosi di ogni sorta e forma di cris<anesimo. Ortodossi, cop<, armeni, ca@olici. E poi ebrei e musulmani. Vivono uno accanto all’altro. Frequentano la stessa ci@à che, seppure divisa in quar<eri, parrebbe un gigantesco e stupendo inno alla convivenza interculturale. Allegra, colorata, piena di voci. A anche mis<ca, silenziosa e pensosa. Come una preghiera ed una meditazione. Sca=o 2. Telecamere invisibili e militari visibilissimi Passeggiando nelle stre@e stradine della ci@à vecchia, lungo la via Dolorosa come scendendo verso il Muro del pianto difficilmente si alzano gli occhi verso il cielo: la vita avviene al livello inferiore, quello dei negozi, dei forni, dei venditori di fru@a, di dolci o di souvenir. Così raramente il visitatore osserva le decine di telecamere che controllano ogni movimento dei vicoli. Molto più visibili, invece, i militari che a due a due, con mitra a tracolla, percorrono i vicoli. Così come le guardie che controllano gli ingressi al Muro del pianto o che regolano (o rallentano?) la lunghissima fila di persone che cercano di salire alla spianata delle moschee. Visibilissimi poi i civili arma< che scortano i bambini israeliani a scuola percorrendo i vicoli su cui si rincorrono i bambini arabi, anche essi direT a scuola. Un’altra scuola, ovviamente.


Sca=o 3. Bambini che giocano Dal muro del pianto salgo lungo la strada ordinata e linda che si inerpica nel quar<ere ebraico. In uno spiazzo a cui si gode una stupenda vista sul muro una decina di ragazzini giocano rincorrendosi gioiosi ed allegri. Sulla soglia del piccolo portone di accesso alla scuola un bidello speciale osserva il gioco dei bimbi. Speciale: decisamente armato, con pistola alla cintola. Chi vincerà in futuro: la pistola o i bambini che giocano? Sca=o 4. Confini invisibili e invalicabili La ci@à, appena si scende so@o la superficie, manifesta una miriade di confini invisibili ma egualmente invalicabili. Quasi come il santo sepolcro dove ogni confessione cris<ana cura il proprio piccolo or<cello, la propria cripta, il proprio altare, il proprio pavimento. Impressionante, ad esempio, osservare con a@enzione le losanghe e le pietre dei pavimen<. Al Santo Sepolcro spesso segnano i confini: davan< alla chiesa la<na – ca@olica il marmo bianco e nero disegna con la massima precisione (ed il minimo gusto este<co) il perimetro dei quella chiesa differenziandolo dalla spazio delle altre. Fuori il selciato dei vicoli racconta la storia di pietre sconnesse e gigantesche che cos<tuivano il lastricato del tempo di Roma e che sono sta< rimossi dopo il 1967 dagli israeliani con la scusa di rifare la pavimentazione modernizzandola. Generando così uno scontro di narrazioni e di vissu<. Perché – insegna Gerusalemme – lo spazio, l’archeologia, la storia sono gli ingredien< primari di narrazioni differen< che spesso portano alla sopraffazione e alla violenza.


Sca=o 5. Confini visibilissimi e ugualmente invalicabili Ci sono poi confini visibilissimi. L’insediamento israeliano in piena via Dolorosa, con tanto di bandiere al vento e militari sul te@o, visibilissimi dal roof dell’ospedale austriaco, è una sorta di pungo nell’occhio. Siamo qui, dice. Abbiamo marcato questo spazio. E lo stesso accade nelle diverse casa occupate dai “coloni urbani” che realizzano insediamen< piccoli ma non per questo meno significa<vi. Come l’insediamento che si staglia con una bandiera al<ssima accanto al monastero benedeTno sul monte degli Ulivi. E visibilissimo è il muro, al<ssimo, che separa Rass l’Amoud da Betania. Siamo in territorio pales<nese, sulle pendici di Gerusalemme. Un muro che in questo caso separa pales<nesi da pales<nesi contraddicendo così la teoria secondo cui il muro serve per garan<re la sicurezza di Israele. Sca=o 6. La Salle Hight School Giro per i corridoi della scuola dei fratelli de La Salle. Nella sala insegnan< docen< velate e no. Nelle classi ragazzi e ragazze arabi sia cris<ani che musulmani. Clima sereno, corridoi lindi che invitano al silenzio ed alla concentrazione. Nel teatro si è appena concluso un seminario sul futuro di Gerusalemme. Ci@à di 3 religioni (ebraica, cris<ana, islamica) e due ci@adinanze, quella israeliana e quella pales<nese. Ci@à che serba in sé il nucleo fondante di molte millenarie esperienze umane e che potrebbe essere anche la culla di pace per sé e per il mondo. In questa scuola sento Flavio LoT ricordare una proposta che ha la genialità delle cose semplici: spostare la sede dell’ONU da New York a Gerusalemme. Proposta assurda? Non credo. Del resto cosa c’è di più assurdo e paradossale della Gerusalemme di oggi, avviluppata nella spirale senza senso della ingius<zia?


