Breve storia di Pompei

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Pompei è adagiata su di un’antichissima colata lavica in forte pendio da nord a sud. Pur presentando il regolare reticolato delle città romane, costituito dall’incrocio ad angolo retto dei cardines con i decumani, la città mostra importanti tracce della sua origine pre-romana nella stessa struttura urbanistica, oltreché nel succedersi di differenti tecniche costruttive, con l’uso di diversi materiali da costruzione. L’antico abitato è all’interno della cerchia delle mura, nella quale si aprono sei porte. Quattro di queste (Porta Marina, Porta Vesuvio, Porta di Sarno e Porta Stabia) si trovano agli sbocchi delle due principali arterie della città, costituite dalla via della Marina con il suo proseguimento, la via dell’Abbondanza, e dalla via di Stabia o Stabiana, mentre le restanti due, la Porta di Ercolano e la Porta di Nocera, si aprono rispettivamente all’angolo Est e presso l’angolo Ovest della cerchia stessa. Gli archeologi hanno suddiviso Pompei in nove Regioni, delimitata dalle più importanti arterie stradali (via di Nola, via dell’Abbondanza, via di Stabia); ogni Regione si suddivide in insulae, analoghe agli attuali isolati, che talvolta corrispondono ad una sola abitazione o edificio pubblico, mentre in molti casi presentano più ingressi, ognuno dei quali è stato numerato. Pertanto, ogni fabbricato pompeiano è contrassegnato da due o tre numeri: quello della Regione, quello dell’insula e, se esiste, quello del vano d’ingresso. Il primo viene indicato in lettere romane, mentre gli altri due sono in cifre arabe.


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oma ed il suo impero non furono esenti da molteplici cataclismi di varia entità.

Tra questi, quelli più conosciuti e portati all’onore delle cronache, dagli antichi scritti e successivamente dalla quantità e qualità dei reperti archeologici ritrovati, è certamente il terremoto del 63 d.C. e l’eruzione del Vesuvio che, diciassette anni dopo e cioè nel 79 d.C., colpì tutta la Campania, distruggendo molti centri abitati del napoletano, tra cui Pompei ed Ercolano. La ricostruzione, nell’attuale Campania, delle località danneggiate dal sisma del 63 d.C. avvenne durante il regno di Nerone. Al nome dei suoi successori, ed in particolare a quello di Vespasiano e di Tito, sono legate la conquista di altre province e la dura repressione delle ribellioni che si verificarono in alcuni territori europei e di oltremare.Tra queste, quella della Giudea, la cui campagna si concluse crudelmente nel 70 d.C., portando alla integrale distruzione di Gerusalemme. Alla morte del padre nel 79,Tito diventò imperatore. Il suo principato fu funestato dalla violenta eruzione del Vesuvio che, preceduta da una serie di terremoti in varie regioni, seppellì sotto una spessa coltre di lapilli, cenere e fango splendidi centri come Pompei, Ercolano, Stabia, seminando terrore e morte; da una terribile epidemia che provocò oltre 30.000 vittime ed infine da un grave incendio a Roma. In tempi remoti fiorirono nell’Italia centrale e soprattutto nella zona circostante il Golfo di Napoli, fra la costa della Campania ed il Vesuvio, diversi nuclei abitati. Assunto da parte romana, a conclusione del proprio ciclo di conquista, il controllo dell’area, le città esistenti, ampliate e migliorate, conobbero un periodo di prosperità, che consentì la loro crescita economica e civile. Le ricchezze naturali dei luoghi, la presenza di porti importanti e la possibilità di sfruttamento economico delle ampie risorse esistenti consentirono lo sviluppo di attività artigianali, industriali, dei conseguenti commerci e quindi la nascita di nuovi villaggi ed unità abitative. Il litorale, naturalmente splendido, si popolò invece di ville lussuose appartenenti all'aristocrazia. Ai danni provocati da sovvolgimenti e guerre, che pur si verificarono, seguirono fasi


