Anno 2014 || Link n°1

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OFFICINA DELLE IDEE Napoli tra Europa e Mediterraneo: intervengono G. Napolitano e A. Cozzolino

SPECIALE La Riforma del Titolo V e l’intesa Renzi-Berlusconi

CULTURA E RICERCA

ANNO II | NUMERO 1 | € 5,00

L’Accademia di Belle Arti di Napoli Città della Scienza un anno dopo

Oltre l’Europa dei banchieri e quella dei populismi Basta austerità ad ogni costo


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EDITORIALE

di Samuele Ciambriello

Papa Francesco: un anno di pontificato intenso e profondo Quel “buonasera” del 13 marzo 2013 ha conquistato il cuore, l’ammirazione e la simpatia dei fedeli di tutto il mondo. E già la sua presentazione con una comunicazione non verbale fu sorprendente ed efficace: niente mitra trapunta d’oro e gemme, niente mozzetta purpurea orlata di ermellino, niente scarpe e copricapo rossi, appositamente confezionati, niente trono e tiara. Il Vescovo di Roma, amico della gente, un prete della porta accanto, semplice, comune, una persona normale. Un Papa che invita alla comprensione per chi sperimenta “il fallimento del proprio amore. Il Papa che arriva a Lampedusa e chiede “perdono per la nostra indifferenza.” A Cagliari parlando a braccio offre solidarietà a coloro che vivono la disperazione per aver perso il lavoro. Che spiega, con la testimonianza, in un anno la scelta di chiamarsi come il Santo di Assisi, che sintetizza così il suo mandato pastorale: “vorrei una Chiesa povera per i poveri.” In questo anno non ha perso l’abitudine di dialogare da pari a pari con quello che una volta si sarebbe chiamato il mondo e lo fa con due belle interviste a Eugenio Scalfari e Ferruccio De Bortoli. Un papa che telefona ogni tanto a chi gli chiede aiuto, perchè per lui è una buona abitudine, un servizio, lo sente dentro, un valore quello dell’ascolto. Siamo ammirati e diciamo la verità, guardiamo con affetto, stima e riconoscenza profonda a un Papa che sta cambiando il cuore di molta gente. E’ così efficace nel parlare, senza mai dimenticare,

accanto alle riflessioni più spirituali e patorali, le problematiche e gli interrogativi del mondo. Le “tante guerre dimenticate” o la vicinanza della guerra in Siria, i tragici eventi naturali, i drammi del lavoro e le diseguaglianze economiche, gli scandali finanziari e quelli della pedofilia, la conversione della Curia romana. Per tutti un impegno concreto con chiarezza e coraggio, una preghiera, una giornata di riflessione e di lotta contemplativa. Dopo la pubblicazione della sua “Evangelii Gaudium” sui giornali americani è stato accusato di essere marxista, e lui pacatamente ha risposto: “non ho mai condiviso l’ideologia marxista, perchè non è vera, ma ho conosciuto tante brave persone che professavano il marxismo.” Insomma un anno pieno di tante novità, di tanti segni, di innovazione profonda nell’annuncio del Vangelo. Il Papa dei gesti semplici ed evangelici, il pastore con l’odore delle pecore. Papa Francesco fa appello ad una dimensione spirituale più intima Il Vescovo di Roma che si trova di fronte ad una sfida particolarmente complessa ed affascinante. Un Pastore che apre e promuove il ruolo della donna nella Chiesa: “la Chiesa ha l’articolo femminile, -la-, è femminile dalle origini.La Vergine Maria è più importante di vescovi ed apostoli.L’approfondimento teologale è in corso.” Accanto a parole di misericordia e gesti di tenerezza semina, quotidianamente, pillole evangeliche autorevoli e piene di speranza: “non siate mai uomini e donne tristi, un cristiano non può mai esserlo.” ‘A Maronna t’accumpagna fratello Francesco!

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lettere ed opinioni Sui finanziamenti ai Partiti Seguo negli ultimi giorni gli articoli di Maria Teresa Meli SUL CORSERA sullo stato dei conti del Partito Democratico. Scoprire alcune operazioni “border-line”, come quella di aver assunto come quadri alcuni parlamentari mi ha lasciato stupito. È un affronto vero e proprio per chi, come me ed il mio direttivo, giorno per giorno nei circoli di base del PD tira la cinghia per tenere aperta la sezione, spende gratuitamente ore del suo tempo per “fare politica”, parla con la gente raccogliendone la stanchezza per questa politica ed i suoi costi. Basta con questa retorica del gazebo! I gazebo per chi vuole ci sono, ma se li deve comprare di tasca propria. Scoprire che a Roma ci sono uomini di partito che hanno rimborsata qualsiasi spesa facciano, ricevano stipendi da benestanti, hanno reti di sicurezza venendo candidati alle elezioni, trovarseli paracadutati nel territorio, come è successo a noi nella circoscrizione CAMPANIA 2: sono altrettanti scandali. Difficilmente circoli e federazioni provinciali ricevono il finanziamento pubblico che rimane, come si vede dai bilanci del PD, per le spese nazionali e regionali. Spesso mi meraviglia la forza con cui tanti noi riescono a tenere aperte le sezioni. Me ne chiedo la ragione e me ne do una risposta. Il fatto è che il PD è oggi l’unico partito degno di questo nome in circolazione. Quindi ben venga che il Corriere ci faccia le pulci, anche se siamo l’unico partito col bilancio certificato. Ben venga però un giornalismo che sia equilibrato perché il distacco tra base e vertici dei partiti è un fenomeno generale e non solo dei Democratici. Allora mi si permetta una critica all’inchiesta della Meli: come vengono spesi i soldi della Lega? come vengono spesi quelli di Forza Italia? Come vengono spesi quelli di SEL? come vengono spesi quelli di Scelta Civica? Come li spendono i grillini? Dove sono i bilanci dei gruppi parlamentari? Il mio circolo ha deciso di destinare parte dei soldi delle primarie, i famosi 2 euro, ad iniziative umanitarie in Africa. È un poco come l’obolo delle vedova della parabola evangelica! Sapete perché?! Perché noi ai nostri elettori dobbiamo dar conto ogni giorno. Questa scelta ci è costata fatica perché faremo ulteriori sacrifici per “fare politica”, ma siamo decisi e convinti della scelta fatta perché potremo guardare a testa alta i nostri concittadini. Ben venga allora la proposta di Enrico Letta del sistema di finanziamento attraverso il 2xmille. Tuttavia, a questo punto sarebbe un gran gesto verso gli italiani che tirano la cinghia che Renzi, il nostro segretario e neo Presidente del Consiglio, rinunci da subito al finanziamento e proponga di emendare il decreto legge del governo in tal senso. Diego Ruggiero

Contributi e retribuzioni: debiti e reati per i piccoli imprenditori Caro Direttore, un piccolo imprenditore spesso si trova a decidere il 16 di ogni mese se pagare l’F24 dei contributi dei dipendenti oppure le loro retribuzioni. Spesso opta per pagare le retribuzioni. Poi arriva Equitalia. La cosa peggiore però è un’altra: nella contribuzione che viene versata con il DM10 all’INPS c’è una parte a carico dell’imprenditore ed un’altra che viene trattenuta a carico del dipendente. Il mancato versamento della parte a carico del dipendente è trattato come un illecito di natura amministrativa, invece il mancato versamento della ritenuta a carico dell’imprenditore viene sanzionata con la reclusione fino a tre anni ed una multa di 1000 euro. Spesso il tutto si risolve in una multa ragguagliata ad una pena minima di reclusione. Il piccolo imprenditore però si tro-

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lettere ed opinioni verà su groppone, oltre al debito con Equitalia, anche un bel reato. Mi chiedo: il governo può ristabilire una parità di trattamento, depenalizzando questo reato?! Prima del cuneo fiscale, si potrebbe iniziare da queste piccole cose. Chissà se il job act affronta la cosa?! PD Airola

Il declino della scuola pubblica Quante volte in questi giorni abbiamo sentito parlare di atti vandalici e di bullismo all’interno di scuole pubbliche, notizie che hanno recato malcontento e scalpore tra il popolo italiano. Io vi voglio raccontare una storia, la storia del declino della scuola pubblica. Ogni anno che passa, la scuola pubblica subisce danni nel valore etico ed in quello morale. L’importanza dell’educazione, della cultura e del rispetto non viene recepita in maniera corretta dai giovani della nuova generazione e la scuola potrebbe intervenire attivamente in questa problematica. Se alla scuola si desse più credibilità, molto probabilmente non sentiremmo le tante notizie spiacevoli di cui, ogni giorno, parlano i giornali. Quante volte sui media e, particolarmente, in televisione si è sentito parlare di atti di bullismo, che ormai è divenuto una delle piaghe della società moderna; se alla scuola fosse dato il giusto peso da parte dello Stato, si potrebbero bloccare questi eventi così spiacevoli, anche organizzando campagne contro il bullismo, in modo da prevenire questo fenomeno in espansione. Un ulteriore esempio del degrado della scuola pubblica, sono gli atti di vandalismo compiuti all’interno di molti istituti. Molte scuole, soprattutto nell’ultimo periodo, sono state vittime di atti vandalici; questi atti non sono altro che esempi di pura ignoranza, che non fanno altro che distruggere il nome della scuola. Inoltre, le persone che compiono questi atti, non solo distruggono le funzioni della scuola, ma danneggiano la formazione della gioventù odierna. Lo Stato dovrebbe interessarsi attivamente a queste problematiche, che tanto affliggono i nostri tempi, per migliorare la situazione sociale che degrada di giorno in giorno. Eleonora Mainardi - III ^ H – S.M.S. “A. Mozzillo” - Afragola

Il grande progetto Sarno Gentile Direttore, le scrivo della costa di Torre Annunziata. Ho spesso legato la mia vita alle attività di militanza di partito e, nonostante le trasformazioni di sigle e simboli avvenute nel panorama parlamentare, continuo ancora a dare il mio appoggio al Partito Democratico. Come lei sa, il mio territorio è interessato da una trasformazione urbana ed ambientale legata al Grande Progetto Sarno. Nella zona periferica della città si vuole costruire una seconda foce che, nei casi di eccessive piogge, servirà, insieme con altre modifiche lunghe il percorso del fiume, a scongiurare catastrofi come quelle di Sarno. Rispetto a questo progetto che ha un forte impatto ambientale, ci sono altri progetti che salvaguardano il territorio da un’inutile cementificazione. Se a questo si aggiunge che nella seconda foce arriveranno le stesse acque che adesso scorrono nella prima, si capisce la rabbia e lo sconforto dei miei concittadini che per anni sono stati illusi dalla ripresa industriale e dal rilancio turistico della frazione di Rovigliano. La cosa che però più mi desta sconcerto è la posizione timida, per usare un eufemismo, del mio partito. Prima disinteressato a questa grande opera invasiva, eccetto che per la posizione da sempre contraria di Faro del Sarno del compagno Persico, per poi cam-

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lettere ed opinioni biare idea e dire qualche sporadico no, come quello dei consiglieri regionali. I circoli locali invece completamente assenti sulla questione perché presi da altro, come se il Grande Progetto non fosse importante. Confido nelle forze sane che militano nel PD torrese, a quelli che vedono la politica come lo strumento per migliorare le condizioni di vita dei propri concittadini, a quelli che vedono le occasioni di confronto come strumento di crescita personale e collettiva, perché non si può essere supini o addirittura passivi dinanzi ad un argomento del genere, se il PD rappresenta in città ancora una possibilità di progresso e sviluppo che batta un colpo. L’assordante silenzio sarebbe l’ennesima prova che più che un partito ci troveremmo dinanzi ad una semplice cordata elettorale. La ringrazio per l’attenzione. Nunziante Maresca

L’anacronistica carta stampata? Caro direttore ho letto tutti i numeri di Link tranne il numero 1 e posso dire, che è veramente un bel trimestrale, scritto bene e ben organizzato, peccato che oggi leggere la carta stampata per le persone e un po’ anacronistico, preferiscono il web, internet, televisione ecc., ma questo comunque non può e non deve fermare, l'intento culturale e sociale di una rivista e io aggiungo il piacere di leggerla. Raffaele Romano

Gtggtgt tggtgtggt tgtggtgt È una goccia nel mare. Un raggio di luce in un contesto in cui i bambini, quelli figli del disagio sociale, dell’arretratezza culturale, del bisogno economico, patiscono più degli adulti e rischiano di crescere senza alcun futuro. È nata da poco l’associazione “La lampada di Scampia”, tenuta in vita dalla passione e dalla determinazione di due donne di questa terra, Maria Rosaria Marino (che ne è anche presidente) e Luisa Palumbo ( che ne è vicepresidente). Si occupano, in un avamposto di dignità e desiderio di riscatto proprio nel cuore di Scampia, di accompagnare con mano nel percorso scolastico, una decina di bambini tra i 6 e i 13 anni, che in famiglia hanno enormi difficoltà. Principalmente perché soffrono di patologie, come la dislessia, non riconosciute dai genitori o sottovalutate, o ancor peggio tenute nascoste. Patologie che condizionano questi fanciulli nel loro apprendimento primario, nella possibilità di seguire il percorso scolastico con profitto, di non riuscire a camminare sulle loro gambe e di intraprendere il viaggio avventuroso della loro vita verso un destino diverso rispetto a quella a cui erano destinati. Un impegno gravoso, non supportato economicamente e tenuto in vita dalla volontà e dalla ferma determinazione di chi ha deciso di operare in un’area particolarmente svantaggiata, dove anche la diffidenza può uccidere. Uccidere i sogni, in particolare quelli dei più piccoli, vittime innocenti già prima di diventare adulti, se non sostenuti e aiutati da chi ne ha la possibilità, le competenze e la voglia. Il lavoro di associazioni come queste, molto attive in quell’area, in ogni caso sta facendo vedere i suoi frutti. È una goccia nel mare, si diceva all’inizio, ma è con gesti come questi che si può sognare un futuro migliore per Scampia e per i suoi giovanissimi figli. Luisa Palumbo

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OFFICINA DELLE IDEE Basta austerità a ogni costo Giorgio Napolitano

L’Unione Europea cambi passo Samuele Ciambriello

L’euro e le divergenze tra i mercati europei Massimo Lo Cicero

La nuova alba del sistema bancario europeo Elio Pariota

Elezioni europee - il ruolo della sinistra in Europa Massimo Adinolfi

Fondi strutturali e Fondo di coesione Gianluca Battaglia

Napoli tra Europa e Mediterraneo: il punto di vista di Andrea Cozzolino a cura di Raffaele Perrotta

Fondi europei, il Modello Avellino da sogno a incubo Marco Staglianò

I fondi europei servono se spesi bene Beatrice Crisci

QUI ED ORA Le ragioni della fine del governo Laura Puppato

Intervista a Francesco Nicodemo La territorialità può creare disastri a cura di Samuele Ciambriello

Intervista a Giancarlo Giordano (SEL) Come cambia le prospettive il governo Renzi a cura di Marco Staglianò

Renzi e l’ingresso nel PSE Nicola Oddati

Una nuova legge elettorale nata dall’intesa Renzi-Berlusconi Nicola Graziano

Intervista a Gianni Lettieri Basta assistenzialismo al Sud a cura di Marcello Curzio

Intervista a Domenico Zinzi Un segnale di speranza e riscossa per Caserta a cura di Beatrice Crisci

APPROFONDIMENTI Dove si parla e si scrive l’italiano istituzionale? Daniela Vellutino

La Comunicazione politica sui media e sul web Vincenzo Bernabei

La Comunicazione di strada Maria Bellone

Il MoVimento pigliatutto Lorenzo Fattori

I nuovi modelli di comunicazione politica a cura di Patrizia Perrone


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RICERCA E INNOVAZIONE Il “disastro” delle società pubbliche in house providing Francesco Fimmanò

La vita al tempo degli smart a cura di Beatrice Crisci

Databenc e le PMI: l’esperienza di Confapi a cura di Marianna Quaranta

CCIAA di benevento e bilancio previsionale 2014 Rosaria De Bellis

Link. Trimestrale di Cultura e Formazione politica Anno II, numero 1, 2014 Registrazione del Tribunale di Napoli n. 52 del 09 ottobre 2012 ISSN - 2282-0973 Direttore Responsabile Samuele Ciambriello

Intervista a Anne-Marie Bruyas Lo Science Centre di Città della Scienza un anno dopo

Coordinamento Editoriale Marianna Quaranta

a cura di Giulia D’Argenio

Comitato Editoriale Massimo Adinolfi Sergio Barile Filippo Bencardino Luca Bifulco Antonio Borriello Paola Bruno Gian Paolo Cesaretti Umberto De Gregorio Dario Stefano Dell’Aquila Francesco Fimmanò Salvatore Gargiulo Nicola Graziano Giovanni Laino Massimo Lo Cicero Anna Malinconico Marco Musella Marino Niola Stefania Oriente Gianfranco Pecchinenda Patrizia Perrone Francesco Pirone Paolo Ricci Francesco Romanetti Marco Staglianò

Il Sarno, una lunga storia a cura di Raffaele Perrotta

Incubo petrolio su Irpinia e Sannio: il silenzio della politica Maria Rosaria Casparriello

Centro Studi della Provincia di Benevento Pellegrino Giornale

SPECIALE: La Riforma del titolo V Intervista al filosofo Aldo Masullo Una stagione di riforme? a cura di Samuele Ciambriello

Partecipa! Patrizia Perrone

Cittadinanza e Titolo V Gian Maria Piccinelli

WELFARE Situazione e mappatura delle case famiglia Pasquale Calemme

Servizi Residenziali Giovanni Laino

Per un nuovo welfare nella Regione Campania Claudio Roberti

Sui diritti dei minori a cura di Domenico Picciano

CULTURA E FORMAZIONE Investire nello studio Filippo De Rossi

L’Accademia di Belle Arti di Napoli punta al futuro con l’Alta Formazione Stefania Oriente

Inventare il territorio. Residenze d’artista nella costa d’Amalfi Mico Capasso

Salerno capitale, la città della Costituzione Massimiliano Amato

Profilo di un protagonista del 900’ tra storia, politica, cultura Franca Pietropaolo

Riapre Palazzo Fruscione Paola Congiusti

Sanitansamble Maurizio Baratta

Presentazione Il calcio oltre la superficie Salvatore Bagni

Recensione Se muore il Sud perché il Sud non affondi Domenico Pizzuti

Segreteria di Redazione Tel. +39 081.19517494 Fax. +39 081.19517489 e- mail: redazione_link@libero.it Editore LINKOMUNICAZIONE srl Centro Direzionale Isola G/8 80143 Napoli P.IVA /Cod. Fisc. 07499611213 Amministrazione e Abbonamenti Centro Direzionale, isola G8 80143 Napoli Tel. 081 19517508 Fax 081 19517489 Dal lunedì al venerdì 9,30 - 14,00 e- mail: abbonamenti.link@gmail.com Abbonamento annuale 10,00 euro conto corrente postale intestato a: LINKOMUNICAZIONE srl: C/C 001013784739 oppure, bonifico bancario sul conto intestato a LINKOMUNICAZIONE srl IBAN: IT24W0760115100001013784739 Foto di Agenzia Controluce Via Salvator Rosa, 103 - Napoli Foto di copertina di Roberto Salomone

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OFFICINA DELLE IDEE

Basta austerità a ogni costo Stralci del discorso del Presidente a Strasburgo di Giorgio Napolitano

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ei sette anni trascorsi, la costruzione europea ha dovuto fronteggiare le prove più dure della sua storia. Si è spesso osservato che fin dagli inizi l’Europa comunitaria si sviluppò attraverso crisi via via insorte e poi superate: ma si trattò essenzialmente di crisi politiche nei rapporti tra Stati membri della Comunità. Mai – come a partire dal 2008 – di crisi strutturali, nella capacità di crescita economica e sociale, nel funzionamento delle istituzioni, nelle basi di consenso tra i cittadini. Mai era stata, di conseguenza, messa in questione, e radicalmente in questione, la prosecuzione del cammino intrapreso. È del tutto evidente che la principale fonte del disincanto, della sfiducia o del rifiuto verso il disegno europeo e innanzitutto verso l’operato delle istituzioni dell’Unione, risiede nel peggioramento delle condizioni di vita e dello sta-

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tus sociale che ha investito larghi strati della popolazione nella maggior parte dei paesi membri dell’Unione e dell’Eurozona. Politica di austerità e recessione Appare, dunque, naturale che nel dibattito pubblico e nel confronto politico abbia assunto una netta priorità il tema di una svolta capace di condurre a quell’effettivo rilancio della crescita e dell’occupazione da ogni parte considerato indispensabile e auspicato. Si ritiene cioè che non regga più una politica di austerità ad ogni costo. L’Italia, in particolare, ha compiuto in questi anni rilevanti sforzi e sacrifici, essendo bersaglio di forte pressione sui mercati finanziari per il livello degli interessi sull’ingente debito pubblico accumulato nei decenni precedenti. Ma le conseguenze dei severi interventi di stabilizzazione adottati dall’Unione e ancorati ai parametri di Maastricht, hanno avuto ricadute di innegabile gra-


Lo spazio pubblico europeo In questo Parlamento opera già il nucleo originario e vitale dei partiti politici europei. È qui che si raccolgono le maggiori sensibilità e competenze su cui poter fondare un messaggio politico per il governo dell’Europa da condividere con i cittadini, al di là del linguaggio in codice e dei complessi tecnicismi delle istituzioni dell’Unione. È nelle vostre mani... il compito di far nascere e crescere la dimensione politica dell’integrazione europea, nella nuova fase di sviluppo che per essa si apre.

vità in termini di recessione, e ciò nonostante scelte coraggiose compiute dalla BCE per contrastare la speculazione sul mercato dei titoli del debito pubblico e per iniettare liquidità nelle molto provate economie dell’Eurozona. Una svolta per la crescita e l’occupazione La svolta che oggi si auspica da parte di molti non può perciò certamente andare nel senso dell’irresponsabilità demagogica e del ripiegamento su situazioni di deficit e di debiti eccessivi. Essa deve però riflettere la consapevolezza di un circolo vizioso ormai insorto tra politiche restrittive nel campo della finanza pubblica e arretramento delle economie europee, giunte oggi al bivio tra primi segni di ripresa e rischi, se non di deflazione, di sostanziale stagnazione. Una crescita sostenuta e qualificata richiede certamente riforme strutturali, ma richiede in pari tempo un rilancio, oltre che di investimenti privati, di ben mirati investimenti pubblici, al servizio di progetti europei e nazionali. Un cambiamento profondo del modo di essere e di operare dell’Unione Europea Si va insomma delineando un cambiamento profondo del modo di essere e di operare dell’Unione europea. Il Presidente Draghi ha negato, che si possa parlare di “un decennio perduto”. I paesi dell’area dell’Euro sono stati indotti ad “usare il secondo decennio di vita dell’Euro per disfare gli errori del primo”. In queste parole non c’è ombra di retorica, ma chiara consapevolezza autocritica... passa di qui la questione di un deciso rafforzamento della legittimità democratica del processo decisionale in seno all’Unione. Garantire legittimità democratica con nuovi sviluppi istituzionali e politici nella vita dell’Unione Europea Penso che quanti di noi credono nella causa dell’Europa unita, possano prepararsi al confronto elettorale con serenità e con fiducia, come portatori di cambiamento, tanto più se si restituirà al nostro disegno e alla nostra esperienza il loro volto complessivo, tutta intera la loro ricchezza, dopo averne visto in questi anni prevalere una versione riduttiva, economicistica, con pesanti connotati tecnici. Nulla può farci tornare indietro Da tutto ciò traggo la conclusione che la costruzione europea ha ormai delle fondamenta talmente profonde, che si è creata un’intercon-

nessione e compenetrazione così radicata tra le nostre società, tra le nostre istituzioni, tra le forze sociali, i cittadini e i giovani dei nostri paesi, che nulla può farci tornare indietro. Ma è stato necessario fare i conti con gli errori compiuti, dovuti, a ben vedere, all’affievolirsi della volontà politica comune che aveva reso possibile quel balzo in avanti e che avrebbe dovuto presiedere a tutti i successivi sviluppi della integrazione europea, in uno con i processi dell’unificazione tedesca e dell’allargamento dell’Unione. Vecchie e nuove motivazioni razionali ed emotive del progetto europeo La missione nuova ed esaltante dell’Europa unita è quella di far vivere, nel flusso di una globalizzazione che potrebbe sommergerci come nazioni europee, la nostra identità storica, il nostro inconfondibile retaggio culturale, il nostro esempio e modello di integrazione sovranazionale, di comunità di diritto, di economia sociale di mercato. Perché questa missione sia condivisa dai popoli della nostra Unione e possa essere portata avanti con successo, occorre una più forte coesione politica europea, una più convinta e determinata leadership politica europea. Trent’anni fa, esattamente trent’anni fa in quest’Aula – lasciate che lo ricordi – Altiero Spinelli riuscì a far esprimere al Parlamento europeo questa capacità di leadership con il progetto di Trattato che porta il suo nome. L’occasione non fu allora raccolta: ma la sua ispirazione costituzionale ha continuato a vivere e a contare. La “vista lunga”: una politica europea, uno spazio pubblico europeo Manca oggi... una politica europea, uno spazio pubblico europeo, dei partiti politici europei, che cos’è l’Unione politica di cui si parla, se non si fa vivere su scala europea il confronto politico democratico, la competizione tra le diverse correnti ideali e forze politiche organizzate? È questo un grande salto in avanti da compiere e rispetto al quale molto hanno da dire il Parlamento e i parlamentari europei, in stretto raccordo con i Parlamenti e i parlamentari nazionali, per raggiungere le masse più larghe di cittadini, coinvolgendoli in una più informata e attiva partecipazione politica alla costruzione di un’Europa più unita, più democratica, più efficace. 

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OFFICINA DELLE IDEE

di Samuele Ciambriello

L’Unione Europea cambi passo Adesso parliamo di Europa, quella delle persone. Oltre l’Europa dei banchieri e dei populismi. Il rigore non basta più.

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ccorre aprire un serio dibattito sull’Unione Europea, senza populismi, slogan, senza demagogie elettorali. Basta con il rigore ad ogni costo. La politica dell’austerità va cambiata e va cambiata subito, non regge più. Occorre crescita ed occupazione. L’antipolitica, la sfiducia, il pessimismo sono diffusi in molti paesi europei. Ma è una scelta tra male e bene, tra male e catastrofe? L’Europa dei banchieri o quella dei populismi? Da un po’ di tempo le differenze tra destra e sinistra, tra il Partito del Socialismo Europeo e il Partito Popolare Europeo sono soltanto sfumature. Anzi, l’opinione pubblica tende a condannare i partiti tradizionali come primi responsabili del disastro economico e sociale. L’Unione Europea ostaggio della rabbia dei poveri e dell’euroscetticismo dei paesi ricchi saprà alzare la testa? Certo, da un lato è stato importante ridurre gli indebitamenti pubblici come presupposto della crescita, dall’altro, le sinistre, i governi dei Paesi dell’Europa del Sud, e Obama, sono molto critici verso le politiche di bilancio restrittive ispirate da Berlino. E poi il problema europeo è in buona misura proprio legato al mercato dei capitali, cioè nella possibilità delle imprese di finanziarsi a tassi di interesse favorevoli. D’altra parte, montano ovunque, i populismi e i nazionalismi che vogliono cambiare l’Europa distruggendola, anche politicamente. Ormai, parliamoci chiaro, il problema non è più quello di un’Europa a due velocità, ma dell’Europa in quanto tale. Un

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continente minacciato dalla spaccatura tra paesi poveri e paesi ricchi. E c’è un lessico, ci sono insegne, slogan che non escludono più nessuno, come ha “verificato” sulla propria pelle il nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quando ha subito la contestazione sgangherata della Lega. Eppure, il nostro Presidente era stato chiaro quando aveva dichiarato: “si deve rompere il circolo vizioso di questa Europa intrappolata... non regge più la politica di austerità ad ogni costo. Ora sono necessarie politiche che favoriscano la crescita e l’occupazione, pur senza abbandonare il rigore dei conti pubblici”. Insomma, a Strasburgo, davanti all’europarlamento, riunito in seduta solenne, Giorgio Napolitano ha chiesto il cambio di passo. L’Europa deve ridefinire al più presto il Patto di stabilità ed aprire agli investimenti. A noi interessano le terapie, le soluzioni. Su questo tema vogliamo avviare un dialogo sereno e un confronto costruttivo. Noi, in vista delle elezioni europee di maggio, mettiamo in campo lo strumento a nostra disposizione, ovvero l’informazione, la riflessione a più voci, in questo nostro laboratorio di idee che è LINKABILE. L’attacco all’Europa è la scorciatoia per la retrocessione e il caos. In Italia, vince ancora la voglia di riformare l’Unione Europea, ma c’è chi rema contro. Esiste una terza via? Per sopravvivere non basta più invocare la nostra storia e gli ideali dei padri fondatori. 

Il problema dell’U.E. è legato ai mercati L’Unione Europea ostaggio della rabbia dei poveri e dell’euroscetticismo dei paesi ricchi saprà alzare la testa? Certo, da un lato è stato importante ridurre gli indebitamenti pubblici come presupposto della crescita, dall’altro, le sinistre, i governi dei Paesi dell’Europa del Sud, e Obama, sono molto critici verso le politiche di bilancio restrittive ispirate da Berlino. E poi il problema europeo è in buona misura proprio legato al mercato dei capitali, cioè nella possibilità delle imprese di finanziarsi a tassi di interesse favorevoli.


di Massimo Lo Cicero

L’euro e le divergenze tra i mercati europei Il ciclo lungo dell’euro e la divergenza nei processi di crescita Il club commerciale ed il club monetario La contrapposizione tra due coalizioni: la Germania e la Russia in antitesi al collegamento tra l’Europa latina e le coste del mediterraneo. Draghi e Lagarde: lezioni americane per rivitalizzare l’Europa

1. Il ciclo lungo dell’euro e la divergenza nei processi di crescita a parabola dell’euro, una nuova moneta che debutta nel terzo millennio, nasce dalla convinzione che garantire una unica moneta per un mercato unico avrebbe riaperto la strada del processo di unificazione europeo e creato le premesse per definire un’area economica capace di contemperare la dimensione della competizione e quella della diffusione della conoscenza: due leve, per ottenere un tasso di crescita sostenuto ed una dimensione della qualità della vita, capaci di assicurare lo sviluppo economico e la piena integrazione degli Stati che avrebbero partecipato all’impresa. Ovviamente la dimensione dell’area si identificava, da parte dei creatori dell’euro, come una sorta di isola felice, capace di dimostrare al resto del mondo come realizzare un superamento del modello dell’impero americano, avendo orami lasciato alle proprie spalle la minaccia del sistema sovietico. La relazione positiva tra un’unica moneta ed un mercato unico, purtroppo, era certamente una condizione necessaria per riavviare il processo di integrazione. Ma non era, e non poteva essere, una condizione sufficiente. L’ottimismo sulla ripresa del progetto europeo, e l’enfasi sui vantaggi che un’unica moneta avrebbe generato, combinandosi con la rete del mercato unico, posero in ombra i costi necessari per chiudere gli squilibri reali interni alle diverse strutture delle singole economie, na-

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zionali, od anche regionali, nell’ambito del mercato europeo unico stesso. Vennero sottovalutate, insomma, le differenze interne ai paesi dell’Unione, sia nella configurazione originaria che in quella che si prefigurava, una volta che fosse stato allargato allargando il processo di integrazione. L’effetto di trascinamento positivo della moneta unica mise in ombra la necessaria rielaborazione delle politiche economiche necessarie alla integrazione. Sia prima, ma con una intensità crescente durante l’esperimento della moneta unica ed i suoi sviluppi, molti analisti hanno spiegato come i benefici, di una ipotetica optimum currency area (OCA) in Europa1, siano stati inferiori ai costi ed agli attriti interni, relativamente alla sua eventuale sostenibilità. Non ci sono solo problemi di compatibilità tra moneta unica, tecnologie e divergenze tra i tassi di crescita. Una ulteriore deformazione della struttura industriale ed economica, nell’ambito del perimetro che oggi include l’Unione Europea, ma anche nei collegamenti tra quelle economie ed il resto del mondo, deriva dalla contrapposizione tra grandi filiere produttive cross border: una contrapposizione che vede una diversificazione tra filiere inter – trade e filiere intra – trade. Secondo l’approccio ricardiano le filiere erano considerate come strutture integrate verticalmente, nell’ambito di una economia nazionale: l’insieme delle imprese, che generano, collegandosi tra loro, l’offerta di un bene compiuto e presentabile al proprio mercato di consumatori, ad esempio un tipo di automobile,

Gtggtgtggtgt gtgtggtgtgt Gtgtggtgtgtggtg gtgtgtgtgt tggtgtgtgtgt gtgttg tggtgtgt tggtgtgt tgtg tggtgtgtgt gtgtgtgt tggtgtgt tggt tggttgtg tggtgtgt

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possono competere sulla scena internazionale in termini di costi comparati2. Memorabili furono i primi accordi commerciali tra Portogallo e Gran Bretagna nel settecento: dove lo scambio tra le lane, ed i tessuti, inglesi verso il vino portoghese rappresentava emblematicamente la strategia dei costi comparati come guida del commercio internazionale. Nel mondo contemporaneo si presentano oggi anche filiere orizzontali. Come la filiera dell’automotive, cioè dell’insieme dei fornitori di alcune parti dell’automobile, fungibili per ogni genere di produttore, che voglia offrire al mercato una automobile, che abbia però un proprio marchio identificato. Queste filiere cross border sono la rete di mercato che, nell’epoca della globalizzazione, taglia i perimetri dei confini nazionali3. Ma torniamo alla lenta crescita, di una parte dell’Europa, che si esprime nei divari tra nazioni e tra regioni europee e produce elementi di preoccupazione per l’equilibrio mondiale: essendo, ancora e comunque, la dimensione della capacità potenziale di produrre, in Europa e negli Stati Uniti, superiore al 51% del PIL del mondo. Con la evidente conseguenza di un limite alla crescita mondiale in presenza di un profilo stagnante e recessivo in larga parte delle economie europee. Nonostante i più alti tassi di crescita delle economie emergenti. La progressiva divaricazione dell’alleanza atlantica, USA ed UE, dopo la fine della guerra fredda, indebolisce il cuore del mondo occidentale di fronte alla accelerazione della crescita nei paesi emergenti 2. Il club commerciale ed il club monetario Robert Mundell pubblica “A Theory of Optimum Currency Areas” nel 1961 e gli viene assegnato il premio Nobel, per l’economia, nel 1999. Nelle conclusioni della sua lezione Nobel ricorda la fine del sistema di Bretton Woods nel 1970 e propone una nuova architettura monetaria internazionale, per governare le pressioni inflazionistiche e la stagnazione economica, dopo gli anni settanta. Mundell riteneva che Dollaro, Yen ed Euro avrebbero garantito “tre isole di stabilità monetaria”. E pensava che il secolo si sarebbe chiuso con un sistema monetario internazionale peggiore di quello con cui aveva avuto inizio ma che, comunque, la situazione aveva ribaltato le punte di crisi che, al centro del se-

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colo, avevano logorato l’economia mondiale. Negli anni sessanta c’erano cambi fissi tra le monete, non esisteva il digitale e la logistica internazionale era lenta e gravata di molti attriti. Si viveva in mercati domestici e si scambiavano flussi, marginali rispetto al proprio mercato domestico, di importazioni ed esportazioni. In quelle condizioni, un sistema di Stati nazionali poteva essere una “regione” nella quale una moneta unica facilitava gli scambi, e dilatava la produzione reciproca, se si collegava a dinamiche della produttività, e della occupazione, ragionevolmente flessibili ed omogenee. Se, al contrario, le dinamiche reali e le politiche pubbliche divergevano tra loro, questa circostanza di benefici espansivi finiva con esaurirsi rispetto ai costi che erano necessari per evitare scompensi di produttività, di prezzi, di spesa pubblica ed imposte, che, alla fine, avrebbero impedito l’armonia del “mercato comune” guidato dalla moneta unica. Ne è passata di acqua sotto i ponti. abbiamo attraversato la rivoluzione del silicio, il digitale, e ci prepariamo a quella del carbonio in un mondo “a palle di biliardo”. Un mondo nel quale non esistono architetture stabili del mercato globale e dominano l’incertezza e la variabilità delle alleanze sulle contraddizioni che, di volta in volta, si presentano tra il mercato globale e la presenza, ancora in essere degli Stati Nazionali. Con la manifesta assenza di chiare leadership che possano guidare coalizioni di Stati, come era avvenuto negli anni della guerra fredda. Ma orami la caduta del muro di Berlino risale a decine di anni or sono. L’Europa ha iniziato l’esperimento dell’euro nel 2000 e lo ha radicalmente contaminato troppo presto, nel 2004: affiancando un “club commerciale” ad un “club monetario”. Costringendo alla convivenza i nuovi arrivi, gli Stati satelliti dell’economia pianificata, che volevano una sponda democratica, e l’insieme degli Stati che avevano costruito l’euro per unificare l’Europa, una comunità di nazioni e di Stati che usciva devastata dopo le due guerre mondiali. L’euro arrivò nel 2000 ma l’Italia, dopo la crisi valutaria del 1992, riuscì a salire in prima classe sul nuovo treno per il futuro, nel “club monetario”, la prima classe del treno, apparentemente4.


e gestite dai governi nazionali, coerenti con quella espansione. E deve anche trovare un modo per riportare sotto la vigilanza della BCE il sistema bancario europeo ed ottenere, da quel sistema bancario, un ragionevole finanziamento della crescita per un tessuto economico che è in prevalenza composto da piccole e medie imprese: il trasferimento del risparmio agli investimenti in Europa, l’economia renana, si svolge attraverso i canali bancari; il trasferimento dei capitali, nel resto del mondo ed in particolare negli Stati Uniti e nei paesi che adottano come valuta il dollaro, si svolge attraverso i mercati finanziari. Questo è il capitalismo americano ed è ovviamente molto diverso da quello renano. I paesi del “club commerciale” europeo, quelli che sono nell’Unione Europea ma non nell’euro area, sono supportati dai mercati finanziari anglosassoni e dalle grandi banche americane ed inglesi, non solo dalle banche europee. E possono utilizzare sia i vantaggi della libertà degli scambi, della flessibilità del mercato del lavoro, del ridotto gettito fiscale e dei mercati finanziari mondiali per allargare i propri tassi di crescita rispetto a quelli dei paesi dell’area euro, il club monetario5. 3. La contrapposizione tra due coalizioni: la Germania e la Russia in antitesi al collegamento tra l’Europa latina e le coste del mediterraneo.

La base della nuova legge elettorale La caratteristica principale, nasce per dare una necessaria risposta alla decisione della Corte Costituzionale, oltre che della importante previsione di una stringente regola sulle quote rosa, prevede è il premio di maggioranza per garantire la governabilità del Paese.