1 novembre 2012 Visita a Hebron e At Twani

Giorno 6

Viaggio nel punto più basso Hebron e la moschea di Abramo della terra: Gerico e il Mar Morto Hebron è una grande ci@à collocata nel sud della West Bank, come gli inglesi chiamavano la Cisgiordania. La Cisgiordania fece parte del regno di Giordania sino al 1967 quando, in seguito alla guerra dei 7 giorni, fu militarmente occupata da Israele. La convenzione di Ginevra e tu@e le leggi ed i tra@a< internazionali da un lato vietano a chi occupa militarmente un territorio di spostare la popolazione e di costruire insediamen< e dall’altro obbligano la potenza occupante a garan<re uno status dignitoso di vita alla popolazione civile che vive nei territori occupa<. Nei giorni scorsi abbiamo più volte raccontato le vicende riferite agli insediamen< e degli avampos< costrui< dai coloni israeliani e proteT dal governo e dai militari. Ma si tra@a di insediamen< costrui< vicino, di fronte, a fianco di paesi o ci@à pales<nesi. A Hebron, invece, gli insediamen< sono sta< costrui< nel centro storico della ci@à. E per proteggerli alcuni vie centrali sono state dichiarate ad uso esclusivo dei coloni israeliani con il divieto per i pales<nesi di percorrerle. Le porte delle case che davano sulla strada ed i negozi aper< su queste vie di comunicazione sono sta< mura<. Così in pochi anni il centro storico di Hebron si è svuotato della popolazione pales<nese. Contro questa deriva è stato da alcuni anni avviato un proge@o, che riceve significa<vi aiu< internazionali (dal 2013 anche da parte della Cooperazione Italiana), per ricostruire le case abbandonate e favorire il ritorno degli abitan< pales<nesi che al 90% avevano abbandonato il centro ci@adino. Passeggiamo per la ci@à e no<amo le vie bloccate dai muri ereT difendere i coloni urbani. IL centro è stre@amente pa@ugliato da militari che in formazioni di tre camminano lungo le strade semi deserte come stessero facendo un rastrellamento. Sono molto arma< ed i giovani anche molto tesi. Stemperiamo la situazione chiedendo proprio a loro dove sia la moschea di Abramo.


E’ infaT proprio qui, ad Hebron, che sono sepol< i patriarchi. In primo luogo Abramo, padre comune degli ebrei e dei musulmani. La moschea ha subito più e più distruzioni e cambiamen<. Nata come chiesa è stata poi trasformata in moschea. Poi ancora in chiesa nel corso delle crociate e poi di nuovo in moschea. Le entrate sono due, una per gli islamici ed i turis< ed una per gli ebrei. Entriamo dopo esserci tol< le scarpe. Le donne si coprono con una lunga tunica. Non è una moschea par<colarmente ar<s<ca anche se è affascinante il mix tra chiesa cris<ana e logo di culto islamico. La moschea è divida in due e l’unico punto di conta@o tra le due par< è la tomba di Abramo cui guardano due finestre sul lato musulmano ed una finestra sul lato ebraico. Quest’ul<ma prote@a da un pesante vetro blindato dopo che nel 1994 alcuni coloni spararono sui fedeli facendo 34 mor< e 150 feri<. A pensarci, questo luogo di culto fa una tristezza enorme: due popoli divisi persino davan< alla tomba del padre comune. La religione mo<vazione/gius<ficazione per la divisione e violenza reciproca invece che spazio di incontro e di condivisione della stessa tensione verso la pace. Come assurdi e strazian< sono gli scuolabus ed i pun< di raccolta degli studen< che abbiamo incontrato prima delle o@o lungo la strada per Hebron. Solda< arma< e casema@e blindate alle fermate degli scuolabus israeliani. Una cao<ca confusione ai pun< di raccolta dei ragazzi pales<nesi. Due scuole. Due mondi. Due narrazioni. Persino un odio reciprocamente alimentato. E lo stesso padre, Abramo.


