Rivista Lions Club Caltanissetta 2014-2015

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Sommario L’erotica del Volontariato di Salvatore Vizzini Caltanissetta un laboratorio di innovazione sociale e politica di Giovanni Ruvolo

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Scuola di Medicina Hypatia di Caltanissetta Ulteriore step per il Campus di Giuseppe Giglia

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Passi del nostro cammino di Salvatore Vizzini

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Il mio amico Giuseppe Pastorello di Emanuele Limuti

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Un gioiello di presepe di Antonio Guarino

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Per conoscere meglio Caltanissetta di Marco Maira

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L’altra Sicilia di Angelo Tomassoli

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Diario del soldato Francesco Paolo Scaduto di Felice Dell’Utri

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Il circuito delle “Città Moncadiane” di Giuseppe Cigna e Giuseppe Giugno

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Due storielle nissene d’altri tempi di Franco Spena

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Il miracolo di Natale di Luigi Garbato

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Disagio? No grazie... di Donatella Scarantino

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Palazzo Testasecca a Caltanissetta di Daniela Vullo

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Considerazioni in tema di sovraindebitamento di Giuseppe Giunta

Un altro strappo nell’arredo urbano di Cettina Ginevra

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La chiesa di San Giovanni e il borgo del casale a Caltanissetta di Mario Cassetti Appunti di una passeggiata in città di Rossella Giannone Caltanissetta: “castello delle donne” o “Castello di Nissa”? di Sergio Mangiavillano

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Piazza reale o piazza virtuale? di Marcella Ginevra Educare dentro il carcere per essere migliori fuori di Paola Pernaci

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Il tempo di sopravvivere tra casa e lavoro 52 di Alessandra Di Bartolo

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Si c’ero anch’io di Salvatore Lachina

La decisione del vescovo e i disordini della Settimana Santa di Vitalia Mosca Tumminelli

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Ancora una volta insieme a... San Giuseppe di Daniela Vullo

Caltanissetta e la sua storia, dimenticata e... manipolata di Antonio Vitellaro

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Lions Club Caltanissetta Distretto 108 YB V circ. RESPONSABILE EDITORIALE Salvatore Vizzini, presidente a. s. 2014-2015 COMITATO DI REDAZIONE Vitalia Mosca - Daniela Vullo - Salvatore Vizzini IMPAGINAZIONE E STAMPA Edizioni Lussografica - Caltanissetta marzo 2015 Gli articoli pubblicati rispecchiano il pensiero degli autori e non impegnano l’Editore e la redazione

In copertina: G.A. Matera, La strage degli innocenti - Presepio Istituto Testasecca, Caltanissetta


L’erotica del volontariato di

ei giorni scorsi di ritorno da un viaggio in Messico, per trascorrere una delle 12 ore di volo ho avuto l’opportunità di leggere il libro di Massimo Recalcati “L’ora di lezione - Per un’erotica dell’insegnamento”. L’autore, uno dei più noti psicoanalisti in Italia, racconta di una sua esperienza, “una mattina, nella classe di un Istituto agrario, fa la sua apparizione Giulia, una giovane professoressa di Lettere che parla di Letteratura e di poesia con una passione sconosciuta. È quell’incontro a “salvare” Massimo Recalcati, che nel suo libro dedicato alla pratica dell’insegnamento, riflette su cosa significhi essere insegnanti in una società senza padri e senza maestri, svelandoci come un bravo insegnante sia colui che sa fare del sapere un oggetto del desiderio, in grado di mettere in moto la vita e di allargarne l’orizzonte, è il piccolo miracolo che può avvenire nell’ora di lezione: l’oggetto del sapere si trasforma in oggetto erotico, l’erotica dell’insegnamento”. Ma perché ho citato questa esperienza di lettura in un arti-

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colo destinato alla Nostra rivista Lions? Come ho avuto modo di dire durante la recente visita a Caltanissetta del Nostro Governatore Salvo Ingrassia, il miracolo del Lions Club International è quello di annoverare tra i propri soci persone che fanno nascere e crescere “L’erotica del volontariato”. Scorrendo il sito del Club o le riviste che parlano delle innumerevoli attività di volontariato in tutto il mondo svolte dai Lions, non può non svilupparsi in tutti Noi una voglia di ESSERE, attingendo alla matrice inequivocabile della nostra umanità che possa sfociare in un desiderio erotico del volontariato, che offre l’opportunità di realizzare se stessi, migliorare la propria vita, avendo la percezione di poter essere utili agli altri. Quando abbiamo partecipato alla cena nella parrocchia San Giuseppe di Caltanissetta insieme con persone in difficoltà che ci ringraziavano per la nostra sensibilità e disponibilità, io mi sono permesso di ringraziare loro che ci hanno dato la possibilità di crescere nel servizio, di potere offrire ciò che

Salvatore Vizzini

dal nostro cuore sorge spontaneo per aiutare persone in difficoltà. Si scoprono in questo modo i veri valori che devono sostenere la nostra vita, si scopre l‘umanità delle persone che vivono in condizioni di disagio, ma che ti offrono l’esperienza di valori della vita che trascendono dallo stretto materialismo per innalzarti verso vette di esperienza che rendono la nostra vita degna di essere vissuta. Ecco perché il Lions Club raccoglie più di un milione trecentocinquantamila soci in 209 paesi del mondo: persone che vivono “l’erotica del volontariato”, scoprendo la passione, il desiderio di offrire agli altri una quota parte del proprio tempo e ricevendo in cambio un valore unico e irripetibile: la scoperta di quel mondo infinito e nascosto che risiede nel Nostro intimo. La nostra vita in fondo non è altro che questa continua ricerca e scoperta del Bene prezioso che può essere dentro di Noi ma che si trova sicuramente in ognuna delle persone che convivono con Noi in questa Nostra Terra.

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Caltanissetta un laboratorio di innovazione sociale e politica n’amministrazione pubblica che desideri, su propria iniziativa o su pressione della società civile, di coinvolgere i cittadini nella formulazione delle proprie politiche, si trova oggi di fronte a una vasta gamma di metodologie e strumenti, che sono stati sperimentati e affinati nel corso degli ultimi 10-20 anni in diverse parti del mondo. Le pratiche partecipative sono ormai raccomandate da molte organizzazioni internazionali, sono state promosse dai programmi europei (Urban e Leader, in primo luogo) e hanno fatto capolino anche nella legislazione italiana, soprattutto nel campo della riqualificazione urbana, delle politiche sociali e degli interventi per lo sviluppo locale. Alla radice di questo c’è una comune percezione dello stato di crisi in cui versano le istituzioni della democrazia rappresentativa sia per l’implosione del sistema partitocratico, sia per la diminuita affidabilità della concertazione centralizzata tra il governo e i grandi gruppi di interesse. Le esperienze di coinvolgimento dei cittadini nelle scelte pubbliche, partendo dalla dimensione locale, devono, quindi, prefigurare percorsi strutturati e regolati perché sia concreta la risposta, non populistica, alla crisi della democrazia rappresentativa. Infatti, per definire tali processi si parla di partecipazione intesa come relazione funzionale della società civile con le istituzioni che comporta un intervento diretto della prima nei processi di azione delle seconde. L’esperienza che abbiamo concretizzato a Caltanissetta con la costituzione di un Polo Civico, che fa da catalizzatore per una proposta di governo del territorio, va oltre l’ideologica distinzione politica di destra, centro e sinistra, ed ha questi pre-

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Giovanni Ruvolo

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Il Sindaco Giovanni Ruvolo alla cena di inaugurazione dell'anno sociale Lions

supposti: una comune coscienza civile che diventa partecipato e condiviso progetto di governo civico. Il cittadino consapevole e responsabile, rinsaldando il rapporto tra società e istituzioni attraverso la partecipazione alle scelte amministrative, si pone come fulcro dell’azione politica e sociale. Con questa esperienza, tutti, cittadini e rappresentanti istituzionali, siamo proiettati in avanti, su un percorso che vede una ri-


composizione moderna dei rapporti tra politica e società, tra amministratori e cittadini. Abbiamo scommesso sulla fiducia e sul dialogo, e questo ha generato relazioni umane che ci stanno consentendo di valorizzare le positività concrete della nostra comunità. Il nostro è e deve svilupparsi come lavoro di squadra, a rete con le varie realtà associative che operano sul territorio. E questo pone la nostra Città come un laboratorio politico e sociale che può essere considerato unico in Sicilia e si pone come soluzione alla fase di crisi economica e valoriale che stiamo ancora attraversando. Gli obiettivi sono ambiziosi, ma legati alla consapevolezza che occorre rendere normalità ciò che oggi sembra essere visione e sogno per la valorizzazione dei territori e per una moderna prospettiva di sviluppo. Ma, per dare tangibile attuazione al principio partecipativo, una moderna azione amministrativa ha la necessità di essere supportata da una moderna composizione di sistema. Una nuova tipologia di soggetti politici con un’organizzazione che riconosca alla propria base la leadership e che agisce in una dimensione politica più ampia, di autoformazione, di cambiamento culturale e insieme di cura delle relazioni sociali. L’idea qualificante è che, partendo dal governo dei territori, si realizzino modelli innovativi d’impegno politico che contribuiscano a modificare le forme e le condizioni del patto sociale e del rapporto tra rappresentati e rappresentanti. Dunque, è necessario definire un moderno assetto organizzativo delle strutture politiche che si caratterizzi come spazio di azione e relazioni, per contrastare i processi di personalizzazione ed accrescere la capacità di federarsi tra gruppi ed esperienze differenti, spingendo per la composizione di rapporti tra comunità territoriali contigue, per

ottimizzare i servizi al cittadino e sostenere iniziative di cogestione e autogoverno democratico. Si tratta di disancorare le idealità fondanti e le grandi culture politiche del Novecento dalla rappresentazione conflittuale che negli anni si è artificiosamente combinata. I processi quali la globalizzazione, la crisi ecologica, i fenomeni migratori, l’informatizzazione, la trasformazione del lavoro, la precarizzazione, hanno creato un nuovo quadro politico che deve presupporre un nuovo metodo e nuove forme di organizzazione politica. Quindi, è necessario ridefinire la cornice entro la quale far partire una nuova stagione che sappia dare risposte concrete al mutamento sociale, ricomponendo i conflitti che non trovano adeguata rappresentazione nello spazio politico attuale. È evidente la necessità di un radicale cambiamento culturale, che ponga al centro dell’azione politica, amministrativa, economica, imprenditoriale e sociale il valore e l’importanza del rispetto delle regole. Regole da intendersi non solo ed esclusivamente come divieti, comandi e obblighi ma, prima di tutto, come strumenti capaci di garantire i diritti fondamentali delle persone, pari opportunità e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e alle istituzioni.

Questo impegno per il cambiamento ha bisogno di vedere tutti partecipi, e in prima linea quelle organizzazioni di utilità sociale e di promozione culturale che devono rappresentare uno strumento per sostenere forme attive di cittadinanza, contribuendo alla crescita sociale, civile e culturale della collettività. Il ruolo dei club services, nella loro funzione di indirizzo e di opinion-leaders nella società, punti di riferimento sul territorio di propria competenza, e di trait d’union tra società e istituzioni, a mio avviso è importante, specie per le diverse iniziative mirate ad affrontare le particolari necessità sia nel campo assistenziale e umanitario sia in quello culturale. Assodato, infatti, che la crescita di un territorio non può non passare attraverso I'impegno attivo di ciascuno, l’apporto fornito da tutte le associazioni e i liberi cittadini è il vero capitale sociale che potrà rappresentare il fattore vincente per le nostre realtà. Troppo spesso l’atteggiamento indolente di chi si culla sulla propria posizione di privilegio impedisce la realizzazione di reti solidali di collaborazione, frenando l’impegno anche dei singoli cittadini nel cercare di consegnare alle giovani generazioni una società più sana e accogliente.

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Passi del Nostro Cammino di

l 28 settembre 2014, vigilia di San Michele, alla presenza dei Presidenti e Segretari dei Club services della città di Caltanissetta e del Nostro Sindaco Giovanni Ruvolo e consorte si è svolta la cerimonia di apertura del nostro anno sociale. Un momento importante in cui il Club si presenta alla città e comunica le attività che intende svolgere al servizio della collettività in ambito sociale sia per la crescita culturale che verso le persone in difficoltà. Il 18 ottobre 2014, in una splendida notte stellata, abbiamo avuto l’opportunità di vivere un’esperienza particolare che abbiamo chiamato… “E uscimmo a riveder le stelle”. L’Ing. Prof. Michele Fiorino ci ha affascinato con le sue parole sul mondo astronomico e grazie ad un potentissimo telescopio ed un binocolo astronomico, messi a disposizione dal Prof. Fernando Sardo, abbiamo potuto ammirare le stelle. I Musei della Domenica. Quale modo migliore per utilizzare i pomeriggi domenicali. Ogni mese è stata programmata la visita ad un Museo della città. Il 26 Ottobre 2014 guidati, in modo coinvolgente e appassionato, dal Geologo Prof. Enrico Curcuruto abbiamo ammirato gli splendidi tesori del Museo Mineralogico “S. Mottura” di Caltanissetta, album di famiglia della terra. Domenica 30 Novembre 2014 abbiamo visitato il quartiere “Provvidenza” con la guida esperta dell’Architetto Mario Cassetti. La scoperta di un quartiere della città in cui si stanno realizzando lavori di recupero e restauro che potrebbero dare l’opportunità di rinascita per questo spazio, quasi abbandonato, e che ancora testimonia la memoria di una parte interessante della storia della Nostra città. Nel mese di Novembre 2014 abbiamo realizzato il Progetto “Un Poster per la pace” in collaborazione con tutte le scuole medie

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Salvatore Vizzini

della città di Caltanissetta: Rosso di San Secondo, Verga, Cordova, Leone, Santa Barbara. Sono stati realizzati più di 500 poster. La scuola Media “Cordova”, il 16 Dicembre 2014, ha organizzato una giornata dedicata alla pace, con l’allestimento di una mostra con più di 300 disegni, grazie al grande impegno dei docenti Panettieri e Rifici. Prossimamente sarà realizzato un Totem della Pace in collaborazione con la Scuola Media Santa Barbara, grazie alla disponibilità del Dirigente Scolastico Arch. Mario Cassetti e all’instancabile impegno del Prof. Lirio Scarciotta. In collaborazione con il Sindaco della Città, Dott. Giovanni Ruvolo e l’Ing. Canalella, responsabile ANAS territorio di Caltanissetta, grazie al costante impegno dell’Arch. Maria Grazia Raimondi e del Dott. Alfonso La Loggia, stiamo cercando di realizzare dei pannelli recanti immagini dei luoghi da visitare a Caltanissetta quali le chiese, il museo Mineralogico, il museo Diocesano, il museo Archeologico, il museo Tripisciano, da collocare nelle strade di accesso alla città. Mercoledì 10 Dicembre 2014 abbiamo visitato il Museo Diocesano di Caltanissetta cogliendo anche l’opportunità di ammirare lo splendido Presepe di carta del ‘700 di Vito D’Anna, per la prima volta esposto in città. Ci ha accompagnato, squisita ospite, la Direttrice del Museo Prof.ssa Francesca Fiandaca che ci ha dato l’opportunità di godere delle splendide opere custodite nel museo e il Dott. Luigi Garbato ci ha presentato con competenza e garbo (non per nulla si chiama Garbato!) il Presepe di carta. Giovedì 18 Dicembre 2014 grazie alla grande disponibilità e all’impegno della Dott.sssa Daniela Vullo abbiamo organizzato una cena con i parrocchiani della Chiesa di San Giuseppe, guidata da Don


Salvatore Lo Vetere. Un momento di grande aggregazione, di allegria, di gioia vissuta insieme con grandi e piccoli in un’atmosfera di concreta condivisione dei veri valori della vita. Giovedì 18 Dicembre 2014 abbiamo consegnato agli studenti che frequentano il Corso di laurea di Ingegneria Elettrica a Caltanissetta e ai loro docenti, coordinati dal Ing. Prof. Gianluca Acciari, la strumentazione donata dal Lions Club di Caltanissetta per migliorare la funzionalità dei laboratori in cui quotidianamente gli studenti effettuano prove ed esperimenti. Gli studenti soddisfatti per l’attenzione mostrata dal nostro Club nei loro confronti hanno inviato una lettera sottolineando il fatto che: “Grazie al Lions Club di Caltanissetta, Noi potremo diventare migliori”. Il 21 Dicembre 2014 durante la Festa degli Auguri, abbiamo avuto il piacere di accogliere nel Nostro Club quattro nuovi soci: la Dott.ssa Concetta Cardamone, Specialista in Anestesia e Rianimazione, la Dott.ssa Bianca Messina Psichiatra, l’Avv. Calogero Buscarino e il Dott. Massimo Siracusa Specialista in Ortopedia. Nell’ambito del service di rilevanza nazionale “I giovani e la sicurezza stradale” abbiamo programmato un incontro con gli alunni del triennio del Liceo Classico, Linguistico e Coreutico “Ruggero Settimo” Caltanissetta, in collaborazione con il Comandante della Polizia Stradale di Caltanissetta Dott.ssa Maria Grazia Milli. Nell’ambito del Service Distrettuale “Infortuni negli ambienti di lavoro. Conoscerli per evitarli” sarà svolto presso l’Auditorium “Bufalino” Caltanissetta un incontro sul tema, rivolto agli alunni di tutti gli Istituti di scuola media superiore. Nell’ambito del service di rilevanza nazionale Progetto “Martina”, sarà realizzato un incontro con i giovani delle scuole medie superiori, con l’interven-

to di medici specialisti, sul tema “La via per combattere il cancro”. …Il cammino continua Aprile 2015 Tema di studio Distrettuale: La Nostra storia: Cultura, Tradizioni e Risorse. Conosciamoli! Potenziali veicoli per una rinnovata crescita sociale ed economica: “…E io resto al sud” Conferenza sul tema della fuga dei cervelli. Presentazione di un progetto che potremmo chiamare “Telemaco” da proporre all’amministrazione comunale per creare le condizioni affinché i giovani che sono stati costretti ad andare fuori possano prendere in considerazione l’idea di tornare ed investire a Caltanissetta. Maggio 2015 Spettacolo al Teatro Margherita “I Lions in scena”. 27 Giugno 2015 Passaggio della campana a Rino Iannì. Per La città: • Ipotesi di collocazione di un cartellone pubblicitario con un’immagine di un luogo di Caltanissetta es. Museo Mineralogico- Diocesano- S. AgataCattedrale- S. Spirito,ecc. Idea di Alfonso La Loggia. • Collocazione di indicazioni turistiche per i musei della città. • Miglioramento dell’illuminazione del monumento al minatore collocato di fronte il negozio Club 70 - angolo via Kennedy - Viale Conte Testasecca. Dal Codice dell’Etica Lionistica

BLIGHI COME CITTADINO VERSO LA NAZIONE E LA COMUNITÀ E OFFRIRE LORO LA LEALTÀ INCONDIZIONATA DELLE PAROLE, DEGLI ATTI E DELLE AZIONI. DONARE LORO SENTIMENTI, OPERE, LAVORO, TEMPO E DENARO”

Incarichi di collaborazione con i soci: Services permanenti e di rilevanza nazionale: I giovani e la sicurezza stradale. Poster per la pace. Premio Lions Melvin Johns a una Personalità nissena. Incarichi di collaborazione con i soci: Rivista Cartacea – Distribuzione durante la Charter Marzo 2015: Vitalia Mosca e Daniela Vullo I Lions in scena- commedia al Teatro “Regina Margherita” Marcella Ginevra - Mario Lombardo I Lions per i giovani di talento Mimmo Cutrera - Mario Lombardo collaborazione con la Teknè scuola di musica Caltanissetta sezione canto moderno prof.ssa Maria Angela Rizza. Organizzazione gite: Michele Vitale - Alfonso La Loggia Creazione Gruppo FacebookWhatsApp- Lions CL : Alessandra Di Bartolo Addetto Stampa: Alfonso La Loggia - Marcella Ginevra Alessandra Di Bartolo Meeting: Aula Magna IISS “Mottura Caltanissetta”- Sala Blu Teatro “Rosso di San Secondo - Villa Isabella - Villa Barile - Hotel San Michele.