Ma questo “club monetario”, fondato tra coloro che partecipavano all’Area Euro dopo la creazione della BCE, un consorzio tra le banche centrali degli Stati che adottano l’euro come moneta legale (legal tender), trascurava la circostanza che nel mondo globale i paesi e le nazioni avevano scelto il dollaro americano come moneta internazionale. Mentre l’Unione Europea aveva creato una moneta nuova ma “artificiale”. Da Bretton Woods (1944) in poi, e fino agli anni settanta, il mondo occidentale si era affidato al dollar standard. L’Unione Europea, oggi e dopo molte vicissitudini, deve trovare il modo per diventare almeno un sistema sovrano di poteri; deve trovare un modo per far convivere economie a bassa produttività, frenate dal deficit pubblico e dal deficit corrente strutturale nei propri conti con l’estero; deve trovare un modo per uscire dalla recessione con politiche monetarie espansive, offerte dalla BCE, e politiche fiscali, preparate

La media del reddito procapite, nelle economie che oggi appartengono all’area dell’euro, era nel 2003 di 22.800 euro. L’economia italiana si presentava quasi esattamente sulla media. La media dell’indice per l’intera area euro nel 2010 si colloca a 1,162 mentre, per l’economia italiana, l’indice che esprime la crescita intercorsa tra 2003 e 2010 si ferma a 1,074: circa 9 punti base in meno rispetto alla media dell’euro area. L’economia italiana, insomma parte nel 2003 allineata sulla media dell’area euro, in termini di reddito pro capite, ma rallenta, progressivamente, nello sviluppo del decennio e si trova arretrata, appesantita da attriti ed inerzie più forti di quelli osservabili nell’area euro, pur avendo l’Italia fatto parte del gruppo fondatore dell’area euro e della stessa moneta unica. Purtroppo la progressiva caduta dei livelli di produttività, nell’industria e nel complesso del sistema economico, pubblico e

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di Elio Pariota Direttore Generale Unipegaso

La nuova alba del sistema bancario europeo Politiche europee in ambito bancario

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n lungo pomeriggio e una lunghissima notte dello scorso dicembre; dodici ore di intensi e interminabili negoziati, poi finalmente l’accordo in seno all’Ecofin: la Banca Centrale Europea assumerà i poteri di vigilanza – sin da subito, ma formalmente il prossimo novembre - sulle circa 130 banche dell’Eurozona. È l’alba dell’Unione Bancaria. Una svolta epocale. Perché d’un sol colpo l’Europa pare risvegliarsi dal letargo che l’aveva paralizzata in questi anni di profonda crisi concentrandosi immediatamente sulla fissazione (e sul raggiungimento) di tre obiettivi: 1) spezzare il legame fra le crisi finanziarie e quelle dei debiti pubblici dei singoli paesi; 2) erigere una rete di protezione per i risparmiatori; 3) omogeneizzare le condizioni del credito in un mercato bancario divenuto assai frammentato. Facile? Nient’affatto. Per comprendere la complessità del processo dell’Unione Bancaria - che porterà alla creazione di nuove istituzioni – occorre fare un passo indietro e due in avanti. Il passo indietro ci riporta nel 2007, l’annus horribilis della finanza americana con la crisi dei mutui subprime, al quale seguono anni di profonda

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recessione economica e di crisi industriali di proporzioni inusitate (il fallimento della società d’investimento Lehman Brothers è l’emblema della catastrofe); sino al 2011, allorquando il corto circuito di liquidità sui mercati finanziari fa emergere drammaticamente la spirale perversa tra debiti sovrani e fragilità del sistema bancario europeo. Di più. Voglio ricordare che verso la fine del 2011 le banche europee erano al collasso; il mercato monetario dell’area euro aveva cessato di funzionare e le operazioni di raccolta sul mercato all’ingrosso (mediante emissione di obbligazioni bancarie, certificati di deposito, eccetera) erano praticamente ferme. La fiducia nella tenuta del sistema era prossima allo zero. Nessuno avrebbe scommesso un caffè sulla possibilità di recuperare poco meno di mille miliardi di euro per rifinanziare le passività a scadenza di lì a qualche mese; senza contare il massiccio deflusso dei capitali dai Paesi deboli a quelli più virtuosi. Si profilava un doppio spettro: una immane contrazione del credito (credit crunch) con conseguenze disastrose sull’economia reale ed una moneta unica di fatto non più considerata tale dagli investitori, giacché un euro depositato in Ger-

2007: l’annus horribilis Per comprendere la complessità del processo dell’Unione Bancaria - che porterà alla creazione di nuove istituzioni - occorre fare un passo indietro e due in avanti. Il passo indietro ci riporta nel 2007, l’annus horribilis della finanza americana con la crisi dei mutui subprime, al quale seguono anni di profonda recessione economica e di crisi industriali di proporzioni inusitate (il fallimento della società d’investimento Lehman Brothers è l’emblema della catastrofe); sino al 2011, allorquando il corto circuito di liquidità sui mercati finanziari fa emergere drammaticamente la spirale perversa tra debiti sovrani e fragilità del sistema bancario europeo.


mania non poteva essere percepito alla stessa stregua di un euro depositato in Grecia o in Portogallo. A ben guardare ciò rifletteva la debolezza dell’assetto istituzionale dell’area euro in generale e del settore bancario in particolare. Come è stato efficacemente chiarito dal Presidente dell’Autorità Bancaria Europea, Andrea Enria, “con l’introduzione dell’euro le banche sono state incoraggiate a considerare il mercato unico come il loro mercato domestico; i gruppi bancari transnazionali rappresentavano più di due terzi degli attivi del settore bancario europeo, ma continuavano a essere controllati dalle autorità nazionali e, in caso di crisi, dovevano contare sulla rete di protezione (safety net) del loro paese di origine. Pertanto, dopo la prima ondata di salvataggi da parte dei governi nazionali, le banche hanno iniziato a essere valutate dagli operatori di mercato sulla base del merito creditizio dell’emittente sovrano che offriva loro una rete di sicurezza e della quantità e qualità delle loro esposizioni sovrane”. Questo pericoloso intreccio tra banche e Stati sovrani influenzava negativamente la capacità delle prime di accedere al mercato, mentre alimentava paurosamente i debiti pubblici dei secondi che

avevano la responsabilità di sorreggerle. Facciamo ora i due passi in avanti. Il primo riguarda la risposta alla crisi in atto messa in campo dal Consiglio Europeo a seguito dei suggerimenti del Board dell’EBA (European Banking Autority). Si trattava di ricapitalizzare le banche europee mediante il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFTS), di prevedere un meccanismo di garanzia di livello europeo sulle emissioni di passività bancarie, di intervenire direttamente con l’EFTS sui mercati dei titoli pubblici. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il sistema bancario ha migliorato la posizione patrimoniale complessiva di circa 160 miliardi di euro, nonché ha ristabilito la fiducia sui mercati finanziari; pur non predisponendo strumenti di garanzia diretti, la Banca Centrale Europea è intervenuta con prestiti triennali al sistema bancario scongiurando la chiusura dei rubinetti del credito; infine, l’annuncio delle outright monetary transactions (OMTs) da parte della BCE ha centrato l’obiettivo di calmare e stabilizzare i mercati del debito sovrano. Ancora un altro passo in avanti. Giusto per chiarire che il coacervo di politiche europee tese a superare la più grave crisi finanziaria della storia, dopo quella del 1929, non poteva non prevedere un meccanismo che spezzasse il circolo vizioso banche-debiti sovrani e che tendesse a ripristinare il corretto funzionamento istituzionale. Il meccanismo di vigilanza unico (single supervisory mechanism – SSM) è prodromico all’Unione Bancaria dalla quale siamo partiti: esso è affidato alla BCE attraverso una divisione separata dalla politica monetaria. Non solo. L’Europa sta decidendo sulle modalità di intervento o di abbandono delle principali banche europee in difficoltà affinché nessuno Stato europeo possa più rischiare di fallire per colpa di un crack bancario. Qui la tradizionale ostilità della Germania nei confronti di tutto ciò che suoni come delega di funzioni alla zona euro diventa palese; tuttavia le cronache di questi giorni parlano di incontri tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente della BCE Mario Draghi improntati ad un cauto ottimismo. Certo è che, in futuro, il conto salato di eventuali risanamenti bancari non lo pagheranno né gli Stati, né i contribuenti. E questa per i cittadini europei è una buona notizia. 

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di Massimo Adinolfi

* Professore Associato, Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e della Salute presso l’Università di Cassino

Elezioni europee il ruolo della sinistra in Europa Politiche europee in ambito bancario

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ai come questa volta il ruolo della sinistra in Europa è già tracciato. Con la più grande chiarezza, con la massima precisione auspicabile. La sinistra non è sempre stata, in passato, convintamente europeista: adesso lo è. Il Partito Democratico non aveva finora aderito al Partito Socialista Europeo: adesso ha aderito. Dopo le battute d’arresto degli scorsi anni, segnate non solo dalla gravissima crisi economica e sociale, ma anche da una lunga pausa di riflessione sul futuro dell’Unione, il processo di integrazione europea sembra in procinto di ripartire: almeno questa è l’intenzione dei socialisti europei che nel recentissimo congresso tenutosi a Roma e conclusosi il primo marzo scorso hanno indicato il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, attuale Presidente del Parlamento, come candidato designato del PSE alla guida della Commissione Europea (al posto cioè che è oggi di José Manuel Barroso). Si tratta di un’innovazione significativa, perché tenta di affermare, in via di fatto, il prin-

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cipio – non ancora sancito nei trattati costituzionali – per cui l’elettorato europeo non concorre col proprio voto solo alla scelta dei membri del Parlamento, ma direttamente al governo dell’Unione. «Io voglio essere il primo Presidente della Commissione – ha dichiarato Schulz – che non è il risultato di una trattativa dietro le quinte di qualche ufficio a Bruxelles, ma di un libero voto democratico». Anche sul piano programmatico, il Partito Socialista Europeo non è affatto privo di una robusta piattaforma di idee e iniziative: i socialisti europei oppongono con decisione alle politiche di austerità finora imposte dai conservatori, basate sul ridimensionamento della sfera pubblica e la deregolamentazione del mercato del lavoro, un forte e ambizioso «piano per il lavoro», centrato, invece, su una seria politica di investimenti nei settori strategici, ad alto tasso di innovazione, capaci di rilanciare la domanda e sostenere la crescita e l’occupazione. È il primo punto del programma del PSE. Dopodiché, trovano posto molte buone idee: l’obiettivo


Il PD ha aderito al Partito Socialista Europeo Il Partito Democratico non aveva finora aderito al Partito Socialista Europeo: adesso ha aderito. Dopo le battute d’arresto degli scorsi anni, segnate non solo dalla gravissima crisi economica e sociale, ma anche da una lunga pausa di riflessione sul futuro dell’Unione, il processo di integrazione europea sembra in procinto di ripartire: almeno questa è l’intenzione dei socialisti europei che nel recentissimo congresso tenutosi a Roma e conclusosi il primo marzo scorso hanno indicato il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, attuale Presidente del Parlamento, come candidato designato del PSE alla guida della Commissione Europea (al posto cioè che è oggi di José Manuel Barroso).

degli Eurobond, un’incisiva riforma dei mercati finanziari, la creazione di un’agenzia di rating europea, una tassazione sovranazionale delle transazioni finanziarie, il sostegno alla green economy, la priorità alla lotta contro la disoccupazione giovanile con la più ampia dotazione di risorse al programma European Youth Guarantee, la fine del dumping sociale fra i paesi dell’Unione, l’introduzione del minimo salariale a livello europeo, la promozione dei programmi di inclusione e integrazione dell’Unione. Sono

solo alcuni dei capitoli del Manifesto redatto in vista delle prossime elezioni, ma forniscono un quadro abbastanza coerente di linee programmatiche, che restituiscono alla sinistra europea un profilo chiaramente – vorrei dire: dignitosamente – progressista. E, sul piano ideale, i «core values of social democracy» e le pari opportunità per tutti gli europei restano l’orizzonte fondamentale del socialismo democratico. Tutto bene, dunque? Non proprio. Perché al primo punto del Manifesto approvato a

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Roma si leggono le seguenti parole: «Noi crediamo fortemente che l’Unione Europea deve cambiare». Il Manifesto chiede il voto dei cittadini europei per cambiare l’Unione, e soprattutto per avere la forza sufficiente per farlo. E qui casca l’asino. Il ruolo della sinistra europea è definito, infatti, in termini di cambiamento, com’è giusto che sia. Il punto è che però l’assetto attuale dell’Unione non è soltanto il frutto dell’egemonia politicamente neoconservatrice ed economicamente neoliberista, che i socialisti si propongono finalmente di rovesciare. In realtà, negli scorsi due decenni almeno vi è stata una profonda complicità – altri direbbero: subalternità – del mondo socialdemo-

L’investimento politico che il PSE intende compiere nelle prossime elezioni, ha un chiaro obiettivo: battere in breccia l’antieuropeismo, i populismi, i nazionalismi, tutte le forze e i movimenti che spingono, volens nolens, nel senso della disintegrazione della casa comune europea. cratico, socialista e laburista nei confronti della dottrina imperante: sia sul piano politico, dove si è imposto il metodo intergovernativo che ha di fatto marginalizzato Commissione e Parlamento, con un chiaro affievolimento della spinta democratica e partecipativa, che sul piano economico-finanziario, sul quale l’ortodossia rigorista, il mito dei «compiti a casa», della disciplina di bilancio, del rispetto dei parametri di Maastricht ha prevalso su ogni altra ragione, a livello europeo come a livello nazionale, a destra come, ahimè, a sinistra. Oggi, il PSE scrive che «crede fortemente» nella necessità di cambiare l’Unione Europea. Ma lo ha sempre creduto, oppure ha creduto, invece, che bisognasse procedere senz’altro in direzione della moneta unica, così come dell’allargamento a Est dell’Unione, rinviando sine die quei cambiamenti che oggi reputa, invece, necessari, persino urgenti?

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Questa domanda non ha però il significato di una polemica, quanto piuttosto quello di una preoccupazione. Bisogna, è vero, credere fortemente che l’Europa debba cambiare per avere la forza necessaria a cambiarla. Ma negli ultimi cinque anni, nel tempo cioè che ci separa dalle scorse elezioni per il Parlamento europeo, il vento antieuropeista è cresciuto fortemente: la disillusione, il disagio, la disaffezione costituiscono oggi il tratto più marcato delle opinioni pubbliche nazionali. E sebbene i venti che soffiano alle porte dell’Unione – con la crisi ucraina – non mancano di ricordarci quanto prezioso sia il bene della pace fra le nazioni europee che l’Unione ha saputo assicurare nei suoi primi cinquant’anni di vita, resta il fatto che la crisi economica e sociale più grave dagli anni Tenta del Novecento ad oggi non smette di alimentare la diffidenza nei confronti dell’Euro e, quel che è più grave, del progetto europeo. L’investimento politico che il PSE intende compiere nelle prossime elezioni, augurandosi che siano in molti a crederci e quindi a condividerlo, ha un chiaro obiettivo: battere in breccia l’antieuropeismo, i populismi, i nazionalismi, tutte le forze e i movimenti che spingono, volens nolens, nel senso della disintegrazione della casa comune europea. È quello la frontiera su cui i socialisti e democratici europei intendono attestarsi. Ma c’è il rischio che quella frontiera si risolva in una striscia sempre più sottile, sempre meno popolare, e sempre meno adeguata alla sfida lanciata, oggi, in Europa. C’è il rischio che, invece, di essere la punta più avanzata delle aspirazioni europee si risolva in una scomoda posizione di mezzo fra, da un lato, i populismi che dilagano nel corpo sempre più ferito delle società europea è, dall’altro, un’élite tecnocratica, sovranazionale, molto sensibile alle necessità finanziare dei mercati e poco attenta ai bisogni reali delle popolazioni. Se questa tenaglia dovesse chiudersi, se le due ganasce della tecnocrazia e del populismo dovessero serrarsi, ben poco terreno rimarrebbe alla sinistra per condurre la sua battaglia. Mai come questa volta il ruolo della sinistra è già tracciato. E mai come questa volta è tanto incerto il suo futuro. 


di Gianluca Battaglia

* Dottore Commercialista, Revisore dei conti, Esperto in utilizzo di Fondi Strutturali

Fondi strutturali e Fondo di coesione Opportunità, vincoli ed utilizzi della nuova programmazione

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Fondi strutturali e il Fondo di coesione costituiscono gli strumenti finanziari della politica regionale dell’Unione europea (UE) il cui scopo consiste nell’equiparare i diversi livelli di sviluppo tra le regioni e tra gli Stati membri. Per il periodo 2007-2013, la dotazione finanziaria assegnata alla politica regionale è stata pari a circa 348 miliardi di euro, di cui 278 miliardi destinati ai Fondi strutturali e 70 al Fondo di coesione. Tale importo ha rappresentato il 35% del bilancio comunitario: per la programmazione 2014 – 2020 la dotazione è superiore ai 350 miliardi di euro. Sostanzialmente i Fondi strutturali attualmente operativi sono due: (i) il più importante è il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), istituito nel 1975. Esso finanzia la realizzazione di infrastrutture e investimenti produttivi generatori di occupazione a favore in particolare delle imprese; (ii) il Fondo sociale europeo (FSE), istituito nel 1958, favorisce invece l’inserimento professionale dei disoccupati e delle categorie sociali meno favorite finanziando in particolare azioni di formazione. Per accelerare i tempi della convergenza economica, sociale e territoriale, nel 1994 l’UE ha istituito il Fondo di coesione. Il fondo è destinato ai paesi con un PIL medio pro capite inferiore al 90% della media comunitaria. Esso si propone di concedere finanziamenti a favore di progetti infrastrutturali nei settori dell’ambiente e dei trasporti. Gli aiuti nell’ambito del Fondo sono

tuttavia soggetti ad alcune condizioni. Nel caso in cui lo Stato membro beneficiario presenti un deficit pubblico superiore al 3% del PIL (regole di convergenza dell’UEM), non verrà approvato alcun progetto nuovo fino a quando il deficit non sia di nuovo sotto controllo. Tali Fondi sono destinati a finanziare la politica regionale nel quadro di tre obiettivi specifici: (i) l’obiettivo “Convergenza”, che mira ad accelerare il processo di convergenza degli Stati membri e delle regioni meno sviluppate dell’UE attraverso il miglioramento delle condizioni di crescita e di occupazione. Tale obiettivo viene finanziato tramite il FESR, il FES e il Fondo di coesione. Esso rappresenta l’81,5% del totale delle risorse disponibili. I massimali di cofinanziamento delle spese pubbliche sono pari al 75% per il FESR e per il FES e all’85% per il Fondo di coesione; (ii) l’obiettivo “Competitività regionale e occupazione” mira ad anticipare i cambiamenti economici e sociali, a promuovere l’innovazione, l’imprenditorialità, la tutela dell’ambiente e lo sviluppo di mercati del lavoro anche nelle regioni non oggetto dell’obiettivo “convergenza”. Esso è finanziato tramite il FESR e il FES e rappresenta il 16% del totale delle risorse disponibili. Le azioni che rientrano in tale obiettivo possono essere cofinanziate fino al 50% delle spese pubbliche; (iii) l’obiettivo “Cooperazione territoriale europea” mira a migliorare la cooperazione a livello transfrontaliero, transnazionale e inter-

Che cos’è il fondo di coesione? Per accelerare i tempi della convergenza economica, sociale e territoriale, nel 1994 l’Unione europea ha istituito il Fondo di coesione. Il fondo è destinato ai paesi con un PIL medio pro capite inferiore al 90% della media comunitaria. Il Fondo di coesione si propone di concedere finanziamenti a favore di progetti infrastrutturali nei settori dell’ambiente e dei trasporti.

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regionale nei settori riguardanti lo sviluppo urbano, rurale e costiero, lo sviluppo delle relazioni economiche e la messa in rete delle piccole e delle medie imprese (PMI). Tale obiettivo è finanziato tramite il FEDER e rappresenta il 2,5% del totale delle risorse disponibili. Le azioni che rientrano nell’obiettivo “Cooperazione territoriale” possono essere cofinanziate fino al 75% delle spese pubbliche. Il sostegno dei Fondi strutturali e del Fondo di coesione ai tre obiettivi suindicati assume la forma di un cofinanziamento. Nel quadro della nuova programmazione 2014 – 2020, l’Unione Europea intende realizzare in via prevalente i seguenti obiettivi strategici: crescita e occupazione, lotta contro i cambiamenti climatici e riduzione della dipendenza energetica, della povertà e dell’esclusione sociale. Il Fondo europeo di sviluppo regionale concorrerà alla realizzazione di questi obiettivi indirizzando le proprie risorse verso priorità fondamentali, quali il sostegno per le piccole e medie imprese, con l’obiettivo di raddoppiare i fondi da 70 a 140 miliardi di euro in 7 anni. Tutti i fondi strutturali e d’investimento europei saranno maggiormente orientati ai risultati e avranno una nuova riserva di efficacia e efficienza che incentiverà la qualità dei progetti. Tenendo conto del contributo nazionale degli Stati membri e dell’effetto di leva degli strumenti finanziari, l’impatto complessivo in termini di risorse impiegate ed attivate nel sestennio 2014 – 2020 dovrebbe superare i 500 miliardi di euro. Gli elementi chiave della nuova programmazione sono: investire in tutte le regioni dell’UE e adattare il livello di sostegno e il contributo nazionale (tasso di cofinanziamento) ai loro livelli di sviluppo: (i) regioni meno sviluppate (PIL < 75% della media UE-27); (ii) regioni in transizione (PIL dal 75% al 90% della media UE27); (iii) regioni più sviluppate (PIL > 90% della media UE-27). Indirizzare le risorse sui settori chiave per la crescita: gli investimenti a valere sul Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) verranno concentrati su 4 priorità chiave: innovazione e ricerca, agenda digitale, sostegno alle piccole e medie imprese (PMI) ed economia a bassa emissione di carbonio, a seconda della categoria della regione (meno sviluppata: 50%, in transizione: 60% e più sviluppata: 80%).

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Stabilire obiettivi chiari, trasparenti e misurabili e parametri di responsabilità e di risultato: i paesi e le regioni dovranno annunciare sin dall’inizio quali obiettivi intendono raggiungere con le risorse disponibili e identificare esattamente in che modo misureranno i progressi compiuti in direzione di tali obiettivi. Definire le condizioni prima che i finanziamenti vengano convogliati in modo da assicurare investimenti più efficaci: ad esempio, le strategie di “specializzazione intelligente” volte a identificare i punti di forza particolari e le potenzialità, le riforme favorevoli all’imprenditoria, le strategie dei trasporti, le misure per migliorare i sistemi di appalti pubblici, il rispetto delle normative ambientali, le strategie di lotta contro la disoccupazione e contro la dispersione scolastica o quelle a promozione della parità tra i generi e della non-discriminazione sono tutte precondizioni irrinunciabili. Definire una strategia comune per assicurare un migliore coordinamento ed evitare le sovrapposizioni: un quadro strategico comune costituirà la base per un migliore coordinamento tra i Fondi strutturali e di investimento europei (FESR, Fondo di coesione e FSE nella loro qualità dei tre fondi che partecipano alla politica di coesione nonché il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e il Fondo per la pesca). Ridurre la burocrazia e semplificare l’uso degli investimenti unionali attraverso un insieme comune di regole per tutti i Fondi strutturali e di investimento europei nonché regole di contabilità più semplici, oneri di rendicontazione più mirati e un maggior uso delle tecnologie digitali (“e-cohesion”). Accrescere la dimensione urbana della politica stanziando un importo minimo delle risorse a valere sul FESR per progetti integrati nelle città, al di là degli altri tipi di spesa consacrata alle zone urbane. Rafforzare la cooperazione transfrontaliera e agevolare la costituzione di un maggior numero di progetti transfrontalieri. Assicurare inoltre che strategie macroregionali come quella danubiana e del Baltico siano sostenute dai programmi nazionali e regionali. Assicurare che la politica di coesione sia meglio correlata alla più ampia governance economica dell’UE: i programmi dovranno essere coerenti con i programmi di riforma na-

Obiettivi 2014-2020 Nel quadro della nuova programmazione 2014 – 2020, l’Unione Europea intende realizzare in via prevalente i seguenti obiettivi strategici: crescita e occupazione, lotta contro i cambiamenti climatici e riduzione della dipendenza energetica, della povertà e dell’esclusione sociale.


zionali e dovrebbero affrontare le riforme pertinenti identificate nelle raccomandazioni per paese nel contesto del semestre europeo. Incoraggiare l’uso degli strumenti finanziari per dare alle PMI maggiore sostegno e accesso al credito. L’accento posto sui prestiti piuttosto che sulle sovvenzioni dovrebbe migliorare la qualità dei progetti e scoraggiare la dipendenza dalle sovvenzioni. Questo ultimo aspetto è secondo me di assoluta rilevanza: le aziende italiane (e quelle meridionali e campane soprattutto) dovranno sempre più comprendere che i sussidi comunitari per sostenere i loro programmi di sviluppo saranno orientati sempre meno verso contributi a fondo perduto e sempre più verso strumenti di ingegneria finanziaria in grado di generare finanza su finanza e favorire il loro accesso al credito. In tale ottica ad esempio gli strumenti Jeremie e Jessica poco sfruttati e utilizzati nel 2007/2013 devono essere il volano di partenza per gli aiuti alle imprese della programmazione 2014/2020. In termini di perfomance, e quindi di rapporto tra risorse impegnate e risorse e spese e valutazione delle risorse di efficacia ed efficienza delle iniziative realizzate, abbiamo assistito un brusco declino della programmazione 2007/2013 rispetto a quella 2000 / 2006. Questo è il risultato non solo della crisi economica globale ma anche di scelte strategiche sbagliate. L’esperienza ha dimostrato che esistono due grandi marco livelli di finanziamenti comunitari: (i) quelli rivolti agli Enti Locali ed in generale alla Pubblica Amministrazione; (ii) quelli rivolti al mondo delle imprese ed anche della forza lavoro di queste ultime. Se gli strumenti rivolti al mondo delle imprese hanno correttamente introdotto nel periodo 2007 – 2013 alcuni elementi di premialità indispensabili (risparmio energetico, innovazione, competitività ed internazionalizzazione) che sono stati ancor più evidenziati nei disegni di sviluppo della programmazione 2014 – 2020, gli strumenti rivolti agli EE.LL. purtroppo hanno dimostrato scarso coraggio nella regionalizzazione degli interventi dando ai governi centrali e a quelli regionali un ruolo fin troppo accentratore. È mancato il coraggio di responsabilizzare in maniera decisiva i Comuni dando loro la possibilità di dialogare direttamente con Bruxelles. A parere di chi scrive nella programmazione che si sta chiu-

dendo e in quella nuova manca e andava prevista la mutuazione di uno strumento fondamentale che aveva fatto le fortune della programmazione 2000 – 2006: gli strumenti URBAN per promuovere e favorire azioni complesse e multi settoriali per rivitalizzare e riqualificare le città urbane con azioni integrate rivolte alla mobilità, alla qualità della vita, al sistema delle imprese, al mondo occupazionale e alla riqualificazione urbana. Ho avuto la fortuna prima di scrivere e far approvare e poi di gestire il Programma URBAN II della Città di Caserta, 100 milioni di euro di leva finanziaria di fondi con una caratteristica saliente: il Comune dialogava direttamente con la UE senza la necessità di avere ulteriori interfacce quindi né Regione né Governo (se non per un ruolo di controllore di secondo livello da parte del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti). I livelli finanziari (spese, rendicontazioni e erogazioni), i livelli di controllo (piste di controllo e monitoraggio) e i livelli di regime sanzionatorio (disimpegno automatico delle risorse non spese e procedura di revoca ai sensi dei moduli OLAF) erano tutti su un unico piano: Comune vs UE. Questa strutturazione ha conferito all’intero programma velocità di attuazione, rapidità decisionale, e soprattutto una forte responsabilizzazione (anche per gli effetti sanzionatori eventualmente correlati) nelle strutture comunali a vantaggio della collettività che ha potuto tangibilmente constatare effettivi di ricaduta sul territorio. Negli strumenti che invece prevedevano un ulteriore livello rappresentato dalla interfaccia Regionale si sono palesati soltanto problemi e complicazioni senza alcun vantaggio concreto: risorse bloccate per il vincolo del Patto di Stabilità Interno della Regione, duplicazione dei ruoli e delle funzioni, eccessiva burocratizzazione, duplicazioni delle procedure e minore controllo delle stesse. La chiave per il futuro può e deve essere solo quella di avvicinare quanto più possibile in termini di rapporto e di procedure l’organismo erogante (Unione Europea) con il soggetto effettivamente beneficiario e destinatario degli interventi (Ente Locale e PMI): solo così i fondi strutturali potranno divenire una opportunità di sviluppo e non più un vincolo di spesa pubblica incapace di generare effetti di ricaduta sui territori. 

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OFFICINA DELLE IDEE

a cura di Raffaele Perrotta

Napoli tra Europa e Mediterraneo: il punto di vista di Andrea Cozzolino La determninazione di Renzi. I ritardi della Regione Campania. A Napoli meglio andare a votare l’anno prossimo.

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opo poche ore dalla nomina del primo governo Renzi, discutiamo con l’euro-deputato Andrea Cozzolino di Mezzogiorno, politiche fiscali, del ruolo della Campania in Europa e nel Mediterranio, del Partito Democratico e degli errori del centro sinistra in passato. L’eurodeputato Andrea Cozzolino è stato segretario del PDS a Napoli dal 1994 al 1999, eletto nel 2000 al consiglio regionale della Campania e rieletto nel 2005. Nella stessa assise dal 2005 al 2009 è stato assessore regionale all’Agricoltura e alle Attività Produttive. Nel 2009 è stato il primo eletto della circoscrizione meridionale per il Parlamento Europeo ed è impegnato, in Europa, nelle commissioni bilanci, controllo di bilancio, politiche regionali e pesca. Onorevole, finalmente si è avuta l’ufficializzazione dell’adesione del Partito Democratico con il gruppo del Partito Socialista Europeo. Abbiamo chiuso questa vicenda grazie alla determinazione di Renzi rispetto alla lunga stagione di discussione. In direzione nazionale abbiamo votato l’adesione al Partito Socialista Europeo con il solo voto contrario di Fioroni. Il nuovo Presidente del Consiglio, nel suo discorso alle Camere, non è stato ugualmente incisivo sulla questione del Mezzogiorno d’Italia. Ne ha parlato poco, dicendo che “il problema Sud è strutturale e necessita di una svolta radicale. Bisogna uscire dalla cultura della lamentazione”. Se guardiamo agli ultimi dieci o quindici anni

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notiamo che i vari governi di centrodestra o centrosinistra non hanno inaugurato alcuna politica per il Sud. Si sono sprecate molte parole ma si è fatto davvero poco. Sarà il modo di utilizzare le risorse comunitarie, gli investimenti pubblici significativi in settori strategici a consentire le crescita del Mezzogiorno. Renzi ha molte emergenze da affrontare e forse la più incombente è la fiscalità stretta imposta dall’Europa agli stati membri. Nel corso degli anni abbiamo vissuto le nostre battaglie contro il fiscal compact o il six pack in completa solitudine. Ci siamo battuti, insieme ad altri parlamentari socialisti europei, contro tutte le direttive che impongono il tema del pareggio di bilancio o di vincolo di bilancio. Però, in Italia, il PD ha votato a favore ed oggi molti nel Paese hanno dei dubbi sulla permanenza in Europa. Hanno votato a favore nel momento in cui è diventata una direttiva comunitaria anche perché un voto contrario non avrebbe cambiato la sostanza. Nel Parlamento Europeo, quelli che, oggi, si dicono euroscettici come la Lega o Forza Italia votarono insieme alla Germania della Merkel per queste misure. Sono assolutamente contento che si possa riaprire una discussione su questo tema, perché per il vincolo di bilancio, si sta sacrificando la crescita e lo sviluppo. Dobbiamo concentrare l’attenzione sui grandi mercati finanziari e sull’accumulazione di enormi ricchezze. Durante questi anni abbiamo assistito alle aperture dell’Europa verso Est, mentre si è dimostrata inadeguata a risolvere i conflitti sulle sponde del Mediterraneo.

Finalmente l’adesione al gruppo del Partito Socialista Europeo Abbiamo chiuso questa vicenda grazie alla determinazione di Renzi rispetto alla lunga stagione di discussione. In direzione nazionale abbiamo votato l’adesione al Partito Socialista Europeo con il solo voto contrario di Fioroni.


Ormai, il processo di allargamento ad Est si è concluso. Il tema del Mezzogiorno e del Mediterraneo ritorna cruciale per l’Europa. Purtroppo, però, non ci sono classi dirigenti in grado di interpretare una politica di dialogo e di rapporti più fecondi e forti con i paesi nord africani o mediorientali. L’Europa non si è dimostrata pronta a consolidare i processi democratici e ad aiutare queste economie a sostenere programmi di sviluppo e di investimento e a limitare i focolai di guerra. Abbiamo l’enorme questione siriana non ancora conclusa, il problema relativo all’area della Libia ed una situazione nel centro Africa con conflitti in corso molto delicati. L’Italia e la Campania sono in ritardo rispetto ai problemi ambientali. Gli accordi di Kyoto, la dichiarazione di Rio e il cosiddetto 20-20-20 (patto di riduzione del 20% di CO2 entro il 2020) non hanno sortito alcun effetto sulle politiche industriali, ambientali e di tutela del territorio. La Campania potrebbe essere una regione

leader per raggiungere quei target, creando una piattaforma di energie rinnovabili tra le più significative in Europa, sfruttando sole, vento e corsi d’acqua. Dov’è l’errore? La Campania è nemica di se stessa, è irresponsabile. Abbiamo preferito per molti anni un ciclo illegale di raccolta e smaltimento dei rifiuti a fronte di un ciclo industriale e legale dei rifiuti che c’è in Europa. Abbiamo consentito di utilizzare il nostro territorio come una sorta di pattumiera, favorendo un compromesso vergognoso tra criminalità organizzata ed imprese del Nord. Con una simile risposta, anche Lei potrebbe essere tacciato di colpevolezza rispetto a quanto ha detto. Non ho problemi a dire che su questo terreno il centro sinistra ha perso la battaglia e l’ha persa sulla modernizzazione, sull’avvio di un’impiantistica moderna per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. Siamo stati sconfitti da interessi criminali, dalle paure e da chi su quelle paure ha costruito movimenti che hanno generato il rinvio di decisioni, la non costruzione di impianti, il permanere dell’emergenza che mangiava emergenza. Voglio concludere con una parentesi sulle elezioni regionali e la situazione del comune di Napoli. Nel 2010, i Giovani Democratici la invitarono a candidarsi come Presidente della Regione Campania. Ero stato appena eletto al Parlamento Europeo con un enorme successo elettorale e consideravo prioritario mantenere fede a quegli impegni. L’Europa ha una grandissima influenza sulla vita economica, sociale e civile anche della Campania e di Napoli. Il problema è stata la classe dirigente che non ha saputo cogliere appieno le opportunità offerte dell’Europa. Chiudendo su Napoli, di che cosa ha bisogno la città? In questo momento Napoli va salvata ed il rischio di un default va evitato con ogni sforzo. Corriamo questo rischio perché c’è stata una crisi di De Magistris e della sua esperienza politica. Siamo alla chiusura di questa esperienza politica e credo che il prossimo anno dovremo votare contemporaneamente per rinnovare sia il Comune di Napoli che la Regione Campania. 

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OFFICINA DELLE IDEE

di Marco Staglianò

Fondi europei, il Modello Avellino da sogno a incubo Le grandi strutture vuote

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a vicenda amministrativa della città di Avellino assume connotati paradigmatici in relazione alla grande questione dell’utilizzo dei fondi europei in chiave di pianificazione strategica. A partire dalla seconda metà degli anni novanta, l’amministrazione guidata dal sindaco Antonio Di Nunno cominciò a lavorare ad un ambizioso progetto di riqualificazione urbana il cui obiettivo era quello di restituire alla città del terremoto un’identità ed una vocazione. Da un lato, si puntò a ridurre l’enorme massa debitoria con interventi risoluti sulla gestione della macchina organizzativa, dall’altra a recuperare un’interlocuzione proficua con il livello regionale per l’accesso ai fondi messi a disposizione dalla Comunità Europea. L’idea – forza era quella della messa in rete di una serie di strutture, alcune di rilevante valore storico e architettonico, da recuperare e restituire alla città, attraverso contestuali interventi di natura infrastrutturale che avrebbero consentito di rimodulare completamente i flussi della mobilità urbana, di mettere in relazione parti della città prossime l’una all’altra in termini di distanze, ma completamente slegate a causa dello sviluppo il-

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logico e disordinato determinatosi all’indomani del sisma. L’approdo sarebbe dovuto essere quello di fare di Avellino una città giardino, di trasformare il centro della città in un grande parco urbano. Quell’idea trovò concretezza, tutti i fondi necessari furono reperiti dall’amministrazione e tutte le opere previste trovarono effettivamente attuazione. Dalla riqualificazione del grande parco del Fenestrelle, un enorme polmone verde che prende il nome dal fiume che lo attraversa, all’interno del quale sono state costruite strutture quali un campo da rugby, un’enorme palestra attrezzata, una foresteria, passando per l’ex Gioventù Italiana Littorio, splendida struttura dell’Architetto del Debbio di epoca fascista che sarebbe dovuta diventare la Casa del Cinema, poi la Casina del Principe, il Convento di San Generoso, la splendida Villa Amendola, il parco di Piazza Kennedy. In mezzo, il famigerato tunnel che nell’idea originale avrebbe dovuto attraversare l’intero parco urbano, servendo l’asse est – ovest, al fine di rendere sostenibile il progetto di pedonalizzazione dell’intera area. Come detto, i soldi sono arrivati e le opere sono state in gran parte completate. Ed effettivamente, al netto

Completata la pianificazione è venuta meno la strategia Il modello Avellino s’è trasformato in un incubo. Le opere che avrebbero dovuto rappresentare i tasselli di un riscatto, i simboli stessi di una città rialzatasi dalle macerie del sisma, una città riconnessasi con la propria identità e con il proprio futuro, sono diventati i simboli del degrado e dell’immobilismo, rappresentano la prova di un fallimento che ha prodotto solo vuoto e bruttezza.


di alcuni stravolgimenti subiti dalla progettazione iniziale, il più significativo riguarda proprio il tunnel il cui tracciato è stato ridotto di molto, l’intero ventaglio di interventi messi in opera ha cambiato il volto della città. Il punto, però, è che gran parte di quelle strutture oggi, a distanza di pochi anni, sono vuote, prive di una funzione e abbandonate al degrado. Insomma, completata o quasi la pianificazione è venuto meno il senso strategico della medesima. L’amministrazione Galasso, che seguì a quella Di Nunno, avrebbe dovuto portare a compimento quel percorso di riqualificazione potendo contare su tutti i soldi necessari in cassa. E avrebbe dovuto, soprat-

tutto, riempire di contenuti quelle strutture, metterle in economia e farle vivere. Insomma, il disegno era lì, andava solo colorato. Ed, invece, è accaduto tutto quello che non sarebbe dovuto accadere. È accaduto che quel disegno integrato di città è stato completamente tradito, è accaduto che gran parte delle opere sono state sì completate ed inaugurate, ma poi abbandonate per l’incapacità di assicurarle ad una gestione sostenibile, è accaduto che sull’altare delle convenienze politiche e degli interessi da tutelare tutto s’è bloccato. Il modello Avellino s’è trasformato in un incubo. Le opere che avrebbero dovuto rappresentare i tasselli di un riscatto, i simboli stessi di una città rialzatasi dalle macerie del sisma, una città riconnessasi con la propria identità e con il proprio futuro, sono diventati i simboli del degrado e dell’immobilismo, rappresentano la prova di un fallimento che ha prodotto solo vuoto e bruttezza. E questo è capitato, banalmente, perché è venuta meno la politica. Quella stessa politica che aveva consentito a questa città di ritrovarsi in un sogno possibile, quella stessa politica che aveva saputo concepire un disegno tanto ambizioso di rinascita, che aveva saputo immaginare un futuro possibile, ha poi rinnegato quel riscatto e quel futuro, ha poi trasformato quel sogno in una speranza tradita. Ma alla politica è sempre data una nuova occasione. Per Avellino, l’occasione è rappresentata dalla nuova amministrazione guidata dal sindaco Paolo Foti. Un’amministrazione insediatasi la scorsa estate dopo una vittoria dal retrogusto amaro per l’astensione senza precedenti registratasi. Astensione, figlia della disillusione dei cittadini avellinesi, scottati da anni di delusioni e di malgoverno. L’obiettivo principe che Foti si è dato è quello di restituire ad Avellino il senso di comunità smarrito, quella coesione sociale che, oggi, non si percepisce. E la strada maestra è proprio quella di recuperare il senso della pianificazione strategica immaginata, il senso di quel disegno ambizioso. Non sarà facile, perché nel corso degli anni i problemi sono andati acuendosi, perché ci sono mille contenziosi da affrontare, perché c’è un lavoro enorme da fare. Ma è possibile, oltre che indispensabile. Il futuro della città del terremoto passa da lì, passa per il modello Avellino. 

