Anno 2014 || Link n°3

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QUI ED ORA Primarie del Pd e fallimento di Caldoro La novità della Fonderia delle Idee

SPECIALE Le economie asiatiche La presenza cinese in Campania

APPROFONDIMENTI

ANNO II | NUMERO 3 | € 4,00

Tutele e sanzioni della giustizia sportiva Il cosiddetto “calcio scommesse”

La politica trovi soggetti credibili e progetti condivisi. Recuperi fiducia e moralità.



EDITORIALE

di Samuele Ciambriello

Politica e società devono tornare ad incontrarsi

L

a mia narrazione respinge il mito, l’ideologia, non si nutre di utopia, vuole essere realista. La mia narrazione è una modalità del discorso politico che da un senso all’identità e all’appartenenza, fuori dal pregiudizio. Quaranta mesi sul filo delle polemiche, da quel giugno 2011 quando giurò il sindaco arancione Luigi de Magistris. Tante decisioni che hanno diviso la città: dalla Coppa America, costata una ventina di milioni di euro e strascichi giudiziari, al commissariamento su Bagnoli, che il sindaco voleva rilanciare con una svolta ambientalista. Passando per la dichiarazione di pre-dissesto, con indagine della Corte dei Conti e le contestazioni su assunzioni del personale. La vicenda della Romeo, che gli gestiva gli immobili e li vendeva, e con la quale de Magistris ha anche fatto una transazione meriterebbe uno speciale della nostra rivista, visti anche i risvolti giudiziari (di un innocente e di un giudice colpevolista) dei protagonisti. E le piste ciclabili? Un tracciato in mezzo alle auto o sui marciapiedi, e anche qui controlli giudiziari E poi il San Carlo, le buche in città, la ripresa dei rifiuti, le polemiche con De Laurentis per il San Paolo. Politicamente ha fatto tre rimpasti, ha cambiato la giunta quattro volte. Solo Tommaso Sodano, il vicesindaco, è rimasto della squadra iniziale. Su questa anatomia del fallimento, la vicenda

della sospensione mi interessa poco, perché è stata provocata dalla legge Severino che contiene elementi di contraddizione. Anzi io ritengo che adesso esibirà tutta la sua forza mediatica, visto anche un giornalismo connivente e non preparato, e recupererà margini di consenso. Da rivoluzionario a movimentista, a cabarettista. La sua esperienza non ha più slancio. Ma serve a Napoli una dimensione civica che porti al più presto alle elezioni anticipate. Napoli merita il riscatto. Alla Regione il presidente Stefano Caldoro sta dimostrando di essere un politico debole, privo di seguito personale, ha fallito. Sembra più un amministratore, un manager di ASL che un Presidente che elabori progetti, spende i finanziamenti europei, faccia politica attiva. È rimasto nelle denunce per quello che ha trovato e nel vago per quello che voleva realizzare. Ma il Partito Democratico è sparito in questi anni. Estraneo ai problemi della gente, con una classe dirigente piena di astrattezza ideologica, guidato da soggetti non credibili, ha perso alle Politiche, in molti comuni della Regione, senza cervello in iniziative, senza l’afflato di chi prepara un’alternativa credibile ed autorevole. Poi arriva la Fonderia delle idee a Bagnoli. In questo numero ne diamo ampio spazio, i contenuti non difettano di chiarezza, le idee in campo ci sono. Ha sicuramente, in un partito

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EDITORIALE regionale nel silenzio più assoluto, riannodato i fili della rappresentanza civica e politica. Secondo me un metodo anticipatorio, ha suscitato grandi aspettative ed invidie. Ma adesso avrà uno sbocco politico o troverà un muro davanti che la fermerà? Ma perché il PD a Napoli e in Regione continua a perdere, o per dirla diversamente: perché da noi ha più difficoltà a vincere? Forse perché qui la politica del PD, anche dopo l’entrata in scena di Renzi ha rischiato solo di intermediare il consenso. Eppure anche nel periodo più nero di Napoli, con i rifiuti fino al primo piano della case, il centrosinistra capitanato da Antonio Bassolino, anche con i suoi limiti, vinceva, e come se vinceva, anche alle Politiche. Ma forse il gruppo dirigente di quel partito che perdeva, e che incredibilmente è stato premiato a Roma, non aveva consapevolezza dei suoi limiti. Forse non è stato messo in piedi un lavoro di lunga lena, forse ci sono solo pallide tracce dell’opposizione a Stefano Caldoro, forse non è stata colta la spinta di rinnovamento che saliva dalla società. Forse troppe ambizioni personali, troppi “IO” a scapito del gioco di squadra. I Campani vogliono essere parlati, ascoltati, presi in considerazione ed invece si continua a parlare solo di chi deve guidarli al comune di Napoli o alla Regione Campania. Il PD non sa parlare alle leve decisive del potere e dell’economia, ma non sa ascoltare la borghesia illuminata e il grido di dolore delle periferie, non si occupa di scuola, né di sindacato, di diritti o di terzo settore. Giustizia sociale e giustizia ambientale: sono beni comuni irrinunciabili. È alla ricerca perenne di leader il PD invece

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di essere protagonista su questi temi che ho elencato. E ancora: il Sud che cerca lavoro guarda oltre l’articolo 18. Qui da noi serve una riflessione ampia su come creare ambienti e regole territoriali in grado di agevolare la propensione all’assunzione da parte delle imprese e l’emersione di forme di lavoro irregolare, contigue spesso a fenomeni di malavita organizzata. Pur tra difficoltà le esperienze positive da noi ci sono, occorre difenderle, incrementarle. Ed infine le Primarie per scegliere il candidato del PD, del centrosinistra per le prossime Regionali in Campania. Questo passaggio è ineludibile, rimane. Avanti con coraggio e lealtà. Non credo ci siano candidature indiscusse. Ma per quale idea di Regione, quali alleanze, quale arco di forze sociali in campo. Deve dire che idee ha dei problemi nazionali ed europei, perché anche da lì si risolvono i problemi regionali. Dopo i 50mila dell’Emilia, in 110mila sono andati a votare in Calabria alle Primarie. Un buon segnale, se pensiamo che il centrodestra non ha nel suo vocabolario questa parola e per il buon Peppe Grillo bastano un centinaio di votanti per scegliere i candidati del Movimento 5 Stelle. Se l’assistenzialismo nella cultura genera il conformismo delle idee, l’astrattezza ideologica e l’autoreferenzialità nella politica campana genera indifferenza, schede bianche, astensionismo e qualunquismo. A priori perché politica e società tornino a parlarsi basterebbe il buon senso e creare una coscienza storica che metta in relazione esperienze, situazioni presenti, passate e future in forma di progetto per il bene comune. Si il bene comune! 


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lettere ed opinioni Un nuovo sindaco per Napoli, crocevia culturale Caro direttore, guardando lo stato in cui versa la città di Napoli, Cicerone avrebbe affermato che mala tempora currunt. Le potenzialità della nostra città giacciono in uno stato di quiescenza, in attesa di ricevere uno stimolo troppo spesso annunciato e mai praticato. De Magistris, ancora una volta, tira in ballo oscure manine e nemici del popolo, invece di riflettere sull’operato della sua amministrazione, la quale non ha fatto altro che praticare una politica di eventi vetrina per il Sindaco e qualche suo asservito. Napoli nasce per essere capitale, crocevia di culture, volano di sviluppo: questa città necessita di una presa di coscienza collettiva, di una visione a lungo termine, di speranza concreta. Napoli, merita di veder sostituito al mala tempora currunt, l’hic manebimus optime. Francesco Senese

È il call center l’unico ripiego per i giovani disoccupati del Sud? Caro direttore, mi chiamo Ilaria, ho 32 anni e vivo a Napoli. Nel 2009 ho conseguito la laurea in lingue presso l’Università Orientale e tramite il mio Ateneo ho partecipato a qualche stage post lauream, presso l’Ufficio Immigrazione della Prefettura di Napoli e presso una casa nota casa editrice della mia città. Terminati gli stage ho iniziato l’estenuante ricerca del lavoro, consegnando curricula alle agenzie interinali, consultando i diversi portali e rispondendo a vari annunci sul web. Raramente in risposta alle mie email di candidatura mi è stata offerta l’opportunità di un colloquio, l’unica eccezione è rappresentata dal settore call center. Mi sono dovuta arrendere alla legge del mercato e ho inviato, in controtendenza rispetto alle mie aspettative, la candidatura a un call center e dopo un breve lasso tempo mi hanno fissato un colloquio; così ho iniziato a lavorare come operatrice telefonica. Lavoravo quattro ore al giorno da lunedì al venerdì con una pausa di un quarto d’ora dopo due ore; la retribuzione non prevedeva fisso, nessuna garanzia per il tempo speso a contattare potenziali clienti. E lo stipendio? Bhè, il metodo è quello che accomuna la maggior parte dei call center: produci e ti pago! (una miseria, ma ti pago!). Un tempo i call center garantivano un fisso, ma attualmente la retribuzione si basa solo sulla produzione, quando poi il fisso c’è, vige la regola che in caso di assenza ti vengono detratti i soldi della giornata: zero diritti, ma zero alternative valide. Ho provato a cercare altro, ma il risultato non cambia. Questo sarebbe il mondo del lavoro partenopeo per noi laureati? È questa la giusta ricompensa dopo anni passati a studiare inseguendo le proprie passioni? Sono demotivata e come me lo sono migliaia di laureati italiani. Ilaria Barra | 5


lettere ed opinioni L’Italia pronta ad una svolta liberale? Caro direttore, Bertinotti qualche giorno fa ha ammesso che la sinistra, in nome di una politica sociale, che ha visto protagonisti il filone comunista e quello cattolico, ha totalmente ignorato le libertà civili dei singoli individui, rinnegando quello che è il reale valore mancante del nostro paese: la cultura liberale. L’Italia potrebbe essere pronta a una svolta liberale che metta da parte i privilegi delle caste e ponga al centro della sua azione politica i diritti delle persone? Riusciremo ad avere in questo contesto finalmente de-ideologizzato una riforma della giustizia e delle politiche anti proibizioniste e realmente concrete sui diritti e le libertà civili? Io me lo auguro, altrimenti la politica perderà la sua chance e ultima possibilità di redenzione. Andrea Aversa

La credibilità dei poveri Caro Direttore, io che non sono un’economista e che di economia mi intendo poco, mi sono imbattuta in un testo appassionante, noto agli addetti ai lavori ed aggiungerei a coloro che hanno una sensibilità attiva e spirito di iniziativa. Mi riferisco, senza timore che il mio messaggio passi per un promo, al testo di Muhammad Yurus, Il banchiere dei poveri, che ha introdotto in un Paese che la povertà la conosce bene, il Bangladesh un’idea semplice quanto rivoluzionaria: dare credito e credibilità ai poveri, a quelli che per le banche e per le istituzioni non esistono. Eppure dare a qualcuno la possibilità di riscattarsi dalla povertà e dello sfruttamento altrui con un insignificante (per noi ricchi!) microcredito significa offrirgli la possibilità di riscoprire la propria dignità. Un modello economico “etico” è stato definito... sembra una contraddizione in termini, un’utopia, eppure si è rivelato una realtà tecnicamente perfetta con un margine di perdite prossimo allo zero. Eh si! Perché i poveri pagano sono i ricchi ad essere reticenti ed insolventi. La storia si ripete ed insegna... peccato che nessuno abbia voglia di imparare… M.Q.

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laboratorio laboratorio torio di pensieri pe analisi, li i proposte t

in direzione direzione ostinata e contraria

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QUOTIDIANO ON-LINE Direttore Samuele Ciambriello - Editore Silvio Sarno


SOMMARIO

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EDITORIALE - Politica e società devono tornare ad incontrarsi Samuele Ciambriello

QUI ED ORA Verso le Regionali Massimo Adinolfi

Quali Primarie per il PD Umberto De Gregorio

Identikit dei candidati alle Primarie Ilaria Perrelli

Politiche regionali sul lavoro, a confronto Severino Nappi e Corrado Gabriele Sveva Scalvenzi

Viaggio nel Consiglio Regionale della Campania Raffaele Perrotta

SPECIALE Le economie asiatiche Massimo Lo Cicero

Lo spettro della Fed sui mercati finanziari asiatici Elio Pariota

Cina: Beijing consensus e fratture della società armoniosa Francesco Pirone

La presenza cinese Salvatore Strozza

L’esperienza del made in Italy nei paesi asiatici Samuele Ciambirello

Tu vuo’ fà o’ cines! Vincenzo di Grazia

WELFARE Terzo settore: perle, pirati, entusiasti, resilienti e depressi Giovanni Laino

Periferie materiali, periferie esistenziali P. Domenico Pizzuti

Le attività della Cooperativa il Quadrifoglio Lidia Ronghi

Casa nel Sole: trent’anni al servizio del prossimo Alessandra Cavuoto

La Casa sulla Roccia di Avellino Giulia D’Argenio

Africa Mission: cooperazione e sviluppo Gennaro Zollo

La “Buona Scuola” proposta dal Governo Renzi Salvatore Laino


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APPROFONDIMENTI Giustizia sportiva: la scheda Marianna Quaranta

Le regole della Federcalcio Tullio Morello

Vivere lo stadio tra sicurezza e libertà Luca Bifulco

L’Agente FIFA e il Direttore Sportivo Lorenzo Fattori

CULTURA E FORMAZIONE La cultura è un imperativo morale Samuele Ciambriello

Una visione nuova del fare cultura per iniziative di qualità Francesca des Loges

A Benevento il turismo fa rima con Unesco e congressi Rosaria de Bellis

Un grande futuro dietro le spalle Beatrice Crisci

Come comunica il mondo dell’Università Agata Piromallo Gambardella

L’associazionismo spontaneo in rete Michele Infante

Il mondo a casa propria: la “cultural valley” dell’Irpinia Luciana Libero

Libertà, socialismo, democrazia. Il ‘cinismo sociale’ di Vilfredo Pareto Franca Pietropaolo

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RICERCA E INNOVAZIONE La questione petrolio ad Avellino Paola Liloia

Intervista a F. Fimmanò Dal Napoli calcio a Bagnolifutura a cura della Redazione

La favola dello zoo di Napoli in un cortometraggio Marianna Quaranta

“Noi per Napoli”: l’associazionismo a favore della città Sveva Scalvenzi

Terra di lavoro si racconta: opera ed ingegno Maria Beatrice Crisci

La filo fab alla Maker Faire 2014 Raffaele Perrotta

OFFICINA DELLE IDEE Il presente è il tempo migliore Samuele Ciambriello

Francesco Nicodemo, tra i protagonisti de La Fonderia Raffaele Perrotta

Bagnoli: le suggestioni di un luogo Valeria Valente

Cultura e legalità Franca Pietropaolo

PD come alternativa valida alla Regione Valentina Paris

Cambiare si può e il presente è il tempo migliore per farlo Pina Picierno

I padri “nobili” del PD in Campania Sveva Scalvenzi

La Fonderia è uno sforzo ambizioso e nazionale Andrea Orlando

Fonderia delle Idee: il ritorno alla politica delle agorà Sveva Scalvenzi

Vincere in questa Regione non è facile

Link. Trimestrale di Cultura e Formazione politica Anno II, numero 3, 2014 Registrazione del Tribunale di Napoli n. 52 del 09 ottobre 2012 ISSN - 2282-0973 Direttore Responsabile Samuele Ciambriello Coordinamento Editoriale Marianna Quaranta Comitato Editoriale Massimo Adinolfi Sergio Barile Filippo Bencardino Luca Bifulco Antonio Borriello Paola Bruno Gian Paolo Cesaretti Umberto De Gregorio Dario Stefano Dell’Aquila Francesco Fimmanò Salvatore Gargiulo Nicola Graziano Giovanni Laino Massimo Lo Cicero Anna Malinconico Marco Musella Marino Niola Stefania Oriente Gianfranco Pecchinenda Patrizia Perrone Francesco Pirone Paolo Ricci Francesco Romanetti Marco Staglianò Segreteria di Redazione Tel. +39 081.19517494 Fax. +39 081.19517489 e- mail: info@linkabile.it Editore LINKOMUNICAZIONE S.r.l. Amministratore unico: Silvio Sarno Centro Direzionale Isola G/8 80143 Napoli P.IVA /Cod. Fisc. 07499611213 Amministrazione e Abbonamenti Centro Direzionale, isola G8 80143 Napoli Tel. 081 19517508 Fax 081 19517489 Dal lunedì al venerdì 9,30 - 14,00 e- mail: info@linkabile.it Abbonamento annuale 15,00 euro conto corrente postale intestato a: Linkomunicazione S.r.l.: C/C 001013784739 oppure, bonifico bancario sul conto intestato a LINKOMUNICAZIONE S.r.l. IBAN: IT24W0760115100001013784739 Fotocomposizione e stampa Poligrafica F.lli Ariello s.a.s. Corso Amedeo di Savoia, 172 - Napoli

Gennaro Migliore

De Caro rassicura sulla Napoli-Bari a cura della Redazione | 9


QUI ED ORA

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di Massimo Adinolfi

* Professore Associato, Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e della Salute presso l’Università di Cassino

Verso le Regionali I ritardi del Centrosinistra. Le fibrillazioni nel PD Cominciamo dai numeri La legge elettorale assegna un ruolo decisivo alla figura del governatore, che viene eletto direttamente dai cittadini, e però con il premio di maggioranza alle liste collegate esalta il potere coalizionale delle liste maggiori.

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ominciamo dai numeri. Stefano Caldoro è stato eletto nel 2010 con il 54,25% dei voti. Il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, candidato del centrosinistra, prese il 43,04%. Alle politiche del 2013 il centrodestra ha preso invece il 35,62%, contro il 26% del centrosinistra. Quanto ai Cinque Stelle, che alle Regionali avevano candidato Roberto Fico (l’attuale, impalpabile presidente della Commissione Vigilanza Rai) e preso meno dell’1,6 %, tre anni dopo, alle politiche, hanno superato il 20%. L’altro dato da richiamare è il voto più recente delle europee, tenutesi a maggio scorso. In questo caso, il dato più vistoso è rappresentato dal Pd, che in Campania arriva da solo al 36,1% (con un’affluenza però molto più bassa che alle precedenti politiche). Forza Italia è quasi al 24%, i grillini un punto dietro. Sulla scorta di questi risultati, e di una estrema volatilità del voto, certificata da tutti gli analisti, è difficile fare previsioni. Se si potesse partire dal dato delle europee, il centrosinistra sarebbe nettamente in vantaggio: ma il bottino pieno fatto dal PdR – il partito democratico di Renzi, come lo chiama Ilvo Diamanti, per sottolineare la forte personalizzazione del voto di maggio – non è certo al sicuro, tanto più se il Presidente del Consiglio dovesse mantenersi fuori dalla mischia, lasciando la partita nelle mani dei candidati regionali. La legge elettorale, d’altra parte, assegna un ruolo decisivo alla figura del governatore, che viene eletto direttamente dai cittadini, e però con il premio di maggioranza alle liste collegate esalta il potere coalizionale delle liste maggiori. Pari a patta, si potrebbe osservare: al momento, in effetti, è il centrosi-

nistra a vantare un maggiore potere di attrazione sulle liste minori (a cominciare dall’Udc, che potrebbe essere decisivo); d’altro canto, però, è il centrodestra ad essere davanti – almeno presso l’opinione pubblica – nell’indicazione del futuro governatore. Caldoro si ripresenta, infatti, e può contare su un elevato indice di gradimento, come risulta dalla classifica del Sole 24 ore, che lo colloca al terzo posto tra i Presidenti di Regione (dietro soltanto a Nicola Rossi, Toscana, e a Luca Zaia, Veneto, entrambi ricandidati con ampie possibilità di riconferma). Il centrosinistra è, invece, ancora in alto mare nella scelta dello sfidante. Veniamo così al punto. Al momento in cui scrivo, nulla o quasi si sa delle Primarie che dovranno incoronare il candidato del centrosinistra. A quanto pare, è stata finalmente superata l’incertezza circa il se e il quando, ma su chi scenderà in campo l’incertezza, invece, regna sovrana. Manca, infatti, un elemento essenziale: chi si contrapporrà a Vincenzo De Luca, che vuole a tutti i costi la rivincita, dopo l’insuccesso del 2010? Nonostante i consensi mietuti in passato, De Luca, in realtà, ha già superato il punto più alto della sua parabola politica: difficile che riesca a salire più su. Con la decisione, presa all’indomani della sconfitta, di lasciare l’opposizione a Palazzo Santa Lucia e rimanere a tempo pieno alla guida della sua città, sembravano già allora ridimensionate le sue ambizioni. L’infelice esperienza di sottosegretario – poco più di una parentesi, segnata dalle polemiche per la mancata attribuzione delle deleghe – ha confermato la difficoltà di dialogo con il partito nazionale. Con Matteo Renzi siamo alle solite: dopo aver sostenuto l’amico Bersani, De

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Luca aveva cambiato campo e scelto Renzi nella sfida con Cuperlo. Ma nonostante il solito, larghissimo successo nella sua città, non ha affatto scaldato il cuore del segretario, poi divenuto premier. E si capisce: De Luca non ha mai amato correre sotto le insegne del suo partito. I suoi voti, lui ci tiene a dirlo, sono i suoi: punto e basta. Così il sindaco di Salerno è di nuovo solo contro tutti, e la sua candidatura è frutto più dell’incapacità del Pd di trovare alternative credibili, che di un «affidavit» del partito. Peraltro, anche se i toni del tribuno salernitano sono sempre gli stessi – aggressivi, energici, persino drastici – una certa stanchezza si avverte, persino nella sua roccaforte: la vicenda del Crescent, l’enorme condominio aere pe-

Il centrodestra ha un nome sicuro, nonostante le fibrillazioni, nonostante le divisioni. Il centrosinistra, invece, no: non ha ancora trovato un punto di coesione. rennius voluto da De Luca contro il parere di un pezzo di città e forse anche contro qualche regolamento, visto che si trascina tra ricorsi e carte bollate, e da ultimo l’incresciosa vicenda della processione di San Matteo, finita tra urla e fischi, che lo hanno visto addirittura contrapporsi alla Curia salernitana e al vescovo Moretti, dimostra che qualcosa rischia di rompersi finanche nel giocattolo salernitano. Si dirà: bruscolini. Pagliuzze, a confronto della trave che il Pd ha ancora negli occhi. Il punto, infatti, è proprio questo: il centrodestra ha un nome sicuro, nonostante le fibrillazioni, nonostante le divisioni, nonostante la sorda guerra di Cosentino – o forse anche grazie a quella guerra, che toglie qualche consenso nelle zone in cui i cosentiniani sono radicati, ma permette a Caldoro di presentarsi come il volto pulito e affidabile dell’uomo di governo. Il centrosinistra, invece, no: non ha ancora trovato un punto di coesione. Come se dall’om-

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bra lunga del bassolinismo non fosse ancora uscito: essenzialmente, per non aver saputo mai farne un bilancio sereno, e veritiero. Le rimozioni, infatti, in politica non aiutano mai. Così, in casa Pd, più per forza che per convinzione si affidano al passaggio obbligato delle Primarie. E non si capisce se serva a dare spessore all’incoronato, procurandogli più grande visibilità e una mobilitazione più ampia del perimetro dei partiti, o se invece sia solo l’espediente per sottrarsi a scelte difficili, che il partito non è in grado di fare. A volte le primarie producono un surplus di forza politica; altre volte, invece, fotografano una situazione di debolezza. Al momento, a parte la candidatura di bandiera della senatrice Angelica Saggese (ex area Letta), di sicuro c’è solo De Luca. La nouvelle vague renziana ha provato, con la Fonderia delle Idee, a lanciare – insieme a qualche proposta – anche un nome, che potesse interpretare il nuovo corso renziano. E magari meritarsi il tocco benedicente del premier. Quel nome però non è uscito e, forse, da Roma non arriverà nessuna benedizione. A Napoli, evidentemente, la retorica del vecchio e del nuovo non attecchisce. Non solo, però, perché De Luca tiene la scena pur regnando incontrastato su Salerno da un quarto di secolo, ma anche perché il nuovo appare decisamente velleitario. Come se ne uscirà? Forse salendo su un autobus a Napoli, e chiedendo, come mi è capitato di fare, a qualche anziano signore dotato di un filo di ironia e di disincanto: «De Luca?». La risposta arriva con un sorriso fra il divertito e il rassegnato: «De Luca? Ma se Salerno non è nemmeno la metà del Vomero!». Un criterio un po’ approssimativo, invero, ma che chiarisce meglio di ogni dotta considerazione qual è il punto: va bene mettere in campo nuovi progetti e nuove idee, ma, quanto all’interprete, quel che ci vorrebbe – in una fase storica in cui il Mezzogiorno è scivolato via dall’agenda politica nazionale, e la questione meridionale è sentita non come un problema di tutto il Paese, ma come una vecchia, insopportabile litania – quel che ci vorrebbe non sono soluzioni di provincia, ma forza, consenso e autorevolezza per imporre in Italia e in Europa un’attenzione vera alle regioni del Sud. Napoli e la Campania possono pretenderla. 


di Umberto De Gregorio

Quali Primarie per il PD I limiti del consenso emotivo

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l consenso è una storia complicata. Molto spesso in politica nasce in modo industriale: si costruisce una rete di relazioni, si allarga piano piano, si cementifica in modo piÚ o meno razionale, si alza la piramide, mattone su mattone e con una serie di figure intermedie, si consolida negli anni, si restituisce poi nel tempo ed in qualche modo il favore ottenuto attraverso il voto. Al Sud questo favore si restituisce a volte in modo elusivo di norme civili e penali, il gioco delle preferenze assume contorni talvolta inquietanti. Ed infatti,

le preferenze abbondano nel Mezzogiorno molto di piÚ che nel resto del Paese. Se per essere eletti consiglieri comunali a Milano in un grande partito possono bastare poche centinaia di voti, a Napoli ne servono alcune migliaia. A volte in politica capita, invece, che il consenso si costruisca in modo emotivo. Emotivo nel senso di spontaneo, non costruito in modo sistematico sulla base di rapporti diretti e personali, ma in modo istintivo, con l’adesione ad una persona che rappresenta un simbolo, un progetto, un percorso di cam-

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biamento o di protesta. Succede per i grandi personaggi politici a livello nazionale, dove il consenso si costruisce mediaticamente, come nel caso di Berlusconi o Renzi ma anche di Di Pietro e de Magistris. Ma può succedere anche nel caso delle primarie aperte, dove la base di un grande partito si allarga se la partecipazione è stimolata dalla presenza di personaggi politici carismatici, anche solo a livello mediatico locale, in grado di intercettare un consenso più ampio rispetto alla scelta che avviene sulla base delle preferenze dei militanti, con visioni più limitate ed interessi che non sempre coincidono con quelli dei cittadini. Le prossime Primarie del Partito Democratico per la scelta del candidato governatore

La maturità sta nel confrontarsi in modo sereno e senza veleni. Attivando ogni forma di controllo che consenta un normale svolgimento delle elezioni. potrebbero essere evitate soltanto se vi fosse un partito unito sulla scelta di un solo nome. Ma che il Pd della Campania possa essere unito con convinzione e senza imposizione da parte di Roma è difficile immaginarlo. E forse non sarebbe nemmeno un bene che il frastagliato e movimentato Pd della Campania improvvisamente trovasse una sintesi su di un solo nome. Se questo accadesse potrebbe suonare addirittura artificiale, autoritario, finto. Dopo il disastro delle Primarie di Napoli del 2010 per il candidato Sindaco, annullate senza un vincitore, che hanno rappresentato il minimo storico della credibilità del partito, una salutare battaglia democratica appare necessaria per ridare dignità al PD. Le primarie per la scelta del governatore della Campania diventano quindi necessarie non solo per scegliere un candidato ma addirittura per ridare credibilità ad uno strumento svilito di partecipazione, le Pri-

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marie appunto. Non celebrare le Primarie sulla base di una scelta imposta o non sufficientemente condivisa sarebbe come consacrare che il territorio non è ancora maturo a celebrare questa manifestazione democratica. Lo spetto dei brogli verrebbe richiamato alla memoria, non solo per il passato ma anche per il presente ed il futuro. E di brogli conclamati o sussurrati si è parlato troppe volte nel Partito Democratico campano. Occorre una dimostrazione di maturità. La maturità sta nel confrontarsi in modo sereno e senza veleni. Attivando ogni forma di controllo che consenta un normale svolgimento delle elezioni. Intendiamoci bene, le primarie in se non sono un fine. Le Primarie sono soltanto un mezzo. Primarie competitive o semplicemente confermative, sono un mezzo per scegliere. Il fine è una buona scelta. E se una buona scelta può essere compiuta senza Primarie, ben venga. Se ad esempio il giudice Cantone accettasse una candidatura condivisa da tutto il partito ed oltre il partito, le Primarie si potrebbero evitare. Ma se un nome condiviso con convinzione sul territorio non esiste, se Cantone conferma la sua indisponibilità, allora tentare di confezionare un candidato unitario a tavolino o peggio in laboratorio a Roma, mostrando sudditanza territoriale e sfiducia in se stessi, sarebbe un errore gravissimo. Che mostrerebbe tutta la debolezza del partito, che rinuncerebbe allo strumento tanto caro a Renzi (le Primarie) soltanto per paura. La paura, in questo caso, partorirebbe la presumibile sconfitta. Caldoro, probabile candidato del centro destra, è un candidato forte. Si è mosso con equilibrio, voltando sempre il volto migliore, quello educato e conciliante, e nascondendo quello peggiore, quello dei tagli e dei licenziamenti, del disastro sui trasporti e sui fondi comunitari, dell’assistenza sanitaria indebolita e a singhiozzo. Per vincere un candidato formalmente “educato”, occorre un candidato sostanzialmente “scostumato”, in grado di dire con schiettezza e convinzione pane al pane, e vino al vino. Un candidato genuino, che nasce dal territorio, che conosce il territorio, che abbia mostrato capacità di amministrazione, che prometta qualcosa che ha mostrato di saper fare. 

Le prossime Primarie Dopo il disastro delle Primarie di Napoli del 2010 per il candidato Sindaco, annullate senza un vincitore, che hanno rappresentato il minimo storico della credibilità del partito, una salutare battaglia democratica appare necessaria per ridare dignità al PD.


di Ilaria Perrelli

Identikit dei candidati alle Primarie Alla ricerca della ricetta vincente!

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n candidato autorevole, unitario, campano. È l’identikit su cui il PD da settimane ragiona senza trovare la quadra. Mentre scriviamo, infatti, a bocce ferme, va registrato che De Luca è già in campagna elettorale, tra riunioni, comizi e i manifesti “Mai più ultimi”. Il suo refrain c’è già, è vince e governa chi “saprà proporre un ruolo vincente per la Regione nella competizione globale, avrà la credibilità e la forza per eliminare i sei milioni di ecoballe e bonificare la Terra dei Fuochi, saprà garantire solidarietà e sicurezza senza aver paura anche della repressione, una sanità che non provochi le mutilazioni dei diabetici o con i pronti soccorso simili a campi di battaglia, creerà lavoro con il pieno utilizzo dei fondi europei, la rigenerazione urbana, l’umanizzazione dei quartieri, lo sviluppo dell’agroalimentare, la valorizzazione ambientale, la digitalizzazione, vince e governa chi è un uomo libero, senza padrini e padroni, che non chiede voti alla camorra”. C’è poi la giovane deputata lettiana Angelica Saggese già pronta ai nastri

di partenza. Pasionaria, i più la ricorderanno per le sue doti e competenze amministrative, ma soprattutto per aver occupato la federazione deluchiana di Salerno insieme a Vaccaro, all’indomani delle Primarie per il segretario regionale che le costò la sospensione dal partito. Gli altri, i riformisti, gli ex popolari, i giovani turchi, i lettiani, i pittelliani e i renziani (e spero di non aver dimenticano nessuno) stanno provando a trovare un’intesa unitaria. Sì perché, sostengono, non si può tornare indietro con le lancette a cinque anni fa, De Luca ha il torto di non aver scelto di svolgere la funzione di capo dell’opposizione in questi anni e non ha la forza, stavolta, di battere Caldoro. C’è bisogno, invece, di un candidato che non solo vinca le Primarie ma abbia maggiori possibilità di vittoria. La chiave è ripartire dal progetto. “Occorre una proposta politica di qualità e bisogna allargare l’alleanza” dichiara il capogruppo regionale del Pd Raffaele Topo. “Al centro – spiega – vi dovrà essere qualità della proposta politica e capacità di innovazione e coerenza tra le forze che si mettono

Un punto chiaro Il candidato deve essere campano, espressione delle potenzialità e della classe dirigente regionale.

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insieme e che vogliono governare. Bisogna però arrivarci con il massimo di coesione ed evitare che ci sia una contesa muscolare all’interno del partito”. Sulla stessa lunghezza d’onda il consigliere Peppe Russo twitta: «Non c’è un candidato ma c’è almeno un progetto che si offre. Non ci si può limitare a dire no a Vincenzo De Luca». Con un punto chiaro su cui tutti convergono e da quale non si intende tornare indietro: il candidato deve essere campano, espressione delle potenzialità e della classe dirigente regionale. Come dire stop alla candidatura di Andrea Orlando, come pure era trapelato da Roma. Nei corridoi si vocifera che questo percorso invece porterebbe dritto a Primarie con l’europarlamentare Andrea Cozzolino, «l’unico in grado di fermare De Luca». In questo quadro, la Fonderia ha avuto proprio il merito di rimettere al centro e in rete “il progetto”, idee e contenuti, di ritrovare una comunità, rimotivare alla partecipazione politica tante persone, far emergere una nuova leva, è non è poca cosa. Non è però riuscita a imporre una nuova leadership regionale, se è vero che non è arrivata l’investitura attesa da Roma per Pina Picierno e che, tra i protagonisti più applauditi, ci sono stati proprio quelli e gli stessi di cinque anni fa, Bassolino e De Luca. Si dirà che in tre giorni non era possibile indicare un nome e che, invece, si è inaugurato un metodo fecondo dello stare insieme. «Il percorso è questo – ci aveva spiegato proprio su Linkabile Valeria Valente il giorno di apertura della Fonderia – prima la proposta politica, poi le alleanze, infine il nome da candidare per costruire una alternativa forte e solida a Caldoro”. Quasi un assillo, per scongiurare Primarie fratricide, che Orlando riprende al termine dei tre giorni: «No a candidati ipertrofici – dice il ministro dal palco – no a modelli autoreferenziali che hanno caratterizzato la stagione politica alle nostre spalle. Prima il progetto. Prima un patto per la Campania, poi le candidature alle Primarie. Chiunque vinca, i cittadini sapranno che sarà l’interprete di un progetto di tutti, del partito e della Campania civica». Ancora più esplicito e lucido, come suo solito, Antonio Bassolino: «Ma il Pd contro Caldoro vuole vincere, vero?» chiede l’ex governatore. «Se si vuole vincere è indubbio che la scelta più giusta e coerente sarebbe

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quella di individuare una personalità autorevole, stimata, possibilmente conosciuta e soprattutto unitaria, capace di avere il consenso convinto della grande maggioranza del Pd, di SEL e di eventuali altre forze. In questo caso le Primarie sarebbero di fatto confermative e segnerebbero anche l’avvio di una campagna elettorale che avrebbe molte possibilità di successo». Ma, è l’interrogativo di Bassolino, «si sta lavorando, a Roma e a Napoli, per questo? Si sta ragionando sulle personalità giuste, si stanno stabilendo rapporti e contatti?» L’identikit rimanda ad una figura autorevole e, tra queste, c’è senza dubbio il magistrato Raffaele Cantone, attuale presidente dell’Autorità anticorruzione, il cui nome per una can-


Nuove progettualità No ai candidati ipertrofici e a modelli autoreferenziali. Deve emergere un progetto, un patto per la Campania.

didatura a Presidente della Regione del centrosinistra circola da tempo nei palazzi del Pd e della politica campana. L’unico in grado di ricompattare il Pd e vincere Caldoro. Ma, quando a Città della Scienza, lapidario Cantone risponde: «allora il Pd non sarà molto unito» non solo si smorzano gli entusiasmi e si stroncano le aspettative, ma diventa chiaro a tutti che, forse, i contatti romani che auspica Bassolino non sono poi tanto insistenti e che, probabilmente, dopo i casi emiliani e calabresi, Renzi si guarda bene dall’intervenire pure in Campania. D’altronde Francesco Nicodemo, renziano dalla Leopolda, promotore della Fonderia, fino a pochi giorni fa in segreteria nazionale del PD per occuparsi di comunicazione e ora a Palazzo Chigi, lo aveva di fatto anticipato: «Il tema è se siamo in grado di trovare dentro e fuori dal Pd una personalità che abbia il riconoscimento di tutti per battere Caldoro: non mi pare. Allora dobbiamo passare per i cittadini con le Primarie, nell’ottica delle secondarie. Perciò dobbiamo candidare uno che può vincere». E Nicodemo ha le idee chiare: «Per battere Caldoro – spiega – serve un profilo innovativo, su cui non pesino gli errori del passato e che segnali cosa non è stato fatto in Regione e cosa intende fare in dieci punti. Insomma, dobbiamo provare a recuperare il surplus di voti ottenuto alle Europee. E non è una questione necessariamente generazionale, quanto piuttosto di sostituire i destini generali a quelli personali». Insomma Primarie vere, mettendo in campo un progetto alternativo al centrodestra, condiviso con un nuovo patto con gli elettori e la società civile. La condizione, avverte Bassolino, è «che siano primarie serie, con candidati (quelli che sembrano profilarsi: Picierno, De Luca, Cozzolino, Saggese e/o altri) che si fronteggiano e si rispettano, e con il doveroso impegno di tutti a sostenere il candidato che risulta primo». «Cedere un po’ della nostra sovranità» come dichiara Orlando. Questo è il guado che ha dinanzi il Pd campano. Una sfida difficile, tant’è che la direzione, convocata da Assunta Tartaglione, probabilmente deciderà di prendere tempo e arrivare alle Primarie a fine novembre, se non addirittura a dicembre. 