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di ricostruzione, di abbellimento e di riassetto urbano. Napoli fu ampliata e migliorata. Dappertutto sorsero i segni della civiltà romana, case, ville, acquedotti, mercati, teatri, terme e luoghi dedicati al culto delle più disparate deità.Anche lo sviluppo dei centri minori risentì delle importanti risorse assegnate. Il porto di Miseno divenne il più importante del Tirreno, altre località del Golfo assunsero una nuova veste e tra queste Nocera, Stabia, Oplontis, Ercolano e Pompei. L’antica “Nuceria” fu situata dai suoi fondatori nella piana a oriente del Vesuvio, Stabia nell'insenatura sud orientale del golfo di Napoli, all'inizio della penisola sorrentina, Oplontis sempre nel Golfo di Napoli dove oggi sorge Torre Annunziata. Ercolano, in posizione privilegiata per le bellezze naturali, su un pianoro vulcanico a strapiombo sul mare con buoni approdi. Pompei, posta in collina, alla foce del Sarno a pochi chilometri a sud del Vesuvio tra Ercolano e Stabia, prosperò nel periodo dell’imperatore Augusto. In quel periodo furono costruiti i portici del foro, una sala per il mercato del pesce e delle carni, un palazzo per ospitare i mercanti di lana, ampliato il teatro e predisposta una area per gli esercizi fisici. L’acquedotto e le conseguenti condutture di approvvigionamento, migliorarono sensibilmente lo stile di vita. Le case e le ville esistenti furono abbellite e si innalzarono anche nuove abitazioni.Aumentò anche la densità abitativa a scopi residenziali e …turistici, lo storico Strabone descrisse le coste di Napoli come un insieme talmente fitto di costruzioni da apparire come una sola grande ed unica città. Il 5 febbraio 63 un terremoto di notevole magnitudo colpì tutta la fascia costiera di Napoli, danneggiando gravemente la città stessa ed i centri vicini. Crolli e danneggiamenti si ebbero in tutta l’area dell’arco partenopeo. Napoli, Nocera, Pompei, Ercolano ed altre zone ne subirono le negative conseguenze. Vittime dei crolli…probabilmente tanti, ma le cronache che ne registrarono l’entità non sono giunte fino a noi. Nerone, all’epoca imperatore, dispose una ricognizione delle aree danneggiate per provvedere successivamente alla loro


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ricostruzione, soprattutto a “Neapolis”, uno dei soggiorni favoriti dell’imperatore stesso e dei patrizi. Allo scopo furono inviati alcuni procuratori per programmare gli interventi da attuare, anche al fine di evitare sperperi e abusi nella ricostruzione degli edifici pubblici, tra questi Tito Suedio Clemente. Si mossero le legioni, che all’epoca, oltre che costituire nerbo della forza imperiale in tempo di guerra, furono utilizzate anche in periodo di pace come corpo di polizia, struttura di protezione civile ed anche, se del caso, come manodopera per la costruzione delle grandi opere imperiali. Prese il mare anche qualche nave, si mossero i proprietari di ville e residenze che provvidero secondo le loro possibilità finanziarie mettendo a disposizione i loro mezzi ed i loro schiavi. Si associarono alle iniziative poste in essere commercianti e liberti. Ad Ercolano si provvide a riparare il teatro, la palestra, le terme suburbane, la piazza porticata ed il tempio di Cibele, divinità della natura e della fertilità, venerata come grande madre degli dei. A Pompei le devastazioni furono egualmente gravi, molti i lavori iniziati ma non ultimati come quelli interessanti il tempio di Venere e il Capitolium. Il tempio di Iside, dea egiziana della maternità e della fertilità, sembra fosse stato invece restaurato a spese di un ricco privato.Tutta l'area del Foro, gravemente sinistrata, fu interessata da vasti interventi di ristrutturazione, nonché alla posa in opera di nuovi importanti complessi. Oltre alla costruzione del tempio dei Lari Pubblici e quello del Genio di Vespasiano, si diede avvio alla realizzazione del grandioso complesso delle Terme Centrali. Questo intervento, sebbene non ultimato, interessò una vasta superficie a nord-est della città, testimoniando un evidente interesse a fornire anche nelle zone urbane considerate periferiche, strutture normalmente riservate alle città di maggior prestigio. La prosperità e la ricchezza delle città colpite dal sisma consentì di registrare un’alta capacità di ripresa ed un più o meno adeguato sviluppo dei lavori di ricostruzione. In alcune località il progresso di queste attività non andò avanti troppo speditamente, mentre in altre, alle costruzioni già esistenti, se ne aggiunsero di nuove. Qualcuno nel corso dei lavori si macchiò di peculato o in alternativa…si arricchì indebitamente, e ciò a spese di altri meno fortunati ed