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OFFICINA DELLE IDEE

I fondi europei servono se spesi bene L’opinione di Pittella vice presidente vicario del Parlamento Europeo di Beatrice Crisci

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ianni Pittella è parlamentare europeo dal 1999. È a Bruxelles il vicepresidente vicario. Nel corso della legislatura che sta per terminare è stato anche segretario generale della delegazione italiana al PSE, impegnandosi fortemente per l’adesione, avvenuta nei giorni scorsi, del PD al Partito Socialista europeo. Membro della Commissione Bilancio e della Commissione Ricerca, Industria, Energia, è stato relatore generale sul bilancio dell’UE nel 2006 e ha fatto parte della Commissione Speciale Temporanea per le Prospettive Finanziarie 2007-

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2013. Si ricandida nella circoscrizione Sud Italia nelle file del Partito Democratico. A Gianni Pittella, ormai uno dei maggiori esperti e conoscitori dei meccanismi che il Parlamento di Bruxelles mette in atto per le politiche di sviluppo, abbiamo chiesto di parlarci dell’utilizzo dei fondi europei, argomento di strettissima attualità. Proprio su questo tema viene spesso misurata l’efficacia dell’attività amministrativa degli enti pubblici. Occorre concentrare le risorse, evitare polverizzazioni e sprechi. Puntare sullo sviluppo dei territori. I fondi europei sono


Dal Mezzogiorno proposte concrete In questi ultimi anni la discussione culturale e politica sullo sviluppo del Mezzogiorno ha subito una decisa e preoccupante involuzione. Resto dell’idea che il tema Mezzogiorno sia uno dei principali banchi di prova rispetto al quale misurare lo sviluppo dell’intero sistema Italia. E lo si può fare solamente agganciando questo ragionamento all’Europa. Per evitare l’indebolimento dal rapporto tra Mezzogiorno e UE si deve lavorare a proposte concrete, delineando una credibile funzione per il Mezzogiorno nel nuovo contesto geopolitico euromediterraneo e mondiale.

importanti nella misura in cui sono spesi bene. Se i fondi europei devono servire alle clientele, a oleare i meccanismi del consenso sono fondi sciupati. Se i fondi vengono utilizzati per creare infrastrutture, per investire nella ricerca, per investire nella scuola, per creare la banda larga, per gli Erasmus per i giovani o per sostenere le cooperative, allora sono usati bene. Il mio impegno da sempre, ed è una battaglia che continua incessante, è quella di mettere alle spalle una spesa dei fondi europei basata sulla ricerca del consenso e invece di realizzare una nuova fase nella quale i fondi europei sono spesi per dare e costruire condizioni migliori di vita, di competizione, di coesione e di lavoro. L’Europa è amica dell’Italia. L’Europa ha nell’Italia una componente fondamentale, noi siamo un paese fondatore dell’Europa. L’Italia certamente ha un interesse suo, quello di avere i conti a posto. C’è sicuramente bisogno di superare i troppi vincoli europei per quanto riguarda gli investimenti. Una volta che i conti saranno in ordine l’Italia dovrà dire alla Commissione Europea e ai governi europei “io sono pronta a investire in alcuni settori per creare posti di lavoro perché sono un Paese in recessione e non posso permettermi il lusso di rimanere con una domanda interna così bassa, con un tasso di disoccupazione così alto, e devo ottenere una sorta di deroga, ovvero per alcuni anni non devo rispettare il 3% che ci impedisce di investire oltre una certa misura”. L’Europa deve creare sviluppo, concedere sì soldi con i fondi strutturali alle Regioni, ma deve, soprattutto, diventare un soggetto politico. Noi ci riconosceremo nell’Europa, intensamente, quando sapremo di poter eleggerne il presidente. Dobbiamo concorrere ad eleggere un Parlamento europeo che sia una camera legislativa. Ma l’Italia come deve prepararsi per svolgere un ruolo europeo significativo? È necessario semplificare le procedure amministrative, sia a livello europeo che a livello nazionale e locale. Nella pubblica amministrazione è necessario promuovere sempre più la formazione del profilo cruciale dell’europrogettista, su cui purtroppo non si sta puntando abbastanza. Infine,

vorrei rivolgere un invito alle banche e al sistema finanziario. Le banche italiane devono farsi qualche domanda sul perché non hanno aiutato la PA a utilizzare meglio i fondi europei, soffermandosi sul settore dei trasporti ferroviari. È vergognoso per il nostro Paese che l’alta velocità si fermi a Salerno e che intere regioni ne siano tagliate fuori. Lei viene dal Mezzogiorno d’Italia e si è più volte occupato dei temi riguardanti lo sviluppo di questa parte d’Italia, qual è a suo avviso il ruolo del Mezzogiorno in Europa? Non vede il rischio della marginalità e di riduzione del rapporto UE-Mezzogiorno alle sole politiche di coesione. In questi ultimi anni la discussione culturale e politica sullo sviluppo del Mezzogiorno ha subito una decisa e preoccupante involuzione. Resto dell’idea che il tema Mezzogiorno sia uno dei principali banchi di prova rispetto al quale misurare lo sviluppo dell’intero sistema Italia. E lo si può fare solamente agganciando questo ragionamento all’Europa. Per evitare l’indebolimento del rapporto tra Mezzogiorno e UE si deve lavorare a proposte concrete, delineando una credibile funzione per il Mezzogiorno nel nuovo contesto geopolitico euromediterraneo e mondiale. Il Mezzogiorno può divenire la piattaforma logistica energetica e dei saperi del Mediterraneo, divenendo così strategico anche nel quadro dello sviluppo italiano. A questa missione, occorre destinare una quantità di risorse adeguate, controllandone gli effetti e misurandone i risultati. Il Quadro Strategico Nazionale per il 2007-2013 per la destinazione di oltre 100 miliardi di euro al Mezzogiorno, tra risorse comunitarie e nazionali, rappresenta, a tal proposito, una risposta adeguata data dal precedente Governo di centrosinistra. Se non ci fosse stata l’Europa che ne sarebbe stato dell’Italia, della Spagna? Certamente l’Europa è stata fondamentale per noi, però l’Europa, così com’è oggi, è un cantiere ancora in costruzione. Noi non possiamo rimanere così. La stessa crisi che stiamo vivendo dimostra quanto l’euro è debole senza un governo dell’economia e senza un’unione fiscale. 

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QUI ED ORA

Le ragioni della fine del governo Letta e la fiducia a Renzi di Laura Puppato

* Senatrice

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d aprile 2013, nacque un governo di compromesso, nel metodo e nel merito. Enrico Letta ebbe il coraggio di guidarlo, sapendo il rischio in cui metteva la propria carriera e la propria immagine, come pre-

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mier di un esecutivo inconcludente perché bloccato da mille veti. Purtroppo, la scommessa è stata persa, come era prevedibile. Dopo un inizio che sembrava andare nella giusta direzione, il governo è dovuto sottostare ad una serie di compromessi, sempre al


Il PD si gioca tutto Abbiamo scelto di cambiare impostazione alla legislatura, per renderla costituente. Il PD ha assunto la guida del governo in maniera netta, attraverso il segretario e altri membri della dirigenza nazionale. Ha assunto su di sé, soprattutto, ogni responsabilità di successi e insuccessi futuri. Ce la faremo? Io credo di sì, per questo ho votato convinta in direzione e poi in Senato.

ribasso, che l’hanno portato a languire per mesi senza alcuna capacità di azione. Nel frattempo ha dovuto fare i conti con l’uscita di Forza Italia, ma, mi chiedo, come sia stato possibile credere nella buona fede di Berlusconi, nonché al congresso del PD, che ha rovesciato le gerarchie interne, portando in netta minoranza la dirigenza che aveva scelto quella strada. Di fatto, il governo Letta si è trovato senza l’appoggio dei due partiti principali che lo sostenevano. Quali erano le carte sul tavolo di Matteo Renzi? Sicuramente, la sua intenzione era di andare al voto il prima possibile, prima del semestre europeo, per dare al paese un governo più forte e legittimato. Ciò non è stato però possibile, stante la legge elettorale da riformare e l’impossibilità di procedere con la divisione di competenze tra le due camere. Di fatto, nei primi mesi, ha scelto di appoggiare il governo esistente, cercando di spronarlo ad agire, mentre il partito si occupava delle riforme necessarie. Così è stato, Renzi ha cercato di dialogare con il M5S che, come sempre purtroppo, ha risposto picche. Ha dovuto, quindi, parlare con Berlusconi, unico attore in campo disposto, o quanto meno sembra esserlo, a collaborare per portare avanti le riforme. Contemporaneamente l’azione di Letta (e non solo per colpa sua, anzi) si è arenata, il governo ha impiegato un anno per risolvere la questione dell’IMU, attraverso, tra l’altro, un provvedimento davvero discutibile, anche se la narrazione fatta dalle opposizioni sulla rivalutazione di Bankitalia è al limite della follia. In quella drammatica direzione (in streaming, al contrario della riunione che ha espulso in quattro senatori 5 stelle) le scelte erano tre. Andare al voto con il Porcellum, continuare con il governo Letta, aprire una nuova fase con un esecutivo guidato da Matteo Renzi. La prima scelta non era praticabile, l’attuale legge elettorale è un proporzionale perfetto, in un contesto in cui uno dei tre attori non vuole nessun tipo di alleanza, saremmo tornati al punto di partenza, perdendo almeno altri tre mesi. Nella seconda ipotesi, al perdurare del governo Letta, si sarebbe dovuta affiancare la riforma elettorale. Chi racconta di tempi brevi, racconta semplicemente il falso. La riforma avrebbe impiegato mesi per passare

e, stante il semestre di presidenza europeo e le scadenze economiche, non si sarebbe potuto andare a votare in meno di un anno. Rimaneva la terza via, la più scomoda e costosa in termini di immagine, per il partito e per lo stesso segretario. Abbiamo scelto di cambiare impostazione alla legislatura, per renderla costituente. Il PD ha assunto la guida del governo in maniera netta, attraverso il segretario e altri membri della dirigenza nazionale. Ha assunto su di sé, soprattutto, ogni responsabilità di successi e insuccessi futuri. Ce la faremo? Io credo di sì, per questo ho votato convinta in direzione e poi in Senato. Si tratta di sfruttare tre grandi occasioni. La prima è un premier giovane che ha rotto gli equilibri dell’establishment precedente, la seconda quella del parlamento più rinnovato e giovane della storia, la terza quella di un embrione di destra democratica ed europea che si sta formando nel partito di Alfano. Se riusciremo a sviluppare le potenzialità di questi tre aspetti, la scommessa sarà vinta. Certo il PD si gioca tutto, se non riusciremo, è difficile che il partito stesso rimarrà illeso. Ovviamente, pur nella convinzione, non è una fiducia in bianco, come del resto non lo è alcuna fiducia. Sono certa che Matteo Renzi sia il primo a non volere un galleggiamento ad oltranza. Le prime uscite mi rincuorano, perché è molto netto in quello che dice, ben sapendo che sono frasi che gli si ritorceranno contro se non seguite da progetti effettivi e risultati rapidi. Soprattutto avremo bisogno di momenti di verifica continui, da cui possano scaturire nuovi percorsi e rafforzamento dell’azione governativa e parlamentare. Ne ho già parlato direttamente con il Primo Ministro, che condivide la necessità di fare presto e di raggiungere accordi al rialzo e non più compromessi al ribasso. Questi i motivi che mi portano a credere in questa fase politica, nella speranza che ci sia uno scatto d’orgoglio da parte di tutti, un unico grande interesse che si chiami Italia. Questo paese ha subito troppe angherie e ritardi negli anni, oggi dipende da tutti noi, governo e forze politiche parlamentari, ridare dignità e prestigio ad uno dei paesi più importanti al mondo. 

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QUI ED ORA

INTERVISTA A FRANCESCO NICODEMO

La territorialità può creare disastri a cura di Samuele Ciambriello

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rancesco Nicodemo è responsabile del Settore Comunicazione del PD e membro della segreteria nazionale del Partito Democratico. Che pensi della staffetta LettaRenzi? Non è una staffetta che si definisce così quando uno passa il testimone, qui siamo di fronte ad una situazione ben diversa: ci trovavamo di fronte ad una condizione di stallo, di palude, come l’ha definita il segretario Renzi, e quindi ci trovavamo di fronte ad un bivio e il segretario ha preso una strada, l’unica possibile anche se era la più rischiosa. Non si poteva “puntellare” il Governo Letta? Non c’erano più le condizioni e gli stessi alleati non riponevano più tutta questa fiducia nel Governo Letta e la discussione sul se continuare a sostenerlo è partita dalla minoranza del partito e non è stata calata dall’altro dalla segreteria e il 90% della Direzione PD ha espresso la volontà di ripartire. Si apre una stagione nuova, quali sono i tre capisaldi da cui dovrebbe partire l’azione di Matteo Renzi? Andare avanti sul percorso delle riforme istituzionali: riforma elettorale, riforma del Senato e del Titolo V della Costituzione, abbiamo a disposizione più tempo e questo mette anche in condizione i deputati e i senatori di lavo-

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rare con più serenità. Assolutamente centrale il Jobsacts che abbiamo già predisposto e che sarà tema di governo, il tema della scuola che il vero settore da cui deve ripartire questo Paese e poi la questione dirimente dei costi della politica. Non pensi che ci sia sui tagli ai costi della politica un atteggiamento farisaico? Indubbiamente sì, per farlo occorre mettere al centro due parole: sobrietà e accountability; il tema riguarda moltissimo le Regioni e le vicende dei rimborsi ai consiglieri regionali, malcostume che riguarda tutta l’Italia, dal Piemonte alla Sicilia. Bisogna avere il coraggio di dire che la riforma del titolo V che risale a più di dieci anni fa è stata un errore. Nello scorso numero di Link abbiamo messo in copertina Renzi titolando “Un uomo solo al comando”, è un uomo solo al comando il nostro Presidente del Consiglio? Non è proprio così, lui è uno che corre moltissimo ed è difficile stargli in scia, sta rinnovando il partito con una squadra completamente nuova; lo farà anche al Governo ed è un bene per la democrazia italiana, il fatto che ci stia mettendo così tanto la faccia in questa fase. Ci sono state un po’ di polemiche sui sottosegretari. Il caso De Luca. Napoli non ha avuto rappresentanti

né del partito, né del mondo dei saperi e delle professioni vicino al partito... Non credo che la presenza o meno di un napoletano in più o meno renda più o meno centrale il tema Napoli per l’esecutivo. La territorialità non è un criterio prevalente, lo è stato nel passato e ha creato disastri. Ma pur ammettendo che possa essere un criterio, davvero è cresciuta una classe dirigente in questi anni in grado di metterci la faccia per cambiare il Paese? oppure è la solita scusa per chiedere caselle e poltrone in nome di correnti e sub-correnti? Se smettessimo di lamentarci e di delegare sempre ad altri la responsabilità dei nostri disastri, già questo sarebbe un primo passo per provare a costruire un nuovo gruppo dirigente. Per chiudere su Napoli, il sindaco De Magistris vuole dialogare con il PD. Che segnale deve dare al suo partito. O e meglio andare a votare il prossimo anno, anche a Napoli, insieme alle regionali? De Magistris deve essere in grado di dimostrare che l’ulteriore fiducia accordata con il decreto sul dissesto, fiducia accordata per il bene di Napoli, non è riposta invano. Ha qualche mese per mettere mano alle dismissioni, alle riscossioni, e alla gestione delle partecipate. Ecco a me interessa che si faccia qualcosa per la città. Dopodiché credo che quell’esperienza con cui è stato eletto sindaco sia terminata, il PD deve costruire l’alternativa rimettendo le mani nella carne viva della società napoletana. Siamo pronti come democratici a correre di nuovo per Palazzo San Giacomo. 


INTERVISTA A GIANCARLO GIORDANO (SEL)

Come cambia le prospettive il governo Renzi Palazzo Chigi ci racconta del cinismo della politica a cura di Marco Staglianò

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l cambio di guardia a Palazzo Chigi, le possibili trasformazioni della geografia parlamentare e relative conseguenze, i destini e le prospettive di questa legislatura. Ma, anche le elezioni europee, la sfida per un’Unione finalmente fedele allo spirito dei Padri Costituenti, un’Europa finalmente dei popoli e dei diritti mai più schiava del determinismo finanziario. Di tutto questo abbiamo ragionato con Giancarlo Giordano, deputato irpino di Sinistra Ecologia e Libertà. Onorevole, in che misura la nascita del governo Renzi cambia la prospettiva di questa legislatura? Difficile rispondere a questa domanda. Renzi è certamente un elemento di destabilizzazione del quadro politico e l’intera vicenda che lo ha condotto a Palazzo Chigi ci racconta del cinismo della politica. Renzi ha utilizzato il PD come trampolino per Palazzo Chigi e la via gli è stata spalancata dagli errori di Enrico Letta. Il quale ha preferito temporeggiare piuttosto che passare al contrattacco e, temporeggiando, ha condannato il suo governo ad

una fine per consunzione. Ma la verità vera è un’altra, ed è tutta nella debolezza del PD. Quella alla quale abbiamo assistito non è stata una crisi di governo, ma una crisi del principale partito di governo. Il PD, questa è la verità, o governa o non esiste. Lei, ovviamente, non ha votato la fiducia. Tuttavia, converrà sul fatto che questo governo rappresenta l’ultima spiaggia… Il punto è che questo è un governo politico e non più di scopo. Mentre Letta individuava nelle larghe intese una necessità contingente e funzionale, Renzi le ha rese strutturali. Certo, la speranza è che Renzi riesca ad imprimere la svolta necessaria, ovvero a sbloccare il Paese, ma i compagni di viaggio del premier sono i medesimi che accompagnavano Letta. Però i compagni di viaggio potrebbero cambiare. Proprio mentre io e Lei parliamo vanno configurandosi nuovi scenari. La fuoriuscita di una cospicua pattuglia di senatori dal gruppo Cinque Stelle apre all’ipotesi della formazione di un nuovo gruppo a sinistra del PD, del quale dovre-

Letta ha preferito temporeggiare Renzi ha utilizzato il Pd come trampolino per Palazzo Chigi e la via gli è stata spalancata dagli errori di Enrico Letta. Il quale ha preferito temporeggiare piuttosto che passare al contrattacco e, temporeggiando, ha condannato il suo governo ad una fine per consunzione.

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ste far parte anche voi insieme a Pippo Civati e i suoi, che determinerebbe la nascita di un’alternativa percorribile alle larghe intese. Insomma, un Nuovo Centrosinistra che andrebbe a sostituire il Nuovo Centrodestra di Alfano… È ancora troppo presto, vedremo. Nel frattempo, mi limito ad osservare che quanto sta accadendo corrisponde ai nostri auspici, va consumandosi il fallimento di Grillo e di un’idea regressiva della politica e della partecipazione. Anche qui è facile rilevare come tutto discenda dalla forza destabilizzatrice di Matteo Renzi. Tutto nasce da quella diretta streaming, lì si è consumata la svolta e credo che, sul lungo periodo, l’approdo di questo processo potrebbe essere quello di una destabilizzazione complessiva del quadro politico così come oggi lo conosciamo Si spieghi meglio… Qualora Renzi dovesse trovarsi nelle condizioni di dover scegliere tra gli attuali equilibri di maggioranza ed un centrosinistra puro a forte trazione riformista si aprirebbe una partita potenzialmente letale per l’attuale ordine politico. Le larghe intese rappresentano per il Pd l’alibi per non scegliere, per non sciogliere quei nodi identitari che ne fanno un non luogo politico. Venuto meno quell’alibi con l’emergere di un’alternativa alle larghe intese il Pd non potrebbe più fuggire rispetto a tematiche sulle quali un partito di sinistra dovrebbe definire la sua identità. Pensiamo ai temi etici, ai nuovi diritti, all’esercizio della laicità. Difficilmente il Pd, questo Pd, potrebbe sopravvivere. Su di uno schema del genere potrebbe davvero consumarsi la fine della transizione perché se implode il Pd implode l’intero sistema Veniamo all’Europa, ci spieghi la posizione di Sel. Voi sostenete Tsipras, il leader della sinistra greca, ma non in una chiave di rottura con il Socialismo europeo… Sì, noi sosteniamo la necessità di cambiare questa Europa, vogliamo sperimentare un percorso di radicale cambiamento perché riteniamo che l’Unione di oggi rappresenti una gabbia per i popoli mentre noi vogliamo che l’Europa torni ad essere la culla della democrazia. E non riteniamo,

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pur rifacendoci agli ideali del Socialismo europeo, che la candidatura di Martin Schulz corrisponda a queste esigenze. Perché? Perché in questi anni il Socialismo europeo, se si vuole tedesco, s’è mostrato prudente rispetto all’egemonia liberista, si è mosso su di un crinale moderato assecondando l’egoismo incarnato dalla signora Merkel. Lo stesso schema delle larghe intese trova genesi proprio in Germania ed è uno schema che comprime le differenze, spinge verso la rinunzia ideale. La domanda alla quale dovremmo rispondere è: quale Europa vogliamo? La nostra risposta è che dinanzi ad una crisi epocale come quella che purtroppo viviamo da anni, una crisi anche peggiore di quella del 29 proprio perché non lascia vie d’uscita, non c’è alternativa ad un approccio radicale, ad una visione di ampio respiro che punti a ribaltare completamente gli schemi egemoni, che punti a ribaltare la scala gerarchica delle priorità e degli obiettivi. Non ci può essere spazio per moderatismi di sorta e la nostra battaglia è funzionale proprio a spingere il socialismo europeo a riscoprire il proprio senso, la propria natura e la propria prospettiva politica. 

Cambiare l’Europa con Tsipras Sì, noi sosteniamo la necessità di cambiare questa Europa, vogliamo sperimentare un percorso di radicale cambiamento perché riteniamo che l’Unione di oggi rappresenti una gabbia per i popoli mentre noi vogliamo che l’Europa torni ad essere la culla della democrazia. E non riteniamo, pur rifacendoci agli ideali del Socialismo europeo, che la candidatura di Martin Schulz corrisponda a queste esigenze.


di Nicola Oddati

Renzi e l’ingresso nel PSE Il primo atto affrontatato con una semplicità disarmante

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inalmente, a sette anni dalla sua nascita e dopo numerosi ostacoli e scontri politici interni, il Partito Democratico italiano è entrato ufficialmente all’interno della grande famiglia socialista, democratica e progressista europea, riunita nel Partito del Socialismo europeo. Fin dalla sua fondazione il PD aveva vissuto questo tema come un elemento di scontro tra l’anima cattolica e popolare proveniente dalla Margherita e dalla storia della DC e l’anima di sinistra proveniente dai partiti eredi del PCI. Ovviamente, a ben vedere, questa contrapposizione aveva fin dalle origini pochissime ragioni di esistere. Nel momento stesso in cui la Margherita aveva deciso di co-fondare il PD, aveva scelto da che parte stare in Europa: con le forze progressiste e di centro-sinistra, tutte schierate, a livello europeo, nel PSE. E tuttavia, per sette anni così non è stato, al punto da alimentare dibattiti e scontri interni e per-

fino tratti identitari in alcune componenti di sinistra interne al PD. Ovviamente, come lo stesso Renzi ha riconosciuto durante il congresso del PSE tenutosi a Roma in questi giorni, I precedenti segretari, e in particolare D’Alema, Fassino e Bersani, avevano fatto dei piccoli passi in avanti, innanzitutto collocando parlamentari europei italiani del PD nel gruppo socialista; però, questa è la realtà dei fatti, a sciogliere finalmente questo nodo e a portare il PD nel PSE è stato il primo segretario di estrazione cattolico popolare. Nei due anni che sono alle nostre spalle uno dei principali argomenti di contrapposizione a Renzi è stato quello di essere eccessivamente “moderato”, poco di sinistra. Molti, me compreso, hanno sostenuto che avrebbe spostato troppo verso il centro l’asse dell’unico grande partito popolare e di sinistra che esiste in Italia. Dovremo ancora vedere il nuovo segretario e Premier alla prova del Governo: saranno le scelte che farà a dirci

Un lungo cammino D’Alema, Fassino e Bersani, avevano fatto dei piccoli passi in avanti, però, a sciogliere finalmente questo nodo e a portare il PD nel PSE è stato il primo segretario di estrazione cattolico popolare.

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Renzi e il PSE Sicuramente la rapidità con cui ha agito Renzi è anche dovuta all’avvicinarsi del semestre di Presidenza italiana e delle elezioni europee. Tuttavia, se attribuiamo un senso ai simboli, ebbene il fatto che il primo suo atto rilevante da segretario sia stata la proposta di entrare nel PSE e il suo primo discorso da premier sia stato pronunciato nel congresso del PSE, ha un valore simbolico piuttosto elevato.

quanto sia di centro e quanto di sinistra la sua azione di governo. Tuttavia, questo primo atto, affrontato con una semplicità disarmante e senza tentennamenti dopo sette anni d contorcimenti, è molto indicativo e importante. E lo è anche il discorso che Renzi ha tenuto davanti alla platea dei delegati del PSE. Una nuova Europa meno tecnocratica e burocratica, più attenta allo spread sociale che a quello economico, non nemica e ostile ai piccoli produttori che la popolano, che abbia come fondamento la scuola e l’istruzione. Concetti elementari, nulla di trascendentale o epocale. Però c’è un segno politico: la consapevolezza che questi parole avranno un senso per l’Europa se lo avranno anche per l’Italia. Sicuramente la rapidità con cui ha agito Renzi è anche dovuta all’avvicinarsi del semestre di Presidenza italiana e delle elezioni europee. Tuttavia, se attribuiamo un senso ai simboli, ebbene il fatto che il primo suo atto rilevante da segretario sia stata la proposta

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di entrare nel PSE e il suo primo discorso da premier sia stato pronunciato nel congresso del PSE, ha un valore simbolico piuttosto elevato. Possiamo darne una lettura ambivalente: si tratta di uno scherzo del destino; il primo segretario che non viene dalla sinistra, ci porta finalmente nella sinistra europea. O potrebbe essere il segno dell’azione di Renzi: è un politico pragmatico, che sceglie senza tentennamenti e con velocità la strada più logica e densa di risultati. Penso che la lettura giusta sia questa seconda. Renzi ha imposto al PD una mutazione epocale, o, se vogliamo, genetica. Siamo passati dalla tastiera al touch screen, abbiamo cambiato pelle e velocità, abbiamo relativizzato il nostro tempo e la nostra storia. Tutto positivo? No. Bisognerà vedere nel medio periodo, come avrebbe detto Keynes, chi sarò morto e chi sarà vivo e, soprattutto, cosa di buono avremo fatto per l’Italia e l’Europa. Però è un buon inizio. 


di Nicola Graziano

Una nuova legge elettorale nata dall’intesa Renzi-Berlusconi L’obiettivo dichiarato è quello di garantire la rappresentanza e la governabilità del Paese

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a ci riusciranno i nostri politici? Ed ancor prima occorre chiedersi se l’idea partorita dall’incontro tra Renzi e Berlusconi, e che praticamente ha dato vita ad un’accelerazione della fine del governo Letta, sarà mantenuta integra attraverso il passaggio parlamentare che si presenta pieno di inside e trabocchetti. Con il presente articolo (che viene licenziato nel giorno in cui sta per iniziare alla Camera dei Deputati la seduta n. 182 il cui ordine del giorno prevede l’esame delle Disposizioni in materia di elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica) si cercherà di fornire un quadro (che necessariamente è destinato a cambiare per i già notevoli e rilevanti annunciati emendamenti al progetto di legge in discussione alla Camera) delle novità previste dall’Italicum (nome questo diretta-

mente attribuito al disegno di legge dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi) che poi nasce come rimedio alla decisione della Corte Costituzionale che lo scorso 4 dicembre ha stabilito l’incostituzionalità della legge elettorale meglio nota come “Porcellum”. I Giudici delle Leggi, infatti, nel fornire un quadro di indirizzo per il Legislatore per la stesura di una nuova legge elettorale e nel precisare, nel contempo, che non ci può essere un modello di legge elettorale imposto dalla Corte Costituzionale, hanno definito come “distorsivo” il premio di maggioranza previsto dal Porcellum perché “foriero di una eccessiva sovra – rappresentazione” non imponendo “il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista”. E hanno aperto alle liste bloccate corte previste dal modello spagnolo, senza bocciare gli altri due modelli pure messi in campo quali il Mattarellum cor-

Governabilità Ma ci riusciranno i nostri politici? Ed ancor prima occorre chiedersi se l’idea partorita dall’incontro tra Renzi e Berlusconi, e che praticamente ha dato vita ad una accelerazione della fine del governo Letta, sarà mantenuta integra attraverso il passaggio parlamentare che si presenta pieno di inside e trabocchetti.

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retto e doppio turno sul modello dei Sindaci. Per la verità l’effetto della sentenza non sarebbe stato la reviviscenza del Mattarellum, ma un sistema simile a quello in vigore nella prima Repubblica, fino alle elezioni del 1992 e cioè un proporzionale con la possibilità di esprimere una preferenza e ciò perché la Corte Costituzionale, nel prevedere la illegittimità costituzionale sia del meccanismo del premio di maggioranza che scatta a prescindere dai voti raccolti (a livello nazionale alla Camera e Regione per Regione al Senato) sia del meccanismo delle liste bloccate nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza, aveva immaginato un sistema proporzionale Mattarellum, Porcellum, puro depurato del preConsultellum e Italicum tanti mio di maggioranza, precisando che le premodelli per una legge scrizioni su preferenze e i listini fissi elettorale che sarà sempre potevano essere amcondizionata da esigenze messi nella misura in cui propongono pochi politiche piuttosto che dalla nomi all’elettore (in necessità di prevedere regole pratica il modello spagnolo proporzionale chiare e efficienti con piccole circoscrizioni ciascuna delle quali elegge un minimo di quattro e un massimo di cinque deputati perché si prevede “un numero dei candidati talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi”). Ne derivava il Consultellum (così è stato chiamato quello che residuava della legge elettorale derivata dalla decisione della Corte) al quale, però, la coppia Renzi – Berlusconi ha dato una risposta nell’accordo che ha partorito l’Italicum. Mattarellum, Porcellum, Consultellum e Italicum tanti modi di essere di una legge elettorale che da sempre e per sempre sarà travagliata ed attraversata da esigenze politiche piuttosto che dalla necessità di prevedere regole chiare e efficienti per garantire quanto già sopra detto in termini di rappresentatività e governabilità del Paese. Ma se questo è lo stato dell’arte, giova ana-

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lizzare i punti salienti del nuovo sistema Italicum che si snoda tra proporzionale, premi di maggioranza, soglie di sbarramento, circoscrizioni provinciali e doppio turno elettorale e che costituisce un punto di incontro tra diverse visioni di un modello di legge per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Proprio sulla scia delle indicazioni ricavabili dalla sentenza della Consulta è stato previsto un modello elettorale ispirato al sistema spagnolo che è proporzionale ma su base nazionale e con la regola dei resti più alti per favorire, sia pure per differenza i partiti più piccoli. Si prevede, inoltre, la soglia di sbarramento dell’8% i partiti che hanno scelto di andare alle elezioni in modo solitario mentre i coalizzati devono raggiungere la soglia del 4,5% e le coalizioni il 12%, con l’eccezione della c.d. norma salva Lega


La base della nuova legge elettorale La caratteristica principale, nasce per dare una necessaria risposta alla decisione della Corte Costituzionale, oltre che della importante previsione di una stringente regola sulle quote rosa, prevede è il premio di maggioranza per garantire la governabilità del Paese.

che prevede che i partiti che ottengono il 9% in almeno tre Regioni rientrano comunque in Parlamento. Sempre inspirandosi ai suggerimenti della Consulta, l’Italicum prevede la delega al Governo per la revisione delle circoscrizioni elettorali che vengono ipotizzate in dimensione minore e che passano da 27 a 120 (ogni collegio per circa 500.000 abitanti) nel quale verranno presentate liste bloccate con un numero da 3 a 6 candidati in modo da poter stampare direttamente sulla scheda i nomi e consentire una immediata e più agevole individuazione dei candidati che, però, continueranno ad essere dei nominati o prescelti (che dir si voglia) perché non è prevista la indicazione delle preferenze. La caratteristica principale della nuova legge elettorale, che nasce direttamente da una necessaria risposta alla decisione della

Corte Costituzionale, oltre che della importante previsione di una stringente regola sulle quote rosa (nessuno dei due sessi potrà essere rappresentato in misura del 50%) è la previsione del premio di maggioranza ovvero in mancanza del doppio turno per garantire la governabilità del Paese. Infatti si prevede che se il partito o la coalizione più votata dovesse ottenere almeno il 37% dei voti, otterrà un premio di maggioranza. Il premio sarà massimo del 15% il partito o la coalizione più votata arriverà quindi almeno al 52% (320 seggi) ma il premio di maggioranza non potrà portarlo oltre il 55%, ovvero 340 seggi su 617 (ad esempio se un partito ottenesse il 45% dei voti, otterrebbe un premio del 10%, arrivando comunque al 55%). Se, invece, nessun partito o coalizione arrivasse al 37% scatterebbe un secondo turno elettorale per assegnare il premio di maggioranza. Accederebbero al secondo turno i due partiti o coalizioni più votati al primo turno, e il vincente otterrà un premio di maggioranza tale da arrivare al 53% dei seggi (327 deputati) ma fra il primo e il secondo turno non sono possibili apparentamenti, a differenza del modello elettorale per i sindaci. Infine, i candidati (di solito i leader di partito) potranno essere inseriti nelle liste in più di un collegio elettorale, come già succedeva nel Porcellum, ma l’ipotesi però è di non consentire che lo stesso candidato si presenti in più di 3-4 collegi. Restava un’ultima questione che si agita nelle Aule parlamentari. In attesa della riforma che dovrebbe abolire il Senato, il disegno di legge prevede un sistema elettorale identico a quello della Camera, con un premio di maggioranza per arrivare a 169 senatori o (163 senatori in caso di ballottaggio), ma chi non ha intenzione di andare a votare presto ed, invece, preferisce attendere le elezioni del 2018, vuole collegare la riforma all’abolizione del Senato e cioè la riforma elettorale alle riforme istituzionali. È della serata la notizia della previsione di uno stralcio sostanzioso al disegno di legge elettorale che non contempla più le regole per l’elezione dei Senatori, tanto, per dirla con le parole del Premier Renzi, il Senato sarà presto abolito. Chissà. Si vedrà. 

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INTERVISTA A GIANNI LETTIERI

Basta assistenzialismo al Sud “De Magistris? più che rivoluzione, è stata una tragedia” a cura di Marcello Curzio

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n decreto non è sufficiente a risolvere i disastri causati dall’amministrazione De Magistris. Napoli e il governo Renzi? Vuole la verità? Ho il timore che con il nuovo esecutivo capitanato da Matteo Renzi il Sud resti marginale e lo stesso dicasi, ovviamente, per Napoli e la Campania. La questione non è quanti ministri siano del Sud, ma quanto la classe dirigente del Mezzogiorno riesca a fare sistema... Non ha peli sulla lingua, il capo dell’opposizione di centrodestra al consiglio comunale di Napoli, Gianni Lettieri. L’ex numero uno di palazzo Partanna, infatti, “si auspica che uno dei primi provvedimenti sia mirato al Meridione, perché c’è una necessità urgente di far ripartire lo sviluppo I problemi qui al Mezzogiorno restano. La disoccupazione in alcune regioni del Meridione è il triplo di quella del Nord. Addirittura quella giovanile in Campania supera il 50%. E così in Sicilia, Calabria, Puglia. L’interesse per il Sud è tanto forte che l’ex sindaco di Firenze ha addirittura abolito il Ministero della Coesione territoriale, la cui unica colpa è stata forse quella di scoprire che i soldi destinati al Sud finivano invece al Nord. Dati scottanti che forse non possono venire fuori. Si è scoperto per esempio che, dei fondi per il Mezzogiorno, il 73% è stato dirottato al Nord; che la Lombardia, da sola, ha avuto più progetti finanziati delle otto regioni meridionali messe

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insieme. Un attimo di pausa, e poi Lettieri aggiunge: solo due ministri sono del Sud, nessun campano. Non è un bel segnale. Poi lancia l’affondo: un decreto non è sufficiente a risolvere i disastri causati dall’amministrazione De Magistris, è solo un modo per prolungare un’agonia le cui conseguenze ricadranno sulle tasche dei napoletani per i prossimi dieci anni. Ma Renzi ha detto che con lui a palazzo Chigi la “musica cambia”… Credo che la mossa di Renzi sia stata una forzatura. L’ho detto prima che venisse formalizzato il governo e lo ribadisco oggi. Auspicavo un percorso più lineare, che passasse attraverso la riforma della legge elettorale e le elezioni. Ciò non è avvenuto ed ora non resta altro che augurarsi che tra i primi atti del governo Renzi ci siano azioni mirate per il Sud, per la Campania e per Napoli in particolare. Però, ad onor del vero, da Roma non vedo segnali incoraggianti in arrivo. Penso, ad esempio, ad una cabina di regia interistituzionale in grado di intervenire sui governi locali che non spendono o non spendono bene. L’Italia non uscirà dalla crisi se non cresce il Sud, unica area a presentare ampi margini di sviluppo. Che fare allora? Inutile girarci attorno. È un decreto inutile, così si prolunga l’agonia della città. Napoli deve tornare ad essere la capitale della bellezza, tiriamo via la cenere e liberiamo la no-

Renzi dimentica il Mezzogiorno Solo due ministri sono del Sud, nessun campano. Non è un bel segnale. Poi lancia l’affondo: un decreto non è sufficiente a risolvere i disastri causati dall’amministrazione de Magistris, è solo un modo per prolungare un’agonia le cui conseguenze ricadranno sulle tasche dei napoletani peri prossimi dieci anni.


stra energia, dobbiamo dire basta alla paura di vivere in una Napoli insicura e degradata. Da imprenditore ho accettato la richiesta di candidatura a sindaco, dopo le elezioni sono rimasto in consiglio comunale a guidare l’opposizione. Al di là di tutto, io ero, sono e resto in campo per la mia città. L’unica rivoluzione di cui c’è bisogno è quella del fare. È il Lettieri di sempre quello che parla a trecentosessanta gradi. Con il tipico pragmatismo e l’ancestrale voglia di fare. E con questo DNA, tra la fine di febbraio e i primi di marzo, ha organizzato a Città della Scienza a Napoli la due giorni #PrimaNapoli, Assise Generale, promossa e organizzata dall’associazione Fare Città. L’evento è stato realizzato grazie alla collaborazione con il think tank under 35 Giovani in Corsa, ed ha riunito giovani, professionisti, imprenditori, associazioni civiche e di categoria. Quindi, Lettieri, basta assistenzialismo al Sud… Si e in quest’ottica abbiamo deciso di organizzare una due giorni con un format innovativo

e dinamico, e non un singolo appuntamento che si esaurisce nel giro di 2 o 3 ore. L’Assise Generale, che replicheremo ogni anno, individuerà ed affronterà i temi ed i problemi centrali della quotidianità. Tutti insieme al lavoro per Napoli e per il Mezzogiorno, perché questo è il momento del fare. Già, il momento del fare. In che modo? Bisogna dire basta alle inefficienze, alle spartizioni di poltrone, all’incompetenza che diventa regola, a una maggioranza che non è più politica bensì di facciata”, questi sono i punti principali del discorso di Gianni Lettieri. “Noi con Fare Città siamo i promotori, ma questa Assise è il primo passo per un progetto più ampio, che vada al di là delle singole sigle e dei singoli contenitori. C’è bisogno di coralità, di confronto e di concretezza. Da troppo tempo Napoli ed il Mezzogiorno sono in bilico tra l’immensa bellezza e gli immani disagi. Forse una legge speciale per Napoli avrebbe salvato la città. Certamente. Quando io proponevo la legge speciale per Napoli, in accordo con il Governo, de Magistris dichiarava in ogni sede che Napoli non ne avesse bisogno e che lui da solo sarebbe riuscito a risolvere ogni problema. Poi abbiamo visto che, invece, l’ex pm ha richiesto proprio una legge speciale al presidente Napolitano e adesso chiede aiuto a Renzi. Questa è l’ennesima dimostrazione che il populismo e i proclami sono una cosa, ma amministrare seriamente la città è tutt’altra storia, quella di de Magistris non è una rivoluzione, ma una tragedia. Il bilancio 2013 del Comune è poi stato approvato, ma la Corte dei Conti ha bocciato il 20 gennaio 2014 il piano di riequilibrio finanziario pluriennale deciso dal sindaco de Magistris per rientrare da un debito di 1,4 miliardi di euro entro il 2022. Un’impresa assai ardua, se non addirittura impossibile. In particolare, nel mirino dei giudici contabili, è finito il piano di dismissioni del patrimonio comunale che dovrebbe fatturare 750 milioni di euro in dieci anni», pari a 7,5 milioni l’anno. Il piano, secondo i giudici, «non avrebbe un cronoprogramma abbastanza credibile» e poi «le società partecipate, mai seriamente snellite, ammontano a una quindicina, proliferano i bilanci in passivo e gli impiegati rappresentano la metà dei 18.500 dipendenti comunali. 