Quando anche andare a scuola è una forma di resistenza nonviolenta

Li osserviamo sciamare, allegri e scherzosi come tuT gli scolari, lungo le sconnesse stradine di At Twani. Le giovani ragazze dell'operazione Colomba con cui s<amo parlando ci salutano in tu@a fre@a e corrono via inseguendo i ragazzini. Non capiamo cosa s<a succedendo e così res<amo a guardare pieni di curiosità. Le ragazze raggruppano i bambini al centro del luogo in cui siamo e poi lentamente salgono assieme a loro verso la collina di fronte. La recinzione che cinge tu@a la collina di fronte a noi ha una apertura, ma senza un portone, in cui entrano i bimbi e le loro accompagnatrici. Da li' si entra in un insediamento israeliano che si frappone tra due borghi di At Twani. I bambini per andare a scuola e per tornare a casa devono a@raversare l'insediamento e le ragazze della operazione Colomba, corpo di pace della comunità Giovanni XXIII, li accompagnano, come sen<nelle di pace, per garan<re la loro sicurezza. I coloni infaT spesso molestano, disturbano, picchiano i bambini che sono costreT a passare per l'insediamento. At Twani è un villaggio che è diventato famoso perché, seguendo l'intuizione del suo leader, ha scelto di rispondere alla violenza della occupazione israeliana ed alle sue quo<diane angherie mediante la nonviolenza e la resistenza civile. Tu@o iniziò nel 1999 quando gli israeliani decisero che 13 villaggi delle colline a sud di Hebron dovevano essere sloggia< a ovest della route 60. Siamo nel sud della Cisgiordiania occupata dal 1967 da Israele. Le leggi e le convenzioni internazionali vietano nel modo più assoluto sia lo spostamento ed il violento allontanamento della popolazione dai propri villaggi e dalle proprie ci@à che la costruzione di insediamen<. Quella maTna del 1999 giganteschi camion dell'esercito israeliano caricarono a forza oltre 1500 persone scaricandole al di là della route 60. Pochi se ne accorsero, sia a livello internazionale che tra gli stessi pales<nesi. Ma la caparbietà dei nonviolen< di Twani, aiuta< in primo luogo da alcune associazioni israeliane, portò la vicenda in tribunale e poi avviò la ricostruzione delle case abba@ute, il ritorno degli abitan< allontana< con violenza, il ritorno delle pecore e dei greggi sui pascoli.


La vita quo<diana come forma di resistenza nonviolenta nei confron< della occupazione e delle angherie dei coloni che abitano gli insediamen<, supporta< dal governo e difesi da militari arma< sino ai den<. Angherie e violenze che hanno un che di sadico. Con che altro termine definire le violenze nei confron< dei bambini che vanno a scuola? La distruzione delle case e delle moschee. Il taglio degli ulivi. L'avvelenamento delle sorgen< d'acqua dove si abbeverano le pecore. Dalla cima delle collina si vede il lindo e modernissimo insediamento israeliano. Prote@o dal filo spinato e dai militari. Circondato da un bosco con alberi lussureggian< perché crescono su un terreno irrigato. Prima di tornare a Betlemme e scendere verso Gerico, dopo aver condiviso il pranzo con la comunità di Twani, mi fermo a leggere le molte targhe affisse sui muri di alcune case all'entrata del paese. Narrano degli aiu< economici ed umanitari forni< dalla Comunità Europea, da US AID, dalla cooperazione tedesca. Migliaia di euro di solidarietà che non riescono però a nascondere il fragore del silenzio di ques< stessi paesi nei confron< delle violazioni dei diriT umani. Un silenzio che rischia di farsi complicità.

Gerico ed il Buon Samaritano

Davvero una terra degli assurdi e dei paradossi la terra che tuT chiamano santa. E dove è nata, migliaia di anni fa, la prima ci@à della storia umana, Gerico. E dove è collocato anche il monte della tentazione di Cristo e il luogo verso cui si dirigeva il Samaritano della parabola di Gesù. Colui che si chinò sull’uomo ferito dai brigan< e lo soccorso mentre chi passò prima di lui <rò dri@o senza interessarsi della sua situazione e del suo bisogno di aiuto.