“SEMPRE RICORDARE GLI OB-

Concorso “Poster per la pace” - Alunni plesso “S. Barbara” Caltanissetta

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Il mio amico Giuseppe Pastorello di

crivo queste righe di getto e col cuore. Si legge sul frontone della facciata del Teatro Massimo di Palermo: “L’Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita”. Il Maestro Giuseppe Pastorello, per me Pippo, la ricordava sempre e insieme ci dicevamo che l’espressione valeva anche per la nostra amicizia. Essa era nata, cresciuta e si era rinnovata attraverso la costante, condivisa, intensa passione per l’Arte. Giovani ventenni entrambi, lui tenore già formato e in crescita, io pianista dilettante all’ottavo anno di Conservatorio, trascorrevamo intere giornate a preparare “il concerto” per l’Associazione Amici della Musica, sotto la guida attenta del Comm. Ignazio Giambertone e della moglie Sig.ra Iole, donna di raffinata sensibilità musicale, a noi assai cara. I “concerti” si tenevano nel grande salone dell’Hotel Villa Mazzone, in un ambiente caldo elegante ed accogliente. Eseguivamo celebri arie delle più famose Opere Liriche ma anche canzoni del repertorio classico e napoletano. Un legame particolarmente intenso e ricco di emozioni artistiche in quanto egli volle che fossi il suo “accompagnatore al piano”. Sento ancora nell’anima la melodia dell’Arlesiana: ”È la solita storia del pastore… anch’io vorrei dormir così, nel sonno almen l’oblio trovar…”. La cantava con infinito trasporto ed espressività e alla fine mi gratificava affermando che la nostra intesa musicale era perfetta. Era un godimento pieno dello spirito, linfa rigenerante per la nostra vita. E così per più di 50 anni!

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Emanuele Limuti

Pippo era un uomo profondamente generoso nell’arte e nella vita. Egli era legatissimo ai valori familiari e, fatto tutt’altro che frequente, all’interno di essi riversava la propria passione per l’Arte, arricchendoli ed esaltandoli quotidianamente e coinvolgendo chi gli era vicino.Posso testimoniare che la noia in casa Pastorello non è mai esistita! Le nostre case sovente si trasformavano in “succursali “dell’Associazione e ospitavamo artisti come Severino Gazzelloni, Salvatore Accardo, Bruno Canino, Roberto Cappello, I Gospels e tanti altri che si producevano in “performances” informali, in una impagabile atmosfera “domestica”. E poi, a conclusione, Pippo cantava per ”il suo Amore”, la moglie Pia, la romanza “Vorrei baciar i tuoi capelli biondi”, con un vezzoso adattamento cromatico che ci faceve sorridere. Straordinario, instancabile lavoratore, teneva un archivio completo di tutti i fatti e gli eventi artistici della sua vita e per tutto il mondo. Negli ultimi tempi, aveva preso l’abitudine di inviarmi foto significative della nostra grande amicizia e mi aveva anche promesso che avrebbe cercato, tra le sue cose, la registrazione della Rapsodia Ungherese di Listz eseguita da me a 4 mani con l’amico e giovane pianista Pippo Cangemi nel lontano 1964. Ma non ha fatto in tempo. Mi aveva invece inviato recentemente la foto che Vi mostro con la breve nota esplicativa di suo pugno. Mi saluta con un grande abbraccio che io ricambio, commosso, nel rivolgere a Lui il mio incancellabile ricordo.


CARISSIMO EMANUELE TI INVIO UNA FOTO RICORDO DEL CONCERTO FATTO AI TEMPI DEL COMPIANTO COMM. GIAMBERTONE FATTO ALL'HOTEL MAZZONE NEL MARZO 1963 PER LA CROCE ROSSA ITALIANA, CON LA PARTECIPAZIONE DI LA CAPONNETTO.ISIDORO OREFICE, SCOMPARSO QUALCHE ANNO ADDIETRO, MELFA, IL FIGLIO DEL DIRETTORE DEL BANCO DI SICILIA E IL PRINCIPE DEL FORO DI CALTANISSETTA. SONO CERTO CHE NE SARAI CONTENTO. HAI NOTIZIA DEGLI ALTRI? UN GRANDE ABBRACCIO, CI VEDREMO STASERA PIPPO

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Un gioiello di presepe Il presepe Sei-Settecentesco dell’Istituto Testasecca di Caltanissetta er anni, dopo la trepidante ricerca di muschio, ciottoli, blocchetti di pietra sabucina, pezzi di specchio, cartoni e calce, dopo averlo montato, generazioni di bambini e ragazzi affidati alla cura delle suore dell’Istituto Testasecca di Viale della Regione, ogni Natale davanti al presepe hanno cantato Simu junti a sta nuvena / di Maria matri sacrata, / quannu persi dda jurnata / nni la nivi e la jlata. / Quannu Diu s’avia ’ncarnari /manna l’Angilu Gabrieli: / “a Maria ma salutari, / la Regina di li celi”. / Ci mancavanu palazzi / a lu Re di la natura? / Vonsi nasciri a li strapazzi / ’ntra na povira mangiatura. Oltre al mistero della santa nascita, nessuno di loro e dei responsabili del “Ricovero” - come era identificato l’Istituto - probabilmente sapeva di cantare davanti ad un capolavoro dell’arte dei “pasturara”, un gioiello unico in Provincia di Caltanissetta, opera di Giovanni Antonio Matera, o di maestri formatisi alla sua scuola. Matera (Trapani 1653 – Palermo 1718) è uno scultore di valore, non è uno dei tanti, seppure abili, artigiani siciliani presepisti; nelle sculture di piccolo formato raggiunse livelli di altissimo pregio, in particolare nell’espressione dei sentimenti dei perso-

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Antonio Guarino

naggi raffigurati. Visse prevalentemente a Palermo dove venne a contatto con la cultura barocca palermitana e con il massimo artista contemporaneo, Giacomo Serpotta. “Mastru Giuanni lu pasturaru”, come viene comunemente chiamato, si guadagnò la fama come autore di sculture in legno, tela e colla, e le sue opere sono considerate “un trionfo della miniatura”, tanto apprezzate da essere state acquistate da intenditori, collezionisti e teste coronate come i reali di Baviera. La serie più importante, dal punto di vista stilistico, di un gruppo di statuine è conservata al Bayerisches National Museum di Monaco di Baviera e comprende Storie Evangeliche e Gruppi di Pastori; il Museo Etnografico G. Pitrè di Palermo conserva le Storie evangeliche e 397 Pastori e il Museo Pepoli di Trapani un nucleo di opere, costituito da Presepi. Questa dell’Istituto Testasecca di Caltanissetta è, pertanto, la quarta tra le esposizioni più prestigiose. La tecnica utilizzata da Matera e dalla sua scuola, detta di tila e codda, è quella di realizzare figurine intagliate nel legno di tiglio che venivano rivestite di stoffa (tela olona) trattata con colla e gesso e poi decorate con forti policromie e netti contrasti


chiaroscurali caratteristici della pittura secentesca di ambito realistico. È la stessa tecnica impiegata per creare le statue dei gruppi sacri dei Misteri di Trapani. Il presepe conservato presso l’Istituto Testasecca è la più importante testimonianza di arte presepiale della provincia di Caltanissetta; ritenuto di notevole interesse storico ed etnoantropologico, è stato dichiarato nel 2007 bene culturale da tutelare dalla Soprintendenza ai Beni Culturale e Ambientali di Caltanissetta. Dopo un accurato restauro, per salvaguardare e promuovere questo pregiato patrimonio artistico, da maggio 2013 è stata stipulata una convenzione tra l’Istituto Testasecca e la Società Nissena di Storia Patria. I due Presidenti, rispettivamente Alberto Maira e Antonio Vitellaro, hanno sottoscritto l’impegno di tutelare, custodire e valorizzare il presepe monumentale salvaguardando l’integrità e consentendone la fruibilità al pubblico tutto l’anno, in particolare nel periodo natalizio. In conseguenza di ciò il bellissimo Presepe è stato affidato alla Società Nissena di Storia Patria. Il presepe esposto nell’Istituto Testasecca di Viale della Regione è di alto livello, è formato da 83 statuine realizzate tutte manualmente ed in pezzi unici, ed è una composizione a retablo, a scomparti: 3 quadri che rappresentano l’Annunciazione, la Natività e la Strage degli innocenti. È una composizione caratteristica, propria dei presepi di Giovanni Antonio Matera. Per quanto è dato di sapere non vi sono in giro presepi, al di fuori di quelli di “Mastru Giuvanni lu pasturaru”, che includano l’episodio della strage degli Innocenti. Pertanto, i raffronti

di temi, di stile e talune soluzioni dei panneggi delle figure decisamente convalidano il comune riferimento orale allo scultore trapanese, che opera, credibilmente, con l’ausilio della bottega; perché, purtroppo, non sono stati finora rinvenuti documenti sulla fattura dell’opera, sulla provenienza e sull’acquisizione da parte dell’Istituto Testasecca di questo stupendo presepe dove non mancano, in diverse figure, echi berniniani e influssi coloristici caravaggeschi. Per promuovere e valorizzare il Presepe del Testasecca il 17 dicembre 2014 è stato organizzato un partecipato evento per la presentazione delle figurine appena restaurate; la Rassegna di storia, lettere, arte e società, Archivio Nisseno, gli ha dedicato una sezione del n. 14. Dal Natale 2013, la Società Nissena di Storia Patria garantisce gratuitamente la fruizione a tutti coloro che lo vogliono visitare nel corso dell’anno, assicurando sempre anche un’assistenza ai visitatori e nel periodo natalizio organizza visite guidate, conferenze ed eventi. Nel trascorso periodo natalizio 20142015 i visitatori della mostra sono stati

davvero tanti. Entusiasta e massiccia la partecipazione dei ragazzi delle scuole dell’obbligo della città (circa 1000), che si sono aggiunti ai numerosissimi visitatori (gruppi e privati cittadini) provenienti anche da diverse località della Sicilia. A coronamento delle manifestazioni, l’11 febbraio scorso il grande salone dell’Istituto Testasecca ha ospitato un convegno organizzato dalla Società Nissena di Storia Patria, presieduta dal presidente Antonio Vitellaro, per promuovere un allestimento scenografico più consono per il prezioso capolavoro presepiale e una cerimonia, presentata con grazia e competenza dalla prof.ssa Vitalia Mosca. Nel corso di questa manifestazione i ragazzi delle scuole che avevano in precedenza visitato il presepe hanno fatto valere l’estro, la fantasia e la grande bravura, mostrando lavori (poesie, disegni, canti, presepi e altro) ispirati all’opera di Giovanni Antonio Matera.

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Il circuito delle “Città Moncadiane” Uno strumento per il rilancio turistico e culturale del centro Sicilia l termine della Seconda Edizione della manifestazione “Itineraria Urbana”, nel corso di una tavola rotonda finale, si è riflettuto sul rapporto tra Turismo e Beni Culturali con riferimento specifico al progetto “Città Moncadiane”. Si tratta di un’iniziativa di promozione culturale e turistica del territorio finalizzata alla costituzione di un circuito tematico tra i comuni dell’isola in passato governati dai Moncada. Allo stato attuale, le città coinvolte nell’iniziativa sono Caltanissetta, Paternò, Caltabellotta e Collesano. La comune matrice storica consente, infatti, di intercettare e tessere tratti e aspetti significativi della storia dei territori individuati, come castelli, torri, palazzi, chiese, conventi e architetture proto-industriali, ascrivibili ad una geografia politica comune, utile per definire una piattaforma culturale attraverso la quale “ri-attivare” percorsi, scambi e relazioni tra i diversi centri. Il progetto “Città Moncadiane”, ideato e concepito dall’Associazione Culturale “Alchimia” e dal Servizio Turistico Regionale di Caltanissetta con la collaborazione del Comune e della Pro Loco di Caltanissetta, consente la sistematizzazione dei saperi tra diversi Comuni aderenti all'iniziativa e mira all’attivazione di nuovi percorsi di ricerca ed alla formulazione di itinerari di fruizione turistica dei territori mediante la programmazione congiunta ed il coordi-

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Giuseppe Cigna e Giuseppe Giugno

namento delle azioni culturali concepite. Per quanto attiene alla dimensione culturale del progetto, diversi ed interessanti sono stati gli spunti di riflessione emersi durante la tavola rotonda nel confronto tra gli storici, che hanno illustrato attraverso i loro contributi i territori moncadiani. Dopo l’intervento di apertura di Simona Laudani, docente di Storia moderna presso l’Università di Catania, che ha ben inquadrato la problematica di riferimento evidenziandone le coordinate generali, le relazioni successive hanno consentito di riflettere su alcune delle tematiche che potrebbero ben orientare i progetti di sviluppo culturale e turistico dei territori, vale a dire Ebraismo e Rinascimento in Sicilia e l’Eleganza Cortese. La preziosa eredità culturale offerta dal passato dà precisa connotazione e significato alle potenzialità che “Città Moncadiane” presenta rispetto alle opportunità di crescita turistica delle aree interne della Sicilia ed in particolare del “Nisseno”, sede di rappresentanza principale del vasto e potente dominio dei Moncada in Sicilia. Il progetto rappresenta certamente un'occasione privilegiata per riscoprire ed apprezzare il processo di formazione e consolidamento dell'identità urbana di diverse città isolane nello sviluppo del loro tessuto urbanistico, ma anche e sopratutto sotto il profilo culturale, sociale, politico ed amministrativo. Tutto ciò potrà


essere realizzato attraverso un suggestivo viaggio nella memoria che non mancherà di sorprendere per ricchezza e spessore di contenuti inediti e pressoché sconosciuti. Il progetto potrà dar vita ad un vero laboratorio di scambio culturale tra territori lontani: chiave di lettura inedita per lo sviluppo dell'entroterra isolano che, a dispetto dei più comuni stereotipi legati ad una visione asfittica dell’economia e del contesto culturale siciliano interno, è espressione della vitalità culturale, politica ed amministrativa di città sorte e sviuppate sotto l’influenza feudale dei Moncada. L’iniziativa, fondandosi sul binomio CulturaTurismo, mira a riscoprire e a declinare la “centralità” di quest’area della Sicilia, così da esaltarne l’identità e la ricchezza del patrimonio culturale. Puntare sul recupero e sulla valorizzazione dell’identità di territori legati da una comune storia - qual è appunto quella dei Moncada in Sicilia - è una validissima opportunità di promozione turistica e più in generale economica di tutti i contesti territoriali a vario titolo coinvolti nel progetto, sintetizzabile nell’ideazione di itinerari tematici che ripercorrano e riscopra-

no le testimonianze del passato, per apprezzare ed esaltare le diverse identità dei luoghi con tutte le filiere turistiche correlate alle diverse ed articolate varietà di risorse ambientali, storiche e culturali che caratterizzano l’intera area di riferimento. L’iniziativa, peraltro, trova pieno e funzionale riscontro nelle nuove linee di programmazione ed intervento finanziario 2014-2020 dell’Unione Europea (Programma “Europa Creativa” e “Life” per il turismo sostenibile) che, riconoscendo le enormi potenzialità del patrimonio culturale europeo, promuove e sostiene le politiche volte a sviluppare l’offerta turistica, legata e fortemente connotata da culture e tradizioni locali, in piena rispondenza a criteri ed esigenze di eco-sostenibilità: conservazione del patrimonio, del paesaggio e della cultura locale. L'Unione Europea ha, infatti, riconosciuto l'esistenza di uno stretto collegamento funzionale tra politiche di coesione economica e sociale ed il ruolo della cultura con i suoi riflessi sull'occupazione. Il patrimonio culturale di una città, inteso quale matrice dell'identità dei luoghi e della sto-

ria di un territorio, ha assunto negli ultimi anni una valenza strategica dando vita a nuove forme di competizione tra sistemi locali fondati su un'innovata declinazione dello sviluppo sostenibile. La cultura quindi, più che un semplice attributo qualitativo della crescita del territorio, rappresenta ormai uno dei fattori strategici per conseguire ed orientare lo sviluppo congiunto ad un apprezzamento integrato e sostenibile delle vocazioni territoriali. Quanto detto diviene certamente decisivo sopratutto per la rigenerazione di aree che, nonostante la ricchezza di risorse presenti nel proprio territorio, risultano ancora socialmente ed economicamente svantaggiate. In tale ottica, la Sicilia ed il proprio entroterra, ricco di risorse culturali e paesaggistiche tutte da scoprire ed apprezzare, può e deve attivarsi per esercitare il ruolo di destinazione turistica privilegiata che, già in passato, Goethe, uno dei primi pionieri del turismo culturale, le riconobbe scrivendo: «L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto» (J.W.Goethe, “Viaggio in Italia”, 1817).

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Il miracolo di Natale Lo straordinario successo del Presepe di carta di Vito D’Anna l Museo Diocesano del Seminario Vescovile “G. Speciale” di Caltanissetta, diretto dalla prof.ssa Francesca Fiandaca, ha ospitato dall’8 dicembre 2014 all’8 gennaio 2015 la mostra del Presepe di carta realizzato dal pittore palermitano Vito D’Anna nella seconda metà del XVIII secolo. Vito D’Anna (Palermo, 1718 – 1769) è uno degli artisti più importanti del Settecento siciliano. Il Presepe, documentato da Padre Fedele da San Biagio nei sui Dialoghi familiari sopra la pittura, fu realizzato dal pittore palermitano nell’ultima fase della sua vita, tra il 1765 e il 1769. Si tratta di un Presepe di carta composto da quasi duecento pezzi disegnati, dipinti a tempera e ritagliati dall’artista che li ha predisposti per una composizione che nella sua interezza dona un effetto di grande spazialità e tridimensionalità. Questa sensazione di uno spazio reale è data da quattro elementi: la prospettiva, la scenografia, la resa pittorica e l’elemento architettonico. Coniugati insieme, questi espedienti donano la sensazione di ammirare un Presepe definito, soprattutto dai visitatori più giovani, in “3D”. La componente architettonica è certamente l’elemento che tra tutti risalta maggiormente all’occhio. La bellezza di questo capolavoro e la possibilità unica di vederlo a Caltanissetta nella sua interezza – negli ultimi vent’anni il Presepe è stato esposto solo due volte a Palermo – hanno richiamato un grandissimo numero di visitatori, in totale più di 5.500 in soli ventotto giorni di esposizione. Il dato è straordinario per la realtà nissena: non solo se paragonato alla realtà del Museo Diocesano ospitante, ma anche in riferimento al contesto cittadino, poco incline alla partecipazione diretta alle iniziative culturali proposte.