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INTERVISTA A DOMENICO ZINZI

Un segnale di speranza e riscossa per Caserta Da terra di lavoro a terra dei fuochi a cura di Beatrice Crisci

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ui è un “cavallo di razza”, l’ultimo esponente con incarichi istituzionali di quella che è stata la stagione d’oro della Democrazia Cristiana. Fine tessitore, attento osservatore dei mutamenti politici, dotato di un intuito eccezionale, ma anche uomo cordiale, brillante, sensibile ai temi della solidarietà e dell’innovazione, Domenico Zinzi, il chirurgo Domenico Zinzi, è protagonista da più di quaranta anni delle vicende politiche di Terra di Lavoro. Nei suoi rapporti con la stampa si rende sempre disponibile. Ha accettato subito di buon grado l’intervista, sorriso sulle labbra, ma tanta consapevolezza di essere un leader indiscusso in Campania. Lei è l’esperienza politica fatta persona: presidente del Consiglio regionale della Campania, assessore e consigliere regionale, parlamentare, sottosegretario alla Salute e presidente della Provincia di Caserta. Qual è stato il ruolo più congeniale a lei e che cosa le è rimasto di ciascuna di queste esperienze? Io ritengo che la politica debba estrinsecarsi attraverso un impegno forte. In questo senso parto da quelle istituzioni che sono più vicine al territorio e toccano più direttamente i problemi della gente e che vanno affrontati nell’immediato. Parto dalla Provincia, dunque, che per me rappresenta l’esperienza che mi ha visto più direttamente partecipe

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nella risoluzione di determinati problemi. Subito dopo c’è la mia esperienza di assessore e consigliere regionale, che mi ha visto impegnato su diverse materie. Ma anche da presidente dell’assise regionale mi è stata data la possibilità di poter lasciare traccia del mio impegno e, dunque, anche quel periodo lo ricordo con grande chiarezza, sia per le cose accadute sia per quelle che sono riuscito a fare per l’intera regione Campania. L’esperienza di parlamentare poi è stata certo esaltante, ma non senza momenti di difficoltà. Ho sempre fatto la mia parte, esprimendo sempre ciò che pensavo, ho cercato di dare il mio contributo, soprattutto nel periodo in cui ho avuto il piacere di essere sottosegretario alla Salute e quindi anche in virtù di quel ruolo ho cercato di produrre delle mie iniziative interpretando al meglio anche da medico il ruolo che ricoprivo. Caserta da Terra di Lavoro a Terra dei Fuochi. Perché non c’è stata prevenzione? Non si poteva evitare tutto ciò? E in che modo? Io credo che si potesse sicuramente evitare. Tutto si può e si deve evitare. Noi usiamo il termine prevenzione non a caso. Bisogna però anche dire, e lo sottolineo con molta convinzione, che io la mia parte l’ho fatta relativamente alla provincia di Caserta. Nell’intera provincia di Terra di Lavoro, vale la pena evidenziarlo, abbiamo fatto un gran lavoro soprattutto in materia ambientale. È

La politica è impegno Parto dalla Provincia, dunque, che per me rappresenta l’esperienza che mi ha visto più direttamente partecipe nella risoluzione di determinati problemi. Subito dopo c’è la mia esperienza di assessore e consigliere regionale, che mi ha visto impegnato su diverse materie. Ma anche da presidente dell’assise regionale mi è stata data la possibilità di poter lasciare traccia del mio impegno e, dunque, anche quel periodo lo ricordo con grande chiarezza.


stato questo un settore cui ho dedicato molta energia, senza trascurare nulla. A prova di ciò basta confrontare questo periodo di oggi con quello in cui arrivavano nel resto della Regione i camion per sversare rifiuti. Questo oggi non accade più. Oggi invito tutti a dare un’occhiata al territorio, a Ferrandelle o a San Tammaro, per guardare il buon lavoro che sta facendo la Provincia, perché tutte quelle montagne di rifiuti sono scomparse, ciò a dimostrazione del buon lavoro fatto. Mi auguro che tutto questo lavoro si uniformi con il resto della Regione Campania. La nostra società provinciale, ovvero la Gisec, si sta muovendo in maniera spedita e mi piace aggiungere che si tratta di una società sana ed efficiente. Presidente, recentemente lei ha scritto al Santo Padre rivolgendogli un appello relativamente al Macrico, area verde in prossimità del centro storico del capoluogo di proprietà dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, che in passato è stata utilizzata da personale militare e che ha una superficie di

oltre 324mila mq. Un’area oggetto di tante polemiche! Questa lettera l’ho scritta dopo una approfondita meditazione. Ricordo che quest’area rappresenta un’importante cerniera tra il centro storico e i quartieri residenziali della città, nonché uno straordinario “polmone verde” che potrebbe diventare uno splendido parco urbano, un’oasi di verde pubblico a beneficio di bambini, famiglie, anziani. Un patrimonio immenso a favore della comunità. Al momento, l’area risulta chiusa e inutilizzata. Ci sono state diverse proposte di acquisto rivolte all’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero (proprietario dell’area), che ha richiesto la notevole somma di circa 35 milioni di euro. La volontà mia personale, dell’Istituzione che rappresento e della stragrande maggioranza dei cittadini, riunitisi anche in associazioni e comitati a favore del “Macrico Verde”, è quella di regalare alla comunità uno spazio di socialità e di aggregazione. Ciò appare particolarmente urgente in un momento in cui, invasi dalle opere improntate ad uno sviluppo sfrenato dell’edilizia, molto spesso si dimentica l’importanza per i cittadini di avere a disposizione un’area dove ci si possa semplicemente incontrare e dove le famiglie possano sentirsi nel “salotto della città”. Mi sono, dunque, rivolto al Santo Padre conoscendo la Sua grande sensibilità nei confronti dei cittadini e delle realtà territoriali del nostro amato Paese, confidando nel Suo interesse nei riguardi di una provincia come la nostra, martoriata nei decenni scorsi sotto il profilo ambientale e tristemente nota come “Terra dei Fuochi”. Ho chiesto a Sua Santità di prendere a cuore la questione, sollecitando l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero a risolvere la vicenda. Ho chiesto al Papa un grande dono per la città di Caserta e l’intera provincia che rappresento. Ho chiesto a Lui di regalare il Macrico alla città! Sono convinto che il Suo messaggio di Pastore delle anime possa arrivare con forza ai vertici dell’Istituto Diocesano, convincendo loro che, in questo momento, Caserta e i suoi cittadini non hanno bisogno di un’operazione di carattere economico ma di un grande segnale di riscossa e di speranza. 

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APPROFONDIMENTI

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di Daniela Vellutino

* Docente di “Comunicazione pubblica e linguaggi istituzionali” all’Università degli Studi di Salerno

Dove si parla e si scrive l’italiano istituzionale? Il burocratese è un vero e proprio ostacolo

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el Bel Paese da tempo cerca di affermarsi una varietà della lingua nazionale funzionale alla comunicazione tra pubblica amministrazione e cittadini che dovrebbe essere parlata anche da coloro che abitano le istituzioni, amministratori e amministrativi. Una varietà non distante dalla lingua comune, ma anche ricca di terminologie specialistiche, tante quanti sono i saperi su cui si fonda la nostra società che le istituzioni disciplinano e che utilizzano per governare. Una varietà di lingua con termini noti ad esperti, usati per rendere certe le leggi, per evitare le ambiguità semantiche tipiche del lessico della lingua comune, ma che poi devono essere semplificati e resi comprensibili al grande pubblico da chi deve comunicare in nome e per conto delle istituzioni. Questa varietà della lingua è l’italiano istituzionale. Una varietà di lingua che già da tempo dovrebbe aver battuto il “burocratese”, cioè quella che più ostacola il rapporto fra i cittadini e la Pubblica Ammi-

nistrazione. L’italiano istituzionale dovrebbe debellare anche l’altra varietà della lingua scritta e parlata nelle aule del nostro Parlamento e nelle stanze di Palazzo Chigi, il “politichese”. “Burocratese” e “Politichese” hanno in comune il suffisso nominale “-ese”, che in italiano indica “essere abitante”, che qui assume valenza dispregiativa facendo intendere che chi parla questa varietà di lingua sia un abitante di un altro mondo, quello della burocrazia e della politica. Mondi alieni, distinti e distanti dalla vita quotidiana. Lingue settoriali, come quella della medicina, che hanno il piccolo grande difetto di essere le lingue scritte e parlate da chi amministra e governa le nostre vite. Mentre il politichese si rafforza con i “pentastellati” (anche se gli appartenenti al M5S vorrebbero denominarsi “cittadini” proprio per non segnare la distanza con la gente comune e non sentirsi “altro” da coloro che rappresentano), da tempo linguisti - e non solo - hanno dichiarato guerra al burocratese, innanzitutto. Ma il burocratese resiste

Le parole allontanano “Burocratese” e “Politichese” hanno in comune il suffisso nominale “-ese”, che in italiano indica “essere abitante”, che qui assume valenza dispregiativa facendo intendere che chi parla questa varietà di lingua sia un abitante di un altro mondo, quello della burocrazia e della politica. Mondi alieni, distinti e distanti dalla vita quotidiana.

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APPROFONDIMENTI

in tanti nostri “avvisi pubblici”, che, come dice la parola stessa, sono testi che dovrebbero avvisare il grande pubblico sulle emergenze, divieti, ma anche opportunità di finanziamento, esiti di concorsi e quant’altro. Resiste nonostante l’uso di nuovi media, social o conversazionali che dir si voglia, che spingono l’italiano verso forme di oralità. Resiste anche se molti di noi neanche percepiscono più come forme linguistiche non proprie della lingua comune espressioni come “protrarsi dello sforamento dei limiti” oppure “falsificabilità del titolo”, che è una locuzione usata nei documenti per il rilascio del permesso di soggiorno. Di certo sono frasi poco chiare e parole difficili per i nuovi italiani, per la signora Irina che assiste nostra madre, per il signor Mohamed che accompagna a scuola Abdel, il compagno di banco di nostra figlia, o per i miei vicini di casa i signori Wang. Tutti loro apprendono l’italiano parlando a lavoro o al mercato con la signora Anna, e anche parlando con don Antonio, il custode del palazzo. Devono usare l’italiano per richiedere un permesso di soggiorno, per iscrivere i figli a scuola, per avere assistenza medica e la previdenza. Per tutto questo devono ricevere e dare informazioni alla Pubblica Amministrazione in una lingua italiana che per tutti loro - come anche per noi - è difficile da apprendere. Ed è così che il burocratese diventa un vero e proprio ostacolo, diverso dai “respingimenti in mare”, espressione in politichese coniata dalla Lega, ma è pur sempre una barriera che li recinta come in un “CIE”, “Centro d’Identificazione e di Espulsione”, altro recente burocratismo introdotto nel lessico della nostra Pubblica Amministrazione. “Cec-Pac”, “Falsificabilità del titolo”, “CIE” sono di difficile comprensione anche per i tanti, troppi italiani analfabeti di ritorno, che hanno titoli di studio presi tanto tempo fa o di recente per disperazione dei loro insegnanti che hanno visto nella loro promozione la loro liberazione. Italiani che l’italiano l’hanno appreso in TV ascoltando Maria de Filippi più che studiando sui libri di grammatica a scuola o leggendo i giornali. Anche loro nei processi di comunicazione con la pubblica amministrazione rischiano

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di essere spettatori di un monologo di Brecht e non attori dialoganti con diritti e doveri da osservare. Ma allora dov’è quel “là” dove si parla e si scrive l’italiano istituzionale? L’italiano istituzionale è di casa a Bruxelles, a Lussemburgo, a Strasburgo, nelle varie sedi delle istituzioni dell’Unione europea. Dal 2005 è attiva la Rete per l’Eccellenza dell’Italiano Istituzionale il quale obiettivo è migliorare la qualità dei testi istituzionali prodotti dalle pubbliche amministrazioni e dalle istituzioni nazionali e internazionali. Dunque, l’italiano che si parla e scrive negli organismi dell’Unione europea è più controllato, è un “italiano istituzionale”, una varietà di lingua che nasce dalle istituzioni ma che ha l’obiettivo di essere comprensibile a tutti, nonostante il suo patrimonio lessicale ricco di terminologie specialistiche. E fu così che l’Europa ci farà fare anche i compiti a casa d’Italiano. 


di Vincenzo Bernabei

* Comunicatore d’impresa, formatore

La Comunicazione politica sui media e sul web Se la tv fa la tv, non sempre il web fa il web

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e discussioni politiche di questo periodo, prima tra tutte quella sull’Italicum, partono dal presupposto che il nostro sistema politico sta perdendo la sua marca bipolare per approdare a un tripolarismo più o meno compiuto. Ma se di tripolarismo dobbiamo parlare, questo non va tanto interpretato come la risultanza di una segmentazione politica, quanto piuttosto di un riassetto riferito alle pratiche mediatiche, con alcuni esponenti che sembrano essere rimasti imprigionati in una logica prettamente televisiva (Berlusconi, ma non solo), altri che puntano ad accreditarsi come inflessibili paladini del web (Grillo&Casaleggio), e altri ancora bloccati in una sorta di guado (Partito Democratico in primis, che annovera la vecchia guardia da un lato e le performance web-friendly dei civatiani, ad esempio, dall’altro).

Il fatto che la politica italiana non sia ancora definitivamente uscita dal recinto espressivo della televisione è testimoniato anzitutto dal rinnovato protagonismo del suo personaggio più longevo, vale a dire Silvio Berlusconi. Gli analisti politici (e anche molti comunicatori) su Berlusconi sembrano aver commesso una sorta di “errore di parallasse”: osservando il panorama mediatico in mutamento hanno pensato che si spostasse anche l’oggetto osservato, cioè il Cavaliere. Hanno creduto cioè che Berlusconi fosse compiutamente fuori dai giochi politici perché il suo codice è da sempre considerato assimilabile al lessico delle televendite, all’over-promising, al giuramento che, in un Paese che vive in un perenne stato di sfiducia verso chi lo rappresenta, conserva una forza vitale che prescinde dalla propria realizzabilità. Una previsione forse corretta in via astratta, ma

Il primato della tv Il fatto che la politica italiana non sia ancora definitivamente uscita dal recinto espressivo della televisione è testimoniato anzitutto dal rinnovato protagonismo del suo personaggio più longevo, vale a dire Silvio Berlusconi.

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APPROFONDIMENTI

che alla prova dei fatti si è rivelata affrettata, dato che il definitivo trapasso politico dell’uomo di Arcore pare ancora di là da venire. Cavaliere a parte, nel nostro Paese la TV (persino quella generalista dei primi sette tasti del telecomando) dimostra di avere ancora i suoi spazi di agibilità, come testimonia l’operazione che un editore di peso come Urbano Cairo ha condotto giusto un anno fa con l’acquisizione di La7 da Telecom Italia e con il conseguente arruolamento di Enrico Mentana (uomo Rai, prima, e Mediaset poi) in veste di direttore del TG di rete. In più, crisi o non crisi, risulta comunque

Quelle di Grillo&Casaleggio, quando si fanno passare come pratiche web “di rottura” sono iniziative di comunicazione che hanno più a che fare con il teatro e la stampa scandalistica che con il blogging e il social networking chiaro come, non solo per quel riguarda il dibattito politico in verità, la tv italiana continui ad agire nel completo e inflessibile rispetto delle proprie peculiarità identitarie, riducendo al minimo – fatta eccezione probabilmente per alcune scelte editoriali del bouquet di Sky – le pratiche di ibridazione dei linguaggi, e dimostrando anzi di mal tollerare i codici espressivi della rete. E ciò risulta evidente innanzitutto nel momento in cui i format e i protagonisti televisivi (e politici) si riferiscono al web: si spazia regolarmente da un atteggiamento di aperta ostilità (banalizzazione del dibattito sulla funzione dei social network, costante evidenziatura delle criticità in riferimento all’uso dei devices da parte degli utenti-cittadini, continuo accostamento tra fatti di cronaca e fenomeni di comunicazione digital) alla costruzione di proposte narrative in cui i social e il web stessi ven-

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gono, se non demonizzati, “addomesticati”, depotenziati e ricondotti a una funzione pressoché ornamentale, quindi inseriti nel palinsesto e nei programmi come si faceva col telefono al tempi dei telequiz. Se nell’Italia del confronto politico la tv fa la tv, del resto, non sempre il web fa il web. Nel senso che molte risorse e opportunità che il dibattito in rete metterebbe a disposizione di una opinione pubblica pienamente consapevole delle funzionalità connesse alle proprie piattaforme mediatiche vengono trascurate; talvolta coscientemente, in altri casi in via inconsapevole. In via inconsapevole, per esempio, quando nello streaming dei social si dà vita a quella che in genere viene definita social tv, e cioè alla generazione di contenuti plasmati a commento di ciò che avviene nei programmi televisivi (solitamente in diretta), a indicare, non sempre ma talvolta sì, una sorta di sudditanza delle communities rispetto alla capacità di penetrazione dei formati broadcast. Come ad ammettere che, in fondo, sono questi ultimi a conservare il primato inattaccabile nel newsmaking. Coscientemente, invece, e qui veniamo a Grillo&Casaleggio, quando si fanno passare come pratiche web “di rottura” iniziative di comunicazione che hanno più a che fare con il teatro e la stampa scandalistica che con il blogging e il social networking. L’errore di molti in questo caso sta nel credere che il linguaggio di Beppe Grillo come lui intenzionalmente spesso dichiara - rappresenti “la Rete” tout court, e che su internet non siano possibili altre forme di confronto e di costruzione di ciò che Habermas definiva “pubblica argomentazione razionale”. Ebbene, non è così. La sollecitazione dell’hate speech e l’uso muscolare del corpo e della parola nelle dirette streaming e nei comunicati non sono l’unica via possibile al dibattito in rete. In una fase di sanguinosa lotta di posizione come quella attualmente in corso tra gli esponenti degli old media e i sedicenti rappresentanti del “nuovo” è bene tenerlo a mente. Nei programmi tv, nei blog, su Twitter un altro modello di confronto è possibile: un confronto più produttivo e orientato al soddisfacimento degli interessi degli elettori. 


di Maria Bellone

La Comunicazione di strada Il valore e il messaggio della comunicazione su striscioni e muri

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egli anni settanta si è vista fiorire una speciale, estemporanea, creativa forma di comunicazione: l’uso delle bombolette spray sui muri e su manifesti. Si può parlare d’ispirazione dai muri. Sì, dalle scritte sui muri, sui monumenti, per le strade e le piazze della città. Quale muro è ancora libero da scritte? Forse quelli da costruire! Le bombolette sono diventate nel corso del tempo le nuove «armi» della contestazione e della «rivoluzione culturale», «armi improprie» per le comunicazioni urgenti alle «masse» e anche mezzi di espressione e di confidenze tutte private. I neo copy-writers del muro, attraverso i loro «annunci pubblicitari» scrivono di tutto: messaggi pieni di artificiose fantasie, carichi di immagina-

zione, istitutivi di uno «stile letterario» senza uguali. Oggi, sui muri si parla di politica, del governo, di sport, di religione, di scuola, degli amici, del matrimonio, dell’aborto, del divorzio, degli animali. Se lo stile è vivo, non raramente l’ortografia e la grammatica lasciano a desiderare. Ci sono anche le scritte interrotte per fine bombola o arrivi inaspettati. Ma anche le «opere» complete non hanno vita facile. Incisive sono anche le scritte formate da una sola parola: rivoluzione, lotta, assassini, violenza, morte, libertà. Talvolta, si tratta anche di frasi brevi, concise, caratteristiche che rispecchiano spesso lo spirito vivo ed immediato del popolo. Anche migliaia di anni fa scriveva sui muri: chi non conosce Pompei? Avvisi elettorali, anche allora in nero e in rosso, notizie

Una parola un messaggio Incisive sono anche le scritte formate da una sola parola: rivoluzione, lotta, assassini, violenza, morte, libertà.

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APPROFONDIMENTI

di furti, saluti di innamorati, disegni e, come accade oggi offese e parolacce. I muri, libri aperti per autori più o meno anonimi, sono sempre stati portavoce messaggi popolari o di regime. La maggior parte di queste scritte sono state «cancellate» dall’opera del tempo, il quale, per proprio conto, cancella meglio degli ultimi imbianchini. Oggi, se ne intravedono ancora, scritte ormai vecchie che hanno di certo perduto la loro «carica», conservando un sapore quasi archeologico. Ma ci sono evidentemente molti nostalgici fra gli attuali imbrattatori dei muri, la cui nostalgia si rivela con chiarezza nelle scritte W IL RE, W HITLER, M = MUSSOLINI =VITA. Il muro è una nuova

Il «raptus» delle scritte, versione politica, ha una sua espressione tutta particolare, con la politica è direttamente colpito anche il governo di solito «ladro», i capi e i sottocapi oltre che «ladri» anche «assassini» e le forze dell’ordine forma di libertà di stampa, di informazione. Libertà oggi è muro, muro diventa comunicazione di massa, slogan, pubblicità. Ed anche la pubblicità vera e propria si è ispirata non solo alle idee, ma alle tecniche delle scritte murali. Eppure non sono altro che il frutto di un’idea suggerita da chi, con il solo costo di una bomboletta, lancia messaggi meno studiati, ma spesso più duraturi e profondi degli altri. Il «raptus» delle scritte, versione politica, ha una sua espressione tutta particolare. Naturalmente, con la politica è direttamente colpito anche il governo di solito «ladro», i capi e i sottocapi oltre che «ladri» anche «assassini» e le forze dell’ordine «sbirraglia al servizio dell’ignominia». Ma, in Italia, non ci si occupa solamente dei problemi« interni». E sarebbero tanti. Sono all’ordine del giorno anche gli «affari esteri»: Libano, Cuba, Spagna, Cile, Grecia, tutti sui muri di casa nostra.

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Dopo la politica, il lavoro, naturalmente la famiglia. E strettamente legato il matrimonio, l’aborto, il divorzio. Fiumi di parole sono stati scritti sull’argomento: le scritte più significative si possono leggere vicino ad ospedali, tribunali, chiese. E proprio vicino alle chiese anche il Papa e i preti sono stati «colpiti». Anche lo sport è oggetto di attenzione da parte di questo genere di “cronisti”. È pur vero che si agisce dentro uno stadio, ma direi che questo tipo di agonismo è totalmente diverso. Ormai tutti gli stadi d’Italia sono «tappezzati» di scritte che con lo sport non hanno niente da spartire. Forse qualche nome di giocatore qua e la fa ricordare che ancora presumibilmente si parla di calcio. Lo stadio, le squadre di calcio, riassumono il carattere delle regioni, le segrete mentalità popolari; offrono in parte un’analisi della vita italiana. Di questo strano paese talmente incattivito e becero che ama distruggere i suoi idoli credendo magari di rinnovare. Non solamente il calcio è colpito, ma indubbiamente il più martellato. L’amore poi, quanti cuori si vedono. Gesso, lapis, vernice. All’amor non si comanda. La serie è piuttosto divertente; frasi dolci, meno dolci, disperate da chi è stato piantato; ragazze abbandonate dopo l’uso da «cavalieri» moderni. E con l’amore il sesso, le femministe, le lesbiche, gli omosessuali. Comprensione, quindi, verso quello che si avvia ad essere un vero e proprio problema storico sociale: l’abbandono da sempre più numerosi strati giovanili, dei valori etici dominanti fino ad oggi. È vero anche che una buona parte di ciò che si legge su muri e striscioni è reale voglia di comunicare. E mentre ci rincorriamo in questo spietato mondo, come un cane la punta della coda, disorientati dalla politica, corrosi dall’insoddisfazione, già delusi del domani, tentiamo di fermarci un attimo per ringraziare quello sconosciuto che ha usato la mano in modo giusto, in mezzo a tante altre mani sconsiderate che hanno “sprayato” le cose più impossibili, solo per farci sorridere davanti a una promessa. Ho trattato questo argomento nella mia tesi di laurea in Teoria e Tecniche della comunicazione all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Salerno, corso di laurea in Programmazione, amministrazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali. 


di Lorenzo Fattori

Il MoVimento pigliatutto Analisi della collocazione politica del MoVimento 5 Stelle

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onostante ciò che dice il suo leader, non sembra corretto descrivere il MoVimento 5 Stelle come completamente avulso da un immaginario continuum destra-sinistra, innanzitutto per la sua capacità di attirare elettori e militanti, oltre che dall’area del non voto, da altri schieramenti, ma anche per l’attitudine a far propri alcuni temi forti di tradizioni politiche preesistenti; lo scopo di questo articolo è proprio quello di cercare di trovarvi una collocazione. L’importanza del poter identificare un candidato, un partito, un movimento o un’associazione come di sinistra oppure di destra è difficile da sopravvalutare: questa dimensione è, infatti, un modo efficace di

sintetizzare le opinioni che un elettore sente proprie sulle varie possibili issues. Sul tema basti citare La terza repubblica (2006) di Calise: “Nella cultura europea destra e sinistra hanno assunto significati fondati soprattutto sugli atteggiamenti opposti nei confronti del valore dell’uguaglianza e rispetto alla polarizzazione sociale e politica creata dal conflitto capitale/lavoro” (Calise, 2006). Per la nostra ricerca utilizzeremo principalmente i dati ricavati dai flussi elettorali e dall’auto-collocazione degli elettori; è quest’ultimo un elemento molto indicativo, in quanto “Le personali collocazioni degli elettori sulla dimensione destra/sinistra sono di regola coerenti con quelle attribuite ai partiti oggetto dei loro sentimenti di identifica-

Voti volatili A giudicare dai dati il MoVimento 5 Stelle sembra essere un moderno esempio di partito dal consenso trasversale con la tendenza a ricercare voti in ogni parte della popolazione piuttosto che in una sola classe sociale

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APPROFONDIMENTI

zione” (virgolettato tratto da Votare in Italia 1968-2008, a cura di Bellucci e Segatti, 2013). Bisogna innanzitutto ricordare che il MoVimento, alla sua nascita, veniva generalmente identificato con l’area della sinistra; tra le motivazioni, vi è presumibilmente il fatto che “l’origine ideologica dei temi di cui si è occupato Beppe Grillo, ancor prima della sua discesa in campo, è senza dubbio collocabile a sinistra” (da Il partito di Grillo di Corbetta e Gualmini, 2013) e, come ricordato anche in un recente articolo di Bordignon e Ceccarini, i “grillini” sembravano avere, inizialmente, chiare simpatie di centro-sinistra. Ma l’ampliamento del consenso elettorale ha modificato questa situazione: infatti, gli elettori che si considerano di “destra” o “centrodestra” sono considerevolmente aumentati a cavallo delle tornate elettorali che si sono tenute nel 2012, come dimostrano i dati riportati nel già citato Il partito di Grillo. A cavallo delle elezioni amministrative del 2012, la percentuale di votanti del M5S che si considerano di centrosinistra è calata dal 29,6% al 24,6%, mentre coloro che si ritengono di destra o centrodestra sono aumentati dal 10,2% al 16,6%; è altrettanto interessante notare che la grande maggioranza degli elettori del MoVimento, circa il 77%, non rinuncia alla propria appartenenza precedente, né rifiuta di auto-collocarsi sulla dimensione destra-sinistra. Analogamente, i votanti che avevano sostenuto nel 2008 la coalizione di centrosinistra guidata da Walter Veltroni sono calati dal 40,5% al 34,5%, mentre coloro che nella stessa tornata avevano votato per Silvio Berlusconi sono aumentati dal 27,6% al 33,8%. La crescita del MoVimento, com’è noto, ha raggiunto un nuovo vertice con le elezioni politiche del febbraio del 2013, dove il partito di Grillo si è dimostrato ancora più capace di attrarre consensi da tutto l’elettorato, ma con una marcata diminuzione dei consensi tra coloro che cinque anni fa avevano votato per la coalizione di centrosinistra, come dimostrano i dati Ipsos sul voto del 2013. I segnali più interessanti vengono dal confronto con i dati precedenti: i consensi pro-

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venienti dall’area dell’astensionismo crescono dal 14,2% al 36% a scapito di quelli delle due principali coalizioni del 2008 ma, mentre gli ex votanti di centrodestra in percentuale calano solo di poco, quelli provenienti dal centrosinistra all’interno del MoVimento crollano al 20%, perdendo in totale il 14,5% rispetto a prima delle amministrative del 2012. Dunque, essendo cresciuto il totale di voti reali per il partito di Grillo, ne consegue che esso ha saputo attrarre molti più elettori di centrodestra piuttosto che di centrosinistra e che ora, nonostante questi ultimi continuino a costituire circa un quarto dell’elettorato totale del MoVimento, quasi un elettore su tre nel 2008 aveva votato per Berlusconi. Questi dati suggeriscono anche, incidentalmente, una delle probabili motivazioni per i quali il MoVimento 5 Stelle non avrebbe


Modelli di azione L’ostruzionismo, il vero e proprio assalto ai banchi del governo e l’occupazione dell’aula della commissione Affari Costituzionali potrebbero essere una risposta strategica alla condizione di isolamento dovuta al rifiuto del dialogo con le altre forze politiche

potuto creare un governo di centrosinistra insieme al Partito Democratico e a Sinistra Ecologia e Libertà: avrebbe, infatti, rischiato di inimicarsi gran parte del proprio elettorato ed imboccare questa direzione avrebbe sicuramente significato alienarsi, in un lasso di tempo molto breve, un gran numero di voti, proprio mentre lo scenario politico lasciava presagire un ritorno alle urne dopo un anno o forse addirittura pochi mesi. A giudicare dai dati qui presentati, il MoVimento 5 Stelle sembra, dunque, essere un moderno esempio di partito pigliatutto (Kirchheimer, 1966, cit. in Bartolini, 1996); esso rispetta tutti i requisiti necessari ad includerlo in questa classificazione, ovvero: l’attenuazione di un forte tenore ideologico originario; la preponderanza della leadership rispetto al ruolo di attivisti e militanti; la tendenza a ricercare voti in ogni parte della popolazione piuttosto che

in una sola classe sociale; infine, l’apertura a una pluralità di gruppi di interesse autonomi rispetto al partito. Trovandoci davanti a un soggetto politico relativamente giovane, è molto difficile fare previsioni sul suo futuro; possiamo dire però che, come notano Biorcio e Natale in Politica a 5 stelle (2013), “il potenziale elettorale di questa nuova formazione dipende dall’abilità del suo leader Grillo, e dei suoi rappresentanti eletti, di parlare alle diverse anime, con toni e accenti trasversali, capaci di dare motivazioni a tutte le sue componenti, per evitare una rapida dissoluzione delle scelte di voto a favore del M5S”. C’è da notare, in realtà, che nelle ultime settimane la leadership del MoVimento 5 Stelle (nella quale, oltre al duo Grillo - Casaleggio, ci sembra ormai doveroso includere i deputati Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, insieme al team di comunicazione parlamentare guidato da Claudio Messora) sembra aver puntato su un modello politico/comunicativo volto ad estremizzare il proprio messaggio, lusingando le parti più “massimaliste” del proprio elettorato. L’ostruzionismo, il vero e proprio assalto ai banchi del governo e l’occupazione dell’aula della commissione Affari Costituzionali messi in campo alla Camera, con la brutta coda degli attacchi personali alla Presidente Laura Boldrini, potrebbero essere una risposta strategica alla condizione di isolamento dovuta al rifiuto del dialogo con le altre forze politiche, in particolar modo sullo spinoso tema della legge elettorale; da non sottovalutare, inoltre, la necessità di ricompattare i propri elettori e militanti, visto il crollo dei consensi e l’aumento di litigiosità verificatisi in tutte le elezioni amministrative svoltesi dopo le politiche del 2013 (vedasi il caso delle elezioni regionali in Sardegna, dove il partito di Grillo non è neanche riuscito a presentare una propria lista). Non è ancora possibile dire se queste strategie avranno successo o no; presumiamo però che la campagna elettorale per le incombenti elezioni europee darà una chiara indicazione della direzione in cui intende muoversi il MoVimento 5 Stelle. 

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APPROFONDIMENTI

a cura di Patrizia Perrone

I nuovi modelli di comunicazione politica L’esperienza di Federica Salsi

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a nascita di Internet ha decretato in tutto il mondo il cambiamento della comunicazione in politica. Alcuni movimenti politici devono addirittura la loro nascita alla rete, e in Italia è soprattutto il Movimento 5 stelle ad aver saputo trarre benefici dalle nuove tecnologie. Ma il Movimento di Beppe Grillo è anche la forza politica che più di tutte ha mostrato anche le degenerazioni che la rete può creare. Abbiamo pensato di parlarne con Federica Salsi, Consigliera Comunale di Bologna eletta nelle liste del M5S nel 2011, diffidata poi, in seguito, da Beppe Grillo ad utilizzare il simbolo del Movimento. Quando ha cominciato a frequentare il M5S quale ruolo ha avuto Internet? Quanto la rete ha contribuito ai primi successi elettorali delle liste certificate

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da Grillo? Io ho iniziato a frequentare gli Amici di Beppe Grillo, il gruppo di Bologna, nel 2008, prima ancora che Grillo lanciasse il MoVimento 5 Stelle. Ci sono arrivata grazie alla rete, sul blog di Grillo c’erano i link ai vari gruppi locali, i “meetup”, e ho cercato quello di Bologna. Il meetup è un social network con un forum, ho iniziato a confrontarmi con loro in rete e poi ho iniziato a partecipare alle assemblee. La rete è stato uno strumento fondamentale, con quella abbiamo organizzato attività sul territorio come serate informative e banchetti per strada ed è così che abbiamo iniziato piano piano a farci conoscere dalla cittadinanza. È stato il motore che ha messo in moto il volano del M5S. Quanto la rete e i social network hanno cambiato la comunicazione in politica? In

Strumenti di comunicazione La rete è uno strumento e come tutti gli strumenti possono essere usati bene o male, basti pensare alla dinamite, se usata per scavare le gallerie era di aiuto al pesante lavoro dei minatori, poi è stata usata per ammazzare la gente.


che maniera? Hanno realmente ridotto il divario tra gente e politici o hanno solo inasprito i toni? La rete è uno strumento e come tutti gli strumenti possono essere usati bene o male, basti pensare alla dinamite, se usata per scavare le gallerie era di aiuto al pesante lavoro dei minatori, poi è stata usata per ammazzare la gente. Indubbiamente la rete accorcia le distanze tra gente comune e politici, io stessa ricevo tante segnalazioni dai cittadini attraverso la rete e attraverso quella comunico con loro. Ma a volte, spesso, la rete è usata come una vetrina a senso unico, quindi si ha l’illusione di poter dialogare con il politico perché puoi scrivere sulla sua bacheca facebook, ma in realtà il politico quasi mai risponde, anzi manco la legge. Poi ci sono i toni, dietro una tastiera spesso le persone si sen-

tono più “libere” di esprimersi e usano toni violenti che non userebbero se si trovassero la persona davanti. È un po’ come quando i ragazzini suonano i campanelli dei citofoni e scappano. Se si trovassero le persone di fronte non oserebbero farlo! In rete la reputazione è importante, se sei riconosciuto il tuo pensiero influenza l’opinione pubblica, come del resto sugli altri media. Quindi se esprimi il tuo pensiero con modi violenti, chi ti segue si sentirà autorizzato a fare altrettanto e a rincarare la dose. Ne è un esempio lampante il trattamento che ho subìto io. Parliamo di televisione e di talk show. La sua espulsione ha proprio a che fare con la partecipazione a Ballarò. Perché Grillo teme tanto il confronto televisivo? Ai tempi di Ballarò Grillo mi dedicò il post sul punto G. I suoi seguaci iniziarono, quindi, a offendermi con epiteti sessisti della peggior specie, arrivando fino alle minacce di morte. Grillo non prese mai le distanze da nessuno di questi atteggiamenti. Non facendolo, ha, di fatto, avvallato questa violenza. La stessa cosa accade oggi con i quattro senatori espulsi. Sul blog sono stati dipinti come dei ladri opportunisti e c’è già chi inneggia alla loro fucilazione. La mia partecipazione a Ballarò è stata un pretesto per farmi fuori. In realtà io davo fastidio perché considerata non allineata. Quando avevo dubbi, critiche, perplessità, ho sempre cercato il confronto, ho sempre espresso pubblicamente le mie opinioni anche a Grillo e Casaleggio. La loro posizione sulle partecipazioni televisive è cambiata spesso nel tempo, nel 2011 Grillo diceva andate nei talk show, nel 2012 diceva l’esatto contrario, nel 2013 le TV sono piene di parlamentari pentastellati. Questo a seconda della convenienza del momento e di chi ci va. La televisione è un media che Casaleggio non controlla, quindi vanno persone controllate da lui, chi ora va segue specifici corsi di preparazione da lui organizzati. Grillo teme il confronto televisivo perché lui non si confronta. Lui sale sul palco, fa il suo show come da copione e torna a casa. Come ha fatto con Renzi. 

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RICERCA E INNOVAZIONE

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di Francesco Fimmanò

Il “disastro” delle società pubbliche in house providing Il mondo non ha idee sulla crescita possibile, dunque?

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el nostro Paese le Pubbliche Amministrazioni, favorite dallo stesso legislatore, hanno mantenuto negli ultimi venti anni la “sacca” del privilegio derivante dall’affidamento diretto della gestione di servizi pubblici a società partecipate e quindi in deroga ai principi comunitari della concorrenza e della trasparenza. Abbiamo assistito, per queste ragioni ad un percorso legislativo composito e spesso del tutto incoerente, caratterizzato da frequenti ripensamenti, fatta eccezione per una costante: la crescente e progressiva espansione delle società c.d. in house, anche attraverso la trasformazione di aziende speciali, consorzi ed istituzioni. Ciò in un’ottica rivolta (solo) formalmente alla aziendalizzazione dei servizi e ad una privatizzazione effettiva (come auspicato dal legislatore sin dal 1942), in realtà sostanzialmente diretta ad evitare procedimenti ad evidenza pubblica (negli acquisti e nelle assunzioni di personale) e a sottrarre comparti dell’amministrazione ai vincoli di bilancio ed ai patti di stabilità, anche in considerazione della mancata applicazione all’ente-capogruppo dei principi di consolidamento di diritto societario a partire dall’elisione delle partite reciproche (obbligatori solo da quest’anno). Il contesto è stato pesantemente dominato dalla figura della società interamente pubblica, affidataria in house providing e del suo collegamento funzionale con l’ente di riferimento, tanto da far evocare una situazione abnorme

di delegazione interorganica chica. Questo modello gestorio trova la propria origine in una rivisitazione, che definirei strumentale, da parte del nostro legislatore della giurisprudenza comunitaria, che in particolare nella famosa sentenza Teckal aveva escluso l’applicabilità delle norme sull’individuazione concorrenziale del concessionario qualora testualmente l’ente “eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano”. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno - nel Novembre del 2013 - preso atto di questo quadro ed hanno adattato l’impostazione comunitaria, al fine di riconoscere, per la prima volta, la giurisdizione della Corte dei conti sulle azioni di responsabilità agli organi sociali delle “famigerate” società in house. I giudici del Supremo consesso hanno qualificato questo genere di società come una mera articolazione interna della P.A. una sua longa manus al punto che l’affidamento diretto neppure consentirebbe di configurare un rapporto intersoggettivo di talché l’ente in house “non potrebbe ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma dovrebbe considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa”. Il passaggio della sentenza più forte è quello secondo cui “il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque

* Ordinario di Diritto Commerciale presso l’Università del Molise. Preside di Giurisprudenza presso l’Unipegaso.

Longa manus L’ente in house “non potrebbe ritenersi terzo rispetto all’amministrazione controllante ma dovrebbe considerarsi come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa”.