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impossibilitati ad intervenire nella gestione della cosa pubblica. Infatti, dopo la morte di Nerone e con il caos che subentrò, alcuni funzionari furono liberi di approfittare della gestione degli appalti e dei sussidi resi disponibili. Con la distruzione del catasto poi, certuni colsero l’occasione per avvantaggiarsene e per intestare a se stessi o a persone di comodo case e terreni municipali aggiungendo alle stesse .. visto che c’erano, anche alcune proprietà di presumibile appartenenza privata. A Pompei moltissimi furono i danni ed altrettante le famiglie agiate che emigrarono per dislocarsi con le loro attività, a Napoli, a Salerno e nei distretti considerati più tranquilli; affittarono quindi le proprie case a una popolazione meno abbiente che mutò parzialmente l'assetto socio-economico della città. Solo negli anni tra il 76 ed il 79 d.C., ritrovata la fiducia, la vita riprese il suo corso normale. Secondo molti autori, a seguito di questo evento tellurico, a Pompei nacque una nuova classe emergente formata da liberti e da un nuovo ceto imprenditoriale che, operò notevoli trasformazioni nel tessuto abitativo e nei costumi cittadini. Del cambiamento intervenuto costituirebbe tra l’altro testimonianza la gestione amministrativa della città: prima affidata ad importanti nomi della aristocrazia e poi al nuovo ceto sociale, abbastanza ricco, ma di minor spessore culturale. Le opere di riedificazione e ricostruzione di quanto distrutto dal sisma del 63 d.C. non andarono avanti dappertutto con la stessa speditezza, in particolare a Pompei, forse anche a causa di altri eventi che caratterizzarono gli anni successivi e che certamente assorbirono risorse umane e finanziarie. Secondo alcuni archeologi la riedificazione della città nel 79 d.C., dopo ben diciassette


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anni dal sisma, non era stata ancora ultimata. La conceria di Pompei che l’Unic ha contribuito a restaurare mostra segni di avere subito gravi danni dal terremoto del 63 d.C. Si notano ancora i segni della ricostruzione nelle colonne. Più probabile comunque che, completati gli interventi di maggior importanza per la sistemazione dei molti centri danneggiati altri, ritenuti di minore rilievo, fossero lasciati alla cura delle popolazioni ivi residenti. Le priorità peraltro si spostarono anche verso altre esigenze, nel 64 d.C. andò a fuoco Roma, volutamente o non volutamente incendiata da Nerone, e fu necessario ricostruirla sostanzialmente ex-novo edificando nell’occasione anche la Domus Aurea. Poi le legioni mossero verso i confini e verso i territori oltremare per contrastare le ribellioni o per assicurare all’impero nuovi territori. Nel periodo tra il 64 ed il 70 d.C. infatti furono numerose le campagne belliche in cui Roma si trovò impegnata, tra cui quella in Giudea per domarne la ribellione. Con la deposizione e la morte di Nerone, Roma, con le casse quasi vuote, si trovò anche ad affrontare la lotta per la successione al trono, che si protrasse a lungo provocando gravi danni economici e materiali fino all’avvento di Vespasiano, proclamato imperatore dalle legioni orientali nel 69 d.C.. Domata nel 70 la rivolta di alcune tribù germaniche e conclusa la guerra in Giudea una delle preoccupazioni di Vespasiano fu proprio quella di arricchire le casse dello stato, dissanguate dalla folle politica di spesa di Nerone e dalle conseguenze della guerra civile, accentuando tramite provvedimenti fiscali la pressione tributaria sull’aristocrazia e sulle province. Certo è che, gli altri centri disastrati dal terremoto del 63, tra cui Napoli, Ercolano, Nocera, tutti gravemente danneggiati, furono riedificati nel periodo ricompreso tra il 63 ed il 79 d.C. , senza risentire di particolari problemi e ritornando sostanzialmente ai livelli di vita e di prosperità precedenti.A Pompei, come in altre località vicine, l’emigrazione dei ceti più abbienti certamente influì negativamente nell’opera di riassetto urbanistico come certamente, le minori disponibilità finanziarie dell’impero, influenzarono il completamento di alcune opere pubbliche, anche di rilevante interesse sociale. Di fatto quando l'eruzione del 79 d.C. segnò la sua definitiva fine, Pompei era