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Luigi Garbato

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Inaugurazione della mostra - Foto di Ettore Fiorino

Per avere qualche informazione che ci aiuti a comprendere la portata del successo della mostra nissena basterà analizzare i numeri relativi alla fruizione dei musei regionali siciliani nel 2013: in un anno i visitatori del Complesso Minerario Trabia Tallarita sono stati 3.066, quelli del Museo Archeologico di Caltanissetta 2.343, del Museo Archeologico di Marianopoli 813, volendo restare sempre nel territorio dell’odierno Libero Consorzio Comunale di Caltanissetta. Lungi dal voler creare una inutile quanto deleteria gara all’ultimo visitatore, questo raffronto serve a comprendere non solo che i musei siciliani dovrebbero probabilmente intraprendere nuove politiche culturali, ma anche e soprattutto che il Museo Diocesano di Caltanissetta si sta affermando, a partire da questa esposizione, come polo culturale d’attrazione nel territorio del centro Sicilia. Indubbiamente la prima ragione di questo successo è da ravvisare, come abbiamo già constatato, nel particolare pregio del capolavoro esposto, degno di ammirazione per la sua unicità. La singolarità della mostra nissena è dovuta anche al fatto che per la prima volta in assoluto sono state esposte, insieme a


quelle appartenenti alle eredi dell’antiquario Nicolò Burgio, le dodici figurine incorniciate di proprietà del prof. Gioacchino Lanza Tomasi, mai concesse in prestito fino a ora. La mostra ha dunque riunito dopo cinquant’anni tutte le figurine del Presepe di carta di Vito D’Anna. Un ulteriore elemento che ha contribuito alla promozione dell’iniziativa è stata l’organizzazione di tre intermezzi culturali: la presentazione del Presepe da parte dei proff. Bongiovanni e De Luca della Soprintendenza BB. AA. CC. di Palermo il giorno dell’inaugurazione, la riflessione sul significato intimo e personale del presepe con le dott.sse Gabriella Tomai e Rita Borsellino, conclusasi con una degustazione dolciaria offerta da Delizie d’Autore, infine un concerto eseguito dalla corale Alessandro Scarlatti, seguito dalla degustazione di dolci tipici della tradizione siciliana offerti dall’Associazione Duciezio. La mostra inoltre è stata anche l’occasione per esporre alcuni pregiati cristalli di zolfo e sali di proprietà del collezionista Ettore Fiorino, così da creare un collegamento indiretto con il Museo Mineralogico, Paleontologico e delle Zolfare di Caltanissetta. Il museo ha infatti voluto proporre dei rimandi alle strutture museali aderenti alla Rete Museale del centro Sicilia: oltre al Museo Mineralogico già citato, le sculture di Giuseppe Frattallone e Michele Tripisciano hanno fornito l’occasione per indurre a visitare la Galleria Civica d’Arte di Palazzo Moncada che espone le opere dei due artisti nisseni. La ragione principale del successo è tuttavia da individuare nel grande coinvolgimento di “risorse umane” che gli organizzatori della mostra, guidati dalla prof.ssa Francesca Fiandaca, sono riusciti a rendere partecipi in tutte le fasi della manifestazione. Tutti questi stakeholders, ovvero “portatori di

interesse”, in totale circa una sessantina tra soggetti singoli e istituzioni, possono essere riuniti per categorie: rappresentanti istituzionali, comitato organizzativo, supporter, sponsor e volontari. Tra i rappresentanti istituzionali rientrano il vescovo mons. Mario Russotto e la Diocesi di Caltanissetta, il soprintendente Lorenzo Guzzardi e l’unità operativa storico – artistica della Soprintendenza BB. CC. AA. di Caltanissetta, il soprintendente Marilena Volpes e l’unità operativa storico – artistica della Soprintendenza BB. CC. AA. di Palermo. Il comitato organizzativo comprende invece gli operatori del Seminario vescovile e circa una decina di professionisti che gratuitamente hanno affiancato la prof.ssa Francesca Fiandaca in tutte le fasi della manifestazione, curando soprattutto le pubbliche relazioni e la comunicazione. Numerosi sono stati anche i supporter, ovvero tutti coloro che a titolo gratuito hanno fornito un patrocinio o uno sponsor tecnico, offrendo prestazioni in natura: è il caso del Comune di Caltanissetta, del Servizio Turistico Regionale di Caltanissetta, della Rete Museale Cul-

turale e Ambientale della Sicilia, della Tipografia Paruzzo, solo per fare qualche esempio. Gli sponsor che hanno reso possibile l’iniziativa sono stati la Reale Mutua Assicurazioni, la Camera di Commercio di Caltanissetta, il Libero Consorzio Comunale di Caltanissetta, l’Unicredit, la Fondazione Banca Popolare di Novara, la BCC del Nisseno, la BCC San Michele e la BCC “G. Toniolo” di San Cataldo. Questi hanno coperto i due terzi della spesa totale: la parte restante è invece a carico della Curia vescovile, alla quale andranno anche i soldi raccolti con le libere offerte dei visitatori del Presepe di carta. I costi principali della mostra hanno riguardato l’assicurazione del bene e il trasporto chiodo a chiodo, il montaggio delle strutture e l’allestimento della sala a cura della “Pizzico d’arte 2” di Giuseppe Floridia, infine la stampa degli inviti e delle locandine. La maggior parte degli interessati ha dunque lavorato in regime di volontariato, ma particolarmente interessante è stata la partecipazione di sedici giovani volontari del Servizio Civile Nazionale, dell’ANFE e una singola volontaria, che hanno prestato servizio di guardiania,

Particolare della Natività - Foto di Alberto M. di Maira

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accoglienza, accompagnamento e guida all’interno del museo. Il loro aiuto è stato particolarmente prezioso soprattutto nei primi dieci giorni dell’esposizione, quando il Presepe di carta è stato visitato da circa cinquanta classi di dieci istituti nisseni e uno di San Cataldo, per un totale di più di 1.000 studenti. Il grande coinvolgimento del pubblico, preso quasi per mano e condotto alla conoscenza e all’apprezzamento del Presepe di carta e delle opere del museo da parte dei volontari, è stato un ulteriore elemento che ha contribuito al successo della mostra. Oltre agli studenti numerosi altri gruppi hanno approfittato della visita guidata gratuita: gruppi parrocchiali, associazioni culturali, scout, ordini professionali, club service, associazioni che si occupano di accudire ammalati e diversamente abili, ma anche singoli, coppie, gruppi di amici e famiglie. Il coinvolgimento del pubblico non ha riguardato solo le visite

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guidate ma anche la possibilità per i più piccoli di partecipare a un laboratorio creativo a cura dell’associazione Orsa Minore, proposto in quattro appuntamenti. La mostra ha promosso anche un itinerario per valorizzare le opere d’arte del Settecento della città custodite nella chiesa della Madonna Assunta, già dell’Immacolata, nella chiesa di S. Sebastiano, nella Cattedrale di S. Maria la Nova e nella chiesa di S. Agata al Collegio, che ha permesso di collaborare con i parroci interessati; ha incentivato la conoscenza del Presepe vivente del Quartiere Angeli e il Presepe settecentesco della scuola del Matera nell’Istituto Testasecca, condividendo il medesimo obiettivo rispettivamente con il Comitato di quartiere Angeli e con la Società Nissena di Storia Patria. L’itinerario, insieme alla mostra del Presepe di carta, è stato proposto ai turisti attraverso appositi pacchetti confezionati dalle agenzie di viaggio Kimono Viaggi di e Chatal Tour, ade-

renti alla Rete Museale del centro Sicilia. I pacchetti tuttavia non hanno avuto il successo sperato: la prossima sfida sarà quindi quella di intercettare specifici flussi turistici interessati all’offerta culturale nissena. Questo grande lavoro di “public relations” è stato possibile grazie all’impegno di un serio e competente comitato organizzativo, che ha anche curato la comunicazione della manifestazione su tutti i canali possibili: direct mailing, inviti individuali via posta, locandine, comunicati stampa sui media locali (stampa, radio, TV, redazioni online), la rivista diocesana “L’Aurora”, riviste e siti specializzati (Arte.it, Artribune, Exibart, Artemagazine) e social network, Facebook in particolare. In conclusione si può affermare che il vero segreto del successo della mostra del Presepe di carta è solo uno, a Natale e in ogni altro periodo dell’anno: la seria e convinta collaborazione per il raggiungimento di un comune obiettivo condiviso.


Palazzo Testasecca a Caltanissetta Le alterne vicende di una famiglia prestigiosa

recenti lavori di ripavimentazione del corso Vittorio Emanuele hanno portato l’attenzione sul nostro centro storico, spesso bistrattato dai cittadini perché ritenuto privo di interesse storico ed architettonico ma, al contrario, ricco di palazzi antichi la cui bellezza esteriore è indiscutibile. Lo storico nisseno Mulè Bertolo, descrivendo il corso ai primi del XX secolo, evidenzia l’interesse di tre palazzi che (…) formano una specie di triangolo di cui il vertice è l’Orfanotrofio Moncada e la base sono i palazzi Testasecca e Benintende. L’Orfanotrofio Moncada o Reclusorio delle Orfane è l’immobile posto alla testa dell’isolato che divide la strada principale dalla via Palermo, oggi sede del Consorzio Universitario, antico edificio risalente al XVII secolo, purtroppo alterato con l’aggiunta di due elevazioni. L’elegante palazzo Benintende, interessante opera architettonica realizzata nel XIX secolo dall’architetto Di Bartolo, pur se con alcune alterazioni dovute alla trasformazione dei locali a piano terra per uso commerciale, mantiene la sua imponenza, analogamente al dirimpettaio palazzo Testasecca. È di quest’ultimo che in questo breve articolo tratterò perché ritengo che la storia del palazzo, unitamente a quella della famiglia committente, protagonista della vita politica, econo-

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Daniela Vullo

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Mappa catastale del 1878

mica e sociale della città tra la seconda metà dell’ottocento e la prima del secolo successivo, meriti maggiore attenzione dai nisseni perché strettamente legata alle vicende di Caltanissetta nel periodo che la vide “capitale mondiale dello zolfo”. La sontuosa costruzione, sita al limite settentrionale del quartiere Zingari, quasi alla confluenza della via Reclusorio (attuale via Palermo) e di via dei Fondaci (parte meridionale di Corso Vittorio Emanuele II), con la sua presenza determinò la variazione di denominazione del cosiddetto “stradone della Grazia”, nel tratto che collegava l’Orfanotrofio Moncada con l’estremità meridionale della villa, il quale, nel 1901, fu intitolato al Conte Ignazio Testasecca. Quest’ultimo, ricco imprenditore minerario, fu insignito nel

1893, dal re Umberto I, del titolo nobiliare, pare, per la generosa donazione pecuniaria, a sostegno del Regno, quale contributo per la copertura dei debiti contratti in seguito al fallimento della Banca Romana, nonché per la costruzione del Ricovero di Mendicità a Caltanissetta Il palazzo, abitazione principale di Ignazio Testasecca, nato a Caltanissetta il 9 marzo 1849 dal medico-fisico Gaetano e da Maria Curcuruto, esteriormente presenta una facciata eclettica, variamente articolata, realizzata alla fine del XIX secolo dall’Ing. Luigi Greco, quasi certamente sovrapposta ad immobili preesistenti. La costruzione è caratterizzata, sul fronte principale, dal grande portale centrale, sormontato da un balcone monumentale

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con balaustra in pietra. Lesene giganti, concluse da capitelli di ordine corinzio, partendo dal piano nobile, terminano a quota della copertura dell’ultimo livello con una cornice modanata, sopra la quale si eleva il cornicione sorretto da mensole. Gli elementi decorativi in rilievo, tutti in pietra bianca, risaltano sui fondi che riprendono il colore della pietra tufacea del basamento. Le aperture del piano nobile sono sormontate da arco scemo, tranne quella della monumentale tribuna; quelle del secondo livello sono ad arco a tutto sesto. A piano terra, sulle vie Palestro e Alaimo, alcune finestre conservano ancora la grata in ferro battuto decorata con la corona nobiliare del conte Testasecca. L’atrio del palazzo, corrispondente al vano retrostante l’imponente ingresso monumentale, ospitava in origine un grande scalone che collegava i vari livelli, demolito, quasi interamente, tra gli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo. A quel tempo, frazionata ed alienata la proprietà, l’atrio d’ingresso e le scuderie collaterali, furono destinate ad attività commerciali e, per ottenere maggiore spazio destinato alla vendita, fu commesso uno scempio atroce: la demolizione dello scalone. Fu questa la ragione per la quale, da allora, l’accesso ai vari appartamenti risultanti dal

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frazionamento del sontuoso immobile, avviene attraverso la scala del contiguo palazzo Curcuruto-Lanzirotti. Dello splendido scalone, con balaustra marmorea, rimane soltanto il tratto che collega il piano nobile con la superiore elevazione, isolato dai livelli sottostanti da un solaio calpestabile che copre interamente la superficie del grande vano. Internamente, gli eleganti ambienti del piano nobile e del terzo livello, mantengono ancora le antiche volte, prevalentemente affrescate e decorate con stucchi. Il palazzo, con decreto dell’Assessorato Regionale ai Beni Culturali, nel 1999 è stato dichiarato di importante interesse storico-architettonico. Descritto il palazzo nel suo aspetto attuale, andiamo indietro nel tempo ripercorrendo, in parte, la storia della famiglia Testasecca-Curcuruto. L’avvocato Ignazio Curcuruto, facoltoso notabile nisseno, figlio del notaio Nicolò, nella prima metà dell’Ottocento possedeva due immobili, di uguale consistenza, a due elevazioni, siti nell’area attualmente occupata dal palazzo Testasecca e dalla costruzione adiacente, con il fronte principale rivolto verso il corso Vittorio Emanuele; egli, presumibilmente, abitava in una delle due costruzioni poiché gli atti notarili del tempo lo indicano residente

nella “strada Palermo”, antica denominazione della prosecuzione della via dei Fondaci in direzione della Grazia. Ignazio, nato nel 1777, sposato con Maria Grazia Labso, figlia del notaio Benedetto, morì a Caltanissetta nel 1856; dal matrimonio nacquero sei figli: Benedetto, Vincenzo, Nicolò, Anna Maria, Maria Paola e Teresa. Dagli atti notarili risulta che alla sua morte, avvenuta nel 1856, le due case sopra citate, che possiamo immaginare come due distinte unità immobiliari facenti parte di un medesimo corpo di fabbrica, furono ereditate da due figli, Nicolò, avvocato, celibe, deputato nel 1848 al parlamento siciliano, e Maria Paola, sposata con il cav. Giovanni Lanzirotti; ad Anna Maria andarono, invece, alcune case nell’immobile, prospiciente la via dei Fondachi, posto di fronte l’abitazione del padre. Tali proprietà si evincono dal “sommarione” del 1878, il volume che contiene l’elenco dei proprietari di tutte le unità immobiliari della città, allegato alle antiche mappe catastali urbane, consultabile presso l’Archivio di Stato di Caltanissetta. Dallo stesso si apprende che la particella 5566, cioè quella corrispondente all’attuale palazzo Testasecca, sita in via dei Fondaci al numero 20, è una casa civile con rimessa e scuderia; si dice inoltre che la posizione del fabbricato è ottima, lo stato buono e la consistenza è di tre vani al piano terra, otto al primo piano, nove al secondo e con il terzo in costruzione. Da una annotazione nel detto “sommarione”, successiva al 1878, si apprende inoltre di un frazionamento della predetta particella 5566 con il subentro nella proprietà di Nicolò Curcuruto, per una quota pari alla metà del’intero, di Ignazio Testasecca, fu Gaetano, la cui madre Anna Maria, come già detto, era una delle figlie di Ignazio Curcuruto. È facile desumere che in una


fase seguente, non riportata dai registri predetti, Ignazio Testasecca abbia acquisito la restante parte dello zio Nicolò, celibe, diventando unico proprietario dell’immobile corrispondente alla particella 5566, con l’annessione anche di una piccola casa con bottega sita in via Giannotta, cioè alle spalle del corso Vittorio Emanuele, di proprietà Nigrelli. Fu probabilmente quella l’epoca in cui, completata la costruzione del terzo piano, incaricò l’ing. Greco, di realizzare la monumentale facciata che uniformò esteriormente il palazzo, costituito per le prime due elevazioni da una delle due case di proprietà del nonno Ignazio Curcuruto e dalla terza realizzata nel 1878. Tale intervento caratterizzò fortemente l’immobile che divenne uno dei più eleganti del tempo, determinando una netta distinzione architettonica con il ben più modesto adiacente immobile degli zii Lanzirotti-Curcuruto dall’ingresso del quale, ai nostri giorni, si accede al palazzo Testasecca. Ignazio, rimasto orfano di padre in giovane età, fu avviato dagli zii materni, Vincenzo e Nicolò Curcuruto, ambedue avvocati, agli studi legali. Laureatosi, non esercitò mai la professione forense perché ben presto si dedicò all’amministrazione dei beni di famiglia, prevalentemente materni, concretizzati nell’acquisto della zolfara Juncio, che costituì il punto di partenza per la creazione di un notevole patrimonio economico e finanziario. La famiglia Testasecca era originaria di Canicattì e quale sua sposa Ignazio scelse una giovane anch’essa proveniente

dalla provincia agrigentina, Maria Longo, donna dalle grandi doti umanitarie, la quale lo indusse ad affiancare all’attività imprenditoriale anche opere filantropiche che gli attirarono le simpatie della popolazione nissena. Ben presto iniziò l’attività politica che lo condusse a ricoprire, tra l’altro, la carica di sindaco della cittadina nissena dal luglio del 1885 al marzo del 1886 nonché presidente della Provincia, Consigliere della Camera di Commercio ed infine Deputato al Parlamento nazionale per ben sette legislature, dal 1885 al 1911. L’attività parlamentare del Testasecca era mirata prevalentemente ad azioni a favore della sua regione e nel 1910 presentò anche una proposta, approvata nella seduta del 9 febbraio 1911, per l’istituzione di una “tombola telegrafica” a favore dell’Ospedale Vittorio Emanuele II di Caltanissetta. Dal matrimonio di Ignazio Testasecca e Maria Longo nacquero due figli, Dorotea andata in sposa al marchese Camillo Malvezzi Campeggi e Ignazio, al quale fu trasmesso il titolo di Conte, coniugato con la nobile francese Clara Combes de Lestrade. Vincenzo, naturalmente deputato a seguire le orme del padre nell’attività imprenditoriale di famiglia, fu avviato agli studi a Roma dove viveva con la madre. Il suo matrimonio con la bella francese però non fu felice come quello dei genitori e innanzi ad un tribunale cecoslovacco ne fu decretato l’annullamento. Alla sentenza di nullità del matrimonio, seguì in Italia una controversa azione giudiziaria poichè, con senten-

za della Corte d’Appello di Roma del 19 luglio 1938, non fu concesso il riconoscimento giuridico ad un atto emesso da un paese straniero nel quale nessuno dei due coniugi risiedeva relativo, peraltro, ad un matrimonio contratto in Italia. Ma i problemi di Vincenzo non furono solamente di carattere sentimentale, egli, infatti, subì le tragiche conseguenze derivanti dalle mutate condizioni politiche, sociali ed economiche dell’isola devastata, durante i suoi sessantanove anni di vita, da ben due conflitti mondiali. Chi ebbe modo di conoscerlo ricorda che in età avanzata, rientrato a Caltanissetta da Roma dove continuò ad abitare anche dopo la fine del matrimonio, non tornò a vivere nel sontuoso palazzo cittadino, preferendo la quiete della elegante villa di contrada Bagno nella quale morì nel 1949. I suoi eredi, Maria, Gaetano e Ignazio, purtroppo, lontani fisicamente dalla città, non riuscirono a mantenere alcun legame con Caltanissetta ed alienarono definitivamente ciò che rimaneva del cospicuo patrimonio immobiliare di famiglia. Il sontuoso palazzo Testasecca, oggi alterato dalla presenza dei locali commerciali a piano terra e dalla mancanza del monumentale portone d’ingresso, la splendida villa di contrada Bagno ed il Ricovero di Mendicità, rimangono oggi le uniche testimonianza del potere economico e sociale di una grande famiglia, oggi non più presente nel nostro territorio. Si ringrazia, per le preziose informazioni sulla famiglia Testasecca, il dott. Michele Curcuruto e l’arch. Tiziana Amato.