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POLITICHE REGIONALI SUL LAVORO. A CONFRONTO SEVERINO NAPPI E CORRADO GABRIELE Nappi: «La Campania come esempio per il Mezzogiorno e per l’Italia» Gabriele: «Nappi deve cambiare mestiere, torni a fare l’avvocato» di Sveva Scalvenzi

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on le Regionali del 2015 alle porte, i riflettori sono accesi sui risultati ottenuti dall’attuale Giunta, presieduta da Stefano Caldoro. Particolare attenzione, visto il delicato momento storico, è rivolta alle politiche per il lavoro e la formazione professionale. Severino Nappi, attuale Assessore al Lavoro, avvocato e professore universitario, è stato ex membro della segreteria napoletana dei DS e, dal 2009 al 2010 ha ricoperto il ruolo di Assessore al Lavoro alla provincia in quota UDEUR, fino a insediarsi con lo stesso partito nella giunta Caldoro. Da una anno, dopo lo scioglimento dell’UDEUR, sceglie di passare al NCD di Angelino Alfano. All’inizio dell’incarico, nel 2010, ha raccontato Nappi, si è trovato in una situazione, dove non c’era logica nelle politiche del lavoro. Come descrive gli ultimi quattro anni d’assessorato? Siamo partiti con un debito di diciotto miliardi, con il tasso di disoccupazione più alto d’Europa, lo sforamento del tetto di stabilità e, una crisi incredibile. Il primo impegno è stato costruire un piano del lavoro, nel quale la scommessa, è stata l’organizzazione del mercato del lavoro. Il

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secondo impegno è stato sostituire i percorsi di formazione astratta con un recupero di politiche, che coniugano la formazione in sinergia con le imprese, costruendo percorsi di competenza, come quelli costruiti per il mare, per le banche, per l’edilizia, l’ITC e per i distretti tecnologici. Abbiamo introdotto un metodo in cui all’interno di questi organismi c’è sempre il rapporto organizzativo, ci sono formazione, università, scuole e imprese, per elaborare una filosofia che è quella dell’inserimento professionale secondo le esigenze delle imprese. Lei ha definito il progetto Garanzia Giovani, l’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile messa in campo dall’Unione Europea, il fiore all’occhiello delle politiche rivolte alla formazione e alla conseguente assunzione, in Campania. Dall’apertura del bando circa 30.000 ragazzi hanno fatto domanda per partecipare e 5.000 imprese hanno dato la loro disponibilità a ospitare i giovani. Quali sono state le altre iniziative concrete? La Campania oggi fornisce: percorsi formativi per Garanzia Giovani in Italia in generale e, in Sicilia, gli armonizzatori in deroga alla Calabria, alla Liguria i per-


E in materia di lavoro? La disoccupazione in generale, quella femminile e giovanile in particolare, è cresciuta a dismisura negli ultimi anni. Se ci sono state politiche del lavoro, queste hanno solo peggiorato la situazione.

corsi di formazione del mare, a tutto il paese, i percorsi per l’aerospazio. Va ricordato l’incrocio tra scuola e mondo del lavoro, con i poli formativi, l’ITS, la costruzione di processi per i quali fin dalla scuola, s’inizia a costruire rapporti tra imprese e ragazzi. Abbiamo inserito il tema di recuperare il costo del lavoro, il credito d’imposta, i finanziamenti, abbiamo fatto misure per ridurre il costo dei lavorati, la legge sull’apprendistato, abbiamo fatto il microcredito, siamo una Regione in cui si prestano i soldi, senza interessi, secondo il potere cronologico di domanda, questi sono cambiamenti strutturali. Come si vede dai dati Istat del 2014 il tasso di crescita della Campania è come quello della Lombardia. Qual è il bilancio che si sente di trarre? La politica può fare cose positive. Io non sono soddisfatto del risultato, la strada intrapresa è difficile. La Campania oggi ha una dignità in termini di politica del lavoro. Vorrei ricordare che nell’ottobre 2010 il Governo italiano ha presentato la Campania come esempio di politiche del mercato del lavoro, in una riunione a Roma. La Campania quindi è un esempio per il Mezzogiorno e anche per l’Italia. Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno e possibile candidato alle Regionali, in una dichiarazione l’ha criticata, dicendo che un cittadino ha il diritto di sapere quali sono i risultati ottenuti negli ultimi quattro anni. L’ha anche definita un chierichetto educato, cosa risponde? Io penso che l’educazione sia un valore, se per alcuni politici l’educazione diventa un disvalore, bisogna preoccuparsi ancora di più per quello che intendono per politica. I candidati per le Regionali del 2015, sono ancora sconosciuti. Lei e Sommese vi candiderete entrambi come capolista del NCD? Non c’è nulla di definito non c’è una lista, ci sono scelte che saranno fatte dal partito, sia per la costruzione della Costituente Popolare sia per quanto riguarda chi si presenterà per noi. 

IL PUNTO DI CORRADO GABRIELE

Il report finale di Nappi sul suo assessorato, sebbene non sia positivo, presenta comunque timidi segnali di ripresa. Di tutt’altra opinione è l’ex Assessore al Lavoro, attuale consigliere regionale, Corrado Gabriele, secondo il quale l’attuale giunta non sarebbe stata in grado di sanare la situazione disastrosa della disoccupazione in Campania. Cosa ha fatto secondo Lei questa Giunta in materia di lavoro? La disoccupazione in generale, quella femminile e giovanile in particolare, è cresciuta a dismisura negli ultimi anni. Se ci sono state politiche del lavoro, queste hanno solo peggiorato la situazione. Per la stabilizzazione dei precari, degli LSU, dei lavoratori delle società partecipate, si registra ancora oggi un segno negativo, molte delle cose che erano state fatte per far uscire dalla precarietà tanti lavoratori, non hanno visto continuità, cinque anni sono passati invano. Cosa si sente di dire all’assessore Nappi? Senz’altro di cambiare mestiere e tornare a fare l’avvocato. So che il suo studio legale è tra i più quotati in città, quindi, credo che sicuramente sia un ottimo avvocato. La politica forse e, in particolar modo l’amministrazione di un settore così delicato come quello della formazione e del lavoro, non è il suo mestiere. In definitiva, mi sento di dirgli che deve lasciar perdere l’assessorato.

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di Raffaele Perrotta

Viaggio nel Consiglio Regionale della Campania Un confronto tra maggioranza ed opposizione sulle leggi approvate, i settori critici della regione: sanità e trasporti, le Regionali 2015

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e proprio c’è una cosa da eccepire è che noi non siamo stati bravi a dire a tutti i cittadini cosa è stato fatto in questa legislatura», ha evidenziato, a margine di un’intervista, il capogruppo della lista Caldoro Presidente in Consiglio Regionale, Giuseppe Maisto. In realtà, cos’è accaduto in questi anni? Quali leggi sono state prodotte in Regione Campania? Cosa, invece, si sarebbe potuto fare? Questi ultimi mesi di legislatura e la scelta del candidato presidente. Una serie di interrogativi a cui hanno risposto consiglieri di maggioranza e di opposizione. Giuseppe Maisto, Antonio Marciano, Rosetta D’Amelio, Gennaro Nocera e Corrado Gabriele. Uno scambio di accuse, anche infuocato, con una contrapposizione netta tra le parti.

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UN FOCUS SUL CENTRO DESTRA GIUSEPPE MAISTO (Caldoro Presidente) Abbiamo fatto delle proposte di leggi molto interessanti – ha detto Giuseppe Maisto – di cui sono molto soddisfatto. Basti pensare alla legge sull’artigianato, con la legge di valorizzazione dei negozi storici, o ancora i luoghi pubblici a vocazione agricola, una legge che ha avuto una forte rilevanza e che permette la creazione di posti di lavoro con l’utilizzo di suoli agricoli dismessi e che vengono ad essere acquistati e riutilizzati da giovani agricoltori. Abbiamo concluso l’iter per la legge sul turismo, attesa da quarant’anni, l’istituzione del registro tumori e la legge sui rifiuti. Però il Ministero vi ha bocciato le norme su condono edilizio ed acqua pubblica che avete approvato poche settimane fa. Non le ha bocciate ma ha proposto che si devono rivedere su alcuni punti. Adesso la Re-

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gione avrà modo di dare le proprie delucidazioni e chiarimenti per evitare che possa essere impugnata in Consiglio dei Ministri. Dobbiamo essere chiari su una cosa: i territori, i sindaci, gli amministratori chiedevano che venisse, quanto meno, affrontato questo problema e poiché il Pd su questo aveva fatto una battaglia ideologica presentando migliaia di emendamenti, non dava la possibilità di discutere serenamente. La domanda che mi farei è un’altra: è opportuno che una struttura sia messa in sicurezza oppure dobbiamo piangere quando quella struttura stessa fatiscente cade su persone e crea morti e problemi a chi vi abita? Non vogliamo creare nuovi volumi ma mettere in sicurezza quelle strutture che già esistono. Salviamo questo principio, poi possiamo discutere per tanto tempo sulle ragioni che hanno spinto queste persone a costruire. Allo stato attuale, visto che l’hanno consentito, c’è bisogno oggi


... e il turismo? Una Regione come la nostra con vocazione turistica di rilievo, tra le più belle del mondo, aveva una legge vecchia di quarant’anni e il precedente governo di centrosinistra non l’ha mai cambiata.

di metterle in sicurezza. La politica deve affrontare i problemi, non nascondersi. Della questione trasporti, che presentano enormi carenze, cosa pensa? Il nostro problema dei trasporti è legato ad una serie di investimenti fatti negli anni passati senza copertura economica, determinando, purtroppo, una sofferenza finanziaria importante. Fino ad oggi, abbiamo risanato i conti per poter poi dare eccellenza. Le ripeto, negli anni passati si è speso spalmando i debiti sulle amministrazioni future. Si sono messi l’etichetta che è stato fatto bene, non sapendo che i problemi sarebbero venuti fuori. E sulla sanita? Il piano di rientro ha funzionato ed oggi possiamo dire che la sanità è in pareggio e si può investire in una migliore sanità. È stato fatto un piano di rientro forte, ma oggi c’è bisogno di sanità migliore che possa avere delle eccellenze. In questi ultimi mesi dell’anno, assistiamo alla corsa ai fondi europei che devono essere spesi attraverso il decreto di accelerazione della spesa. Lo scotto che paghiamo per i fondi europei è un’eccessiva burocratizzazione delle procedure che hanno rallentato tutto l’iter, determinando difficoltà per una serie di procedure che penalizzano gli investimenti. Ben venga il decreto regionale. Che cosa recrimina alla sua maggioranza? Il Consiglio ha fatto tantissimo. La legge sul turismo è un esempio lampante. Io credo che sul problema disoccupazione c’è ancora da fare tanto, le piccole aziende hanno bisogno di un aiuto maggiore. Tutti i decreti fatti negli ultimi anni sono finalizzati a creare occupazione e dare una mano ai giovani. Quello che obietterei è che noi come maggioranza non siamo stati bravi a dire a tutti i cittadini cosa è stato fatto in questa legislatura. GENNARO NOCERA (Forza Italia) L’unico neo che ha questa maggioranza è proprio quella dei trasporti. Ancora oggi non abbiamo sopperito alle carenze ed alle priorità in questo settore perché, come nella sanità, abbiamo dovuto sanare i conti. È l’opinione del consigliere Gennaro Nocera di Forza Italia, in merito alla questione trasporti in Regione. «Abbiamo trovato – continua il consigliere – al nostro insediamento una Regione indebitata

con le banche fino al 2036, a causa degli sperperi di denaro pubblico della precedente amministrazione. Ciò ci ha costretti a non aver dato, in questi anni, questo input di rilancio dell’economia in Campania. Quali le azioni della sua maggioranza? La legge sul turismo, una priorità di Forza Italia nonostante l’ostruzionismo da parte dell’opposizione che ha sempre cercato di non farcela portare in porto. Una Regione come la nostra con vocazione turistica di rilievo, tra le più belle del mondo, aveva una legge vecchia di quarant’anni e il precedente governo di centrosinistra non l’ha mai cambiata. Inoltre stiamo per approvare quella sui piani paesistici, sulla quale ci siamo scontrati per due anni con l’opposizione che ha presentato migliaia di emendamenti. La legge, di 15 articoli, comprendeva un articolo, proprio l’ultimo, che riguardava il condono. Con oltre 600000 abusivi in Campania, non si può nascondere il problema. Noi siamo per l’abusivismo di necessità, non certamente quello speculativo. Senza considerare che riparte anche l’edilizia e tutto quelle che sono le risorse che noi possiamo mettere in campo per dare un’altra volta rilancio all’occupazione e all’economia della Regione. Questione dei fondi europei. Non crede che sia stato tardivo fare il decreto e lasciare ai Comuni poco tempo per spendere questi soldi? Ci sono degli obblighi all’interno della legge per i quali noi approviamo solo progetti esecutivi o già cantierati, quindi, usufruibili da subito. Al-

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cune amministrazioni, infatti, hanno già ultimato quello che era l’iter e probabilmente inizieranno anche a cantierizzare le opere da fare. Cosa si poteva fare in Consiglio Regionale ed, invece, non si è fatto? Abbiamo fatto tanto. Il programma del Governo Caldoro ha avuto pochissime restrizioni se non addirittura nessuna. L’opposizione, piuttosto, ha dei problemi. Prendiamo ad esempio, la legge sui piani paesistici, sulla quale l’opposizione, in conferenza dei capigruppo, aveva detto di voler contribuire con una norma definitiva ma senza dare alcun segnale positivo. In controtendenza rispetto ai sindaci dei loro stessi partiti che rivendicano questa legge e la vogliono. Come si presenterà il nuovo centrodestra alle prossime elezioni? Il candidato sarà Caldoro senza passare per le Primarie? Il centrodestra non penso abbia bisogno di Primarie perché Caldoro è il leader di questa coalizione e si è dimostrato tale per tutti i quattro anni. La scoperta del candidato è un problema del centrosinistra. L’unico loro candidato più credibile poteva essere Cantone che non ha dato la disponibilità a candidarsi. Ad oggi ci sono forse 7 o 8 candidati nel Partito Democratico, a dimostrazione che non hanno le idee chiare. Noi, invece, porteremo Caldoro per completare quell’opera di risanamento che in questi primi 5 anni è stata avviata.

UN FOCUS SUL CENTROSINISTRA

“Presidente Caldoro in questi 4 anni e mezzo e stato presente per il 20% delle sedute del consiglio. Questa la dice lunga sul rispetto di quella assemblea elettiva e di quel valore del merito derivato dal confronto su questioni importanti riguardo la vita della Campania.”

ANTONIO MARCIANO (PD) Cosa avrebbe potuto fare in più il Partito Democratico? Il punto vero è che avremmo potuto fare ancora altro, se avessimo avuto un governo più presente. Potrebbe sembrare paradossale la cosa che sto dicendo, ma è complicato incalzare e proporsi a un governo che non c’è nei luoghi opportuni, ovvero l’aula per quanto riguarda le forze di opposizione nel consiglio regionale, e il lavoro nelle commissioni. Il Presidente Caldoro in questi 4 anni e mezzo e stato presente per il 20% delle sedute del consiglio. Questa la dice lunga sul rispetto di quella assemblea elettiva e di quel valore del merito derivato dal confronto su questioni importanti riguardo la vita della Campania. Cosa serve al suo partito per le prossime ele-

zioni? Basta solo la Fonderia? Intanto l’unità. Deve imparare a ritrovarsi piuttosto che a dividersi. Poi l’umiltà di aprirsi a soggetti civici, il coraggio di incontrare comitati che hanno portato istanze importanti, hanno difeso diritti, hanno presidiato quote del nostro territorio ma che purtroppo spesso non hanno incrociato l attenzione della politica. Con quali uomini può presentarsi il Pd alle prossime Regionali? Ed il futuro governatore? Sarà utile il nome che aggrega di più, non soltanto dentro il Partito ma oltre, mi riferisco alle principali forze del centro sinistra, quelle tradizionali ma anche esperienze civiche che stanno venendo avanti e che in questi anni abbiamo un po’ dimenticato ma che sono risorse fondamentali per la vita della nostra regione. Il nome di Cantone potrebbe unire tutte le

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di costa che va da Castellammare di Stabia e nell’area vesuviana. Credo che, consci delle esigenze di tanti cittadini che hanno costruito, non si può permettere una sanatoria indiscriminata e folle che non fa altro che colmare ancora di più territori già potenzialmente pericolosi dal punto di vista ambientale. Sul tema del lavoro la Regione ha risposto in modo adeguato? La Campania sul lavoro non c’è mai stata: nelle crisi dell’apparato industriale non l’abbiamo mai vista presente. L’unica fabbrica che produceva autobus l’ha fatta chiudere senza dire una parola. Sul lavoro ai giovani sta buttando solo fumo negli occhi con questi programmi in campo. Non ha detto come vuole intervenire per esempio sull’apprendistato.

sensibilità ed i partiti? Ricordo tutte le dichiarazioni di stampa che ho visto in questi mesi: la ricerca principale sembra sempre essere stata nei confronti di Cantore. Basti pensare che anche candidati alle Primarie si sono detti pronti a fare un passo indietro se ci sarà una personalità di questo tipo. ROSETTA D’AMELIO (PD) Cosa può fare il PD negli ultimi sei mesi prima delle elezioni? La Regione Campania dovrebbe fare qualcosa di positivo per i territori. Da consigliere di Avellino dico che potrebbe occuparsi di quelli interni, perché li è stata totalmente assente. Mi riferisco alle questioni ambientali: credo che possa definire un percorso utile riguardo, per esempio, la montagna e la sua tenuta. O ancora la questione acqua. In quei territorio c’è la maggiore produzione di acqua d’Europa. Su questo la regione Campana ha fatto una cosa negativa: nell’ultima finanziaria ha previsto un accentramento degli Ato, con il rischio che questa risorsa vada in mano ai privati, nonostante il referendum sull acqua pubblica. Il Pd dovrebbe incalzare con forza su questo punto e rimettere le pedine al loro posto. L’acqua è un bene essenziale e deve essere pubblica. C’è anche un problema ambientale. Il collegato alla legge finanziaria regionale bypassa la legge paesaggistica bloccata nei lavori consiliari. Hanno tentato un colpo soprattutto nell’aria

CORRADO GABRIELE (P.S.E.) - Dalla Fonderia nasce un nome per le Primarie? Preferirei che dalla fonderia uscissero idee, aggregazioni e meccanismi di partecipazione continua, persone che si incontrano non solo perché c’è un evento bello come questo. Poi, se ci sono persone che si vogliono candidare, questa è un’occasione e ce ne saranno anche nelle prossime settimane. Sicuramente Cantone potrebbe essere candidato direttamente dal centrosinistra, senza la Primarie, perché è una figura autorevole di questa terra, che ha combattuto il nemico più spietato che abbiamo avuto negli ultimi 50 anni: la criminalità organizzata. Chi meglio di lui. Ma credo che il nome verrà dalla politica e non dalla magistratura. Come si presenta il Centrosinistra alle prossime elezioni? Unito, lasciando le strategie alle spalle, sciogliendo il nodo sul governo della città di Napoli, perché bisogna esprimere un giudizio sull’azione amministrativa di de Magistris, non sulle sue vicende. Unito e coerente con l’opposizione a Caldoro, arricchendosi di tutti quelli che, fino ad oggi, non hanno voluto essere accanto al PD. Andare a riconquistare un elettorato che si è perso per la strada. I limiti della coalizione del N C S. Non ripetere l’esperienza del governo Renzi perché è un governo di emergenza nazionale. Qui dobbiamo candidare la sinistra alla Regione ed al Comune, occorrono limiti e confini più netti. 

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SPECIALE: LE ECONOMIE ASIATICHE

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di Massimo Lo Cicero

* Docente di

Le economie asiatiche

Economia della Comunicazione nella Facoltà di Economia dell’Università di Roma, Tor Vergata ed Economia Aziendale nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università La Sapienza di Roma.

L’economia globale sembra ripiegarsi su economie regionali, ognuna grande più o meno quanto un continente

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l 2014 è stato un anno double face: sembrava che nel primo semestre si dovesse avviare la ripresa dell’economia globale, dopo la spinta iniziale degli USA e del Regno Unito. Ma con la primavera si apre un crescendo di diagnosi che mettono in discussione l’ottimismo iniziale. Ad aprile il Fondo Monetario indicava con questo titolo le aspettative sulla crescita: “La ripresa si rafforza ma resta irregolare”: un avviso al quale non è stato dato l’interesse che avrebbe dovuto ricevere. Sempre il Fondo ritorna sul tema a luglio dichiarando che siamo in presenza, alla scala dell’economia globale, di una situazione che presenta una crescente frammentazione del tasso di crescita, ad una scala “regionale”: che, in questo caso, significa ad una scala nella quale ogni area continentale presenta velocità diverse. Sappiamo dalla geografia che l’Europa è una penisola dell’Asia. Nella prima settimana di agosto arriva un terzo avviso dalla BCE, Draghi riconosce che le informazioni dei dati disponibili a luglio “rimane coerente con la nostra aspettativa di una continua ripresa moderata e disomogenea dell’economia nell’area dell’euro”. Si spera sulle esportazioni, da parte degli europei, perché il resto del mondo presenta un ritmo di crescita superiore a quello europeo. Un problema, tuttavia, esiste ed è la circostanza che “anche se i mercati del lavoro hanno mostrato ulteriori segnali di miglioramento, la disoccupazione rimane elevata nella zona euro e, nel complesso, la capacità inutilizzata continua ad essere

consistente”. Conclude Mario Draghi, che a settembre avvia l’espansione della politica monetaria con misure non convenzionali ed in ottobre, a Napoli, conferma che “la piena e coerente applicazione dell’attuale quadro di sorveglianza macroeconomica e dei conti pubblici dell’area dell’euro è indispensabile per ridurre gli elevati rapporti debito/PIL, aumentare la crescita potenziale e rafforzare la capacità di tenuta dell’area agli shock” ed indica ai giovani che contestavano la banca centrale e le banche, che il bersaglio contro cui rivolgersi sono i Governi Europei, inadeguati al tempo in cui viviamo. Dal 2012 ad oggi, cosa hanno fatto, se non agitare lo spettro inutile dell’austerità o perdere tempo. Se i Governi avessero agito sul mercato del lavoro, sulle infrastrutture e sulla efficienza, e la trasparenza, delle proprie burocrazie (le riforme!), sarebbe assai più facile oggi in Europa il matrimonio tra politica fiscale e politica monetaria per supportar la crescita economica. Le borse europee hanno quotato al ribasso il due ottobre, e Mario Draghi ha pronunciato il suo discorso dopo le 14 e 30. Ne segue che la causa della caduta dei corsi di Borsa sia l’ennesimo effetto delle scaramucce tra i governi europei ed il governo tedesco e non del discorso di Draghi. Ma ecco l’ultimo avviso, il più preciso e pericoloso: perché siamo ormai nel quarto trimestre del 2014 ed i giochi sulla crescita potenziale, anche del 2015, sono ormai fatti. Questo ultimo avviso viene da Christine Lagarde, Managing Director del Fondo

Lo spettro inutile dell’austerità Se i Governi avessero agito sul mercato del lavoro, sulle infrastrutture e sulla efficienza, e la trasparenza, delle proprie burocrazie (le riforme!), sarebbe assai più facile oggi in Europa il matrimonio tra politica fiscale e politica monetaria per supportar la crescita economica.

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SPECIALE: LE ECONOMIE ASIATICHE

Le economie “regionali” L’economia globale è più debole di quanto avevamo previsto. Le prospettive divergono tra paesi e regioni. E questa è una caratteristica inedita dell’attuale congiuntura economica: ogni continente presenta tratti specifici.

Monetario Internazionale, ed è contenuto in un discorso che ha tenuto il 2 ottobre alla Georgetown University, School of Foreign Service. La Lagarde si è concentrata su due punti: le condizioni dell’economia

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globale e il rischio che il mondo rimanga bloccato in un livello “mediocre” del tasso di crescita; la necessità che il ceto politico debba attivare lo slancio necessario per alimentare la crescita ed evitare di precipitare


in una condizione di mediocrità. Ci sono tre M, dice Lagarde: battere la mediocrità della crescita, avviare un movimento economico grazie alle politiche nazionali; attivare una forte solidarietà che porti al multilateralismo, e rifiuti il conflitto, tra i paesi dell’economia globale. Nel suo discorso la Lagarde ha indicato chiaramente le condizioni critiche delle economie “regionali”. L’economia globale è più debole di quanto avevamo previsto. Le prospettive divergono tra paesi e regioni. E questa è una caratteristica inedita dell’attuale congiuntura economica: ogni continente presenta tratti specifici. Il rimbalzo più forte si legge negli Stati Uniti e nel Regno Unito; modestamente in Giappone; molto debole la zona euro, all’interno della quale vi sono

Ma che cosa rappresenta l’Asia? A prima vista è la locomotiva dell’economia mondiale, con una crescita dai numeri impressionanti negli ultimi decenni. Uno sguardo più attento rivela molte diversità. anche molte disparità e divergenze. Le economie emergenti e le economie in via di sviluppo hanno realizzato presupporti rilevanti per la crescita. L’Asia e la Cina, in particolare, continueranno a guidare l’attività globale. Ma anche per loro ci aspettiamo un ritmo più lento rispetto a prima. Nell’Africa sub-sahariana le prospettive economiche sono in crescita, con una accelerazione del 6 per cento rispetto all’anno precedente. Nel Medio Oriente le prospettive sono incerte per fattori geopolitici e militari. Sei anni dopo la crisi finanziaria non vediamo ancora un panorama omogeneo di espansione mondiale. Ed in tutto il mondo, se le persone si aspettano un potenziale di crescita più basso, rinunciano ad investire ed a consumare oggi. Potrebbero esserci anche seri rischi nelle economie avanzate, che rifiu-

tano la crescita reale e ripropongono soluzioni finanziarie fini a se stesse. La Shadow Finance – che non è regolamentata dalle banche centrali come le banche commerciali – negli Stati Uniti, per esempio, oggi è più grande rispetto al sistema bancario tradizionale; in Europa, è la metà rispetto alle banche; in Cina la Shadow Finance è la quinta più grande al mondo, anche se rappresenta solo il 25% delle banche commerciali. Ma che cosa rappresenta l’Asia? A prima vista è la locomotiva dell’economia mondiale, con una crescita dai numeri impressionanti negli ultimi decenni. Uno sguardo più attento rivela molte diversità. Ad esempio il riequilibrio dell’economia cinese – dagli investimenti verso i consumi - e le implicazioni di questo cambiamento per sviluppare nuove economie. La costruzione di forme di governance che migliorino le istituzioni ed il clima politico, nel quale si manifestano conflitti significativi, come quelli di Hong Kong. La crescita della domanda di cultura in parallelo con l’aumento dei salari e del tenore di vita. Lo sviluppo delle funzioni della banca centrale e gli approfondimenti sulla resilience, una parola chiave per la riregolamentazione dei mercati finanziari ed il collegamento tra la finanza e la crescita, in alternativa all’opposizione tra economia reale ed economia finanziaria. Senza dimenticare lo shopping che le istituzioni finanziarie asiatiche hanno praticato e praticano, non solo sottoscrivendo obbligazioni quotate in valuta estera ma anche azioni di quelle grandi società che svolgono importanti funzioni nel mondo occidentale. POST SCRIPTUM Vale la pena leggere questi due ultimi fascicoli di Finance & Development, una bella rivista di divulgazione economica e politica del Fondo Monetario internazionale, Recent Finance & Development (F&D) Issues: September 2014: The Future of Global Economics - June 2014: Asia Reaching for the Top. Entrambi i testi si possono scaricare dalla pagina web www.imf.org. 

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SPECIALE: LE ECONOMIE ASIATICHE

di Elio Pariota

Lo spettro della Fed sui mercati finanziari asiatici Un’area dalle potenzialità immense che reciterà nel prossimo futuro un ruolo da protagonista

* Direttore Generale Unipegaso

La paura di un nuovo 1997 In effetti ci sono alcune analogie tra l’interminabile crisi globale che viviamo dal 2008 (generata, stavolta, dalla crisi dei mutui subprime americani) e quella di 14 anni fa.

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è qualcosa di anomalo che agita le previsioni degli operatori sui mercati finanziati asiatici. Qualcosa di impalpabile eppure percepito come drammaticamente possibile. Si tratta del timore di una virata a “U” della politica monetaria della Federal Reserve (la Banca Centrale Americana) in ordine alla liquidità immessa con generosità nel circuito economico a fini espansivi ed affluita in Asia verso i paesi dalle allettanti prospettive di crescita. Questa generosità da alcuni mesi pare sia venuta meno e aleggia lo spettro che la Fed possa ritirare l’immensa liquidità dai mercati. Lo shock sarebbe tremendo. Al sol pensiero un ingente stock di capitali è già volato via dall’Asia, creando

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sconcerto e apprensione nella comunità finanziaria. Qualche osservatore ci ha poi messo del suo: con raffinata perfidia e consumata malizia ha rispolverato il ricordo di quel 1997 - l’annus horribilis della finanza asiatica – che travolse l’intera area sgretolando certezze in ordine alla capacità delle “tigri” (Singapore, Hong Kong, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia, Malesia, Indonesia, Filippine) di perpetuare il loro tumultuoso processo di pluridecennale crescita. Durante la crisi l’ammontare dei capitali che presero rapidamente il largo per approdare verso lidi più tranquilli fu pari a circa 105 miliardi di dollari, il dieci per cento del Pil dell’intera area. Un autentico terremoto con epicentro in Thailandia che mise a nudo un po’ di cose:


la fragilità e le contraddizioni di una vasta regione sviluppatasi grazie all’afflusso di capitali esteri e di prestiti bancari; la sua incapacità di reggere l’urto di una improvvisa speculazione valutaria; la debolezza strutturale del suo sistema finanziario; l’interdipendenza delle economie e dei mercati finanziari in un mondo sempre più globalizzato. Quel ricordo brucia ancora. E con esso si materializza la paura di un nuovo ’97 allorquando gli spietati indicatori dell’economia partoriscono numeri poco rassicuranti. In effetti ci sono alcune analogie tra l’interminabile crisi globale che viviamo dal 2008 (generata, stavolta, dalla crisi dei mutui subprime americani) e quella di 14 anni fa. Per comprenderle – ma anche per sottolineare come le economie emergenti asiatiche siano molto più pre-

Perché allora c’è tanto timore per un possibile accantonamento del programma di Quantitative Easing (manovra consistente in forti iniezioni di liquidità nel sistema economico per facilitare la ripresa) da parte della Fed? parate di allora a fronteggiare eventuali crisi – dobbiamo innanzitutto differenziare la posizione dei Paesi dell’ASEAN (Associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico che totalizza 600 milioni di persone con un Pil aggregato di 2300 miliardi di dollari) da quella della Cina e dell’India. Per i primi – oggi come allora – si è prodotto un eccesso di credito sul PIL dell’area che potrebbe gonfiare un’altra bolla finanziaria, ma diversamente dal 1997 i fondamentali sono molto più solidi. Al fine di crearsi una protezione da eventuali futuri shock, questi Paesi hanno generato consistenti surplus di partite correnti a seguito di una produzione export-oriented e ingenti riserve valutarie (con le quali hanno potuto ripagare il debito accumulato) grazie all’afflusso netto di capitali. Risultato: hanno trasformato la loro posizione da debitori a creditori netti nei confronti dell’estero. C’è

di più. Insieme a Cina, Giappone e Corea del Sud, hanno accumulato un arsenale valutario di riserva pari a 240 miliardi di dollari, da tirar fuori in caso di un corto circuito di liquidità derivante da un’inversione di rotta della Fed. Quanto a Cina e India il discorso è in parte diverso. Furono poco contagiate dalla crisi del ’97, ovviamente perché meno “dollarizzate” e perché più lente ad introdurre elementi di flessibilità finanziaria sollecitati dalla comunità internazionale. Cresciute negli anni addietro ad un ritmo impressionante (la Cina con un Pil addirittura a due cifre, nonostante debba ancora risolvere alcuni problemi finanziari legati alla liberalizzazione dei tassi di interesse e delle valute, nonché da una maggiore apertura al mercato dei capitali) stanno “rallentando” con incrementi medi del Pil previsti nel biennio 2014/2015 rispettivamente nell’ordine del 7,5% e del 6%. Perché allora c’è tanto timore per un possibile accantonamento del programma di Quantitative Easing (manovra consistente in forti iniezioni di liquidità nel sistema economico per facilitare la ripresa) da parte della Fed? Per due motivi: il primo è un riflesso condizionato degli operatori, in quanto la riduzione della liquidità viene associata ad una battuta d’arresto dell’economia; il secondo è collegato alla debolezza strutturale del sistema bancario e dei mercati finanziari in tutta l’area asiatica: le banche non sono dotate di un’offerta di servizi variegata al pari di quella presente in Occidente, mentre i mercati azionari ed obbligazionari sono ancora scarsamente sviluppati per dimensione, trasparenza e sofisticazione degli strumenti disponibili. Come è stato efficacemente messo in luce nel recente rapporto dell’Osservatorio di Politica Internazionale (ISPI) sulle strutture di governance economica e finanziaria tra Europa e Asia, “il grosso del capitale finanziario viene fornito dal sistema bancario o da sistemi finanziari paralleli (shadow banking o circuiti di relazioni familiari)”. Dunque un’area dalle potenzialità immense, che reciterà nel prossimo futuro il ruolo di protagonista globale in ambito economico, deve ancora sviluppare un sistema finanziario adeguato ad una potenza planetaria. Sembra paradossale, ma è così. 