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ancora un cantiere. I danni che la città si predisponeva a riparare, vecchi o nuovi che fossero, ed i materiali ad essi destinati, come case, gioielli, denaro, esseri umani, animali, templi dedicati al culto e quant’altro rimasero anch’essi sotto il manto di ceneri e materiali vulcanici che seppellirono e preservarono per decine di secoli la città e parte delle sue ricchezze. Il 23 giugno del 79, Vespasiano, all'età di 70 anni moriva. Gli successe il figlio,Tito. Pochi mesi dopo, il regno del nuovo imperatore fu funestato da una grande calamità naturale, il cui ricordo ci è stato tramandato dalle lettere indirizzate a Tacito da Plinio il Giovane e dalla risonanza che hanno avuto e che hanno tutt’ora in tutto il mondo gli scavi archeologici effettuati nell’area di Pompei e di Ercolano. Nell’agosto del 79 d.C. le popolazioni dell’area vesuviana furono soggette ad una serie di avvenimenti catastrofici di rilevante entità. Dapprima una serie di scosse telluriche, anche se di modesta potenza, come evidenziato dalla lettera di Plinio il Giovane colpirono alcune località tra cui Miseno, porto naturale composto da due bacini: uno esterno, l’attuale porto di Miseno, e uno interno, oggi lago di Miseno, utilizzato per l’allestimento e l’armamento delle navi. Il porto fu utilizzato dai romani ed in precedenza dai greci, come base navale. A Miseno oltre a Plinio il Giovane si trovò anche Plinio il Vecchio nella sua qualità di comandante della flotta romana di stanza in Occidente. Il terremoto avvertito a Miseno colpì sicuramente in maniera più sostanziale le cittadine poste alle falde del Vesuvio e quelle ubicate nel Golfo di Napoli.Tra queste certamente Pompei, Ercolano, Oplontis, Napoli, Stabia, l’area di Nocera e quella salernitana. Dal 20 agosto 79, per quattro giorni, gli abitanti delle città subirono nuove scosse sismiche. Se si verificarono danni ed in quale entità non se ne trova particolare traccia. Dove lo sciame sismico si manifestò con maggiore intensità e con maggiore durata come a Pompei, provocando tra l’altro il prosciugamento delle sorgenti, la popolazione spaventata abbandonò in parte le proprie abitazioni e fuggì in luoghi considerati più sicuri. Dove lo stesso fu soltanto avvertito, senza particolari conseguenze pratiche, gli abitanti non fecero particolarmente caso al movimento tellurico. Ben più gravi avvenimenti riguardarono l’area interessata nei giorni successivi.