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Un altro strappo nell’arredo urbano Addio alle antiche palme del Testasecca

ov'era l'ombra or sé la quercia spande....”. I versi del Pascoli mi sono tornati spontaneamente alla memoria nei giorni scorsi, mentre un potente macchinario vorace triturava il fusto delle palme secolari che fronteggiavano l'Istituto Testasecca. Svettavano, fino a pochi giorni prima, dinanzi alla facciata e, come tutte le palme, slanciate, con i rami flessuosi in cima, sembravano cantare un inno alla libertà, protendendendosi verso l'alto. Da quanto tempo c'erano? Non sarebbe difficile consultare gli archivi e conoscere con sicurezza la data in cui furono piantate, ma a noi piace dire “da sempre”, da quando l'Istituto era sorto, un po' fuori dalla cerchia cittadina che si chiudeva a Gentimoli, più o meno nei pressi dell'attuale INAIL. Lì la strada si biforcava, da un lato, dov'era Spica, procedeva in direzione della regia trazzera di Tucarbo, percorsa dalle greggi in transumanza, dall'altro conduceva a S.Cataldo. Lì, Ignazio Testasecca, ricco proprietario di terre e di miniere, aveva voluto fondare un istituto di beneficenza che testimoniasse la sua generosità. Lo aveva voluto grande, solido, ben costruito, un monumento eloquente della sua munificenza e nobiltà d'animo, tutte doti che egli prodigava a favore della città e spendeva al servizio dei più bisognosi, offrendo un ricovero ai vecchi senza mezzi di sostentamento e agli orfani, affidati alle cure delle suore di Sant'Anna. Ricordiamoci che si era ai tempi in cui non esisteva ancora l'assistenza pubblica per le categorie dei cittadini piu' deboli. Contemporaneamente l'imponente edificio avrebbe avuto una valenza morale perchè avrebbe testimoniato l'importanza e il peso che egli esercitava nella comunità cittadina e lo avrebbero reso degno di

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Cettina Ginevra

guadagnare quel titolo nobiliare cui aspirava la sua ambizione. Si realizzarono tutte le sue aspirazioni e i suoi progetti e Ignazio Testasecca potè fregiarsi del titolo di conte. Ai posteri raccontano la sua storia gli edifici che egli fece costruire, dal “Ricovero”, di cui ho parlato, al suo palazzo cittadino, alla palazzina di caccia, alla tomba monumentale che sorge nel cimitero degli Angeli, abbellita tra l'altro da alcune opere del Tripisciano. Oggi nell'Istituto Testasecca è custodito un pregevole presepio di cui, però, non possiamo dire se fu il conte a volerlo. Si tratta di un'opera d'arte uscita dalla scuola del Matera, un importante “pasturaru” trapanese che operò in Sicilia nel '700 e divenne famoso per l'accurata fattura e la finezza delle sue statuine che si distinguono per la caratterizzazione psicologica dei volti e dei gesti e l'eleganza dell'abbigliamento che, com'era allora costume, riflette la moda del '700. Dinanzi alla facciata principale due aiuole abbellite da due palme erano circondate da una elegante ma sobria inferriata. Sul retro un giardino serviva alle varie necessità della casa. L'espansione del tessuto urbano verificatasi negli anni ultimi cinquanta, ha interessato proprio la zona in cui sorge il ”Ricovero” riducendo notevolmente le dimensioni del giardino, spazzando via la cancellata e rimpicciolendo le aiuole. Erano rimaste le palme dritte come corazzieri di un picchetto d'onore. Cosa ce le ha portate via ? Forse l'”auri sacra fames “di un vivaista che, pensando di fare un buon affare, importò dall'estero delle piantine senza sapere che fossero ammalate e senza immaginare le catastrofiche conseguenze che ne sarebbero derivate ? Certo si è che negli ultimi anni il danno si


è propagato diffondendosi come una peste che sta facendo strage di una delle specie più suggestive del nostro ambiente mediterraneo e, quindi, del nostro paesaggio. Magari nella nostra fantasia avremmo immaginato chissà quali mostri mitologici, forse titani o ciclopi, o supereroi dai poteri sconfinati o micidiali raggi della morte in azione per sradicare, abbattere, triturare, ridurre in polvere alberi di tanta altezza e così robusti, e invece? Chi ha avuto la meglio? Un piccolo, miserabile verme. Quante considerazioni si potrebbero fare, da quelle di tipo metafisico a quelle di ordine pratico! Si potrebbe riflettere anche sul dato che la legge morale regola e caratterizza solo il mondo degli uomini e non il regno animale e vegetale, per cui non si può definire “miserabile” nessun verme che esiste, per il fatto stesso che esiste ed ha una sua ragione di esserci tra tutte le creature che popolano la terra, ma come si può rimanere indifferenti di fronte alla sproporzione tra la

causa e l'effetto? Rimetto a chi ha avuto la pazienza di continuare a leggere queste righe, tutte le altre possibili considerazioni, lasciando ai più dotati di senso pratico quelle sulle possibili misure da prendere per fermare la moria delle povere palme e ai più sentimentali il rimpianto di ciò che non c'è più. Certo la scomparsa di quelle piante monumentali ci permette di ammirare per intero la facciata dell'edificio scandita in tutta la sua lunghezza dal doppio or-

dine degli ampi finestroni e poi la chiesa col campanile e gli alti portoni, ma a che prezzo? Per i vecchi nisseni, quando si pensava al “Ricovero”, l'edificio in pietra e le sue palme formavano un tutt'uno ed è supefluo ricordare che l'“Istituto Testasecca” è il “Ricovero” per antonomasia. Ora che si è consumato l'ultimo atto, anche le palme dell'Istituto si collocano nella categoria di tutte le care cose che formano i ricordi di un tempo che è stato e non sarà più.

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La chiesa di San Giovanni e il borgo del casale a Caltanissetta Le complesse e poco conosciute vicende costruttive di una chiesa e di un quartiere medievale

oco chiare sono la fondazione normanna, nell’anno 1101, della chiesa di San Giovanni di Caltanissetta, come il suo luogo d’origine. L’’unica notizia sulla creazione come Priorato ci è resa dallo storico nisseno Camillo Genovese o Genoese (1755-1797) solo nel 1777. Anche la bolla pontificia di Eugenio III (? 1153) del 1150, che la enumera tra le chiese suffraganee dell’Abazia della SS. Trinità di Mileto fondata dal Conte Ruggero (1031-1101), è riportata dallo storico Rocco Pirri (1577-1651) nel 1644. Persino l’indicazione della concessione del suolo del 1454, da parte del nuovo proprietario della chiesa, il priore del Monastero di Sant’Anastasia a Castelbuono, della diocesi di Messina, ai gestori della stessa, l’allora riconosciuta Confraternita del Purgatorio, per la costruzione della sacrestia, è data dal canonico Francesco Pulci (1848-1927) addirittura nel 1881. Sul borgo del Casale, invece, abbiamo notizia della sua costruzione alla fine del XIV secolo come ampliamento del primitivo nucleo urbano sorto a nord-est del castello di Pietrarossa, dal già citato Genovese. Ma la presenza del Casale era già stata indirettamente menzionata anche da un altro storico e letterato del Settecento, quel Luciano Aurelio Barrile o Barile (1721-1795), fondatore dell’Accademia dei Notturni, che, riferendosi alla descrizione storica del sito della città, riporta la presenza del borgo murato del Casale e di un’antica porta situata tra il castello e la regal chiesa di San Giovanni. Lo stesso autore ci informa, però, che l’edificio chiesastico nel periodo normanno si trovava insieme all’altro Real priorato di Santa Barbara fuori dalle mura. A complicare gli eventi interviene pure un atto rogato dal notaio Naso del 1502, da cui si evince

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Mario Cassetti

un’importante notizia circa l’esistenza nel quartiere cittadino, e murato, di San Giovanni, di un cortile denominato «Musshita De Li Judei». Tali parole indicano nel linguaggio ebraico una Sinagoga. Questo documento testimonia sia la presenza di cittadini di religione ebraica, anche dopo il proclama del cattolicissimo re Ferdinando II (1452-1516) del 1492, sia l’assenza di quartieri extra-moenia destinati alle abitazioni giudaiche. Seguendo solo le vicende costruttive o restaurative dell’edificio sacro arriviamo al 1606, quando è ottenuta la concessione (concessa) vescovile ai confratelli di erigere la canonica e la loro sala di riunioni presso il luogo di culto. La stessa Compagnia ottiene nel 1616 di erigere un altare destinato alle messe in suffragio delle anime del Purgatorio. Il 1711 è una data nevralgica per la composizione architettonica della chiesa, infatti, secondo lo storico nisseno Giuseppe Falduzza (1812-1880) il tempio fu completamente ricostruito, mentre per il Pulci fu rinforzata la facciata, furono innalzati i muri perimetrali di circa tre metri e venne costruita la volta. L’evento fu così determinante da essere ricordato nell’iscrizione a stucco nell’arco trionfale della chiesa, ma purtroppo distrutto a seguito degli eventi bellici. Nel 1731 il parroco della elevata Collegiata di Santa Maria la Nova, già Matrice della città, Giovanni Agostino Riva (16761748) la cita come chiesa attiva in quel tempo. Nel 1745 il Vescovo agrigentino Monsignor Lorenzo Gioeni (1678-1754) eleva la chiesa di San Giovanni a parrocchia di Caltanissetta insieme a San Giuseppe e, ovviamente, alla Matrice, assegnandole sei rioni della città, i quali inglobavano l’antico Borgo del Casale che nel tempo era stato contrassegnato con il no-


me della stessa chiesa. Nel 1756 il segnalato Barrile, nel suo memoriale difensivo per la causa di riconoscimento di Caltanissetta come città demaniale, descrive l’abitato come un’aquila a due teste e inserisce nelle penne della coda, le remiganti, la chiesa parrocchiale di San Giovanni. Altri generici lavori di ristrutturazione e di decorazione sono registrati nel 1780. Nel 1799 sono annotate altre riparazioni e restauri, non ben definiti, della parrocchia ad opera della citata Confraternita del Purgatorio. Del 1806 sono le decorazioni interne delle pareti, con colonne e paraste di ordine corinzio e con aggettanti cornici cordonate di trabeazione, che corrono su tutto il perimetro murario, compreso l’abside, “a sguincio” con marcati dentelli, e della volta con riquadri modanati e singoli cassettoni e lacunari decorati all’interno con motivi floreali su campi turchesi. I quattro altari laterali ad arco “a tutto sesto”, sono decorati da cassettoni campiti dall’usuale turchese, mentre la controfacciata inquadrata su un breve pronao sostenuto da due colonnette, dove insiste la cantoria, il luogo in cui era posto un prezioso organo, è caratterizzata dalla grande apertura “a tutto sesto” che illumina l’interno del tempio e le due nicchie laterali contenenti le acquasantiere. Di particolare effetto risultano le decorazioni colorate di turchese (azulejo) del presbiterio. Nell’Ottocento la chiesa fu sottoposta a diversi saccheggi e spoliazioni, dei quali particolarmente funesti furono quello del 1860 che la privò degli argenti conservati nella sacrestia e l’altro, forse del 1898, dove furono rubati un antico ciborio, gli ori di quadri preziosi e un piviale di gran valore. La facciata, con ascendenze neoclassiche, oggi si presenta definita da un unico ordine di paraste ed è sormontata da un

timpano triangolare che determina il tetto “a capanna”. La parte centrale d’ingresso è inquadrata con un elemento leggermente aggettante dal filo di facciata ed intonacato con liste orizzontali; esso contiene il portale in pietra, un riquadro rettangolare con un edicola occupata dalla statuetta del Battista realizzato dallo scultore nisseno Calogero Dellutri (secolo XX), e la grande finestra con arco “a tutto sesto “ precedentemente descritta. Di questo elemento centrale, di un certo rilievo sono il portale in pietra, una volta recante la data 1711, con paraste corinzie e alto architrave con cornice a dentelli aggettante, e il timpano di coronamento ad “arco ribassato” con ali mozza (labelstop) e vasi-“acrotelio” laterali

e “conchiglia” decorativa centrale. Affiancata al prospetto si erge la poco slanciata torre campanaria a base quadrata con basamento “a scarpa” tipico delle torri di difesa medievali. In altezza è delineata da tre ordini di cornici marcapiano, delle quali quelle che delimitano la lanterna campanaria sono notevolmente aggettanti. Nella bianca facciata del campanile l’apertura che contiene la campana presenta un arco “a tutto sesto” con protiride, oggi cancellato, ed è sormontato da una cuspide piramidale con alla base brevi punte angolari. I pesanti bombardamenti anglo-americani hanno notevolmente danneggiato il tempio, provocando la distruzione del tetto e della volta con la conse-

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guente cancellazione degli affreschi che il Pulci aveva attribuito a Tommaso Pollaci o Pollace (1748-1830). Nel 1945 iniziano i lavori di ristrutturazione che termineranno nei primi anni Sessanta in concomitanza con l’apertura del tempio al culto dei fedeli. Nel 1998 l’allora locale Soprintendenza intervenne per motivi strutturali sulla facciata colorando con un anacronistico giallo le paraste dell’edicola campanaria ed apponendo delle posticce piastrelle maiolicate nella cuspide piramidale del campanile. Nell’interno ad unica navata si conservavano, fino all’immediato dopoguerra, alcune opere d’arte appartenenti all’antica chiesa, come la pala d’altare raffigurante il Cuore di Gesù tra angeli, scomparsa secondo il Falzone, dalla chiesa di Santa Flavia dove era stato conservato dopo i bombardamenti del secondo conflitto mondiale, del citato Tommaso Pollaci o Pollace, (1748-1830) conosciuto per essere stato da giovane nella scuola di Vito D’Anna (1718- 1769) uno dei maggiori pittori siciliani del Settecento. Mentre rimangono il lavabo attribuito ad Ignazio Marabitti (1719-1797), una tela seicentesca di ignoto raffigurante la Madonna della Mazza, e un dipinto settecentesco che rappresenta un Cristo in croce. Del primo dipinto, l’unico rimasto a San Giovanni del pittore palermitano Pollaci, di un certo interesse risultano la composizione, ancora rococò, del Redentore posto al centro su di una nuvola che trascende verso l’Onnipotente, e lo stuolo di angeli che trasportano la croce passionale e i cherubini che reggono i simboli sacri. Questa composizione ha delle attinenze con la pala della traslazione al cielo di San Nicola di Bari, dipinta dal suo maestro Vito D’Anna per il duomo di San Giorgio a Ragusa Ibla, ma, a differenza di questa, ha meno forza emotiva e ha perso la po-

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Interno della chiesa di San Giovanni

tenza realistica delle figure sia di primo piano che di contorno. Ciò è ravvisabile nel rigido panneggio delle vesti del Gesù e, soprattutto, nella vaga caratterizzazione dei volti e dei corpi degli angeli e dei cherubini, privi di realismo e senza l’effetto chiaroscurale della luce. Tra le opere d’arte che la chiesa del Battista conteneva è da ricordare il bozzetto in terracotta del San Giovanni, oggi nel museo Diocesano, attribuito impropriamente all’importante architetto e scultore Antonello Gagini (1478-1536) che portò gli influssi del Rinascimento in Sicilia. Infatti alcuni studiosi del Novecento ipotizzano che la statuetta sia il bozzetto della statua in marmo dello stesso artista nella chiesa di San Giovanni Battista a Castelvetrano, ma sono fin troppo evidenti le distanze tra la serena ed efficace composizione e la maestria della modellatura dell’opera di Castelvetrano e l’ineleganza delle forme del panneggio e lo squilibrio del corpo del Santo della scultura nissena. Alcuni critici d’arte, invece, pur riconoscendo l’interesse artistico dell’opera, molto argutamente e con pertinenza, la inserisco-

no nella tradizione scultorea della sterminata scuola gaginesca della fine del Cinquecento siciliano. In conclusione si potrebbe avanzare l’ipotesi, a questo livello di studio non del tutto approfondito, che il borgo del Casale, di cui nel tempo si sono perse le tracce, sia ancora presente nel rione di San Giovanni. Infatti, nella parte sud dell’antico aggregato urbano, visibile dallo spiazzoparcheggio di vicolo Conceria, sono ancora evidenti le tracce di un antico muro in grosse pietre bianche di Comiso squadrate e miste a pesanti blocchi di pietra di Sabucina, che nel tempo sono servite sia da bastione di contenimento della scarpata del torrente sia, in parte, da fondazioni di piccole case a una o a due elevazioni. Questo spesso muro è ravvisabile anche nel limite est del rione attraverso vecchie foto del primissimo Novecento. Quest’ipotesi è rafforzata dall’analisi delle tortuose e strettissime vie che formano il reticolo “a meandro” del rione, che in epoca medievale erano usate per la difesa di una zona militare. q