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SPECIALE: LE ECONOMIE ASIATICHE

Cina: Beijing consensus e fratture della società armoniosa La struttura sociale cinese è profondamente diversa da quella americana ed europea di Francesco Pirone

* Dipartimento di

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ingresso della Cina nell’economia globale ha segnato un cambiamento epocale. Sullo scacchiere geopolitico e nel sistema economico su scala planetaria la Cina si è affermata come nuovo polo di sviluppo, capace di condizionare i modi di crescere dell’area statunitense e di quella europea. Come ci ha spiegato di recente Domenico De Masi nel suo libro «Mappa mundi»1 la Cina, sulla scorta della tradizione confuciana, si è sviluppata secondo un modello di vita autonomo che in campo politicoeconomico si è fondato sullo statalismo che per lunghi periodi è degenerato in estremismo dirigista. La rapida ascesa delle attività

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economiche cinesi nei mercati internazionali ha portato già dieci anni fa all’affermazione di quello che è stato definito come Beijing consensus, un nuovo modello di crescita che, tra l’altro, sta esercitando una forte influenza sui paesi con bassi livelli di crescita, non soltanto in Asia, ma soprattutto in Africa. Si tratta di quello che viene definito «economia socialista di mercato», cioè un percorso graduale di sviluppo economico e modernizzazione sociale che si basa sull’assimilazione di alcuni aspetti del liberalismo occidentale: mercato, imprenditorialità, globalizzazione, commercio internazionali. Si tratta, in altri termini, di una correzione dell’ideologia comunista attra-

Scienze sociali, Università degli Studi di Napoli Federico II


verso la promozione della pratica privatistica e della riduzione del ruolo del governo nella regolazione dell’economia. Questo combinato disposto ha prodotto uno sviluppo economico senza precedenti, in un clima forzato di stabilità politica e di ordine sociale. La libertà economica è stata combinata all’oppressione politica, così il lato oscuro del Beijing consensus è rappresentato da regimi politici autoritari, violazione dei diritti umani, migrazioni di massa, sfruttamento del lavoro e crescita esponenziale delle disuguaglianze sociali. La struttura sociale cinese si presenta profondamente differente rispetto a quelle statunitense ed europea. La popolazione attiva impegnata nell’agricoltura, che vive in aree rurali nonostante l’esodo di massa verso le aree urbane, rappresenta ancora il quaranta per cento della forza lavoro. Si tratta in larga maggioranza di contadini poveri che producono a basso costo per il mercato interno. Un altro quarto della forza lavoro, invece, è impegnata nell’industria manifatturiera che produce con successo per il mercato internazionale e sempre più per la classe media cinese; si tratta di una popolazione urbano-industriale - stratificata al suo interno tra operai, impiegati manager alimentata dai massicci investimenti occidentali degli ultimi venticinque anni. C’è poi un terzo degli occupati nei servizi: ai tradizionali lavoratori dei servizi poveri, crescono rapidamente quelli impegnati nei servizi ad elevata intensità di conoscenza. Dopo la crescita della manifattura, crescono in Cina le università, i laboratori, gli atelier dove si concentrano professionisti che lavorano con la conoscenza, i simboli, l’informazione, in processi innovativi, creativi e ad elevato valore aggiunto. La «fabbrica del mondo» ha prodotto ricchezza che ha portato anche alla crescita dei livelli d’istruzione e ha alimentato rapidi processi di apprendimento creando, come ci ricorda nelle sue inchieste Paolo Do2, nuovi ceti sociali impegnati nel lavoro cognitivo, direttamente in competizione con quelli occidentali: dall’alta formazione, ai laboratori di R&S, ai centri di innovazione e creatività. Questa bozza di cartografia sociale ci consente di intuire che in Cina le disugua-

glianze sociali si vanno sempre più polarizzando e che, allo stesso tempo, la presenza della Cina nei mercati internazionali non è più limitata al commercio di prodotti manifatturieri, per posizionarsi nei segmenti alti della divisione internazionale del lavoro, cioè la finanza, le conoscenze, le tecnologie di produzione, l’immaginario.Le crescenti diseguaglianze sociali e le condizioni di grave sfruttamento in cui si trovano i lavoratori dell’industria rappresentano i limiti alla crescita della «società armoniosa». I conflitti di lavoro, limitandoci a quelli statisticamente rilevati, sono costantemente in crescita. Le ricerche sulle condizioni si lavoro3 evidenziano la drammaticità degli esodi dalle campagne verso le città, dove alimentano il più vasto proletariato urbano-industriale che vive in condizioni miserevoli e lavora senza diritti e tutele: bassi salari, controllo e disciplinamento rigido, ridotte tutele sindacali, orari e ritmi massacranti, rischi per la salute e assenza di tutele sociali. Condizioni che risultano molto al di sotto degli standard minimi adottati nei paesi occidentali e che restano un caposaldo critico del sistema economico mondiale. A questo si aggiunga pure che oltre al cattivo lavoro è lo sviluppo urbano caotico, l’assenza di protezione sociale e le limitazioni alla libertà politica che completano un quadro che contrasta con i principi politici e sociali delle democrazie occidentali. Appare da questa prospettiva evidente che si tratta di un modello di crescita che per quanto capace di produrre elevata crescita economica, non ha ancora posto le condizioni per conciliare lo sviluppo economico, all’equità sociale e alla libertà politica. 1

De Masi D., Mappa mundi. Modelli di vita per una società senza orientamento, Rizzoli, Milano, 2013. 2 Do P., Il tallone del drago. Lavoro cognitivo, capitale globalizzato e conflitti in Cina, DeriveApprodi, Roma, 2010. 3 Si fa qui riferimento soprattutto alle inchieste di Pun Ngai, Cina. La società armoniosa, Jaca Book, Milano, 2012. 

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SPECIALE: LE ECONOMIE ASIATICHE

di Salvatore Strozza

* Demografo

La presenza cinese

Università Federico II di Napoli

Cose note e meno note sui cinesi in Campania e nel napoletano

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oco rilevante fino agli anni Novanta, già dieci anni fa la presenza cinese in Campania era diventata abbastanza consistente (quasi 4mila persone, poco meno del 6% degli stranieri residenti nella regione) e si concentrava in due aree ben precise del territorio regionale: il capoluogo partenopeo e i comuni vesuviani interni. Contrariamente a quanto si possa immaginare, la metropoli napoletana non è stata per questa comunità immigrata il principale polo di attrazione della regione. Infatti, nel 2003 c’erano più cinesi residenti a Terzigno (quasi 800 persone) che a Napoli (poco più di 500). E in quell’area interna, vicina al confine con le province di Avellino e di Salerno, costituita dall’insieme dei comuni contigui di Terzigno, San Giuseppe Vesuviano, Poggiomarino, Boscoreale, Palma Campania e San Gennaro Vesuviano, si era insediato all’epoca quasi il quadruplo dei cinesi che avevano posto a Napoli la loro residenza. Negli ultimi dieci anni, il collettivo delle persone di cittadinanza cinese residenti in Campania è più che raddoppiato, con un incremento che è stato però inferiore a quello registrato per il totale della popolazione straniera (più che triplicata). Oggi, gli abitanti originari del paese asiatico rappresentano giusto il 5% degli stranieri insediatisi stabilmente nella regione e meno del 4% di tutti i cinesi residenti nella nostra Penisola. All’inizio di quest’anno, i cinesi presenti in modo regolare in Campania, compresi i minori al seguito, sono poco meno di 12mila (il 7,6% dei non comunitari), in larga maggioranza con un permesso rilasciato dalla Questura di Napoli. La provincia partenopea continua ad accogliere poco meno dell’80% di quelli stabilitisi nella regione, differente è stata però la dinamica osservata nei due principali poli campani di attrazione: i cinesi dei comuni vesuviani interni hanno registrato una crescita abbastanza contenuta (circa il 60% di presenze in più nell’arco di un decennio) e costituiscono oggi un terzo della pre-

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senza regionale, quelli che hanno scelto la metropoli partenopea sono, invece, aumentati di ben cinque volte ed hanno raggiunto l’importanza numerica dei loro concittadini stabilitisi nell’altro polo regionale. Rispetto ad altre comunità immigrate, quella cinese ha una composizione di genere abbastanza equilibrata con una contenuta prevalenza maschile: gli uomini sono il 51% tra i residenti e poco più del 52% tra i presenti in modo regolare. Tra questi ultimi l’età media è di circa 29 anni, più o meno la stessa per uomini e donne. Nello specifico, sono circa un terzo sia i maggiorenni con meno di 35 anni che le persone di 35-49 anni. Gli ultracinquantenni sono davvero pochi (il 7%), mentre i minori rappresentano più di un quarto del collettivo. Segnale della presenza significativa di interi nuclei familiari, oltre che del frequente carattere familiare di tale immigrazione. Il peso degli arrivi recenti (negli ultimi cinque anni) fa sì che solo un cinese regolare su quattro ha in tasca un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, vedremo però come sia in atto un processo di radicamento sul territorio. Le informazioni raccolte in alcune indagini campionarie sugli stranieri maggiorenni presenti nella provincia di Napoli (2008) e nell’intera regione (2013) – quest’ultima nell’ambito del progetto YALLA Servizio Regionale di Mediazione Culturale – consentono di fare alcuni approfondimenti. Gli adulti cinesi che vivono in Campania sono presenti in media da poco meno di 8 anni e in quattro casi su cinque si sono insediati nella regione da subito o nello stesso anno di arrivo in Italia. I primo-migranti sono solo un terzo, difatti è più frequente che tra le altre nazionalità la presenza di parenti stretti (genitori, fratelli o partner) arrivati in precedenza. Quasi tutti gli intervistati non intendono trasferirsi nei prossimi 12 mesi e uno su due è certo di voler rimanere in Campania per almeno altri cinque anni. Due su tre sono coniugati e tre su cinque hanno figli, che nella metà dei casi hanno avuto in Italia. Il 60% vive

12 mila cinesi regolari presenti in Campania Cinque anni fa sembravano evidenti le maggiori possibilità di radicamento dei cinesi stabilitisi nei comuni interni della regione vesuviana rispetto a quelli che avevano scelto la metropoli partenopea. Oggi i cinesi che vivono a Napoli, arrivati da meno tempo, sono in media più giovani e maggiormente istruiti rispetto a quelli insediatisi nei comuni vesuviani e nelle altre aree della regione.


con il coniuge e i figli o solo con il coniuge, ma un ulteriore 20% con altri parenti. Il carattere familiare di questa immigrazione è confermato anche dal numero di componenti il nucleo convivente (in media 3,3 persone), significativamente più elevato di quello degli altri gruppi immigrati, con la sola eccezione degli albanesi e degli srilankesi, comunità di più antico insediamento. Proprio per quanto appena sottolineato, la quota di inattivi appare tra gli adulti cinesi maggiore (comunque solo il 15%) che tra le altre nazionalità straniere. La proporzione di occupati (oltre l’80%) è però tra le più elevate per il bassissimo tasso di disoccupazione. Nel 40% dei casi si tratta di lavoratori autonomi, il cui peso risulta maggiore solo tra i Senegalesi. In base alle dichiarazioni fornite risulterebbero davvero rari i casi di impieghi irregolari, con una quota (meno del 6%) notevolmente inferiore rispetto all’insieme degli altri immigrati (circa il 40%). Si tratta per lo più di addetti al commercio (65%), anche se non trascurabili sono gli operai generici (14%) e gli occupati nel settore della ristorazione (13%). Il guadagno mensile dichiarato (in media oltre 1.300 euro) risulta sensibilmente maggiore rispetto a quello delle altre nazionalità straniere, mentre il numero medio di ore lavorate a settimana è più o meno in linea con quello degli altri immigrati. Giustificata appare pertanto la soddisfazione per l’attività lavorativa svolta che è maggiore di quella dalle altre comunità immigrate. Al notevole vantag-

gio in campo economico, che i cinesi ricavano dall’elevata imprenditorialità e iniziativa individuale, coniugata con la fitta rete di relazioni interne alla comunità (economia etnica), fa da contrappeso la loro minore apertura verso la società di accoglimento. Non del tutto scontati possono essere però alcuni cambiamenti in atto. Cinque anni fa sembravano evidenti le maggiori possibilità di radicamento dei cinesi stabilitisi nei comuni interni della regione vesuviana rispetto a quelli che avevano scelto la metropoli partenopea. Infatti, più frequente era la presenza di interi nuclei familiari e leggermente migliori le condizioni abitative, anche se Napoli sembrava garantire maggiori occasioni di impiego stabile e regolare. In entrambi i contesti territoriali era però confermata la loro minore integrazione culturale e sociale rispetto alle altre comunità immigrate. Oggi i cinesi che vivono a Napoli, arrivati da meno tempo, sono in media più giovani e maggiormente istruiti rispetto a quelli insediatisi nei comuni vesuviani e nelle altre aree della regione. Continuano ad essere ampiamente avvantaggiati nell’integrazione economica, come avviene anche nel resto della regione, ma non risultano più svantaggiati rispetto ad altre nazionalità nell’integrazione sociale, anche a parità di caratteristiche socio-demografiche e migratorie. Novità di non poco conto meritevoli di essere ulteriormente verificate e approfondite. 

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SPECIALE: LE ECONOMIE ASIATICHE

di Samuele Ciambirello

L’esperienza del made in Italy nei paesi asiatici Sabino Basso: un olio esportato ed apprezzato in diversi paesi del mondo

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e istituzioni regionali e nazionali devono comprendere che la ricchezza la producono le imprese e i lavoratori e se le aziende chiudono o vanno via dall’Italia si perde ricchezza». Intervista a Sabino Basso, Presidente di Confindustria Campania e imprenditore irpino. La sua azienda Basso Fedele e figli con sede a San Michele di Serino (Avellino), regala al Made in Italy un prezioso marchio che esporta in vari paesi del mondo Le vostre principali operazioni commerciali riguardano il mercato estero, che copre circa l’85% del fatturato. Quali sono i più importanti paesi tra i 60 in tutto il mondo dove esportate e perché proprio lì? I paesi più importanti in ordine di volumi sono gli USA, il Giappone, la Germania, la Corea e subito dopo l’Italia. Gli USA rimangono in assoluto il primo mercato in termini di consumi e di opportunità. Infatti, questo Paese offre opportunità di business a tutti coloro che vogliono affacciarsi su questo mercato. Sempre gli USA negli ultimi 4 anni hanno avuto un incremento demografico di 35.000.000 di persone (una nazione). Gli immigrati sono quasi tutti occupati con reddito e pertanto potenziali consumatori. All’estero, i prodotti italiani sono molto apprezzati e ritengo che il “product of Italy” sia il marchio più conosciuto al mondo, non solo per l’agroalimentare, ma anche per la moda, l’aerospazio... In poche parole tutto ciò che è prodotto nel nostro Paese, piace per qualità e per senso di appartenenza. Inoltre, l’Italia, è il Paese più bello del mondo, ed è un esempio per tanti stranieri

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che imitano il nostro stile di vita. Il vostro è un prodotto italiano D.O.P., un olio extravergine di oliva apprezzato quindi da più parti. Come siete arrivati a promuoverlo? Quali canali e strumenti usate? Diamo forte attenzione a tutti i mercati dove già siamo presenti e ci poniamo annualmente obiettivi di conquista di nuovi Paesi. Nell’ultimo anno l’ICE (Istituto per il Commercio con l’Estero), dopo una puntuale riforma e guidata da un grande manager, Riccardo Monti, ha messo a disposizione delle imprese un seria di utili strumenti utili alla conquista di nuovi mercati. Ogni anno siamo presenti alle prime dieci manifestazioni fieristiche più importanti del mondo specializzate nell’agroalimentare. Le fiere ci aiutano a mantenere i rapporti con i clienti già in essere ed a conquistare nuove opportunità. Quali sono stati e quali sono i vostri rapporti con la Regione, con il Governo nazionale, con l’Unione Europea? Sempre ottimi rapporti senza nessuna riserva e nessuna preclusione. Il pubblico purtroppo ha tempi di esecuzione molto più dilatati rispetto ai privati e questo comporta una perdita di competitività. Si vince se si arriva primi. Il sentimento che si respira è che le istituzioni hanno un atteggiamento anti industriale. L’imprenditore è sempre considerato, in particolar modo dagli organismi preposti ai controlli, come un imbroglione, un evasore, un inquinatore, uno sfruttatore... Dallo Stato nessuno ha capito che la ricchezza la producono le imprese e i lavoratori e se le imprese chiudono o vanno via dall’Italia si perde ricchezza. Un po’ come sta accadendo in questi anni.


L’imprenditore Sabino Basso è anche presidente di Confindustria Campana. Cosa fanno le istituzioni locali per avviare le aziende al commercio estero? Come la Regione deve promuovere di più lo sviluppo locale? Come attrarre investimenti fuori dalla Regione e fuori dall’Italia? I politici attuali hanno ereditato una situazione dei conti a dir poco drammatica. La vecchia politica ha fatto il welfare ingor-

gando quasi tutti gli uffici pubblici di persone in sovrannumero e senza merito. Le istituzioni attuali stanno gestendo l’emergenza in affanno, una situazione delicatissima. Molti politici si stanno prodigando per fare il possibile, per dare speranza ai tantissimi giovani eccellenti, destinati a causa della mancanza di lavoro, a lasciare l’Italia. 

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SPECIALE: LE ECONOMIE ASIATICHE

di Vincenzo di Grazia

Tu vuo’ fà o’ cines! L’esperienza delle imprese napoletane che operano nel settore biotech

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li studi di settore condotti nell’ultimo decennio hanno acclarato il persistere di un pesante gap tra il mondo della ricerca e quello dell’industria, amplificato dalla mancanza di un linguaggio comune. Ogni anno, infatti, enti di ricerca pubblici e privati, in ogni parte del mondo, generano una mole impressionante di risultati ad altissimo valore scientifico e tecnologico, ma che, pur essendo pieni di innovazione e di potenziale interesse applicativo, nella maggioranza dei casi non riescono ad essere effettivamente impiegati in ambito industriale, perché non adeguatamente formulati per essere trasferiti ai potenziali utenti industriali in modo semplice ed immediato. Allo stesso modo, esiste una miriade di aziende sparse in tutto il mondo che, pur operando in settori molto distanti tra loro, hanno in comune la necessità di sviluppare nuovi prodotti o soluzioni alternative o migliorative a problematiche di varia natura, che vanno dal product improvement, all’ottimizzazione delle rese produttive, dalla razionalizzazione di gestione ed utilizzo degli scarti al trattamento dei rifiuti, necessitando di soluzioni sviluppate ad hoc. In questo contesto, da un gruppo di esperti in ambito scientifico-industriale, nasce nel 2008 la società In4Tech BioProcess S.r.l. con l’intenzione di rappresentare l’anello di congiunzione tra i risultati della ricerca e le necessità industriali, ponendosi, di fatto, in un ruolo di “traduttore”, tanto da conquistarsi collaborazioni con istituti di ricerca pubblici e privati ed aziende produttive operanti in vari settori. Partendo da una consolidata esperienza sulle necessità e peculiarità del mercato di riferimento sono state intra-

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prese nel tempo numerose e ripetute iniziative con aziende di ogni parte del mondo. Negli ultimi anni, da un’analisi quantitativa del numero di lavori proposti e/o eseguiti dalla nostra società abbiamo rilevato un capovolgimento netto del trend di distribuzione tra i Paesi Occidentali (in primis USA, Centro-Nord Europa) e quelli Orientali (Est Europa, Iran, Turchia...) con una preponderanza incentrata su Cina, Sud Corea e India. Le economie asiatiche, rispetto al passato, stanno sempre più guadagnando terreno in moltissimi ambiti. Al di là di ciò che appartiene all’immaginario collettivo ed agli stereotipi che i media ci propongono, nella nostra esperienza imprenditoriale abbiamo avuto modo di interfacciarci molto da vicino con queste realtà, culturalmente così distanti dalla nostra, e di vederle all’opera non solo qui in Italia, ma anche in casa loro; la collaborazione diretta avuta con imprese giapponesi, cinesi, coreane ed indiane, ci ha in primo luogo, spinto ad elaborare strategie comunicative e modalità lavorative diverse per ciascun Paese. Sebbene, infatti, per noi occidentali l’Asia possa apparire come un unico grande contenitore, le competenze sviluppate da ciascun Paese e quindi le relative richieste di tecnologia e di know how, sono profondamente diverse. Senza scendere in dettagli di natura tecnica, volendo prendere, ad esempio, le nostre esperienze con la Cina, la prima cosa che ci è balzata agli occhi durante i soggiorni nelle varie aziende dei distretti industriali è stata la spropositata abbondanza di manodopera utilizzata per le varie attività nei cicli di produzione a fronte di tecnologie non proprio di ultima generazione, almeno se messe a

* Amministratore Delegato In4tech BioProcess S.r.l.

La diversità delle economie asiatiche Sebbene, infatti, per noi occidentali l’Asia possa apparire come un unico grande contenitore, le competenze sviluppate da ciascun Paese e quindi le relative richieste di tecnologia e di know how, sono profondamente diverse.


confronto con ciò che comunemente troviamo in analoghe aziende italiane. Bhé a questo punto ci si potrebbe chiedere cosa c’è di nuovo... il punto è che in questo caso ci siamo imbattuti in un’azienda farmaceutica che dovrebbe sottostare agli stessi regimi di qualità imposti in altre parti del mondo, ma che allo stato di ciò che abbiamo riscontrato, in Italia non risulterebbe idonea nemmeno ad avere l’autorizzazione sanitaria necessaria ad aprire. Si pone, quindi, un problema di competitività impari, sia dal punto di vista degli oneri tecnologici ed infrastrutturali che le nostre aziende devono sostenere per rispettare i regimi di qualità imposti dalle normative ar-

monizzate, sia da quello degli oneri economici che le nostre imprese devono sostenere per tutto ciò che riguarda la tutela dei lavoratori e dell’ambiente, che nel caso citato, sicuramente non sono all’altezza dei requisiti minimi a cui siamo abituati. Ovviamente sarebbe sbagliato, se non almeno riduttivo, estendere questo discorso a tutte le realtà aziendali cinesi, tantomeno a quelle dell’intera industria asiatica; almeno nel nostro settore - quello delle biotecnologie industriali - i Paesi occidentali godono ancora di un vantaggio qualitativo, ma la logica dei bassi prezzi orientali e la conseguente scelta di delocalizzazione delle stesse imprese occidentali dall’altra parte del mondo, rendono questo vantaggio sempre meno consistente. Nonostante tutte le possibili considerazioni positive o negative che si possono fare sul tema, è innegabile che bisogna continuare ad approfondire i rapporti con l’altra parte del mondo. Segnaliamo a tal proposito che nei giorni dal 13 al 17 ottobre, presso Città della Scienza, ci sarà “China Italy Science and Technology Week”. L’evento che sarà inaugurato il 13 ottobre dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, è il più importante appuntamento di scambio e di incontri one-to-one sull’innovazione in ambito scientifico e tecnologico tra l’Italia e la Cina. Parteciperanno all’iniziativa circa 150 tra i più importanti centri di ricerca, imprese, università e aggregati innovativi cinesi provenienti da 8 province (Guizhou, Jiangxi, Anhui, Shangdong, Jilin, Sichuan, Guangdong e del Jiangsu) e da 3 municipalità (Pechino, Shanghai and Tianjin). I temi principali che verranno affrontanti rispecchiano gli assi prioritari su cui la Cina e l’Italia stanno concentrando le proprie linee di sviluppo e di investimento: Aerospace, Biotech, Creative Industries, Green Energy and Clean Tech, Next generation ICT, Smart Factory, Smart City and Community (cfr. www.cittadellascienza.it/siee/2014/call-forparticepation/). In4Tech BioProcess S.r.l sarà presente all’apertura di lavori, per poi partire il giorno dopo alla volta di Pechino per un nuovo interessante progetto. 

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WELFARE

Terzo settore: perle, pirati, entusiasti, resilienti e depressi Tra urgenze e buoni propositi la storia delle Onlus di Giovanni Laino

* Docente

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l terzo settore è un ambito molto articolato di organizzazioni diverse per storie, settori di intervento, dimensioni economiche ed occupazionali. Nel recente libro, “Contro il non profit”, Giovanni Moro giustamente polemizza con una visione unitarista che nasconde e mistifica la realtà, mettendo sullo stesso piano enti molto diversi. Vanno distinte le fondazioni che fanno raccolta fondi per sostenere la ricerca scientifica per la lotta a varie malattie, le associazioni che invece proteggono orchestre, animali, o che realizzano servizi socio educativi esternalizzati dagli enti pubblici o le cooperative sociali. La consultazione degli elenchi dei beneficiari del cinque per mille è istruttiva perché non solo ci informa delle diverse capacità di fare pubblicità e raccolta fondi, ma ci dice anche che ci sono organizzazioni imprenditoriali, che spendono risorse per essere competitive e visibili, obiettivamente in concorrenza con pic-

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cole onlus che con le sovvenzioni pubbliche non riescono neanche a coprire i costi fissi di gestione da sostenere per realizzare le attività. Fra chi collabora con gli enti pubblici poi non è la stessa cosa lavorare per le ASL o per i Comuni, realizzare singoli progetti da rendicontare oppure servizi che prevedono tariffe standard. Anche i progetti di servizio civile dei giovani, sostenuti dal Ministero e dalla Regione, presentano una varietà. Ha senso dare l’opportunità a giovani motivati di occuparsi di salvaguardia dell’ambiente o dei beni culturali. Credo però che si pongano degli interrogativi se le risorse vengono spostate se sempre più da ambiti di servizio alle persone e ai contesti veramente in difficoltà rispetto ad attività che non presentano i caratteri dell’urgenza sociale. Ho visto ragazzi fare, con modalità anche discutibili, il servizio civile nei comuni o in dipartimenti universitari, con posti sottratti alle comunità per disabili o alle

di Urbanistica Territoriale Università Federico II di Napoli

Stiamo assistendo alla presentazione di nuove fondazioni A parte la fondazione di comunità del centro storico di Napoli avviata ormai da alcuni anni sono state costituite la Fondazione Quartieri Spagnoli e la Fondazione San Gennaro.


Racconti... Anni di esperienza diretta mi hanno convinto che i servizi pubblici di base, rispetto ai quali c’è un grande fabbisogno inevaso nei quartieri popolari delle città del Sud, devono necessariamente essere sostenuti innanzitutto dalla spesa pubblica e non possono essere surrogati da patrimoni privati che necessariamente hanno altre dimensioni e compatibilità.

educative territoriali per minori a rischio. Nel Paese vi è stata una parabola delle politiche sociali: con le leggi sul volontariato, i minori dei quartieri a rischio, i piani per l’infanzia sino alla legge quadro per il sistema integrato dei servizi (L.328/2000), sembrava che l’Italia stesse realizzando una vera europeizzazione del welfare. Come era già accaduto nel dopoguerra, abbiamo fatto ancora una volta l’esperienza di “un paese mancato”, un quadro di riforme che poi sono state sconfessate nel governo reale del Paese e delle città. Vi è stato un progressivo disinvestimento, innanzitutto economico e culturale che ha deluso speranze e fatto arretrare quel poco di infrastrutturazione sociale dei territori che si stava realizzando. Nella regione urbana napoletana dagli anni Novanta il settore è cresciuto molto ma è stato molto condizionato dall’andamento delle politiche e si è realizzato un caleidoscopio ove convivono pratiche di eccellenza, lavori con cui si tira a campare con centinaia di lavoratori sfruttati e depressi, accanto a modi di fare opportunistici e talvolta imbrogli. In poche parole: perle, pirati, entusiasti, resilienti e depressi. In questi mesi stiamo assistendo alla presentazione di nuove fondazioni. Anche qui vanno fatte distinzioni. A parte la fondazione di comunità del centro storico di Napoli avviata ormai da alcuni anni ma per ora poco dinamica, sono state costituite la Fondazione Quartieri Spagnoli e la Fondazione San Gennaro: storie molto diverse per radicamento territoriale e orientamento alla valorizzazione del patrimonio. Tenendo ben presente i meriti dei promotori e dei partecipanti a queste due iniziative, aspettando con pazienza i tempi di qualificate valutazioni, è evidente il dato che stiamo passando da un’impostazione delle politiche ove i diritti, soprattutto per i ceti popolari, andavano trattati a valere sulle risorse messe a disposizione dalla fiscalità statale ad una impostazione ove sempre più si tratterà di favori devoluti da benefattori di vario genere, magari per iniziative che dovranno dimostrare una rinnovata capacità imprenditoriale aggressiva sempre tesa a dimostrare di saper fare cose nuove. Una grande mistificazione dell’idea di innovazione. Certo negli anni le associazioni o le cooperative hanno manifestato molti limiti ma hanno surrogato servizi assumendo su di loro parte degli oneri a causa della progressiva

riduzione della spesa pubblica. I discorsi sulla razionalizzazione, sulla riduzione degli sprechi, sull’innovazione sociale e il secondo welfare sono necessari e sensati sempre che però non siano mere retoriche discorsive che legittimano il passaggio ad un modello di welfare che ripropone la beneficenza come risposta ai bisogni primari. Chi vive i territori della sofferenza urbana sa che ci sono sempre domande difficilmente trattabili: ragazzi, madri con bambini che vivono condizioni di estremo disagio che nessuno riesce a trattare in modo adeguato. Allora si vive la contraddizione che nella stessa realtà ci sono scuole con le risorse dei PON per fare progetti contro la dispersione o per altre innovazioni, alcuni progetti di formazione pagati con i fondi strutturali che però devono cercare a fatica i propri clienti, una varietà di organizzazioni che pensano di poter fare qualcosa per il sociale ma nessuno riesce a stare accanto in modo sensato a chi vive situazioni drammatiche. È giusto realizzare servizi per i penultimi, quelli che sono in condizioni meno difficili. Però per legittimare l’attivismo di chi non trova altro di buono da fare, coloro che vivono condizioni veramente difficili non hanno risposte. Anche le Onlus incarnano le soluzioni in cerca di problemi e non più problemi per cui si cerca di realizzare soluzioni. Allora i responsabili delle politiche, senza sminuire la necessaria pluralità dell’attivismo nei territori dovrebbero trovare il modo per mettere un poco in ordine l’investimento delle risorse, valorizzare le esperienze migliori e più significative, quelle che riescono a dire qualcosa ai paria, quelle che offrono effettivamente servizi di integrazione, anche senza effetti speciali. In tal modo si potrà evitare che, come ha scritto Moro, “i progetti più scintillanti vengono premiati e quelli migliori ignorati”. Nell’anno contributivo 2011, per il comparto “volontariato”, il Ministero ha riversato a 26669 organizzazioni poco più di 168 milioni di euro. In realtà di tale cifra le 37 organizzazioni più forti, che hanno incassato più di cinquecentomila euro, hanno ottenuto quasi 80 milioni di euro. Quindi neanche il 2% delle organizzazioni ha raccolto il 47% dei fondi. La localizzazione delle sedi indica chiaramente il divario Nord Sud nella distribuzione di tali risorse. 

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DEVOLUZIONE CINQUE PER MILLE - VOLONTARIATO - ANNO 2012

ORGANIZZAZIONI LOCALIZZATE NELLA PROVINCIA DI NAPOLI BENEFICIARIE DEL 5 PER MILLE RIFERITO AL 2011, CON IMPORTI SUPERIORI AI 20.000 EURO

WELFARE

DENOMINAZIONE ENTE BENEFICIARIO Fondazione Teresa e Luigi De Beaumont Bonelli per La ricerca sul cancro Sostenitori Ospedale Santobono - Associazione O.N.L.U.S. Fondazione Santobono Pausilipon Onlus Fondazione Massimo Leone Onlus Associazione I Care - Onlus Ass. Ricerca in Neurochirurgia e Chirurgia Maxillo- Onlus Tutti a Scuola Onlus Associazione Diritti Anziani Associazione Genitori Oncologia Pediatrica Carmine Gallo Organizzazione non Lucrativa di Utilità Sociale Fondazione ‘A Voce D’’e Creature Onlus Fondazione Teatro Di San Carlo Associazione Per La Lotta Ai Tumori Al Seno Alts Ariete Onlus Associazione Insieme Per La Vita Cth Centro Tutela Handicappati - Posillipo - Coop. Soc. Onlus Associazione Soccorso Rosa Azzurro Onlus Il Meglio Di Te - Onlus In Ricordo Di Riccardo Di Chiara Fondazione Nunziatella Onlus Fondazione Evangelica Betania Aurora Associazione Italiana Rinnovamento In Oculistica - Onlus AutismAid - Onlus Fondazione Elena Sapio - Onlus ORGANIZZAZIONI BENEFICIARIE 1 Emergency – Ong Onlus 2 Medici Senza Frontiere Onlus 3 Associazione Italiana per La Ricerca sul Cancro 4 Comitato Italiano per L’unicef Onlus 5 Ail –Ass. Italiana Contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma - Onlus 6 Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani - A.C.L.I. 7 Fed. Nazionale Associazioni Auser di Volontariato 8 Lega del Filo D’oro Onlus 9 Fondazione Dell’ospedale Pediatrico A Meyer Onlus 10 Fondazione Ant Italia 11 Save The Children Italia Onlus 12 Movimento Cristiano Lavoratori 13 Actionaid International Italia Onlus 14 Associazione World Family Of Radio Maria 15 Associazione Italiana Celiachia Onlus 16 Fond. Piemontese per La Ricerca Sul Cancro - Onlus 17 Lav - Lega Antivivisezione Onlus 18 Vidas-Volontari Italiani Domiciliari Assistenza ai Sofferent 19 Fondazione L’albero Della Vita Onlus 20 E.N.P.A. Ente Nazionale Protezione Animali Onlus 21 Wwf Italia Onlus 22 Fondazione Citta’ Della Speranza Onlus 23 Fondo per L’ambiente Italiano 24 Fondazione Campagna Amica 25 Associazione Missioni Don Bosco – Valdocco Onlus 26 Amnesty International Sezione Italiana Onlus 27 Federconsumatori 28 Associazione Radio Maria 29 Ass. Gigi Ghirotti Per Lo Studio E La Terapia Del Dolore 30 Greenpeace Onlus 31 Libera Associazioni Nomi e Numeri Contro le Mafie 32 Associazione Prov. Le Soccorso Croce Bianca - Onlus 33 Associazione Nazionale Comunità Sociali e Sportive 34 Fondazione Umberto Veronesi 35 Sos Il Telefono Azzurro Onlus - Linea Naz Prev. Abuso Inf. 36 Istituto Oncologico Romagnolo Cooperativa Sociale Onlus 37 Amref Italia Onlus

IMPORTO 240.598,48 66.334,70 61.628,10 52.066,25 47.342,97 41.744,99 41.202,65 39.135,42 36.619,54 33.820,85 32.770,84 30.408,88 29.341,33 29.263,93 27.803,88 27.187,22 26.416,43 24.365,40 23.968,61 23.910,30 23.749,80 20.725,06 20.318,45 20.142,01 IMPORTI

COMUNE SEDE

10.360.132 8.187.963 6.686.443 5.364.214 5.196.772 3.874.240 3.561.062 3.489.238 2.842.922 2.524.878 2.437.401 2.014.386 1.665.005 1.627.460 1.481.195 1.405.541 1.323.716 1.318.557 1.299.550 1.107.034 922.408 901.854 834.665 823.883 783.401 776.942 769.410 735.989 690.283 650.675 638.232 619.909 604.799 561.387 534.551 532.808 531.384 79.680.308

Milano Roma Milano Roma Roma Roma Roma Osimo Firenze Bologna Roma Roma Milano Roma Genova Candiolo Roma Milano Milano Roma Roma Vicenza Milano Roma Torino Roma Roma Erba Genova Roma Roma Bolzano Roma Milano Milano Forlì Roma

Fonte: Ministero del Lavoro

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di P. Domenico Pizzuti

* Gesuita e Sociologo

Periferie materiali, periferie esistenziali Il discusso fenomeno della ghettizzazione urbana e sociale

L’

attenzione sulle periferie napoletane è stata richiamata negli ultimi mesi dalle tragiche morti di due giovani: Ciro Esposito a Scampia e Davide Bifolco al Rione Traiano. Due periferie dove storicamente progetti urbanistici abitativi per diverse ragioni si sono rivelati fallimentari, negli anni settanta al Rione Traiano ed ottanta a Scampia. La conoscenza superficiale delle condizioni e della vita di queste periferie è data prevalentemente da informazioni ed immagini diffuse dei media, che facilmente riproducono stereotipi negativi. Ancora venerdì 26 settembre in un reportage di Domenico Iannaccone attraverso la città di Napoli (I dieci comandamenti - Spaccanapoli, Rai 3) per svelarne contraddizioni ed umori, la macchina da presa per Scampia si è fermata sullo Skyline delle Vele abitate da senza tetto in tutti loro anditi più orridi ed osceni ed invivibili condizioni di vita e sull’Istituto penitenziario di Secondigliano, dove accorrono per visite i familiari dei detenuti. Ci sono certe altre narrazioni letterarie più meditate ed anche prodotti documentaristici per le diverse zone interessate. Nell’incipit del famoso testo di Max Weber

“La scienza come professione” l’A. avverte «È una specie di pedanteria di noi economisti, alla quale voglio attenermi, quella di prendere le mosse dalle condizioni esterne: come si configura la scienza come professione nel senso materiale della parola» (La scienza come professione. La politica come professione, Einaudi, Torino 2004, p. 5). Di qui l’invito a considerare le condizioni materiali delle periferie, anche in riferimento alle “periferie esistenziali”, prevalentemente per l’area napoletana, sulla base dell’osservazione e del vissuto delle popolazioni per coglierne alcune condizioni e movimenti. Due premesse rispetto al concetto o categoria di “periferie”: le periferie dell’area napoletana (Occidentale, Nord, Orientale) non manifestano un profilo univoco per quanto riguardo l’origine, la progettazione urbanistica, il tessuto sociale (aspetti demografici, economici, sociali e culturali) e la dotazione dei servizi. Una stessa realtà periferica come quella di Scampia presenta una stratificazione sociale per quanto riguarda condizione abitativa, risorse economiche e culturali, rapporti con le istituzioni e gli strati sociali non interagiscono.