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Gli stessi, sinteticamente, possono essere riepilogati nelle quattro fasi che li caratterizzarono: terremoto, eruzione vulcanica, nubi ardenti e tossiche, maremoto e sciami sismici.Alcuni di questi fenomeni si sovrapposero gli uni agli altri provocando danni ai beni materiali del circondario, oltre che generare grave disorientamento, vittime e terrore agli abitanti che ne subirono le nefaste conseguenze. Il 25 agosto, alle 9 del mattino circa, il vulcano, che gli antichi erano oramai avvezzi a considerare luogo amato e frequentato da Bacco per l’ottimo vino prodotto e fonte di vita e di benessere per le consistenti risorse agricole, si risvegliò improvvisamente. Dalla vetta squarciata dal fuoco delle esplosioni e dalla lava, una nuvola immane di lapilli, di cenere e di scorie, oscurò il sole e si riversò tutt'intorno con la furia demolitrice dei grandi cataclismi primordiali della terra. Intorno alle tredici una colonna di lapilli fu scagliata dal vulcano fino ad un'altezza di circa 20.000-30.000 metri e trasportata dai venti in alta quota e si propagò in direzione sud, sud-est. Ceneri vulcaniche e lapilli caddero dappertutto, coprendo tutta la zona del Vesuvio e le regioni vicine.Tra le città più danneggiate ovviamente quelle dell’area vesuviana tra cui Pompei, Ercolano, Stabia, Oplontis, Napoli, quelle dislocate nei pressi dell’attuale Caserta, nella vallata del Sarno, nella zona della costiera salernitana, e tutto il settore dell’agro nocerino. Tra le prime ore della fase eruttiva e quella della fase esplosiva successiva la popolazione, dislocata nei centri abitati alle falde del vulcano e quella residente in quelle mediamente più lontane, cercò di mettersi in fuga con tutti i mezzi a disposizione. In mare le barche tentarono di allontanarsi dalla costa, mentre Plinio il Vecchio solcando i flutti a bordo delle sue navi ci si avvicinò “..Egli si affretta verso i luoghi donde gli altri fuggivano..”. Sulle strade file interminabili di uomini e donne con le poche cose radunate volsero in fuga chi più fortunato con cavalli e carriaggi; i meno abbienti, non avendo mezzi di trasporto si mossero a piedi. A Pompei la gente terrorizzata assunse diversi atteggiamenti: molti corsero via portando con sé o nascondendo dove possibile le loro ricchezze, altri in attesa che terminasse la pioggia dei lapilli si rifugiarono all’interno delle loro


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abitazioni, nelle cantine e nei criptoportici seminterrati. Ad Ercolano la popolazione, composta da circa 4.000 abitanti, si mosse ed in partenza precipitosa si allontanò dai luoghi abitati. Lo stesso successe a Stabia, a Miseno, ad Oplontis e certamente in altre località. La caduta delle ceneri e dei lapilli, in enorme quantità, si riversò sulle case appesantendo oltre misura i tetti. Il conseguente crollo delle abitazioni sommerse, sotto tonnellate di materiali, uomini donne e bambini in cerca di riparo. In ogni caso, anche nelle ore successive e fino a tarda sera la gente si trovò in condizione di poter fuggire. La pioggia dei lapilli non risultò tale da uccidere e sul manto dei detriti vulcanici depositati fu peraltro possibile muoversi. La terribile pioggia di lapilli che si abbatté su tutta l’area interessata, a seguito delle ripetute esplosioni del Vesuvio, sommerse Pompei sotto una coltre di detriti vulcanici mediamente spessa due metri e mezzo raggiungendo secondo la conformazione del suolo anche dimensioni superiori.Ai crolli di case, templi ed edifici pubblici contribuirono, oltre il peso esuberante accumulatosi sui tetti, anche le numerose scosse di terremoto che si verificarono in terribile ed ininterrotta successione. A causa delle onde sismiche che si propagarono sui fondali marini, il mare cominciò a ritrarsi per poi generare gigantesche ondate che si abbatterono sul litorale rendendo impossibile la navigazione ed il sopraggiungere di soccorsi. La notte tra il 25 ed il 26 passò tra una scossa di terremoto e l’altra ma con una sostanziale diradazione della pioggia dei lapilli, ma il peggio si verificò nelle prime ore del mattino. Nella giornata del 26 agosto, infatti, circa alle sei del mattino, la camera magmatica del vulcano collassò. Si aprì un’ampia fenditura nel fianco della montagna e da questa i materiali eruttati, creando una massa calda e turbinosa di roccia e ceneri, formarono le cosiddette nubi ardenti - miscugli incandescenti di gas e piroclasti - che, rotolando precipitosamente lungo i fianchi del vulcano distrussero inesorabilmente tutto ciò che incontrarono lungo il loro percorso. Il flusso piroclastico, portando con sé frammenti di roccia e pomice liquefatti, ad alta temperatura, raggiunse la città di Ercolano ad una velocità di oltre 100