Appunti di una passeggiata in città Ovvero un cammino nella memoria

o raccolto l’invito di un amico che mi aveva manifestato la sua intenzione di scrivere una sorta di guida di Caltanissetta, ripensando itinerari e posti della città che avessero dei profili attuali di interesse, non solo artistico, ma, anche, ludico. Spinta da intento collaborativo, ho scoperto, però, che il percorso intrapreso altro non era se non un cammino nella mia memoria, di me bambina, poi adolescente, infine donna, accompagnata da persone care che non ci sono più, attraverso itinerari cittadini che spero possano suscitare la curiosità e l’interesse di quanti sono disposti a vedere, con occhi benevolmente diversi, la loro città e a credere che sia ancora possibile viverci o, meglio, scegliere di viverci oggi e nel futuro per i nostri figli. Tre sono le caratteristiche di Caltanissetta: la luce, l’acqua, l’aria, per non parlare della bontà del pane e della cucina. Caltanissetta ha una luminosità particolare, così intensa e briosa, soprattutto a Giugno, che si riflette nella pietra di Sabucina dei monumenti e delle costruzioni del Centro Storico. L’acqua proveniente dalle Madonie (acquedotto Geracello) aveva un sapore buono di montagna, il tempo passato è d’obbligo, visto che tale sapore si è perso nei serbatoi dell’azienda straniera che gestisce il servizio di approvvigionamento idrico cittadino. Occorre sfatare la cre-

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denza che Caltanissetta sia povera d’acqua, è, invece, una città ricca di sorgive: si pensi ai “Piliri” in prossimità del Palazzo di Giustizia di Via Libertà, oppure all’altra sorgiva in corrispondenza del mercato e della Villa Cordova ed, ancora, agli innumerevoli pozzi presenti nella corte dei palazzi del centro storico che si affacciano su Corso Umberto ed a quelli esistenti in diversi edifici di Via Cavour, Via Niscemi, con i giardini a terrazze, retaggio della manomorta (si trattava degli orti del convento di Santo Antonino nell’attuale piazza Marconi). Basterebbe davvero poco per utilizzare queste risorse idriche, facendo, prima, una mappatura dei pozzi, oltrecchè delle sorgive ed effettuando, poi, il loro spurgo. Per quanto riguarda l’aria, Caltanissetta era rinomata per il

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Rossella Giannone

suo clima collinare, asciutto e temperato. Si trattava di una ridente cittadina collinare, fino agli anni 60, contornata da alture alberate, scomparse con la realizzazione del piano regolatore, che ha tolto ossigeno e verde alla città. Una curiosità: lo studio urbanistico realizzato dal Prof. Cardella della Università di Palermo, prima dell’attuale piano regolatore, prevedeva la riqualificazione del centro storico, in particolare dei quartieri Provvidenza ed Angeli, lasciando, invece, intatte le colline circostanti, nonché le alture di S.Giuliano, Sabucina, S.Anna. Caltanissetta è una città “a sali e scendi” con belle scalinate, a partire da quella intitolata a Silvio Pellico su cui si affaccia il parco dell’Hotel Concordia, attuale sede della fondazione Mazzone. La mia passeggiata inizia dalla Stazione, un tempo

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fiancheggiata da un piccolo giardino; di fronte c’è Via Cavour, la strada più alberata della città ed, ancora, l’imponente scalinata Silvio Pellico da cui si arriva al bastione di Via Niscemi sormontato dall’antico quartiere della Provvidenza e poi, attraverso altra scalinata, al Viale Regina Margherita, già Viale Elena. Una curiosità che riguarda la Stazione ferroviaria: è davvero un edificio armonioso con a fianco Palazzo Orsi (interessante edificio a pianta quadrata) e dall’altro lato, villino Fiocchi, palazzina liberty di proprietà degli omonimi titolari della famosa fabbrica di cartucce da sparo, che erano industriali di origine ebrea, venuti a Caltanissetta nel periodo del boom estrattivo dello zolfo. La Stazione era un punto nevralgico della città, mentre il nodo ferroviario di Xirbi rappresentava il perno del trasporto dello zolfo alle raffinerie di Palermo e di Catania. Testimonianza della presenza delle maestranze venute dal Nord Italia dopo l’Unità, per la costruzione della rete ferroviaria, è proprio l’Hotel Concordia di proprietà della Famiglia Mazzone, in origine vivandieri piemontesi venuti al seguito delle maestranze. Che dire del Viale Regina Margherita, che un tempo si chiamava Elena, così come dell’elegante Villa Amedeo, del Palazzo della Provincia, imponente costruzione, tra le più antiche d’Italia, realizzato con i soldi forniti da una banca privata di una donna intraprendente: Caterina Frojo sposata Curcuruto. Bambina mi ricordo ancora com’era questo Viale con diversi caffè ed orchestrine, subito dopo la guerra: c’era tanta voglia di ballare e di divertirsi. Caltanissetta è una città piena

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di Chiese ubicate nel suo centro storico, come S. Agata, S.Domenico, San Giuseppe, S.Sebastiano, S.Giovanni e la Cattedrale con gli affreschi fiamminghi del Borremans, ma, anche, di Palazzi, primo fra tutti Beaufremont-Moncada, splendido esempio di barocco siciliano, mai ultimato e poi Giordano, Bordonaro, Sillitti, Salamone, Amato-Cotogno, Guarino,

Caglià, per indicarne solo alcuni, che testimoniano il suo passato latifondista ed industriale. All’interno di molti di questi edifici, c’erano saloni da ballo e cappelle. Caltanissetta è stata una città colta, basti pensare ai numerosi incunaboli della biblioteca Scarabelli sul bastione adiacente la Chiesa barocca di S.Agata al Collegio, che farebbero invidia a biblioteche di città ben più titolate della nostra. La ricchezza dei lasciti di libri e manoscritti fatta alla Scarabelli da parte di cittadini illustri, quali Giovanni Mulè Bertolo e il cav. Biagio Punturo, del quale sono pronipote, testimoniano, non solo, l’amore per la città che gli stessi nutrivano, ma, anche, il suo livello culturale e le Sue scuole; basti ricordare il Liceo classico diretto da Luca Pignato e dal preside Monaco, l’istituto Agrario, e quello Mineralogico, che oggi ospita un museo, nel suo genere il più ricco di reperti mineralogici del mondo. Che dire, poi, del museo archeologico dove sono raccolti

reperti di estremo interesse, testimonianze della importanza archeologica dei siti limitrofi della città (si pensi a Gibil el Ghabib ed a Sabucina). Il museo in questione si trova attualmente a Santo Spirito accanto all’abbazia omonima, bizantina, con tracce – pare - di un passaggio dei Templari. Continuando la mia passeggiata arrivo in piazza dal Viale Amedeo, dopo aver percorso la Via Roma, attraverso l’antica pescheria, luogo caratteristico e particolarmente bello. Ricordo, ancora, gli ombrelloni rossi delle rivendite di pesce a ridosso della canonica della Cattedrale, oggi restaurata. Dalla Via Roma (nell’antico centro-città), superando il Supercinema, che un tempo era un giardino, arrivo alla scalinata S.Francesco nell’omonimo quartiere (ancora una bella ed ampia scalinata) con l’abbeveratoio del 600. Il panorama è davvero bello e suggestivo, con la veduta dell’ampia vallata e del Castello di Pietrarossa. Risalendo per Viale Amedeo, si arriva al quartiere arabo che si diparte dagli Angeli, dietro la Chiesa di San Domenico. Il quartiere arabo è molto suggestivo con il suo fascino intatto che serpeggia nel dedalo di viuzze, cortili, fontanelle e scale. Vi si allestisce il presepe vivente, esempio riuscito di iniziativa degli abitanti della zona sponsorizzato dall’Amministrazione Comunale. Più in basso, ecco il rudere del Castello di Pietrarossa. Una curiosità gastronomica: il cannolo, dolce tipico siciliano, è stato inventato dalle donne che vivevano nell’harem del Castello ed ha una forma tipicamente fallica. Ai piedi del Castello si erge la Chiesa di S. Ma-


ria la Vetere col suo bel portale Chiaramontano, salvato dalla distruzione per l’intervento di un mio antenato a cui era stato dato, all’inizio del secolo scorso, lo spazio adiacente, per adibirlo a deposito di materiale edile. Lo aveva puntellato, effettuando il primo rudimentale, ma fondamentale intervento di conservazione dell’opera. Adiacente alla Chiesa vi è un monastero dei Francescani minori, anch’esso di epoca medioevale esteso per oltre 3000 mq. Anche il Cimitero degli Angeli, sorto a ridosso del Castello di Pietrarossa, merita di essere visitato, perché ricco d cappelle gentilizie, ornate anche di pregevoli statue di pietra e di marmo, nonché di fregi ed intarsi di gesso. Si tratta di un Cimitero monumentale che andrebbe inserito nel circuito turistico di visita della Città, così come avviene a Genova per Staglieno. Superata la Piazza con il Municipio (Palazzo Moncada) ed il Teatro Regina Margherita (il più antico della Sicilia, ulteriore testimonianza della sensibilità culturale che contrassegnava Caltanissetta), mi inerpico per la Via Xiboli, costeggiando l’an-

tico quartiere della Saccara, cui mi legano ricordi di 1° comunione. Attraverso la Via Redentore arrivo al quartiere di S.Flavia sormontato dall’omonimo monastero e dal Palazzo, in chiaro stile Catalano, che mi riporta in Spagna all’epoca dei Vicerè. D’altronde Luisa Moncada della famiglia Luna j Vega, signora di Caltanissetta, era spagnola e dimostrò di amare la Città, dove portò gli ordini monastici e dove ha voluto essere sepolta. Da Santa Flavia, sempre rigorosamente a piedi arrivo al Redentore, da cui ancora oggi si gode una splendida vista, non solo della Città, ma anche delle Madonie, dell’Etna e della Sicilia interna tutta. Personalmente, alla ridente zona di Pian del Lago, troppo battuta dagli extra comunitari del vicino centro di accoglienza, preferisco il latifondo del Besaro dopo Capodarso, col suo ponte dedicato a Carlo V e le straordinarie gole, che tanto ricordano i canyons americani. Alla domanda: qual è l’interesse che può suscitare Caltanissetta nel turista di oggi tale da indurlo a sceglierla come meta del Suo viaggio, penso che la

risposta sia data dalla non convenzionalità della scelta stessa, così lontana dai tours organizzati del turismo mordi e fuggi, rivolta alla scoperta di una Sicilia più autentica e meno conosciuta, in cui potrebbero inserirsi interessanti circuiti gastronomici e di degustazione di vini (già sperimentati con successo in Spagna). Caltanissetta è rinomata per la bravura dei suoi pasticcieri (il rollò è un dolce tipicamente nisseno, come il torrone, i biscotti di cioccolato e pepe), per le focacce, le verdure selvatiche come le mazzarelle e per i vini (esistono tante cantine nei dintorni che imbottigliano ottimo vino). Ancora una volta il cammino della memoria da me intrapreso ha disvelato il suo vero volto: la ricerca delle proprie radici in un viaggio dentro se stessi. I versi del poeta di “Lamento per il Sud” si rivelano, ancora una volta, profetici: quello per la propria Terra è un canto di amore senza amore. Su indicazione della scrivente, si precisa che il lavoro è parte di una più ampia trattazione che, in forma di guida, sarà pubblicata a breve.

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Caltanissetta: “castello delle donne” o “castello di Nissa”? di

iversamente dai comuni che la circondano, Caltanissetta non è un paese di nuova fondazione, sorto nel quadro della colonizzazione feudale dell’area interna dell’Isola; il suo destino fu segnato dall’opposizione polare tra la Sicilia costiera e la Sicilia interna. Come in età greco-romana e medioevale si svilupparono le città costiere per il ruolo strategico e commerciale del Mediterraneo, così, per difendersi dagli attacchi provenienti dal mare, la popolazione si rifugiò all’interno, abbandonando il litorale. Proprio tale spinta centripeta è all’origine dello sviluppo di Caltanissetta, la cui storia si può dividere in quattro periodi caratterizzati, ciascuno, da un elemento specifico: centro interno nell’antichità e nel Medioevo, città del grano in età moderna, capitale dello zolfo nell’Ottocento, città del terziario dalla seconda metà del secolo XX. Altri toponimi siciliani di centri abitati, (Caltabellotta, Caltagirone e Caltavuturo) contengono un primo elemento, calta, parola araba, qal’at, che significa “castello”, per cui si è da sempre ritenuto che il nome della città fosse composto da due parole; calta e nissetta, le quali dal periodo arabo allo svevo subirono inflessioni e alterazioni: Calatanuceto, Castranissa, Kalat-el-niset, Caltanixecta, Calatanissetta si legge nella bolla di Eugenio II del febbraio 1150. Diverse sono anche le interpretazioni sull’origine araba di questo nome: secondo Amico Medico Kalat-al-Nesath poteva essere il nome dell’emiro che

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Sergio Mangiavillano

occupò la città oppure Qal’at an-nissa, “quod nostra lingua interpretatum resolvitur Castra Foeminarum”, secondo il cronista normanno del secolo XI Goffredo Malaterra, confermato da quanto si legge nella “Biblioteca arabo sicula”. Scrive infatti l’Amari: “Sabuci, alto castello, ben provveduto, popoloso, ricco di seminagione, abbondante di civaie, raccoglie ogni benedizione e possiede dei colti vicini l’uno all’altro. Da Sabuci a Qal’at’an-Nisa, ‘la rocca delle donne’ città di Caltanissetta dodici miglia su la via di Girgenti: da Naro a Caltanissetta, tra levante e tramontana ventun miglio. Caltanissetta, rocca di bella costruzione, sovrasta a colti contigui l’uno all’altro ed ha ricche industrie, produce delle civaie, ha degli alberi e delle frutte. Le scorre a levante, a piccola distanza il fiume Salso” Rocca di bella fattura è la definizione che ne aveva dato il geografo arabo al Idrisi della corte di re Ruggero. L’interpretazione più accreditata, quella del Malaterra, castra foeminarum (castello delle donne) non è universalmente accettata. Di recente Luigi Santagati (Archivio Nisseno, n.4/2009), autore, peraltro, di una densa Storia dei Bizantini in Sicilia edita nel 2012, ha sostenuto la tesi che Qal’at an- nisah non significherebbe castello delle donne, ma semplicemente castello di Nisa, dal momento che gli arabi non hanno mai cambiato nome alle città conquistate. L’origine del nome potrebbe essere fatta risalire a un insediamento omogeneo di stratioti provenienti dalla città, prima greca, poi romana e bizantina di Nissa,


oggi Nvsechir, in Cappadocia, dalla quale, in seguito a una gravissima crisi economica che aveva investito la regione, si era trasferita gran parte della popolazione, stabilitasi nel nostro territorio, dando all’agglomerato urbano lo stesso nome della città d’origine. Una volta caduto in mano araba, l’insediamento avrebbe assunto il nome di Qal’at an-Nissa o Nisa (rocca di Nisa); di qui la facile confusione con il termine arabo nisa o nisah (donne), plurale di marah (donna).È solo un’ipotesi suggestiva, tutta da dimostrare. Comunque sia, resta strettamente connessa al nome

della città la rocca, il castello di Pietrarossa, che campeggia nel suo stemma, dove, oltre che le torri merlate sovrastate dalla corona, compaiono anche una spada che svetta dall’alto della torre a sinistra e una sagoma di guerriero (o di donna) sulla torre a destra. La simbologia della spada è chiara: la fortezza era costruita in posizione imprendibile ed era attrezzata con una difesa di uomini pronti a respingere qualsiasi attacco nemico. Enigmatica, invece, è la seconda figura, che non si distingue con precisione: un soldato o una donna? Nel primo caso, la spiegazione è

evidente; nel secondo, se si trattasse di una donna, la simbologia riporterebbe all’interpretazione tradizionale del nome di Caltanissetta. La presunta presenza di numerose donne all’interno del castello ha alimentato una curiosa leggenda secondo la quale il cannolo sarebbe nato a Caltanissetta. Le donne, in attesa del ritorno da un’impresa dei loro cavalieri – come documenterebbe la figura femminile che scruta sulla sommità della torre – preparavano la cialda del prelibato dolce che, istantaneamente, all’arrivo degli uomini, riempivano di ricotta fresca.