La parabola del Buon Samaritano Lc 10, 25-­‐37 29Ma quegli, ... si, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei brigan> che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 36Chi di ques> tre > sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei brigan>?». 37Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso». Grande metafora, quella del Samaritano, che aiuta a capire forse anche il mo<vo dei mille e mille cartelli delle cooperazione mondiali che marchiano il territorio. US AID qui, ECHO – cooperazione dell’Unione Europea là, cooperazione spagnola, tedesca, olandese, saudita, italiana, TuT che aiutano. E tacciono quando le realizzazioni costruite con gli aiu< vengono distru@e dai militari israeliani. Come i farisei del buon samaritani: pochi o tan< soldi come foglia di fico del proprio silenzio poli<co.

La prima ci=à della storia

Gerico è la più an<ca ci@à al mondo. Fondata nel 9000 a.c. Gerico è l’invenzione stessa di ci@à, ovvero di luogo in cui gli esseri umani convivono d assieme trovano le forme per rispondere ai bisogni comuni associandosi. I si< archeologici di Gerico sono tra i più ricchi dell’an<chità e tes<moniano il passaggio dalla pastorizia all’agricoltura avvenuto grazie alla presenza del Giordano, il fiume che qui trasforma il deserto in campi rigogliosi. La base della nostra civiltà è nata qui, ci ricorda il sindaco. Che ci riceve in uno stupendo giardino dove si sente gorgogliare l’acqua che scorre. E ci saluta, e saluta il Liceo Bertolucci e la ci@à di Parma con calore.


2 novembre 2012 Marcia per la pace nel deserto di Giuda

Giorno 7

l monastero ortodosso di San Giorgio è un piccolo gioiello incastonato in una valle de deserto che da Gerusalemme scende a Gerico. È da lì che ha preso avvio la marcia per la pace in Israele e Pales<na. Una lunga processione che si è snodata lungo la valle rocciosa e profondissima ai cui fianchi si aprono anche gro@e in cui i monaci si po ssono ri<rare in eremitaggio. I ragazzi più giovani, tra cui anche gli studen< del Bertolucci, hanno camminato alzando al cielo cartelli colora< con scri@a una parola. 21 parole, 21 valori. Tra ques<: Dialogo, pace, gius<zia, comunità, umiltà, speranza, libertà, partecipazione, accoglienza, solidarietà, nonviolenza, democrazia, rispe@o, tolleranza, uguaglianza, equità, diriT,... Osservarli snoda< lungo il fianco della brullissima montagna, camminare in silenzio verso Gerico, dà il senso di questo viaggio.Nel deserto dei valori in cui la società in cui viviamo è precipitata dobbiamo trovare il modo per ripar<re. Per questo abbiamo camminato verso il punto più basso della terra. Con<nuando la meditazione che avevamo realizzato la sera precedente nello stupendo giardino di fronte alla torre di el Sultan. Un momento di confronto a piccolissimi gruppi in cui ognuno di noi ha potuto narrare agli altri le proprie scelte ed i propri valori. La marcia si è conclusa nella pianura di Gerico con un'ul<ma corsa dei giovani con i cartelli e le parole alzate al cielo


La marcia si è conclusa nella pianura di Gerico con un'ul<ma corsa dei giovani con i cartelli e le parole alzate al cielo. Una chiusura allegra e piena della speranza dei giovani e della loro allegria contagiosa. Dopo aver visitato il mar Morto, luogo non accessibile ai pales<nesi della west Bank ci siamo incontra< a Gerusalemme per condividere le sensazioni, i vissu<, gli impegni futuri che ognuno si è assunto per comunicare e tes<moniare quanto in ques< giorni abbiamo visto, ascoltato, incontrato. Nel corso di questa assemblea in cui i partecipan< hanno condiviso le proprie sensazioni ed emozioni è intervenuta anche la prof.ssa Cacciani commossa ha sostenuto che in ques< giorni si è sen<ta "orgogliosa di essere insegnante e di aver accompagnato gli studen< in questo cammino di ascolto, apprendimento e discernimento". La festa finale, a Gerusalemme, res<tuisce la gioia del ritrovarsi, unità alla consapevolezza che ora viene la seconda parte del viaggio. Quella più difficile e complessa: abba@ere il muro del silenzio.