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km/h, sommergendola. Chi fu raggiunto dalla fiumana incandescente sparì senza lasciare traccia alcuna. Chi si attardò ancora nella città nel tentativo di portare con sé le proprie cose fu sepolto senza speranza; infatti il materiale fluido si depositò poi lentamente nelle case, avvolgendo nel suo terribile abbraccio tutto ciò che trovò all’interno. Molta gente, in un ultimo tentativo di fuga, cercò di raggiungere il litorale nella speranza di poter prendere il mare, ma ne fu impedita; e ciò a causa dell’impossibilità di mettere in acqua le imbarcazioni per il maremoto. A loro restò quindi esclusa ogni possibilità di ulteriore fuga; chi tentò, ormai disperato e malgrado le probabilità contrarie, di distaccarsi dalla riva non ne uscì vivo. Nelle ore successive, accompagnati da movimenti tellurici, furono prodotti dal vulcano altri numerosi surges, le cui scorie fluide, depositandosi, seppellirono poi la città fino a raggiungere lo spessore di oltre dieci metri. Il materiale vulcanico raffreddandosi assunse quindi un aspetto fangoso, chiudendo le rovine della città in una morsa che risultò irraggiungibile per secoli. Le nubi ardenti, nella loro maggiore o minore intensità, non risparmiarono Pompei distruggendo ogni cosa si fosse salvata in precedenza e trascinando lungo il loro percorso, detriti, materiali e quant’altro incontrato.Anche in questo caso, le varie sostanze componenti depositandosi, seppellirono con strati successivi di varia altezza, le macerie delle case, dei negozi, degli edifici pubblici e dei luoghi di culto. Inoltre i gas venefici trasportati dai surges e liberati nell’aria fecero le loro vittime superando ogni eventuale possibile difesa di quanti rimasti ancora vivi. In alcune località ed in particolare a Pompei, essi stramazzando al suolo, furono prima ricoperti dalla pioggia di cenere finissima e impalpabile che aderì perfettamente al corpo e alle vesti e poi dai fluidi vulcanici. Con la consunzione del corpo se ne conservò all’interno la forma. Napoli ed il suo più immediato circondario, sebbene gravemente danneggiato, si salvò dalla nuvola tossica per effetto dei venti che, spirando a favore, ne trasportarono il carico letale verso il litorale di Stabia. Quarantotto ore dopo dall’inizio dell’eruzione, Pompei, Ercolano, Stabia, Leucopetra, Oplontis,