Diverse categorie di “periferia” Le periferie dell’area napoletana (Occidentale, Nord, Orientale) non manifestano un profilo univoco per quanto riguardo l’origine, la progettazione urbanistica, il tessuto sociale (aspetti demografici, economici, sociali e culturali) e la dotazione dei servizi.

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WELFARE

La periferia rispetto ad un centro è una metafora spaziale che ha ampliato il suo significato ed è stato applicato a diversi livelli della scala geografica, ed è passato ad altri ambiti, come quello delle “periferie esistenziali” evocato da papa Bergoglio per sollecitare la chiesa ad uscire dai templi e andare incontro a “quelle del mistero del peccato, del dolore, delle ingiustizie, dell’ignoranza... del pensiero, di ogni miseria”. Le aree periferiche sono generalmente svantaggiate rispetto al centro cittadino, sia dal punto di vista urbanistico e funzionale, che dal punto di vista socio-economico. Si tratta di aree urbanizzate in seguito allo sviluppo demografico ed alla conurbazione, nel secondo dopoguerra o dopo il terremo dell’ot-

La periferia rispetto ad un centro è una metafora spaziale che ha ampliato il suo significato ed è stato applicato a diversi livelli della scala geografica, ed è passato ad altri ambiti, come quello delle “periferie esistenziali” tanta per rispondere al bisogno di abitazione. È più importante rilevare che il rapporto centro-periferia è di fatto ampliato ad altri ambiti che non sono puramente geografici. Già nella considerazione delle condizioni di sottosviluppo economico del Mezzogiorno nell’immediato dopoguerra – come nel volume di Banfield “Familismo amorale” – si era fatto riferimento alla perifericità o marginalità rispetto ai centri dove si elaborano i valori dominanti, oggi faremmo riferimento alla Silicon Valley per le nuove tecnologie. Le popolazioni delle periferie non sono estranee all’influsso delle tendenze consumistiche e mediatiche da centri anonimi che invadono la vita quotidiana, per quanto riguarda per esempio la moda del vestire di donne e giovani ed il possesso di cellulari e simili. Anche nella baracca di un Rom troviamo spesso lo schermo TV piatto, “accattato” in qualche modo. Non sempre è presente una capacità di rielaborazione critica

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dei messaggi ricevuti, e la libertà di fronte ai prodotti offerti dal mercato. Per una sintesi degli aspetti demografici e sociali delle periferie napoletane, vedi: Il quartiere di Secondigliano e le altre periferie della città di Napoli: il contesto demografico e sociale, la condizione abitativa ed il grado di istruzione per la riqualificazione urbana di Claudio Quintano, Università degli studi Napoli “Parthenope” 2008. Preferiamo richiamare l’attenzione sul “vissuto” delle popolazioni nelle condizioni periferiche di cui sono icona le donne che la mattina portano figli a scuola con lo zainetto in spalla, vanno a fare la spesa, si recano alla ASL per le visite ambulatoriali, provvedono ai servizi domestici, mentre gli uomini rimangono sullo sfondo. Come rilevava una giornalista di passaggio per Scampia: “Si vedono solo donne per strada!”. E gli anziani fanno la fila alla posta per ritirare la pensione. È la riproduzione biologica, sociale, culturale della vita in condizioni di svantaggio, in riferimento in particolare all’acquisizione del reddito da parte dei bredwinner. Per quanto riguarda la coesione sociale, le forme di solidarietà collettiva, movimenti popolari, sono stati significativi quelli che hanno fatto seguito nei mesi scorsi alla morte ed ai funerali di Ciro Esposito e Davide Bifolco, per esprimere il dolore collettivo per la ferita nella carne avvertita da determinati strati popolari per la morte violenta di parenti e compagni. Espressione di solidarietà di sangue, carnali, di appartenenze gruppali e sociali, giovanili a circoli sportivi o ricreativi. Famiglie. gruppi e strati popolari senza voce, hanno alzato la voce, hanno conquistato visibilità, attenzione anche per la focalizzazione dei media su queste tragiche vicende. Richiamano l’attenzione in questi territori sull’abbandono da parte delle istituzioni pubbliche, sulla mancanza di opportunità legittime e di punti di riferimento per le giovani generazioni, sul controllo del territorio da parte di gruppi della criminalità organizzata. Ma anche sulla mancanza di rappresentanza di strati popolari, o di azione collettiva per obiettivi di vivibilità collettiva. Ci siamo interrogati se in tal modo strati popolari “hanno alzato la voce, hanno alzato la testa”, esprimendo un fuoco che cova sotto la cenere. 


di Lidia Ronghi

Le attività della Cooperativa il Quadrifoglio Carcere di Nisida, bene confiscato a Miano, educativa territoriale nei comuni

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a Cooperativa Sociale “Il Quadrifoglio” nasce il 15 giugno del 1990 quando un gruppo di giovani, con diverse professionalità, animato dal sogno e dal progetto comune di poter creare un futuro diverso, decide di costituire una Cooperativa. La loro tenacia, ostinazione ma soprattutto la convinzione della validità del progetto portò la Cooperativa nel novembre del 1991, alla stipula di una convenzione con il Ministero della Giustizia, per la gestione di una Comunità per minori dell’area penale sull’isola di Nisida: la Comunità “Il Ponte”. Non era certo un impegno di poco conto, ma grazie all’esperienza di alcuni soci che già avevano prestato la loro opera in contesti simili, tale progetto fu ed è tutt’ora (seppur con modalità diverse) portato avanti in maniera efficace ed innovativa. I risultati positivi ottenuti nel corso degli anni sono da attribuire soprattutto al legame coeso del gruppo di

lavoro, ad una visione condivisa, che ha favorito il superamento delle tensioni, ad assumere rischi e a sperimentare... Lavorare insieme condividendo lo stesso obiettivo è stato il modo migliore per realizzare quel progetto da cui tutto era nato, che ha portato ad un forte senso di appartenenza perché motivati al raggiungimento di uno stesso fine. Importanti, ovviamente, per la nostra crescita sono stati, e lo sono tuttora, i momenti di verifica e condivisione dei risultati raggiunti, dei punti di forza e di debolezza e dei cambiamenti che bisognava apportare in relazione ai mutamenti della società e alle nuove esigenze dei ragazzi. Ma tutto ciò è stato possibile soprattutto grazie ad una presidenza attenta, che ha sempre offerto un adeguato sostegno al gruppo, che ha riconosciuto e valorizzato il ruolo di ognuno ma contestualmente ci ha coinvolto per farci diventare pezzi fondamentali di un ingranaggio proteso al raggiungimento dello stesso obiettivo.

Nuovi percorsi di solidarietà La Cooperativa Sociale “Il Quadrifoglio” nasce il 15 giugno del 1990 quando un gruppo di giovani decide di costituire una Cooperativa.

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WELFARE

La filosofia che è stata alla base del nostro lavoro e che ci ha concesso l’opportunità di andare avanti, di riuscire a trovare sempre una motivazione, soprattutto quando gli insuccessi, i fallimenti ci potevano attanagliare nella loro morsa e indurci a mollare, è stata la consapevolezza di aver offerto a tutti i ragazzi, anche a coloro che hanno poi proseguito nella loro carriera deviante, l’opportunità di conoscere altri “modus vivendi”, la possibilità di confrontarsi con persone diverse e di instaurare relazioni basate sull’autenticità, e quindi la possibilità di poter “scegliere”. Dalla Comunità tutto poi ebbe inizio: negli anni successivi numerosi sono stati i progetti realizzati in vari ambiti del sociale e che hanno portato la Cooperativa ad

Altra sfida della Cooperativa, ma sicuramente non ultima, è la gestione di un bene confiscato alla camorra che dopo anni d i attesa, ci è stato affidato a luglio di quest’anno. acquisire esperienze in diversi settori e a numerose collaborazioni con enti Pubblici, con il Ministero della Giustizia, il Ministero degli Interni, con fondazioni, enti del terzo settore, associazioni di volontariato ed enti privati. Attualmente, la Cooperativa è presente nel quartiere di Fuorigrotta, Bagnoli, Miano e nel centro storico nella gestione di centri di Educativa territoriale anche per minori stranieri e rom, che rappresentano una fondamentale risorsa territoriale per quei ragazzi che vivono in quartieri altamente degradati sia sotto il profilo culturale che sociale. Siamo anche presenti nella I Municipalità (Chiaia – San Ferdinando Posillipo) nella gesti Sono territori, soprattutto quelli dell’area Nord di Napoli, segnati dalla violenza, dall’abbandono, dalla trascuratezza, dalla prepotenza, ed è in questi contesti che il nostro principale obiettivo è quello di prevenire il

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disagio, di ridurre i tempi e gli spazi vuoti, di tutelare i ragazzi e promuovere la socializzazione, di offrire punti di riferimento certi, in quartieri in cui sono scarse le opportunità per spendere in maniera positiva il tempo libero dei bambini e dei ragazzi. Tutto ciò implica, anche da parte di noi educatori una sfida educativa che ci porta alla ricerca continua e costante di nuove modalità di approccio, di coinvolgimento, di proposte sempre in linea con le mutate esigenze dei ragazzi, sia per la diversa tipologia con la quale costantemente ci si confronta, sia perché risulta necessario adeguarsi ai tempi, che hanno prodotto cambiamenti culturali significativi, attribuendo valore all’eccessivo individualismo, alla superficialità a scapito della responsabilità sia verso se stessi che verso la società. Ecco perché è necessario proporre valide alternative alla strada, offrendo risposte non astratte ai bisogni concreti dei ragazzi e dei giovani, promuovendo esperienze significative per la loro ricerca di senso della vita, di sano divertimento. Altra sfida della Cooperativa, ma sicuramente non ultima, è la gestione di un bene confiscato alla camorra che dopo anni di attesa, ci è stato affidato a luglio di quest’anno. Questa villa è situata nel quartiere Miano, in una zona che sembra a sua volta la periferia della periferia, dove non esistono spazi di aggregazione e di socializzazione e le famiglie lamentano la loro difficoltà a crescere i figli in tali contesti dove il degrado sociale e culturale degradati. E in rifermento a tale analisi che appare evidente che lo scopo del nostro intervento nel riutilizzo del bene confiscato è quello di farne un centro educativo e formativo a favore dei bambini, adolescenti e giovani del quartiere, sempre più a rischio di esclusione sociale e contestualmente farne un luogosimbolo, per una concreta lotta culturale di educazione alla legalità e di riscatto sociale. Certo non possiamo dare risposta ai bisogni di tutti ma ci adoperiamo al massimo del nostro impegno; è ovvio che dobbiamo fare i conti anche con una realtà territoriale complessa e multiproblematica, ma riusciamo sempre a trovare la forza, la determinazione e la voglia di andare avanti. 


di Alessandra Cavuoto

Casa nel Sole: trent’anni al servizio del prossimo L’esperienza del disagio giovanile e dell’emarginazione sociale

L

a Casa nel Sole è un’associazione di volontariato che si occupa di disagio giovanile ed emarginazione sociale, affrontando le tematiche difficili della tossicodipendenza, dell’alcolismo e delle ludopatie. Giuridicamente nata il 13 Febbraio del 1983, la Onlus affonda le sue radici nel 1980, nell’esperienza di Padre Vittorio Balzarano e Padre Lino Barelli che accolsero a San Martino Valle Caudina, presso il proprio gruppo giovanile, un giovane con problemi di tossicodipendenza. Successivamente, dinanzi ad un numero sempre maggiore di richieste di aiuto, i frati, con il Capitolo Provinciale del 1983, decisero, sotto la guida dello stesso Padre Vittorio Balzarano, ad oggi presidente dell’associazione, di regolamentare la propria attività di volontariato. Nacque così uno Statuto che illustra, da più di trent’anni, la struttura e il modus operandi di Casa nel Sole ponendo l’accento sul valore della persona, quale centro di ogni interesse, e sull’importanza del dialogo,

quale base costruttiva per ogni attività. L’“accogliere” è il motivo conduttore dell’associazione, che ha voluto delinearsi come un luogo confortevole e ospitale, una “Casa” che ha il suo luogo d’essere “nel Sole”, sorgente di vita per gli uomini, fonte di rinascita, occasione di “seconda possibilità”. La struttura associativa si organizza in gruppi di volontari che operano seguendo la metodologia dell’associazione. Il volontario compie, attraverso il gruppo, un processo di maturazione personale che lo conduce a migliorare la propria capacità di relazione, divenendo consapevole dei propri principi e dei propri bisogni. Si instaura tra i volontari e il gruppo un rapporto nel quale, attraverso il confronto, la verifica, la vita condivisa, si cresce, fortificando, in tal modo, anche la struttura dell’associazione. Ed è questa struttura, così organizzata, che ha permesso a Casa nel Sole, in tutti questi anni, di crescere, qualitativamente nel servizio offerto alle persone e quantitativamente, in numero di sedi:

La Casa nel Sole L’“accogliere” è il motivo conduttore dell’associazione, che ha voluto delinearsi come un luogo confortevole e ospitale, una “Casa” che ha il suo luogo d’essere “nel Sole”, sorgente di vita per gli uomini, fonte di rinascita, occasione di “seconda possibilità”.

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Casa per gestanti Dal 2009, Casa nel Sole gestisce, in collaborazione con l’associazione “Opera Mariana del Samaritano Onlus”, la comunità di accoglienza per gestanti, mamme e bambini “Santa Maria delle Grazie” presso il convento omonimo sito in Arpaia.

ad oggi, l’associazione, avente la propria sede legale ad Airola, è presente a Benevento, a Circello, a San Martino Valle Caudina, ad Arpaia, a Succivo e da qualche anno anche a Telese Terme. Da circa quattro anni, Casa nel Sole, con altre 90 associazioni costituisce la base sociale del Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Benevento (Ce.S.Vo.B), complesso associativo nato nel 2006, per promuovere, formare ed orientare le associazioni, e chiunque sia interessato, alle attività di volontariato presenti nel Sannio. L’associazione è impegnata da sempre, con passione e umiltà, nel realizzare iniziative finalizzate a dare sostegno, aiuto e speranza alle persone che vivono un disagio sociale. Nel campo della prevenzione dalle tossicodipendenze, sono attivi dal 1990, all’ interno degli Istituti scolastici, dei gruppi di ascolto, al fine di creare per i giovani degli spazi di ascolto. Nell’ambito del recupero dei tossicodipendenti, presso le sedi delle associazioni, si svolgono colloqui settimanali con i tossicodipendenti e i propri familiari. L’attività si esplica nell’ascolto del vissuto del tossicodipendente, nello svolgere un’attività di rieducazione alternativa alla comunità, nel dare conforto e speranza di una possibile soluzione del problema. Su questa stessa ottica si incentra anche l’attività del gruppo di mutuo auto-aiuto coordinato dalla Dott.ssa Lucia Solla che mira a creare una rete di sostegno alle persone con problemi alcol correlati. Dal

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2009, Casa nel Sole gestisce, in collaborazione con l’associazione “Opera Mariana del Samaritano Onlus”, la comunità di accoglienza per gestanti, mamme e bambini “Santa Maria delle Grazie” presso il convento omonimo sito in Arpaia. Questa comunità accoglie, in un clima sereno e confortevole, il nucleo madre-bambino al fine di salvaguardare la crescita di quest’ultimo e di responsabilizzare la madre-donna rendendola in grado di sostenere e accudire il proprio figlio nel suo avvenire. Inoltre, tra le attività formative dell’associazione ricordiamo: il gruppo di dècoupage curato dalla Dott.ssa Annamaria Sangiuolo che con la realizzazione di splendidi oggetti raccoglie fondi a sostegno dell’associazione e le esperienze di vita comune organizzate presso la struttura di Casaldianni, a Circello, aventi l’obiettivo di far vivere concretamente, in un ritiro settimanale, i principi e valori su cui è improntata l’attività dell’associazione. Tra gli ultimi progetti conclusi da Casa nel Sole meritano di essere annoverati il progetto “Penelope”, che ha visto la nascita di una sede dell’associazione nella Valle Telesina fino ad oggi sprovvista di assistenza nel settore delle tossicodipendenze e il progetto di prevenzione “Parliamone Insieme”, svoltosi presso i plessi scolastici sanniti attraverso incontri info-valutativi delle conoscenze degli adolescenti sulle tossicodipendenze. 


di Giulia D’Argenio

La Casa sulla Roccia di Avellino Ci sono luoghi in cui ci si riscopre umani: uno di questi è Villa Dora

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i sono dei luoghi entrando nei quali cambia lo sguardo che si ha sulle cose. Luoghi che entrano dentro e attraversano l’anima, lasciando un segno profondo. Una traccia indelebile che il tempo non può cancellare. Luoghi che devono essere vissuti, respirati, per essere capiti. Luoghi che mostrano quanto profonda può essere la tenebra che c’ è dentro ognuno di essere umano ma anche quanto folgorante è la luce che emana può emanarne, per quanto, alle volte, le vicende di ognuno sembrino fare di tutto perché quella stessa luce finisca sotto il moggio. La prima volta che sono entrata a Villa Dora mi sentivo impacciata né sapevo cosa aspettarmi. Mi sentivo un’intrusa. Sensazioni che sono svanite in poco tempo. Il tempo di guardarmi intorno ed essere assalita da una sete di vita difficile da spiegare. Una sete di vita che, al tempo stesso, pareva essere accompagnata da una frenetica ansia. Arrivare

a Villa Dora non è semplice. Una grande villa tra le colline dell’Irpinia, al ciglio di una strada di campagna. Un percorso intricato lungo il quale ci si può perdere se non ben guidati: quasi una metafora di quello che si trova alla fine della strada compita per arrivarci. Una metafora del percorso di risalita compiuto dai suoi ospiti che hanno la forza di arrivare fino in fondo. Villa Dora è una comunità dove persone che hanno avuto problemi di dipendenza lavorano per ricostruire sé stessi e la propria esistenza. Un formicaio laborioso dove non c’è tempo per fermarsi perché fermarsi vuol dire pensare e pensare può voler dire cedere, ricadere. Almeno all’inizio. Per questo a Villa Dora ogni mansione e ogni compito è svolto, da alcuni più che da altri, con minuziosa e spasmodica cura. A Villa Dora la persona si ricostruisce ricostruendo il rispetto per le regole, primo stadio per riconquistare il rispetto della propria e

A Villa Dora la persona si ricostruisce La prima volta che sono entrata a Villa Dora mi sentivo impacciata né sapevo cosa aspettarmi. Mi sentivo un’intrusa. Sensazioni che sono svanite in poco tempo. Il tempo di guardarmi intorno ed essere assalita da una sete di vita difficile da spiegare.

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WELFARE

dell’altrui dignità. L’altro, in un posto come Villa Dora, non è solo un nome, un volto, un compagno di lavoro o di tavola. L’altro è parte integrante del proprio percorso di ricostruzione perché con la persona che siede accanto si impara a misurarsi, a confrontarsi. Si è costretti a metterti a nudo, rendendo quella persona partecipe di verità che non si racconterebbero nemmeno a sé stessi. A cementare questa particolare intimità, la condivisione: la condivisione del poco e del molto. Perché la condivisione fonda i legami comunitari e i legami comunitari sono l’unico ariete capace di sfondare la solitudine di chi ha visto la propria vita scivolare via nella droga, nell’alcool e, oggi sempre di più, nel gioco. A Villa Dora si impara che al mondo non si è soli, con tutti

Ci sono luoghi in cui ci si riscopre umani. Luoghi in cui la vita cambia prospettiva e assume un sapore differente. Uno di questi è Villa Dora. i pro e i contro che comporta convivere e mediare le proprie posizioni con qualcuno che non sia sé stesso. Una delle persone che mi hanno accompagnata, durante una della mie visite, mi ha detto parole che non credo dimenticherò mai. “A volte, quando sei qui tra i ragazzi ti rendi conto di quanto sentano il bisogno di parlare, di raccontarsi. Hai la sensazione che l’unica cosa che cerchino è qualcuno che li ascolti. Col tempo, però, impari anche a capire che a volte nei loro racconti c’è qualcosa che non è mai stato”. Tutte queste cose prendono forma mentre siedi a tavola con i ragazzi, quando per un attimo svanisce la tensione dei loro compiti e tutto si scioglie dentro un bicchiere d’acqua. Ti domandi cosa puoi o non puoi dire e alla fine sono loro stessi a guidarti con la loro curiosità di quel mondo del quale, ad un certo punto, hanno smesso di essere parte. Poi arriva il momento del lavoro. Ciascuno che

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torna ai propri compiti: la cucina, i giardini, la lavanderia. La stessa persona mi disse: “Dovresti vederli quando sono in cucina. Sembra un alveare: nell’apparente confusione che sembra dominare, in realtà regna un ordine perfetto, una logica puntuale che si traduce in movimenti coordinati. Qui non c’è tempo di fermarsi. Non tutti ce la fanno: alcuni imboccano il cancello e se ne vanno. Gli altri, spesso, fanno di tutto per fermarli, fin sulla strada. Ma, superata la soglia che li riporta verosimilmente alla vita precedente, gli altri si fermano, tornano precipitosamente indietro al loro lavoro. Senza proferire parola. In quei momenti non c’è posto né per i pensieri né per le emozioni perché c’è la paura taciuta e condivisa che quella defezione possa tirarsene dietro altre”. Mentre queste parole scorrevano in sottofondo mi sono guardata intorno. La pace delle colline coltivate a uva. La pace che i paesaggi dell’Irpinia più genuina sanno dare. I viottoli e gli slarghi della casa coi nomi delle vittime innocenti di quella stessa criminalità organizzato che ha avvelenato le vite quei ragazzi. E poi gli occhi sono tornati inevitabilmente a cercarli. Li ho guardati così indaffarati nel loro piccolo mondo che li protegge: loro, tutti uguali, senza età, senza differenze. Mi sono sembrati indifesi e ho sentito un senso di profonda malinconia immaginandoli in mezzo ai cosiddetti normali. Alla gente normale e perbene che solo con uno sguardo può allontanare, emarginare, ferire, riportando l’orologio indietro anche di anni. Mi sono chiesta come sarà il ritorno nel nostro mondo fatto di esclusione, il cui più grande dolore è, forse, quello di aver perso la propria umanità. Un’umanità che si riscopre in tutta la sua meravigliosa e drammatica fragilità in un luogo come Villa Dora, riempito dall’ostinata convinzione che tutti possano essere salvati e che per averne un’altra vita non serva aspettare la fine questa. L’ostinata convinzione che alimenta l’amore di volontari invisibili ma estremamente veri e concreti. Di quelle persone dallo sguardo eloquente tanto quanto discorsi infiniti. Lavoratori instancabili tra le colline coltivate ad uva di una terra laboriosa. Ci sono luoghi in cui ci si riscopre umani. Luoghi in cui la vita cambia prospettiva e assume un sapore differente. Uno di questi è Villa Dora. 


di Gennaro Zollo

Africa Mission: cooperazione e sviluppo Di ritorno dall’Africa: ho una gioia che voglio raccontarti!

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vere una nuova coscienza, un nuovo punto di vista, sul mondo che ti circonda! Così proverei a definire il volontariato internazionale. Un’esperienza ricca di emozioni, che dà la possibilità di camminare su un mondo nuovo, conoscere una cultura diversa, vivere i disagi e le emergenze degli altri. Tutto questo credo sia la manifestazione di un atteggiamento di solidarietà che penso rappresenti un prezioso contributo alla crescita personale di ognuno di noi. Le opportunità per fare volontariato internazionale sono diverse, vi sono associazioni umanitarie ad esempio nell’ambito di missioni umanitarie oppure ci sono programmi finanziati da enti pubblici come il Servizio Civile all’estero o il Servizio Volontario Europeo. La scorsa estate ho deciso, a distanza di due anni, di scendere per la seconda volta

in Africa. Per la precisione sono stato in Uganda. È difficile riuscire ad esprimere le proprie emozioni, a trovare le giuste parole, quelle che danno la giusta interpretazione ai propri pensieri e sentimenti, quelle che permettono all’altro di percepire la realtà così come tu la vedi e la vivi. Ma voglio comunque provarci. L’ho definita “la seconda mia prima volta”. Quando si pensa che le emozioni, le impressioni, gli incontri che rivivrai saranno gli stessi si sbaglia. In Africa non c’è una seconda volta, anzi, ogni volta è come se fosse la prima. Ed è esattamente quello che è capitato a me. Potrebbe sembrare strano da comprendere, da immaginare, forse per chi non ha mai vissuto queste esperienze risulta davvero difficile capire, ma è così! Ogni volta guardi da una prospettiva diversa, con occhi diversi, con una maturità diversa, e tutto ti

Vieni e vedi! Le opportunità per fare volontariato internazionale sono diverse, vi sono associazioni umanitarie ad esempio nell’ambito di missioni umanitarie oppure ci sono programmi finanziati da enti pubblici come il Servizio Civile all’estero o il Servizio Volontario Europeo.

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porta a relazionarti a quelle persone e a quei bambini in modo diverso da come lo hai fatto in passato. È trascorso ormai un po’ di tempo da quando sono rientrato, ma il pensiero continua ad essere fermo lì, su quella terra rossa, continua a richiamare i tanti sguardi che ho incrociato, mi rimanda inevitabilmente ai tanti incontri che ho avuto. Tra questi, uno in particolar modo ha segnato in maniera indelebile il mio cuore. Provo a raccontarlo. Sono stato quest’anno, per la seconda volta, in un centro gestito dai “Missionari dei Poveri”, congregazione che si dedica alle opere di carità verso i poveri e alle missioni popolari. Il centro si trova in uno degli slum di Kampala, la capitale ugandese. Non na-

“Emozioni, turbamenti, lacrime, dubbi, gioie, sorrisi, amicizie, strette allo stomaco, ansie, nuove prospettive: anche questa volta sono tornato arricchito da una terra così povera!” scondo la mia forte emozione e stato di agitazione profondo che avvertivo mentre il primo giorno mi stavo recando presso la struttura. Durante il tragitto provavo a trovare una spiegazione al mio stato d’animo, mi dicevo: “Eppure ci sono stato due anni fa, so cosa incontrerò non appena passerò quel cancello”. Ma non riuscivo a trovare comunque una risposta alla mia domanda. Ricordo bene però nella mia mente il momento in cui quello stato di agitazione ha lasciato spazio alla gioia. E lo devo ad uno di quei bambini disabili che vivono in quella struttura. Stavo parlando con il padre responsabile, il quale mi stava aggiornando sulle diverse situazioni che si preparavano ad affrontare, quando ad un certo punto, all’improvviso, un bambino mi abbraccia forte da dietro. Ho avvertito in quel momento una profonda scossa, seguita, subito dopo, da un gran senso di tranquillità. L’abbraccio forte di quel ragazzino è stato in

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grado di trasmettermi serenità, quasi a dirmi di stare tranquillo, di sentirmi a casa mia, che non avevo alcun motivo di sentirmi agitato. A volte si pensa di andare in Africa e voler portare aiuti, di voler cambiare quel mondo, poi quando si è lì si scopre che il primo ad essere aiutato sei proprio tu! E il tutto diventa ancora più incomprensibile se accade in luoghi come questi dove ovunque ti giri scorgi tanta sofferenza e tanta povertà. Ma vedi anche tanti sorrisi, la voglia di tanti di stringerti la mano, o di starti semplicemente accanto, di attirare la tua attenzione. Traspare in modo molto chiaro l’esigenza di quei bambini e di quelle persone: hanno bisogno di affetto, di sentirsi per un po’ rassicurati, proprio come aveva fatto quel bambino con me! Una delle pochissime certezze che si acquisisce da queste esperienze è che in questi luoghi c’è bisogno prima di tutto dell’amore. E lo si capisce guardando gli occhioni spalancati di quei bambini, che camminano scalzi eppure sorridono, non riescono a muoversi eppure sorridono, mangiano una volta al giorno eppure sorridono, girano semi nudi eppure sorridono. Mostrano una dignità che lascia senza parole! Di questa mia seconda esperienza non posso fare a meno di ringraziare il movimento Africa Mission – Cooperazione&Sviluppo che da circa dieci anni, ogni anno durante i mesi estivi, dà la possibilità a ragazzi come me di partecipare al progetto “Vieni e Vedi”. Si ha davvero l’occasione di poter toccare con mano e vedere con i propri occhi ciò che di concreto la ONG fa da circa trent’anni in Uganda, in particolar modo nella regione del Karamoja. Ma questo viaggio è soprattutto un’esperienza di vita per chi ha voglia di mettersi in gioco: in Africa il confronto con se stessi è invitabile, non ne puoi fare a meno. L’unica alternativa è quella di tirare fuori il coraggio e la voglia per dare davvero una svolta alla propria vita, e quella paura, di cui spesso siamo facile preda, di affrontare le situazioni e le sfide che la vita ogni giorno ci pone, quasi scompare. Emozioni, turbamenti, lacrime, dubbi, gioie, sorrisi, amicizie, strette allo stomaco, ansie, nuove prospettive: anche questa volta sono tornato arricchito da una terra così povera! 


di Salvatore Laino

La “Buona Scuola” proposta dal Governo Renzi Da mobilità geografico-personale a mobilità strategico-contrattuale

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n questo contributo si comincia ad analizzare il Rapporto “ La Buona Scuola” e, per necessità editoriali, si procederà ad illustrare solo qualcuna delle tante osservazioni e riflessioni da fare riservano il prosieguo ad altri momenti editoriali. La lettura del Rapporto “La Buona Scuola” dell’attuale Governo Renzi impone delle riflessioni, sia da parte dei “lavoratori” della scuola che della complessiva società civile. Le stesse possono essere, (in fase preliminare) suddivisibili in due filoni: uno relativo al “metodo” proposto dallo stesso Rapporto, l’altro relativo al “merito”. La prima osservazione rispetto al “metodo” individua aspetti positivi e aspetti negativi. Quello sicuramente positivo è l’attenzione alla scuola destinataria negli ultimi anni di provvedimenti di razionalizzazione della spesa pubblica che hanno richiesto, per la loro giustificazione, un complessivo riordino ordinamentale, specie per la scuola secondaria di II grado. Ma, rispetto allo stesso “metodo” bisogna riflettere sull’incidenza che avranno

i risultati della consultazione proposta dallo stesso Rapporto. Consultando il sito predisposto (https://labuonascuola.gov.it/) si evidenziano, al momento, contributi parcellizzati ed estemporanei rispetto ai temi e problemi proposti dallo stesso rapporto. Certo, nel sito c’è un “impianto” di domande che tenta di decodificare l’insieme delle migliaia di osservazioni inviate dai “partecipanti” tuttavia, si osserva che la stessa miriade di contributi “personali” non sempre ha corrispondenza attraverso il completamento del questionario proposto all’interno del sito. Lo stesso questionario, tra l’altro, è costruito anche con l’utilizzo di scale di atteggiamenti per misurare il gradimento o meno, e la classificazione per ordine di importanza dei contenuti proposti dallo stesso Rapporto. La personale opinione di chi scrive pone al primo posto, ed in modo assoluto, la buona fede dei “proponenti” ma, a livello formale, si pongono dei rilievi: i contributi proposti dai cittadini italiani possono assumere la forma e la sostanza di un effettivo referen-

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dum? In altre parole, possono i cittadini, operatori e non della scuola trovare in questo “strumento” un’effettiva efficacia per le proposte, per i temi, per le problematiche presenti all’interno del Rapporto? Ciò che si contesta è proprio il fatto che l’acutezza, l’estemporaneità, l’eventuale disagio che emerge dagli interventi, la “personalizzazione e parcellizzazione degli stessi diventi nel complesso un “pubblico confessionale” e nulla più, una sorta di format “Grande Fratello” proposto dalla TV; la modalità di affidare alla “rete” è, a mio avviso, uno strumento assolutamente pericoloso, inattendibile e “strumentale” che non consente un’efficace modalità da cui ricavare elementi forti per la realizzazione di una effettiva “Buona Scuola”. In altre parole, se i problemi e le soluzioni proposte per gli stessi sono una richiesta di “validazione” e di “accettazione” non si può proprio essere d’accordo. Se, invece, i problemi sono già stati individuati dallo stesso Rapporto, non si comprende il perché della consultazione “mediatica”. Ogni Riforma della Scuola, storicamente, ha dovuto recepire le esigenze della società in quel preciso momento ma ha dovuto tener conto anche del “Bilancio dello Stato”. All’interno del Rapporto si coglie con chiarezza una sorta di “circolarità” per le risorse economiche previste per finanziare il comparto scuola; non si evince una “immissione” di nuove risorse; in altre parole, una “Buona Scuola” a costo zero. È questa una prima osservazione rispetto al “merito” del Rapporto. Una seconda, tra le tante da poter fare, è relativa al concetto di “merito” proposto all’interno del Rapporto. Ma, innanzitutto, che cosa si intende con merito? È un concetto complesso e generico insieme, con implicazioni di tipo morale, tanto da sfiorare, in certi casi, l’afferenza alla “religiosità”. Generalmente, può essere contrapposto all’avere una colpa, ma è, nel contempo, quasi impossibile isolarlo rispetto ad altri fattori che intervengono nella vita quotidiana (caratteristiche psico-fisiche e biologiche, ambiente familiare, fortuna). Il merito, in questo Rapporto, evidenzia caratteristiche di marcato stampo liberista: cosa significa che “solo i migliori” devono emergere, avere spazio? I migliori per chi? I migliori sul mercato? I più furbi? I più efficaci

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nella comunicazione? Certo, in ogni categoria di lavoratori ci sono “le pecore nere”, quelli che non hanno un’etica adeguata al lavoro che svolgono. Per quanto riguarda gli insegnanti, viene proposto da Renzi il meccanismo degli scatti di competenza, come si legge a pag. 57: «Le risorse utilizzate per gli scatti di competenza saranno complessivamente le stesse disponibili per gli scatti di anzianità, distribuite però in modo differente secondo un sistema che premia l’impegno e le competenze dei docenti. Ciò consente all’operazione di non determinare oneri aggiuntivi a carico dello Stato» Come già accennato, è facile comprendere che la condizione economica dei docenti come categoria di lavoratori non migliorerà affatto: semplicemente, a un terzo degli stessi verrà tolta una parte dell’attuale retribuzione, regolamentata da un contratto di lavoro, che attende da molti anni di essere rinnovato e adeguato al tempo, e con la parte tolta (ad un terzo dei lavoratori) verranno dati pochi euro in più agli altri due terzi. A pagina 58, inoltre, si legge: “I docenti mediamente bravi, per avere più possibilità di maturare lo scatto, potrebbero volersi spostare in scuole dove la media dei crediti maturati dai docenti è relativamente bassa e quindi verso scuole dove la qualità dell’insegnamento è mediamente meno buona, aiutandole così ad invertire la tendenza”. Questo passaggio scritto nel Rapporto si presta a diversi tipi di lettura: sindacale, valutativa, etica, liberista ma anche, per certi aspetti, generica e dai tratti comici. In altre parole, il significato di quanto scritto, a pag. 58, propone una valutazione implicita degli insegnanti senza minimamente accennare a come valutare gli stessi; inoltre, a mio avviso è grave anche pensare di proporre all’insegnante “Bravo” o “meno Bravo” di andarsi a cercare una scuola che gli consenta di emergere tra gli altri docenti (in questo caso “Meno Bravi”, ma questo è un concetto relativo), ricorrendo a questo tipo di mobilità non più “geografico-familiare” ma “strategico-contrattuale” per poter avere la possibilità di percepire 60 euro in più al mese, magari spendendone 100-150 in trasporto e tempo di spostamento solamente per potersi recare nella nuova sede di servizio. 

Il rapporto Renzi “I docenti mediamente bravi, per avere più possibilità di maturare lo scatto, potrebbero volersi spostare in scuole dove la media dei crediti maturati dai docenti è relativamente bassa e quindi verso scuole dove la qualità dell’insegnamento è mediamente meno buona, aiutandole così ad invertire la tendenza”.