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RICERCA E INNOVAZIONE

squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva”. Dal che discende che, in questo caso, il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, sarebbe “arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all’ente pubblico: è quindi un danno erariale, che giustifica l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità”. In realtà è pericoloso ipotizzare, in assenza di norma espressa, che la società in house sia un patrimonio separato sprovvisto di autonoma personalità e di alterità soggettiva rispetto al socio. È peraltro operazione ripetibile nei confronti di qualsiasi soggetto che faccia un uso meramente strumentale del veicolo societario.

munione di scopo lucrativo, soggetto al diritto comune, che non può essere “storpiato o manipolato” per finalità abusive dirette a creare in vitro una sorta di azienda speciale, organica all’ente per alcuni fini e separata per altri, solo per ottenere una autonomia formale e la conseguente disapplicazione delle regole pubblicistiche. La strada più semplice sarebbe stata l’emersione di un tipo di società pubblica “legale” cioè individuata e disciplinata dalla legge cui applicare regole in deroga al diritto comune, analoghe a quelle vigenti per le aziende speciali. Ma visto il silenzio del legislatore, che nonostante i buoni propositi “dichiarati” non è intervenuto espressamente a riconoscere la più efficace giurisdizione della Corte dei conti (ed a porre un argine effettivo al disastrato mondo delle società in house), le sezioni unite non hanno potuto far altro che sostituirsi (come troppo spesso sta accadendo

Conclusione clamorosa e devastante per la finanza pubblica è inevitabilmente quella che non essendovi - secondo le sezioni unite - alterità soggettiva, tutti i creditori della società in house divengono creditori dell’ente pubblico, verso cui possono agire in via diretta. Il nuovo orientamento della Cassazione sulla giurisdizione per le società in house nasce dalla sollecitazione delle Procure presso la Corte dei conti, che ha evidenziato come condizionamenti di carattere politico finiscano col rendere altamente improbabili iniziative serie da parte degli enti locali dirette a sanzionare gli organi societari (controllati) davanti al giudice ordinario, dando luogo ad un sostanziale esonero da responsabilità di soggetti che pure arrecano danno a società sostanzialmente pubbliche. Abbiamo avuto modo, già da anni, di segnalare che le esigenze socio-economiche e politiche dovevano trovare risposta nella emanazione di “norme efficienti” ovvero nella interpretazione giurisprudenziale efficace, capace di sanzionare l’abuso del modello societario, utilizzato per soddisfare obiettivi “impropri” attraverso la segregazione patrimoniale. In particolare si era rappresentato che la società, rimane un contratto tipico con co-

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negli ultimi tempi) al fine di raggiungere il risultato più efficiente, in un momento tanto delicato per la finanza pubblica. Conclusione clamorosa e devastante per la finanza pubblica (ed in particolare per i bilanci degli enti locali) è inevitabilmente quella che non essendovi – secondo le sezioni unite - alterità soggettiva, tutti i creditori della società in house divengono creditori dell’ente pubblico, verso cui possono agire in via diretta. Così l’orientamento della suprema Corte, frutto di un intento diretto a salvaguardare l’erario dalla diffusa mala gestio degli organi sociali di società strumentali, raggiunge, per una sorta di “eterogenesi dei fini”, il risultato esattamente opposto cioè quello di aprire una voragine nei conti pubblici derivante dalla responsabilità diretta delle pubbliche amministrazioni per tutti i debiti contratti dalle famigerate società in house providing. Ogni ulteriore commento sarebbe evidentemente superfluo. 


a cura di Beatrice Crisci

La vita al tempo degli smart BeesSmart l’automazione della casa. La proposta di Carmelo Mirabile

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i scrive BeesSmart e si legge soluzione integrata hardware e software, che permette di connettere i dispositivi elettronici alle informazioni presenti in rete per usare la tecnologia in modo intelligente e semplificarsi la vita. L’idea, davvero innovativa, è venuta a un giovane e brillante ingegnere di Aversa Carmelo Mirabile e a un gruppo di amici-colleghi. Tutto è partito – racconta – da una lampadina e dall’analisi dei classici dati che popolano le nostre giornate lavorative: Google Analytics, statistiche di Facebook, keywords, e via dicendo. Seguendo l’andamento dei dati ci siamo detti quanto sarebbe stato bello utilizzare l’intensità di una lampadina per monitorarli. Una luce fioca avrebbe significato brancolare nel buio e risultati scadenti, una luce al massimo dell’intensità avrebbe significato essere sulla strada giusta. Da quel momento abbiamo passato giorni interi a fantasticare su quanto potesse essere utile collegare eventi della nostra vita quotidiana a eventi digitali. La caldaia dei termosifoni che si accorge che stai rientrando a casa e ti chiede se vuoi accendere i riscaldamenti a cui poter rispondere con un sms. La possibilità di aprire il cancello automatico con lo smartphone. Applicare un buon algoritmo di business intelligence per capire dove e come utilizzare l’energia di casa o del proprio ufficio, rendendo le prese intelligenti. Da quella lampadina e dall’intuizione di due soci nasce BeesSmart. In poche parole: semplificarci la vita, risparmiando tempo, denaro e rendendo intelligenti i dispositivi di uso quotidiano. Proprio così! Avevamo sott’occhio – ricorda l’ingegnere Mirabile – degli articoli che parlavamo di Internet of Things (IoT) e su come,

in un futuro non tanto lontano, tutti i nostri oggetti di uso quotidiano sarebbero diventati consapevoli del contesto digitale, iniziando a recitare un ruolo attivo nelle nostre decisioni. È bastato poco per passare dal pensiero all’azione. In ufficio abbiamo rispolverato una vecchissima scheda relay a controllo web e l’abbiamo collegata all’alimentazione di una lampada da tavolo. Abbiamo buttato giù quattro linee di codice Java e dopo un paio d’ore era pronta la prima lampada Facebook, che si accendeva ogni volta che arrivava un like sulla nostra pagina. Tutto questo non è un racconto di fantascienza, ma uno scenario possibile grazie all’Internet delle Cose. Gli oggetti di uso comune saranno messi in comunicazione tra loro per creare piccole e grandi regole di automazione, tramite i dispositivi smart (cellulari, tablet, pc) e una connessione web. Sarà questo il futuro? Secondo le previsioni degli esperti l’Internet delle Cose – sostiene il ricercatore – è destinato a cambiare le nostre vite, con un giro di affari di miliardi di dollari e 9 miliardi di oggetti collegati entro il 2018. Si tratta di una rivoluzione che entrerà nelle case e riguarderà molti settori dove le tecnologie smart si stanno già ritagliando un ruolo: produzione industriale, gestione del traffico, monitoraggio delle città, sicurezza, sanità. In questo scenario si colloca BeesSmart, la nostra soluzione integrata software e hardware che mette in relazione i dispositivi elettronici con le informazioni presenti in rete. Grazie a BeesSmart sarà possibile realizzare il proprio mondo automatizzato e averlo sempre a portata di mano grazie all’App disponibile su piattaforma iOS e Android. Stiamo ultimando la versione che sarà presto in commercio. 

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a cura di Marianna Quaranta

Databenc e le PMI: l’esperienza di Confapi Beni culturali: il Distretto di Alta Tecnologia valorizzare il passato per scommettere sul futuro

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l patrimonio artistico-culturale in Campania è davvero inestimabile. E nel nostro Paese (non a caso il Bel Paese) la Campania è tra le regioni con il maggior numero di siti dichiarati Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’UNESCO. Non si contano, poi, le realtà minori (si fa per dire) che purtroppo patiscono una promozione troppo scarsa, se confrontata al loro reale valore artistico. Tutti, sia quelli molto noti che quelli meno valorizzati, condividono un’insufficiente tutela e manutenzione dettata in molti casi dalla carenza di risorse e mezzi. La causa principale del graduale degrado dei siti sta nella mancata individuazione di efficaci modelli di sostenibilità e in politiche del turismo che entrano in gioco solo in casi di emergenza. Il patrimonio culturale di una Terra creata bella dalla natura e impreziosita dal genio degli uomini deve essere crescita, sviluppo, guadagno: Databenc nasce proprio per tu-

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telare e valorizzare questo bene. Databenc è uno dei sei Distretti ad alta tecnologia recentemente costituiti dalla Regione Campania e dal MIUR fortemente voluti dall’Assessore alla Ricerca, Guido Trombetti, per realizzare sistemi integrati e coerenti di ricerca/formazione/innovazione che possano funzionare da propulsori per una crescita economica e sostenibile della regione. Nato da un’idea progettuale promossa dalle Università degli Studi di Napoli “Federico II” e di Salerno, il Distretto ad Alta Tecnologia per i Beni Culturali oggi aggrega più di 60 soggetti, tra cui PMI, Grandi Imprese e Centri di Ricerca. Una rete di relazioni e competenze, dunque, finalizzata alla programmazione di strategie per la conoscenza, conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali. Il Distretto, grazie al ruolo fondamentale delle tecnologie, soprattutto quelle ICT, intende operare su tre linee strategiche portanti:

Databenc Nato da un’idea progettuale promossa dalle Università degli Studi di Napoli “Federico II” e di Salerno, il Distretto ad Alta Tecnologia per i Beni Culturali oggi aggrega più di 60 soggetti, tra cui PMI, Grandi Imprese e Centri di Ricerca.


Emilio Alfano, presidente Confapi Industria Campania

1. Conoscenza integrata: per realizzare un esauriente sistema di salvaguardia cognitiva del patrimonio culturale attraverso indagini censuarie, mappature di preesistenze, cartografie del rischio, basi dati digitali, itinerari di formazione/divulgazione. 2. Monitoraggio diagnostico: oltre alla verifica dell’integrità materiale del bene, l’azione di Databenc si estenderà all’area in cui il bene è inserito o alle dinamiche turistiche che lo coinvolgono e che comunque ne provocano consunzione. A tale fine, Databenc prevede la realizzazione di un sistema integrato di salvaguardia conservativa che comprenda analisi precoci di

tion” e “Smart Technologies” come strumenti per rendere concreta l’opportunità rappresentata dai beni artistici per lo sviluppo delle attività produttive e per le nuove generazioni. Il Distretto ha poi organizzato il Convegno “Illuminare l’arte è arte”, sull’importanza della luce per evidenziare la bellezza, i colori, i dettagli di un’opera e del suo contesto e sulle nuove tecniche per evitare danni alle opere illuminate. Databenc ha fatto nascere Databenc Press: una casa editrice per la divulgazione digitale dell’arte. Durante la sua presentazione pubblica sono state mostrate le demo del progetto “Opere parlanti Show”, grazie ai

Censimento del patrimonio artistico, diagnosi dello stato dell’arte, interazione tra visitatori e monumenti, fruizione sostenibile, smart innovation e reti territoriali per trasformare il bello in risorsa economica e portare linfa vitale alle imprese PMI vulnerabilità, test sperimentali (materiali, ricostruttivi, prototipali, ecc.), valutazioni socio-economiche ed attitudinali, rilevazione densità di carico e (ri)funzionalizzazione siti/beni. 3. Fruizione sostenibile: per raggiungere un utilizzo del patrimonio culturale sostenibile mediante la realizzazione di soluzioni per l’interazione utente/visitatore (on-site, on-line, da remoto) attraverso percorsi di realtà fisica (scenografia 3D, media immersività, fruizione singola/multipla), di realtà aumentata su piattaforma mobile (modalità ravvicinata, alta immersività, fruizione singola/multipla), applicazioni di ricostruzione virtuale (modalità da remoto, limitata immersività, fruizione singola/multipla), itinerari di apprendimento. Il Distretto è una vera e propria fucina di progetti, azioni, iniziative e collaborazioni in continuo movimento e realizzazione. Databenc, nei suoi primi mesi di vita, ha anche realizzato diverse iniziative pubbliche, tra queste: l’evento “Smart Innovation e Patrimonio Culturale”, in cui esperti del settore hanno discusso di “Smart Innova-

cui risultati le opere d’arte potranno animarsi e interagire con i visitatori tramite smartphone e talbet. Partner in tutte le iniziative di Databenc sono state la Confapi Industria Campania e la Confapi Napoli, realtà associative che rappresentano, tutelano e aiutano a crescere le piccole e medie imprese. «Molte delle PMI che fanno parte del progetto vengono dal mondo Confapi – ha spiegato Emilio Alfano, presidente Confapi Industria Campania, una realtà associativa come la nostra, che da sempre ha creduto nell’innovazione e nella ricerca per la crescita delle imprese, non può non condividere la mission del Distretto. Databenc è la dimostrazione di quanto l’ICT possa essere un settore di interesse trasversale e nello stesso tempo è la conferma di quanto i beni culturali rappresentino un patrimonio che ha tanto da offrire all’economia, se curato e valorizzato. Incentivare il turismo in Campania significherebbe portare linfa vitale alle imprese del settore e ad un indotto formato dall’intero sistema delle PMI». 

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di Rosaria De Bellis

Camera di commercio di benevento: novità del bilancio 2014 Puntare sui settori strategici per sostenere occupazione e consumi

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onostante la crisi economica, la Camera di Commercio si conferma punto di riferimento per l’apparato produttivo della provincia di Benevento. Nel mese di gennaio l’Ente camerale, presieduto da Gennarino Masiello, ha approvato un bilancio di previsione per il 2014 da 1,4 milioni di euro, in pratica il valore complessivo dei ricavi e dei costi ordinari. Il documento contabile, come si evince dalla relazione dei Collegio dei revisori dei conti, presenta scostamenti pari al 183,11% rispetto al pre-consuntivo (505mila euro) dell’anno in corso. Numerose le novità del Bilancio 2014 a partire da un impegno più articolato sul credito che intende andare oltre l’approccio tradizione dei Confidi. Tra le azioni future va certamente segnalato l’impegno ad aprire un’enoteca, con le eccellenze vinicole del Sannio, da ospitare in un edificio di corso Garibaldi, di proprietà della stessa

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Camera di Commercio, senza dover attendere la Regione Campania che già nel 2010 aveva presentato un progetto in tal senso che però non è mai decollato. Un ulteriore progetto ambizioso riguarda la volontà di costituire un ente fiere da realizzare nel capoluogo sannita in una location da decidere con gli attori istituzionali che intendono aderire all’iniziativa. La nuova struttura, nell’intenzione del vertice della Camera di Commercio, dovrebbe servire per fornire supporto alle imprese locali ad organizzare eventi fieristici, potenziando anche l’offerta turistica e l’attrattività del territorio sannita. Scorrendo le voci del Bilancio 2014 si evince che la previsione dei ricavi, stando a quanto dichiarato dai revisori contabili, è stata elaborata sulla previsione di sviluppo di ben 17 progetti riconducibili a quattro attività: innanzitutto internazionalizzazione delle imprese (5 progetti da 460mila euro, quasi tutti contributi in ar-

Bilancio 2014 17 progetti riconducibili a quattro attività: internazionalizzazione delle imprese; promozione delle eccellenze e delle qualità del territorio sannita; informazione e comunicazione; sostegno al credito.


rivo da enti pubblici); poi promozione delle eccellenze e delle qualità del territorio sannita (8 progetti da 768mila euro); ancora informazione e comunicazione (3 progetti da 160mila euro); ed infine sostegno al credito (40mila euro di fondi interni). Già chiaro, infine, anche il prospetto dei costi della Camera di Commercio per l’anno in corso: 13.459 euro per gli organi istituzionali, 196.175 euro per il personale, 22.211 euro per il funzionamento dell’Ente e 1.197.954 euro per spese relative a progetti ed iniziative. Quando si parla di imprese, però, occorre tener presente ancora una volta i dati nega-

7.063; società di persone: neoiscritte 136, cancellate 143, saldo – 7, registrate 23.049; ditte individuali: neoiscritte 1.334, cancellate 1.834; saldo – 500; altre tipologie: neoiscritte 75, cancellate 32, saldo + 43. Migliori i dati delle altre province campane rispetto a Benevento: + 1,56% a Napoli, + 0,5% a Caserta, + 0,29% ad Avellino, + 0,21% a Salerno. Un discorso a parte meritano i dati relativi alle iscrizioni e cancellazioni nel registro della Camera di Commercio di Benevento per quanto concerne le imprese artigiane. In questo caso, infatti, la flessione è generalizzata ed il Sannio non è il fanalino di coda in Campania. La diminuzione in Italia

A crisi economica non dà tregua alle imprese e che occorre fare le scelte che servono al sistema produttivo puntando sui settori che offrono maggiori opportunità. Turismo e servizi, passando per le produzioni agroalimentari e manifatturiere ad alto contenuto tecnologico. tivi dell’andamento dell’economia locale. Una nuova fotografia emerge dal dato delle iscrizioni nel registro imprese nel Sannio relativamente al 2013. Se in ambito nazionale si registra un lieve incremento rispetto all’anno precedente, in provincia di Benevento cala il numero delle imprese iscritte. A fronte delle 2.124 neo registrate, infatti, sono ben 2.227 le imprese che hanno cessato la propria attività, con un saldo negativo di 103 unità ed una variazione del – 0,3%. Il dato è comunque leggermente positivo rispetto al 2012 ma cozza lo stesso con la vivacità delle iscrizioni in ambito nazionale dove sono state 384.483 le aziende nate contro le 371.802 cessate con un incremento di 12.681 unità ed un tasso di crescita dello 0,21%. Lo stesso dicasi in ambito regionale dove le neoiscritte sono 38.412 e le cancellate 33.454, con un saldo di crescita pari allo 0,88%. Grazie ai dati forniti dal sistema di Unioncamere ed Infocamere è possibile fare anche una comparazione per tipologia d’imprese. Società di capitali: neoiscritte 579, cancellate 218, saldo 361, registrate

è dell’1,94%. Anche a Benevento il saldo è negativo con un meno 1,24% essendo cessate 478 attività imprenditoriali nel campo dell’artigianato a fronte delle 397 nuove iscrizioni. La provincia di Benevento fa meglio di Avellino (-1,38%), Caserta (-1,74%) e Salerno (-2,13%). Napoli, invece, va in controtendenza con un incremento delle imprese artigiane registrate pari al 2,73% con un saldo di 806 aziende: 2.113 neo iscritte e 1.307 cancellate. Il quadro offerto dal rapporto di Unioncamere ci dice anzitutto che la crisi economica non dà tregua alle imprese e che occorre fare le scelte che servono al sistema produttivo puntando sui settori che offrono maggiori opportunità. Alcuni spunti vengono anche dal Bilancio preventivo della Camera di Commercio di Benevento che investe su settori come turismo e servizi, passando per le produzioni agroalimentari e manifatturiere ad alto contenuto tecnologico. Ciò non basta se però non si sostiene un mercato interno capace di rinforzare occupazione e consumi. 

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Lo Science Centre di Città della Scienza un anno dopo Intervista a Anne-Marie Bruyas a cura di Giulia D’Argenio

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iamme alte che illuminarono la notte di Napoli, infierendo sul suo cuore già ferito. Fiamme che si riflettevano sullo specchio d’acqua alle spalle di quello che fu lo Science Centre di Città della Scienza. Un luogo magico, nella desolazione della Bagnoli sospesa. Sospesa in un tempo passato ma che non l’ha mai abbandonata, lasciandola lì in attesa di una rinascita che, forse, potrebbe arrivare dalle ceneri di Città della Scienza. Firmato tra le polemiche in queste settimane un accordo tra le parti. Ne abbiamo parlato con Anne-Marie Bruyas, responsabile dell’Ufficio per le Relazioni Internazionali della Fondazione IDIS – Città della Scienza. Anne Marie, come ha vissuto Città della Scienza questo anno? Dopo il rogo del 4 marzo scorso abbiamo vissuto un anno difficile. Un anno nel quale abbiamo trovato la forza necessaria a ripartire nell’onda di solidarietà che si è sollevata subito dopo il rogo e che è si è protratta per tutti i mesi successivi. E proprio quest’onda di solidarietà ci ha dato la spinta a rimetterci in cammino e ad andare avanti. Qual è stato il gesto di vicinanza più significativo di cui siete stati destinatari?

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In realtà, non vi è un gesto che abbia avuto più valore di altri. Ogni segno di solidarietà ha assunto una valenza inestimabile e unica. Ciascuno di essi, dal più piccolo al più grande, ha avuto per noi un elevato significato simbolico perché si è trattato di un’importante espressione di vicinanza. Tante persone hanno voluto dare il proprio contributo, piccolo o grande che fosse, attraverso bonifici o sms, per sostenere la rinascita di Città della Scienza. E non solo persone singole ma anche associazioni culturali, grandi imprese e soggetti istituzionali come l’Assemblea della Regioni, che ha contribuito all’allestimento di una tensostruttura per una mostra sull’Exploratorium di San Francisco o la Commissione Europea, che ha voluto realizzare con noi una ricerca oceanografica. Tanti soggetti diversi e ciascuno ha dato il proprio aiuto per ricostruire parti di Città della Scienza. Come è stato camminare tra le spoglie dello Science Centre quel terribile giorno? Abbiamo provato una sensazione bruttissima, di sconforto totale. Per noi dipendenti è stato come se parte del nostro essere fosse stata violata perché Città della Scienza era la nostra casa ed è stato come se ci fosse stato sottratto un pezzo delle nostre vite. Una sensazione che

Il ricordo NIn quell’incendio è stata violata la nostra casa e ci è stato sottratto un pezzo della nostra vita.


è, in parte, rimasta ancora oggi perché quando abbiamo modo di camminare tra quelle macerie non solo torna ad assalirci la tristezza ma anche una sensazione di rifiuto, di rabbia rispetto ad un atto che ci ha privati di una parte di noi. Di cosa c’è bisogno ora? Cosa chiedete come dipendenti di Città della Scienza? Che sia fatta finalmente giustizia. Quello che turba molti di noi è che le indagini non abbiano ancora avuto un esito. Tuttavia, noi continuiamo a chiedere, a un anno di distanza, che venga fatta chiarezza sulle cause alla base del rogo doloso. E oltre alla grande mobilitazione che ci ha sostenuti, la piena chiarezza sull’accaduto costituisce un tassello fondamentale del processo di rinascita in atto. Un tassello necessario nella misura in cui può garantirci la necessaria serenità. Qual è il valore dell’Accordo di Programma che è stato sottoscritto lo scorso 4 marzo? L’Accordo è fuor di dubbio un nuovo, importante punto di partenza, esso prevede che lo Science Centre rinasca là dove era prima, con la stessa volumetria ma in un edificio completamente diverso. Per realizzarlo, dopo la firma, sarà lanciato un concorso internazionale di idee per scegliere il progetto architettonico migliore. Un punto fermo nella ricostruzione è per noi la massima sostenibilità della nuova struttura, non solo in materia di risparmio energetico ma, in generale, per quanto riguarda tutte le risorse necessarie al suo funzionamento. In più, il testo prevede il completamento del museo del corpo umano “Corporea” e la realizzazione di alcuni progetti significativi come exhibit di fab lab per la fabbricazione di elementi espositivi utilizzando la tecnica delle stampanti 3d. E ancora la prosecuzione di un importante progetto in collaborazione con il MIUR per il rinnovo dei curricula scientifici, specie per quanto riguarda la matematica, e l’aggiornamento delle metodologie di insegnamento e l’aggiornamento dei docenti. Lei prima parlava di una maggiore armonizzazione e integrazione col territorio di Bagnoli… Sì. L’idea è quella di fare di Città della Scienza una piazza aperta a tutti, al’ intera città, iniziando, prima di tutto, da una nuova predisposizione del museo rispetto alla spiag-

gia. Spiaggia che il Comune vuole rendere definitivamente pubblica e trasformare il molo in prossimità del museo andato in fiamme in una passeggiata aperta al pubblico. Il tutto nel quadro del completamento della bonifica del mare di Coroglio. Si tratta di un’operazione fondamentale per rilanciare lo sviluppo di Bagnoli che resta un punto dolente nella vita della città ma fondamentale per permettere a Napoli di voltare pagina. Senza la piena riconversione della zona industriale in cui sorge Città della Scienza, questa finirà per rimanere una cattedrale nel deserto. Al contrario, è necessario che il processo venga portato a compimento per esaltare il valore non solo culturale ed educativo ma anche economico di CdS. Un progetto straordinario: con quali fondi sarà finanziato? L’Accordo di Programma prevede investimenti per circa 57 milioni di euro, dei quali 33 dovrebbero essere stanziati dalla Regione, attingendo ai fondi strutturali. I restanti 22 milioni, invece, verranno da Fondazione IDIS e oltre 1 milione di questa fetta è data proprio dalle donazioni ricevute, grandi e piccole, che contribuiranno direttamente al processo di rinascita. Qual è stato lo spirito della giornata della giornata del 4 marzo 2014? Abbiamo inteso ampliare il più possibile la partecipazione del pubblico. È perciò che Città della Scienza ha aperto, gratuitamente, in suoi spazi espositivi tutta la giornata. Volevamo che questo significativo momento, a un anno esatto dal rogo, fosse un momento di e per tutti. A riprova di ciò vi è stata la partecipazione di associazioni e organizzazioni culturali che hanno voluto dar vita eventi ed attività che hanno arricchito il programma da noi elaborato. Abbiamo voluto che questa giornata fosse un vero e proprio happening e non rimasse qualcosa di esclusivo, destinato ai solo soggetti istituzionali che apporranno la loro simbolica firma. L’immagine che più di tutte ha sembrato rappresentare una metafora efficacie del processo di rinascita di Città della Scienza, è stata quella dell’Araba Fenice. Il progetto contenuto nell’accordo di programma è ampio ed ambizioso che avrà bisogno di coraggio per essere realizzato a pieno. 

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a cura di Raffaele Perrotta

Il Sarno, una lunga storia Da dio degli antichi a mostro ambientale. La denuncia dell’ex magistrato Del Gaudio, la risposta dell’assessore Cosenza

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l Sarno, fiume che per gli antichi era un dio, negli ultimi 50 anni è stato ridotto a discarica di liquami a cielo aperto, tanto da stare ai vertici di ignobili classifiche dei fiumi più inquinati d’Europa e del mondo. Negli ultimi quaranta anni il Progetto Speciale 3 ha tentato di risolvere il disastro ambientale perpetrato contro la natura e contro gli uomini, sbagliando, forse, la chiave di lettura del problema e la strategia di approccio, sottovalutandone la complessità e le difficoltà di realizzazione delle opere. L’ultimo progetto, almeno in ordine di tempo, che solo formalmente è chiamato di “risanamento” del fiume, porta la firma di ARCADIS, l’agenzia regionale campana per la difesa del suolo, è invece nella sostanza solo un progetto idraulico a tutela e mitigazione del rischio idraulico e non tiene in alcun conto i rischi ambientali per l’inquinamento. L’ok di Bruxelles al finanziamento dell’opera ha, perciò, alimentato paure e preoccupazioni delle popolazioni che vivono lungo il fiume per un progetto che, senza preoccuparsi della qualità pessima delle sue acque, dovrebbe mitigare il solo rischio di esondazioni realizzando decine di vasche di laminazione e la seconda foce di Rovigliano. Rispetto ai buoni propositi del Grande Progetto Sarno, le perplessità restano. Grazie all’ingegnere Giovanni D’Amato, con una lunga storia di attivismo per la tutela della natura e del Sarno, e al dott. Orfeo Mazzella, dall’inizio impegnato contro la seconda foce, si può parlare di un approccio diverso, non solo idraulico-meccanico ma anche biologico ed ecocompatibile finalizzato a ridare la vita al corso d’acqua, per superare in modo risolutivo sia il problema

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dell’inquinamento creato dall’uomo che quello del rischio idraulico. Il fiume Sarno ha origini antiche. L’alveo del fiume, che ha origine presso la sorgente alta di S. Maria la Foce in Sarno, ha cambiato più volte il suo percorso nell’arco dei millenni. Sembra che l’antico Sarno fosse un affluente del Clanio e finiva il suo percorso nel Lago Patria. In seguito all’eruzione delle pomici di Avellino, cambiò il suo percorso e dopo l’eruzione del 79 d.C. il fiume spostò il suo corso più a sud fino ad avere in epoca medioevale un letto stabile, caratterizzato da numerosi ed intricati meandri ed una foce particolare detta “Lo Stagnone”, fatta di lagune costiere di fronte allo scoglio di Rovigliano a Torre Annunziata. Dopo la natura, la mano dell’uomo. Ciò che ha definitivamente alterato i precari equilibri del territorio è stata sicuramente la mano dell’uomo. Il colpo di grazia al fiume, però, è stato inferto negli ultimi 40-50 anni dalla industria conciaria e conserviera. C’è voluto il colera del 1973 per concentrare finalmente l’attenzione su problema e cominciare a parlare di disinquinamento. Progetto speciale 3 e grande progetto La storia degli ultimi quarant’anni è caratterizzata solo da grandi progetti ingegneristici, molto presuntuosi e poco rispettosi per l’ambiente, che si sono concretizzati in gradi opere invasive e, almeno per il Progetto Speciale di disinquinamento, incompiute con grande spreco di risorse pubbliche. Sulla scorta di un ritorno allo stato naturale del fiume, ad una sua nuova vita, al veder nascere la natura incontaminata e, non ultimo, per il sogno di far rivivere nei giovani quello che per i nonni è stato il fiume della


La denuncia Del Gaudio si fa carico delle preoccupazioni delle popolazioni interessate invitando l’assessore “prima alla bonifica poi alla seconda foce”. Lo sollecita a “lasciare il segno con un’opera imponente: riportare alla vita il corso d’acqua più inquinato d’Europa.

pesca e dell’acqua pulita, Michele Del Gaudio, ex magistrato, la cui vita dedita alla lotta alle ingiustizie è storia, ha scritto un’accorata lettera-appello ad Eduardo Cosenza, attuale assessore alle opere e ai lavori pubblici della regione Campania. Nella lettera, Del Gaudio si fa carico delle preoccupazioni delle popolazioni interessate invitando l’assessore “prima alla bonifica poi alla seconda foce”. Lo sollecita a “lasciare il segno con un’opera imponente: riportare alla vita il corso d’acqua più

inquinato d’Europa e sicuramente più inquinante, perché distrugge le potenzialità di una meravigliosa creazione naturale come il Golfo di Napoli”. Citando papa Giovanni ed il concilio, l’ex magistrato incalza Cosenza: “Tu cosa intendi fare? Rendere Torre Annunziata la cloaca della Campania? Sì, questa è la conseguenza se si moltiplicano deflussi tossici, transiti di materiali pericolosi via mare, con la ciliegina di un inceneritore di rifiuti speciali”. Per poi concludere con la soluzione che è il titolo della sua lettera: pre-

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ferire prima la bonifica e poi la sistemazione idraulica laddove ve ne sia bisogno. Inaspettatamente, l’assessore Cosenza ha risposto alle numerose domande che Del Gaudio aveva raccolto ed inviato insieme alla lettera. Di seguito riportiamo uno stralcio di alcune significative. Perché è cosi complicato disinquinare il Sarno? Perché il suo bacino è esteso, coinvolge 35 comuni, 3 provincie, 800.000 abitanti. Ad ogni riunione partecipa una folla di persone in rappresentanza di decine di enti. È macchinoso definire una linea. E poi la situazione iniziale era drammatica: niente fogne interne, collettori, depuratori, anzi parecchi scarichi abusivi. Quanto tempo dovremo attendere per conseguire l’obiettivo? Abbiamo le risorse per concludere l’origi-

Si può stare tranquilli! Anche perché i lavori idraulici rimuovono i fanghi depositati sul letto da decenni per ripristinare la sezione idraulica originaria; accrescono la portata defluente in ognuno dei corsi d’acqua principali; aumentano la diluizione inquinante. Il progetto dei comitati Nonostante il carteggio tra l’assessore e l’ex giudice Del Gaudio, i comitati contro il Grande Progetto hanno continuato con iniziative e riunioni, incontrando anche i referenti di ARCADIS. Durante quest’ultima riunione, i responsabili dell’agenzia regionale hanno, di fatto, smentito Cosenza sullo scolmatore, confermando che, come da progetto, si tratta di una vera e propria nuova foce. Rispetto ai mega progetti, dove spesso si cementifica troppo consumando suolo e non riscontrando i benefici che ci si pone, è

Nonostante il carteggio tra l’assessore e l’ex giudice Del Gaudio, i comitati contro il Grande Progetto hanno continuato con iniziative e riunioni, incontrando anche i referenti di Arcadis, sollecitando interventi che hanno un impatto minore e più leggero sulla natura. naria progettazione. Si comincerà nel 2014. I primi lotti saranno terminati a fine 2015 e gli altri gradualmente fra 2016 e 2017. Quanto sono costati i depuratori e chi li ha pagati? Sono stati creati ex novo quelli di Scafati, Angri e Nocera Superiore, mentre sono stati adeguati quelli di Solofra, compreso l’essiccatore, di Mercato San Severino e di Foce Sarno. Sono stati erogati circa 220 milioni di euro, quasi tutti provenienti dal patrimonio statale e regionale. Ma perché una seconda foce? Sarebbe un’altra fogna a cielo aperto! Non é una foce, ma uno scolmatore! Ecco perché mi arrabbio! Non siamo riusciti a spiegare che si tratta di uno strumento residuale che entra raramente in azione! Finiti i lavori, la piena invaderà lo scolmatore solo dopo piogge torrenziali reiterate. Altrimenti basterà il fiume. Ma c’ è preoccupazione, paura di tumori!

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inevitabile restare affascinati da progetti che non solo hanno un impatto sulla natura più leggero ma sembrano andare del tutto in sintonia con l’esigenza ambientale. Questo è l’intento dello studio alternativo portato avanti dal comitato “No alla seconda foce di Rovigliano” ed accettato dalla quasi totalità dei numerosi Comitati che si sono spontaneamente costituiti da Torre Annunziata fino a Solofra. Tale progetto, infatti, non solo risolve il problema idraulico del collettamento delle portate di piena ma anche quello indotto dalla portate di magra che sono le più pericolose per quanto riguarda l’inquinamento e i danni all’ambiente. Lo studio, dell’Ing. D’Amato e del professor Fresi, ha anche lo scopo di restituire la vita al fiume ripristinando l’antica foce naturale attraverso la riattivazione delle enormi capacità biologiche degli stagni retrodunali e dello Stagnone. 


di Maria Rosaria Casparriello

Incubo petrolio su Irpinia e Sannio: il silenzio della politica Ecco i rischi per le popolazioni locali

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i scrivono fiumi di parole sul Protocollo di Kyoto. L’imperativo dominante sembra essere l’ambiente: dalla sostenibilità alla green economy. Ma nelle provincie di Benevento e di Avellino i cittadini e gli enti locali devono battersi per tutelare i loro territori. Contro ogni logica di promozione di energia pulita, nel Sannio e in Irpinia si ricercano infatti idrocarburi. Il piano è proposto dall’azienda inglese Delta Energy Limited e riguarda Pietra Spaccata e Case Capozzi. Nei mesi scorsi la questione “petriolo” ha fatto registrare grandi polemiche ma poi - in particolar modo nel Sannio - è calato uno strano silenzio. E questo non perché non ci sia più la ‘questio’ ma molto semplicemente perché non se ne parla più. Complice di questa grave situazione la classe politica locale che ha taciuto prima e continua a tacere ora. Nessun intervento è in atto nel Sannio per scongiurare l’arrivo delle società petrolifere e con esse dell’H2S, l’idrogeno solforato, un sotto-prodotto principale dell’opera di idro-desulfurizzazione del petrolio. Secondo gli esperti, i probabili giacimenti per i quali si vuole investigare il sottosuolo sannita ne sarebbero ampiamente ricchi. È lecito allora chiarire quali sono le conseguenze che l’H2S provoca sugli esseri umani. Ebbene, gli effetti sono simili a quelli del cianuro. Se poi la quantità di idrogeno solforato è troppo elevata, la naturale capacità del corpo umano di disintossicarsi non è più sufficiente e la tossicità diventa letale. A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che per scongiurare il pericolo di esposizione della po-

polazione basterebbe tenere sotto controllo le emissioni di acido solforato. Ma il dibattito intorno alle concentrazioni non è proprio banale. Il gap legislativo tra nazioni preparate alla ricerca e allo sfruttamento degli idrocarburi e il Bel Paese è un fatto incontrovertibile. Basti pensare che il governo federale degli Stati Uniti d’America, a fronte dei numerosi studi scientifici, consiglia di fissare il limite massimo ad 1 ppb (0.001 ppm). In Italia, il limite massimo di rilascio di idrogeno solforato, secondo quanto stabilito dal decreto ministeriale del 12 luglio 1990, è di 5 ppm per l’industria non petrolifera e 30 ppm per quella petrolifera. Un valore seimila volte più alto rispetto a quello raccomandato dall’OMS (0,005 parti per milione). Questo senza contare i danni all’agricoltura. Un impianto del genere ha un forte impatto sull’economia dei territori. La realtà sannita, al pari di quella irpina, è costituita da una moltitudine di siti di interesse comunitario. Fin qui, l’obiettivo è stato quello di creare un circuito di territori di eccellenza che, grazie alle loro specificità enogastronomiche e al clima favorevole, fossero in grado di accogliere i flussi turistici attratti dall’ottima qualità della vita. Le colture di pregio rappresentano proprio l’affermazione del principio ispiratore dello sviluppo dell’entroterra e la loro continua evoluzione sono il segnale che la strada intrapresa è quella giusta. Ma il pericolo di passare dai marchi Dop, Doc, Docg dei prodotti delle terre sannite e irpine a quello di ‘Oil Forever’ è purtroppo reale e incombente. 

Da agricoltori ad intossicati Troppo alto il valore consentito dell’idrogeno solforato così si diventa terra Oil Forever.

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RICERCA E INNOVAZIONE

di Pellegrino Giornale

Centro Studi della Provincia di Benevento Bilancio positivo di due anni di attività e ricerca

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a spento due candeline il “Centro Studi della Provincia di Benevento”, istituito ed inaugurato l’8 febbraio 2011, quale struttura permanente di cooperazione fra la Provincia e l’Università degli studi del Sannio. La sede è in contrada Piano Cappelle di Benevento, nell’area del Museo della tecnica e del lavoro in agricoltura (MUSA). Frutto di un protocollo d’intesa siglato nel 2009, il Centro Studi ha l’obiettivo di conferire al territorio il valore aggiunto di conoscenze, di innovazioni e di ricerche nei campi dell’agricoltura ed agroalimentare, energia e diga di Campolattaro, turismo, ICT, ambiente e sicurezza del territorio, ingegneria civile. Dopo due anni di attività il bilancio è sicuramente positivo: la struttura è ormai diventata un centro pilota per l’applicazione e la produzione di conoscenza per il territorio e di alimentazione e sperimentazione di idee e soluzioni innovative in aree strategiche.

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I risultati sono stati presentati in un convegno sul tema “L’Università del Sannio e le aree interne della Campania”, tenutosi presso Sala “Raffaele Delcogliano” alla Villa dei Papi. I lavori sono stati aperti dall’introduzione ed i saluti del sindaco di Benevento, Fausto Pepe, del commissario straordinario della Provincia, Aniello Cimitile, e del rettore dell’Università del Sannio, Filippo de Rossi. La prima sessione è stata dedicata interamente alla illustrazione delle attività svolte sul territorio con gli interventi dei docenti universitari responsabili delle iniziative sviluppate dal Centro Studi e dai ricercatori che hanno beneficiato delle borse di studio erogate dalla Provincia di Benevento. La seconda sessione ha riguardato il tema “Università e territorio” con la partecipazione del commissario straordinario della Provincia, Aniello Cimitile, e del vicepresidente della Giunta Regionale della Campania con delega all’università e alla ricerca scientifica, Guido Trombetti.

Il convegno I risultati sono stati presentati in un convegno sul tema “L’Università del Sannio e le aree interne della Campania”.


Lo sviluppo territoriale Il Centro Studi della Provincia si occupa di analizzare, monitorare e a dare contenuti scientifici alle ipotesi di sviluppo come quello inerente la diga di Campolattaro, o le attività produttive delle piccole e medie imprese, dell’agricoltura, dell’agroalimentare, del trasferimento tecnologico.