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Boscoreale nonché altri centri ubicati nell’Agro Nocerino Sarnese, di varia importanza abitativa, cessarono di esistere. Di Pompei, restarono in vista solo alcune parti degli edifici più alti e resistenti. In un raggio di diciotto chilometri la campagna risultò distrutta, il suolo ricoperto dai materiali vulcanici. Particelle di cenere si depositarono dappertutto raggiungendo anche località lontane e tra queste, l’Africa, la Siria, l’Egitto. Per alcuni giorni i vapori e le nubi di cenere oscurarono il cielo “… Tre giorni dopo la luce riapparve…” poi i venti dissolsero la nube ed il sole tornò a fare mostra di sé. Cominciarono quindi a giungere soccorsi. L’imperatore Tito, informato dei fatti, nominò una commissione i “Curatores Restituendae Campaniae”, che si recarono sul posto per analizzare la situazione e provvedere agli aiuti del caso. Di questo interesse dell’imperatore per le località danneggiate e delle procedure seguite da Tito per la nomina dei membri della “commissione di inchiesta”, si trovano alcune tracce nella “De vita Caesarum” di Svetonio: Si mossero le milizie, si mossero navi e procuratori, furono messe a disposizione risorse finanziarie. Le popolazioni sopravissute cominciarono lentamente a ritornare nei centri abitati per verificare i danni, soccorrere i feriti, recuperare i morti, celebrare funzioni funebri e religiose e tentare dove possibile di rientrare in possesso degli averi abbandonati.Ai soccorritori ed ai superstiti della catastrofe lo spettacolo che si presentò fu certamente impressionante, dappertutto cenere in parte trasformata in fango a causa delle piogge che seguirono, case crollate, templi distrutti, imbarcazioni inutilizzabili, le grandi ville, anch’esse segno del benessere della regione, cancellate ed in gran parte sommerse dai materiali vulcanici. Di alcune città tra cui Stabia, Ercolano e Pompei si trovarono solo poche tracce, scomparsi uomini, campi ed animali pressati sotto la coltre ormai consolidata e trasformata quasi in roccia. Ciò nonostante, a Pompei qualcuno cercò di raggiungere gli edifici sepolti, passando attraverso le zone rimaste ancora in vista ma l’azione non ebbe particolare successo. Ad Ercolano, gli strumenti ed i macchinari a disposizione non consentirono neppure di tentare. In queste città gli sforzi dell'imperatore Tito non ebbero perciò alcun esito.


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I “Curatores” abbandonarono conseguentemente ogni progetto di recupero delle località ormai irrimediabilmente perdute. L’efficienza dell’organizzazione militare e civile romana, malgrado altre sciagure che si verificarono quasi contemporaneamente consentì però di ripristinare in gran parte le zone del golfo sinistrate. Grazie al loro intervento i profughi furono messi in condizione di trasferirsi in altri territori meno danneggiati e resi nuovamente abitabili. Malgrado gli sforzi di Tito per ripristinare i luoghi sinistrati, tra cui anche le vie di comunicazione, tutta la regione fu soggetta ad un processo generale di degrado e di conseguente decadenza. La presenza umana nelle principali aree devastate dall'eruzione del Vesuvio rimase per lungo tempo marginale. Passarono decenni e solo ai tempi dell'imperatore Adriano nel 120-121 d.C., fu possibile ripristinare integralmente l'assetto viario della regione. Passarono i decenni ed i secoli, la penisola italiana fu percorsa in lungo ed in largo da eserciti di varia natura e nazionalità. Anche la Campania fu soggetta alle distruzioni ed agli sconvolgimenti che accompagnarono le guerre, le interminabili lotte di potere, le epidemie, nonché gli altri malanni e vicissitudini che ne caratterizzarono la storia successiva. Imperatori, Re, principi, duchi, conti e baroni si alternarono nel governo delle varie popolazioni.Tracce dell’antica catastrofe rimasero solo nelle letture classiche dei più eruditi e nei resti, per quanto visibili, di alcune residenze, ancorché spogliate dei loro materiali più ricchi, considerati utili per abbellire le dimore dei più abbienti o come materiali di recupero per la costruzione di fortificazioni, nuovi edifici e case di campagna. Alle rovine delle città romane del Golfo di Napoli, già di fatto scomparse all’epoca della grande eruzione del Vesuvio, si sostituirono le edificazioni di nuovi centri abitati che ne cancellarono in gran parte ricordi e vestigia. Di altre scomparvero i nomi latini sostituiti da quelli derivanti da un lessico più moderno. Le grandi ville caddero in disfacimento ed i loro ruderi rimasero…soli e vuoti ad ammirare le bellezze della rigogliosa natura circostante. Di Pompei ed Ercolano non se ne seppe quasi più nulla. Alcuni “tombaroli” cercarono di penetrare nella profondità della terra; scavando cunicoli riuscirono a carpire qualche moneta e qualche piccolo tesoro ritrovato