3 novembre 2012 Ritorno in Italia

Giorno 8

All’alba, dopo una lunghissima fase di controllo di sicurezza delle nostre valigie e dei nostri zaini, par<amo dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Lasciamo questa terrà stupenda e paradossale stanchi e cambia<. Stanchi perché il programma è stato intensissimo e ci ha permesso di incontrare realtà che in altre situazioni e contes< difficilmente avremmo avuto modo di vedere. Cambia< perché nessuno di noi, all’arrivo, si immaginava un percorso così significa<vo. Una sfida così forte per le nostre capacità ci comprendere, per il nostro impegno ad ascoltare, per la nostra volontà di cercare di cogliere la complessità del caleidoscopio israelo/pales<nese senza divenire preda delle facili semplificazioni. Ma anche senza rinunciare, come ci ha chiesto il vescovo ausiliare di Gerusalemme, mons. Shomali, a chiamare le cose con il loro nome. E poi intensissimo è stato per noi il rapporto con gli altri compagni di viaggio, 206 italiani rappresentan< di comuni, regioni, ci@à, provincie, is<tuzioni, sindaca<, organizzazioni di solidarietà, semplici ci@adini. Noi del Liceo Bertolucci eravamo, a nostra insaputa, molto a@esi dai nostri compagni: il coordinamento En< Locali per la pace ed i diriT umani – nel corso di una riunione organizza<va -­‐ aveva infaT annunciato a tuT la nostra presenza come un fa@o molto rilevante, come la partecipazione is<tuzionale del liceo che agiva anche grazie al mandato della Provincia di Parma. Così sin da primo giorno tuT ci chiamavano “la scuola”, e la Cacciani era diventata “la prof” e Tosolini “il preside”. Una accoglienza davvero inaspe@ata! E con connessi impegni di rappresentanza. Così la prof.ssa Cacciani e Maria Chiara Zaccardi sono sta< ricevu< a Tel Aviv dall’ambasciatore italiano ed in ogni luogo in cui c’era un momento formale di scambio di salu< e di presentazioni anche il Bertolucci veniva chiamato ad essere presente. Il momento più toccante è stato a Gerico dove il sindaco della ci@à ci ha volu< tuT al suo fianco per il saluto e per lo scambio di doni. La foto (di Roberto Brancolini ©) ci coglie proprio in questo aTmo.


Ma anche il vicepresidente della provincia di Perugia, in rappresentanza del Coord. En< Locali, ha voluto – venerdì sera -­‐ segnalare l’importanza della nostra presenza donandoci una ceramica con il simbolo della marcia. E una targa ci è stata donata da Alfredo Cucciniello, responsabile del dipar<mento Pace delle Acli, che assieme al vicepresidente dell'Unione spor<va Acli, Antonio Meola, ha guidato una delegazione di calciatori che hanno sfidato in due par<te di calcio a cinque sia una squadra pales<nesi che una squadra israeliana. Il tu@o ci ha profondamente colpito e si è aggiunto al calore delle relazioni e delle amicizie intessute in questa seTmana con mol< altri coetanei che si stupivano favorevolmente del fa@o che noi fossimo in Israele come scuola mentre mol< di loro domani dovranno presentare la gius<ficazione per la lunga assenza. A tuT abbiamo ricordato il mo<vo della nostra presenza, ed il fa@o che il nostro lavoro con<nua ed è finalizzato alla realizzazione di una mostra mul<mediale rivolta a tu@a la ci@adinanza ed alle scuole, di un convegno e di un prodo@o informa<vo trasferibile in altri contes< e situazioni. E già, ad esempio, Mario Galasso, simpa<cissimo ed umanissimo assessore provinciale di Rimini, ha prenotato il nostro lavoro e mol< al< si sono resi disponibili a donarci le loro storie. A Linate, ad aspe@arci, anche due genitori. E qui, davvero, il viaggio, e la prima parte del nostro proge@o, si è concluso. I vol< della prof.ssa Cacciani e del preside si sono finalmente distesi dopo le ben celate preoccupazioni dei giorni preceden<. Ma non possiamo concludere senza ringraziare l’assessore Marcella Saccani e la Provincia di Parma per averci aiuta< ad avviare il proge@o


ed il sito della Gazze@a di Parma che ha quo<dianamente pubblicato il nostro diario. Un modo ancora più forte per sen<rci non turis< ma invia< e rappresentan< della nostra provincia e delle nostre scuole nella martoriata, assurda, straziante e bellissima terra di Israele e Pales<na. Terra che dovrebbe essere di pace ma che di pace non è. Grazie a tuT Alberto, Aluisi, Maria Chiara, Pietro, Sara, Silvia