È seguita la Tavola Rotonda con un dibattito su “Lo sviluppo del rapporto tra l’Università ed il sistema economico e produttivo” a cui hanno partecipato i tre direttori dei Dipartimenti dell’Università del Sannio: Giuseppe Marotta (Diritto, Economia Management e Metodi Quantitativi), Umberto Villano (Ingegneria), Fernando Goglia (Scienze e Tecnologia), il presidente di Confindustria Benevento, Biagio Mataluni, il presidente della Camera di Commercio di Benevento, Gennarino Masiello, il presidente del Consorzio Area di Sviluppo Industriale di Ponte Valentino, Luigi Diego Perifano. Lo sviluppo del territorio sannita può essere assicurato, ha dichiarato Cimitile, solo grazie al lavoro quotidiano di un polo di ricerca attestato a Benevento che non può essere spostato altrove o disperso in mille rivoli in altre aree. La Provincia di Benevento, ha continuato Cimitile, ha voluto “sfruttare” le potenzialità di supporto scientifico dei ricercatori dell’Università sannita al fine di metterli a disposizione delle strategie di sviluppo sui temi della “green economy”: in questa direzione si è mosso e si muove, infatti, il Centro Studi della Provincia che si è occupato e si occupa di analizzare, monitorare e a dare contenuti scientifici alle ipotesi di sviluppo come quello inerente la diga di Campolattaro, o le attività produttive delle piccole e medie imprese, dell’agricoltura, dell’agroalimentare, o del trasferimento tecnologico, ma anche per quanto concerne il riordino delle Istituzioni territoriali locali. “L’Università del Sannio è parte integrante del nostro territorio ed è perfettamente integrata all’interno del tessuto urbano cittadino, ha detto Cimitile, e la Provincia continuerà anche in futuro a sostenerla. Nei mesi scorsi sono state finanziate con numerose borse di studio per ricercatori e studenti alcune indagini sul territorio aventi particolare interesse per la collettività, come ad esempio quelle che hanno interessato la filiera zootecnica ed alimentare di alcune produzioni (come la carne di razza marchigiana allevata nel Sannio, o l’olivicoltura). Queste ricerche costituiscono il valore aggiunto dell’attività di promozione del territorio della provincia e della classe dirigente locale”. Per vicepresidente della Giunta Regionale della Campania con delega all’università e alla ricerca scientifica, Guido Trombetti, “il Centro

Studi è una bellissima iniziativa anche per come è stata immaginata una struttura leggera con una funzione di catalizzatore o luogo dove si elabora una riflessione scientifica su progetti di sviluppo nell’ambito dell’agroalimentare, dell’edilizia, della protezione del territorio, del software. Oggi purtroppo è un evento rarissimo anche perché non c’è più tempo di studiare. L’Università oggi non può limitarsi al suo ruolo alto di luogo di ricerca e di diffusione del sapere: oggi c’è una terza missione dell’Università, che non è solo trasferimento tecnologico, ma la produzione del sapere, che è un lusso dei paesi Occidentali, deve essere restituita al territorio come sviluppo tecnologico, del sapere, del sociale. La ricerca non è mai inutile: la ricerca può essere buona e cattiva, ma è sempre utile alla conoscenza. Quanto al destino delle Università italiane, che qualcuno vorrebbe accorpare o diminuire in numero, ebbene bisogna dire che l’Università deve vivere in rapporto con il territorio. L’Università deve vivere anche disseminata sul territorio, anche in quello delle aree interne: tra costi e benefici il saldo è positivo. Oggi il diritto di continuare ad esistere anche delle piccole Università si gioca però sulla possibilità e sulla opportunità di mettere in rete l’Ateneo con il territorio. Per questo noi abbiamo costituito una rete, o Distretto, che ingloba ben 500 imprese produttive e le Università, insieme al Consiglio Nazione delle ricerche, cioè appunto fa dialogare ricerca e territorio. Su tutte le aree che non hanno avuto un Distretto per l’agroalimentare e per l’ICT sono a disposizione 70 milioni di Euro in un bando pubblico. Questo sistema non nasconde i centri “piccoli” dal punto di vista quantitativo, ma mette insieme diverse eccellenze presenti dando loro una forza nuova, una massa critica anche di carattere contrattualistico nei confronti delle autorità europee. Avremo la rete a larga per 99,7%, ma quella ultra larga raggiungerà per il momento 80 Comuni: noi abbiamo il dovere come istituzione pubblica di portare la rete informatica anche sulla collina più alta. Bisogna superare quella forma di apharteid che oggi è appunto la mancanza di rete. In definitiva io credo che la crisi sia finita e che stiamo invertendo la marcia: certo, non ci saranno più le vacche grasse, ma noi abbiamo l’Università che è un valore aggiunto”. 

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SPECIALE: LA RIFORMA DEL TITOLO V

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INTERVISTA AL FILOSOFO ALDO MASULLO

Una stagione di riforme? “Giungere al punto più basso della propria decadenza per ricominciare a risalire” a cura di Samuele Ciambriello

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rofessor Aldo Masullo, ho quasi l’impressione che si sia passati dall’antipolitica alla politica, la gente è indifferente, quasi rassegnata per certi versi ho paura che stiamo andando verso il declino. Che stiamo andando verso il declino è già un’impressione ottimistica perché la mia impressione è che siamo giunti quasi al punto più basso del declino e quindi vorrei augurarmi che non ci sia ancora qualcosa da percorrere per declinare anche se, il nostro buon Gianbattista Vico diceva che i popoli devono giungere al punto più basso della propria decadenza per cominciare a risalire. Ora io come Italiano mi augurerei che non dovessimo giungere al punto più basso per cominciare a risalire ma che riuscissimo a risalire dal punto dal quale siamo arrivati. La domanda giornalistica è questa: da che cosa ripartire? Parafrasando S. Agostino, se vogliamo essere uomini della speranza, la speranza ha 2 figli: l’indignazione per le cose che non vanno e il coraggio di cambiare le cose che non vanno. Prima di tutto la speranza comporta un’altra cosa, la responsabilità; cioè sperare di vincere al lotto è una speranza senza responsabilità, cioè non dipende da me vincere la quaterna ma la responsabilità di cui si parla quando si parla di processi sociali

è una speranza che non ha nessun senso se non viene accompagnata dalla responsabilità. Cioè io ho il diritto di pensare solo in quanto avverto il dovere di impegnarmi per dare risposta ai problemi che ci occupano. In queste ultime settimane si sta insistendo molto per recuperare la fiducia dei cittadini e si sta insistendo molto su una riforma elettorale che faccia contare un po’ di più il parere dei cittadini e complessivamente sulla riforma del titolo V e sull’abrogazione delle province. La sua opinione? Si deve ripartire da questo? No, io non credo che la cosa più importante sia la riforma elettorale, certamente è importante ma dire riforma elettorale è in qualche modo pronunciare una proposizione che porta in qualche modo dentro di sé una contraddizione in termini perché riformare una legge elettorale significa introdurre dei cambiamenti di quella legge che per sua natura e suo principio si dovrebbe ridurre semplicemente a far votare i cittadini. Dire riforma elettorale vuol dire che si vuol introdurre un meccanismo che trasformi la volontà manifestata dai cittadini in qualche altra cosa che potrebbe sembrare più conveniente per la cosiddetta governabilità, ma che, certamente, è già una deformazione della “elettoralità” come espressione democratica.

Il dovere dell’impegno La responsabilità di cui si parla quando si parla di processi sociali è una speranza che non ha nessun senso se non viene accompagnata dalla responsabilità.

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SPECIALE: LA RIFORMA DEL TITOLO V

Si parla anche di riformare la Costituzione, del titolo V, dell’abrogazione del Senato, delle province. Lei ritiene che si debba partire da questo per ridurre i costi della politica come dicono alcuni? Da questo si dovrebbe ripartire per ottenere una maggiore efficienza della vita politico amministrativa, perché se pensiamo quanti guasti ha prodotto la riforma del Titolo V della Costituzione, la venuta dell’anno di grazia 2001, ci rendiamo conto che le regole costituzionali sono la base per il buon funzionamento della vita politica e amministrativa perché in fondo la politica e l’amministrazione stanno tra di loro in rapporto come l’anima e il corpo. Si ha voglia di dire che bell’anima ma se il copro non funziona… È fondamentale un corpo organizzato bene, un corpo in cui non vi siano delle patologie che impediscano di realizzare gli scopi per cui quegli organi sono stati fatti. Nelle ultime settimane su questo tema della riforma della legge elettorale, della riforma del Titolo V della Costituzione è nata l’alleanza tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Ma le regole non si devono scrivere a una maggioranza più allargata possibile? Lei ha citato la riforma del 2001… L’ha sorpresa vedere Berlusconi e Renzi a braccetto o è giusto così? Io, come tutti, ci possiamo sorprendere quanto vogliamo ma certamente la sorpresa è dovuta semplicemente al fatto che i voti non sono riusciti a fare la riforma elettorale e questo la dice lunga sull’essenza della democrazia perché l’essenza della democrazia è in se stessa contraddittoria: l’essenza della democrazia consiste nel riconoscere a tutti la dignità intellettuale e morale e quindi la volontà di dare il proprio contributo alle decisioni collettive. Ma d’altra parte come si fa ad ottenere una volontà concorde da milioni di persone? E questo ci fa capire che nessun estremismo di nessun tipo può arrogarsi il diritto di costituire una democrazia funzionante solo per il fatto che è radicale. La democrazia funziona in quanto sistema di procedure e quindi nasce da una serie di compromessi che rendono possibili poi i compromessi quotidiani che fanno parte della vita degli uomini associati. Se me ne vado a vivere in un deserto non ho bisogno di compromessi ma se io

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vivo in relazione ad altri devo ternerne conto. Qui la parola compromessi è usata nel senso “berlingueriano”, non certo nel senso dell’intrallazzo ma viceversa nel senso della transazione tra due posizioni opposte per cercare la mediana. A maggio ci sono le elezioni Europee. I cittadini sono sfiduciati verso l’Europa, contestano l’euro. Come recuperare anche un ruolo per l’Europa sapendo anche che la maggioranza dei cittadini è sfiduciata. In tutti i Paesi europei iniziano a venir fuori certi nazionalismi. Come recuperare questa la centralità dell’Europa dell’Italia e dei popoli e non delle banche e dei banchieri? Non so se facciamo in tempo a recuperarla per le prossime elezioni perché questa formazione ad una coscienza europea e quindi sovranazionale è una formazione che esige tempo, c’è inoltre una mancanza nel processo storico nel quale siamo fin qui vissuti nella totale assenza di informazione per i cittadini di tutto ciò che avviene nel mondo dell’Unione Europea. Ricordo quando sono stato deputato al Parlamento Europeo, quando ancora i deputati erano designati dai parlamenti razionali ed io ero stato designato da un Senato, come la vita di tutto ciò si svolgeva ne Parlamento Europeo era innanzitutto notevolmente separata da ciò che avveniva nei luoghi della decisione, cioè nei luoghi della grande burocrazia europea. Il tutto poi era assolutamente ignorato da ciò che era l’opinione pubblica. Questa è una grave responsabilità dei nostri uomini politici e dei nostri sistemi di informazione collettiva e quindi del giornalismo italiano. I giornalisti italiani spesso si affaticano a descrivere un delitto ma non si preoccupano mai di far capire quali sono gli eventi di un parlamento europeo, quali sono gli eventi di una comunità nel suo insieme, quali sono i punti critici dell’architettura della comunità. Il cittadino italiano come quello francese e quello tedesco, ignora assolutamente questa dimensione da cui si sente escluso. Da questo deriva l’atteggiamento del sentirsi vittima di decisioni prese arbitrariamente. Siamo partiti dal declino: se parliamo di Napoli ci sono speranze? Lei la vede in declino? Non c’è stupore, non c’è bel-

Democrazia è collettività L’essenza della democrazia consiste nel riconoscere a tutti la dignità intellettuale e morale e quindi la volontà di dare il proprio contributo alle decisioni collettive.


lezza, non ci sono iniziative. Il sindaco voleva “scassare”. Faccia una fotografia di quello che vede di questa città, in bianco e nero, anche delle responsabilità che ci sono. Tempo fa ho fatto un libro da un’intervista che fu intitolato “Napoli siccome immobile”, fu preso il famoso verso di Manzoni quindi. Quello che mi colpisce profondamente e vedo che ormai colpisce tutti in quanto si parla di immobilità di Napoli, è che l’immobilità non nasce per miracolo, è un’immobilità che nasce da un processo storico che ci ha portati a questo punto. Se noi leggiamo le cronache giornalistiche dell’800’, leggiamo di giornalisti svizzeri e francesi che venivano a Napoli e constatavano la presenza di molti borghesi di penna (avvocato, professori, ecc.) ma non bor-

ghesi imprenditori. Abbiamo aspettato dallo stato la condizione di risorgimento, cosa che non poteva avvenire. I napoletani di oggi non sono se non come non potevano non essere: una situazione storica come quella di cui ho parlato prima, non può che produrre l’inerzia di un popolo in cui l’artigiano non diventa industriale e il padrone di terre non diventa imprenditore in grande. Fino agli anni 50 una delle figure caratteristiche della borghesia è “o’ padron e cas”, gente che con un po’ di risparmi comprava due appartamenti, li fittava e viveva di quello. La nostra è una città immobile. C’è immobilità e immobilismo anche in politica… L’immobilità è lo stato di fatto, l’immobilismo è l’atteggiamento, la mancanza di capacità di mettere in moto questa realtà stagnante. Napoli è fatta tutta di eccezioni: non mancano industriali di valore, scienziati, ma manca il collettivo, il pubblico nel senso della coscienza civile, è questa la classe che manca. Se ci fossero Giordano Bruno e Gianbattista Vico in questa Napoli si metterebbero a scrivere partendo da cosa? Bruno e Vico erano uomini di penna, il primo dei quali ebbe il coraggio di andare al rogo quindi grande rivoluzionario, l’epoca di Bruno non era l’epoca delle rivoluzioni industriali e quindi lui fece più di quello che si poteva fare. Radicalità di scelte e testimonianze e per Vico? Vico è l’interprete di una realtà dolorosa perché l’occhio con cui Vico guarda il mondo civile, la città particolarmente, è l’occhio di chi vive nel bel mezzo di un tardo feudalesimo ormai incapace di produrre novità e tuttavia è ancora arrampicato alla realtà sociale. Del resto Vico si esprime con il massimo folgore nella prima metà del 700 ed è in qualche modo un preilluminista di quello che gli illuministi, ispirandosi alle ideologie che circolavano in Europa, intuiscono la necessità del cambiamento però non potendo fare la rivoluzione dovevano contare per la trasformazione sulla corona sul governo monarchico e ciò inghiottì la rivoluzione anziché farla. 

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SPECIALE: LA RIFORMA DEL TITOLO V

di Patrizia Perrone

Partecipa! Consultazione pubblica sulle Riforme Costituzionali

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ell’ambito della necessità di urgenti riforme istituzionali e di una maggiore partecipazione dei cittadini alla costruzione democratica del cambiamento, pregevole è l’iniziativa del precedente governo di una consultazione pubblica a mezzo internet che ha permesso a molte persone di poter rendere nota la propria opinione. Il questionario sulle riforme costituzionali on line proposto tramite il sito www.partecipa.gov è stato senza dubbio un’importante occasione per partecipare al processo di riforma e fornire indicazioni preziose per i lavori istituzionali. La consultazione è durata 3 mesi, dall’8 luglio all’8 ottobre 2013. I risultati sono confluiti in un rapporto pubblicato in rete a novembre e consegnato alla Presidenza del Consiglio. Il processo di consultazione è stato strutturato in tre livelli: un questionario breve, un questionario di approfondimento e una fase di discussione pubblica. I primi due questionari sono stati accessibili online a partire dall’8 luglio, mentre l’avvio della successiva fase di discussione pubblica è stato annunciato in corso sui siti istituzionali. Questo processo strutturato aveva l’obiettivo di favorire una grande partecipazione popolare e, coinvolgere ogni tipo di interlocutore. Cerchiamo di capire se ha funzionato, esaminando soprattutto i dati dei questionari. I questionari brevi validati sono stati 131.676 , quelli di approfondimento 71.385.

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I partecipanti sono stati per il 34% donna, per il 66% uomini, con un maggior numero di questionari validati al nord. Le fasce d’età piu` rappresentate sono quelle che spaziano tra i 38 e i 67 anni. Tra i partecipanti la stragrande maggioranza ha almeno il diploma di scuola media superiore con percentuale dei possessori del diploma di laurea del 32,2% mentre quelli con dottorato o master arrivano al 12,7%. Nelle risposte al questionario breve il campione si professa propenso a un cambiamento dell’attuale tipo di governo (solo il 26,3% vorrebbe mantenerlo cosi` com’è). La maggioranza vorrebbe cambiarlo, ma sul tipo di cambiamento si spacca: il 39% vorrebbe una Repubblica Presidenziale, mentre il 29,1% vorrebbe un rafforzamento dei poteri del Governo ma mantenendo una repubblica parlamentare. Anche l’attuale bicameralismo viene bocciato dai risultati della consultazione: il 40% vorrebbe modificarlo, differenziando solo funzioni e composizione del Senato, soltanto il 8,99% vorrebbe lasciarlo com’è, mentre il 41,76 % preferirebbe la completa abolizione del Senato. Piu` complicato analizzare l’item che riguarda le priorità di cambiamento per raggiungere una maggiore efficienza del Parlamento, ma viene ritenuta “altissima” dal 34% quella riguardante il numero dei parlamentari, mentre il 20% antepone a qualsiasi cambiamento l’aspetto riduzione di indennità e benefici. Interessante la risposta successiva riguardante la discussione obbligatoria delle


Partecipa È un processo di consultazione strutturato in questionari sulle riforma costituzionali con l’obiettivo coinvolgere e fare interaggire ogni tipo di interlocutore.

Consultazione Pubblica sulle Riforme Costituzionali leggi di iniziativa popolare da parte del Parlamento: solo il 6,8% ritiene debba rimare libero di decidere se discuterla come è attualmente. Per la maggioranza anche le regole per i referendum andrebbero cambiate, soprattutto riguardo al meccanismo, per facilitare il raggiungimento della validità del risultato; Anche le province cosi` come sono non soddisfano i cittadini che hanno risposto al questionario, il 42,1% le abolirebbe, mentre il 46,07% preferirebbe una semplificazione dell’attuale sruttura. Analoghi i risultati riguardo al numero minimo di abitanti per Comune: il 50,1% ne vorrebbe fissata la soglia minima per Costituzione, il 36,06% ne vorrebbe la modifica favorendo gli accorpamenti volontari. Alcune considerazioni finali: Sulla necessità del cambiamento gli italiani che hanno risposto al questionario sono abbastanza concordi, mentre sembrano meno compatti sui tipi di

cambiamenti da realizzare. Inoltre, considerando l’età e l’istruzione media dei partecipanti forse la partecipazione non si è dimostrata abbastanza accessibile ai giovani e alle le persone di piu` scarsa cultura, ma l’utilizzo della rete potrebbe essere una concausa. Inoltre il grafico riguardante le visite al sito dimostra una “diserzione” nel mese di agosto, quindi, per quanto l’iniziativa sia senza dubbio positiva e ben realizzata, forse i tempi potevano essere individuati diversamente. Due curiosità: nel questionario di approfondimento un Senato costituito da membri rappresentativi degli enti territoriali, come nella proposta di Renzi, viene scelto dal 55,6% dei soggetti. Infine solo il 9,1% si dichiara contrario in generale alla rielezione del Capo dello Stato. Il “Napolitano bis” viene dunque promosso dai partecipanti alla consulazione.

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SPECIALE: LA RIFORMA DEL TITOLO V

di Gian Maria Piccinelli

* Direttore Dipartimento di Scienze Politiche Jean Monnet (SUN)

Cittadinanza e Titolo V “Riformare la riforma” alla luce dell’esperienza può essere la soluzione?

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iviamo una schizofrenia tra diritti, governo dei territori e gestione della cosa pubblica. Cittadinanza, politica e amministrazione non sono più un sistema unitario volto a sorreggere e sviluppare il complesso rapporto di ciascuno di noi con lo Stato, né cooperano per obiettivi comuni attraverso i quali il Paese – come sistema sociale, economico e culturale – possa operare scelte per un futuro possibile e sostenibile. Nel 2001, dopo un faticoso dibattito di oltre quattro anni, per cucire lo strappo tra cittadini e politica che aveva accompagnato la cosiddetta fine della prima Repubblica, fu approvata la riforma del Titolo quinto della Costituzione. Si apriva allora una nuova prospettiva (per alcuni regionalista, per altri federalista) fondata sul trasferimento alle regioni di un’importante asse di competenze legislative.

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Non sono neppure trascorsi tre lustri e se ne riparla di nuovo. La convinzione generalizzata è che quella prima riforma, anche se non ancora del tutto attuata, non funzioni. Troppi poteri alle regioni, troppo onerose le province, ancora troppo lenta e arrugginita la macchina burocratica. “Riformare la riforma” alla luce dell’esperienza può essere la soluzione? Tante le voci che si accavallano e, in modo talora demagogico o solo superficiale, propongono le soluzioni più diverse. Quale bussola possiamo usare per orientarci? Credendo che, sulla questione, il punto di vista dei giovani abbia una significativa importanza, mi sono fermato a discuterne con un gruppo di studenti del mio Dipartimento di Scienze Politiche alla SUN. “Da dove comincereste questa riforma?”. “È necessario ridurre le competenze esclusive delle Regioni, hanno dimostrato di non saperne fare buon uso. Basta pensare alla sanità della


Campania”, esordisce Sabrina. “Consorziamo i piccoli comuni e federiamo le province”, continua Raffaella. “Non riesco a immaginare il funzionamento di Napoli come città metropolitana … sarà un’altra puntata della serie ‘io speriamo che me la cavo’?”. Giuseppe, così, mette in campo l’ironica rassegnazione di un giovane meridionale con la difficoltà di sentirsi inserito nel futuro che gli spetta. Capisco che il problema centrale per questi giovani è la crescente distanza della politica dalle loro esigenze. Allontanamento che è di per sé ineluttabile se pensiamo alle ragioni profonde della corrente crisi economica. Economia e politica viaggiano a velocità diverse: sempre più globale e rapida la prima, mentre l’altra, preoccupata dalle logiche del consenso e incerta nel Il problema centrale per i giovani seguire i sondaggi del giorno, appare incaè la crescente distanza della pace di spiccare il volo, politica dalle loro esigenze. Se di guardare avanti, di il luogo delle scelte si allontana pensare strategicamente. Se il luogo delle dal punto dove ciascuno di noi scelte si allontana dal si trova, allora è fondamentale punto dove ciascuno di noi si trova, allora è colmare il vuoto di rappresentanza fondamentale colmare il vuoto di rappresenche viene a crearsi. tanza che viene a crearsi. Anche la cittadinanza, cioè quello spazio di diritti (e doveri) condiviso da tutti i soggetti che insistono su un dato territorio (più o meno vasto), è un fenomeno sempre più complesso tanto da divenire un puzzle i cui pezzi quasi mai si incastrano l’uno con l’altro. Siamo cittadini, oggi, con tante diverse cittadinanze, dall’Europa fino al nostro comune, con le stesse teoriche tutele, ma differenti opportunità e potenzialità. Nella realtà il diritto alla salute o al lavoro o allo studio a Berlino è cosa ben diversa da Napoli. Percepisco nei miei studenti la preoccupazione che manchino anelli di congiunzione nella catena di trasmissione della rappresentanza democratica dal singolo cittadino fino all’Europa e oltre. La preoccupazione che la voce non arrivi e non sia ascoltata è grande. La previsione costituzionale, che consente in

questo campo l’intervento di una pluralità di soggetti gerarchicamente sovraordinati, invece, è potenzialmente capace di rispondere alle esigenze di intervenire dal basso nelle scelte della politica. Apro un altro capitolo: la crisi economica ha dato indiscutibile evidenza alla non sostenibilità dei costi connessi con una macchina politico-amministrativa così complessa. “Il problema è che manca una regia unitaria, manca un coordinamento delle politiche e dei connessi interventi normativi ai diversi livelli. Lo spreco è quindi inevitabile”, intervengono. “Ogni atto, ogni procedimento nella pubblica amministrazione costa troppo rispetto al risultato”. Penso come la burocrazia sia nata, poco più di due secoli fa, per difendere i diritti del ‘semplice’ cittadino rispetto ai privilegi di cui godeva il cittadino facoltoso o il nobile. Eppure, discutiamo, oggi esistono strumenti tecnologici che consentono di rifondare l’amministrazione degli enti locali e dello stato nella prospettiva di un nuovo rapporto con i cittadini: e-democracy, e-government, amministrazione trasparente, cittadinanza digitale, ecc. sono strumenti ampiamente sperimentati con successo nella maggior parte dei paesi europei e occidentali. La stessa esigenza di ‘riformare per risparmiare’, in questa luce, appare un mito. Vista dal basso, al livello delle persone ‘comuni’ (e dei miei studenti), è più importante incontrare un’amministrazione attenta alle sfide della cittadinanza e capace di produrre risultati coerenti con la crescente complessità delle strutture socio-economiche, piuttosto che immaginare l’abolizione o correzione di un solo segmento del sistema. L’ottica della cittadinanza, per questo, diviene un punto di riferimento essenziale per valutare l’efficacia della riforma costituzionale delle autonomie locali, per comprenderne l’orientamento complessivo. L’unica vera riforma sostenibile sarà quella capace di incidere sulla responsabilità politica e amministrativa dei rispettivi livelli decisionali e gestionali di tutti i soggetti che concorrono a determinare il corretto funzionamento del sistema (con tutte le sue relazioni) nel quale siamo inseriti: per avere stessi diritti e stesse tutele in ogni parte d’Italia e d’Europa. 

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WELFARE

di Pasquale Calemme

* portavoce

Situazione e mappatura delle case famiglia Minori di Napoli: figli di un Comune minore

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ssistenza negata per i bambini di Napoli: Case-famiglia e Comune di Napoli: il pessimo stato dell’arte e la proposta per il futuro. Per definire la tematica e il mondo delle realtà che si occupano dei bambini e dei ragazzi a Napoli e in provincia è utile partire dalla terminologia: casa famiglia, comunità per minori, comunità educativa, centri di prima e pronta accoglienza, gruppi apparta-

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mento è un universo di servizi e tipologie specifiche che possiamo generalmente raggruppare sotto il termine di “servizi di accoglienza residenziale per minori” Questi servizi sono considerati “servizi indispensabili”, sia perché accolgono minori bisognosi di tutela, sia perché specifiche norme danno priorità ai servizi che conseguono a pronunciamenti dell’autorità giudiziaria come nel caso dei minori allontanati dalla famiglia

Il Welfare non è un Lusso


dal Tribunale per i minorenni. La questione politica e la vertenza con il Comune di Napoli che ha affidato agli enti i servizi mantiene l’impegno del pagamento delle rette in modo continuo, si gioca su due piani, quello del passato, il debito accumulato e quello del presente/futuro cioè la stabilizzazione dei servizi. La grave condizione in cui versano i servizi non nasce oggi: il Comune di Napoli, nei confronti degli enti gestori delle strutture di accoglienza ha accumulato un ritardo cronico di pagamento che si aggira intorno ai 34-36 mesi. Restano oggi come debiti: residui 2008, 2009, 2010, tutto l’anno 2011, buona parte del 2012 e 2013 e il primo mese del 2014. Perché questi pezzi sparpagliati? Perché parte delle spettanze non erano state previste nei bilanci e quindi resistono come debiti fuori bilancio, da approvare e trovare copertura finanziaria. Perché c’è stato e permane un problema di lavorazione su molti atti, per cui quando c’è stata la disponibilità economica per velocizzare si è preferito pagare atti pronti anche se successivi e lasciare indietro quelli oggetto di valutazione anche se precedenti. Quali questioni hanno impedito la lavorazione degli atti di liquidazione per le mensilità di annualità passate? Quando si tratta di mensilità riconosciute come debiti fuori bilancio bisogna attendere che la copertura economica individuata sia disponibile (es. se è stato coperto quel bimestre con la programmazione della vendita di un immobile, bisogna attendere che effettivamente l’alienazione sia effettuata e diventi liquidità erogabile). L’intero anno 2011 è stato sequestrato per molto tempo dalla Magistratura che indagava su illeciti che hanno portato al rinvio a giudizio per alcuni funzionari del comune e un responsabile di ente gestore di comunità, accusati di irregolarità negli invii dei minori e nella fatturazione.... da tempo le carte sono tornate in possesso del servizio ma nessun dirigente fino ad oggi si è preso la responsabilità di metterci le mani. La conseguenza è che nessun ente è stato pagato, compreso chi non ha commesso illeciti e magari potrebbe dimostrare di essere per molti aspetti parte lesa insieme all’amministrazione del comportamento sbagliato degli accusati. C’è anche un problema sull’ammontare delle rette fatturate dalle comunità per gli anni precedenti alla regolamentazione comunale del

settore (01/07/2012). cioè all’interno di un range definito dalla regione gli enti hanno fatturato come retta per l’accoglienza importi diversi, alcuni si sono attestati sulla soglia minima altri su quella massima, tutti giustificando la decisione a partire dal tipo di offerta messa in campo. All’epoca le fatture furono accettate dal comune, talvolta anche certificate; queste fatture dagli enti sono state anche cedute alle banche per ricevere anticipi, sui quali sono stati pagati interessi passivi. Oggi il Comune ritiene che le fatture (anche di anni precedenti) che eccedono l’ammontare della retta definita poi dalla regolamentazione comunale siano da considerarsi non congrue e quindi si rifiuta di metterle in pagamento o le paga nella misura delle retta normata lasciando la parte eccedente al contenzioso che non sappiamo come e quando troverà soluzione. A tutto questo quadro storico aggiungiamo che da quando si è insediato Luigi de Magistris sulla poltrona di assessore al welfare si siano succeduti tre assessori diversi, Sergio D’Angelo, Tommaso Sodano che ha gestito la delega da vicesindaco e l’attuale Roberta Gaeta e su quella di dirigente del Servizio Politiche per i minori altrettanti dirigenti il che non ha aiutato la comprensione e la soluzione della questione. Intanto nel solo 2013 nelle casse comunali sono arrivati circa 650 milioni di euro di aiuti di Stato (600 ai sensi del Decreto 35 “Pagamento dei debiti della P.A. alle imprese” e 50 ai sensi del Decreto 174 “Salva Comuni”) e la mancanza di atti lavorati non ha permesso di inserire questi debiti nelle programmazioni di pagamenti. Ora ci si trova nell’incresciosa quanto illegale situazione che servizi indispensabili come quelli attivi per i minori sono nei pagamenti ben più arretrati di qualsivoglia fornitore di Palazzo San Giacomo. L’attuale assessore Gaeta ha motivato l’impossibilità di essere inseriti nelle suddette trance di pagamenti con la necessità di un sostanzioso e strutturato lavoro previo di risistemazione burocratica (le carte: accumulate, perse, mai registrate, mai lavorate) e con la necessità di rendere più efficienti gli uffici (spostamenti, integrazioni di personale), i due interventi finora hanno prodotto: (i) una ricognizione dettagliata del debito verso le comunità che al 31 dicembre 2013 ammon-

Un debito antico La grave condizione in cui versano i servizi non nasce oggi: il Comune di Napoli, nei confronti degli enti gestori delle strutture di accoglienza ha accumulato un ritardo cronico di pagamento.

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tava a circa 36 milioni di euro; (ii) una riorganizzazione del servizio e una rinnovata procedura di rapporti tra gli uffici e gli enti gestori che non dovrebbe più permettere ritardi ed incertezze almeno per quanto attiene agli atti futuri. Per quanto attiene ai pagamenti dei debiti ha assicurato attraverso un documento “programmatico di spesa” redatto e sottoscritto dall’assessore al bilancio Parla il 2 dicembre 2013: “per le somme dove è presente l’impegno di spesa ma non vi è ancora l’atto di liquidazione, l’Amministrazione comunale si impegna a destinare una somma di pari importo sulla prossima erogazione del Fondo di rotazione previsto dal D. L 174/2012 che sarà corrisposto all’accettazione del Piano di Riequilibrio Pluriennale. Gli atti di liquidazione dovranno essere lavorati dal Servizio controllo Spese entro massimo 90 giorni dalla ricezione. Per i pagamenti rientranti nel cronologico dei servizi indispensabili relativamente all’intero settore del welfare, saranno messi a disposizione entro il primo trimestre 2014 somme a bilancio comunale per € 5.000.000,00. Stesso importo sarà destinato nel secondo trimestre 2014. Entro il 31.12.14 l’Amministrazione si impegna, inoltre, a saldare gli atti di liquidazione “indispensabili e finanziati”, nonché quelli “non indispensabili” secondo l’ordine cronologico inviati in ragioneria entro il primo semestre 2014, per un importo massimo di 20.000.000,00 di euro. Le ulteriori somme che dovessero essere necessitare per il completamento dei pagamenti verranno stanziate nel successivo semestre. I Debiti fuori bilancio da riconoscere saranno pagati entro e non oltre 24 mesi dalla ricezione del relativo atto di liquidazione”. La soluzione si agganciava cioè in primis all’approvazione da parte della Corte dei Conti del Piano di Riequilibrio e poi all’incasso conseguente della restante parte dei fondo del decreto “Salva Comuni”. Ora tutti sanno che il Piano è stato bocciato, che il Comune ha presentato ricorso ed è in attesa di una sentenza favorevole o di una soluzione politica della questione che potrebbe arrivare dal decreto Salva Comuni uno dei primi atti del Governo guidato da Matteo Renzi. Intanto le comunità per minori restano al palo. Paradossalmente, nemmeno si registra una significativa accelerazione nella produzione di quegli

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atti dovuti – soprattutto per quanto attiene all’anno 2011 – che, una volta (se) risolta la questione dei fondi statali bloccati, sono premessa all’effettivo pagamento. Si immagina la beffa che si profilerebbe con un Comune “salvato” da fondi sbloccati che non possono essere utilizzati per le comunità perché – purtroppo – gli atti non sono ancora pronti! Facciamo uno sforzo di correttezza e accenniamo a qualche prospettiva anche se, come è chiaro, il macigno del debito pregresso mette in questione assolutamente la sopravvivenza delle comunità. Certo è che se almeno il Comune pagasse con regolarità il corrente (bimestralmente), le comunità potrebbero sussistere nel quotidiano e attrezzarsi per attendere la soluzione del debito. Ma questa non sembra essere la soluzione all’orizzonte anche se si deve riconoscere all’assessore Gaeta che, per la prima volta nel bilancio previsionale 2013, sono stati appostati 13 milioni per le comunità facendo riferimento alla spesa storica (invece dei soliti 5 o 6 milioni), cosa che non produrrà facilmente lo sforamento della spesa e lo scempio dei debiti fuori bilancio. Resta ovviamente il dubbio sulla liquidità a disposizione del Comune per poter garantire un filo minimo ma continuo di risorse. È chiaro che assolutizzare il discorso economico è certo pregnante ma per certi versi limitante. Dovremmo anche, se non di più, poter discutere su mission, organizzazione, metodologia, valutazione, in poche parole: qualità dei servizi di accoglienza. L’Assessorato ha messo a punto con scarso contributo, anche se richiesto, da parte delle organizzazioni del terzo settore, un documento – una sorta di linee guida – per i servizi in questione; questo testo è un attimo punto di partenza per una discussione e una relazione finalmente nuova. La paura è che se persisteranno le difficoltà e la non soluzione delle questioni economiche, quelle che chiuderanno saranno proprio le comunità che perseguono qualità, dignità nei rapporti di lavoro, presa in carico con il minore della famiglia di origine, e sopravviveranno o forse si arricchiranno quelle che operano “a tutti i costi”, “senza qualità né dignità”, “ sulla pelle dei bambini”. 

La proposta Facciamo uno sforzo di correttezza e accenniamo a qualche prospettiva anche se, come è chiaro, il macigno del debito pregresso mette in questione assolutamente la sopravvivenza delle comunità.


di Giovanni Laino

Servizi Residenziali Il sostegno economico delle case famiglia

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n merito all’accoglienza residenziale di minori in difficoltà le politiche del Comune di Napoli hanno avuto un momento traumatico partito dall’arresto di una assistente sociale il 21 giugno del 2011. L’inchiesta si è poi estesa accertando responsabilità individuali di alcuni funzionari del Comune addetti al settore corrotti da una organizzazione favorita nella collocazione dei minori. Questi fatti gravi hanno messo in evidenza che soprattutto per alcuni anni non esisteva una procedura garantita e un monitoraggio serio degli inserimenti dei ragazzi nelle strutture residenziali. Ad oggi al Comune di Napoli non vi è un monitoraggio storico. In riferimento a documenti e a disposizioni regionali si sta cercando di rimettere ordine, razionalizzando le forme di contratto e le procedure di collocazione dei ragazzi. Il processo di accreditamento regionale delle strutture e delle organizzazioni non è compiuto. Per ora si va avanti ancora grazie ad autorizzazioni che attengono soprattutto alla consistenza delle strutture fisiche. In merito alle

caratteristiche delle organizzazioni e ai rapporti di lavoro effettivamente formalizzati e messi in campo, i controlli sono blandi e a geometria variabile, manca una cabina di regia fra Tribunale per i Minori, Regione, ed enti locali, sia per il monitoraggio che per i controlli. Le rette sono variabili, spesso i Comuni della provincia impongono alle assistenti sociali di scegliere comunità che accettano rette meno costose, inferiori dei limiti legali. È noto il gravissimo problema dei ritardi dei pagamenti da parte del Comune di Napoli: secondo i referenti dell’Assessorato al febbraio 2014, il debito con le strutture residenziali che accolgono i minori è stato quantificato in circa 35 milioni di euro per il periodo che va dal 2009 al 2013 (per circa 16 bimestri di arretrati35). Evidentemente si tratta di una cifra enorme riferita ad anticipazioni bancarie (che hanno fatto maturare interessi da pagare), anticipazioni dei lavoratori e di altri fornitori. Molte strutture sono state chiuse, molte sono in gravissima crisi, molte sono di fatto cofinanziate da prestazioni volonta-

L’accreditamento Il processo di accreditamento regionale delle strutture e delle organizzazioni non è compiuto. Manca una cabina di regia fra Tribunale per i Minori, Regione, ed enti locali, sia per il monitoraggio che per i controlli.

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rie, beneficenza e raccolte private. Uno squilibrio che pone molti interrogativi sulla sostenibilità di queste realizzazioni. Dopo quelle scadute a dicembre 2013 si sta lavorando a nuove linee guida riferite ai servizi per tutti i minori seguiti fuori dalle loro famiglie. A tal fine è stato fatto un lavoro di riflessione condivisa con le assistenti sociali del Comune di Napoli. All’inizio del 2014 secondo una stima attendibile si può dire che per il Comune di Napoli sono accolti in strutture di accoglienza di vario tipo circa 500 ragazze e ragazzi, circa 150 dei quali minori stranieri non accompagnati, provenienti soprattutto dal Nord Africa. Quali sono i nodi?

I servizi diurni che hanno un connotato più evidentemente preventivo non possono svolgere un ruolo di contenimento sicuro e complessivo del disagio minorile. I servizi territoriali preventivi, dall’affido familiare, all’educativa territoriale, al tutoraggio, all’adozione sociale delle coppie mamme bambini, sono certamente importanti. Quando vengono realizzati bene e con continuità migliorano il profilo sociale delle opportunità e obiettivamente favoriscono la prevenzione di condizioni che poi, cristallizzando disagio, producono domande di accoglienza residenziale, di lungo periodo, senza vere alternative. Va detto però che questo nesso è problematico. Certamente i servizi diurni che hanno un connotato più evidentemente preventivo non possono svolgere un ruolo di contenimento sicuro e complessivo del disagio minorile. Bisognerebbe però interrogarsi se un qualche riscontro è rilevabile e misurabile scientificamente. Credo che sia emerso con evidenza in que-

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sti anni una condizione di scarsa efficacia dell’uso delle pur poche risorse messe in campo. Mentre la crisi ha sottratto risorse, anche per inerzie e limiti dei decisori e del funzionamento complessivo dell’amministrazione pubblica, l’attuazione dei servizi ha trovato vincoli spesso irragionevoli. In uno stesso quartiere disagiato, vi sono stati frammenti di progetti, spesso sottopagati e con grave ritardo, monitorati solo burocraticamente, realizzati da enti e singoli che da anni sopportano condizioni molto difficili e quindi hanno perso capacità e competenze nel fare le cose con cura e con le


Le strutture in cifre Il comparto dell’accoglienza residenziale dei minori che secondo gli esperti conta in Campania fra le 200 e le 250 strutture

indispensabili risorse minime. Tutto questo ha spesso costituito un quadro frammentato in cui di fatto è stato riproposto un trattamento amministrativo dei bisogni, perdendo competenza e capacità di una visione più integrata, realistica, effettivamente capace di aiutare e almeno in parte abilitare le persone. Per quanto riguarda il comparto dell’accoglienza residenziale dei minori che secondo gli esperti conta in Campania fra le 200 e le 250 strutture, esiste una area grigia che arriva e forse supera il cinquanta per cento di questo insieme, soprattutto nei comuni fuori Napoli, in cui vengono pattuite rette inferiori al minimo stabilito dalla Regione (dai 93 ai 138 euro giornalieri per minore, relativamente alle diverse tipologie di servizio). Il forte ribasso evidentemente è coperto con risparmi possibili solo con sotterfugi non leciti che diverse organizzazioni fanno e che alcuni Comuni irresponsabilmente sollecitano imponendo tetti di spesa. Pone molte perplessità ad esempio il caso di organizzazioni che gestiscono setto o otto case famiglia, tutte con un’unica persona che fa il coordinamento. Vi è il sospetto che agli sporadici controlli alcuni presentano i contratti di lavoro obbligatori sempre degli stessi pochi collaboratori, oppure di fatto impongono ai lavoratori retribuzioni inferiori a quelle documentate con le buste paga oppure cumulano un debito per i diversi contributi e tributi che poi sarà difficilmente solvibile. Certo è che vi è una forte domanda di questo servizio che almeno in parte potrebbe essere trattata preventivamente con progetti integrati per le famiglie e interventi territoriali meno onerosi. Anche in questo settore è indispensabile evitare generalizzazioni e distinguere perle e pirati fra gli enti. È evidente comunque che le principali responsabilità sono dei responsabili delle politiche che non hanno fatto abbastanza per razionalizzare il settore per ottenere migliore efficacia dagli investimenti. La mancata razionalizzazione, le collusioni a discapito della cura delle qualità faranno chiudere i virtuosi e lasceranno spazio agli scaltri. 