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ai livelli più vicini alla superficie. Poi anche loro….si stancarono, numerosa la concorrenza, troppo alto il rischio, eccessiva la fatica e soprattutto scarso il profitto! Pompei fu quasi totalmente dimenticata, e tale rimase fino al 1594 anno in cui, durante lavori di sterro per realizzare un canale per l’acqua, furono riportati alla luce ruderi ed oggetti antichi.Altri ritrovamenti si ebbero anche in altre località ma non si diede particolare importanza alla specifica scoperta. Nel 1708 nello scavare un pozzo nei pressi di Ercolano furono portati alla luce alcuni reperti di marmo. Le esplorazioni proseguite nel 1718, nello stesso punto consentirono il recupero di alcune statue ed oggetti vari. Nel 1738 Re Carlo di Borbone diede avvio agli scavi ufficiali nella zona di Ercolano e qualche anno dopo, nel 1748, furono aperti i cantieri a Pompei. Una équipe portò alla luce i primi reperti provenienti da alcune case, tra cui mosaici, statue anche di origine ellenica, affreschi, argenti, monete, gioielli, nonché molti resti umani. L'impatto che si ebbe nel mondo scientifico, culturale ed archeologico fu enorme, destando uno straordinario interesse anche per l’immenso valore storico della scoperta. Nel 1786 anche J.W. Goethe, trasferitosi provvisoriamente in Italia, attirato dalle bellezze di Napoli si recò sul Vesuvio e in alcuni siti archeologici descrivendo le proprie impressioni di visitatore nel suo libro “Viaggio in Italia”. Dall’avvio iniziale dei lavori e dalla prima metà del 1700 ad oggi, sono ormai passati circa…260 anni ed ancora nella zona vesuviana si continua a scavare. Il ritrovamento e l’apertura di altri siti archeologici e l’ampliamento delle ricerche in quelli preesistenti ha consentito di riportare alla luce città, ville, templi, documenti ed iscrizioni portando quindi ad una revisione se non ad una totale riscrittura di alcuni capitoli sulla storia di Roma e su quella dell’area interessata.Anche alcune teorie, relativamente recenti, su cause ed eventi correlati all’eruzione del Vesuvio, sono state in parte modificate a causa di nuovi ritrovamenti e dell’utilizzo di tecniche sempre più progredite e precedentemente sconosciute. Oggi, sofisticatissimi macchinari, sono in grado di consentire agli esperti l’analisi particolareggiata e stratigrafica del terreno, la più rapida individuazione delle zone su cui sviluppare l’opera di scavo e la datazione sicura dei reperti. L’insieme dei lavori e delle analisi specialistiche, che in così lungo periodo di


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tempo ha interessato il settore vesuviano, ha peraltro consentito di mettere in luce e di illustrare in tutti i suoi aspetti la vita e gli usi delle antiche città di Ercolano e di Pompei mettendo a disposizione anche del grosso pubblico le più importanti scoperte. I reperti archeologici, edifici, monumenti pubblici, case private, oggetti, suppellettili ci hanno rivelato un "ambiente", invece le iscrizioni dipinte sui muri, tra cui alcune a sfondo elettorale (*), hanno dato un’immagine sulla voce stessa di coloro che in questo ambiente vissero. In virtù di queste testimonianze Pompei é stata giustamente chiamata "la più vivente delle città morte”. Di Pompei e di Ercolano, anche attraverso le tecniche di restauro esistenti, si ritiene di conoscere ormai quasi tutto, abitudini, stili, commerci, abbigliamento e, per alcuni dei suoi abitanti, anche gli ultimi istanti che ne conclusero la vita; e ciò nell’immagine scomposta e spasmodica dell’agonia documentata dai calchi in gesso dei loro corpi.


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“Flagellazione dell’inizianda e danza della neo-iniziata.” Villa dei Misteri

LINEAPELLE (GRUPPO UNIC) Via Brisa, 3 - 20123 Milano - Tel. 02/880771.1 Fax 02/72000120 - lineapelle@unic.it - www.lineapelle-fair.it

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