Cronologia sintetica del conflitto (a cura di Gilberto Gilber<)

1914 Inizio della prima guerra mondiale. L’impero o@omano, di cui la Pales<na ne è parte, si allea con la Germania e l’Austria-­‐Ungheria. 1916 Accordi segre< Sykes-­‐Picot tra la Francia e la Gran Bretagna per la spar<zione del Vicino Oriente. 1917 2 Novembre: lord Arthur James Balfour, ministro britannico degli Affari esteri, invia a lord Walter Rothschild, rappresentante degli ebrei britannici, una le@era che annuncia che il governo britannico “guarda con favore l’is<tuzione in Pales<na di un focolare nazionale per il popolo ebraico”. 1920 Maggio: sanguinose sommosse a Gerusalemme contro l’immigrazione ebraica. 1922 Luglio: la Società delle Nazioni affida il mandato sulla Pales<na alla Gran Bretagna. 1929 Agosto: nuove somme a Gerusalemme. Manifestazioni in tu@a la Pales<na. Pogrom a Hebron. 1936 Sciopero generale pales<nese tra aprile e o@obre. Inizia così la “grande rivolta pales<nese”, che durerà fino al 1939. 1937 7 Luglio: rapporto della commissione d’inchiesta Peel, che propone di dividere la Pales<na in due sta<, conservando però il controllo britannico 1939 17 Maggio: adozione del Libro bianco britannico, che prevede la creazione in Pales<na di uno stato unificato in cui gli ebrei e arabi dovrebbero spar<rsi il potere, la limitazione dell’immigrazione ebraica e dell’acquisto di terre da parte dei sionis<. Se@embre: inizio della seconda guerra mondiale.


1942 Maggio: l’organizzazione sionista mondiale ado@a il programma di Biltmore (che rivendica la creazione di uno stato ebraico su tu@a la Pales<na e la libertà di immigrazione). 1947 Febbraio: Londra decide di portare la ques<one pales<nese davan< le Nazioni Unite. 29 Novembre: l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ado@a, con la maggioranza dei due terzi, il piano di spar<zione della Pales<na con la risoluzione 181, che prevede uno stato ebraico, uno stato arabo e una zona “so@o regime internazionale par<colare” a@orno a Gerusalemme. 1948 Guerra civile in Pales<na tra i coloni sionis< e la popolazione araba che oTene l’appoggio di con<ngen< di armate arabe chiamate in soccorso. Con la guerra cen<naia di villaggi arabi sono distruT e la loro popolazione espulsa. Origine del problema dei profughi pales<nesi. 14 Maggio: i leaders sionis< proclamano la nascita dello stato di Israele. 11 Dicembre: le Nazioni Unite ado@ano la risoluzione 194 che stabilisce il ritorno dei profughi pales<nesi alle loro case e all’indennità per i danni subi<. 1949 11 Maggio: lo Stato di Israele è ammesso – so@o condizione – alle Nazioni Unite. 1950 Aprile: annessione della Cisgiordania da parte della Transgiordania. L’Egi@o assicura il suo controllo su Gaza. Israele ado@a la legge del ritorno, che concede d’ufficio la nazionalità a tuT gli immigra< ebrei. 1964 13-­‐17 Gennaio: primo ver<ce dei capi di stato arabi al Cairo. 29 Maggio: creazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Pales<na (Olp) a Gerusalemme. 1967 5-­‐10 Giugno: guerra dei sei giorni: Israele occupa il resto della Pales<na (Cisgiordania, Striscia di Gaza, Gerusalemme Est), il Sinai egiziano e il Golan siriano. A par<re dall’estate inizia la colonizzazione di ques< territori. 22 Novembre: il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ado@a la risoluzione 242, che fa del diri@o all’esistenza e alla sicurezza di Israele, ma anche del “ri<ro delle forze armate dai Territori occupa<”, le condizioni per una pace duratura. La sua filosofia è stata riassunta nella formula: “La pace in cambio dei territori”. 1970 Se@embre: gli scontri tra l’esercito giordano e l’Olp sfociano nell’annientamento di quest’ul<ma. Nel 1971 è espulsa dalla Giordania. La dirigenza della resistenza pales<nese si insedia in Libano. 1972 5-­‐6 Se@embre: assassinio si 11 atle< israeliani ai Giochi olimpici di Monaco da parte di un commando dell’organizzazione pales<nese “Se@embre nero”.