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di Claudio Roberti

* Sociologo, esperto e studioso disabilità, referente Ateneo Federiciano. Vicepresidente ENIL Italia

Per un nuovo welfare nella Regione Campania Una descrizione analitico-sintetica dell’assistenza indiretta e del concetto di Vita Indipendente

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er quanto attiene segnatamente le persone disabili non autosufficienti, recentemente molti profili, soprattutto politici, burocrati, giornalisti e operatori della riabilitazione, hanno “scoperto” l’ assistenza indiretta e il concetto di Vita Indipendente (cfr. www.enil.it.), che usano liberamente ma sovente non del tutto consapevoli dei caratteri e implicazioni. Assistenza indiretta intesa come presupposto sostanziale e istituzionale alla V. I., fondamentalmente, poter vivere proprio come chiunque altro: avere la possibilità di prendere decisioni riguardanti la propria vita e la capacità di svolgere attività di propria scelta, con le sole limitazioni contestuali che hanno le persone senza disabilità. Ciò vuol dire affrontare tutte le questioni che riguardano specificatamente le persone con disabilità secondo una particolare filosofia che potremmo chiamare della libertà nonostante la disabilità. La V. I.

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non dovrebbe essere definita in termini di “vita per conto proprio”, piuttosto una vita comunque dotata di dignità sostanziale. Essa è indispensabile per chi studia da studente e/o da studioso, oppure si proietta nell’esercizio di un lavoro mirato alle proprie capacità produttive. E’ indispensabile in ogni età per chi vuole coltivare propri interessi, esercitando una vita sociale dignitosa, gratificante, ovvero acquisitiva e restitutiva. Tale vita non coincide neppure con il “fare da sé” le cose, con l’essere autonomi, visto che nella disabilità indipendenza e autonomia non sono sinonimi, sono concetti diversi, malgrado contigui, interfacciati, però non linearmente sequenziali o propedeutici in forme deterministe. In tutti i casi la V.I. è presupposto ottimizzante per un uso propedeutico e integrato della gamma degli ausili materiali e virtuali. La V. I. ha peso antropologico perché attiene l’autodeterminazione e quindi il dispiegamento abi-


litativo (incluso riabilitativo) del soggetto agente rispetto ai contesti sociali nel loro complesso. È il diritto e l’opportunità di orientare e perseguire una linea di azione recando la libertà di sbagliare e/o fare bene. Di guisa, imparare dalle esperienze, esattamente come può e deve avvenire per persone che non hanno disabilità. Quindi è buona prassi rispetto alle pari opportunità, NON discriminazioni, segnatamente verso i giovani, tanto più se donne fra esposizioni… bisogni ed aspirazioni. Si tratta di un modello di welfare state mirato che riguarda espressamente le persone con disabilità, tuttavia chi lo persegue sa che attorno a ogni persona con disabilità che sia libera, si aprono in sicurezza e serenità spazi di libertà per madri, padri, fratelli, sorelle, figli, figlie, mogli, mariti, compagne, compagni, amiche, amici relazionati. Si aprono universi combinati, creativi, sinergici, essi sono meritevoli di ri-

flessioni e rappresentazioni mediatiche!.... Attenzione, si propongono nuovi spazi di lavoro qualificato, tale offerta si rivolge alla domanda di giovani NON disabili di ogni genere a mezzo della figura dell’ Assistente Personale (Personal Assistent), da contemplarsi (almeno) in una relazione “uno ad uno”. V. I. contempla elasticamente anche percorsi personalizzati (parziali e graduali) per minori e finanche per chi NON sa e/o riuscirebbe ad autodeterminarsi. Tali specifici e delicati percorsi contemplano un adeguato controllo di genitori, familiari e/o l’impegno della recente figura dell’Amministratore di Sostegno, a mezzo dell’ignorata legge n. 6/2004. La V. I. è la migliore soluzione al “dopo di noi” (di loro) genitoriale perché affranca i figli dall’emarginazione e dalle istituzioni totali, qualsiasi sia la loro definizione formalistica. Il modello geoculturale dell’Indipendent Living (cfr. ww.enil.eu)all’impatto iniziale può apparire

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non facile e finanche rischioso, ma nel mondo da circa mezzo secolo milioni di persone con disabilità considerano questo obiettivo ben più elevato rispetto ad una vita di abbandono e sofferenza, oppure di dipendenza strumentale, di delega, con limitate possibilità ed aspettative tradite. Inoltre questa soluzione garantisce salubrità per la persona, è agenzia di socializzazione e libera energie a favore del sistema paese impegnato nell’odierna e futura cooperazione/competizione definita comunemente globalizzazione. L’antropologia della V. I. muove da un consolidato modello di welfare state mirato e ponderato; funzionale alla legge di natura perché risponde in primo luogo ai Diritti

La Vita Indipendente non dovrebbe essere definita in termini di “vita per conto proprio”, piuttosto una vita comunque dotata di dignità sostanziale. È indispensabile ad ogni età. Umani, Soggettivi (alias di Cittadinanza) e quindi Inviolabili. Le fonti di diritto attengono alla giustapposizione tra la Costituzione della Repubblica Italiana e la Convenzione ONU dei Diritti delle Persone Disabili, Ratificata dalla UE nel 2012 e dall’Italia con la Legge 18/2009. Da qui è scaturito l’Osservatorio (…) e da esso il I° Piano di Azione Biennale recepito dal DPR 303/2013,i cui effetti immediati rendono carattere di obbligatorietà nazionale a quanto enunciato ambiguamente… con la legge n.162/1998. Del resto, la cogenza di tale potente combinato normativo includente la medesima Carta dei Diritti UE, è stato sancito dalla Sentenza della Corte Costituzionale N° 236/2012. Comprendere la portata in termini di esigibilità perfetta di questi passaggi è fondamentale. Attenzione, non solo rompe con il vecchio paradigma del

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ritardo, oblio ed elusione SU di noi a fondamenta ideologiche, ma nell’immediato innesca limiti di legittimità nelle forme e modalità di applicazione dell’ nuovo ISEE. Del resto, un recente studio scientifico-giuridico realizzato dal CNR di Firenze su indirizzo culturale e committenza di ENIL Italia (lo studio è molto recente e non ancora pubblicato) dimostra la fondatezza di un dato di fatto che andava recepito prima dal ceto politico e dirigenziale del nostro Paese, onde evitare conflitti politici, contenziosi giudiziari e figuracce in sede culturale!... In termini geopolitici tale modello sociale è inclusivo sin dalla seconda metà del secolo breve, quindi è buona prassi esigibile negli USA, Canada e in molti Stati della UE, non solo quelli centrali. In Italia ha ampiamente superato la fase sperimentale con successo nelle seguenti regioni: Toscana, Piemonte, Friuli V. G.,Val d’Aosta, Ve-


La differenza e risparmio L’assistenza indiretta reca anche un carattere peculiare da imporla all’ attenzione di ogni istituzione preposta al controllo e/o gestione della cosa pubblica: rispetto alla famigerata e vetusta assistenza diretta presenta risparmi marcatamente superiori al 50%.

neto, Marche, Sardegna e poi ha iniziato un suo interessante iter in Puglia, Abbruzzo e Molise. Tali regioni vantano rispettive Leggi Regionali di profilo tematico, alcune da varie legislature. Nelle città di Roma, Milano ed in vari Comuni della Lombardia sono esigibili da anni progetti di assistenza indiretta praticati in forma di V. I. Invece la Regione Campania è al sottozero o dintorni, Basilicata, Calabria e Sicilia idem, eccetto “isole elitistiche” o singole controtendenze!... Purtroppo a Napoli da vari anni esiste una forma di surreale assistenza indiretta di fatto inesigibile e discriminatoria per evidenti limiti burocratici resi da vincoli ideologici di vecchio stampo. Eh, tutto questo deve cessare, presto!... Infatti, l’assistenza indiretta reca anche un carattere peculiare da imporla all’ attenzione di ogni istituzione preposta al controllo e/o gestione della cosa pubblica: rispetto alla famigerata e vetusta assistenza diretta presenta risparmi marcatamente superiori al 50%.Tale dato è desumibile da vari ragionamenti e ricavabile da varie fonti. E’ giunto il momento che ogni discorso inerente la spending review tenga conto di tale tratto e ISTAT ed EUROSTAT dovrebbero rendere o costruire dati, da cui non è possibile più eludere. Le O. n G. che si occupano della tematica hanno il diritto-dovere di sollecitare tutte le istituzioni italiane ed europee in tal senso. Questo è il vero rigore nei conti scevro da inefficacia e arbitri di potere. In Campania occorre una netta inversione di tendenza, anche da parte di chi vuole rappresentare istanze e diritti delle persone disabili e loro famiglie. Dall’insieme dei segmenti di cui sopra e segnatamente quelli ultimi, ne deriva che la Regione Campania debba colmare i suoi datati e continuativi ritardi in materia di assistenza indiretta finalizzata a progetti personalizzati e rendicontati per la Vita Indipendente. Detti percorsi devono essere facilitati, formati e tutelati burocraticamente a mezzo Agenzie per la V. I. curate da O n G. del territorio recanti comprovata cultura tematica. Pertanto, nell’immediato occorre una Delibera di Giunta finalizzata alla materia. In seguito si deve arrivare ad una Legge Regionale. 

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a cura di Domenico Picciano

Sui diritti dei minori Intervista ad Antonio Marziale

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n’arca di Noè carica di bambini che solca il mare in tempesta rappresenta l’efficacissima immagine che l’«Osservatorio sui diritti del minori» ha adottato per il proprio logo. Fondato a Milano nel 2000 per iniziativa di un gruppo tecnici tra sociologi, psicologi, neuropsichiatri infantili, poliziotti, legali esperti in diritto minorile, si prefissa di studiare i problemi della tutela dei diritti dei bambini attraverso l’indagine della realtà psicosociale e legale della sfera minorile; la sensibilizzazione dei mezzi d’informazione e delle istituzioni. Presidente dell’Osservatorio è Antonio Marziale, sociologo e saggista, 48 anni, originario di Taurianova, ospite di numerose trasmissioni televisive. Dalla «televisione cattiva maestra», teorizzata dalla psicologa Anna Oliverio Ferraris a metà degli anni ‘90, si sono verificati cambiamenti profondi. Nella società globalizzata e tendenzialmente incline alla corruzione morale, i bambini restano l’anello debole, considerati un obiettivo massificante e non individui cui proteggere la crescita evolutiva. Con quali strumenti scientifici o legali, dottor Marziale, si tenta di difendere i bambini dalle continue sollecitazioni alle quali sono sottoposti? Bisogna partire da un assunto. Volenti o nolenti la televisione è un’agenzia di socializzazione e funge da strumento educativo, che crea modelli. Se i modelli sono quasi esclusivamente negativi i risultati sono quelli che conosciamo: i giovani delinquono, aggrediscono, stuprano,

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soprattutto emulano. Il vero problema è che gli operatori della comunicazione non solo non hanno capito che la qualità dell’offerta televisiva è scadente, ma nemmeno che molti contenuti proposti da tutti gli altri mezzi di socializzazione sono pericolosi. Senza alcun tipo di filtro che tuteli la personalità di bambini, adolescenti e giovani, non esistono efficaci strumenti di contrasto. Quindi sarebbe necessario aprire un confronto serrato, e a più livelli, con gli operatori della comunicazione. Inutile. Non servono confronti, né salotti né censure. Tutto deve partire dalla scuola, quella italiana è in clamoroso ritardo nel recepire l’importanza ormai fondamentale dell’educazione ai media. L’Unesco lanciò questo tema nel lontano 1970: dopo 44 anni la scuola non ha ancora provveduto ad istituire come materia scolastica l’educazione ai media. D’altronde se si tenta con un penoso eufemismo di introdurre l’educazione sessuale col nome di “educazione ai sentimenti”, ci rendiamo conto di quanto siamo indietro. Forse è un giudizio un po’ troppo ingeneroso nei riguardi di un’istituzione dalla quale si pretenderebbe la risoluzione di tutti i malesseri sociali. La scuola italiana non è l’imputata principale, ci mancherebbe, dico solo che non dovrebbe sfuggire alle proprie responsabilità. Uno dei fenomeni patologici in aumento è il disagio psichico tra adolescenti e giovani. Di cosa si tratta? Possiamo definirla una vera e propria depressione. Quando i ragazzi non giocano, non socializzano, non scari-

Antonio Marziale Presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori

cano i propri ormoni con attività sportive, ma si rifugiano nella solitudine di internet, si isolano. L’isolamento, che è sinonimo anche di scollamento con la realtà circostante, più portare a questo tipo di malessere. L’Osservatorio è sempre attento agli eventi che si susseguono. Per questo avete stigmatizzato anche la decisione del governo italiano di utilizzare il porto di Gioia Tauro come scalo per lo stoccaggio delle armi chimiche provenienti dalla Siria. Ho sentito il dovere di esprimere la mia opinione principalmente come calabrese. Si è sempre detto e ripetuto, non senza enfasi, che il porto di Gioia Tauro dovesse diventare un polo per lo sviluppo economico della regione; poi si scopre per volontà superiore che deve fungere da pattumiera d’Italia. Mi sento offeso, come faccio a dire ai ragazzi calabresi di non emulare i mafiosi e poi, con questi esempi, a parlare loro di legalità?. 


CULTURA E FORMAZIONE

Investire nello studio Coltivare e formare menti non è solo rispettare efficienza economica e finanziaria di Filippo De Rossi

* Rettore

L’

Università ha una funzione culturale. Non è solo un problema finanziario. Voglio far partire il mio discorso da dove lo aveva lasciato, sul precedente numero di Link, il rettore

dell’Università di Cassino, Ciro Attaianese. Condivido del collega cassinate le perplessità sugli indicatori utilizzati per la distribuzione del finanziamento statale e le preoccupazioni per il graduale impoverimento del capitale umano italiano. Non

dell’Università del Sannio

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CULTURA E FORMAZIONE

posso, però, fare a meno di insistere su un concetto a mio avviso fondamentale: la mancanza nel nostro Paese di un serio progetto culturale. Non c’è una visione che partendo dalle sfere più alte, quelle deputate a governare lo Stato, investa i settori dell’educazione e della formazione. Nel pieno della crisi finanziaria, l’Italia ha diminuito gli investimenti in formazione e nelle politiche per rendere i giovani qualificati a entrare nel mondo del lavoro, mentre l’Europa li ha mediamente incrementati del 30 per cento. Stiamo impoverendo i nostri ragazzi disincentivandoli allo studio. Il periodo di formazione, infatti, viene sempre meno valutato per il suo valore d’investimento

Gli italiani stanno rischiando di diventare sempre meno capaci, proprio per la mancanza di un serio progetto culturale, in uno scenario globale sempre più competitivo. sociale e individuale. Negli ultimi 10 anni, gli atenei italiani hanno perso 78mila immatricolati. Mentre il numero dei diplomati nelle scuole rimane costante, circa un quarto degli studenti non si iscrive più all’università. La fotografia è dell’Anagrafe nazionale degli studenti messa a punto dal Miur in collaborazione con il Cineca. Complice la crisi, molte famiglie non spronano più i figli a iscriversi all’università e, secondo i recenti dati Istat, solo il 58% dei diplomati si immatricola (10 anni fa erano il 73%). Quindi, le famiglie risparmiano, conservano per garantire una rendita ai propri figli. Soprattutto al Sud, scelgono i depositi bancari oppure investono in una proprietà immobiliare, come emerge nel recente Rapporto sul risparmio. Si tratta di una forma di welfare familiare tipico della società meridionale che la dice lunga, però,

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sullo scoramento e sulla sfiducia delle famiglie italiane. Allora non può impressionare il dato sul calo delle immatricolazioni. Si tende a risparmiare di più in previsione di un futuro incerto e non si riconosce il valore di una buona istruzione e quindi di un’opportuna formazione. Gli italiani stanno rischiando di diventare sempre meno capaci, proprio per la mancanza di un serio progetto culturale, in uno scenario globale sempre più competitivo. Per non parlare del fatto che l’Italia ha il record di abbandoni scolastici in Europa: il 17,6% di alunni (con punte del 25% nel Mezzogiorno) lascia i banchi di scuola troppo presto. Il dibattito pubblico, come ha fatto notare il professore Attaianese, è distratto da questioni riguardanti l’efficienza economicofinanziaria delle università. Una finalità che pure deve essere perseguita ma in un


Risorse bloccate Negli ultimi cinque anni, abbiamo perso 10mila ricercatori, rimasti fuori dall’università per il continuo blocco del turn over. D’altro canto, le risorse risparmiate non sono state utilizzate per il miglioramento complessivo del sistema universitario.

sistema equo, con indicatori semplici e stabili, e in un contesto con obiettivi più ampi che abbiano principalmente a cuore il futuro dei nostri giovani e lo sviluppo reale del Paese. La mentalità puramente economicista sta mortificando il sistema universitario italiano e la burocrazia sta soffocando ogni tentativo di innovazione. La situazione del Fondo di finanziamento ordinario non è più sostenibile. La razionalizzazione imposta non ha comportato una maggiore efficienza del sistema universitario, al contrario, per rispettare i limiti imposti sulle spese del personale, gli atenei sono costretti a bloccare il reclutamento deprimendo i settori virtuosi. Negli ultimi cinque anni, abbiamo perso 10mila ricercatori, rimasti fuori dall’università per il continuo blocco del turn over. D’altro canto, le risorse risparmiate non sono state utilizzate per il miglioramento complessivo del sistema universitario. Penso, per esempio, a una qualunque politica seria sulla residenzialità universitaria o al finanziamento del diritto allo studio che per il 2014 è in percentuali ridicole: la copertura dei “capaci e meritevoli” per l’anno in corso è attorno al 60 per cento, sotto il 50 in diverse università del Sud. Abbiamo sposato un modello di “non sviluppo” e l’emorragia di giovani meglio formati che lasciano il nostro Paese (Almalaurea ne conta 5mila ogni anno tra ingegneri, medici e manager) non potrà che peggiorare la situazione. Mentre in Italia ci stiamo ancora “incartando”, alle prese con gli adempimenti burocratici, per comprendere le diverse regole adottate da ciascuna Regione su tirocini e apprendistato, al fine di consentire ai nostri giovani di entrare nel mondo del lavoro, in altri Paesi europei i migliori laureati italiani vengono reclutati dalle grandi aziende a condizioni davvero irrinunciabili. Cosicché i già pochi investimenti in formazione fatti dallo Stato (la spesa media annua per lo Stato di uno studente universitario è di 6.990 euro), subiscono un’ulteriore svalutazione quando il nostro capitale umano meglio formato trova occupazione al di là delle Alpi o dell’oceano. 

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CULTURA E FORMAZIONE

di Stefania Oriente

L’Accademia di Belle Arti di Napoli punta al futuro con l’Alta Formazione Intervista ad Aurora Spinosa e a Sergio Sciarelli

L’

Accademia di Belle Arti di Napoli, fondata da Carlo di Borbone nel 1752, è una fra le più antiche e rappresentative d’Italia è riferimento per la formazione di giovani artisti, luogo d’incontro e di propulsione culturale. Intere generazioni di artisti sin dall’Ottocento si sono formate in questa prestigiosa istituzione, che può vantare una grande ed importante raccolta di opere di grandi Maestri dell’epoca (Domenico Morelli, i fratelli Palizzi, Michele Cammarano, Giuseppe De Nittis, Gabriele Smargiassi, solo per citarne alcuni). A partire dalla Riforma 508 del 1999, le Accademie erogano titoli di Alta Formazione equiparati a tutti gli effetti alle Lauree universitarie, offrendo agli studenti una formazione che coniuga il sapere teorico con quello laboratoriale, nella convinzione che non può esserci creatività e innovazione senza cultura e conoscenza. L’Accademia partenopea è oggi proiettata verso il futuro per rispondere sempre meglio alla sua mission istituzionale nei campi della didattica, della ricerca, della sperimentazione, dell’innovazione e della produzione artistica. Tutto ciò grazie anche ai sempre più stretti rapporti con istituzioni pubbliche e private e, soprattutto, al grande ampliamento dell’offerta formativa, articolata oggi di tre dipartimenti: Arti Visive, Progettazione e arti applicate, Comunicazione e didattica dell’arte. L’Accademia di Napoli offre 11 corsi di diploma accademico di I livello, e 9 corsi di diploma accademico di II livello. Inoltre dall’anno accademico 2011/12 è at-

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tivo il quinquennio a ciclo unico in Restauro, con tre percorsi formativi professionalizzanti, abilitante alla professione di Restauratore di Beni Culturali. La Scuola di Restauro dell’Accademia di Napoli è una tra le prime istituzioni italiane ad essere stata accreditata dalla Commissione MIBACMIUR. L’Accademia di Belle Arti di Napoli partecipa al Progetto Erasmus ed è collegata a molte università di Spagna, Germania, Francia, Polonia, Inghilterra, Lettonia, Repubblica Ceca ed Ungheria, recentemente inserite nell’ambito del progetto. A partire da quest’anno accademico, potrà vantarsi di garantire ai propri studenti Erasmus il diploma Supplement Label Aword con il quale è stata recentemente premiata a Roma unica Accademia italiana in possesso di tale titolo per l’anno 2012 insieme ai Conservatori di Musica di Salerno, Bologna e Trento. L’Accademia partecipa inoltre al Progetto ministeriale TURANDOT, nato nel 2009 con l’intento di incrementare le opportunità di studio in Italia per gli studenti cinesi. Il programma, riguardante le arti, la musica e il design rende possibile agli allievi cinesi l’iscrizione nelle Istituzioni accademiche italiane di Alta Formazione Artistica e Musicale (AFAM). A Napoli attualmente sono iscritti oltre duecento allievi cinesi tra i corsi di I e II livello. L’Accademia di Napoli forma circa duemilatrecento studenti l’anno, provenienti non solo dalla Campania, e conta una significativa presenza di studenti stranieri. Intervisto il nuovo direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, Aurora Spinosa,

Il riconoscimento È l’unica accademia italiana premiata con il titolo Supplement Label Aword.


storica dell’arte, docente e curatrice della Galleria dell’Accademia, personalità di spicco di quel mondo culturale napoletano, impegnata da sempre per il rilancio culturale dell’Arte nel nostro paese è capace di guardare al futuro con la necessaria apertura verso nuovi percorsi. La sua idea è quella di restituire nuova eccellenza agli studi di tipo artistico, declinando in modo sempre più innovativo la tradizionale componente “laboratoriale”, o se si preferisce sperimentale, da valorizzare nel senso proprio di una ricerca che superi fase della verifica di tipo teorico. Tale principio trova peraltro riscontro in quanto dichiarato di recente dall’Anvur nell’ambito del Rapporto sullo Stato dell’Università e della Ricerca in Italia, in riferimento alle specificità dell’Alta Formazione Artistica.

Direttore può spiegarci la differenza tra la formazione dell’Università e quella dell’Accademia? La specificità delle accademie è la produzione associata ad un idea di ricerca nella quale la teoria è specchio concreto del pensiero ed il sapere sarà sempre di tipo “tecnico-logico” cioè una conoscenza il cui lato pratico è inseparabile dall’insegnamento teorico. Infatti, senza i dovuti distinguo, può risultare spesso limitativo accomunare le Università e le Accademie, perché non si possono fare facili paragoni. La sostanziale differenza che esiste tra le due istituzioni è che gli studenti delle Accademie, alla fine del proprio percorso formativo, esprimono competenze professionali già pienamente utilizzabili sul mercato del lavoro, e questo costituisce un importante valore aggiunto

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CULTURA E FORMAZIONE

rispetto alla tradizionale formazione universitaria, dove s’insegnano metodo e capacità di analisi, ma si rimanda l’apprendimento delle capacità operative alla fase successiva all’inserimento lavorativo. A suo parere come può l’arte trasformare il malessere della società in benessere ? Si può, cominciando dal comunicare in maniera più semplice e diretta, coinvolgendo ed interessando chiunque si avvicini all’arte in modo da renderlo protagonista. Direttore quale nuovo obiettivo si è prefissato di raggiungere per il seguente anno? La mia utopia è di educare all’arte come metodo, facendone frutto di una scelta di vita. A mio avviso dovrebbe essere obbligatorio proporla sin dalle prime classi di scuola come base del processo di crescita culturale e sociale dell’individuo. Nello specifico, in Accademia vorrei “fare rete”, costruendo una istituzione in cui tutti condividano un obiettivo comune senza una visione verticistica dell’istituzione, stabilendo una relazione di continuità, come in un domino, con un filo diretto tra direttore e docenti, tra docenti e allievi, per utilizzare al meglio le risorse umane ed economiche, al fine di ottenere il massimo risultato produttivo da parte l’Accademia. A conferma dello stesso stile di pensiero, che accomuna il team dell’Accademia, è stato intervistato anche il Presidente del Consiglio di amministrazione dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, il professore Sergio Sciarelli, dal 1974 ordinario di Economia e Gestione delle Imprese nell’Università degli Studi di Napoli Federico II, che afferma: “Ricevere l’incarico di guidare un’Accademia di Belle Arti come quella di Napoli, il cui ruolo di leadership in Italia poggia sulla potenzialità delle strutture e su un’offerta didattica che spazia dal classico al moderno al contemporaneo, mi riempie di orgoglio e di entusiasmo per la grande responsabilità e l’impegno da assicurare non solo per completare i progetti da realizzare, ma anche per fare conoscere sempre più diffusamente questo gioiello dell’arte e dell’edilizia monumentale napoletana”. Professore lei presiede l’Accademia di Belle Arti di Napoli, ritiene che sia identificabile come un modello d’impresa? Questo è sicuro, Io sono un fautore del-

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l’aziendalizzazione e ritengo che riportare tutte le organizzazioni ad un regime aziendale con un equilibrio dei conti sia comunque un fatto positivo, perché significa efficienza. L’Accademia delle Belle Arti vanta una situazione finanziaria favorevole e ci sono progetti da completare prima che finisca il mio mandato quale la ristrutturazione degli uffici amministrativi, ed il completamento delle facciate per riportarle agli splendori originari. Oggi l’arte può essere considerata come sinonimo d’investimento? Certamente, non solo l’Arte è occasione d’investimento ma l’Arte è patrimonio, non è soltanto qualche cosa in cui investire ma è un investimento da sfruttare. Questo paese ne ha tanta di arte purtroppo poco valutata. Quale può essere un modo per sfruttare l’Arte al meglio? Avere un patrimonio artistico come il nostro, unico nel mondo, dovrebbe essere il primo richiamo tra i vari segmenti di turismo incoraggiando appunto il turismo culturale, prendendo ad esempio lo stile anglosassone americano, cioè museo gratuito reso accessibile a tutti per un’occasione anche ludica e non solo culturale. Per ritornare al significato di aziendalizzazione, si possono incrementare le finanze con la commercializzazione, dal merchandising ai ristoranti, presenti negli stessi musei. Come economista, secondo lei, quali corsi, all’interno dell’Accademia delle Belle Arti di Napoli, ha più possibilità di inserirsi sul mercato del lavoro? Tutte le nuove professionalità che riguardano l’applicazione delle tecnologie informatiche, grafici, pubblicitari e artefici della comunicazione in ogni settore ma anche scenografia ed arti tradizionali. Ritengo che chi ha padronanza dello strumento informatico riesce sicuramente ad avere una marcia in più rispetto agli altri. Conclusi questi due esplicativi ed interessanti incontri con i maggiori esponenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, termino il mio viaggio nel mondo dell’Arte con una citazione a me molto cara di A. Einstein “L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata, l’immaginazione abbraccia il mondo”. 

Il bello come risorsa Avere un patrimonio artistico come il nostro, unico nel mondo, dovrebbe essere il primo richiamo tra i vari segmenti di turismo incoraggiando appunto il turismo culturale, prendendo ad esempio lo stile anglosassone americano


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CULTURA E FORMAZIONE

di Mico Capasso

* Direttore della Fondazione Meridies

Foto di Marianna Ventimiglia

Inventare il territorio. Residenze d’artista nella costa d’Amalfi

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he sia la mappa a inventare il territorio e non viceversa, è una verità che gli amalfitani, grandi navigatori e geografi, dovevano conoscere bene. Infatti, sempre che, come nel celebre racconto di Borges, una carta non misuri esattamente quanto il territorio che vuole illustrare, essa evidenzierà qualcosa mettendo in ombra il resto. Interpretazioni, e non un mero rispecchiamento del rappresentato, sono alla base della cartografia su cui orientiamo il nostro abitare. Certo, a meno che non si considerino le incognite legate alle missioni nello spazio e alla geografia astronomica, la cartografia del pianeta oggi disponibile in rete, dai satelliti a google street, restituisce un’idea poco avventurosa del viaggio come scoperta. Il mondo divenuto immagine sembra solo

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aspettare che il nostro sguardo si chini ad osservarlo mentre ruota sui nostri tablet interattivi. Eppure tra le maglie di questa rete a copertura capillare, resistono ancora spazi selvaggi, indeterminati, non censiti, in cui il viaggiatore, può ancora e per fortuna perdere le coordinate. E in fondo è lì, dove ancora il possibile non è irreggimentato dalle rotte dal turismo globale, che qualcosa di altro può ancora irrompere sul reale. Nella forma della residenza d’artista alcune fondazioni culturali nate per la valorizzazione del territorio provano a dare luogo a questo possibile, ospitando giovani artisti che fanno della ricerca e sperimentazione site-specific il loro punto di applicazione. Nei dintorni di Salerno e in costa d’Amalfi esistono luoghi poco

Usare lo sguardo Il mondo divenuto immagine sembra solo aspettare che il nostro sguardo si chini ad osservarlo mentre ruota sui nostri tablet interattivi. Eppure tra le maglie di questa rete a copertura capillare, resistono ancora spazi selvaggi, indeterminati, non censiti, in cui il viaggiatore, può ancora e per fortuna perdere le coordinate.


noti, se non addirittura sconosciuti; luoghi talvolta ignoti persino agli stessi abitanti ma che, come schizzi di una natura non addomesticata, pure erano presenti nei quaderni dei viaggiatori del Grand Tour. La Fondazione Aurelio Petroni a San Cipriano Picentino (www.fondazionepetroni.org) prima, la Fondazione Meridies a Scala (www.fondazionemeridies.it) poi, hanno cominciato un percorso su cui si potrebbe già iniziare a raccogliere in forma di studio sistematico le prime esperienze. Ne sono esempi significativi: “Viso come territorio”, il progetto fotografico e sonoro nel territorio dei Picentini, a cura di Angus Carlyle, e “That’s life – Chest’è – tutt’ ‘a vita!”, la ricerca condotta a partire dai borghi di Scala fino ai confini tracciati dalla Valle delle Ferriere, a cura

muove esattamente sullo stesso livello delle altre. Ogni cosa è amplificata nel tempo e l’uomo stesso conquista l’energia, ferma e vibrante nello stesso tempo, della vegetazione e della roccia. In apparente contrasto alle immagini, voci e suoni restituiscono l’anima della terra sgorgando come sorgenti d’acqua, inarrestabili». Non dunque semplici documenti di una ricerca a carattere antropologico, ma materiali trattati con intenti volutamente non naturalistici e mimetici. Se la natura può apparire, può farlo solo attraverso l’artificio prodotto dal montaggio e dal lavoro di ricerca nello spazio. Attraverso una strumentazione che può essere facilmente trasportabile, l’artista si muove in territori inesplorati, e cattura suoni, sguardi, storie che poi vengono analizzati, approfonditi e restituiti in una forma

Se la natura può apparire, può farlo solo attraverso l’artificio prodotto dal montaggio e dal lavoro di ricerca nello spazio. Attraverso una strumentazione che può essere facilmente trasportabile, l’artista si muove in territori inesplorati, e cattura suoni, sguardi, storie. di Marianna Venticinque e Gianmaria Di Pasquale. Entrambi i progetti, risultato di tappe preparatorie diverse, sono costruiti mescolando fotografia, video e audio, in sintesi ogni volta diverse ma non meno audaci. Dopo essere stati registrati in digitale, i suoni e fotografie dei luoghi e delle voci vengono riproposti in modi diversi, dall’ascolto in cuffia all’installazione audio-video, e mixati spesso con immagini fuori sincro. Com’è il caso descritto bene dalla nota introduttiva a “That’s life”: «Tramite un processo di rallentamento delle immagini video si è ottenuta una dilatazione temporale. In questo modo è variata la percezione dell’occhio e l’uomo appare completamente immerso nel paesaggio. Scompare di fatto la separazione visiva tra un soggetto (umano) e lo sfondo (natura). L’attenzione sottrae fuoco alla figura umana estendendolo all’intero quadro, così da dare visibilità all’invisibile. Ogni minimo movimento viene percepito come una mutazione nel campo visivo. Una particella di tempo e di luce che si

nuova, che a sua volta può essere osservata in luoghi diversi. Tra questi ci sono quelli della rete (blog, tumblr, flickr e social network), da cui partivamo, che ora vengono però scompaginati dal lavoro artistico. Ciò che quindi residuava dalle maglie di google riemerge come un rimosso da altri luoghi della rete con la forza di spiazzare persino chi ha confidenza col proprio territorio. E’ ancora una volta lo sguardo dell’altro, dell’artista in questo caso, che si posa dove l’abitudine del quotidiano tende a cancellare lo stupore. Uno sguardo che non accompagna semplicemente i processi di globalizzazione, ma che di volta in volta mostra la soglia dove essa si costituisce. Come la storia di quel contadino in “That’s life!” che esita a far passare il cavo della corrente elettrica per la sua terra. Che in quel cavo, non si trattasse semplicemente di un cavo, ma di un mondo, una civiltà e un’altra scrittura della terra, quell’uomo aveva intuito. Quello che accade tra una mappa e l’altra è l’artista a ricordarcelo. 

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CULTURA E FORMAZIONE

di Massimiliano Amato

Salerno capitale, la città della Costituzione L’Assessore Ermanno Guerra ha messo in piedi un cartellone capace di far emergere il senso più vero e autentico della ricorrenza

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acconta lo storico Nicola Oddati che il salernitano Giovanni Cuomo, liberale amendoliano prima sottosegretario e poi, per due mesi, ministro dell’Educazione Nazionale (l’uomo che istituì l’Università di Salerno), girasse con le tasche dei pantaloni, della giacca e del paletot rigonfie di ogni genere di carte e scartoffie. Rispondendo compunto e anche un po’ sorpreso a chi gli chiedeva conto dell’apparente bizzarria: “In queste tasche c’è tutto il ministero”. E un illustre collega di Oddati, Massimo Mazzetti, riferisce che Epicarmo Corbino,

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un altro grande liberale a cui era stato affidato il dicastero dell’Economia, alloggiato alla bell’e meglio in una semi diroccata scuola elementare di Vietri sul Mare, a chi andava a chiedergli interventi urgenti per la ripresa produttiva e occupazionale mostrasse invariabilmente le profondissime crepe e i buchi lasciati dai bombardamenti nei muri del suo ufficio. Allargando le braccia: “Si potrebbero fare tante cose, ma io non riesco ad ottenere dagli Alleati neanche quel poco di cemento necessario a chiudere questi buchi”. È ricchissima l’aneddotica sui circa 6 mesi in cui Salerno si trovò a rappresentare il nu-

La città nella storia È ricchissima l’aneddotica sui circa 6 mesi in cui Salerno si trovò a rappresentare il nucleo primigenio della nuova Italia democratica, libera, antifascista e, successivamente, anche repubblicana.


cleo primigenio della nuova Italia democratica, libera, antifascista e, successivamente, anche repubblicana. Aprile – giugno 1944: i giorni di Salerno Capitale. Ma poi: fu veramente tale, il secondo capoluogo della Campania? Cioè: può essere inserito, anche formalmente, nel prestigioso elenco che comprende Torino, Firenze e, naturalmente, Roma? Per Oddati, che da qualche anno presiede il Museo dello Sbarco e di Salerno Capitale, un allestimento che si arricchisce continuamente di testimonianze e reperti sul periodo settembre 1943 (Operazione Avalanche) – giugno 1944 (ritorno del governo a Roma) non ci sono dubbi. Se la Costituzione repubblicana fu un parto arrivato al culmine di una lunga gestazione, l’atto del “concepimento” è rappresentato dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia Anno 85, Numero 89, dell’8 luglio 1944 Serie Speciale, Salerno. In essa è riportata la deliberazione del governo Bonomi con cui si stabilisce che “Dopo la liberazione del territorio nazionale le forme istituzionali saranno scelte con un referendum dal popolo italiano che eleggerà, anche, a suffragio universale diretto e segreto un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova Costituzione dello Stato”. E, a chi eccepisce che i due gabinetti di unità nazionale insediatisi a Salerno (Badoglio e Bonomi) non avevano, per ovvi motivi, giurisdizione su tutta la Penisola, gli storici locali, impegnati da decenni a ricostruire la memoria di quei giorni esaltanti e terribili, replicano con la tesi della “continuità della Patria” (in opposizione a Galli della Loggia che parla di “morte della Patria” con l’Armistizio), garantita dal trasferimento della Corona e dei poteri dello Stato nel cosiddetto Regno del Sud dopo l’8 Settembre. Dispute accademiche? Non proprio: la mostra su cui fanno perno tutte le iniziative varate dal Comune di Salerno per celebrare il settantesimo anniversario di quegli eventi s’intitola, significativamente, “Salerno Capitale, la Città della Costituzione”. In esposizione, oltre alla storica Gazzetta Ufficiale che spiana la strada alla Costituente, decine di documenti e fotografie: celebre quella dell’insediamento del primo governo di unità nazionale, il 27 aprile ‘44, nel monumentale Salone dei Marmi di Palazzo di Città, che negli anni Trenta il fascismo ingegnere napoletano Camillo Guerra

aveva disegnato assecondando tutte le velleità di grandeur del regime mussoliniano. Ci sono, tra gli altri, Palmiro Togliatti e Peppino Saragat, Benedetto Croce e Vincenzo Arangio Ruiz, Pietro Mancini e Benedetto Croce. Ora c’è la proposta di modificare il nome dell’aula, che ospita le riunioni del consiglio comunale, in Salone della Costituzione repubblicana e di Salerno Capitale. Si vedrà. Intanto, per costruire un cartellone di eventi capace di fornire il senso più vero e autentico della ricorrenza, oltre la memorialistica di maniera, l’assessore alla Cultura, Ermanno Guerra (solo omonimo del progettista del Palazzo di Città) ha messo insieme venti soggetti collettivi, tra istituzioni, enti privati e pubblici, associazioni, sindacati, istituti di studi e di ricerca: “Grazie a questo metodo di lavoro partecipato – ha affermato Guerra – riusciremo ad ospitare nei luoghi simbolo della città eventi che, in alcuni casi, presenteranno al pubblico documenti e materiali d’archivio esposti per la prima volta”. Già che c’era, Guerra ha anche invitato “chi possiede reperti e documenti di quel periodo a considerare la possibilità di metterli a disposizione dei musei”, e il suo appello non è caduto nel vuoto: molti i cittadini che hanno “socializzato” frammenti di storie personali e familiari per questo progetto di ricostruzione della memoria collettiva. Fino a giugno, dunque, Salerno ospiterà mostre, convegni, dibattiti sulla Resistenza, lo Sbarco Alleato, i primi governi di Unità nazionale, la Svolta togliattiana che sbloccò la situazione italiana con l’accantonamento della pregiudiziale antimonarchica da parte dei comunisti. Salerno crocevia della Storia novecentesca e dei destini del Pci: tra qui e Napoli il Migliore, rientrato a marzo del ‘44 dall’URSS, immaginò la costruzione del grande partito di massa perfettamente integrato nel sistema democratico (la via italiana al socialismo). Sempre qui una fredda mattina del dicembre 1980 con le macerie del terremoto ancora fumanti, in una conferenza stampa nella storica federazione di via Manzo, un tormentato Enrico Berlinguer pose fine alla fase dei governi di Solidarietà Nazionale, riportando il Pci all’opposizione. La seconda Svolta di Salerno, 36 anni dopo la prima. Ma questa, è un’altra storia. 