APPROFONDIMENTI: GIUSTIZIA SPORTIVA

di Marianna Quaranta

Giustizia sportiva: la scheda Tutele e sanzioni

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ntrodurre il tema della giustizia sportiva non è agevole per la molteplicità di ambiti che essa interessa. I commenti che seguono danno conto degli aspetti che sotto il profilo tecnico giuridico e socio culturale ne caratterizzano i tratti più significativi. Tuttavia, è prodromico a qualsiasi approccio dare conto della circostanza che il mondo dello sport e delle imprese sportive, pur avendo indiscusse affinità con le imprese

operanti in settori differenti e pur interessando un giro d’affari considerevole, per “tradizione” si regge su regole proprie. Queste in alcuni momenti certamente ne colgono appieno le peculiarità, in altri, non si può non considerare che esse si pongano in maniera talora difforme e del tutto arbitraria a regolamentare quegli aspetti che comunemente sono regolati dall’Ordinamento Giuridico. Considerato che lo sport più apprezzato in Italia è certamente il

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APPROFONDIMENTI: GIUSTIZIA SPORTIVA

calcio è doveroso far riferimento alla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) o Federcalcio che è, come noto, l'organo di organizzazione e controllo del calcio in Italia. La FIGC svolge le proprie funzioni in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi della FIFA, dell’UEFA, del Comité International Olympique (CIO) del CONI, in piena autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, intrattiene rapporti di collaborazione con le autorità pubbliche e coopera con esse ai programmi di promozione e sostegno del gioco del calcio, salvaguardando la propria autonomia. Nell’ambito delle proprie competenze, promuove la massima diffusione della pratica del gioco del calcio con particolare attenzione al calcio giovanile. Al tal fine la FIGC la cura le relazioni calcistiche internazionali anche per l’armonizzazione dei relativi calendari sportivi; cura la disciplina sportiva e la gestione tecnico‐organizzativa ed economica delle squadre nazionali e le funzioni regolatrici e di garanzia, con particolare riferimento alla giustizia sportiva, agli arbitri e ai controlli delle società. Più specificatamente con riguardo a tale ultimo aspetto ai sensi dell’art.30 dello Statuto tutti i tesserati, le società affiliate e i soggetti, organismi e loro componenti, che svolgono attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevanti per l’ordinamento federale, hanno l’obbligo di osservare il succitato Statuto e ogni altra norma federale e degli organismi internazionali a cui la FIGC è affiliata. Tale stringente vincolo trova la sua giustificazione nella circostanza che i soggetti indicati in ragione della loro appartenenza all’ordinamento settoriale sportivo o dei vincoli assunti con la costituzione del rapporto associativo, accettano la piena e definitiva efficacia di qualsiasi provvedimento adottato dalla FIGC, dalla FIFA, dalla UEFA, dai suoi organi o soggetti delegati, nelle materie comunque riconducibili allo svolgimento dell’attività federale nonché nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico (cd. Clausola compromissoria). Solo per gravi ragioni di opportunità il Consiglio Federale può autorizzare il ricorso alla giurisdizione statale in deroga o per far valere la nullità dei lodi. E comunque ogni comportamento contrastante con gli obblighi succitati o comunque volto a eludere il vincolo di giu-

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stizia, comporta l’irrogazione di sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali. Tale significativo rinvio pone una serie di interrogativi sulla autoreferenzialità della giustizia sportiva che a volte penalizza in maniera spropositata i suoi destinatari altre invece li assolve in maniera arbitraria, senza possibilità di appello. Anche il tema dei controlli porta alle medesime considerazioni specie alla luce degli innumerevoli scandali cui la cronaca degli ultimi anni ci abituati in un mondo, quello dello sport, che dovrebbe essere portatore dei valori più nobili. 


di Tullio Morello

Le regole della Federcalcio Una giustizia che giudica se stessa

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a giustizia sportiva viene considerata in Italia una giustizia domestica. Nel senso che è la Federcalcio che detta le regole e sceglie gli organi investigativi e i giudici che devono applicarle, con il paradosso che può capitare che il giudice debba giudicare

La responsabilità oggettiva è un principio molto pericoloso, perché espone le società stesse a ricatti o estorsioni da parte di gruppi organizzati

* Magistrato

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APPROFONDIMENTI: GIUSTIZIA SPORTIVA

chi lo ha scelto per quell’incarico. Capirete che per farlo, allora, occorrono giudici professionalmente molto strutturati e con le spalle larghe, ma questo non sempre accade. Le regole della Federcalcio tante volte sono particolari e persino in contrasto con altre regole dell’ordinamento civile e di quello penale dello Stato italiano. La regola più discussa, in tal senso è senza dubbio quella che prevede la responsabilità oggettiva delle società per i fatti commessi dai propri tesserati e dai propri sostenitori. Allora, ad esempio, vediamo società che vengono punite per il lancio di oggetti in campo da parte dei tifosi, società che vengono punite perché i propri tesserati hanno dei comportamenti illeciti, come la vendita

Le regole della Federcalcio tante volte sono particolari e persino in contrasto con altre regole dell’ordinamento civile e di quello penale dello Stato italiano della propria prestazione sportiva a organizzazioni criminali che indirizzano l’andamento dei risultati delle partite di calcio, il cosiddetto calcio scommesse, ecc. Quello della responsabilità oggettiva è un principio molto pericoloso anche perché espone le società stesse a ricatti o a vere proprie estorsioni da parte di gruppi organizzati che vogliono perseguire i loro interessi criminali, quali il conseguimento di denaro, di biglietti oppure di altre utilità da parte dei presidenti delle società di calcio. La storia processuale degli ultimi anni ha dimostrato che ciò purtroppo avviene e non di rado. Un’altra conseguenza molto ingiusta della responsabilità oggettiva è quella della società il cui tesserato ha venduto la propria prestazione sportiva a dei criminali facendo perdere la partita alla propria squadra che si vede così punita due volte, subendo oltre al danno della sconfitta sportiva

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Sull’illecito spotivo

Foto di Livia Crisafi

Non è giusto che chi ha commesso degli illeciti a livello sportivo anche gravi possa poi tornare a giocare a livello professionale.

patita sul campo anche quello della penalizzazione da parte della giustizia sportiva. Come avrebbero potuto i dirigenti evitare che i propri tesserati si vendessero le prestazioni sportive? Perché punirli? Ben diverso è, invece, il caso dei cori offensivi e degli striscioni offensivi presenti negli stadi di calcio. In tal caso, ben le società potrebbero individuare i responsabili di questi atti di profonda violenza morale che mettono anche a repentaglio l’ordine pubblico e la sicurezza degli appassionati di calcio che si recano allo stadio. Infatti, tramite i biglietti nominativi e la presenza di stewards qualificati sarebbe molto facile individuare questi teppisti. Se non lo si fa è giusto che vi sia una responsabilità anche se indiretta. Un altro punto critico, a mio avviso, dell’ordinamento della giustizia sportiva è quello dell’individuazione delle sanzioni. Personalmente ritengo inaccettabile che una persona che ha il privilegio di svolgere una professione ben remunerata, ambita e di successo, se sbaglia, ad esempio vendendo una partita, dopo una squalifica possa tornare a giocare a calcio in maniera professionistica. Per me il calcio ha bisogno di pulizia, chi ha sbagliato macchiandosi di illeciti sportivi è giusto che non faccia più sport a livello professionistico. Idem per chi, essendo tesserato, è stato a conoscenza di illeciti di altri tesserati e non ha fatto nulla per impedirli. Nel mondo del calcio, infatti, girano fin troppi soldi e il calcio italiano non può permettersi di perdere ulteriormente credibilità. Attualmente, invece, assistiamo a continui stravolgimenti delle interpretazioni delle regole e delle sanzioni a piacimento del potente di turno, che ha investito ed intende rientrare del proprio investimento a qualunque costo. Lo sport dovrebbe costituire strumento di veicolazione di valori morali in primis per i giovani. Sin da bambini, tutti seguiamo qualche sport e in Italia la maggior parte di noi segue il calcio, che insegnamento diamo ai nostri figli? Purtroppo consentitemi di dirlo il calcio italiano è lo specchio di questa nazione imbarbarita che tutti vorremmo diversa, ma che non vediamo mai cambiare. 

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APPROFONDIMENTI: GIUSTIZIA SPORTIVA

Vivere lo stadio tra sicurezza e libertà Parole d’ordine: sicurezza e controllo di Luca Bifulco

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uando si ragiona sulle normative che cercano di garantire la sicurezza negli stadi, è opportuno comprendere che ci si muove sempre nella ricerca complessa dell’equilibrio tra due fattori: da una parte, il controllo di comportamenti devianti e potenzialmente pericolosi, dall’altra, la garanzia dei diritti fondamentali dell’individuo. Non hanno, infatti torto, quegli intellettuali – come Ulrich Beck o Zygmunt Bauman – che ci ricordano sovente come la sicurezza e la libertà siano due principi che godono di un rapporto di proporzionalità inversa: il mondo più sicuro possibile è quello in cui l’ordine viene imposto e controllato dall’alto e poco o nulla è lasciato alla scelta autonoma dei comportamenti; all’estremo opposto, un mondo privo di vincoli all’azione libera potrebbe finire per mettere a repentaglio l’incolumità personale e la protezione da condotte dannose altrui. A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge il fatto che un comportamento, sotto il profilo sociologico, è considerato deviante – o criminoso – quando avvertito come una condotta che in una specifica situazione si pone in contrasto con la morale che un gruppo si è dato (o, detto meglio, che la frazione dominante di un gruppo o di una società ha elaborato). Per questo, la percezione sociale di un pericolo o di un crimine diviene fattore determinante. Non a caso, l’assetto normativo italiano in materia di sicurezza negli stadi ha avuto una storia articolata, fatta non tanto di un concepimento organico e strutturale, ma di continui aggiustamenti, sulla scorta soprattutto dell’onda emotiva che la cronaca – con il suo impatto mediale – ha spesso suscitato. Ne emerge un quadro in continua elaborazione, che cerca di mediare tra diverse istanze e che si pone come risposta all’urgenza – spesso eccessiva – con cui viene di solito rappresentato

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* Docente di Sociologia il problema. I diversi interventi legislativi hanno nel complesso cercato di delimitare nel tempo un reato tipico da stadio, o da manifestazione sportiva, individuando caratteristiche specifiche del comportamento punibile e sanzioni conseguenti. Spesso con un inasprimento progressivo delle sanzioni stesse. Le norme in vigore vietano, ad esempio, l’ingresso nei luoghi dove si svolgono gare sportive a chi porta con sé emblemi non consentiti, come nel caso di simboli politici illegali. Anche chi partecipa alle competizioni deve attenersi a questa disposizione. Ugualmente, non è consentito l’ingresso di striscioni o cartelli che possano incitare alla violenza o che esternino minacce o ingiurie. È possibile però lasciare simili oggetti all’esterno e non incorrere in sanzioni – che potrebbero essere corredate da pene accessorie, come l’obbligo di svolgere servizi sociali, l’obbligo di dimora in alcune ore determinate, la sospensione della validità di documenti per l’espatrio o il divieto di partecipazione alla vita politica. Nel panorama normativo, il dispositivo più risoluto – se non consideriamo l’istituto controverso e dall’esistenza in bilico della flagranza differita – è quello del DASPO: il divieto d’accesso ai luoghi in cui si svolgono specifiche manifestazioni sportive o a quelli interessati alla sosta, al transito o al trasporto di chi vi partecipa o vi assiste. Si tratta di una norma che colpisce chi – atleti compresi – si macchia di comportamento violento durante lo svolgimento di gare sportive o è incriminato per reati comuni connessi all’uso della violenza o affini. È una misura che, oltre a punire un comportamento colpevole, tende ad avere efficacia preventiva per la salvaguardia della sicurezza e dell’incolumità delle persone durante lo svolgimento delle competizioni. L’aspetto controverso, però, rimane il carattere esecutivo immediato, dettato da una logica di pre-

del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università Federico II di Napoli


Le sanzioni Pene inasprite sono previste poi per chi usa bengala, petardi e materiali imbrattanti e per chi scavalca recinzioni o è protagonista di invasioni di campo.

venzione emergenziale, che non aspetta la proclamazione di sentenze definitive e trascura sospensioni condizionali e patteggiamenti (cfr R. Massucci, N. Gallo – a cura di – La sicurezza negli stadi, Franco Angeli). Prevenzione e controllo sembrano le parole d’ordine, come ben si evince anche dalla definizione della famosa tessera del tifoso, concepita per garantire maggiore conoscenza e controllo degli spettatori. Pene inasprite – che comprendono la reclusione – sono previste poi per chi usa bengala, petardi e materiali imbrattanti (oltre a oggetti contundenti, mazze, lanci di bottigliette, ecc.) e per chi scavalca recinzioni o è protagonista di invasioni di campo. Nel caso di oggetti pirotecnici o simili, però, anche il semplice possesso diviene imputabile. Di nuovo una logica di prevenzione del pericolo che pone il sospetto su un utilizzo delinquenziale – più che un comportamento concretamente doloso – come fondamento della colpevolezza e della punizione. E che, sia detto per inciso, porta alla conseguenza spesso opinabile di eliminare preventivamente anche spazi e momenti di espressione e folclore non sempre deplorevoli. Si pensi, a tal proposito, al divieto di usare tamburi o strumenti tipici di un tifo appassio-

nato, ma pacifico. Questi ultimi esempi, come quello del DASPO, rivelano come una legittima istanza di controllo e sicurezza non debba mai perdere di vista la salvaguardia dei diritti individuali, dalla presunzione di innocenza al diritto di espressione pacifica. Specie se l’eccezionalità della legislazione per reati connessi con lo sport rischia poi di diventare un ambito di sperimentazione in un’ottica di repressione complessiva. Evento scongiurabile, ovviamente, che ci porta a considerare l’importanza di prevedere, per la sicurezza negli stadi, misure di accompagnamento alle disposizioni che abbiamo rapidamente trattato: lavorare sul piano educativo per le nuove generazioni di tifosi, coinvolgere e responsabilizzare i club sportivi nella gestione della sicurezza degli eventi, connettersi con il territorio – luogo di crescita di tutto il tifo, anche di quello organizzato – nel rispetto delle identità e dei suoi protagonisti, rendere lo sport un luogo di cittadinanza, di riscatto e di benessere sociale. Un impegno che è stato individuato dalle autorità competenti, ma che prevede ancora la profusione di energie ed interventi ulteriori da affiancare alla semplice azione punitiva della devianza. 

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APPROFONDIMENTI: GIUSTIZIA SPORTIVA

di Lorenzo Fattori

L’Agente FIFA e il Direttore Sportivo

* Sociologo

Le ultime disposizioni normative della FIFA Tante figure professionali Dietro ogni squadra ci sono coloro che hanno lavorato per costruirla, scegliendo i calciatori da mettere in rosa prima ancora che in campo, conducendo le trattative e preparando i contratti.

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l calcio è lo sport più ampiamente praticato al mondo, ma la gran parte di ciò che lo riguarda si svolge non sul rettangolo verde, davanti alle telecamere, ma in stanze d’albergo e uffici amministrativi. Dietro ogni squadra, infatti, ci sono coloro che hanno lavorato per costruirla, scegliendo i calciatori da mettere in rosa prima ancora che in campo, conducendo le trattative e preparando i contratti. Dietro ogni operazione di mercato c’è una complessa interazione di funzioni diverse, che hanno i loro cardini in due

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figure professionali: il direttore sportivo e il procuratore sportivo o agente dei calciatori. La prima è una figura dirigenziale presente in ogni società calcistica, che ha la responsabilità della scelta dei giocatori e della conduzione delle trattative (sia in ingresso che in uscita) per conto della società; il procuratore sportivo è, invece, un libero professionista che cura gli interessi di uno o, in genere, più calciatori, assicurando loro le migliori condizioni professionali e contrattuali possibili. Proprio su questa seconda figura professionale


è intervenuta di recente una modifica regolamentare attuata dalla FIFA, che entrerà in vigore a partire dal 1° aprile 2015: da quella data, infatti, tutte le licenze da procuratore verranno revocate, e queste figure si trasformeranno in intermediari; di fatto, assisteremo alla completa liberalizzazione di questo settore. I punti cardine del paper Regulation on Working with Intermediaires sono quattro: – l’eliminazione del divieto di doppio mandato (che impedisce ad uno stesso agente di rappresentare sia un calciatore che una società in una trattativa); – il compenso massimo per gli intermediari è fissato al 3% del reddito lordo del calciatore rappresentato, per tutta la durata del contratto ottenuto; – le sanzioni per eventuali violazioni saranno

È intervenuta di recente una modifica regolamentare attuata dalla FIFA, che entrerà in vigore a partire dal 1° aprile 2015: da quella data, infatti, tutte le licenze da procuratore verranno revocate, e queste figure si trasformeranno in intermediari comminate ai calciatori o alle società, non agli intermediari; – eliminazione dell’esame di accesso alla professione e creazione di un albo per ogni federazione nazionale al quale potranno iscriversi tutti coloro che saranno in possesso dei requisiti stabiliti da ogni federazione. Una simile rivoluzione copernicana ha destato già numerose proteste tra le associazioni dei procuratori, in particolare si segnala l’attivismo di quella inglese nel contrastare questo nuovo regolamento. Per meglio comprendere le ragioni di questa opposizione, abbiamo consultato diversi professionisti del mondo del calcio, riscontrando una diffusa non conoscenza di queste nuove norme; il che è già di per sé un dato sorprendente, da collegarsi probabilmente alla crescente perifericità del movimento calcistico italiano. L’unico che ha saputo risponderci nel merito è l’av-

vocato Tommaso Mandato, agente FIFA con esperienza pluriennale nel mondo delle trattative, che così si è espresso sullo spirito del provvedimento: “Non ci può essere provvedimento peggiore di questo, che annulla l’attività già abbastanza bistrattata dell’agente dei calciatori; cercare di regolamentare questa attività è stato difficile nel tempo, ma liberalizzarla completamente e tramutare questa figura in un semplice intermediario è una grave ferita sotto il profilo della professionalità, soprattutto in un ambito come quello calcistico, dove le situazioni chiare sono sempre più rare”. È da segnalare, infatti, che questo nuovo regolamento è stato promosso ad opera della FIFA come un grande passo avanti in termini di trasparenza nelle operazioni di mercato, ma anche su questo l’avvocato Mandato è lapidario: “Assolutamente questo provvedimento non è un passo avanti verso la trasparenza. Cercare di limitare l’accesso alla professione attraverso esami e selezionare rigorosamente coloro che operano come agenti poteva esser un giusto paletto, determinante per qualificare la professione. Liberalizzarla senza alcun criterio, disponendo solo requisiti basilari, non può pensare ad un passo in avanti”. Un aspetto che avrebbe necessitato di maggior approfondimento, nella stesura del regolamento, è senza dubbio quello delle sanzioni: la scelta e codifica di queste è infatti demandata alle singole federazioni nazionali. Anche su questo aspetto, abbiamo chiesto un commento all’avvocato Mandato, che così si è espresso: “Anche sulle sanzioni è un regolamento molto lacunoso. È un provvedimento confusionario che complica la situazione, pertanto ho un orientamento molto negativo. Il problema non è difendere il tesserino o la licenza, il problema è difendere l’operato di una categoria e la sua professionalità; l’aspetto più rilevante è che quanto meno il sistema è qualificato, più può essere dannoso”. In conclusione, ci sembra chiaro che molto dell’applicazione di questo nuovo regolamento dipenderà dall’uso che ne faranno le diverse federazioni: queste hanno, infatti, il potere di applicare normative più restrittive di quelle indicate dalla FIFA, che comunque devono costituirne la base. Il nuovo regolamento è visionabile al seguente indirizzo: http://www.fifa.com. 

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di Samuele Ciambriello

La cultura è un imperativo morale Intervista ad Eduardo Cicelyn

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ntervisto Eduardo Cicelyn, giornalista, ex direttore del Museo Madre di Napoli, operatore e manager culturale, attento conoscitore dei fenomeni che producono risorse culturali In Campania, spesso si finanziano iniziative estemporanee: la rassegna culturale, il festival del cinema. Cosa manca a questa regione per tenere in piedi la continuità delle iniziative culturali che diventano poi attrazioni turistico-culturali? In Regione Campania abbiamo una spesa significativa per la cultura, ma purtroppo si tratta di una spesa gestita male, in modo clientelare, e questa non è una novità: manca una regia politica, si accede in modo estemporaneo ai fondi europei senza che ci sia una scelta studiata a monte. Questo influisce negativamente anche sul turismo? Personalmente penso che bisognerebbe dividere l’assessorato al turismo dall’assessorato alla cultura. In territori come la nostra Regione ma, mi riferisco soprattutto a Napoli, non bisogna investire sull’attrattiva del luogo attraverso la cultura; la cultura in questa città serve per socia-

lizzare ed educare, per includere, per costruire condivisioni di linguaggi ed idee; quindi penso sia sbagliato pensare nei termini di progetti culturali che debbano poi essere misurabili in termini di incoming turistico. La fatica di trasformare questi progetti culturali in decisioni passa per gli uomini. Vengono scelti male dalla politica uomini e donne che governano la cultura dei territori o non abbiamo uomini e donne in grado di essere manager della cultura? Attualmente in Regione Campania abbiamo delle persone completamente incompetenti, che probabilmente nella loro vita precedente non hanno mai partecipato ad alcun tipo di attività culturale degna di nota. La cosa certa è che in Regione Campania abbiamo personale dedito alla cultura, ma non è in condizioni di farlo perché non sa neanche di cosa si stia parlando. Al di là della competenza o incompetenza delle singole persone, il problema è che non c’è un’idea politica della cultura, è sbagliata la prospettiva da cui si ragione. Abbiamo avuto in questi quattro anni un comune che ci ha raccontato la favola della cultura dal

La gestione delle risorse Abbiamo avuto un fiume di soldi che dalla Regione è passato nelle casse del Teatro Festival, del Mercadante, del Museo Madre, della Fondazione Ravello: una massa di denaro che ha prodotto semplicemente la gloria dei vari personaggi che girano intorno a queste attività.

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basso, della creatività popolare che si è espressa nelle feste della birra o della pizza sul lungomare: viene utilizzata la cartolina della città per fare le cose peggiori che si possano immaginare. Parliamo di spettacolo circense, di acrobati in disuso. È un’idea da Proloco di bassissimo livello, che ha peggiorato e deteriorato l’immagine culturale della città. Dall’altra parte, a destra, è venuta fuori l’idea di una cultura che entrasse a far parte del circuito privato, dell’investimento privato e della costruzione di un pubblico piccolo borghese. Questa fantasia ideologica che nessuno ha contestato realmente, ha prodotto musei meno visitati, teatri diventati commerciali, un teatro festival diventato

“Attualmente in Regione Campania abbiamo delle persone completamente incompetenti, che probabilmente nella loro vita precedente non hanno mai partecipato ad alcun tipo di attività culturale degna di nota” qualcosa di incomprensibile, con spettacoli insulsi che vengono premiati dagli stessi che li hanno autoprodotti. Gianni Letta, che è lo sponsor ufficiale di De Fusco alla direzione del Teatro Mercadante, viene a Napoli a premiare a De Fusco, per un premio istituito dallo stesso De Fusco: è una cosa che va oltre l’onanismo. Luca De Fusco, ultimamente sta catalizzando l’attenzione affinché il teatro Mercadante rientri nei teatri nazionali, cosa è stato fatto in questi ultimi anni? Abbiamo avuto un fiume di soldi che dalla Regione è passato nelle casse del Teatro Festival, del Mercadante, del Museo Madre, della Fondazione Ravello: una massa di denaro che ha prodotto semplicemente la gloria dei vari personaggi che girano intorno a queste attività. Oggi, dopo quattro anni di finanziamenti a piog-

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gia, si torna a dire che manca il denaro pubblico; tutto questo è paradossale, perché dopo quattro anni questi signori dovrebbero confessare la loro incapacità e dovrebbero lasciare piuttosto che chiedere ulteriori investimenti. De Fusco, in quattro anni, non è stato capace di portare il Mercadante all’altezza dei teatri di Torino, di Milano e di Genova e oggi chiede altre risorse pubbliche per produrre ulteriori fallimenti. Certo, bisogna fare in modo che il Teatro Mercadante rientri nei teatri nazionali, ma il Mercadante non ha i fondamentali perché non ci sono abbonamenti, non c’è la scuola di teatro: in quattro anni non si è fatto nulla. E il Forum delle culture? Perché è fallito? Il Forum delle culture è il punto massimo di confusione e di accordo tra questa Regione e questo Comune. Da una parte la destra del mercato e del privato e dall’altro la sinistra della libera esplosione delle soggettività, hanno generato il fallimento del Forum delle culture. La cultura dal basso con il suo soggettivismo totale corrisponde all’idea di mercato che la regione Campani ha fintamente ha promosso. In fin dei conti il Forum delle culture è l’accordo tra Regione e Comune per la gestione di sedici milioni di euro. Se avesse la bacchetta magica per promuovere la cultura a Napoli e per fare un progetto a media e lunga scadenza, da quali idee partirebbe? Prima di tutto va fatta una spending review: capire quante risorse si hanno a disposizione, avere la capacità di fare un progetto di spesa per sette anni. Va fatto un progetto chiaro teso a rafforzare i punti di eccellenza a Napoli e nelle altre località della Campania e puntare su quei punti di forza. Non si deve fare assistenza ad artisti falliti ma investire risorse nelle grandi strutture competitive a livello europeo, è questo quello che serve: valorizzarle e immetterle nel territorio sociale dove pubblici minori s’incontrano e partecipano. Don Lorenzo Milani diceva che la cultura è l’ottavo sacramento, per lei la cultura è… La cultura è un imperativo morale. 


di Francesca des Loges

Una visione nuova del fare cultura per iniziative di qualità Parla Luca Cipriano, Presidente del Teatro Gesualdo di Avellino

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are respiro alla buona politica culturale irpina liberandola dal peso del “sagrificio” a tutti i costi. La soluzione alla tendenza negativa del comparto turistico irpino c’è: pochi eventi ma di qualità e che siano durevoli nel tempo in modo da creare continuità ad un calendario che diventi davvero punto di riferimento del panorama eventistico non solo provinciale ma anche campano. È questo il salto da fare per superare lo scollamento esistente tra qualità e proposta culturale locale soffocata da tanti, troppi, micro eventi sporadici, tutti che si ergono a manifestazioni imperdibili. Un passaggio che spesso sfugge ad amministratori e organizzatori locali votati

troppo spesso all’evento mordi e fuggi. In provincia sono ben pochi gli esempi virtuosi. Tra essi senz’altro c’è quello del Teatro Gesualdo di Avellino la cui formula di successo è confermata dai numeri. Un’esperienza lunga 13 anni e che negli ultimi 3 ha registrato un’impennata sia per numero di presenze ma anche e soprattutto per qualità e quantità della proposta artistica. In un certo senso potrebbe essere considerata la fotografia del sistema cultura in Irpinia che, attualmente, restituisce un ruolo di vertice al teatro che, nel tempo, ha conquistato credibilità, autorevolezza e affetto del pubblico e può rappresentare un traino per tutto il sistema culturale provinciale. Il modello “Carlo Gesualdo” può rappresentare,

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dunque, un esempio da imitare partendo dalla governance istituzionale immaginata ovvero un teatro pubblico ma gestito non direttamente dal Comune bensì dal braccio operativo di un’Istituzione che consente di avere maggiore autonomia ed efficienza organizzativa. Ma si tratta di un potenziale modello da seguire perché rappresenta una struttura in grado di parlare ad un pubblico ampio e diversificato con una proposta artistica che abbraccia uno spirito di concezione di cultura accessibile, divulgativa e alla portata di tutti. Due elementi, dunque, che rendono tale realtà un esempio virtuoso da osservare e implementare anche nel modello di gestione di altre strutture che rimangono vuote non solo di persone ma di culture e di prospettiva. Il pensiero va all’ex Eliseo, a Villa Amendola, alla Casina del Principe fino alla Dogana: strutture utilizzate in minima parte rispetto alle potenzialità che esprimono, questa è la grande sfida da affrontare in futuro. Con molta schiettezza, insomma, la provincia di Avellino deve liberarsi dal peso del “sagrificio” che, negli anni, ha prodotto un inutile sperpero di denaro pubblico, di finanziamenti regionali ed europei finalizzati a sagre e feste popolari di piazza dalla durata di un week end che non hanno lasciato nulla al territorio, né in termini culturali né economici. «Il passaggio da fare è culturale prima che organizzativo, non serve puntare su sagre e feste di piazza ma osserva il presidente del Teatro Gesualdo Luca Cipriano - creare una rete di grandi eventi e festival che diventino attrattori sul territorio non solo di flussi turistici da altre realtà ma attrattori di nuove forme di economia». Pur scontando un forte ritardo rispetto alle altre città campane, esistono esempi di successo dislocati sul territorio come lo Sponz Fest di Vinicio Capossela per Calitri ma anche il rinato Laceno d’Oro la cui proposta di qualità ha contato oltre 20mila presenze. Ed ancora la tradizione folk e popolare di Fontanarosa, Ariano o Lacedonia. Insomma una base importante da cui ripartire c’è, quello che manca probabilmente è una visione nuova di cultura da parte della politica locale che dovrebbe avere come unico obiettivo quello di fare rete per mettere gli eventi a sistema e tagliare i rami secchi, insomma puntare su poche iniziative ma di qualità purché si abbia la capacità di lavorare sul concetto di

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marketing territoriale che vada oltre i confini della provincia. Quindi fare promozione e comunicazione per far uscire il marchio Irpinia al di fuori della provincia. Dunque per lavorare in prospettiva e non per inseguire il finanziamento del momento occorre un nuovo approccio alla cultura dato che molto spesso gli organizzatori degli eventi sono un passo avanti rispetto alla politica e più lungimiranti rispetto agli amministratori. La provincia di Avellino, infatti, è l’unica della regione a non aver mai creato un festival con una propria continuità storica e così di tanto in tanto ci ritroviamo davanti a belle idee ma discontinue e non organiche. Si può pensare ad un’inversione di tendenza, in tempi ragionevoli, solo se si ragiona in un’ottica di sistema attraverso un discorso schematico ma dalla forte valenza sinergica. «Ogni struttura a vocazione culturale dovrebbe aver chiara la propria funzione dopo di che si deve stabilire una governance - suggerisce Cipriano -in grado di coinvolgere anche soggetti privati, associazioni e sponsor in modo da non gravare solo sulle spalle del Comune». Quando questo discorso sarà realizzabile ci sarà l’inversione di rotta, altrimenti Avellino sarà sempre impegnata a seguire il nome del cantante di Ferragosto o la collocazione della Fiera delle bancarelle e di altre inutili attività che ci hanno soffocato per decenni senza lasciare traccia. Ulteriore tassello per fare rete in maniera efficace è rappresentato, naturalmente, dalla capacità di mettere insieme tutti i fattori del sistema ospitalità, dai trasporti alla strutture ricettive compresi anche i servizi di guide turistiche e punti informativi: tutti elementi cui, al momento, manca il filo che li tenga assieme. La base di questa trade union, dunque, è la valorizzazione dell’unicità del luogo Irpinia unita alla caparbietà degli attori locali: «altrimenti saremo sempre fagocitati da chi ha più storia - conclude Cipriano -. Gli irpini devono imparare a fare da soli, basta aspettare che arrivi qualcuno con la soluzione e i soldi pronti Dobbiamo imporci anche attraverso gli amministratori locali, molti dei quali sono giovani con potenzialità in grado di superare i vecchi schemi». Insomma, senza una consapevole inversione di tendenza, l’Irpinia continuerà a piangere sul latte versato pensando che la svolta sia dietro l’angolo. 

Luca Cipriano


di Rosaria de Bellis

A Benevento il turismo fa rima con Unesco e congressi La città punta sui beni culturali e sugli eventi scientifici. Il lento declino di Città Spettacolo

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enevento attrattore turistico in Campania? La domanda è d’obbligo dopo la svolta del 2011 quando la città è rimbalzata agli onori della cronaca per l’inserimento nella World Heritage List dell’Unesco del complesso monumentale di Santa Sofia. Un risultato raggiunto grazie alla scelta di aderire alla candidatura “Longobardi in Italia: i luoghi del potere” che comprendeva i sette siti italiani più significativi della Langobardia Minor. Una proposta innovativa che si è rivelata una scommessa vincente. Da allora molto è cambiato per il capoluogo sannita che ha dovuto adeguare il proprio passo a quello delle altre città Unesco. Le

Amministrazioni competenti (Provincia, Comune, Prefettura e Diocesi) hanno subito dovuto mettere mano all’organizzazione della “buffer zone” e, nel contempo, lavorare ad una programmazione culturale in grado di aumentare l’offerta turistica e l’accoglienza dei visitatori. La prima diretta conseguenza del riconoscimento Unesco è stato l’arrivo a Benevento di una tappa del Forum Universale delle Culture organizzato proprio dall’Unesco e dalla Forum Fondation. L’edizione 2014 era stata assegnata a Napoli ma la Regione ha voluto valorizzare anche i siti Unesco presenti in Campania. Da qui la scelta di Benevento che, dal 25 aprile al 22 giugno, ha

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ospitato una serie di iniziative con un programma tutto incentrato sulla dieta mediterranea con l’obiettivo di coniugare l’esperienza di valorizzazione dei beni culturali declinandola con l’enogastronomia e la cultura dell’alimentazione. 300 mila euro le risorse messe in campo dal Forum con il coinvolgimento di Slow Food Campania, dell’Associazione Nazionale Città del Vino e delle azioni del territorio. Anche la Provincia si è mossa mettendo in piedi la prima edizione della Biennale di Studi Longobardi che si è tenuta nel mese di maggio. Una tre giorni intensa sul tema “Arechi II e il Ducato di Benevento” con 37 relazioni nel corso di cinque diverse sessioni curate da docenti e ricercatori provenienti da

I fondi della Regione sono sempre di meno ed arrivano anche in ritardo e l’impressione comune è che la manifestazione abbia perso pian piano lo spirito iniziale Università e Istituti italiani ed esteri. Un evento che mira a diventare stabile visto che la Regione ha provveduto a finanziare con 200mila euro il progetto denominato “La Primavera dei Longobardi del Sud” e che la Provincia di Benevento ha dato vita ad una Fondazione per la cura di tale evento. Ovviamente non c’è solo Unesco a Benevento. Continua, seppur a fatica, la rassegna teatrale “Benevento Città Spettacolo”. Da poco si è chiusa la XXXV edizione diretta da Giulio Baffi. I fondi della Regione sono sempre di meno ed arrivano anche in ritardo e l’impressione comune è che la manifestazione abbia perso pian piano lo spirito iniziale dei tempi di Ugo Gregoretti. Sul piano dei beni culturali, invece, la città sta riscoprendo il centro storico: particolarmente significativo è il polo museale archeologico del Duomo. L’ipogeo è già stato inaugurato e a breve aprirà anche il Museo Diocesano.