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La decisione del Vescovo e i disordini della Settimana Santa Ilveto alle donne diesibirsi(in pantaloni) nella banda m usicale

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Vitalia Mosca Tumminelli

simo e del contributo dato dalle donne al a storia della nostra città, come acmondo della cultura e del lavoro. L’8 dicade dappertutto, è costellata di cembre 1965, a chiusura del Concilio, aneddoti che si raccontano per molproprio a loro Paolo VI lancerà un mesto tempo e che, passando di bocca in saggio articolato in 11 punti suggestivi: bocca, finiscono coll’assumere labili conLa Chiesa è fiera…d’aver esaltato e libetorni favolistici che sembrerebbero alterato la donna, d’aver fatto risplendere nel rarne la sostanza e l’oggettiva verità. Salcorso dei secoli, nella divo a scoprire poi che alversità dei caratteri, la cuni di quei fatti, per sua uguaglianza sostanquanto incredibili, sono ziale con l’uomo (2). L’ora accaduti nei termini in cui è venuta… in cui la donna li hanno descritti i giornaacquista nella società listi nella cronaca dei un’influenza, un irradiaquotidiani e come contimento, un potere finora nuano a raccontarli gli mai raggiunto (3). Donne stessi testimoni oculari. di tutto l’universo, cristiaÈ il 1964. Sindaco di Calne o non credenti, a cui è tanissetta, da poco più di affidata la vita in questo due anni, è Traina (Ummomento così grave della berto). Vescovo, da otto storia, spetta a voi salvare anni, mons. Francesco Mons. Francesco Monaco, vescovo a la pace del mondo! (11). Monaco, originario di Agi- Caltanissetta dal 1953 al 1973 Primo risultato di tale timira, che reggerà la Curia da, ma sostanziale, apertura era stato sino al 1973 succedendo a mons. Jacol’invito rivolto dal predecessore Giovanni no (1921-’56), di cui era stato coadiutore XXIII a tredici laiche e dieci religiose a dal ’53 per disposizione del papa Pio XII. partecipare, nella sola veste di uditrici, ai Negli anni di mezzo del suo mandato a lavori delle commissioni operanti nel Caltanissetta, mons. Monaco partecipa Concilio, dal quale usciranno documenti ai lavori del Concilio Vaticano II (1961fondamentali, pur se espressi nel lin65), come ricorda anche il monumento guaggio patriarcale. Un’autentica piccofunebre a lui dedicato in Santa Maria La la rivoluzione sarebbe così stata avviata Nova, navata di sinistra. Di quell’espedal Pontefice, che affidava ai Padri Conrienza straordinaria sono testimonianza ciliari l’incarico di completare la trattaziole Lettere Pastorali che diffonde nella dione di temi come il rischio della guerra cesi. (era ancora bruciante il ricordo della crisi Sono gli anni dell’apertura della Chiesa alle confessioni non cristiane e al dialogo dei missili di Cuba), la catastrofe nucleafra tutte le chiese cristiane. Sono anche re, la difesa della pace, l’esplosione degli anni in cui si comincia a parlare del mografica, le ingiustizie sociali. ruolo del laicato femminile nel CattoliceIl 1964 è l’anno dei grandi eventi e delle

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antinomie. La salma di Togliatti, trasferita da Yalta a Roma, è circondata dall’abbraccio di oltre mezzo milione di persone (1 milione secondo alcune stime), mentre Krusciov resta isolato, confinato in una dacia, dopo la destituzione decisa dal Presidium del soviet. Gli Stati Uniti d’America promulgano una legge contro l’apartheid e, in Sudafrica, Mandela è condannato all’ergastolo per la lotta al segregazionismo. Martin Luther King ottiene il Nobel per la pace e gli USA avviano una lunghissima guerra in Vietnam. In Italia, mentre si lavora alacremente per completare l’autostrada del Sole Milano - Napoli, s’inaugura il traforo stradale alpino del San Bernardo. Si canticchia il premiato motivetto Non ho l’età e si avvistano sulle spiagge i primi topless. Milena Milani è condannata per oltraggio al pudore per La ragazza di nome Giulio e il suo romanzo è stravenduto all’estero. Gli italiani si assembrano rumorosamente per seguire gli europei di calcio e il generale De Lorenzo predispone in sordina il golpe denominato “Piano Solo”. Le sale cinematografiche proiettano in bianco e nero il discusso, bellissimo Vangelo secondo Matteo di Pasolini e l’obiettivo dei paparazzi coglie, in piazza S. Pietro, il cromatismo coreografico delle svolazzanti vesti talari porporine, che Nino Caffè dipinge con delicata ironia. E se in quell’anno l’americano De Bakey è il primo al mondo ad applicare un bypass aortocoronarico, a Caltanissetta il dottore (e senatore) Luigi Picardo opera cinque fratellini ciechi di Campobello di Licata, restituendo loro la vista. Il caso fa il giro del mondo, finendo anche sulla prestigiosa rivista Life. I ragazzini - assieme ai medici dell’équipe Maira

e Tomaselli e alle loro famiglie - si recano da Paolo VI per un’udienza privata, non prima di essere stati cresimati dal vescovo Monaco. Dal Vaticano II usciranno decisioni destinate a sortire risultati di grande impatto sul piano simbolico, come l’abbandono del latino liturgico e l’affermazione della libertà di ogni uomo di professare il proprio credo religioso. Per queste ragioni si stenta a credere che, nel rinnovato clima di apertura della Chiesa al mondo (compreso quello femminile, la metà dell’immensa famiglia umana), delle musicanti adolescenti siano state considerate disseminatrici di scandalo, parola di origine greca che indica lo scattare che fa la molla nella trappola per animali e si riferisce, pertanto, all’insidia tesa contro il nemico. Esaminiamo i fatti. La sera del Giovedì Santo, ad accompagnare la vara dell’Ultima Cena è la banda di Castelvetrano composta anche da diverse ragazzine sotto i quattordici anni che, indossando abiti maschili, dimostrano di volere uniformarsi alla divisa dei colleghi. Già qualche giorno prima, ritenendo la circostanza sconveniente, il Vescovo aveva proi-

bito alla banda di Montedoro di esibirsi. Il rappresentante della categoria dei panificatori cui la vara appartiene, prontamente invitato a comunicare la decisione di sciogliere l’intero corpo bandistico o, in subordine, di allontanare soltanto le ragazze, dopo i tentativi non riusciti di persuadere l’intransigente prelato attraverso l’azione mediatrice del sindaco, suo malgrado deve cedere. Il gruppo sacro può così proseguire, ma senza il rituale - mesto e lamentoso - accompagnamento musicale. Il tutto tra l’imbarazzato sconcerto generale e nel più sconsolato silenzio, giacché l’Ultima Cena, come ben sanno i nisseni, apre il corteo dei Misteri. Non va dimenticato che una lunga tradizione risalente all’Ottocento voleva che a corredare le vare fossero due elementi imprescindibili: la musica strumentale e l’illuminazione, originariamente ottenuta con l’accensione di ceri, poi sostituiti dalle lampade ad acetilene. Lo testimonia Michele Alesso che, nel 1890, scriveva: […] Il numero dei gruppi, l’ordine e la lunghezza della processione, lo sfarzo e la ricchezza dell’illuminazione,

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La stazione di Caltanissetta nei suoi primi anni di vita

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e le diverse bande musicali, che all’uopo si fan venire dai paesi circostanti, contribuiscono a renderla vieppiù religiosamente sontuosa, ed artisticamente bella. Tra malumori dichiaratamente espressi e polemiche sussurrate tra i denti, si procede sino alla mezzanotte quando, inaspettatamente, l’Ultima Cena abbandona la processione prima della tradizionale spartenza, seguita, in segno di solidarietà, da dieci dei sedici gruppi sacri. Il tutto con grande delusione dei nativi, ma anche dei tanti “forestieri” (frustiri è per noi anche chi abita a pochi chilometri), accorsi per il famoso corteo. E arriviamo all’epilogo, che forse neanche i protagonisti avrebbero sospettato sino a qualche ora prima. La folla che, come si sa, facilmente si inalbera e prende posizione in difesa di chi appare più debole e perciò destinatario di una ingiustizia, si dirige in viale Regina Margherita dissentendo rumorosamente e lanciando sassi all’indirizzo della sede vescovile. Alcuni facinorosi, per aver colpito i vetri delle finestre, finiscono negli uffici del commissariato di Polizia. Non sempre il sonno porta

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consiglio e, nonostante tutto, il giorno dopo si continua a sbagliare. Il sindaco convoca i giornalisti e spiega i motivi della scelta operata il giovedì, acuendo il malumore generale e predisponendo gli animi ai disordini che accadranno la sera. Dal canto loro i fogliamari, che intendono astenersi dal trasportare, come da tradizione, il fercolo del Cristo Nero, tentano di spargere ancora zizzania tra le categorie coinvolte nella processione serale intimando agli altri di comportarsi similmente. I membri della Real Maestranza pensano bene allora di allontanarsi per evitare le conseguenze di eventuali subbugli. A quel punto i seminaristi o, come informano altre fonti, alcuni giovani dell’Azione Cattolica si adoperano per sostituire i portatori e consentire un regolare svolgimento della cerimonia liturgica. E così è: il corteo procede in maniera ordinata e può completare l’abituale percorso senza interruzioni. A memoria di nisseno quell’episodio rimane unico nella storia delle ricorrenze religiose in città, ma, proprio per questo motivo, indelebile tanto per i toni adoperati, quanto per i modi adottati. Forse un atteg-

giamento più accomodante e un’apertura verso le ragioni altrui avrebbero evitato polemiche che sarebbero potute sfociare in ben più gravi disordini. A distanza di mezzo secolo molti si chiedono ancora quali motivazioni avessero realmente sollecitato lo zelante intervento di mons. Monaco, se la presenza di elementi femminili nel corpo bandistico (già stigmatizzata - pare - dalla Conferenza Episcopale Siciliana), la loro scelta di indossare i pantaloni, la giovane età delle musicanti, la promiscuità tra uomini e donne o, come appare più probabile, un po’ di tutto questo. Di certo, pochissimi anni più tardi, la contestazione giovanile e femminile avrebbe prodotto radicali mutamenti nel mondo laico. Proprio negli anni in cui avveniva l’incidente, André Courrèges, sulla scia di Mary Quant, lanciava la moda della minigonna, che scopriva generosamente le gambe, destinando il pantalone femminile al ruolo di indumento generalmente casto e comodo, alla stregua di quello dei signori uomini. q


Caltanissetta e la sua storia, dimenticata e... manipolata Le origini di Caltanissetta Caltanissetta non ha avuto mai un buon rapporto con la storia, con la sua storia in particolare; è vissuta ignara del suo passato; quando se ne è interessata, nel senso etimologico di occuparsene per il proprio interesse, l’ha spesso manipolata. Ignoranza o l’oraziano carpe diem: ignara del suo passato perché poco speranzosa del suo futuro? Ho tra le mani il primo volume degli Scritti scelti di Antonino Salinas, il famoso archeologo palermitano (1841-1914) pubblicati nel 1976 dalla Regione Siciliana con l’introduzione di Sebastiano Tusa, che di Salinas scrive: «Bollando la retorica egli pone in luce come si possa giovare alla patria studiando i monumenti del passato e, contemporaneamente, rispettando la verità, principio dal quale nessuno studioso può e deve prescindere». Le testuali parole di Salinas a cui fa riferimento Tusa sono le seguenti: «Un vano trastullo era ed è lo studio dell’archeologia nelle mani di coloro che mossi da uno smoderato e poco sano amor di patria falsavano storia e monumenti. Santo e bello è l’amore per le memorie e pei monumenti de’ padri nostri; ma cento volte ancor più santo è l’amore della verità». A questo proposito, Antonino Salinas ha qualcosa da rim-

proverare ai Nisseni. In occasione di una delle sue escursioni archeologiche nell’area nissena, condotte spesso in compagnia di Francesco Lanza di Scalea, Regio Commissario dei Musei e degli scavi in Sicilia, negli anni tra 1872 e il 1880, l’archeologo palermitano venne a conoscenza che «nella facciata della casa antica del Comune, nella piazza principale, si vedevano murate queste due iscrizioni pseudo antiche, tolte ora per rifacimento di fabbriche e conservate altrove». Una delle due iscrizioni è riferita ad Asclepio e al fiume Imera (in lingua greca, la trascrivo in caratteri nostri), l’altra allo pseudo fondatore della colonia di Nissa, Lucio Petilio: ASKAEPIO KAI IMER POTAM O DAMOS TIS NISIS SOTEREIN L. PETILIUS M. F. COLONIAM DUXIT NISSAE. POPULUS ET ORD PATRONO MERENTI “Nissuno, ch’io sappia, ne ha messo in dubbio l’autenticità, la quale io non riconosco» (A. Salinas, Scritti scelti, I, Edizioni della Regione Siciliana, Palermo 1976, pp. 313-314). L’invenzione di queste due iscrizioni grandemente, secondo le idee del secolo passato, nella lotta accanita che da’ cittadini di quel tempo si sosteneva per liberare la città

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Antonio Vitellaro

dal dominio baronale e rivendicarla al regio demanio» (A. Salinas, Op. cit., p. 315). È nota, infatti, la lunga causa intrapresa dai nobili nisseni per “restituire” al demanio regio la loro città e sottrarla, di conseguenza, al potere feudale dei Moncada che i nisseni sentivano ormai lontano ed oppressivo, specialmente dopo la loro “fuga” dalla città. Prima del Salinas si era scritto di un’origine mitica di Caltanissetta dai Ciclopi (Domenico Mario Nigro); Michele Segneri (1846) rigetta tale ipotesi ma ne fa un’altra altrettanto balzana: «Solo può dirsi che sia stata abitata dai Giganti, la cui esistenza è certa per l’autorità della divina scrittura e per la testimonianza del Fazello» (cfr. il manoscritto recentemente pubblicato da Luigi Santagati su “Archivio Nisseno”, n. 14, Gennaio-Giugno 2014). Più prudente fu lo storico dell’antichità siciliana Adolfo Holm: «Finalmente vuol essere ricordato che forse esistette una città dei Sicani detta Nissa». Nei tempi più recenti (‘800 e primi decenni del ‘900) è prevalsa l’opinione che Caltanissetta derivi dalla statio Petiliana di cui si parla nell’Itinerarium Antonini; oggi è accertato che il percorso romano di quell’itinerarium colloca la statio Petiliana vicina all’odierna Delia; a nulla vale che il fa-

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scismo abbia recuperato tale toponimo per denominare uno dei suoi borghi rurali, Borgo Petilia, appunto.

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La fortuna del termine “Nisseno” Chi non ha altri argomenti storici probanti afferma che, in ultima analisi, la discendenza di Caltanissetta da un’antica Nissa “sta” nella sua denominazione attuale; da qui, l’uso, ormai consolidato, di utilizzare l’aggettivo nisseno per indicare l’abitante della città e tutto ciò che ad essa può essere riferito. Sarebbe interessante poter accertare chi fu che per primo utilizzò il termine nisseno per indicare qualcosa che apparteneva alla città. Nel 1867 un giornale locale viene chiamato “La Tromba Nissena”; nel 1873 un ignaro burocrate definì Banca Provinciale Nissena un istituto di credito fondato in quell’anno; in quel periodo gli abitanti stessi della città cominciarono ad essere chiamati Nisseni, termine molto più comodo ed elegante di Caltanissettesi. Fin qui, la storia tormentata delle incerte origini della nostra città, che potranno essere storicamente definite attraverso il lento progredire delle ricerche archeologiche, che potranno, forse, aggiungere piccoli frammenti di verità, ma mai risolvere il problema alla

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radice.

La storia manipolata Caltanissetta ha sofferto di ben altre dimenticanze e manipolazioni della sua storia, più sottili e dannose delle ingenue invenzioni di antiche iscrizioni. Mi riferisco prima di tutto al disinteresse dei Nisseni per la ricostruzione sistematica e completa della storia della propria città. Dopo le parziali, brevi, “scolastiche” narrazioni sette-ottocentesche, bisogna aspettare il villalbese Giovanni Maria Bertòlo per avere un primo tentativo di scrivere una storia di Caltanissetta. I due volumi della Caltanissetta nei tempi che furono e nei tempi che sono (il primo volume pubblicato nel 1906 dall’autore, il secondo uscito postumo nel 2003 a mia cura) vogliono essere, nell’intento dell’autore, appunti di cronaca in vista di una futura storia. D’altro canto, come tracciare una storia senza l’ausilio di archivi (che non c’erano) o di una biblioteca, nata soltanto nel 1862 per decisione di un prefetto, il piemontese Domenico Marco? Il disinteresse dei nisseni per la loro storia è testimoniato dagli innumerevoli episodi di colpevole trascuratezza nei riguardi di edifici storici, opere d’arte, libri, toponomastica, tessuto urbano, che ha carat-

terizzato la storia più recente. I nisseni aspettano di sapere da parte di chi ha il dovere di dirlo, che fine hanno fatto, tra il 1915 e il 1945, un centinaio di incunaboli, i preziosi libri del ‘400, misteriosamente scomparsi dalla biblioteca comunale senza che nessuno se ne sia accorto; oppure, come sia successo che beni inalienabili dello Stato (penso alle opere d’arte delle chiese affidate al fondo per il culto) si trovino in mani private. Un’esperienza controcorrente che mi piace segnalare è stata la benemerita azione dell’Associazione Archeologica Nissena, alla cui opera si deve, in ultima analisi, la presenza, oggi, nella nostra città, di uno dei più importanti musei archeologici della Sicilia. Le manipolazioni della storia a cui facevo cenno riguardano le errate indicazioni dei nomi dei titolari di vie; due esempi per tutti: l’improbabile G.B. De Cosmi per Giovanni Agostino De Cosmi, il famoso pedagogista di fine ‘700 amico di Camillo Genovese; o l’altrettanto curioso Lucio Scarabelli, a cui è intitolata la piazza vicino alla Badia per ricordare il titolare della nostra biblioteca, che si chiamava Luciano Scarabelli. Come ben si sa, la intitolazione di vie e piazze, come la collocazione di iscrizioni commemorative sono i segni che la storia lascia nel tessuto urbanistico cittadino per interpretare il sentimento popolare nei riguardi di eventi o personaggi famosi. Spesso si propone con grande disinvoltura di cambiare le antiche denominazioni per sostituirle con nomi più recenti. È successo a tante denominazioni di chiese, che cambiano dall’oggi al domani, relegando nell’oblio le denominazioni antiche e, con esse, la storia che esse ricordano. Chi saprebbe individuare oggi qual è la chiesa che, fino alla fine dell’Ottocento, veniva indicata come S. Maria di


Montemaggiore? Talvolta si fa di più: in occasione di rifacimenti di prospetti di edifici pubblici, scompaiono importanti iscrizioni come se fossero cartelli pubblicitari. Nella ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia, nel fare una ricognizione delle iscrizioni legate al periodo risorgimentale, ho notato che erano scomparse due importanti testimonianze: l’iscrizione che ricordava la presa di Porta Pia (1870) e l’altra collocata in memoria del plebiscito spontaneo dei Nisseni in favore dell’unità d’Italia (giugno del 1860); la prima era collocata nel cantone del palazzo municipale alla confluenza di corso Umberto con corso Vittorio Emanuele, l’altra si trovava nel cantone del palazzo della Camera di Commercio rivolto verso la piazza Garibaldi. A seguito di una mia segnalazione, le due iscrizioni sono state riprodotte e ri-

collocate dove erano state poste all’inizio del ‘900. La manipolazione della storia della città è avvenuta anche attraverso violenti e indiscriminati interventi sugli edifici: agli inizi dell’Ottocento si abbatté un’intera chiesa per consentire al re Borbone di poter comodamente ammirare la piazza Ferdinandea dal palazzo Barile; grida ancora vendetta l’abbattimento dell’ottocentesco palazzo della Banca d’Italia per far posto all’orribile “prefabbricato” che l’ha sostituito, oggi oggetto di deprecazione da parte dei Nisseni. Voglio concludere queste riflessioni ricordando lo scempio dello sventramento del quartiere Angeli, con le parole del poeta nisseno Carmelo Pirrera, che da quelle parti abitava: «Hanno sventrato il vecchio quartiere ed aperta una strada alle automobili per scendere

più presto al cimitero. La chiesetta della Maddalena è rimasta quasi sbigottita su una strada sconosciuta, col suo ramo di gelsomino affacciato al muro del cortile, che riempie del suo alito la sera. Così la casa che abitai ragazzo, dal solaio pieno di bisbigli, ma divenuta inverosimilmente piccolo: il suo balcone non pare tanto prossimo al cielo. La città ha qui un aspetto da dopo-bombardamento: sono visibili pareti interne di case con chiodi che ressero cune e sanguinanti cuori di Gesù; coi rettangoli chiari da dove per anni guardarono ritratti di antenati defunti; offre alla vista gli angoli che accolsero i gesti più intimi, e scale monche che salgono a stanze inesistenti» (C. Pirrera, Quartiere degli angeli, il Vertice, Palermo 1983, p. 11). q

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Scuola di medicina Hypatia di Caltanissetta ulteriore step per il Campus Da studente a docente