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CULTURA E FORMAZIONE

di Franca Pietropaolo

Profilo di un protagonista del 900’ tra storia, politica, cultura Giuseppe Galasso: una vita circondata da libri letti e scritti

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l nome di Giuseppe Galasso è strettamente congiunto il termine “storia”. Sì, perché Galasso ha fatto della storia la sua più grande passione e il suo interesse più autentico. La storia è la sua materia di studi, la storia è il filo conduttore alla sua carriera e della sua intensa e gloriosa vita intrisa di poliedrici aspetti del sapere. Una vita circondata, fin dalla giovane età, da libri: libri che ha letto, ma soprattutto libri che ha scritto. E sono proprio questi ultimi ad aver arricchito il patrimonio culturale del nostro paese: veicoli di conoscenza, strumenti di studio e di riflessione, fondamenti per chi ha sete di conoscenza. Giuseppe Galasso è nato a Napoli nel 1929, da una famiglia semplice, lontana dall’alta borghesia napoletana. Sin da adolescente ha costruito la sua esistenza sullo studio e sulla ricerca: la conoscenza della filosofia e della letteratura maturata durante gli studi classici, ha aperto la strada alla storia. Si è laureato alla facoltà di Lettere e Filosofia della Federico II con una tesi in storia medievale. La sua è stata una formazione universitaria fatta di prestigiosi nomi che hanno lasciato un segno nelle pagine della nostra cultura: Salvatore Battaglia, Nino Cortese, Ernesto Pontieri solo per citarne alcuni. Ed è proprio in questo periodo di formazione che il giovane Galasso si è avvicinato al mondo politico. Parliamo dell’immediato dopoguerra, momento in cui decise di iscriversi alla Federazione Giovanile del Partito Repubblicano e partecipò alla campagna elettorale per il referendum istituzionale del giugno 1946, quando personaggi di grande spessore erano ai vertici del partito a Napoli e l’esilio dei Savoia non fu accolto con grande entusiasmo. Successivamente assunse la se-

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greteria provinciale Federazione Giovanile poi anche regionale, per giungere poi alla direzione nazionale, ma il suo obiettivo in quel momento era il consolidamento del partito a Napoli. Qualche anno dopo Giuseppe Galasso intraprese la strada dell’insegnamento prima alle scuole primarie, poi alle classi superiori. Nel frattempo era diventato borsista dell’Istituto Italiano di Studi Storici fondato da Benedetto Croce e poi segretario dello stesso istituto dal 1956 al 1958. La sua attività di docente lo condurrà inesorabilmente all’ambiente universitario con cattedre all’università di Salerno, di Cagliari e di Napoli; dal 1966 al 2005 è stato infatti ordinario di Storia Medievale e Moderna all’Università degli Studi Federico II, nella quale dal 2005 è Professore Emerito. Contestualmente il suo iter politico è rimasto costantemente attivo così come in gioventù: dal 1970 al 1993 è stato consigliere comunale di Napoli, dal 1970 al 1973 assessore alla Pubblica Istruzione per poi essere eletto sindaco di Napoli con l’incarico di costituire una giunta che non si poté formare, inducendolo così a rinunciare definitivamente all’incarico. Dal 1978 al 1983 è stato presidente della Biennale di Venezia e dal 1982 al 1988 Presidente della Società Europea di Cultura. Parallelamente, è giunto in Parlamento e precisamente nel 1982, acquisendo la carica di Sottosegretario al Ministero dei Beni Cultural e Ambientali nel primo e nel secondo governo Craxi. Durante la sua carica ha disegnato una norma cui resterà legato il suo nome, si tratta della Legge 431 dell’8 Agosto 1985, la Legge Galasso con la quale gran parte del territorio nazionale veniva sottoposto a “vincolo paesistico”. Dal 1988 al 1991 Galasso è stato sottosegretario al Ministero per l’intervento Straordinario nel Mezzogiorno

L’impegno per salvaguardare il bello Storico raffinato, fu il padre della legge che introsse il vincolo paesistico per la tutela del territorio.


Foto di Salvatore Scialò

per il governo De Mita e il sesto governo Andreotti. La sua carriera politica ha continuato a viaggiare parallelamente a quella storicoculturale: dal 1980 infatti è Presidente della Società Napoletana di Storia Patria. Dal 1977 è socio dell’Accademia dei Lincei. E’ socio corrispondente della Real Accademia de Historia di Madrid, dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti e di altre accademie italiane e straniere. Con decreto del re Juan Carlos I dell’8 maggio 1986 è stato insignito della Encomienda de Número de la Orden del Mérito Civil. Con decreto del presidente della Repubblica Francesco Cossiga (2 giugno 1987), ha ricevuto la Medaglia d’Oro per i Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte. All’attività accademica e politica di Galasso è da affiancare anche un’intensa attività giornalistica in qualità di editorialista per vari periodici e quotidiani nazionali come Il Corriere della Sera, Il Mattino, La Stampa, l’Espresso e come direttore per la rivista Comprendere, organo ufficiale della fondazione Società Europa di Cultura. Inoltre, i suoi saggi da sempre rappresentano un elemento fondamentale per studiosi di storia moderna e medievale.

Nei suoi scritti e nei suoi discorsi pubblici Galasso ha sempre affrontato il tema della Questiona Meridionale soffermandosi sugli argomenti che maggiormente feriscono il Sud: la fuga di cervelli, il divario economico rispetto al Nord e la difficoltà nell’investire. Tutto ciò alimentato dall’assenza, nel meridione, di una classe politica di qualità. Tra le sue pubblicazioni più importanti ricordiamo: Mezzogiorno medievale e moderno (1965); Croce, Gramsci e altri storici (1969); Napoli spagnola dopo Masaniello (1972); Potere e istituzioni in Italia (1974); Il Mezzogiorno nella storia d’Italia (1977); L’Italia come problema storiografico(1979); L’altra Europa. Per una antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia (1982); Croce e lo spirito del suo tempo (1990); Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno angioino e aragonese 12661492 (1992); Sicilia in Italia (1994); L’Italia moderna e l’unità nazionale (con Luigi Mascilli Migliorini, 1998), Nell’Europa dei secoli d’oro. Aspetti, momenti e problemi dalle «guerre d’Italia» alla «grande guerra» (2012). Il nome di Giuseppe Galasso è citato nell’enciclopedia italiana Treccani. 

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CULTURA E FORMAZIONE

di Paola Congiusti

Riapre Palazzo Fruscione Torna a pulsare il centro storico di Salerno

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e decidete di fare una passeggiata a Salerno cercate di visitare Palazzo Fruscione; si trova tra via Adelberga e Vicolo Santa Maria dei Barbuti: nel cuore del centro storico. Si tratta di un antico palazzo di epoca normanna, che è stato riaperto al pubblico lo scorso settembre, dopo un delicato intervento di recupero e di restauro. Purtroppo, a sei mesi dall’inaugurazione, non è ancora chiara la sua destinazione d’uso. La gestione e la manutenzione di certi edifici storici richiede un ulteriore volontà di investimento, un incremento di risorse che, comprendiamo, oggi è difficile rintracciare; ma la bellezza e il fascino di certi luoghi ha sempre, e ampiamente, ripagato gli sforzi economici: si pensi a Palazzo Pinto, interamente recuperato, oggi

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sede della Pinacoteca Provinciale. Sarà così anche per il Palazzo Fruscione? Per il momento dobbiamo accontentarci di ammirarlo dall’esterno. In breve la sua storia più recente. Il Palazzo porta il nome “Fruscione” dalla famiglia che lo ha abitato, fino al 1967. Successivamente il Comune decide di espropriarlo e di consegnarlo a famiglie senza alloggio. Il palazzo diventa, inevitabilmente, un anonimo condominio del centro storico. Nonostante l’incuria e la disattenzione dei suoi condomini la struttura non crolla; ma cade, certamente, nell’oblio. Gli interventi interni ne hanno stravolto la bellezza: i cittadini non lo riconoscono più e i passanti lo ignorano. Qualcuno all’epoca avrà pensato “Pazienza!”... e si arriva, così, al 2009. Anno in cui il sindaco

La storia nei mattoni Si tratta di un antico palazzo di epoca normanna, che è stato riaperto al pubblico lo scorso settembre, dopo un delicato intervento di recupero e di restauro.


di Salerno, Vincenzo De Luca, riesce con la determinazione che tutti gli riconosciamo, ad ottenere finanziamenti europei e procedere alla ristrutturazione e recupero di Palazzo Fruscione. E questo punto la domanda: perché questo palazzo è così importante per la città di Salerno? L’ ho chiesto direttamente all’architetto Mario dell’ Acqua che ha guidato il progetto di restauro. Palazzo Fruscione custodisce quasi mille anni di storia. Porta con se vestigia romane, longobarde e normanne. E’ il racconto delle civiltà che hanno abitato questo territorio. Sul terreno su cui oggi vediamo erigersi il palazzo, nel I sec d. C. erano ubicate terme romane. Nel V sec. le terme furono smantellate per costruire una

ma anche colonne e decorazioni in pietra che sono state lasciate a vista. Con un ascensore, poi, sono state eliminate tutte le barriere architettoniche. Quanto alla destinazione d’uso, la struttura del palazzo potrebbe ospitare una grande Biblioteca Comunale, magari multimediale”. Chiedo, sulla possibile destinazione di Palazzo Fruscione, un’opinione anche a Paolo Peduto, direttore degli scavi archeologici. Il professore mi fa constatare che a pochissimi metri da Palazzo Fruscione c’è la Chiesa di San Pietro a Corte: un raro esempio, in Europa, di architettura medievale. Mi porta, quindi, a riflettere su come a distanza di pochi metri la civiltà longobarda (San Pietro a Corte, 650 d.C.) guardi a quella normanna (Palazzo Fruscione 1076 d. C). Poiché entrambi i palazzi

Peduto: Palazzo Fruscione è una combinazione e una convivenza di più stili architettonici diremo unica in Europa che può diventare il Luogo della Città Medievale: un luogo di studio, di ricerca anche internazionale, che sia punto di incontro e confronto culturale, ma soprattutto sia il luogo dell’identità storica cittadina. chiesa. Sulle rovine di questa chiesa Arechi, principe dei Longobardi, costruirà il suo palazzo reale. L’arrivo dei normanni costringerà il principe Arechi ad abbandonare la sua dimora. Sul terreno dell’ex reggia Arechiana i normanni costruiranno Palazzo Fruscione e sarà abitato da stirpe aristocratica. E questo spiega il lusso del palazzo: decori orientaleggianti, archi intrecciati, motivi a scacchiera, tarsie lignee tipiche della cultura estetica mediterranea. Si comprende, pertanto, quanto complesso sia stato il recupero dei locali interni, che sembravano totalmente compromessi dagli interventi di edilizia civile. Abbiamo dovuto eliminare, in maniera ragionata, tutte quelle “aggiunte” che ne avevano alterato le proporzioni; abbiamo rifatto i controsoffitti; ripristinato gli spazi, ma pensando sempre in un’ottica di ri funzionalizzazione del palazzo. Ora Palazzo Fruscione si sviluppa su tre piani, più un terrazzino che offre una visione inedita sul centro storico. Il secondo ed il terzo piano presentano saloni affrescati,

si fondano su terme romane del I sec, che è possibile ammirare e visitare, allora l’intera area diventa testimonianza di mille anni di storia. Una combinazione e una convivenza di più stili architettonici diremo unica in Europa che, se adeguatamente promossa, potrebbe portare Salerno a riagganciare il titolo di Città Medievale; un titolo importante per entrare nel percorso Unesco - Longobardi in Italia - che nel 2012 purtroppo è scivolato via a causa proprio di carenze strutturali in prossimità dei siti. Penso – continua il professore – che palazzo Fruscione debba diventare il Luogo della Città Medievale: un luogo di studio, di ricerca anche internazionale, che sia punto di incontro e confronto culturale, ma soprattutto sia il luogo dell’identità storica cittadina. Consiglio ai lettori di Link di approfittare della manifestazione Salerno Porte Aperte, che si tiene a maggio, per sentire il “nuovo centro storico di Salerno” e la sua inedita anima Medievale. 

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CULTURA E FORMAZIONE

di Maurizio Baratta

* Direttore artistico Sanitansamble

Sanitansamble Dagli “accordi di strada” agli accordi d’orchestra

O

re 18,30, quartiere Sanità a Napoli, il ventre della città che vive sotto le sue strade principali; una periferia situata al centro della città, un luogo poco frequentato dalle istituzioni, dalle autorità di polizia, dai controlli più comuni. Alle 18,30 attraversare le malconce strade del quartiere può essere un rischio serio: decine di motorini sfrecciano a velocità altissime con a bordo ragazzi, anche 3 o 4 alla volta, tutti rigorosamente senza casco, rischiando di investirti con la stessa facilità con la quale ti imprecano contro quando ti frapponi davanti al loro percorso da “record” del giro da circuito. Nel frastuono di clacson e marmitte “truccate” qualche orecchio più sensibile riesce però a distinguere dei suoni distanti, non perché provenienti da chissà dove, ma perché non appartenenti alla normalità di questo luogo: sono suoni prodotti da violini, contrabbassi, flauti, oboi e corni francesi, suoni d’orchestra. E allora bisogna prestar attenzione, avvicinare l’orecchio al portone della Cappella del Rosario, splendida testimonianza dell’arte del XVI secolo, appartenente al complesso della Basilica di Santa Maria alla Sanità, per confondersi al cospetto del miracolo che avviene ogni settimana in quel luogo con precisa, e quindi ancora più stupefacente, regolarità: 46 ragazzi e ragazze, figli del quartiere, ex scugnizzi frequentatori delle piazze solo per calciare al pallone, disertare gli impegni scolastici o raggrupparsi a “non far niente” che oggi imbracciano uno strumento musicale e lo usano magicamente per suonare insieme Beethoven, Brahms, Morricone o una “Tamurriata della Sanità” composta per loro dal saxofonista Daniele Sepe. E’ l’Orchestra Giovanile “Sanitansamble”, un

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gruppo orchestrale nato 6 anni orsono nel 2008 grazie allo start-up voluto da “AltraNapoli onlus” presieduta da Ernesto Albanese che è riuscito a far convergere i finanziamenti di importanti aziende nazionali e internazionali,in un progetto centrato sul recupero e sull’allontanamento dal rischio di devianza sociale di bambini e adolescenti del Rione Sanità, attraverso la pratica musicale orchestrale ispirata al metodo Abreu, il maestro “inventore” di El Sistema in Venezuela, grazie al quale, negli ultimi 30 anni, più di 350.000 ragazzi oggi sono protagonisti della propria vita lontani dalla delinquenza o dall’emarginazione sociale. Ed è così che il Project Manager, Eusebio Brancatisano, ed il direttore artistico, Maurizio Baratta, nel 2008 mettono su una squadra di 12 maestri preparatori, uno per ognuna delle specialità strumentali costituenti un’orchestra sinfonica, che diventano i coach di ragazzi che prima d’allora mai avrebbero potuto immaginare di eseguire, un giorno, una Ouverture di Rossini, davanti al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, il 1° ottobre 2012, si sarebbe recato in visita alla città di Napoli incontrando anche i giovani musicisti nella Basilica di San Gennaro Extramoenia. Il progetto, fin dai suoi esordi, oltre a raggiungere traguardi musicali di indubitabile spessore, ha generato un importantissimo valore di impegno civico e di servizio fra i giovani del quartiere che sono chiamati a partecipare, su loro richiesta, ad una attività che li coinvolge non solamente sotto l’aspetto musicale, ma anche sotto l’aspetto relazionale e comportamentale: essi hanno cambiato le loro abitudini, spesso disordinate e senza alcuna progettualità, per partecipare ad un percorso che li impegna tre volte alla settimana, dalle due alle

I suoni della Sanità Quando la musica diventa impegno civico per gli adulti e divertimento per i ragazzi.


tre ore alla volta, in lezioni individuali, prove a sezione strumentale e “durissime” prove orchestrali durante le quali non solo migliorano la loro performance individuale ma fanno anche da tutor ai giovanissimi che chiedono di essere accolti nel gruppo, aderendo ad uno “spirito di servizio” al quale “la strada” difficilmente li avrebbe esortati. I maestri sono le loro guide ed anche i loro punti di riferimento, persone con le quali tessere una relazione che qualche volta va al di là del rapporto didattico (“maestro, vuless tenè nu padre comm’a vvuie...” è la confidenza di chi tra le mura di casa trova magari indifferenza, ignoranza e disattenzione ai desideri di un ragazzo). E’ soprattutto al loro magnifico operato pur in situazioni di forte disturbo ambientale (strade rumorose, luoghi dove non raramente le loro auto in sosta vengono prese di mira mostrando costosi danni) o di disagio economico (da oramai più di un anno il Progetto è sprovvisto di sostegno finanziario, tanto da non poter rico-

noscere loro neanche il rimborso delle spese che essi stessi sostengono per i viaggi e alle volte anche per far manutenere gli strumenti ai ragazzi) che va il pensiero di chi scrive ringraziandoli uno per uno del servizio attualmente donato, Gabriele Bernardo, Gioacchino Morrone, Salvo Lombardo, Annamaria Sullo, Chiara Mallozzi, Luigi Salerno, Luciano Spinelli, Nunzio Franza, Nicola D’Apice, Enzo Leurini, Luca Martingano, Raffaele Barbato, Paolo Acunzo, grazie anche a loro i giovani del Rione Sanità hanno raggiunto l’accordo “perfetto maggiore”, cioè quello che in musica è la più perfetta e consonante unione dei tre suoni fondamentali dalla scala maggiore. Stare insieme per crescere lontano dalle bruttezze di una pericolosa vita ai margini della società e vicino all’arte, alla bellezza, all’armonia, al centro di una vita dignitosa e ricca di valori positivi. L’alternativa è stata delineata, a loro la decisione di continuare questa strada di salvezza. 

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DENTRO LA COMUNICAZIONE CONCETTI, CONCETTI, MODELLI, MODELLI, PERSONE PE RSONE “Divulgare significa far conoscere conoscere e comprendere comprendere non solo cose che ci appaiano misterose misterose e lontane, “Divulgare espressioni che usiamo tutti i giorni in modo spesso inconsapev ole o ma anche concetti ed espressioni inconsapevole Far comprendere comprendere è dunque operazione operazione meritoria, fondamentale nei paesi anglosassoni superficiale. Far dove l’approccio l’approccio divulgativo divulgativo della scienza è essa stessa una scienza e dove dove diventa diventa difficilissima la dove traduzione pedissequa dei nostri testi spesso infarciti infarciti di concetti e metafor e che sarebbe sarebbe oppor tuno traduzione metafore opportuno spiegare e poi esporre. esporre. Quando poi la divulgazione riguar da la comunicazione, non solo l’oper a prima spiegare riguarda l’opera soprattutto coraggiosa”. coraggiosa”. è meritoria ma è soprattutto (dalla postfazione di Ferdinando Pinto Pinto))

Samuele Ciambriello Samuele Ciambriello, giornalista, è stato pr presidente esidente del Cor ecom Campania e componente del Comitato Nazionale Corecom TTvv e minor. minor. Attualmente è docente della Link Campus ed insegna ““Teoria Teoria e tecniche della comunicazione comunicazione”” all’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Salerno.

Michele Infante “Teoria dell’informazione e della Dottore di ricerca ricerca in “Teoria Michele Infante, Dottore Unoversityy, ed ha sv comunicazione”, ha insegnato alla John Cabot Unoversity, olto comunicazione”, svolto ricerca presso presso la New School for Social R esearch di New Y ork attività di ricerca Research York Universitat di Berlino. Berlino. Attualmente insegna “Corporate “Corporate Communication” e la Humboldt Universitat all’Università degli Studi Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli all’Università “Teoria e tecniche dei nuovi nuovi media” media” alla Link Campus University University di Napoli. e “Teoria

LA BUONA NOVELLA

Ilaria Ilaria Urbani Urbani

STORIE STORIE DI PRETI PRETI DI FFRONTIERA RONTIE RA

LLA A BUONA N NOVELLA OVELLA SStorie torie di p preti reti di ffrontiera rontiera

COLLANA COL L A N A EDITORIALE E D I TO RIAL E WE CARE CAR E

Prefazione di Roberto Saviano

“Tredici uomini cor “Tredici coraggiosi aggiosi che ci mostr mostrano ano quotidianamente cosa vvoglia oglia dir dire e la par parola ola missione, cosa significhi signi fichi amar amare e il prossimo prossimo e cosa sia davvero davvero la chiesa. Questa carrellata carrellata di storie necessarie, di esperienze esperienz e uniche, mostr mostra a chiaramente chiaramente come dal racconto, racconto, dalla denuncia possa arrivare arrivare il riscatto. riscatto. Come dal rracconto acconto di tredici tredici vite eccezionali, fatte di vittorie e spesso di sconfitte, sconfitte, si possa comprendere compr endere una terra terra e amarla anche se non ci appartiene. appartiene. Se poi quella è pr proprio oprio la tua terr terra, a, quella in cui sei nato e cr cresciuto, esciuto, ecco che queste esperienze esperienze ti danno le coordinate. coordinate. Ti Ti mostrano mostrano come che queste esperienz esperienze vivere, come potercela potercela fare. e ti danno le coordinate. coordinate. Ti Ti mostrano mostrano come poter vivere, fare. Come la disperazione disper azione può esser essere e trasformata trasformata in speranza, speranza, in vita.” (dalla pr prefazione efazione di Roberto Saviano) Saviano)

Ilaria Urbani Ilaria Urbani, giornalista, nata a Napoli nel 1980, collabor collabora a con “La R Repubblica” epubblica” Repubblica epubblica delle Donne Donne”. ”. Ha scritto per “Il Manifesto Manifesto”. ”. e con il settimanale “D - La R Ha collabor collaborato ato con Al Jaz Jazeera eera English e per l’emittente di stato gr greca eca E ERT. RT. Ha pubblicato un saggio sull’immigr sull’immigrazione azione nel libr libro o ““A A distanza d’offesa d’offesa”” (Ad Est dell’Equator dell’Equatore). e).

In tutte le librerie.


UN GIUDICE PARTIGIANO DIRITTI, DI RITTI, POLIT POLITICA ICA E G GIUSTIZIA IUSTIZIA SOCIA SOCIALE LE A ALL TTEMPO E MPO DE DELLA LLA C CRISI R IS I dove Ma do ve sta scritto che un giudice debba rinunciare rinunciare a esprimere esprimere le sue idee politiche? “sono “sono un politiche”. Enzo giudice e ho delle idee politiche ”. La bellezza di Enz o Albano sta nella naturalezza naturalezza con la quale rivendica riv endica ciò che molti altri contestano, rimuovono, rimuovono, negano, a destra destra come a sinistra. sinistra. È stata una profonda scelta sapiente e pr ofonda quella di rraccogliere accogliere i suoi articoli articoli in materia di giustizia insieme a quelli strettamente più str ettamente legati all’attualità politica. Non esiste l’uomo togato scisso dall’uomo senza toga. Esiste l’uomo. ridurre sorta l’uomo. C’è chi vorrebbe vorrebbe ridurr e il giudice a una sor ta di automa depoliticizzato. depoliticizzato. Enzo Enzo Albano ha liberamente espresso rresistito esistito a questa de-umanizzazione e si è liber amente espr esso sulla politica e sui politici italiani, sulla pace e sulla guerr a, su Cuba e sulla P azia e sullo stato eccezionale. guerra, Palestina, democrazia alestina, sulla democr La vita è qualcosa di ben più complesso rispetto al diritto diritto.. (dalla P refazione di Patrizio Gonnella Prefazione Gonnella)) Vincenzo Maria Albano (1943 - 2011 †) magistr magistrato, ato, giornalista, giurista, esponente di magistr atura democratica democratica è stato, tra tra l'altro, l'altro, magistratura presidente pr esidente dell'undicesima sezione penale del Tribunale Tribunale di Napoli e pr presidente esidente del TTribunale ribunale di Torre To orre Annunziata (Napoli) .

A TUTTO CAMPO

Luca Bifulco Bifulco Francesco Pirone Francesco Pi rone

IILL CALCIO CALCIO D DA AU UNA NA PR PROSPETTIVA OSPETTIV VA SOCIOL SOCIOLOGICA OGICA

A TUT TUTTO TO CAMPO CALCIO DA IL CA LCIO D A UNA PPROSPETTIVA ROSPETTIVA SSOCIOLOGICA OCIOLOGICA

Postfazione Postfazione di Vittorio Vi ttorio Dini

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COLLANA EDITORIALE WE CARE

PPrefazione refazione di Salvatore Salvatore Bagni

Cos’è la passione per il calcio e chi è il tifoso, con le sue emozioni, la sua identità, i suoi er eroi, oi, i suoi rituali, i comportamenti compresi aggressivi interessi essi ruotano intorno al calcio e allo suoi compor tamenti – compr esi quelli aggr essivi e violenti? Quali inter sho show w business, in un un’epoca ’epoca in cui finanza e capitali si muo muovono vono su scala globale, e come funziona oggi intrecciano ecciano il calcio e le sue istituzioni – come la FFIFA IFA – con i fenomeni fenome politici l’economia calcistica? Come si intr e esser e un pr ofessionista del calcio e ar ticolare la pr opria biogr afia e con le logiche di potere? potere? Che vuol dir dire essere professionista articolare propria biografia carriera così par ca di risponder e, con l’ausilio degli strumenti sulla base di una carriera particolare? ticolare? Questo libr libro o cer cerca rispondere, dell’analisi e della riflessione sociologica, a queste domande. Non è possibile negar e come il calcio, al di là negare sportiva, sia oggi un fenomeno di grande anza, tanto nell’esperienza della semplice dimensione sportiva, grande rilev rilevanza, quotidiana di moltissime persone, quanto per le sue implicazioni sociali, economiche e politiche. P Per er questo non aveva aveva tutti i torti torti Bill Shankly Shankly, allenatore e britannico del secondo dopoguerr dopoguerra, a, quando un y, celebre celebre allenator giorno ebbe a dire: dire: «Cer «Certa ta gente cr crede ede che il calcio sia una questione di vita o di mor morte. te. Sono molto deluso da questo atteggiamento. atteggiamento. V Vii posso assicurare assicurare che è qualcosa di molto, molto più importante». importante».

Luca Bi Bifulco i l if ifulco è ricer ricercatore catore in Sociologia pr presso esso il Dipar Dipartimento timento di Scienz Scienze e Sociali dell’Univ dell’Università ersità degli S Studi tudi dove di Napoli FFederico ederico III, I, do v insegna Sociologia. Si occupa di teorie sociologiche, con particolare ticolare attenzione alla sociologia del conflitto conflitto.. I suoi ambiti di ricer ricerca ca includono la sociologia della violenza e la sociologia dello spor sport. t. TTra ra i suoi ultimi scritti: Rituale dell’inter dell’interazione azione e conflitto (Napoli, 2010), All’Ov All’Ovest est niente di nuo nuovo. vo. Immagini del tempo e pensier pensiero o sociale (Napoli, 2011) e i saggi “L “Loisir oisir e spor sport” t” e “Conflitti e mo movimenti” vimenti” nel libr libro o contemporaneo. cura Il mondo contempor aneo. Un lessico sociologico, a cur a di D. Maddaloni (Napoli, 2012).

Francesco Pirone ricercatore presso Dipartimento Scienze dell’Università Studi è ricer catore in Sociologia pr esso il Dipar timento di Scienz e Sociali dell’Univ ersità degli S tudi dove Svolge ricerca di Napoli FFederico ederico III, I, do ve insegna Sociologia. S volge attività di ricer ca su tematiche rrelative elative ai cambiamenti dei pr processi ocessi economici e del lav lavoro oro nelle società contemporanee, contemporanee, occupandosi anche dello studio delle politiche pubbliche. Tra Tra i suoi scritti più recenti recenti La tr transizione ansizione dall’occupazione al pensionamento (R (Roma, oma, 2010) e il saggio “Economia e lav lavoro” oro” nel libro libro Il mondo contempor contemporaneo. aneo. Un lessico sociologico, a cur cura a di D. Maddaloni (Napoli, 2012).

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CULTURA E FORMAZIONE

PRESENTAZIONE di Salvatore Bagni

Il calcio oltre la superficie

C

hi ha giocato a calcio, in modo amatoriale o come professionista, sa che calciare un pallone e vivere le forti sensazioni di una partita significa provare una forma particolare di felicità, a prescindere o forse anche in virtù di quel travolgente corredo di emozioni, spiacevoli o d’esultanza, che lo svolgimento di una gara può stimolare. Quando ero calciatore si faceva davvero di tutto per scendere in campo, per giocare quante più partite possibili, perché ci si divertiva, ci si entusiasmava, in fin dei conti ci si sentiva bene. Eppure, al di là del campo, il calcio è un mondo molto complesso, in cui convergono tanti fattori, economici o sociali ad esempio, che ne ampliano l’importanza e i motivi per cui prestare attenzione. Attorno al calcio giocato, soprattutto quello professionistico, ruota una combinazione particolare di passione e interessi che ne fanno un qualcosa di davvero singolare, specie per le dimensioni del fenomeno. Milioni di tifosi, tante partite giocate e trasmesse dalle televisioni di tutto il mondo, una rilevante circolazione di denaro e l’opera di numerosi operatori professionali – dai calciatori ai dirigenti, dai consulenti di mercato ai giornalisti, solo per citarne alcuni – costruiscono una realtà dinamica, ricca d’energia, di potenzialità, ma anche di difficoltà e non priva di problemi. Perciò va dato ampio merito al lavoro di chi la studia, la analizza e ci fornisce gli elementi per comprenderla meglio. Ed è questo il caso del libro di Luca

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Bifulco e Francesco Pirone. Quando parliamo di calcio, in effetti, ci riferiamo a un fenomeno in continua trasformazione. Il calcio di oggi è infatti diverso da quello, per dire, degli anni ‘80, quando giocavo io. Ma anche il mondo era diverso, le generazioni erano diverse. Oggi, per esempio, non vedo più i campetti di periferia, quegli spazi brulli dove si passavano ore e giornate infinite, anche perché il pallone era l’unico divertimento e – in diversi casi – una delle poche possibilità per sognare un riscatto sociale. E c’era anche una propensione maggiore al sacrificio, in una dimensione calcistica con meno fronzoli e – da un certo punto di vista – forse più poetica. In fondo è quell’epoca che ci ha fornito i campioni che con ogni probabilità sono quelli che saranno ricordati maggiormente anche negli anni a venire. I vari Maradona, Zico, Platini, per capirci. Fuoriclasse dalla grande personalità, che rimarranno sempre indelebili nella memoria, probabilmente perché sono quelli che associamo automaticamente, direi in modo quasi naturale, a una certa idea del calcio come gioia pura. Forse anche perché sono i campioni degli anni in cui la televisione permetteva di diffondere ovunque la celebrità, ma non era ancora tanto invadente da diminuire l’incanto legato per così dire ad una distanza magica, nascosta, inaccessibile agli occhi profani. I media, per l’appunto. Sono sempre più importanti per il calcio, così come per i suoi operatori. E sono una delle cause principali della spettacolarizzazione di questo sport. Un feno-

Il libro di Bifulco-Pirone I media, per l’appunto. Sono sempre più importanti per il calcio, così come per i suoi operatori. E sono una delle cause principali della spettacolarizzazione di questo sport. Un fenomeno che nel tempo ha portato notevoli cambiamenti, addirittura nella stessa idea di calcio.


Un’attività, poi, che comunque muove circuiti economici significativi e attorno a cui ruotano importanti professioni ausiliarie – i procuratori o i mediatori, ad esempio – ma, soprattutto, che non dura molto, tanto che poi ci si deve reinventare nuove strade professionali. C’è chi riesce a rimanere nel mondo del calcio, nel settore tecnico, come consulente o commentatore televisivo. Per gli altri le cose possono essere meno soddisfacenti, sia economicamente sia per quanto concerne le gratificazioni professionali nel senso più ampio del termine. Bifulco e Pirone, per concludere, ci offrono una panoramica esauriente su tutti questi temi. Ci invitano a vedere il calcio oltre la sua superficie, ad approfondire, a dotarci di uno sguardo più attento e meno approssimativo. Per chi come me è stato calciatore e ancora oggi lavora nel mondo del calcio, uno stimolo in più a dare senso e a farsi appassionare da uno sport e da un mondo tanto affascinante. 

Luca Bifulco ne o Francesco Pir

MPO A TUTTOUNACPRAOSPETTIVA A IL CALCIO D A SOCIOLOGIC

Prefazione di gni Salvatore Ba di Postfazione Vittorio Dini

E CARE ITORIALE W COLLANA ED

meno che nel tempo ha portato notevoli cambiamenti, addirittura nella stessa idea di calcio. Non a caso ai giorni nostri si considera prioritario tutelare sul campo il gioco spettacolare, il calciatore capace di belle giocate a discapito di un gioco più muscolare e grintoso, sebbene forse meno bello a vedersi. Un calciatore combattivo, come lo sono stato io, forse oggi ha più difficoltà ad esprimere il suo stile di gioco, se consideriamo come vengono duramente sanzionati dagli arbitri i tackle più decisi, anche quando non intenzionalmente cattivi. È questa solo una delle tante trasformazioni che, come Bifulco e Pirone mettono in luce, colpiscono il calcio contemporaneo. Il cambiamento che abbiamo di fronte, come ci ricordano in diversi passaggi del testo i due sociologi, è però molto più articolato e investe il calcio italiano come quello internazionale. Le trasformazioni dei formati delle competizioni, l’intervento di ricchi investitori provenienti da paesi con una tradizione calcistica meno sviluppata, le nuove regole di gestione finanziaria sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero apportare e che trovano in questo libro vaste e approfondite analisi. Ciò che rimane intatta, a dispetto di ogni trasformazione, è invece la passione di tifosi e degli stessi calciatori. Il calcio continua a regalare forti emozioni e continua ad avere un nutrito seguito di appassionati che legano alle sorti della squadra del cuore un ampio bagaglio di soddisfazioni. Bifulco e Pirone ci aiutano a sviscerare e a capire i meccanismi che regolano questa simbiosi tra tifo, passione e calcio, attraverso un’analisi puntuale che non può che accrescere l’interesse per questo sport e per le sue articolazioni sociali. Discorso simile per i calciatori, che vivono un’esperienza professionale molto particolare, che devono costruire la loro carriera giorno dopo giorno, trovare i giusti stimoli e crederci sempre, in modo da provare ad arrivare ai risultati attesi per giocare ad alti livelli. Non sempre è tutto rose e fiori. Parliamo di una carriera piena di insidie, di alti e bassi, in cui entra in gioco l’abilità tecnica ma anche la fortuna, e non a tutti i livelli si guadagna tanto denaro.

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CULTURA E FORMAZIONE

RECENSIONE di Domenico Pizzuti

* Gesuita, Sociologo

Se muore il Sud perché il Sud non affondi Le responsabilità delle classi dominanti

G

ian Antonio Stella e Sergio Rizzo, Se muore il Sud, Feltrinelli, Milano 20013, pp. 315. Ho cominciato a leggere i primi capitoli dell’ultimo volume di questi due affermati giornalisti “Se muore il Sud”, poi ho interrotto, quindi ho ripreso dai capitoli finali riguardanti la Campania (La cancerogena Campania, Farfalle a Bagnoli, Voglia di volare, Ultraleggeri e Boing: il Sud che va) e così via. A dimostrazione che si tratta di un unico documentato discorso, o meglio inchiesta, con un impressionante accumulo di dati e percentuali, con un piglio narrativo immediato, per allertale che il Mezzogiorno va alla deriva. Di qui l’incipit preoccupato “Fate presto. Il Sud affonda”, perché di fronte all’abbandono del Mezzogiorno al suo destino ed alla rassegnazione per l’impossibilità di strapparlo alle mafie, alle clientele, alla malapolitica, i due autori provocano vari soggetti senza fare sconti a nessuno “Perché il Mezzogiorno sta an-

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dando al disastro. E non serve a niente, giorno dopo giorno voltarsi dall’altra parte. Vale per la destra, vale per la sinistra. (...) Vale per i politici ed i professionisti ed i rettori universitari settentrionali, che per decenni non si sono fatti scrupolo, per vincere a Roma, di stringere alleanze inconfessabili con il peggio del peggio del ceto dirigente meridionale. Vale per gli imprenditori, che nelle terre bagnate dalle generose provvidenze della Cassa per il Mezzogiorno hanno visto mille volte solo l’occasione di un saccheggio. Ma vale soprattutto per i meridionali, perché in troppo sospirano sui torti subiti “dai tempi più antichi” e sembrano ormai aver accantonato ogni volontà di riscatto. Ogni speranza di rinascita culturale, economica e civile”(pp. 7-8). Per la disanima della deriva del Sud, parlano un serie impressionante di numeri (dati e percentuali): decine di migliaia di falsi braccianti (il 99,1% di tutta Italia), centinaia di milioni di euro dissipati in finti corsi di formazione,

Il libro di Stella e Rizzo Ho cominciato a leggere i primi capitoli dell’ultimo volume di questi due affermati giornalisti “Se muore il Sud”, poi ho interrotto, quindi ho ripreso dai capitoli finali riguardanti la Campania (La cancerogena Campania, Farfalle a Bagnoli, Voglia di volare, Ultraleggeri e Boing: il Sud che va) e così via.


innumerevoli lavori pubblici fatti solo per far lavorare le imprese (amiche) con la scusa di creare occupazione, enormi spese nella sanità con risultati miseri, crescente divaricazione fra alti stipendi e pauperizzazione dello stesso ceto medi non solo per la recente crisi economica del paese, spreco ed inefficienza dei servizi pubblici dalla mobilità alla raccolta dei rifiuti, il cancro delle varie mafie o meglio delle organizzazione criminali che hanno esteso la loro presenza ed influenza anche a regioni centro-settentrionali, gruppi della criminalità organizzata ed imprese che prosperano su appalti pubblici. Non in ultimo, “Fondi europei: sperpero immenso e risultati zero” come titolo un capitolo del libro. La prima considerazione su questo lavoro riguarda il genere di narrazione del libro, o come si dice in altre sedi, il genere letterario, che è quella dell’inchiesta giornalistica (che non è una brutta parola) documentata per richiamare l’attenzione sull’abbandono della “questione meridionale” nel pubblico dibattito e produrre un risveglio politico e civile a partire allo stesso Mezzogiorno. A questo proposito bisogna segnalare l’uso imponente di dati numerici e statistici che sostanziano i vari capitoli del volume, che vanno discussi ed interpretati accuratamente in riferimento alle loro fonti e temporalità. Inoltre, ci sembra che si incrocino dati aggiornati sulle varie situazioni critiche delle regioni meridionali e la persistenza del divario economico e sociale nei confronti delle altre regioni del paese, tema quest’ultimo che appartiene all’analisi economica e alla storia economica quando si tratta di arretratezza del Mezzogiorno. Cioè alla creazione e distribuzione della ricchezza delle nazioni, per dirla con Adam Smith, ed uscire da una anomalia italiana. In secondo luogo, nella ricerca delle spiegazioni di questa arretratezza in conformità con le analisi degli studiosi del meridionalismo classico, viene additato il “patto empio che alimenta un ceto dirigente di mestieranti incapaci, spregiudicati, insaziabili. Quando non collusi con la

criminalità organizzata”. O più generalmente con disappunto una classe dirigente che lascia affondare un pezzo dell’Italia. In un recentissimo volume Emanuele Felice prova a fornire una spiegazione sul “Perché il Mezzogiorno è rimasto indietro”, e accusa le classi dirigenti o meglio dominanti. “Imputa loro cioè di aver deliberatamente ritardato lo sviluppo economico e sociale del Sud Italia, a vantaggio dei propri interessi. Detto altrimenti, chi ha soffocato il Mezzogiorno sono state le sue stesse classi dirigenti che ne hanno orientato le risorse verso la rendita più che verso gli impieghi produttivi, mantenendo la gran parte della popolazione nell’ignoranza ed in condizioni che favorivano i comportamenti opportunisti” (cit. in Repubblica Napoli, 9 gennaio 2014, p. IX). La passione civile ed unitaria degli Autori appare dalla dedica del volume “Ai nostri genitori, quelli terroni e quelli polentoni, che si sono sempre sentiti semplicemente italiani”. 

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