1973 6 O@obre: offensive delle truppe egiziane e siriane per riconquistare i Territori occupa< da Israele. Inizio della Guerra di o@obre, de@a anche “guerra del Kippur” o “del Ramadan”. 1977 17 Maggio: la destra vince per la prima volta le elezioni in Israele,. Il suo dirigente, Menahem Begin, diventa primo ministro. 19-­‐21 Novembre: viaggio del presidente egiziano Anwar al-­‐Sadat a Gerusalemme. 1978 14 Marzo: Israele invade il Libano del Sud. 17 Se@embre: firma degli accordi di Camp David tra l’Egi@o, Israele e gli Sta< Uni<. 1982 25 Aprile: fine dell’evacuazione del Sinai da parte di Israele. 6 Giugno: inizio dell’invasione israeliana del Libano e assedio di Beirut. 14-­‐18 Se@embre: assassinio del nuovo presidente del Libano, Beshir Gemayel, ele@o ma non ancora insediato. Ingresso delle truppe israeliane a Beirut: 800 mor< secondo la commissione d’inchiesta israeliana presieduta dal giudice Kahane, 1500 secondo l’Olp. 1987 Dicembre: inizio a Gaza, poi in Cisgiordania, della prima In<fada, o “rivolta delle pietre”. 1988 12-­‐15 Novembre: diciannovesima sessione del Consiglio nazionale pales<nese ad Algeri. L’Olp proclama lo stato di Pales<na, riconosce le risoluzioni 181 e 242 delle Nazioni Unite e riafferma la sua condanna del terrorismo. 1993 9-­‐10 Se@embre: Israele e l’Olp si riconoscono reciprocamente. 13 Se@embre: firma dell’Olp e del governo israeliano alla Casa Bianca, alla presenza di Yitzhak Rabin e di Yasser Arafat, della Dichiarazione dei principi sulle disposizioni temporanee di autonomia. 1994 14 O@obre: Yasser Arafat, Shimon Peres e Yatzhak Rabin ricevono insieme il premio Nobel per la pace. 26 O@obre: firma tra Israele e la Giordania di un tra@ato di pace. 1995 28 Se@embre: Yasser Arafat e Yitzhak Rabin firmano a Washington accordi sull’estensione dell’autonomia alla Cisgiordania, deT accordi di Oslo II. 4 Novembre: assassinio di Yitzhak Rabin da parte di uno studente israeliano di estrema destra. Gli subentra Shimon Peres. Novembre-­‐Dicembre: Israele termina la sua ri<rata dalle ci@à pales<nesi, salvo Hebron. 1996 24 Aprile: riunito per la prima volta in Pales<na, a Gaza, Il Consiglio nazionale pales<nese che elimina dalla sua cos<tuzione tuT gli ar<coli che me@ono in discussione il diri@o all’esistenza dello stato di Israele.