996: È ufficiale. È il mio primo giorno di Università. L’emozione dell’affrontare una avventura tutta nuova e le ansie proprie della matricola si susseguono una dietro l’altra… Ho scelto il polo didattico di Caltanissetta, la mia città, ed è il primo anno che il corso accoglie studenti del I anno; fino ad oggi erano presenti solo sparuti studenti del IV e V anno, distribuiti tra i reparti dell’ospedale cittadino. Sono le 9, 00.. ci siamo… inizia.. L’ambiente è surreale: ci sono solo 8 studenti, compreso me, eppure c’è un aria solenne. Il preside della facoltà di Medicina e due professori di Chimica ci danno il benvenuto in un’aula del CEFPAS, una struttura appositamente pensata per la didattica. Chissà come andrà… Poi iniziano le lezioni ed ogni timore svanisce, minuto dopo minuto, giorno dopo giorno, quando capisco che ho una fortuna enorme: Il corso è tenuto da docenti qualificati, gli stessi che i miei colleghi palermitani seguono all’interno di gigantesche aule da 300 posti. A differenza dei megaatenei in cui le lezioni tendono ad essere sterili monologhi di docenti che parlano ad un microfono, a Caltanissetta conosco i docenti personalmente e passo molto tempo insieme a loro, prendiamo insieme il caffè e mi accorgo che mi trovo già in un “campus universitario”, con grande anticipo sui tempi. Semplicemente la situazione è la più favorevole all’apprendimento. Passano gli anni e i risultati si vedono: gli studenti del corso di Medicina di Caltanissetta (che intanto sono cresciuti a causa dei trasferimenti di altri illuminati colleghi palermitani) cominciano a laurearsi, tutti o quasi, con curricula di elevato profilo. Spesso ci si trova a sostenere esami assieme agli studenti

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Giuseppe Giglia

palermitani, perché i membri delle commissioni sono a volte più dei candidati, e il corso di Caltanissetta mostra prestazioni omogeneamente medio-alte: siamo tutti più bravi? Può darsi. O semplicemente abbiamo avuto maggiori chance di formarci in maniera classica, con un Maestro al nostro fianco. E tale vantaggio è legato non solo ai docenti palermitani in trasferta, ma anche alla disponibilità dei medici del S. Elia che, sempre in piccolissimi gruppi, ci hanno introdotto al mondo dell’attività clinica, del lavoro ospedaliero e ci hanno trasmesso la loro esperienza sul campo. Ancora una volta il confronto coi colleghi palermitani è schiacciante ed è tutto a nostro vantaggio. Loro sono molti di più e la loro presenza ingombra i reparti del policlinico, costringendo docenti e discenti ad un rapporto numerico decisamente meno favorevole. Certo, studiare a Caltanissetta ha anche degli aspetti negativi. Non c’è di certo una biblioteca paragonabile a quella dei colleghi di Palermo, non c’è una mensa o altre infrastrutture che ci facciano sentire di essere “veri” studenti universitari e soprattutto manca la possibilità di assistere, partecipare o collaborare a quella che è una attività propria delle Università: la ricerca. Infatti, al V anno di corso e con in mente una tesi sperimentale, comincio a viaggiare quasi quotidianamente per raggiungere i laboratori di neurofisiologia del policlinico di Palermo, dividendo le mie risorse tra le lezioni della mattina e gli esperimenti del pomeriggio…. 2014: dopo la laurea in medicina, ho preso una specializzazione, un dottorato di ricerca e sono diventato un ricercatore in ambito di neurofisiologia e neuroscienze cognitive.


Per perseguire il mio obiettivo ho frequentato i laboratori di ricerca di Palermo, Roma, Genova e, come ogni ricercatore precario che si rispetti, sono attualmente un cervello “fuggito” (anche se part-time) in Olanda, a Maastricht, dove continuo le mie ricerche in neuroscienze cognitive. Oggi, il 1 ottobre, torno all’Università di Caltanissetta come docente. L’emozione è diversa, ma c’è tutta. Ho già insegnato a Palermo, presso le allora Facoltà di Medicina e Scienze Motorie. Ma so già che qui ritroverò quell’ ”aria da campus” che ho vissuto tanti anni fa da studente. La scuola di Medicina ora si chiama “Hypatia”, in onore di Hypatia di Alessandria, matematica, filosofa e astronoma del IV secolo, ed è diventata una “vera” università (Da 2011/12 il numero di iscritti nel CdS, canale “Hypatia"è pari a 65 studenti/per anno *). Il mio corso è seguito da circa 60 studenti e da un limitato numero di fuoricorso (negli ultimi 3 anni solo poche unità hanno rinunciato a proseguire gli studi**.). Gli studenti sono quindi molti di più di quanti non fossimo noi, quasi venti anni addietro, sufficienti a creare quella “atmosfera da Università” che ci mancava, ma sempre in numero più che ragionevole. E le mie aspettative non vengono deluse, vivendo ancora una volta l’esperienza del contatto prolungato e personale docente-discente (anche se questa volta sono passato dall’altro lato): conosco i miei studenti per nome, quando pongo loro delle domande per saggiarne la preparazione di base, durante la lezione, rispondono correttamente con prontezza e loro mi hanno fatto persino l’onore di invitarmi alla loro festa delle matricole. Non mi era mai successo a Palermo. Non so, forse sono in qualche modo condizionato dalla mia precedente esperienza da studente, ma ho la netta sensazione che gli studenti nisseni ab-

biano una marcia in più. Anche quando ero assegnista di ricerca a Palermo e mi capitava di chiacchierare con i neolaureati che frequentavano il nostro reparto, mi accorgevo quasi sempre dei nisseni. Ovviamente non intendo dire che gli studenti nisseni siano necessariamente più bravi o che i palermitani lo siano meno, ma certamente emerge che sono stati esposti ad una didattica differente. Forse anche grazie al fatto che hanno potuto esercitarsi (certamente meglio che in molte altre università italiane) sui dispositivi che costituiscono il “Simhos”, il nostro invidiatissimo ospedale simulato dotato di attrezzature all’avanguardia dove gli studenti hanno la possibilità di esercitarsi in piccoli gruppi nelle manovre semeiologiche oltre che chirurgiche di base. Anche i dati statistici ufficiali del corso “Hypatia”, derivati dalla Relazione Annuale della Commissione Paritetica Docenti-Studenti della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo di Palermo per l’A.A. 2014/2015, sono complessivamente più che buoni, confermando che la qualità percepita dagli studenti è molto alta *: l’80% si è dichiarato soddisfatto della capacità del Docente di stimolare l’interesse verso la disciplina e l’82% si è dichiarato soddisfatto della chiarezza espositiva dei docenti. Risulta, inoltre, che i Docenti sono reperibili per spiegazioni (89% di risposte positive), che sono rispettati gli orari di svolgimento delle lezioni (83% di risposte positive) e che gli insegnamenti sono svolti in maniera coerente con quanto dichiarato sul sito web del corso di studio (86% di risposte positive). Infine, è molto positivo anche l’interesse per le diverse materie di studio (89% di valutazioni positive). E il risultato è che circa la metà degli studenti si laurea in sei anni o con un solo anno di ritardo**. Se quanto detto fino ad ora è già sufficiente per inorgoglire i nisseni e gli attori del corso Hypa-

tia, sembra proprio che il meglio debba ancora venire: è noto infatti come la nuova politica del consorzio universitario nisseno, capeggiata dal Prof. Giammusso, arricchitosi di recente del supporto del CEFPAS, diretto dal dott. Lo Maglio, ed il progetto politico dell’attuale sindaco Ruvolo stiano muovendosi, di concerto con l’Università di Palermo (rappresentata dalla prof. Di Liegro, coordinatore del Corso di Studi “Hypatia”), per migliorare sensibilmente la qualità dell’Università nissena. Ed ecco che a breve quello che era un Campus “per vocazione” lo diverrà davvero, con tanto di padiglioni adibiti a residenza, palestre, mensa, nuove aule, ed una biblioteca che dovrebbe essere in grado di reggere e superare il confronto con quella di Palermo. E la ricerca? È il 18 dicembre 2014, al primo piano del padiglione 11 del CEFPAS, all’interno di una aula dedicata allo scopo, una decina di entusiasti studenti si sottopongono a sessioni di stimolazione cerebrale non invasiva per manipolare le funzioni cognitive, in un protocollo scientifico nato dalla collaborazione del dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche dell’Università di Palermo e del Department of Cognitive Neuroscience della Maastricht University… ed eccomi ancora una volta qui, con una emozione ancora diversa e con la responsabilità di un momento che nel suo piccolo segna la storia di questa università, a condurre il primo esperimento ufficiale della Scuola di Medicina Hypatia di Caltanissetta. *Dati ufficiali derivati dalla Relazione Annuale della Commissione Paritetica Docenti-Studenti della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo di Palermo per l’A.A. 2014/2015 (http://portale.unipa.it/ateneo/.content/documenti/pqa/C DPS_2014/Relazione-CPDSScuolaMedicina_unico-2-RIVISTA-1.pdf) ** Dati personali, cortesemente messi a disposizione dalla prof.ssa Italia Di Liegro, Coordinatore del CdS “Hypatia”.

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Per conoscere meglio Caltanissetta Spigolando tra curiosità e guinness

cco di seguito alcune piccole curiosità, che ho trovato documentandomi quà e là nel web, che riguardano la nostra città e che forse non sono note a tutti. Non si tratta di dati e notizie particolarmente rilevanti per quanto riguarda la storia di Caltanissetta, che può certamente vantare eventi, personalità e patrimonio artistico-culturale di considerevole caratura, ma piuttosto di dati curiosi che possono aiutarci a conoscere meglio la nostra città e a svelarne aspetti inaspettati. Forse non tutti sanno che Caltanissetta, pur non essendo certamente un comune tra i più popolosi d’Italia con i suoi 63.034 abitanti (dati ISTAT al 31.12.2013), si trova invece tra i primi posti per quanto riguarda la sua estensione. La città infatti si sviluppa su un’area di 421, 25 km quadrati che la colloca al quattordicesimo posto tra i comuni più estesi d’Italia (al primo posto troviamo ovviamente Roma) ed al nono posto se si considerano soltanto i comuni capoluogo di provincia. In Sicilia Caltanissetta è il quarto comune più esteso, preceduto soltanto da Noto (554, 99 km quadrati), Monreale (530, 18 km quadrati) e Ragusa (444, 67 km quadrati) e dunque il secondo comune se si limita questa particolare classifica ai comuni capoluogo di provincia. Di contro, non essendo appunto particolarmente popolosa, ne conse-

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Marco Maira

gue che si colloca, insieme a L’Aquila, all’ultimo posto della classifica dei 105 comuni italiani con più di 60.000 abitanti per quanto riguarda la densità di popolazione, contando 150 abitanti per km quadrato (ma allora, se è così poco densamente popolata, com’è che non trovo mai parcheggio sotto casa?). Tra i suoi cittadini il 3, 6% è rappresentato da stranieri (al primo posto ci sono i cittadini provenienti dal Marocco, seguiti dai rumeni) e questo la colloca al secondo posto a livello provinciale, essendo Delia il comune con la più alta percentuale di stranieri in rapporto al numero degli abitanti. L’età media dei nisseni è di 42 anni (dati ISTAT al 31.12.2012) ed il tasso di natalità (cioè il rapporto tra nati vivi in un anno e la popolazione media dello stesso anno) è di 9, 1 (dati ISTAT al 31.12.2012). Continuando con i numeri e le classifiche, vediamo poi che Caltanissetta è il settimo comune italiano capoluogo di provincia per quanto riguarda la posizione sul livello del mare, trovandosi ad un’altitudine di 568 metri s.l.m. (calcolata nel punto dove è situato il Comune) ed in Sicilia è preceduta solo da Enna che si attesta sui 931 metri s.l.m. e che, come sappiamo, è il capoluogo di provincia più alto d’Italia. Nell’ambito della provincia nissena poi, il capoluogo può vantare alcuni primati po-


sitivi, essendo il comune con il reddito pro capite più alto (9.902 euro) e con la più alta percentuale di contribuenti che dichiarano il proprio reddito (42%). Tutti invece conosciamo il primato che Caltanissetta vanta come città dove si trova la struttura più alta d’Italia, cioè

l’antenna radiotrasmittente, ora non più attiva, alta 286 metri che fino al 1965 era addirittura la struttura più alta d’Europa. Infine concludiamo con una nota gastronomica che vede Caltanissetta inserita anche nel libro dei Guinness dei Primati, in quanto il 6 ottobre 2002 un gruppo di pasticceri ha prepa-

rato il rollò più lungo del mondo, di ben 303 metri. C’è da dire, tuttavia, che la nostra città è l’unica (o quasi) a confezionare il rollò, essendo esso un dolce squisitamente (è il caso di dirlo) nisseno. Non sappiamo però se è stato poi mangiato e da quante persone. Io, di certo, ne avrei gradito un pezzo.

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L’altra Sicilia Dai giardini cantati dalla poesia araba al degrado ambientale di oggi o amato la Sicilia da giovane, quand’era come un giardino di paradiso”, diceva un poeta arabo-siciliano, Abd al – Walid, errando per il mondo musulmano e rievocando la patria perduta. Lo stesso accorato rimpianto nei versi di quell’altro poeta, Ibn Hamdìs, anch’egli costretto all’esilio dall’invasione dei Normanni: “Vuote le mani del primo fiore della giovinezza, ma piena la bocca del ricordo di lei”. E si tratta di una giovinezza felice, trascorsa in un’isola felice, la nostalgia della quale informerà gran parte della sua produzione poetica; è un grido d’amore quello che egli rivolge alla Sicilia dalla Spagna, in cui si trova esule: “O mare, di là da te io ho un paradiso, in cui mi vestii di letizia, non di sciagura!”. E ancora un altro arabo-siciliano, Ab darRahmàn al-Itrabànishi, cantando la bellezza della Favara, luogo di delizie regali presso Palermo: “Favara dal duplice lago, ogni desiderio in te assommi: vista soave e spettacol mirabile. Le tue acque si spartiscono in nove rivi; o

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Palermo, palazzo e giardini della Zisa

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di

Angelo Tomassoli

bellissime diramate correnti! Oh splendido lago dalle due palme, e ostello sovrano circondato dal lago! L’acqua limpida delle tue sorgenti sembra liquide perle, e la distesa intorno un mare. I rami dei giardini sembran protendersi a guardare i pesci delle acque e sorridere. Gli aranci superbi dell’isoletta sembran fuoco ardente su rami di smeraldo. Il limone pare avere il pallor d’un amante, che ha passato la notte dolendosi per l’angoscia della lontananza.” Dove è più ormai “quel paradiso di acque e di pesci” del quale ci parla Ibn Idrìs, geografo arabo al servizio di Ruggero II? Certo da allora sono trascorsi quasi nove secoli; ma ancora nel Settecento e nell’Ottocento stupende descrizioni della nostra Isola ci vengono dai numerosi viaggiatori francesi e tedeschi. Per Guy de Maupassant “un soffio continuo sale dai giardini profumati, un soffio che inebria la mente e turba i sensi. Il desiderio indeciso e poetico che ossessiona perennemente l’animo umano assillandolo, inebriante ed inafferrabile, sembra sul punto di realiz-


zarsi. Quell’odore, avviluppandosi d’improvviso, mescolando la delicata sensazione dei profumi con la gioia artistica della mente, vi immerge per alcuni secondi in un benessere del pensiero e del corpo che rasenta la felicità”. Per J. W. Goethe poi “l’Italia senza la Sicilia non è completa, soltanto qui si trova la chiave di tutto”. Anche E. de Amicis, grande viaggiatore, venne in Sicilia due volte, lasciandoci un delizioso, pregevole libretto, “Ricordi d’un viaggio in Sicilia”, pubblicato a Catania dal cav. Giannotta nel 1908. E lì, commosso dalle bellezze dell’Isola, arriva a condividere le parole di una signora straniera che, incantata dal panorama, esclama: “Credo poco all’Inferno, ma credo al Paradiso perché l’ho visto …. Ed è questo!”. È quindi dal XX secolo che si è avviato un apparentemente irreversibile processo di distruzione di quello che per Ibn Hamdìs era un paradiso; un processo di distruzione che si propone quasi come metafora di quegli altrettanto irreversibili processi di distruzione fisica dell’uomo (AIDS, EBOLA,

CANCRO, DROGA). Sono terribili tempi i nostri: ci hanno consentito una vita sicuramente più comoda, generalmente più facile, ma decisamente brutta, in un ambiente sempre più brutto, sempre più degradato. I nostri poeti (perché erano veramente nostri essendo arabi della seconda e terza generazione dall’inizio della conquista) si struggevano di nostalgia per quei giardini, per quelle acque, per quei monti. Noi invece, avvolti di aria condizionata, dentro case di lusso, automobili di lusso, nel contesto di una generalizzata caduta di amore verso la natura sempre più estranea, sempre più “fuori” di noi, distruggiamo con protervo cinismo quello per cui si estasiavano i nostri antenati. E potremmo costruire queste case anche altrove, la Sicilia essendo ormai soltanto dentro di noi, beffardamente ridotta ad un’isola dentro di noi. Il declino appare inarrestabile: i nostri territori sono sempre più degradati; terreni un tempo fertili e generosi, oggi impoveriti delle acque imprigionate dentro faraoniche dighe spesso inutilizzate perché costruite

male o altrettanto male gestite, sono abbandonati e quindi improduttivi. Il miraggio industriale ha fatto scempio di luoghi che un tempo facevano pensare al Paradiso in terra; penso a Gela, Termini Imerese, Augusta, Milazzo, e non solo. Che si possa tornare alle condizioni di vivibilità testimoniate dai nostri poeti dell’XI e XII secolo non credo si possa ragionevolmente sperare, cioè non credo possano ragionevolmente sperarlo i nostri figli e nipoti, per i quali si prospetta inevitabilmente un futuro lontani dalla Sicilia. Ma credo tuttavia che sia alla portata dell’uomo, se l’uomo è ancora capace di amore, tentare di bloccare quel processo, restituendo a sé stesso e a tutto il genere animale un ambiente nel quale si possa decentemente e dignitosamente vivere ed amare. Non dimentichiamo che contro l’inquinamento non abbiamo difese, per così dire, “statiche”, non abbiamo corazze; viviamo pericolosamente aperti e scoperti verso l’ambiente, in un rapporto osmotico, senza soluzione di continuità: la sua morte ci ucciderà. q

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Diario del soldato Francesco Paolo Scaduto

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Sarebbe rimasto nell’ombra senza la pubblicazione del nipote magistrato

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A 100 anni dall’ingresso dell’Italia nella I Guerra mondiale, la redazione desidera ricordare l’evento con la testimonianza che, di quella dolorosa esperienza bellica, lasciò un soldato di Salemi, zio del dott. Salvatore Riggio Scaduto, apprezzato magistrato a Caltanissetta e generoso collaboratore della nostra Rivista Lions. Nel 2008 quel diario fu pubblicato con il titolo "Il contributo di sangue di Salemi all'inutile strage". A tracciare un profilo dell’amico recentemente scomparso e il sunto del libro, scritto con la sua stessa collaborazione, è adesso Felice Dell’Utri, anch’egli più volte protagonista, in queste nostre pagine, di interessanti riflessioni. Siamo grati a Salvatore Riggio Scaduto per aver salvato da sicuro oblio un testo di valore storico e a Felice Dell’Utri per l’attestazione di amicizia nei confronti del dott. Riggio e del Lions Club di Caltanissetta. Al giovane soldatoFrancesco Paolo, caduto per l’Italia assieme ad altri circa seicentomila militari e ad altrettanti civili, va il nostro commosso, deferente ricordo. Oltre 1.200.000 furono le vittime italiane che vanno incluse nella cifra totale stimabile tra i 10 e i 15 milioni di morti, appartenenti a tutte le nazioni coinvolte nel tremendo conflitto. Né va dimenticato che altrettante furono le persone rimaste ferite e mutilate.