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Resta, infine, la ferita dell’Arco di Traiano che compie 1900 anni “incappucciato” in quanto attende di essere restaurato per le infiltrazioni d’acqua. Unesco per Benevento sta significando anche turismo congressuale. Il 2014 è stato esplosivo per la città anche grazie alla presenza sul territorio dell’Università degli Studi del Sannio. Soltanto in questi primi mesi dell’anno, Benevento è stata sede del General Council dell’Imeko, associazione di studiosi e scienziati nel campo delle misurazioni, del workshop sulle misure per l’aerospazio promosso dall’Institute of Electrical and Electronics Engineers, del convegno di studi della Società Italiana di Economia Agraria e del 53° Congresso nazionale dell’Associazione Dermatologi Ospedalieri. Si proseguirà con il Raduno Centro Sud dell’Associazione nazionale della Polizia Penitenziaria per poi chiudere l’anno con il Congresso degli infermieri ospedalieri. Difficile ancora, seppur non disastrosa, la situazione relativa al turismo tradizionale. Negli ultimi 20 anni il numero degli arrivi di turisti nelle varie strutture alberghiere della città è salito da una media di 20.000 a 26.000 all’anno. Le cifre relative alle presenze, dopo aver segnato il massimo risultato agli inizi degli anni ’90 con 72.000 persone all’anno che pernottavano per almeno tre giorni, oggi consegnano una media di 55.000 mila persone che soggiornano oltre le 12 ore. In un anno quasi 5.000 stranieri, mille in più rispetto al passato. Il tutto esaurito negli alberghi si è registrato a fine estate con la serie dei congressi prima citati. Coperti tutti i 537 posti letto esistenti (cento in più creati negli ultimi tre anni) con qualche utilizzo di stanze in strutture ricettive della provincia. Restano ancora disponibili per l’arrivo dei turisti autunnali i 235 posti letto dell’offerta extra-alberghiera costituita da 28 tra agriturismi e bed&breakfast. Non mancano, per fortuna, i visitatori di giornata a cui è offerta la possibilità di visitare i monumenti della città ma anche di recarsi presso il Museo del Sannio e il Museo Arcos dove è stato ricostruito il tempo egizio di Iside. L’accoglienza è fornita da guide turistiche, da cooperative e da associazioni che in questi anni sono sorte in città nel settore culturale. 


di Beatrice Crisci

Un grande futuro dietro le spalle Potenzialità ancora inespresse e difficoltà da superare per rendere la Reggia di Caserta il grande attrattore che è

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he la Reggia di Caserta, sito Unesco, sia un grande attrattore non vi è ombra di dubbio. Ma che il Palazzo Reale vanvitelliano abbia bisogno di un cambiamento di rotta è ancor più evidente. Il futuro prevede che nell’arco dei prossimi tre mesi si libereranno altri spazi molto ampi, utilizzati al momento dell’Aereonautica militare. Il grande attrattore diventerà di fatto ancora più grande, ma il problema, alla luce delle ristrettezze economiche, sarà quello di gestire un’area così vasta. Il ministro Dario Franceschini, in visita a Caserta, ha dettato la sua ricetta: nuovi servizi di accoglienza, centro congressi, ma anche punti di ristorazione. Inoltre, c’è l’ambizione di allocare qui la sede del centro di formazione nazionale sui beni culturali, previsto nel decreto “Art Bonus”. La Reggia vanvitelliana si candida quindi a diventare struttura museale di primo piano e ha certamente tutte le carte in regola per esserlo. Ma chi si occuperà della promozione culturale? Il progetto Franceschini prevede finalmente lo svincolamento del Palazzo reale casertano dal Polo museale napoletano. La Reggia diviene entità autonoma con in testa un direttore-manager. Lui sì che dovrebbe promuovere e soprattutto dovrebbe sapere cosa e quando promuovere eventi sul territorio. Il timore è sempre in relazione ai fondi che avrà a disposizione. E qui si innesca anche l’apertura al privato, sostenuta dallo stesso Franceschini nel corso della recente visita. La Reggia vive di splendori costanti ma anche di perduranti difficoltà. La bellezza del monumento è sotto gli occhi di tutti. Dal punto di vista architettonico non teme confronti con altre dimore reali. In più, c’è il Parco che è un’attrazione straordinaria. Eppure, ci sono degli handicap

da superare. Finora la Reggia ha prodotto grandi numeri di visitatori, un tempo ancor più cospicui, tant’è vero che lo storico successo del milione di biglietti oggi appare un miraggio, è praticamente il doppio di quanto si produca in questi tempi. Il problema è che il gran numero di visitatori è rappresentato da turisti per caso, se non addirittura dalle scuole. Quello che va fatto è innalzare il livello culturale di chi si reca nel Palazzo reale. Va fatta una promozione con esposizioni d’arte di assoluto rilievo, non necessariamente costose, ma strategiche. Bisogna saper coniugare le esposizioni temporanee di arte classica, naturalmente allocabile nel monumento vanvitelliano, all’arte contemporanea, che è straordinariamente rappresentata nella Reggia dalla collezione “Terrae motus”. Bisognerà lavorare su entrambi i fronti, perché se è vero che la storia dei Borbone e dei loro artisti di corte è meritevole della massima attenzione, è pur vero che oggi il Palazzo Reale di Caserta è custode della più importante collezione tematica di arte contemporanea al mondo. “Terrae Motus” è un patrimonio nel patrimonio. E la promozione deve avvenire con iniziative scientifiche e con mostre temporanee dei protagonisti della collezione, quelli che un tempo venivano definiti come i maestri di “Terrae Motus”. Si rende necessario dare una prosecuzione a quelli che sono stati nel passato gli approfondimenti storico-critici legati al corpus di “Terrae Motus”, che con l’incremento degli spazi si candiderebbe a essere esposto nella sua completezza e non al 50% così come è avvenuto finora. Inoltre, bisognerebbe dare un prosieguo alle mostre personali di Mimmo Paladino, Keith Haring, Ernesto Tatafiore, appunto tre maestri della collezione, procedendo con una serie di

Caserta si libera di Napoli La Reggia vanvitelliana si candida a diventare struttura museale di primo piano e ha certamente tutte le carte in regola per esserlo. Ma chi si occuperà della promozione culturale?

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omaggi agli altri autori. Si possono pensare in prima battuta i napoletani più vicini: Nino Longobardi, Sergio Fermariello, Gianni Pisani, Silvio Merlino, e via via gli altri. Il Parco non può essere dimenticato come luogo per straordinarie esposizioni temporanee di arte ambientata. I precedenti sono veramente illustri. E proprio il Parco, e non tanto il Palazzo, dovrebbe diventare l’anello di congiunzione con la città di Caserta. Questo è un handicap della Reggia. Non essere mai riuscita a dialogare con la città. Ma la difficoltà dovrebbe essere superata dando alle cosiddette Cavallerizze, restaurate di recente, la funzione di cerniera con il contesto urbano. Si aprirebbe una porta verso il cen-

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tro cittadino e il Palazzo reale inizierebbe a diventare parte integrante della sua città. La Reggia finirebbe per diventare così il cuore pulsante di un intero territorio, privilegiando il rapporto con gli altri siti Unesco, come il Belvedere di San Leucio. Questo splendido complesso monumentale rientra nella città di Caserta e il Comune ne è proprietario. Nel corso degli ultimi anni si sono succeduti festival estivi di ampio rilievo, ma alla fine nulla o poco è rimasto di permanente. Il Belvedere ha bisogno di strutturarsi in Museo della Seta, nel rispetto della grande tradizione serica che il luogo ha espresso. Questo sarebbe il vero salto di qualità! 


di Agata Piromallo Gambardella

* Docente

Come comunica il mondo dell’Università

di Teoria e Tecniche della Comunicazione Università Suor Orsola Benincasa

Napoli capitale della cultura?

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ino ad alcuni anni fa s’inseguiva il sogno di fare di Napoli la capitale della cultura, ovvero di quella tradizione culturale che ha avuto nel Mediterraneo il suo epicentro. Il sogno, come si sa, è svanito. Le radici culturali di Napoli sono profonde e antichissime, ma oggi appaiono spezzate e non più in grado di alimentare e far crescere le forze migliori della città. Il napoletano è creativo e individualista; ma queste qualità, trasposte nell’ambito della gestione della cosa pubblica, spesso finiscono per dar luogo a una serie di iniziative, slegate tra loro, che, in qualche caso, generano inutili doppioni (pensiamo ai tre Musei di Arte contemporanea) i quali drenano, però, risorse pubbliche e private. Una persona, mediamente colta, rischia di disperdersi nelle offerte continue e massicce di conferenze, tavole rotonde, dibattiti, tentativi di recupero del centro storico: tutte iniziative che, partite da un’idea nata per caso e purtroppo lasciata al caso,

spesso servono a soddisfare soltanto il narcisismo di chi le propone. La quantità dell’offerta spesso non riesce a trasformarsi in una adeguata qualità del prodotto. Quando ciò, miracolosamente, accade, come nel caso dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici che per anni ha tenuto alto il nome di Napoli in tutto il mondo, viene d’un tratto misconosciuto e non più supportato economicamente, nella logica perversa delle elargizioni a pioggia che devono accontentare tutti (e forse nessuno). I criteri di selezione che dovrebbero presiedere a ogni seria pianificazione culturale sembrano non potersi attuare in una realtà come quella napoletana dove, tra l’altro, la mentalità clientelare prende il sopravvento fino al punto estremo di stravolgere lo stesso habitat urbano. A ciò si aggiunge, inoltre, il degrado del nostro patrimonio artistico-culturale che, salvo qualche sporadica iniziativa privata, sembra votato a scomparire anche dalla memoria collettiva. Oggi, infatti, molti giovani ignorano

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perfino l’esistenza di pezzi significativi del nostro patrimonio urbano. Il problema di fondo è essenzialmente educativo. Ed è in questa ottica che si vuole avanzare la proposta di rilanciare il ruolo delle Università. In che senso? Pensiamo all’importanza che esse avevano nel Medioevo come punti nevralgici intorno a cui si elaboravano vere e proprie strategie di salvaguardia del territorio e d’intervento politico in senso alto. Se si ritornasse a fare delle Università il centro di diffusione non solo di idee ma di progetti, si avrebbe l’opportunità di trasformare più rapidamente i nostri giovani da studenti in cittadini consapevoli. I dibattiti, gli incontri, le tavole rotonde, i forum di vario genere dovrebbero allora avere soprattutto nelle Università i loro centri propulsori e negli studenti gli interlocutori ideali. Le Università napoletane, inoltre, occupano spazi di grande interesse storico-paesaggistico: dai magnifici chiostri della Federico II, voluta dallo stesso imperatore svevo, ai maestosi edifici dell’Università Orientale, nata dall’antico Collegio dei Cinesi, ai nuovi insediamenti della Università Partenope, protesi sull’incanto del golfo. Per terminare con l’Università Suor Orsola Benincasa, dichiarata di recente dall’Unesco patrimonio dell’umanità. E proprio da Suor Orsola ci viene un esempio concreto di come l’Università possa interagire con il territorio attraverso uno scambio di esperienze che coinvolgono le forze migliori della città. Creare un legame organico e costante tra Università e territorio significa raf-

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forzare il ruolo di entrambi nella ricerca e nella realizzazione del cosiddetto bene comune. Ma ciò richiederebbe il verificarsi di due condizioni: la consapevolezza da parte delle forze politiche dell’urgenza di far confluire verso le Università il maggior numero di risorse possibili, impedendo che esse vadano disperse in mille rivoli che non riusciranno mai a diventare un fiume. In un momento in cui emerge una certa disaffezione nei riguardi della istituzione Università, soprattutto da parte delle famiglie che non vedono più nella laurea un accesso naturale al mondo del lavoro, è proprio dalle forze politiche operanti sul territorio che deve partire il suo rilancio. Meno laureati significa meno idee che circolano e quindi un impoverimento del tessuto sociale anche in termini di progettualità; un’offerta culturale concreta e variegata da parte delle Università la quale s’inserisca, naturalmente, nel curriculum degli studenti e dia loro quegli ulteriori stimoli necessari alla loro crescita e quelle sollecitazioni politiche in senso lato che possano orientarli nella costruzione del loro futuro. Non parole al vento, dette per ricevere consensi a buon mercato, ma proposte che non siano solo manifesti da mettere in vetrina. In altri termini, malgrado le critiche, talvolta anche condivisibili, volte al sistema università, esso resta, per ora, l’unico terreno di coltura in grado di far crescere nei giovani quella autoconsapevolezza che li renda capaci di gestire seri spazi di riflessione e di confronto. 


di Michele Infante

* Dottore di ricerca

L’associazionismo spontaneo in rete

in Teoria dell’Informazione e della Comunicazione UNISOB

La ricerca dell’Università Suor Orsola Benincasa

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l ruolo della formazione e della ricerca è anche quello di raccontare la complessità del nostro territorio e dei suoi processi socio-culturali. La ricerca, di cui vorrei brevemente presentare i risultati, analizza le dinamiche di un fenomeno in forte crescita nella nostra regione, l’associazionismo spontaneo in rete su temi d’interesse civico e d’impegno sociale. L’associazionismo spontaneo è un fenomeno nuovo e specifico di alcune aree campane, e dimostra come - senza nessun collegamento ad istituzioni, partiti, sindacati, e spesso in contrapposizione e polemica con essi o con gli stessi enti locali e governativi - il web permette di sviluppare ed incanalare i nuovi bisogni di partecipazione, di attivismo politico e di sensibilizzazione ambientale che emergono dal corpo sociale e dal territorio. La ricerca, che è stata svolta presso il Centro di Ricerca “Scienza Nuova. Laboratorio integrato di tecnologie innovative per le scienze sociali” dell’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” attraverso la piattaforma digitale Im.Media.Cy (I.nnovative M.ethods for Me.asuring Di.gital A.udience in Communication Yield), ha avuto come obbiettivo l’analisi del fenomeno, al fine di per comprenderne l’efficacia, studiarne gli effetti e quantificare con dati la sua ricaduta sociale e comunicativa. La ricerca ha pertanto analizzato l’utilizzo dei social media e delle nuove piattaforme tecnologiche digitali da parte dei membri delle associazioni, ha cercato di individuare un profilo tipo degli utenti, i valori che essi trasmettono o che li spingono ad associarsi e mobilitarsi tramite la Rete, ed infine, il tipo di linguaggio usato. La metodologia di ricerca usata si è avvalsa di tecniche digitali innovative - come la Sentiment e Network Analysis – applicate alla ricerca sociale. L’analisi dei canali di comunicazione digitali usati dalle associazioni (da Twitter, Facebook, Google+, Youtbue al sito web) ha

mostrato il ruolo fondamentale che questi nuovi strumenti di comunicazione digitale hanno nel promuovere, raccogliere informazione e sensibilizzare non solo gli iscritti ma anche l’opinione pubblica su temi che vanno dalla tutela del territorio ai diritti sociali, dalla legalità alla salvaguardia ambientale (rifiuti, discariche, inquinamento, lotta alle mafie ed utilizzo dei beni confiscati per fini sociali, fino alla promozione culturale e quella della diversità e dell’immigrazione). Ai fini della ricerca è stato selezionato un campione di 21 associazioni campane presenti sul web e che presentano un significativo livello di partecipazione e followers on-line: 1.Bici per la città, 2. Assomaggiore, 3. Viviamo la città, 4. Forum Ambiente Area Nolana, 5. Movimento Terramia, 6. Migr-Azioni, 7. Comitato Don Peppe Diana; 8. Libera Campania, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, 9. Nuova Cooperazione Organizzata, 10. Sottoterra Movimento Antimafie, 11. Amesci, 12. Agisci, 13. Napoli in movimento, 14. Let’s think-living an idea, 15. Terra di confine, 16. La terra dei fuochi, 17. L’E.C.O. della fascia costiera, 18. La nostra terra Marcianise, 19. Cittadinanza attiva Mondragone, 20. Vittime terre dei veleni, 21. DifendAtella. Un primo risultato di ricerca, è stata la geolocalizzazione delle 21 associazioni prese in esame, mappatura che ha mostrato come il fenomeno sia localizzabili principalmente nell’area periferica tra Napoli e Caserta, un’area che ha come confine Casal di Principe, a Nord-Est, Giugliano Campania ad est, e Cercola, Caivano, Caserta, per quanto riguarda il versando Ovest. Paradossalmente quest’area che presenta una situazione ambientale tra le più difficile e complesse della Regione, è anche quella dove il fenomeno dell’associazionismo è più sviluppato, creando una diretta correlazione tra la variabile “difficoltà ambientale” e “attivismo digitale”. Inoltre, su un campione rappresentativo di 8 asso-

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CULTURA E FORMAZIONE: GLI ATTRATTORI TURISTICI IN CAMPANIA

Mappa di Geolocalizzazione delle Associazioni analizzate

Nella Figura n° 1 - viene illustrata la mappatura di tutte le 21 associazioni campane presenti sulla rete, di modo da mostrare sia l’effettiva distribuzione delle sedi organizzative, sia il loro posizionamento topografico. Come si evince dalla cartina sottostante si evince la presenza di una maggiore concentrazione dell’associazionismo in aree periferiche che nelle aree del centro cittadino.

Legenda Distribuzione Geografica Associazioni sul campo di ricerca preso in esame A

MovimentoTerramia

F

Libera Campania Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

K

Viviamo la città

P

L’E.C.O. della fascia costiera

B

Comitato Don Peppe Diana

G

La terra dei fuochi

L

Forum ambiente area Nolana

Q

La nostra terra Marcianise

C

Nuova cooperazione organizzata

H

Terra di Confine

M

Migr-Azioni

R

Cittadinanza attiva Mondragone

D

Amesci

I

Bici per la città

N

Agisci

S

Vittime terre dei veleni

E

Sottoterra Movimento Antimafie

J

Assomaggiore

O

Let’s think-Living an idea

T

Difiendatella

ciazioni, è stata possibile applicare una metodologia di ricerca di tipo web-semantic atta a individuare le motivazioni e gli orientamenti dei followers (gli utenti). L’analisi digitale dei contenuti su cluster di occorrenze codificate ha permesso pertanto di capire le motivazioni ed il tipo di approccio che gli utenti hanno ai temi trattati, e le motivazioni che li spingono alla partecipazione in Rete. Si sono, infatti, assegnati delle variabili numeriche agli atteggiamenti degli iscritti, con valori in scala che vanno da un orientamento negativo Rabbia (4), Disagio sociale (-3), Indignazione (-2), Sfiducia (-1), ad uno positivo-propositivo Interessamento (1), Speranza/Fiducia (2), Passione (3), Empatia (4), Appartenenza (5). In tal modo, con software di elaborazione dati si è potuto indicizzare l’atteggiamento prevalente

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sul campione di associazioni prese in esame. I risultati sociali dell’indagine appaiono però contraddittori: se da un lato, si registra un trend di crescita sia nel senso di appartenenza alla comunità, sia nella caratterizzazione dei profili social dei followers, dall’altra, appare evidente che i “sentiment” e gli orientamenti che spingono gli utenti alla partecipazione on-line sono ancora di tipo negativo (sentiment come “rabbia”, “indignazione” e “disagio sociale” prevalgono rispetto ad aree semantiche positive come “identità”, “orgoglio”, “spinta all’azione pratica”). Infatti, se tra gli aspetti positivi del fenomeno vi è, oltre alla capacità concreta di organizzare eventi e manifestazioni, quella di costruire una rete tra le varie associazioni presenti sul territorio, va anche


Mappa con Area di Influenza delle Associazioni Analizzate

Nella Figura presente viene illustrata la mappatura dell’ area d’influenza delle Associazioni Campione, osservando l’illustrazione si notano profili di azione e coperture di territori ben delineati, dovuti anche alla collaborazione che nasce tra le associazioni stesse. Questa area individua l’area di maggiore concentrazione geografica del fenomeno analizzato.

Legenda Principali Associazioni prese in esame A

MovimentoTerramia

E

Sottoterra Movimento Antimafie

B C

Comitato Don Peppe Diana

F

Libera Campania

Nuova cooperazione organizzata

G

Terra dei Fuochi

D

Amesci

H

Terra di Confine

registrato che spesso i canali social delle associazioni sembrano essere più una valvola di sfogo di un malessere sociale diffuso, che reali luoghi di azione e proposta. La conversation analysis ha pertanto evidenziato come nel linguaggio usato nei blogs, nei commenti, nei feedback e nei post degli associati prevalgano toni aggressivi, violenti, iperbolici; come anche il ricorso all’atteggiamento sensazionalista dei media generalisti. Non a caso, la frequenza e la partecipazione degli utenti ai canali di comunicazione associativi è ancora legata all’azione di agenda setting fatta da quest’ultimi, e sono proprio informazioni, video, reportage dei media generalisti che i vari utenti si limitano spesso a condividere, senza accrescere significativamente il dibattito critico sulle tematiche trattate. Quando il tema non è più in agenda per i media tradizionali o quando termina l’azione / evento, sembra a guardare i dati di frequenza, adesione e partecipazione degli utenti all’as-

sociazionismo on-line, che gli utenti espressi on-line i propri sentiments di protesa ritornano ad una fase di disimpegno. In pratica, sembra che lo stesso bisogno di partecipazione attiva che è certamente stimolato dall’associazionismo on-line, viene da questo anche appagato (secondo quello che si può definire un tipico meccanismo di instant gratification assicurato anche da altre pratiche del web). In conclusione, possiamo dire che i social media per quanto riguarda i temi presi in esame non sono ancora entrati in Campania nella loro fase di maturità espressiva, di tipo attivo e propositivo; e nonostante hanno la funzione di canalizzare sul web una nuova emergente sensibilità verso i temi civici, rimangono ancora un canale di comunicazione e partecipazione secondario rispetto a quello dei media tradizionali, non avendo ancora sviluppato forme e linguaggi propri ed autonomi. 

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CULTURA E FORMAZIONE: GLI ATTRATTORI TURISTICI IN CAMPANIA

di Luciana Libero

Il mondo a casa propria: la “cultural valley” dell’Irpinia Sorprendente quanto sta accadendo nell’avellinese

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a creatività non è più quella di un tempo. Essa è oggi scienza, economia, comunicazione, in molti casi, anche profitto. Nei paesi dove lo hanno compreso, nascono nuove capitali del design e dell’innovazione; le competenze sono giovanissime e al tema è dedicato il programma 2014/2020 di “Creative Europe”. Ciò avviene di meno nel Sud dell’Europa, salvo alcune eccezioni come Barcellona o Marsiglia; poco in Italia dove un perdurante sguardo all’indietro ci tiene al palo, vincolati al patrimonio del passato. In Campania il discorso si fa ancora più critico. Napoli pullula di eventi; la sua produzione culturale è altissima; nonostante i vari “cambi di stagione” politici, le strutture resistono e le risorse non mancano. Tra il Madre, il Pan, le Gallerie private, il Forum delle culture, il Napoli Teatro Festival, i fondi europei e regionali, in questi anni Napoli non si è fatta mancare niente. Eppure il Mercadante, lo Stabile della città di una illustre tradizione drammatica, ha difficoltà a diventare Teatro Nazionale. Mancano i requisiti numerici ma forse manca la cosiddetta “visione” di un capoluogo che volga lo sguardo verso l’intera regione e comprenda che uno Stabile è espressione di un’intera comunità produttiva. Le sfide arrivano non solo dall’Europa; organismi privati che operano al Nord, come nel caso di “Che fare”, lanciano bandi per progetti creativi; le grandi Fondazioni (assenti al Sud) investono milioni sulla cultura. Ma il ritardo non è più una questione di risorse, se si pensa che nel periodo del Por Fesr 2007/2013, sull’asse culturale- turistico, è giunto in Campania un miliardo e più di euro. I pubblici beneficiari

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(Soprintendenze, Comuni, Province, Ept) gestiscono i progetti in prima persona - sindaci, assessori, funzionario, notabilato locale – perché non si ritiene la cultura una disciplina. Il gap è quindi squisitamente culturale, mentre altrove la crisi ha invece aguzzato l’ingegno. Le nuove pratiche hanno precise caratteristiche: autogestione, luoghi periferici, forte rapporto con la comunità. Non si va verso il mondo ma si porta “il mondo a casa”. Non c’è bisogno dello Stato ma della collettività. Sorprendente in tal senso quanto sta accadendo nell’avellinese e in Irpinia che sta diventando una sorta di “cultural valley”. Lo scorso anno nel Carcere Borbonico di Avellino era nata “La bella estate”, ottima proposta curata da Luca Caserta e Fortunato Iannaccone. E sempre in città, il rinato Festival del Laceno d’oro, già forte di una sua ricca storia culturale ha presentato autori di rilievo, retrospettive, workshop, cinema indipendente. Interessante il percorso di Maria Savarese che ha chiamato un grande esperto, Andres Neumann, per avviare un “Sistema Irpinia per la Cultura Contemporanea ” che attraversa Manocalzati, Mirabella Eclano, Rotondi, con studi di artisti aperti al pubblico e mostre, teatro, cinema. Promosso dall’allora assessore al turismo Giuseppe De Mita, il progetto si è mosso con una lunga attività di studio e ricerca, come quella che ha contraddistinto alcune delle migliori manifestazioni italiane (Mantova ad esempio), per costruire un ideale percorso tra memoria e futuro. (Un prossimo appuntamento il 13 Ottobre, a Bagnoli Irpino con Andres Neumann e Moni Ovadia su: ‘L’Arte e la Cultura sono una priorità Politica?’). Ancora in Irpinia, altra

Si porta il mondo in casa Lo scorso anno nel Carcere Borbonico di Avellino era nata “La bella estate”, ottima proposta curata da Luca Caserta e Fortunato Iannaccone. E sempre in città, il rinato Festival del Laceno d’oro, già forte di una sua ricca storia culturale ha presentato autori di rilievo, retrospettive, workshop, cinema indipendente.


novità è il Co.C.I.S, Coordinamento delle Compagnie Irpine di Spettacolo che, in accordo con il comune di Mercogliano, ha messo insieme varie realtà teatrali e musicali intorno ad uno spazio, il Teatro 99Posti, con un nutrito cartellone autogestito. Teatri fuori dai circuiti ufficiali, come il Civico 14 di Caserta guidato da Roberto Solofria. Autogestione, quindi, ricerca, competenze, modalità innovative di gestione. Si contano invece sulle dita di una mano gli eventi interessanti salernitani dove la capacità stessa di produrre cultura sembra schiacciata da politiche che hanno privilegiato consenso e dilettantismo. Le rare esperienze positive sono spesso silenziose e appartate. Tra queste il lavoro teatrale di Pasquale De Cristofaro; o sulla danza dello psichiatra e coreografo Claudio Malangone e della sua compagnia Borderline che presenta rassegne e laboratori con illustri artisti internazionali. Altra iniziativa pioniera quella del giovane Vincenzo Albano, che con mezzi propri sta presentando in questi giorni “Per

voce sola - parole della nostra scena”, assoli e monologhi di giovani artisti. Eppure la città ha visto tempi migliori. Se queste sono le iniziative che meritano una segnalazione, che dire infine di Napoli? Ci limitiamo a segnalare nella miriade di eventi, un gioiellino: “Il Teatro cerca casa”, una delle ultime “follie” di Manlio Santanelli. Autore rappresentato in diversi paesi europei, insieme alla sua compagna e ad altri sodali, propone teatro nell’“intimità” di una casa privata, come nelle antiche corti dei principi o ai tempi dell’arrivo della televisione. Il progetto di Santanelli sembra saltare dal salotto eduardiano al salotto vero e proprio. Geniale, come i suoi testi, da “Uscita di emergenza” del ’79 che diede l’avvio alla stagione del “Dopo Eduardo”, ai tantissimi capitoli della sua copiosa produzione. Dal Forum Universale delle Culture pieno di soldi e inconsistenza, al borgo, al teatrino, alle case, forse c’è di che pensare. 

Iniziativa pioniera Ci limitiamo a segnalare nella miriade di eventi, un gioiellino: “Il Teatro cerca casa”, una delle ultime “follie” di Manlio Santanelli. Autore rappresentato in diversi paesi europei, insieme alla sua compagna e ad altri sodali, propone teatro nell’“intimità” di una casa privata, come nelle antiche corti dei principi o ai tempi dell’arrivo della televisione.

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CULTURA E FORMAZIONE: GLI ATTRATTORI TURISTICI IN CAMPANIA

a cura di Franca Pietropaolo

Libertà, socialismo, democrazia. Il ‘cinismo sociale’ di Vilfredo Pareto Il saggio di Bruno Gambardella sul pensiero dell’economista e sociologo Pareto edito da Linkomunicazione

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ibertà, socialismo, democrazia. Il ‘cinismo sociale’ di Vilfredo Pareto. S’intitola così il saggio del professore Bruno Gambardella edito da Linkomunicazione. Centosedici pagine da cui viene fuori l’atteggiamento critico dell’ingegnere, economista e sociologo italiano Pareto nei confronti delle ideologie. Un atteggiamento interessante per chi si accosta al “Socialismo” e alla “Democrazia” non con l’animo di chi possiede la propria ricetta per risolvere i mali del mondo, ma piuttosto con una curiosità scientifica ed analitica. L’atteggiamento di Vilfredo Pareto non è dovuto al caso, ma ad una scelta di campo ben precisa. In un’epoca caratterizzata dal crollo del mito della Rivoluzione francese, dalle prime lotte sociali e di classe ispirate al socialismo marxiano, dal trionfo di un ottuso statalismo economico, dalle difficoltà dei liberali nell’imporre le proprie idee sull’economia e sull’organizzazione della società, Pareto sentì il bisogno di operare su basi scientifiche, distaccate dalle passioni della sua gioventù. In questo senso, il testo rappresenta una ricognizione analitica e rigorosa, disincantata ma contemporaneamente curiosa, di uno dei pensatori più eclettici della contemporaneità. Il saggio inaugura l’attività editoriale in senso “librario” della società Linkomunicazione che ha deciso per volere dell’editore Silvio Sarno, di toccare con mano e di vivere sin dalla fase embrionale la pubblicazione di libri. Bruno Gambardella ci ha spiegato, in breve, “da dove viene” il suo saggio su Pareto e come ha superato le difficoltà che incontra la maggior parte degli autori esordienti nel momento in cui decide di concretizzare un progetto editoriale.

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Professore Gambardella, ci presenti in breve il suo saggio “Libertà, Socialismo, Democrazia. Il ‘cinismo sociale’ di Vilfredo Pareto” «Come amo dire, il mio saggio su Vilfredo Pareto nasce dallo smontaggio e dalla ricostruzione di un lavoro che avevo da tempo nel cassetto. Attraverso l’analisi di alcune opere di un pensatore eclettico e difficilmente catalogabile, ho esaminato tre concetti fondamentali per l’uomo moderno: libertà, socialismo, democrazia. Al di là dell’analisi del pensiero paretiano, io e il mio prefatore (il prof. Gianpaolo Basile), abbiamo volutamente lasciate aperte delle finestre sul futuro: questi temi non sono solo attualissimi, ma ci interrogheranno anche nei prossimi anni». Quali difficoltà incontra un autore “esordiente” nel trovare, in un momento come questo, una casa editrice disposta a sposare le esigenze e il desiderio di pubblicare il proprio libro? «In Italia, in quasi tutti i campi, gli esordienti hanno difficoltà a trovare chi possa offrire loro una possibilità. Certo, la crisi si fa sentire, ma spesso la mancanza di coraggio e lungimiranza non è legata al momento contingente. La saggistica, forse, offre qualche possibilità in più: se il prodotto proposto risulta essere di buona fattura e va a soddisfare una possibile richiesta, anche gli esordienti possono sperare di farsi notare. Sono grato alla mia casa editrice perché, con professionalità e passione, non solo ha pubblicato il mio saggio, ma mi ha accompagnato passo passo in questa prima avventura editoriale: non è cosa frequente e, soprattutto, per un autore esordiente, inesperto e timoroso, conta tantissimo». 


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RICERCA E INNOVAZIONE: OBIETTIVO AMBIENTE

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di Paola Liloia

La questione petrolio ad Avellino Le ragioni de si e del no a confronto

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etrolio o non petrolio? Il tema è delicato e i giudizi rischiano di essere inficiati da posizioni ideologiche o interessi economici di parte. In Irpinia dopo due anni di melina che hanno visto crescere il fronte del NO e hanno registrato la contrarietà - tradotta in delibere - della Provincia di Avellino e degli oltre 40 Comuni interessati, la partita è entrata nel vivo. Da una parte, per l’avvio della fase istruttoria presso l’assessorato all’Ambiente della Regione Campania da cui si attende un pronunciamento sulla Valutazione di Impatto Ambientale; dall’altra, per l’improvviso scatto in avanti del Governo che con il Decreto Sblocca Italia ha fissato per i procedimenti in corso presso le Regioni il termine del 31 dicembre 2014, trascorso il quale la decisione sarà di sola competenza ministeriale. IL PROGETTO Denominata ‘Progetto Nusco’ quella delle trivellazioni in provincia di Avellino è una questione affatto limitata all’omonimo Comune: sono 45 i paesi coinvolti e circa 700 i kmq interessati di cui la quasi totalità in Irpinia e solo 2,5kmq nel Sannio, su cui però insistono anche i progetti Case Capozzi e Pietra Spaccata. Il primo pozzo esplorativo sarà realizzato a Gesualdo in un’ex cava. Di tentativi a vuoto tra l’Alta Irpinia e la Valle Ufita, dal ‘35 all’89, nel perimetro ‘Nusco’ ne sono stati fatti già 27. A beneficiare ora del permesso di ricerca del petrolio, rilasciato nel 2010 dal Mise e con scadenza aprile 2017, sono il COGEID e la Italmin

Exploration, che dovrebbero trivellare – caso raro nel suo genere - a soli 350 metri dal centro abitato. È questa l’area di produzione dell’olio Dop “Irpinia Colline dell’Ufita” e del Taurasi Dogc, non molto distante da altri tre vitigni pregiati: il Fiano di Avellino, il Greco di Tufo e l’Aglianico del Taburno. Inoltre, come segnalato dal prof. Franco Ortolani, ordinario di Geologia dell’Università Federico II, il Progetto Nusco ingloba una parte significativa dei Monti Picentini: “acquiferi di importanza strategica nazionale con sorgenti di acqua potabile della portata media di circa 8mila litri al secondo. Ai margini, l’invaso di Conza della Campania con capacità di circa 100 milioni di mc”. In altre parole, l’area interessata dalle trivellazioni rappresenta il più grande bacino idrico del Sud e alimenta i principali acquedotti meridionali (Acquedotto Pugliese, Alto Calore e Abc di Napoli) che dissetano buona parte della regione e la Puglia. LE RAGIONI DEL NO E IL POSSIBILISMO Il rischio di contaminazione del suolo e delle acque in superfice e sotterranee, il recente studio della commissione Ichese che non esclude la possibile correlazione tra eventi sismici e attività estrattiva, l’importante carica tettonica accumulata dall’area del Cratere a 34 anni dal sisma del 1980, sono alcuni degli elementi a supporto del fronte del NO. “L’Europa negli ultimi 20 anni ci ha chiesto di disegnare aree interne a km zero, di puntare a uno sviluppo sostenibile, al-

Progetto Nusco Quella delle trivellazioni in provincia di Avellino è una questione affatto limitata all’omonimo Comune: sono 45 i paesi coinvolti e circa 700 i kmq interessati.

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RICERCA E INNOVAZIONE: OBIETTIVO AMBIENTE

l’ospitalità, all’eccellenza enogastronomica; ora tutto rischia di saltare” – spiega Roberto de Filippis del Coordinamento irpino No Triv che, assieme ai comitati ‘No Petrolio Alta Irpinia’ e ‘No trivellazioni petrolifere Irpinia-Gesualdo’, sta realizzando un’intensa attività di informazione. “Se la Regione Campania non si pronuncerà perché Caldoro deve ripresentarsi alle elezioni, la doppia faccia del PD suscita perplessità: a livello locale si dice contrario, a livello nazionale accentra le decisioni in materia energetica. Il Consiglio regionale dovrebbe impugnare al Tar lo Sblocca Italia”. “L’Irpinia non vuole il petrolio e tra i comitatini c’è pure il PD provinciale”. È la frecciata che Mario Pagliaro, responsabile Ambiente del PD irpino, consegna ai deputati democratici Valentina Paris e Luigi Famiglietti: “Nessuna doppia faccia: è normale che un partito con vocazione di governo abbia tante anime. Il segretario e Premier vuole lavorare su tutte le opzioni di sviluppo possibili, mentre la segretaria provinciale si è espressa in maniera netta sul petrolio, vincolando al NO tutti i livelli dal consigliere comunale al parlamentare, ma non ci siamo limitati a dirci contrari, abbiamo detto cosa vogliamo fare. In questi mesi abbiamo elaborato un’analisi costi e benefici delle trivellazioni, abbiamo introdotto con una risoluzione congiunta delle commissioni parlamentari Ambiente la griglia di valutazione e siamo per un’idea di sviluppo reversibile. Scavalcheremo il parere della Regione, che con De Mita e Caldoro ha portato il petrolio in Irpinia, agendo direttamente a Roma. E ricordo – conclude fiducioso Pagliaro – che Renzi ha parlato esplicitamente di trivellazioni in Basilicata e Sicilia dove già c’è attività estrattiva”. Tra chi ritiene invece che l’oro nero possa rappresentare un’opportunità per il territorio, c’è Raffaello De Masi, geologo e chimico industriale con 25 anni di esperienza nel campo della ricerca petrolifera che ha più volte sottolineato la presenza di 8 livelli di sicurezza, stratificati in funzione delle pericolosità, e che in caso di fault la tecnologia oggi è estremamente efficace, rapida e capace di ripristinare del tutto lo status quo. Sul piatto dei possibilisti, che vedono nel petrolio un’occasione in termini di svi-

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luppo e ricchezza sotto forma di royalties (gli estrattori devono corrispondere allo Stato il valore di una quota percentuale del greggio estratto pari al 10%, distribuito a Regioni e Comuni e al fondo di riduzione del prezzo dei carburanti), c’è anche l’impatto occupazionale. Una tesi che però si scontra con quanto recentemente scritto sul Sole 24 Ore da Leonardo Maugeri dell’Energy Advisory Board del Mit: “le possibili produzioni italiane cui dare mano libera sarebbero vantaggiose solo se si tengono sotto stretto controllo i costi, e quindi si limita l’assunzione di personale […] gran parte dei siti produttivi si controllano con poche persone, in molti casi da postazioni remote”. Una tesi realistica se si considera la desolazione in cui è piombata la Val d’Agri. 