2000 Maggio: ri<rata precipitosa – era prevista per il 7 Lugliuo – dell’esercito israeliano dal Libano del Sud. 11-­‐24 Luglio: negozia< a Camp David tra Barak, Yasser Arafat e Clinton. 28 Se@embre: il capo del Likud, Ariel Sharon, si reca sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme. L’indomani, ci sono scontri, le prime viTme e l’inizio della seconda In<fada. 2001 21-­‐27 Gennaio: tra@a<ve di Taba tra israeliani e pales<nesi. 6 Febbraio: il candidato della destra, Ariel Sharon, è ele@o primo ministro di Israele con il 62,5 per cento di vo<. 17 Aprile: prima incursione israeliana in una zona so@o controllo pales<nese a Gaza. 1° Giugno: a@entato contro la discoteca Dolphinarium a Tel Aviv. Una ven<na di mor<: uno delle decine di a@acchi suicidi. 11 Se@embre: a@acchi terroris<ci contro New York e Washington. 2002 13 Marzo: il consiglio di sicurezza ado@a la risoluzione 1397, che menziona per la prima volta la prospeTva dei “due sta<: di Israele e della Pales<na, che vivono all’interno di fron<ere sicure e riconosciute”. Giugno: Israele decide la costruzione del Muro di Separazione. 6 Se@embre: Ariel Sharon annuncia che gli accordi di Oslo non hanno più valore, mentre l’esercito israeliano prosegue l’occupazione della maggior parte delle ci@à della Cisgiordania. 2003 28 Gennaio: Ariel Sharon vince le elezioni poli<che israeliane. Serio passo indietro del par<to laburista. 20 Marzo: inizio della guerra contro l’Iraq. 30 Aprile: pubblicazione della “Road Map”, elaborata da Sta< Uni<, Unione Sovie<ca, Nazioni Unite e Russia (il Quarte@o). 10 Se@embre: Ahmed Qurei (Abu Ala) sos<tuisce Mahmud Abbas (Abu Mazen) nel posto di primo ministro. 1° O@obre: il governo israeliano vota il prolungamento del “muro di sicurezza”. 12 O@obre: un accordo di pace de@agliato è ra<ficato ad ‘Amman tra alcuni rappresentan< pales<nesi ed israeliani del campo della pace. Sarà ufficialmente firmato il 1° Dicembre a Ginevra. 2004 6 Giugno: il governo israeliano decide una ri<rata a tappe dalla striscia di Gaza. 9 Luglio: la Corte Internazionale di Gius<zia definisce il Muro di separazione “illegale”. 11 Novembre: morte di Yasser Arafat. Gli succede Mahmud Abbas. 2005 27 Gennaio: il movimento di Hamas vince le elezioni parziali nella Striscia di Gaza.


12 Se@embre: le truppe israeliane completano la ri<rata da Gaza. 2006 26 Gennaio: Hamas vince le elezioni guadagnando la maggioranza assoluta dei seggi. Iniziano, così, gravi contras< e scontri sanguinosi con gli avversari di Fatah. 28 Giugno: offensiva terrestre ed aerea di Israele contro la Striscia di Gaza. 2007 14 Giugno: Hamas prende il controllo totale della Striscia di Gaza. 28 O@obre: Israele dichiara Gaza en<tà nemica e impone sanzioni economiche. 2008 Febbraio/Marzo: Offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza, non riesce a me@ere fine ai lanci di razzi contro Israele. 27 Dicembre: inizio dell’offensiva militare di Israele denominata Piombo fuso. 2009 Gennaio: con<nua l’offensiva israeliana. Il cessate il fuoco si ha il 17 Gennaio. Le tre seTmane di guerra provocano 1389 mor< e 5300 feri< tra i pales<nesi e 13 mor< tra gli israeliani. Nei mesi segui< vari organismi internazionali condanneranno il comportamento israeliano nel confli@o 2010 31 Maggio: Israele blocca la floTglia internazionale che vuole rompere il blocco di Gaza. Su di una nave turca muoiono 9 persone. 20 Giugno: so@o la pressione internazionale Israele rende meno rigido il blocco di Gaza. 2011 Marzo: manifestazioni a Gaza e in Cisgiordania per chiedere la fine dei contras< interpales<nesi. Se@embre: Mahmud Abbas chiede l’adesione piena della Pales<na all’ONU. Opposizione di Israele e Sta< Uni<. Dicembre: la Pales<na è ammessa a far parte a pieno <tolo nell’UNESCO. 2012 Aprile/Maggio: scioperi della fame da parte dei prigionieri pales<nesi nelle carceri israeliane 29 Novembre: le Nazioni Unite acce@ano che la Pales<na venga considerata “Stato Osservatore”.


Il programma Sabato 27 ottobre 2012 • Partenza dall’Italia. Arrivo all’aeroporto di Tel Aviv. Trasferimento a Betlemme.

• Incontro per l’illustrazione del programma. Parma -­‐ maggio 2013 • Incontro con il Console Generale d’Italia a Gerusalemme Domenica 28 ottobre 2012 I partecipanti saranno suddivisi in gruppi in modo da effettuare contemporaneamente diverse visite e incontri.


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