Mario Pagliaro, responsabile Ambiente del PD irpino

“L’Irpinia non vuole il petrolio e tra i comitatini c’è pure il PD provinciale”.


INTERVISTA A FRANCESCO FIMMANÒ

Dal Napoli calcio a Bagnolifutura I rilievi sociali, i risvolti simbolici ed economici dell’area di Bagnoli a cura della Redazione

È

uno dei professionisti più eclettici della Napoli bene. Intervistiamo il Prof. Francesco Fimmanò, Ordinario di Diritto commerciale dell’università del Molise e Direttore scientifico dell’Università Telematica Pegaso, curatore fallimentare nominato dal Tribunale di Napoli per il fallimento Bagnolifutura. 10 anni fa era uno dei componenti della triade cui il Tribunale affidò il fallimento del Napoli, la difesa del titolo sportivo e che lo cedette ad Aurelio De Laurentis. Professore, sono passati esattamente dieci anni dal fallimento del Napoli calcio, vi sono analogie? Direi proprio di sì: per rilievo sociale, per risvolti simbolici e di immagine per la nostra città, e perché è il risultato di una lenta ed inesorabile agonìa, dal finale abbastanza prevedibile. Come il Napoli il fallimento è stata una occasione perduta ed insieme una occasione da non perdere. Prevede analogie anche in positivo, visto il successo di quella esperienza? Si usa dire che le crisi - come le guerre sono occasioni di sviluppo. Certamente liberano energie e risorse. Ora come allora il fallimento fa chiarezza e chiude l’inutile e lungo stillicidio dell’immobilismo. La curatela può solo creare (o meglio potrebbe creare in astratto) le condizioni migliori, come accadde allora. E chi dovrebbe coglierle, il Comune di Napoli?

Guardi, a prescindere da chi incarna oggi la istituzione comunale, certamente non mi pare ci siano le condizioni economiche per una realizzazione di questa importanza. Soprattutto se si vuol cogliere l’ultima grande che Napoli ha. Poi sinceramente mi pare che per fare le cose occorrono idee chiare e qui non ne vedo. E l’intervento del Governo? De Magistris ha parlato di un esproprio? Innanzitutto prima dell’evocato esproprio c’è stato lo spossessamento generato dal fallimento, bastava ricapitalizzare la società pagare i debiti e tutto sarebbe rimasto al Comune. Ora senza voler entrare nel merito, anche su questi temi occorrerebbero idee più chiare, altrimenti si genera confusione e si fa disinformazione. Anche il Napoli sarebbe rimasto agli azionisti se avessero ricapitalizzato. Quindi ha fatto bene Renzi? Nel senso che scavalca l’ente che si è dimostrato incapace? Guardi non mi porti su terreni che non appartengono al mio ruolo. Anche il Governo deve dimostrare ancora di voler fare scelte giuste. In verità la norma speciale è molto confusa e difficilmente realizzabile. Visto il carico delle responsabilità, sarei l’uomo più felice del mondo se quel decreto potesse realizzarsi domani anzi oggi, ho dubbi sul piano tecnico. Prima di curatore e avvocato sono un giurista e le norme le studio, le insegno. Non mi sembrano proprio norme di un legislatore bril-

Francesco Fimmanò

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RICERCA E INNOVAZIONE: OBIETTIVO AMBIENTE

lante. La conversione dei crediti in azioni è oggetto di uno dei miei saggi di maggior successo, tradotto in sette lingue, ma una cosa è fare il professore ed elaborare teorie, l’altra è l’applicazione operativa. Quindi non condivide l’intervento normativo? Il problema non è tanto risolvere la questione fallimentare, per quella esistono strumenti appositi per cui non occorreva neppure la legge. Occorre viceversa per cambiare programmazioni sbagliate che rappresentano al tempo stesso alibi per qualcuno ed ostacoli insormontabili per altri. Veda immagino cosa accadrà nelle conferenze di servizio, ed ancor peggio in provvedimenti unilaterali del commissario straordinario, impugnative e cause, l’una dietro l’altra. Insomma la storia che si ripete. La programmazione resta un problema del territorio. Le leggi non sostituiscono gli uomini, le idee, i popoli, i sindaci, le amministrazioni. Ecco. Ma è vero che ha avuto molte perplessità ad accettare l’incarico? Credo che l’esperienza serva a valutare bene le difficoltà. La vicenda presenta criticità notevoli. E le dico più passa il tempo più divento pessimista. Il fallimento rischia di diventare il coperchio sotto cui parcheggiare per altri lunghi anni la questione. In particolare? Innanzitutto v’è la questione ambientale e l’armonizzazione delle competenze rispetto al sequestro penale, revocato ma su cui pende riesame. Si tratta da un lato di garantire sicurezza e dall’altro permettere di realizzare gli interventi sanciti dal giudice penale. La curatela per sua natura giuridica ha una legittimazione limitata, specie in mancanza di esercizio provvisorio, e comunque una carenza di risorse adeguate. Certo non può provvedere alle bonifiche ed intanto il tempo passa. Il decreto per ora è carta. Lei in una intervista a Repubblica ha detto a Renzi sarebbe venuto inutilmente a Napoli già ad Agosto per verificare l’andamento dei lavori di bonifica. Probabilmente non gli avevano spiegato la cosa Agosto era dietro l’angolo e prima dei lavori occorreva la riallocazione dell’impresa in crisi. Non vorrei che al Presidente del Consiglio fosse sfuggito che la società è stata dichiarata fallita. Anzi in verità solo nella versione

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finale del decreto l’ho trovato prima si faceva sempre riferimento alla società in bonis. Si parla come soggetto attuatore di Fintecna, o Cassa depositi e prestiti e di altri creditori, che ne pensa? Guardi non basta risolvere la questione dei debiti, qui occorre incarnare una grande speranza ed occorrono rilevantissime risorse. Quanto alla posizione di Fintecna abbiamo studiato attentamente ruoli e responsabilità della stessa. E sono già partite le azioni. Ma in realtà nelle azioni civili avete coinvolto tutti dal Comune al Ministero, dalla Regione a Fintecna, dalla Presidenza del Consiglio alla Provincia, da Fondazione Idis a Caltagirone? Ci sono responsabilità e ci sono inadempienze. Abbiamo soprattutto finalmente definito le une e le altre. Ma soprattutto ci sono i soliti scarica barile. Saremo implacabili da questo punto di vista. Quindi non si può sognare un’araba fenice come è stato per il Napoli fallita dalla C alla Champions League? Diciamo con una battuta che Bilbao ci ha dato una lezione anche sul recupero e rilancio dei medesimi problemi di bonifica di Sin, oltre che su come si vive la passione calcistica. Nella famosa notte ero lì e sinceramente mi sono piaciuti molto di più i cittadini tifosi del Bilbao che i nostri, per non dire altro. Bagnoli è la grandissima ed unica occasione di riportare Napoli nel firmamento delle capitali mondiali. Quel che è certo è che ce la metteremo tutta affinché ciò accada, ma siamo stati marginalizzati. Mi permetta una battuta, ma la dico solo come battuta faccia attenzione, perché non rientra certo tra le mie competenze. Chissà che un giorno venga alzata a Napoli la Coppa dei campioni nel CoroglioStadium sul mare. I sogni talvolta si avverano, ma visto l’andamento del Napoli e le idee confuse delle istituzioni, probabilmente non sarà capitan Hamsik a farlo... E per i risvolti occupazionali? Ci siamo mossi per garantire la cassa integrazione al personale nel più breve tempo, in attesa che il Comune ponga in essere le procedure per la mobilità in altre società, semmai funzionali alla medesima area. Stiamo solo attendendo le scelte delle rappresentanze sindacali che abbiamo già incontrato. 

Renzi ha fatto bene? Non mi porti su terreni che non appartengono al mio ruolo. Anche il Governo deve dimostrare ancora di voler fare scelte giuste. In verità la norma speciale è molto confusa e difficilmente realizzabile.


di Marianna Quaranta

La favola dello zoo di Napoli in un cortometraggio Intervista a Maria Manfredi e Nicola Graziano

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el 2013, Link dedicava uno spazio alla vicenda dello zoo di Napoli intervistando l’ing. Floro Flores che si era dato carico di dare nuova vita ad una struttura storica per la città di Napoli. In quella occasione emergeva lo spirito di collaborazione e di affezione che le istituzioni, la magistratura ed il mondo dell’imprenditoria dedicavano al parco, mostrando una cura ed un interesse scevro dai calcoli e dai numeri. Dopo un anno, la bella vicenda diventa oggetto di un video – documentario “IL BEL GIARDINO” realizzato da Maria Manfredi responsabile del settore video comunicazione dell’associazione ID EST che racconta insieme al dott. Nicola Graziano, giudice delegato nella inedita veste di “attore”, cosa li ha spinti a dedicarsi con tanta cura al progetto. Dottoressa Manfredi, conoscendo la galanteria del dott. Graziano, cominciamo con Lei: cosa l’ha spinta ad editare un videodocumentario sullo zoo di Napoli?

Attraverso la mia passione per la fotografia e per i video cerco di rendermi utile. Non credo di poter cambiare il mondo, ma collaborare con piccoli contributi al suo miglioramento è una mia esigenza. Come si è imbattuta nel dott. Graziano? Navigando in rete nel maggio del 2013, apprendevo del fallimento, in atto ormai da tempo, del Giardino Zoologico di Napoli. Ciò che mi colpiva era l’entusiasmo contagioso che i cittadini, le Associazioni, le Istituzioni profondevano in questa avventura. Inviai subito una petizione pubblica perché questo bel Monumento della mia città venisse preservato e con esso i posti di lavoro e gli animali. All’epoca fui contattata dall’Associazione Artètéca e da Carla Orilia alla quale comunicai che volevo partecipare con uno spot, un piccolo video di 3 minuti, che servisse a sensibilizzare l’opinione dei più pigri, di quelli che potevano essere raggiunti online attraverso i social con delle immagini convincenti. Da lì è partito tutto, ho fatto richiesta ufficiale al Cu-

Il bel giardino Dopo un anno, la bella vicenda diventa oggetto di un video – documentario realizzato da Maria Manfredi responsabile del settore video comunicazione dell’associazione ID EST che racconta insieme al dott. Nicola Graziano, giudice delegato nella inedita veste di “attore”, cosa li ha spinti a dedicarsi con tanta cura al progetto.

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RICERCA E INNOVAZIONE: OBIETTIVO AMBIENTE

Le novità Il futuro dello zoo è già iniziato. Le persone stanno rispondendo positivamente. Una parte della struttura è stata già riqualificata e restituita al tessuto cittadino. C’è stata in questi giorni l’inaugurazione della “Fattoria” dedicata ai ragazzi.

ratore Fallimentare, il dott. Salvatore Lauria e al Giudice Delegato Dott. Nicola Graziano, per essere autorizzata a fare qualche ripresa nel Giardino: iniziava l’avventura del video “IL BEL GIARDINO”. Nel frattempo si teneva al Teatro Palapartenope un Concerto per raccogliere fondi e la cantante tunisina M’Barka Ben Taleb aveva chiamato a raccolta Angelo Di Gennaro, Giosi Cincotti, Ciccio Merolla, Enzo Gragnaniello, Daniele Sepe, Antonio Onorato, Gennaro Cosmo Parlato, Edoardo Amirante ensamble, Medi Tamburi e il Triotarantae per sostenere l’impresa. Si faceva sempre più probabile l’intervento dell’ imprenditore Francesco Floro Flores che si candidava per salvare il Giardino Zoologico di Napoli, presentando un progetto rispettoso delle strutture architettoniche esistenti ma anche capace di portare tutto l’impianto al livello dei migliori Parchi Europei. Ed ora siamo qui.. Come si sviluppa il suo lavoro? Il video inizia con una favola di animali che vivevano felici in un bel giardino. All’improvviso il sogno finisce e comincia la crisi… fino a quando arriva qualcuno che prende a cuore il giardino… il resto lo vedrà nel film. Va bene ci tengo… Se mi consente vorrei citare tutti quelli che gratuitamente si sono dedicati al progetto, in prima battuta la video-maker Francesca Capaldo ed ONDAWEB che ha portato avanti le

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riprese e la post-produzione. Mariarosaria Paesano che ha scritto l’introduzione ed amici e protagonisti della vicenda che si sono prestati a vestire i panni di attori. Dott. Graziano e Lei come ha vissuto questa inusuale esperienza? Quando ho visto il video mi sono commosso, è davvero molto bello! Mi ricordo di quando abbiamo dovuto dare le autorizzazioni per tagliare le unghie agli elefanti. La prima cosa che ci siamo chiesti è: ma come si fa? Ma perché gli elefanti si tagliano le unghie? Eh! In natura no perché lo sfregamento con il terreno non lo rende necessario, ma in cattività si! E allora abbiamo dovuto concertare il lavoro con i veterinari. Addormentare un pachiderma senza fargli del male non è un’impresa così semplice! Posso dire in due battute che questa è stata una gestione fallimentare impegnativa… sia fisicamente che emotivamente. E ora il futuro? Il futuro dello zoo è già iniziato. Le persone stanno rispondendo positivamente. Una parte della struttura è stata già riqualificata e restituita al tessuto cittadino. C’è stata in questi giorni l’inaugurazione della “Fattoria” dedicata ai ragazzi. E di Edenlandia che ci dice? Anche questa questione la stiamo risolvendo. Anzi, spero che al momento dell’uscita di questa chiacchierata sia già tutto risolto. 


di Sveva Scalvenzi

“Noi per Napoli”: l’associazionismo a favore della città Intellettuali, cittadini e forze economiche attivi per la risoluzione dei problemi di Napoli, intervista al professor Amedeo Lepore, tra i promotori dell’associazione

Noi per Napoli: scomoda testimonianza Un’associazione nata un anno fa, dalla collaborazione di cittadini, intellettuali e forze economiche, con la volontà di studiare soluzioni ai problemi, che da sempre attanagliano il territorio partenopeo.

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uando le istituzioni, locali e nazionali, per troppo tempo restano immobili dinanzi ai problemi di una città, in questo caso Napoli, gruppi di persone decidono di associarsi per ottenere quel cambiamento, da troppo tempo atteso. È questo il caso di “Noi per Napoli”, un’associazione nata un anno fa, dalla collaborazione di cittadini, intellettuali e forze economiche, con la volontà di studiare soluzioni ai problemi, che da sempre attanagliano il territorio partenopeo. Per questo motivo la questione Bagnoli è stato il primo obiettivo che si è posto l’Associazione. “Noi per Napoli”, infatti, si è fatta promotrice di un documento rivolto al premier Matteo Renzi, dal titolo “Affinché Napoli possa riprendere la via dello sviluppo”. Raccogliendo molte firme di cittadini, enti e associazioni, si è redatta una lista di soluzioni reali per la riqualificazione di Bagnoli. Il lavoro dell’Associazione non si limiterà a Bagnoli, ma continuerà per tutte le aree della città in dissesto. I promotori di “Noi per Napoli” sono: Pasquale Belfiore, Luigi Bianco, Gennaro Biondi, Lilli De Felice, Bruno Discepolo, Paolo Frascani, Mariano Giustino, Gaetano La Nave, Amedeo Lepore, Marcello Martinez, Gianni Pinto, Umberto Ra-

nieri, Nicola Tremante. L’intervista ad Amedeo Lepore, professore di Storia economica. Come e perché nasce l’Associazione Noi per Napoli? L’associazione è nata con l’esigenza di occuparsi, con uno spirito civico, di Napoli e dei suoi problemi, affrontandoli con attenzione ai contenuti e alle progettazioni possibili. C’è stata una grande partecipazione degli intellettuali, delle forze economiche, dei cittadini, dei giovani napoletani, che hanno sostenuto quest’ini-

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RICERCA E INNOVAZIONE: OBIETTIVO AMBIENTE

ziativa e costruito momenti di confronto, che hanno riguardato il Mezzogiorno, con la presenza del Ministro Trigilia. Al centro dei dibattiti ci sono state le questioni di Napoli e della sua area metropolitana, i problemi urbanistici, a cominciare dalla sua capacità di riqualificazione e sviluppo. Adesso l’Associazione sta affrontando la questione Bagnoli, ha scritto un documento di carattere generale, che ha consegnato al Presidente del Consiglio ad Agosto, chiedendo un impegno preciso a contribuire e aiutare a risolvere questi problemi. Abbiamo esposto concreti punti di programma per risolvere le problematiche, presentando una proposta e non di una rivendicazione. La discussione ha trovato

“Siamo di fronte a una situazione complessa, alla quale il Comune ha contribuito, con il fallimento di Bagnoli Futura e, con l’ordinanza fatta su Fintecna, che è stata tecnicamente sbagliata”. udienza con un incontro avuto con il Sottosegretario Delrio. De Magistris accusa Renzi di avergli levato qualsiasi potere, con il decreto per Bagnoli, è d’accordo? Il Governo ha fatto bene a intervenire e a esercitare la sussidiarietà verticale, cioè laddove un organo dello Stato, in questo caso le istituzioni locali, non è in grado, di risolvere problemi di così grande portata, è necessario che ci sia qualcuno che si assumi le responsabilità. Io spero che de Magistris non scelga la strada di una contrapposizione, che genererebbe altri ritardi. Siamo di fronte a una situazione complessa, alla quale il Comune ha contribuito, con il fallimento di Bagnoli Futura e, con l’ordinanza fatta su Fintecna, che per me, è stata tecnicamente sbagliata. Credo che ci siano le condizioni, perché il Comune e le istituzioni locali, possano

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partecipare alla fase di elaborazione della strategia per quest’area, dichiarata area strategica d’interesse nazionale. Bagnoli diventerà il polo della futura città metropolitana? Non è semplice, perché bisogna risolvere problemi che si sono accumulati in questi anni, scegliendo un commissario e un soggetto attuatore, si può riqualificare questo territorio e cercare di attuare soluzioni in tempi brevi. Soluzioni che coinvolgano soggetti presenti sul territorio e le risorse finanziare che sono necessarie per un progetto così ambizioso. Non basteranno quelle pubbliche, che serviranno per la bonifica, bisogna attrarre anche investimenti privati, che consentano in modo corretto, di rigenerare Bagnoli. Come vede l’alleanza di de Magistris con il PD, per la costruzione della città metropolitana? Io penso che la Città Metropolitana nasca timidamente, sarebbe stato preferibile che nascesse da un consenso dei cittadini, questo si può realizzare, perché se questa fase costituente è dedicata ai contenuti e allo statuto della città metropolitana, potrà avvenire che alla scadenza del mandato del comune di Napoli, si possa avere l’elezione diretta del sindaco metropolitano. Cosa comporterebbe una possibile sospensione del sindaco? In questa fase è utile evitare ogni forma di appesantimento, è necessario capire se sia più utile paralizzare il percorso di Napoli e se non sia invece il caso di prendere decisioni che semplifichino questa situazione. Le sorti della città sono legate alle forze politiche che dialogano poco con la città. L’associazione ha il compito di dare una rappresentanza e un canale alle forze di cittadini che vogliono guardare al futuro. Cosa aspettarsi, invece, dalle prossime Primarie del PD per le Regionali? Io mi auguro che si discuta di contenuti e programmi e che, si faccia un discorso democratico e non fittizio. Non mi pare che questo strumento sia stato utilizzato nel modo più giusto, bisogna far vivere la democrazia e far scegliere i cittadini e non gli apparati dei partiti. 

Il ruolo dell’associazione Le sorti della città sono legate alle forze politiche che dialogano poco con la città. L’associazione ha il compito di dare una rappresentanza e un canale alle forze di cittadini che vogliono guardare al futuro.


di Maria Beatrice Crisci

Terra di lavoro si racconta: opera ed ingegno Opera3D: la stampante tridimensionale ideata dagli imprenditori Cassella e Carusone Imprenditori inventori Antonio Cassella e Fabio Carusone, entrambi vivono a Camigliano in Terra di Lavoro. Sono loro gli ideatori della stampante tridimensionale “Opera3D”.

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i scrive Opera 3D e si legge stampante tridimensionale. L’idea, davvero innovativa, è venuta a due giovani e brillanti imprenditori Antonio Cassella e Fabio Carusone, entrambi vivono a Camigliano in Terra di Lavoro. Sono loro gli ideatori della stampante tridimensionale “Opera3D”, un nuovo modo per ideare, progettare e realizzare.

È la materializzazione delle idee, un processo di innovazione tecnologica e produttiva. «Si certo! la nostra stampante è composta da un telaio molto rigido che ne garantisce stabilità ed efficienza. All’interno troviamo circa 50 elementi, la parte meccanica, che a sua volta viene gestita da una parte elettronica. È rivestita da un materiale del tutto in-

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RICERCA E INNOVAZIONE: OBIETTIVO AMBIENTE

novativo, scrupolosamente scelto, che offre stabilità e allo stesso tempo un’ottima estetica. Opera3D nasce con l’obiettivo di partecipare a questa imminente rivoluzione industriale da protagonista; l’idea è di avvicinare quanto prima le persone alla stampa 3d anche attraverso corsi di formazione presso le apposite strutture, come già avviene in altri paesi. Intanto forti segnali vengono anche dall’Italia, è nato il primo franchising di stampa 3d che conta di avere almeno un affiliato in ogni città entro il 2015». Un progetto in cui credete fortemente? «Crediamo che la vera forza di questa tecnica sia la tecnica stessa, ossia la capacità di essere utile e complementare in ogni settore, dall’hobbistico alla medicina». Come nasce questa vostra idea? «Il progetto nasce dalla passione per l’informatica e le nuove tecnologie ma soprattutto dalla voglia di realizzare qualcosa che possa essere interessante ed utile alle persone. La stampa 3D può essere definita innanzitutto come un concetto, un nuovo modo di pensare o di lavorare. La tecnica della stampa sembra aver coinvolto già moltissimi settori: architettura, progettazione industriale, aerospaziale, arredamento, insomma un mercato a 360 gradi che nel medio periodo, secondo gli analisti, provocherà una equiparazione dei costi di produzione tra oriente ed occidente riportando le attività produttive/manifatturiere ad una dimensione locale e non più globale». Che significa questo? «Negli Stati Uniti prevedono che il mercato delle stampanti 3d avrà un valore di circa 180 miliardi di dollari entro il 2018; anche i colossi mondiali del settore si sono già mossi in questa direzione, come ad esempio Microsoft che, nella sua ultima versione Windows 8.1, include per la prima volta un software di modellazione 3d». Entriamo nei dettagli. «La nostra stampante 3d è stata concepita per realizzare progetti attraverso la tecnica fdm ovvero fused deposition modelling. Tale tecnica prevede la deposizione di un polimero fuso, strato dopo strato e depositato con una precisione vicina ai 100 micron. Il tutto parte da un modello 3d (progetto) che può essere realizzato con un qualsiasi programma tipo

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autocad, blender, sketchup ed altri ancora. Il file realizzato in formato stl viene poi tradotto da un altro programma nel formato “gcode” (linguaggio macchina). Nel gcode ci sono tutte le istruzioni che la stampante eseguirà, istruzioni che naturalmente deciderà l’utente a seconda delle proprie esigenze, e qui parliamo di velocità di stampa, percentuale di riempimento, livello di precisione e tanti altri parametri». E per il futuro? «Crediamo fortemente nel successo che tale tecnologia potrà avere soprattutto se inserita nell’ambito della scuola come materia didattica, anzi perché non realizzare un laboratorio di stampa 3d in ogni scuola?». Avete già ricevuto richieste? «Certo! Assistenza, formazione e fornitura di stampanti e materiali consumabili per 2 due store che nasceranno a Roma e a Latina. Inoltre, un’azienda di moda e fashion magazine ci ha chiesto la fornitura di “accessori” da collocare sul mercato entro fine anno e che saranno presentati presso il Pitty di Firenze. Quindi, dal Sannio è arrivata la richiesta di collaborazione per corsi di formazione sull’utilizzo di opera3d e i software di gestione». Nel maggio scorso la stampante Opera3D ha ricevuto da parte della CNA Caserta il premio “Terra di Lavoro si racconta”. 


di Raffaele Perrotta

La filo fab alla Maker Faire 2014 L’Architetto Luigi Bordo presenterà la sua creatura al più importante evento di innovazione al mondo

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a terza rivoluzione industriale: il passaggio dai bit agli atomi in maniera quasi simultanea. Non è fantascienza, ma ciò che sta accadendo e che ci troveremo, presto, nelle nostre case. Tutto ruota intorno alle stampanti 3D, alla possibilità di stampare in tridimensionale un oggetto progettato al computer. Si stanno iniziando a diffondere e, con loro, la nascita dei FabLab, Fabrication Laboratory, pensati dalla mente del famoso scienziato Neil Gershenfeld, insegnante presso la MIT (Massachusetts Institute of Technology) degli Stati Uniti. Nei FabLab, officine/laboratorio, si progetta, disegna, modella, programma, prototipa, fabbrica, ripara e si trasformano le proprie idee in materia grazie ai Makers. Proprio come l’architetto Luigi Bordo che dall’inizio di ottobre è stato impegnato nella Maker Faire, il più grande evento di innovazione al mondo, con la sua invenzione selezionata dalla Call for Makers, la ID 242 o anche la “Filo Fab - the italian 3D filament extruder”. Chi è Luigi Bordo? «Un’Architetto laureatosi presso l’Università di Napoli “Federico II”. Ho intuito in tempi non sospetti che la nuova frontiera della produzione si sarebbe concretizzata nella produzione digitale e nella prototipazione rapida, per questo motivo ha direzionato i miei studi e le mie sperimentazioni in tale direzione. Le mie idee, gli interessi e le competenze mirano alla creazione di una “Digital Factory”, una fabbrica digitale dove attrezzature tradizionali collaborano con le moderne tecnologie creando un sistema sinergico ad alta efficienza e dalle possibilità quasi illimitate. Gli eventuali limiti di tale produzione digitale verranno così annullati dall’utilizzo dei macchinari tradizionali e viceversa». Luigi ha ereditato dal padre un laboratorio costituito da macchinari come torni, fresatrici, taglioplasma, saldatrici, curvatrici, taglierine per legno. Li ha recuperati e rinnovati consentendo una produzione che va dalla piccola alla grande scala. «Parafrasando le parole di E.N. Rogers, immagino un luogo dove è

possibile progettare e realizzare dal cucchiaino alla città». Parole che anni fa sarebbero suonate come pura fantascienza oggi trovano fondamento nella stessa invenzione di Luigi. «La FiloFab si adatta alle attuali stampanti 3D, ingoia quasi tutto e, attraverso le due resistenze fornite di controller separati, permette di “cuocere” ogni tipo di materiale alle diverse temperature necessarie a produrre o sperimentare». Piccoli pezzi di plastica, dall’ABS alle bottiglie vuote, sono restituiti dalla macchina sotto forma di filamenti pronti per rifornire la stampante 3D. Non solo plastica ma anche altri tipi di materiali che serviranno poi per stampare l’oggetto che abbiamo creato o che abbiamo comprato e che ci è stato spedito sotto forma di file. La deindustrializzazione che ha spostato uomini ma soprattutto economie negli ultimi anni, vista già nel 2040, probabilmente strapperà sorrisi, alcuni amari per il troppo tempo perso. Senza contare l’impatto sociale di una simile invenzione. In Campania, ad esempio ma non solo, sarebbe perfettamente integrabile con un ciclo rifiuti che stenta a decollare. Ciò che oggi gettiamo diverrebbe, attraverso la FiloFab, un filamento da inserire in una stampante che, con un file e pochi secondi, ci materializza ciò che abbiamo richiesto. L’intero sistema della raccolta andrebbe rivisto. L’intera filiera dei consumi andrebbe ripensata. Non più consumi per alimentare le produzioni, ma produzioni attente a integrare e riparare oggetti che oggi, al primo problema, includiamo nella categoria “rifiuti”. 

L’Architetto Luigi Bordo

La nuova frontiera della produzione La FiloFab si adatta alle attuali stampanti 3D, ingoia quasi tutto e, attraverso le due resistenze fornite di controller separati, permette di “cuocere” ogni tipo di materiale.

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OFFICINA DELLE IDEE: LA FONDERIA DELLE IDEE

Il presente è il tempo migliore

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di Samuele Ciambriello

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l presente è il tempo migliore”, così il biglietto da visita della Fonderia delle idee, una tre giorni che si è svolta da poco a Bagnoli, un’utile iniziativa che ha suscitato interessi ed aspettative. Forse anticipazioni di processi e metodi nazionali di confronto nel PD e del PD con tante energie che gli girano intorno. Fonderia: parola che evoca vitalità rumorosa, idea di futuro, lavoro e lavorio. Circa duemila persone presenti, moltissime senza ideologia, riferimenti politici, tessere, schede identificative. Tanta gente comune, un po’ di passerella di qualche vecchio e nuovo marpione della politica. Abbiamo ascoltato parole nuove e desuete, parole naturali, senza enfasi, di tante antenne sul territorio, di gente che si impegna, che richiama il senso civico. Gli interventi in plenaria (124), i focus tematici, in ambedue i luoghi si sono i confrontate tante belle idee, si sono incontrati e rivisti tanti amici e compagni, tante passioni eccezionali e tante “belle” esperienze sul territorio. In una regione dove il presidente Stefano Caldoro ha fallito e dove spesso la sinistra latita, sparisce, questa iniziativa deve avere uno sbocco politico e cogliere la spinta per il rinnovamento. In una Regione dove l’astrattezza ideologica e la mancanza di soggetti credibili, di progetti condivisi, la fanno da padrone, è stato un bene questo laboratorio di idee, anche per riannodare i fili della rappresentanza politica. Due osservazioni sommessamente. Poco partito coinvolto, pochi iscritti sensibilizzati, giovani segretari che mantengono sui territori il PD, tanti uomini e donne “presentabili e generosi” che andrebbero recuperati. Si chiedeva ai parlamentari locali di rinunciare ai loro interventi pubblici per fare spazio alle storie della società civile. Bastava non invitarli a parlare! Sette di loro, per la verità sono stati presenti, ed hanno fatto bene, a tutti i tre giorni. Adesso un lavoro di squadra che coniughi uomini e progetti, tenendo presente i problemi, le continuità e le discontinuità possibili ed auspicabili. Questo lo sanno Pina, Valeria, Francesco, Gennaro, Leonardo, Marco e Stefano. Devono, loro per primi, recuperare umiltà e buon senso, aiutandoci a trovare un candidato presidente in Regione, o sindaco di Napoli, che sia una persona normale, che ispiri fiducia, abbia uno sguardo sereno e rassicurante.  | 93


OFFICINA DELLE IDEE: LA FONDERIA DELLE IDEE

di Raffaele Perrotta

Francesco Nicodemo, tra i protagonisti de La Fonderia Una sfida precisa: Regione Campania e Comune di Napoli

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obbiamo chiederci per chi facciamo la Fonderia. La facciamo per costruire l’alternativa a Caldoro alla Regione e a de Magistris al comune di Napoli». La Fonderia si è aperta sulle note di “Rebel rebel”, di David Bowie. «Racchiude un po’ il senso di come si fanno le cose – ha commentato Francesco Nicodemo – anche se gli altri dicono che non si fanno così, noi le abbiamo fatte lo stesso e sono venute molto bene. Noi: Francesco, Valeria, Marco, Pina, Gennaro e tanti altri giovani e non che hanno contributi alla tre giorni che ha animato Bagnoli e Città della Scienza». Ma perché la Fonderia? Una domanda che si è chiesto anche lo stesso Nicodemo, proprio dal palco della sala dove si sono svolte le tre sedute plenarie che hanno seguito i lavori fatti nei dieci tavoli tematici. «Penso che la domanda è sbagliata. Dobbiamo chiederci per chi facciamo la Fonderia». Di qui una lunga lista di nomi legati a tematiche importanti della vita quotidiana: il lavoro precario, la mala sanità, l’istruzione, il diritto alla famiglia, i trasporti, lo sport, il rilancio della propria terra, l’università. «Queste storie sono le nostre storie, le storie della nostra terra e che riguardano ciascuno di noi, per questo non possiamo restare indifferente rispetto a quello che succede, non possiamo più tenere le mani in tasca ma dobbiamo rammendare le nostre comunità». Partendo proprio da quella piccola comunità che hanno messo su, in quei tre giorni, vicino all’ex Italsider. La Fonderia. Proprio di fronte alla grande fabbrica che ha occupato tutto l’arenile di quella zona e di cui, oggi, resta lo scheletro ed il fantasma di un rilancio non avvenuto. La sfida di questi giorni è precisa: Regione e Comune di Napoli. «Dobbiamo costruire l’alternativa a Caldoro e de Magistris. Vorremmo che dalla fonderia

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partisse un moto di liberazione politica che deve portare la nostra classe dirigente a governare la regione ed il comune di Napoli. C’è, però, un primo impegno che noi dobbiamo prendere tutti: rottamare questo racconto insopportabile e banalizzante della nostra città. La nostra terra non è solo il Vesuvio con il pennacchio, è tutto quello che ci sta sotto, non è solo i quartieri con la criminalità organizzata ma le persone che ci vivono nonostante la criminalità organizzata, nonostante l’assenza che troppo spesso lo stato ha mostrato in quelle terre». Questa terra che, come ha ricordato Nicodemo, ci ha dato Troisi e prima ancora De Filippo. «Penso che non solo Napoli ma l’intero paese debba celebrare Eduardo al meglio. Se c’è una sua storia che più di altre ha raccontato questa città ovviamente è “Napoli milionaria”, la storia del secondo dopoguerra. Finisce con De Filippo che torna a casa e dice “adda passà a nuttat”. Se guardo i dati degli ultimi 10 anni del Pil campano posso dire con certezza che siamo ritornati al secondo dopo guerra. Facciamo la fonderia perché mentre deve passare la nottata, accendiamo le luci di questo luogo, un luogo politico di ciascuno di noi che vuole fare il bene di questa terra e di questa città». 

Per chi facciamo la fonderia? La sfida di questi giorni è precisa: Regione e Comune di Napoli. «Dobbiamo costruire l’alternativa a Caldoro e de Magistris. Vorremmo che dalla fonderia partisse un moto di liberazione politica che deve portare la nostra classe dirigente a governare la regione ed il comune di Napoli.


di Valeria Valente

Bagnoli: le suggestioni di un luogo Soltanto in questo piccolo pezzo ci sono tante zone di Napoli e Campania che chiedono di essere ricollocate dentro questo tempo*

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oglio partire essenzialmente da due suggestioni che mi ispirano, il luogo e la data che abbiamo scelto quando abbiamo pensato a questo appuntamento: “Città della Scienza”. Il 4 marzo, come ricorderemo tutti, di oltre un anno fa, quasi tutti i padiglioni di questo posto venivano incendiati. Ricordo ancora l’amarezza, il dolore e il senso di smarrimento che provavamo, quasi come se quell’incendio ci riportasse alle origini di quel progetto che non era decollato e ci inchiodasse alle nostre responsabilità e ci chiedeva soprattutto di dire “non c’è più tempo, adesso bisogna davvero fare perché quando si sta fermi si va più indietro e non si va avanti”. Le date non sono state scelte a caso: le quattro giornate di Napoli. Quando a seguito di una guerra, la città era dilaniata, distrutta e sembrava aver perso anche le ultime briciole di dignità, ebbe la forza di rialzarsi, prima degli alleati, contro il nazifascismo, riuscì a riscattarsi e a prendere dal proprio interno le forze migliori e in qualche modo dire: “ci siamo, ce la vogliamo fare”. Io da queste due suggestioni vorrei partire, perché credo che se lo meriti Napoli, la Campania, se lo merita una terra ricca di tante vocazioni. Ricordo, quando ero Assessore al turismo, una discussione: ritroviamo una vocazione per questa terra? È il caso di ritrovare un’unica vocazione? Di presentare Napoli e la Campania agli occhi del mondo? Come la rilanciamo? Come la mettiamo in un sistema di competitività e di attrattività rispetto al turismo? In generale come lo mettiamo il nostro territorio? Forse dobbiamo puntare su una di queste? Era un dibattito abbastanza aperto, io con il senno di poi e con un po’ più di esperienza alle spalle penso sinceramente che è diffi-

cile che Napoli e la Campania possano avere una sola vocazione. Prendo a pretesto questo lembo di terra in cui noi siamo, vicino Nisida. Dentro quella realtà tanto drammatica c’è una risposta sociale importante, chiunque di noi l’abbia visita, e credo in tanti, trovano dentro quella terra e dentro quell’esperienza soprattutto una risposta sociale e guardano in faccia alla sofferenza ma soprattutto al modo di reagire. Grandi realtà sociali s’interrogano su come interpretare anche la sofferenza e come interpretare anche il disagio e dare delle risposte. Andiamo più avanti e troviamo Città della Scienza: innovazione, tecnologia applicata ai saperi. Poi andiamo ancora un po’ più avanti e troviamo ex Italsider, faccio un volo ed arrivo fino al Fusaro, fino agli spazi dismessi delle aree militari che dovrebbero ritrovare una collocazione, una propria vocazione per poi arrivare alle bellezze delle terre di Pozzuoli e delle terme di Agnano. Insomma soltanto in questo piccolo pezzo ci sono tante zone di Napoli e Campania che chiedono di essere ricollocate dentro questo tempo, dentro un sistema e che hanno le carte in regola per potersi giocare una partita importante per il proprio futuro; ce le hanno le carte in regola, dovremmo essere noi in qualche modo in grado di saperle cogliere e dare delle risposte. Questo interroga soprattutto la classe politica ed io mi voglio soffermare soltanto su un pezzo, che è il pezzo del mio lavoro anche da Parlamentare, in questo primo scorcio di legislatura, politiche industriali per questa nostra terra. Abbiamo detto appunto qui, ex Italsider, una vocazione che dovevamo in qualche modo ripensare. 

* Deputata PD La vocazione dell’ex Italsider “Città della Scienza”. Il 4 marzo, come ricorderemo tutti, di oltre un anno fa, quasi tutti i padiglioni di questo posto venivano incendiati. Ricordo ancora l’amarezza, il dolore e il senso di smarrimento che provavamo.

* Sintesi, non corretta dall’autore, dell’intervento tenuto alla Fonderia Delle Idee (Città della Scienza, Bagnoli, Napoli)

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OFFICINA DELLE IDEE: LA FONDERIA DELLE IDEE

di Franca Pietropaolo

Cultura e legalità Le armi per vincere la competizione mondiale

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lla tre giorni della Fonderia delle Idee si è ampiamente parlato della riqualificazione del territorio nazionale ma soprattutto campano, attraverso le sue grandi potenzialità e il suo immenso, spesso sottovalutato, patrimonio artistico culturale. Il Ministro della Cultura Dario Franceschini, intervenuto alla tre giorni di Bagnoli organizzata dai “nuovi volti” del PD, ha sottolineato che il potenziale dello sviluppo territoriale e di una crescita che sia duratura, risiede nelle bellezze della Campania e di tutto il Paese; tesori che hanno fatto forte l’Italia negli anni in cui l’Italia era forte. Tuttavia, così come ha sottolineato il Ministro durante il suo intervento a Bagnoli, la politica nazionale non ha mai creduto nella cultura e nel turismo che, nonostante tutto rappresentano la risorsa vera con la quale vincere la competizione globale. Il dato di fatto è che c’è da fare un grande investimento come sistema-Paese, un investimento che dia la giusta dose di gloria e di visibilità a livello globale a quel grande patrimonio di bellezza, storia, cultura e talenti che fa onore al Mezzogiorno e all’Italia. Franceschini ha sottolineato quanto sia difficile far emergere il potenziale di luoghi notevolmente caratteristici che subiscono una battuta d’arresto per la posizione geografica in cui sono collocati; per rendere l’idea ha citato la città sottomarina poco distante dal Rione Terra, visitabile attraverso una barca con il fondo di vetro che gira quotidianamente per i (pochi) turisti che ne conoscono l’esistenza. «Pensate se quella città fosse collocate sulle coste della California o della Provenza che cosa sarebbe», ha ribadito il Ministro. Per non parlare poi della Reggia di Caserta o del Museo di Capodimonte, che conta soltanto 160mila visitatori annui nonostante le sue 160 sale e le 6000 opere fruibili. Un numero di turisti che si moltiplicherebbe se questi tesori

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abitassero altre città d’Europa o del mondo. Secondo il Ministro Franceschini, il potenziale del nostro Paese non risiede soltanto nell’immenso e prezioso patrimonio artistico, architettonico e culturale o nelle meraviglie naturali che dipingono le cartoline dell’Italia. Un ruolo fondamentale per lo sviluppo territoriale è coperto dai giovani talenti contemporanei e dalle loro capacità. Un investimento va fatto soprattutto su queste nuove menti creative, che in giro per il mondo diventano numeri uno e qui in Italia difficilmente riescono a mettere in campo le proprie capacità. La Campania è piena di questi talenti che rappresentano numeri importanti affinché Napoli diventi capitale del turismo internazionale. Sul palco di Città della Scienza anche il magistrato anticamorra Raffaele Cantone, ora impegnato come presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. Cantone sottolinea la scarsa presenza di imprenditori pronti ad investire su questo territorio nonostante il suo notevole patrimonio artistico e culturale, cibo prezioso per i turisti provenienti da ogni angolo del mondo. I mancati investimenti sono frutto di un deficit enorme di legalità che al di fuori del territorio, descrive il Mezzogiorno usando termini che ne mortificano un’immagine già fortemente compromessa. Il recupero della credibilità e dell’immagine rappresenta un lavoro importante ma piuttosto complesso. La riqualificazione del territorio deve passare attraverso progetti seri che abbiano come priorità assoluta il rispetto delle regole e l’osservazione dei codici etici: senza questi presupposti diventa complicato alimentare lo sviluppo di imprese sane. «L’illegalità diffusa, la camorra, la corruzione, - ha sottolineato il Magistrato nel corso del suo intervento - sono lo strumento anticoncorrenziale per eccellenza. Sono quello che blinda le imprese malate continuando a farle operare sui territori

Investire nella cultura Il dato di fatto è che c’è da fare un grande investimento come sistema-Paese, un investimento che dia la giusta dose di gloria e di visibilità a livello globale a quel grande patrimonio di bellezza, storia, cultura e talenti che fa onore al Mezzogiorno e all’Italia.


e che impediscono alle imprese sane di andare avanti e che ci fanno perdere ogni giorno posti di lavoro. La legalità, diceva don Luigi Ciotti, è la parola più abusata che c’è. Ed io sono d’accordo. Lui propone la sostituzione di questa parola: da legalità a responsabilità, dalle parole ai fatti, alle responsabilità dei singoli». Alla fine del suo intenso intervento, interrotto più volte dagli applausi del pubblico, non è

mancata a Cantone l’occasione di lanciare una frecciata al Partito Democratico: «Ho sentito un giorno un’affermazione pesantissima di un allora ministro degli Esteri ed esponente PD. D’Alema disse: ‘Noi non abbiamo bisogno delle sentenze, sappiamo benissimo chi sono i buoni e i cattivi, e i cattivi non li candideremo’. Questo non sempre si è verificato». 

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OFFICINA DELLE IDEE: LA FONDERIA DELLE IDEE

Il PD come alternativa valida alla Regione Proviamo ad offrire un‘opportunità affinché chi vuole trovare risposte possa trovare nel PD un valido ascolto* di Valentina Paris

* Deputata PD

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a Fonderia è uno spazio in cui ridurre i nostri individualismi ed egocentrismi per mettere insieme delle idee. Quello che serve dopo la Fonderia è proporre davvero per Napoli e per la Regione Campania un’alternativa valida. Il Partito Democratico sta investendo nella propria capacità di tenere viva una speranza, di ridare una speranza all’Italia e di farlo in Campania offrendo un’alternativa a chi ha avuto una visione e un’interpretazione del Governo, della Regione e del nostro territorio assolutamente restrittiva: non si può pensare di governare una Regione al netto di tutti i vincoli della spesa, tagliando solo ed esclusivamente sui servizi al cittadino. Quello da cui veniamo, i cinque anni dell’esperienza Caldoro che si stanno chiudendo, hanno significato l’impossibilità di interloquire per guardare più avanti e per provare a far ripartire la Campania, hanno significato la mancanza di opportunità su tutti i settori più importanti (scuola, ospedali, trasporti), dimenticando che anche nelle aree interne ci sono cittadini. A Napoli non è andata meglio: sono assolutamente contrariata dal fatto che chi ha rappresentato la giustizia oggi possa dire di essere vittima di un complotto, io non credo che questo sia accettabile in un Paese civile in cui non possiamo continuare a vivere tra il giustizialismo sfrenato e il garantismo altalenante. Noi abbiamo bisogno di dire che chi fa politica risponde e risponderà di fronte alla legge qualunque sia l’errore che ha commesso o che commetterà, ma non abbiamo alcuna possibilità di ignorare sentenze quando vengono emesse. Credo che da questo punto di vista Napoli meriti un’amministrazione migliore. Il contributo che nel mio piccolo vorrei provare a dare al gruppo dirigente campano e napoletano, è far sì che il Partito Democratico possa dare a Napoli

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un’alternativa che non sia soltanto vincente elettoralmente ma che mantenga viva la speranza. Tutto questo perché il PD ha una classe dirigente capace di rispondere ai bisogni dei cittadini campani che sono stanchi di raccontare solo quello che non va. Per il ruolo che occupo, convivo in un Parlamento in cui siamo raccontati e siamo stati raccontati per circa 20 anni come il problema di questo Paese: questa è una delle inversioni di tendenza che il Partito Democratico sta facendo e deve fare ancor più e fino in fondo. Proviamo ad offrire un‘opportunità affinché chi vuole trovare delle risposte possa trovare nel PD un valido ascolto e un a nuova e rinnovata capacità di governo che per troppo tempo, chiusi nel nostro orticello abbiamo dimenticato di far vivere. 

* Sintesi, non corretta dall’autore, dell’intervento tenuto alla Fonderia Delle Idee (Città della Scienza, Bagnoli, Napoli)


di Pina Picierno

Cambiare si può e il presente è il tempo migliore per farlo Luigi de Magistris e Stefano Caldoro: due pessimisti per vocazione, non vogliono bene a questa terra*

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ono state dette e scritte moltissime cose sulla Fonderia, ci hanno descritto come un covo di comunisti. Hanno detto non viene nessuno, la Fonderia è morta ancor prima di cominciare. Hanno provato a raccontare quest’appuntamento come la nuova guardia contro la vecchia guardia. Hanno provato a raccontarlo come il trampolino di lancio per una candidatura. Nessuna di queste letture si è avvicinata alla realtà. La verità è che la Fonderia è politica, tutti gli interventi che abbiamo ascoltato in questi giorni sono politica, le suggestioni arrivate da Twitter, da Facebook, i contributi arrivati dal sito Internet. Un Partito Democratico che riesce ad avere un risultato strepitoso alle ultime elezioni europee, un risultato che ancora ci emoziona, è un partito aperto, che è tornato nelle piazze. Noi siamo avversari netti di tutti i disprezzatori, i pessimisti per vocazione e anche di tutti quelli che non vogliono bene alla terra, che sono chiamati a rappresentare. In questa regione queste caratteristiche corrispondono a due persone che sono Luigi de Magistris e Stefano Caldoro. Io sono indignata dalle dichiarazioni che ha rilasciato ieri il sindaco, dichiarazioni che somigliano al peggior Berlusconi, noi lo ripetiamo anche oggi: “La legge è uguale per tutti”. Noi non vogliamo entrare nel merito di vicende giudiziarie che non ci interessano, ma vogliamo ripetere quello che abbiamo sempre detto cioè che Luigi de Magistris avrebbe dovuto dimettersi molto tempo prima, per la sua incapacità politica, per le condizioni disastrose in cui versa questa città, per le promesse non mantenute, per la sua capacità di scansarsi dai sensi di responsabilità di qualsiasi cosa accada in questa città. Io ricordo le dichiarazioni della morte del povero ragazzo di Galleria Umberto, ricordo la rincorsa a dire

non è stata colpa mia, in questa terra non è mai colpa di nessuno. Stefano Caldoro crede che la Regione Campania, si fermi a Palazzo Santa Lucia. Non ha mai messo piede o le mani in tutti quei luoghi che avevano bisogno di una guida salda e sicura. Noi, invece, vogliamo rappresentare le energie migliori che ci sono in questa regione, in quei luoghi, dove anche il centrosinistra, ha fallito. Noi abbiamo il dovere di ricostruire una Regione, che è descritta senza speranza, che ormai si è convinta di non avere futuro. E i mattoni con cui costruire sono i talenti, l’esperienza, il coraggio, le nostre storie, le nostre competenze. Noi siamo qui per combattere il lato oscuro della forza politica, quello degli indifferenti, di chi ha lasciato che tutto accadesse senza proferire parola. Loro sono i rappresentanti della cattiva politica, i collusi, le organizzazioni criminali che hanno violentato questa terra per troppo tempo. Hanno rovinato il passato di questa regione e noi non gli consisteremo, d’ipotecare anche il futuro di questa terra. Se continuiamo a lavorare come abbiamo fatto in questi giorni, il lato oscuro di questa terra può essere vinto. Qui ci sono state più di 1.500 persone che hanno ragionato assieme, questa partecipazione è la testimonianza più vera della bella politica. Questa terra ha bisogno di una politica che sia umile e coraggiosa. Umile perché c’è bisogno di ascoltare tutti, di non avere pretese di soluzioni preconfezionate in tasca, dobbiamo restituire la parola “futuro” alla nostra terra. E il coraggio di poter dire che è arrivato un tempo nuovo. Il presente è il tempo migliore per poter cambiare la Campania. Non ci sono più alibi, cambiare si può e noi siamo qui e, siamo pronti. 

* Deputata PD Il riscatto della Campania Noi abbiamo il dovere di ricostruire una Regione, che è descritta senza speranza, che ormai si è convinta di non avere futuro. E i mattoni con cui costruire sono i talenti, l’esperienza, il coraggio, le nostre storie, le nostre competenze.

* Sintesi non corretta dall’autore, dell’intervento tenuto alla Fonderia delle idee, il 27/09/14 a Città della Scienza (Bagnoli, NA)

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OFFICINA DELLE IDEE: LA FONDERIA DELLE IDEE

I padri “nobili” del PD in Campania Analisi e confronto degli interventi di Antonio Bassolino e Vincenzo De Luca di Sveva Scalvenzi

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due ospiti che hanno suscitato più clamore alla Fonderia delle Idee, sono stati senz’altro Antonio Bassolino e Vincenzo De Luca. Con animi diversi, i due esponenti della vecchia guardia del PD campano, hanno presenziato entrambi, all’iniziativa organizzata dai “giovani” del partito. La grande partecipazione è stata quella di Bassolino, che è arrivato a Bagnoli il primo giorno della Fonderia, dichiarando di essere lì per ascoltare e soltanto il sabato, ha scelto di parlare. Di tutt’altro spirito, invece, è stata la venuta di De Luca. Il sindaco di Salerno, infatti, nei giorni che hanno preceduto, era stato vago sulla sua presenza all’evento. Sabato pomeriggio, però, ha deciso d’intervenire, spiazzando il pubblico e gli stessi organizzatori. Gli interventi dei due “padri nobili” del PD, sebbene entrambi simili a una propaganda elettorale, sono stati molti diversi. Bassolino ha iniziato il suo discorso, complimentandosi con i ragazzi, che avevano organizzato l’evento: «Inizio con l’apprezzare da parte mia, lo sforzo fatto nell’organizzare queste giornate. Osservo la presenza non soltanto della stessa generazione degli organizzatori, ma anche di tante persone di altre delegazioni, significa

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che così si è coperto un vuoto, che la partecipazione, s’imprime nella progressività di queste giornate. Ci dovranno essere altre sedi per individuare le iniziative di quest’oggi e, il lavoro che si sta facendo con idee programmatiche. Dobbiamo sempre di più mettere in primo piano la politica». De Luca è intervenuto a gamba tesa, parlando da subito della situazione della Regione Campania: «Noi abbiamo di fronte una sfida drammaticamente difficile. Siamo chiamati ad affrontare una situazione che è tragica, la Regione Campania è sull’orlo di un declino storico e, le classi dirigenti di questo territorio sono indecenti. La Campania è l’ultima per il reddito procapite, siamo gli ultimi per i fondi europei, gli ultimi per la disoccupazione generale, giovanile in particolare, siamo ultimi per i livelli essenziali d’assistenza, siamo gli ultimi per il sistema di trasporto pubblico». Se Bassolino si è espresso più sulla città di Napoli e la sua particolare situazione, De Luca si è soffermato sulla regione e i suoi problemi. Una differenza questa, che potrebbe avere un significato ben preciso in termini di future candidature, Bassolino, infatti, potrebbe concorrere per la poltrona di Sin-

La forza dell’esperienza Gli interventi dei due padri nobili del PD sebbene entrambi simili a una propaganda elettorale, sono stati di natura diversa, Bassolino ha iniziato complimentandosi con gli organizzatori; De Luca è intervenuto a gamba tesa.


daco di Napoli e De Luca per quella di Presidente della Regione. L’ex governatore, nonché ex sindaco, non poteva evitare di commentare le vicende giudiziarie di de Magistris: «Noi dobbiamo fare un discorso d’umiltà e di responsabilità, non dobbiamo contraccambiare de Magistris, non dobbiamo mescolare vicende giudiziarie in campo politico, dobbiamo tenere i toni giusti, la legge segue il suo corso e sospetta la sospensione. A me sembra inimmaginabile che si possa andare sia all’istituzione di un vicesindaco anche lui condannato, sia che si possa andare avanti così. Chi non si è illuso,

della città, davanti a qualsiasi tipo d’interesse personale, di partito. È interesse della città non morire di una lenta agonia. La storia passa. In tanti quartieri ci sono tante cose, ieri ai Quartieri Spagnoli si è aperta una cosa bellissima, a Scampia c’è Maddaloni, anche a Rione Traiano, chi conosce il quartiere sa che non sono tutti camorristi in quelle zone. La parola giusta che dobbiamo usare è legalità e, dobbiamo declinarla in tutti i contesti, legalità è rispetto della legge, è giustizia sociale. Napoli è dentro lo Stato e dentro la legge». De Luca è sembrato quasi che elencasse i punti di un suo possibile

oggi non è deluso. Se la sospensione rende impossibile andare avanti con qualunque situazione, saremo dinanzi a una crisi politica, e crisi della costituzione civile». Il sindaco di Salerno, dal canto suo, ha elencato i problemi della Campania: «Il sistema portuale della Campania sta saltando abbiamo l’aggressione di Civitavecchia e di Gioia Taura, e ci permettiamo di stare due anni senza autorità portuale e di perdere fondi europei. A causa della Terra dei Fuochi, stiamo subendo un’aggressione commerciale sull’ortofrutta della Campania. Noi abbiamo bisogno di decidere qual è il ruolo della Campania per i prossimi decenni. La tragedia della Campania è quel 51% dei giovani, che ora sta pensando di scappare per costruire altrove il proprio futuro, la propria famiglia». I due esponenti del PD, quindi, con i loro interventi, sembrerebbe che abbiano voluto perseguire scopi diversi. Antonio Bassolino ha voluto risvegliare le coscienze, parlando del ruolo e dell’importanza di Napoli: «Dobbiamo mettere l’interesse

piano elettorale, parlando, infatti, di obiettivi da raggiungere: «Dobbiamo vincere la sfida dell’utilizzo dei fondi europei al 100% e dobbiamo dire che i fondi europei non sono bancomat per prepararsi le successive campagne elettorali. C’è la necessità di creare programmi di riqualificazione urbana, da cui possiamo ricavare migliaia di posti di lavoro. Vince e governa chi è in grado di risolvere il problema ambientale. Vince e governa chi è in grado di dire che scompariranno le eco balle da Giugliano. Vince e governa questa regione chi è in grado di proporre un piano per la sicurezza, noi abbiamo intere zone in cui lo Stato non sembra esserci più. Vince chi è in grado di creare un movimento di entusiasmo collettivo. È tutto nelle nostre mani». Sembrerebbe, quindi, che i due “padri nobili” del PD campano non siano due rivali, che combattono per la stessa poltrona, ma più due “compagni” che inseguono candidature diverse. 

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OFFICINA DELLE IDEE: LA FONDERIA DELLE IDEE

di Andrea Orlando

La Fonderia è uno sforzo ambizioso e nazionale «La città metropolitana di Napoli sarà la più grande metropoli che si affaccia sul Mediterraneo, se la sfida riesce»*

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on voglio fare un intervento da ministro ma da compagno di un percorso. Non c’è una realtà come questa, in tutto il paese o forse in tutto il continente, nel quale lo scarto tra le potenzialità e lo stato delle cose è così grande. Non mi riferisco al mare, al sole, alla pizza ed al Vesuvio ma a quelle intellettuali. Per questo il lavoro e lo sforzo che state facendo è ambizioso ed è uno sforzo che ha una dimensione nazionale. Noi per molto tempo abbiamo pensato che ciò che accadeva qui fosse il segno di un’arretratezza e di una difficoltà di affrontare la modernizzazione, invece erano fenomeni che anticipavano processi che si sono affermati anche su scala nazionale. Pensiamo al tema della degenerazione della lotta politica, pensiamo al tema delle classi dirigenti: si credeva che fosse un problema di chi era rimasto indietro, in verità si anticipavano dei processi che sul piano nazionale sarebbero esplosi poco tempo dopo in modo drammatico. Lo sforzo che state facendo è legato al tema di come si esce dalla crisi, perché questo paese non uscirà dalla crisi semplicemente indicando alle classi dirigenti la loro incapacità, ma se costruirà nuovi meccanismi. Guardate, sono stato chiamato qualche settimana fa ad intitolare l’aeroporto di Comiso a Pio La Torre, che era un dirigente politico che abbiamo conosciuto e che ha chiuso in modo così drammatico la sua parabola sindacale, leader della lotta contro la mafia. Ma ricordiamo poco che Pio La Torre era un ragazzino nato in una borgata di Palermo, figlio di braccianti. La domanda è questa, un ragazzino che incontra oggi le strutture politiche, le organizzazioni sociali ha ancora quella possibilità di riscatto, di diventare

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classe dirigente del paese? E la risposta è purtroppo no. E perché avviene questo? Perché progressivamente quel percorso di selezione e formazione delle classi dirigenti è franato e non si è sostituito un altro. Non è un problema di quei ragazzi che abbiamo visto, ma un problema del paese. Perché se noi non riusciamo a portare dentro la classe dirigente del paese quella fame di riscatto è del tutto evidente che il paese non ce la farà perché sarà sempre più caratterizzato da menti anemiche, incapaci in qualche modo di prospettare quel bisogno di cambiamento che viene proprio da chi ha dovuto battersi e confrontarsi con situazioni simili. Siccome noi siamo dirigenti di un partito politico che vuole questo riscatto, la domanda che ci dobbiamo fare è: come queste energie si possono mettere al servizio di quel riscatto. Ci sono due strade: mettiamo su un tavolo delle candidature. Oppure c’è un’altra che è quella di dire costruiamo insieme un progetto, poi le candidature faranno vivere quel progetto. La seconda è una strada più complicata però è l’unica percorribile nelle condizioni politiche date in Campania. La sfida dell’area metropolitana non è soltanto un tema istituzionale, l’area metropolitana in questa realtà non ha gli stessi caratteri delle altre aree metropolitane. Il tema non è solo come si semplifica la filiera istituzionale ma come si riesce ad affrontare il tema della trasformazione di un agglomerato urbano in una metropoli. La più grande metropoli che si affaccia sul mediterraneo, se la sfida riesce. Come si spostano le persone dentro quest’area e come si attraggono da fuori. Il tema è quale progetto si lega a questo passaggio. Questo credo che sia una sfida unica in tutto il bacino del Mediterraneo. 

* Ministro della Giustizia Ripartire dai territori La sfida dell’area metropolitana non è soltanto un tema istituzionale, l’area metropolitana in questa realtà non ha gli stessi caratteri delle altre aree metropolitane.

* Sintesi, non corretta dall’autore, dell’intervento tenuto alla Fonderia Delle Idee (Città della Scienza, Bagnoli, Napoli)


di Sveva Scalvenzi

Fonderia delle Idee: il ritorno alla politica delle agorà Antonio Mattone, portavoce napoletano della comunità di Sant’Egidio: «Bisogna ricominciare dalle nuove generazioni, fornendo loro i giusti ideali» Ripartiamo dagli ultimi «Come può cambiare Napoli, è una città ridotta male, le strade sono scassate gli edifici sgretolati. Ma soprattutto il tessuto unitivo, che per tanti anni ha visto fondere la vita dei suoi abitanti, è venuto meno e oggi la gente è sola, è sola rispetto al problema del lavoro.

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a Fonderia delle idee non è stata soltanto il palco dei diversi politici che si sono susseguiti a parlare di progetti e ideali partitici. È stata tanto altro. Dagli organizzatori è stata, infatti, definita “La Fonderia come luogo politico di ognuno di noi”, proprio a voler sottolineare il suo carattere di laboratorio d’idee, aperto a chiunque avesse voglia di dire la sua e di partecipare. L’assemblea della Fonderia è stata un momento d’incontro e confronto, dove giovani eccellenze del mondo del lavoro, persone vicine al PD e rappresentanti di enti e associazioni, hanno raccontato le loro esperienze. Tra i tanti, sono intervenuti il regista Gaetano Di Vaio, da sempre attento ai problemi di Napoli, Giovanni Maddaloni, che con la sua palestra a Scampia, avvicina i ragazzi del quartiere allo sport, il musicista Enzo Avitabile, la cui musica è conosciuta in tutto il mondo e, molti altri ancora. Ha parlato anche Antonio Mattone, portavoce napoletano della Comunità di Sant’Egidio, che ha esposto i punti fondamentali da cui, secondo lui si deve ripartire, per far rinascere la regione Campania: «Come può cambiare Napoli, è una città ridotta male, le strade sono scassate gli edifici sgretolati. Ma soprattutto il tessuto unitivo, che per tanti anni ha visto fondere la vita dei suoi abitanti, è venuto meno e oggi la gente è sola, è sola rispetto al problema del lavoro, io tra l’altro collaboro con le diocesi, dove viene tanta gente che ha perso lavoro, che non sa come mangiare. È allucinante che la situazione del porto di Napoli sia ancora in stallo con la nomina non ancora effettuata dell’autorità portuale per anni, è l’azienda più grande della Campania, potrebbe essere il polare di un rilancio di uno sviluppo economico, invece, perde fondi europei, parte dei quindici miliardi non spesi erano destinati anche al porto. Que-

sta è la Fonderia delle idee, la mia proposta è dare un compenso commisurato al raggiungimento di obiettivi per la futura autorità portuale di Napoli, sia per rispetto allo Stato sia per rispetto alla comunità. Napoli è la città dei bambini, la Campania è la regione più giovane e bisogna far crescere questa nuova generazione con degli ideali, c’è bisogno di maestri come Maddoloni, bisogna mettere a disposizione l’enorme patrimonio artistico culturale di questa città, a questi bambini e ragazzi bisogna darli l’infinità di risorse che la città possiede. Napoli ha tante bellezze che potrebbero essere messe a disposizione dei bambini e dei giovani di questa città. Io con la Comunità di Sant’Egidio vado nel carcere di Poggioreale ogni settimana, va osservato che il rapporto tra devianza e basso tasso d’istruzione scolastica, è qualcosa d’impressionante, a Poggioreale ci sono tanti giovani senza istruzione, quindi, questo è un investimento necessario. Con la Comunità di Sant’Egidio abbiamo creato un progetto per i bambini rom, dare cinquanta euro al mese a ogni famiglia che s’impegna a far andare i bambini a scuola con frequenza regolare, a non farli mendicare e a fare dei corsi di recupero nel pomeriggio. Infine, Napoli è una città giovane, ma nel 2050 sarà la Regione più vecchia d’Italia, quindi bisogna porsi il problema di come curare e sostenere gli anziani. Abbiamo sperimentato dei modelli innovativi di assistenza domiciliare, accompagnata a un monitoraggio attivo degli anziani, questo oltre a essere più economico, permetterà di non far succedere più tragedie, come quella della signora anziana trovata morta dopo un mese. Io penso che le cose da fare siano tante, si può cambiare Napoli, il problema però, è volerlo». 

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OFFICINA DELLE IDEE: LA FONDERIA DELLE IDEE

di Gennaro Migliore

Vincere in questa Regione non è facile «Molti di voi hanno dato più contributi a questa città di quanti abbiano fatto tanti che nel corso di questi anni si sono proposti come la soluzione»*

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vete appena sentito le parole di Enzo Avitabile, un genio, uno dei più grandi musicisti che ha mai avuto questa nostra terra e se ne è accorto Jonathan Demme, il regista de Il silenzio degli innocenti, che è venuto qui. Il film che racconta la vicenda umana ed artistica di Enzo Avitabile non l’avete potuto vedere perché questa è la terra, non solo la Campania e Napoli, dei colpevoli, di quelli che nel corso degli anni hanno costruito sull’indifferenza e sulla possibilità di evitare tutte le eccellenze e tutte le ricchezze che questa terra ci poteva dare. Riprendendo un proverbio africano che diceva “Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”, a Napoli si potrebbe dire che fa più rumore un cornicione che cade piuttosto che tanti giovani e tante ragazze se ne vanno da questo territorio. E lo dobbiamo fare, questo è il motivo per cui abbiamo immaginato di costruire la Fonderia, perché nel corso di questi anni non abbiamo avuto un’intera generazione privata della possibilità di decidere del suo futuro e del futuro della propria terra. Questa generazione di chi, vent’anni fa era più pieno di speranze ed oggi è stato costretto ad andare via, che nel corso di questi anni ha preso molti treni e molti li ha persi. Per esempio ha preso il treno di chi pensava dovesse esserci una maggiore partecipazione, poi è diventata una forma elitaria della politica. Poi ha creduto che si potesse avere un demiurgo, uno che risolveva i problemi al posto suo ed è stata delusa. Noi dobbiamo avere lo stile di chi non pratica la lingua della vendetta, lo stile di chi non sta dalla parte delle partite facili, perché

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non è facile ne vincere in regione Campania, ne cambiare l’amministrazione del comune di Napoli. E non è facile nemmeno cambiare il paese, pensate se riuscissimo a cambiare qui che cosa potrebbe accadere per tutta l’Italia. Quello che abbiamo provato a costruire qui l’abbiamo fatto per chi è fuori di qui, come questa generazione che non c’è stata per tanti anni. L’abbiamo pensato perché c’era una cecità di fronte alle energie che c’erano. Spesso abbiamo elaborato, celebrato il passato della nostra terra. Per questo mi sento in questo presente: vorrei che le eccellenze, le straordinarie capacità come quelle di Enzo e non solo, fossero considerati per quelli che sono oggi, presenti, viventi. Molti di voi hanno dato più contributi a questa città di quanti abbiano fatto tanti che nel corso di questi anni si sono proposti come la soluzione. Io che ho attraversato anche questi tavoli di lavoro ho sentito parole importanti rispetto anche alla rigenerazione del nostro territorio. Ho sentito la voglia di poter cambiare, costruire un futuro. Ho sentito che noi non abbiamo fatto della giustizia una questione estetica, che ha derubricato la giustizia ad estetica, postura, se uno è o non è giusto o innocente. Invece l’abbiamo posto nel terreno dell’etica, perché la grande questione morale non è solo chi ruba ma la politica che non ha smesso di mantenere le cose com’erano e aver smesso di pensare che si potesse cambiare attraverso la politica, noi dobbiamo acquisire le competenze attraverso la politica. Dobbiamo avere la capacità di costruire un’altra iniziativa. 

* Deputato

Ritrovare la speranza A Napoli si potrebbe dire che fa più rumore un cornicione che cade piuttosto che tanti giovani e tante ragazze se ne vanno da questo territorio.

* Sintesi, non corretta dall’autore, dell’intervento tenuto alla Fonderia Delle Idee (Città della Scienza, Bagnoli, Napoli)


De Caro rassicura sulla Napoli-Bari Rassicurazioni e chiarimenti ma anche un invito a giocarsi questa opportunità uniti, nel miglior modo possibile a cura della Redazione

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i sa, il sottosegretario alle Infrastrutture Umberto del Basso De Caro ama definirsi “un artigiano della politica”, lui radicato sul territorio, primo degli eletti in Italia, nel PD, alle ultime Primarie. Anche in queste settimane sta girando la Campania, incontri, dibattiti, sezioni territoriali. È stato alla Fonderia delle idee di Bagnoli per ascoltare. Lo abbiamo seguito in maniera informale all’incontro con la stampa presso la sede del PD di Benevento. In primis le rassicurazioni ai sindaci della valle Telesina, a loro modo preoccupati dal tracciato dell’Alta Capacità ‘Napoli-Bari’. I primi cittadini telesini hanno avanzato il timore che la nuova linea ferroviaria possa compromettere una larga fetta del terreno

vitivinicolo, vera e propria spina dorsale della vallata. Allo stesso tempo c’è da salvaguardare una zona dove sono tuttora attivi diversi fabbricati, la maggior parte ricadenti nel territorio di Telese Terme: “Ho subito voluto incontrare i sindaci – ha affermato De Caro in conferenza stampa – assicurandoli immediatamente. Faremo tutto quello che è umanamente possibile fare, le loro richieste mi sono sembrate subito opportune e fattibili e c’è la mia volontà a dissipare certe preoccupazioni”. Nessun problema con gli altri Comuni (rimodulazione della vecchia linea ferroviaria con la creazione della pista ciclabile oltre ad altri interventi di “risarcimento” ambientale), il nodo da sciogliere è quello riguardante il tracciato nel territorio di Te-

De Caro in Campania Si sa Umberto del Basso De Caro ama definirsi “un artigiano della politica”, lui radicato sul territorio, primo degli eletti in Italia, nel PD, alle ultime Primarie. Anche in queste settimane sta girando la Campania, incontri, dibattiti, sezioni territoriali.

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OFFICINA DELLE IDEE: LA FONDERIA DELLE IDEE

lese Terme: “Il sindaco Carofano mi ha fatto notare che il tracciato così come è previsto va proprio a tagliare numerosi fabbricati. La soluzione alternativa prevederebbe una variazione progettuale di circa cinque-sei chilometri, spostandoci a ridosso del fiume. Cosa di non poco conto perché rischiamo di intaccare una zona a rischio esondazione, e dunque occorre prima di tutto il parere favorevole dell’Autorità di Bacino”. Tra le ipotesi anche quello di costruire una

“Non sono per la guerra tra i poveri e non ho assolutamente pensato e mai penserò di togliere dall’attuale progetto la creazione della stazione in superficie di Grottaminarda. Lo stesso Elia, al riguardo, non solo mi ha assicurato ma si è anche meravigliato per questo tipo di insinuazione che, francamente, non esiste”. sorta di sopraelevata per evitare qualsiasi contatto tra la nuova ferrovia e la zona ‘rossa’ del fiume. Il secondo chiarimento riguarda invece l’allarme lanciato dal presidente Anac, Raffaele Cantone che aveva evidenziato, durante i lavori in Commissione Ambiente, il rischio di perdere trasparenza e concorrenza nel settore degli appalti e delle concessioni sui cantieri della ‘Napoli-Bari’, a causa delle troppe deroghe e dell’eccessivo potere dato al commissario straordinario dell’opera, Michele Elia: “Nessuna preoccupazione – ha assicurato De Caro – perché in questo caso è bene fare un distinguo. Elia avrà poteri straordinari solo ed esclusivamente per quanto riguarda i procedimenti, e per quanto riguarda le autorizzazioni: in pratica è un modo per velocizzare l’iter. Nessuna deroga invece,

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sarà a beneficio di Elia per quanto riguarda le gare d’appalto”. Chiarezza fatta anche per un possibile slittamento dei lavori che non ci sarà: “I cantieri devono aprire entro il 31 ottobre del 2015“. Infine De Caro ha voluto smorzare sul nascere qualsiasi tipo di polemica nei confronti dei ‘cugini’ irpini: “Non sono per la guerra tra i poveri – ha puntualizzato – e non ho assolutamente pensato e mai penserò di togliere dall’attuale progetto la creazione della stazione in superficie di Grottaminarda. Lo stesso Elia, al riguardo, non solo mi ha assicurato ma si è anche meravigliato per questo tipo di insinuazione che, francamente, non esiste”. Poi le conclusioni: “I tempi sono stretti e lo sappiamo, io ci metto la faccia ma vorrei, una volta tanto, che le nostre comunità avessero un atteggiamento operativo e propositivo al riguardo”. Infine, un annuncio a metà: “Nella legge di stabilità ci sarà ancora spazio per il Sannio, con altre opere. Ma per il momento, preferisco non dire di più. Ne riparleremo carte alla mano fine ottobre ottobre”. 


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in direzione direzione ostinata e contraria

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QUOTIDIANO ON-LINE Direttore Samuele Ciambriello - Editore Silvio Sarno



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