Il 14 Gennaio 2015 ci ha lasciato il dott. Salvatore Riggio Scaduto, magistrato di Cassazione a riposo, distintosi nel suo lavoro per l'essenzialità e la sobrietà. Il Consigliere Pretore era, mi riferiscono, anche per la sua mitezza, un punto di riferimento per i suoi colleghi pretori ma anche per i giovani avvocati e non. Era nato a Salemi, città che amava tanto e si era stabilito a Caltanissetta nel 1962 per motivi di lavoro e qui aveva concluso il suo percorso lavorativo. Non conoscendo il suo lavoro di magistrato, mi piace ricordarlo quale uomo di cultura, molto attento alle bellezze della noLions Club di Caltanissetta

di

Felice Dell’Utri

stra città che amava al pari di Salemi e di cui scriveva sistematicamente proprio nella rivista dei Lions di Caltanissetta. Ha pubblicato diversi libri tra cui "I canti della nostra terra", una raccolta di detti e modi di dire ad integrazione degli studi di G. Pitrè e G. Salomone Marino che ha avuto ben tre edizioni; ha anche pubblicato "I Biangardi, la vita, l'epoca e le opere" in collaborazione con F. Dell'Utri e i compianti R. La Mattina e P. D'Orto. È sua anche la "Guida all'Abbazia di Santo Spirito" in collaborazione di F. Dell'Utri, pubblicata in due edizioni. L'attaccamento alla città di Caltanissetta e ai nisseni si coglie anche negli "Studi sul pittore Carmelo Giunta". Non tutti sanno che, cessato il suo lavoro di magistrato, egli trascorreva molto tempo a Caltanissetta, ove aveva mantenuto l'abitazione, poi si spostava a Palermo, dove soggiornava un pò, per raggiungere infine la sua casa nell'amata Salemi e… ritornare a Caltanissetta, poi nuovamente a Palermo e poi ancora Salemi. Era un suo modo di stare vicino alle persone che aveva care e ai luoghi cui era legato! Ha anche onorato la sua città natale pubblicando "Storia, arte e cultura di Salemi" e "In memoria della Chiesa Madre di Salemi". Di recente, nel 2008, ha pubblicato la sua ultima opera "Il contributo di sangue di Salemi all'inutile strage". Di questo libro nessuno ha parlato, forse perchè la crudezza della guerra fa ancora oggi paura, ma di questo silenzio egli ha sofferto per cui, ora, penso di fargli cosa gradita ricordarlo parlando proprio di quest'ultima sua opera. La lettura de “Il contributo di sangue di Salemi all’inutile strage” mi ha profondamente inquietato. Il volume è uscito nelle “Edizioni Lussografica” di Caltanissetta nel marzo 2008, in 112 pagine con scritti di


Francesco Paolo Scaduto, F. Dell’Utri e con una grafica di R. La Mattina. Il testo é la pubblicazione di un diario di guerra di Francesco Paolo Scaduto e tratta di quella guerra del 1915-18 definita dal sommo Pontefice Benedetto XV “inutile strage”. Francesco Paolo fu un soldato siciliano nativo di Salemi che suo malgrado, si è trovato a scrivere una pagina di storia della grande guerra insieme ai tanti combattenti che ci hanno lasciato i loro preziosi diari di guerra ed epistolari, oggi custoditi gelosamente dalle famiglie. Racconti di quella storia che nella complessità dei suoi eventi, è dolorosamente maestra di vita e che i cittadini (talvolta sarebbe meglio chiamarli sudditi) in genere non scrivono, proprio perché la subiscono silenziosamente. Èrisaputo che la storia spesso l’hanno scritta i vincitori, non di rado a uso e consumo persino della vanagloria e non fa alcuna differenza se a soffrirne gli eventi catastrofici sia stato un solo uomo, un consorzio o un’intera nazione. Inesorabilmente i suoi eventi si susseguono veloci ed implacabili e non di rado, per lo più quando i diretti interessati non sono più in vita, lo studioso, servendosi di documenti probanti, comincia ad aprire uno spiraglio sul come e perché degli accadimenti di una storia “ufficiale” che risulta spesso manipolata. Nel caso del primo conflitto mondiale, il patriottismo obbligato o sinceramente vissuto, doveva e voleva esaltare il sacrificio di tanti poveri disgraziati che, dal canto loro, quando l’esasperazione aveva infine saturato le trincee insieme al fango e all’odore della morte, maledicevano quella patria divenuta “matrigna”, là dove erano costretti a combattere e morire per sottrarre al nemico le terre irredente e consolidare l’identità nazionale. Identità di una nazione giova-

nissima che lo storico doveva ratificare ed osannare per cementarla, sicuramente celando quelle ferite che sono comunque e sempre i “segni della storia” sul corpo fragile di una nazione ancora troppo giovane. Nel caso del soldato di Salemi la storia è talmente vera da poterla definire, prendendo a prestito le parole di Placido D’orto, il poeta della speranza: “vera, più vera della verità …”. Non si conoscerà mai del tutto la ragione per cui Francesco Paolo volle scrivere il suo diario di guerra, purtroppo rimasto incompleto per altrettante cause sconosciute ed infine fortunatamente recuperato e pubblicato, con opportune postille, dal nipote dott. Salvatore Riggio Scaduto. Lo scrittore non ha conosciuto di persona il giovane zio soldato, ma sicuramente lo ha venerato per queste sue autentiche e genuine esperienze di vita. E mi risulta che questa medesima venerazione sia oggetto dei molti altri diari ed epistolari delle due guerre mondiali che sono diventati preziosa eredità per i discendenti di quei militi. “Il contributo di sangue di Salemi all’inutile strage " che riserva uno spazio alla nostra Caltanissetta dove Francesco Paolo fece le istruzioni da recluta, è un libro che merita di essere letto, soprattutto da chi si prepara a fare inconsciamente o consapevolmente il “generico” e la comparsa sul palcoscenico

della storia del nostro paese ancora oggi afflitto da tanti mali. Un’ Italia ancora tribolata, figlia di un pianeta dove l’individuo viene comunque a trovarsi per mietere gioie e dolori. I dolori nel corpo e nello spirito prescindono certamente dalla volontà umana, proprio come è successo al soldato Francesco Scaduto nel secolo scorso insieme a tanti altri militi di ogni regione italiana che le lapidi commemorative non possono ricordare tutti. La sofferenza di questi giovani che si sono trovati a combattere per la patria, cadendo spesso nella disperazione e confortati soltanto dalla speranza (che non raramente è stata quella cristiana) anche se è trascorso un secolo da quegli eventi, può aiutarci a riflettere sulla vita quaggiù, quando il pianeta lascia intravvedere “l’atomo opaco del male.” Una lapide commemorativa presente in tutte le nostre città, sovente ubicata accanto ai monumenti che celebrano gli eventi della storia, rende onore ai caduti della Grande Guerra e ad ogni singolo eroe: sicuramente la saggezza dei nostri padri latini che ci ricorda “sic transit gloria mundi” getta una luce sui risvolti più oscuri di quella storia il cui tributo di sangue é ancora così recente da consentire che il ricordo dei familiari possa esprimersi in una pubblicazione alla memoria.

Il sacrario militare di Redipuglia (Gorizia). Il più grande d’Italia, costruito nel 1938, conserva i resti di 100.000 caduti della "Grande Guerra", 39.857 identificati, 60.330 ignoti

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Due storielle nissene d’altri tempi Vicinzu Tiralazzu, Papollu

o chiamavano Vicinzu Tiralazzu per via dell’abitudine che aveva di iniziare le sue esibizioni facendo l’atto di tirare una cordicella per accompagnare dei suoni articolati che riusciva a produrre col naso. Era un personaggio singolare, un lavoratore, uno di quei bonaccioni che si lasciano prendere in giro e sono felici di essere al centro dell’attenzione e, a quel che si racconta, era benvoluto da tutti. Intorno agli anni Cinquanta, animava certi pomeriggi tra la gente che era solita sostare nelle vie del centro. Tutti lo conoscevano e quando qualcuno gli diceva: Vicì, tira ‘u lazzu!, non se lo lasciava dire due volte, tirava la cordicella e iniziava a sfoggiare la carrellata di rumori che sapeva eseguire col naso, felice di essere ascoltato da tutti. A ogni rumore, un nuovo tiro di cordicella. Imitava lo scalpiccio dei cavalli al trotto e in corsa, il rumore dell’automobile, il rombo

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Franco Spena

dell’aereo, faceva versi di animali, ma la sua specialità era la macchina da scrivere. Si dice che fosse di poco parlare, ma in effetti parlava, si fa per dire, col naso. Era giunta in città, in quei giorni, una compagnia di avanspettacolo e, come era spesso in uso in quel tempo, alla fine del film, al Cinema Trieste, ci sarebbe stato lo spettacolo di varietà. Quindi film e varietà, “dodici gambe dodici”. C’era di che passare un pomeriggio, la gente era accorsa più numerosa del solito e la sala era gremita. Terminata la proiezione del film tutti attendevano che si aprisse il sipario per vedere lo spettacolo dal vivo con le donnine, il comico, il balletto, la cantante e la soubrette. Quelli che riuscivano ad accaparrarsi la prima fila avevano la fortuna di trovarsi a due passi dalla passerella. Quella volta il pubblico aspettava in sala mangiando semenza e noccioline americane, ma il varietà, chissà perché, tardava ad iniziare. Passò un bel po’ di tempo, ma le luci ancora non si spegnevano. Iniziò un mormorio generale, l’attesa diventava snervante. Chi diceva che la soubrette aveva avuto un malore improvviso, chi diceva che mancava qualcuno dell’orchestra, chi diceva che erano sopravvenuti dei disaccordi tra la compagnia e l’organizzazione; chi adduceva i soliti motivi tecnici. Fatto sta che lo spettacolo non iniziava. Il pubblico allora cominciò a fischiare e a battere le mani per invitare gli attori ad uscire. I più scalmanati urlavano, ma tutto continuava a tacere e il sipario non si apriva. È inutile dire che in sala c’era anche Vicinzu Tiralazzu. Qualcuno ebbe una felice idea e gridò: Vicì, vacci tu, vacci tu a fari l’artista! Quello non ebbe esitazione, non se lo fece dire


Villa Barile, Caltanissetta

due volte, salì la scaletta e fu subito sul palcoscenico. Superato il primo momento di meraviglia, i rumori in sala tacquero; ci fu un applauso generale e Vicinzu tirò la cordicella. Mettendo in azione il suo naso prodigioso, iniziò il suo programma di imitazioni. Produsse rumori di carretti, autotreni, aerei, rane, asini, maiali. Tanti altri ne inventò lì per lì, tra i più disparati, intrattenendo il pubblico per più di un’ora. L’imitazione che però entusiasmò tutti fu il suo vero fiore all’occhiello: la macchina da scrivere. “Ta…tatà…tatà…ta…tatà… tatà…trrrà!”, riproducendo il rumore del carrello che tornava indietro, “Ta…tatà…tatatà… ta… tatà tatatà…trrrà!” e concludendo facendo finta, come al solito, di tirare ‘u lazzu dal naso. La gente applaudì a non finire l’esibizione dell’ artista Vicinzu che aveva avuto, quel giorno, un palcoscenico tutto per sè, salvando inconsapevolmente l’organizzazione da una situazione incresciosa. Erano tutti contenti, ma il più felice era lui, Vicinzu Tiralazzu, che era di poco parlare, ma parlava col naso. *** Tanti e tanti anni prima di Vicin-

zu, era vissuto a Caltanissetta un personaggio che spesso aveva fatto parlare di sé. Tutti lo chiamavano Papollo. Non si sa se questo fosse il suo vero nome o era invece una ‘ngiuria, un soprannome, come quelli che la gente era solita attribuirsi per le caratteristiche fisiche, per le condizioni, per certe abitudini o per certo modo di pensare. Papollo tutto sommato era un povero diavolo, un giovanotto cresciuto nella miseria, che si dava da fare come poteva. Un giorno, passando dalle parti di Pian del Lago, fu attratto da un albero di melograni. Così pensò di rubarne un po’ per poterli mangiare. Non fu così poiché, malauguratamente, il contadino che gironzolava nei pressi, se ne accorse e lo inseguì. Inutilmente però, poiché Papollo riuscì a scappare e a non farsi prendere. Il contadino tuttavia lo aveva riconosciuto e, senza pensarci due volte, andò a denunciarlo alle autorità competenti. Fu così che Papollo cominciò a essere ricercato dai militi per ogni dove, tanto che, per non farsi arrestare, dovette darsi alla macchia vagando da una campagna all’altra. Così, sporco e malandato, non

era raro vederlo fra i campi. Ed era così trasandato e trascurato da fare persino paura, anche se non aveva mai fatto e non si sognava neppure di fare male a una mosca. Tuttavia le mamme, spesso per incutere timore ai bambini quando combinavano qualche marachella o facevano baccano, incominciarono a dire: Vidi ca chiamu a Papollu. “Guarda che se non stai buono vado a chiamare Papollo”. Dopo tanti appostamenti, venne sorpreso di primo mattino in un pagliaio dalle parti di Capodarso. Catturato, venne condotto in città con un scorta numerosa di guardie e di soldati, esagerata se si vuole, per il malcapitato che fondamentalmente era un buono e non meritava un simile trattamento. La voce della cattura si sparse in un attimo e la gente correva dalle campagne e dalle borgate per vederlo passare, formando sulla strada folle di persone. Da allora, quando si vede un grande assembramento attorno a qualcosa o un gran numero di persone correre da qualche parte, la gente dice. Chi portanu a Papollu? Chi vannu a vidiri a Papollu?

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Disagio? No grazie...

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Uno “spazio” di ascolto per i giovani di Caltanissetta

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Oggi i giovani, i ragazzi, parlano spesso un linguaggio un pò acerbo, difficile a comprendersi, e sperimentano anch’essi le difficoltà del progettare, del programmare e del condividere responsabilità. Hanno bisogno di adulti disposti a farsi “compagni di viaggio” per rendere più vicini e possibili orizzonti valoriali concreti, veri, autentici. Don Ciotti

a parola adolescenza deriva dal latino adolescere che significa “crescere”; altre fasi di sviluppo della vita della persona implicano una “crescita”, ma nessuna, come l’adolescenza, prevede così ampi cambiamenti. Durante l’adolescenza il ragazzo si distanzia dalla sicurezza e prevedibilità del mondo infantile, caratterizzato in larga parte dall’impronta dei genitori, per avventurarsi nell’esplorazione del territorio adulto utilizzando percorsi sempre più personali. Mentre cerca di conquistare il suo posto nel mondo degli adulti, l’adolescente si ritrova a dover gestire diversi livelli di difficoltà, dovute ai grandi riadattamenti e trasformazioni sia sul piano psicologico che su quello fisico. Non sempre le problematiche dei ragazzi rientrano in un quadro psicopatologico e in molti casi le difficoltà si risolvono naturalmente e in modo spontaneo. Altre volte, invece, possono mantenersi o aggravarsi, ecco perché è importante non trascurare il malessere psicologico, imparando a riconoscere ed accogliere i primi segnali di disagio. Occorre tener presente che il disagio adolescenziale è spesso nascosto o mascherato e ciò legato anche al fatto che di rado, in questa fase della vita, il malessere viene espresso attraverso le parole, quanto più con sintomi e comportamenti. Molti sono quindi i fattori che condiziona-

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Daniela Scarantino

no lo stato psicofisico dell’adolescente, tra questi l’ambiente è certamente una variabile determinante per il sano sviluppo dei giovani. Caltanissetta, che ha una popolazione di circa 65.000 abitanti, è una città che non offre molto; questa situazione si riflette negativamente soprattutto sugli adolescenti, aggravando la loro posizione esistenziale e creando in loro sfiducia nel futuro, solitudine, senso di inadeguatezza, quindi confusione, incoerenza e ambiguità, con conseguenti comportamenti di disagio e devianze. Il disagio riguarda l’incidenza di uso di sostanze stupefacenti e alcol in una popolazione di giovani in età compresa tra i 12 e i 25 anni. Si riflette anche nel mondo della scuola, dove si rilevano diversi casi di fenomeni di dispersione scolastica, evinti dall’analisi dei dati forniti dall’ufficio DISCO (Dispersione Scolastica) del Provveditorato degli Studi di Caltanissetta, che si riferiscono alle scuole dell’obbligo. Oggi la scuola si interroga; i docenti cercano di affinare sempre più la capacità di entrare in relazione con la popolazione studentesca, perché una buona comunicazione a scuola ha non solo valore di prevenzione del le difficoltà adolescenziali, ma è anche una premessa indispensabile per il raggiungimento di positivi risultati nell’insegnamento e nell’apprendimento, perché per molti giovani l’ambiente familiare per motivi di carattere sociale, culturale ed economico non è di grande aiuto. Molti giovani non hanno valida motivazione per valorizzare proprie le esperienze dei genitori o dei parenti più vicini perché queste esperienze mancano o peggio ancora perché sono esperienze negative e dunque nocive per aiutarli nella crescita e prepararli ad un’ inserimento positivo nella società in cui vivono. D’altra


parte, oggi tutti gli adolescenti chiedono maggiore considerazione nella relazione con le figure adulte e il gruppo dei pari. Il counseling educativo allora servirà a circoscrivere il problema, a metterlo in evidenza in modo che lo studente sappia cosa deve affrontare e che lo faccia con l’aiuto di una figura significativa. In questa prospettiva, l’insegnante valorizza l’unicità dello studente, la sua dignità umana; il counselor non provoca, non sfida, semplicemente ascolta, usa l’empatia, con l’obiettivo di aiutare lo studente a trovare il proprio Sé. La parola “ascolto”, quindi, diventa efficace strumento di prevenzione del disagio. Insegnare non basta più; insegnare significa anche e soprattutto comprendere, per poter contrastare quelle interferenze emotive sui processi di apprendimento che rappresentano un evidente ostacolo alla crescita culturale ed educativa di un ragazzo. Vi sono allievi le cui condizioni di malessere non sono neppure percepite dagli insegnanti: sono i cosiddetti “allievi invisibili”. Si tratta spesso di ragazzi che manifestano il loro disagio fuggendo dal mondo della scuola come risposta ad una a scarsa motivazione. Saper ascoltare il malessere, quindi, può significare anche prevenire la dispersione scolastica. Ci si mette in condizione di “ascolto efficace” provando a mettersi “nei panni dell’altro”, cercando di entrare nel punto di vista dell’interlocutore, condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che manifesta. Da questa modalità è escluso il giudizio, ma anche il consiglio, la tensione del “dover darsi da fa-

re” per risolvere il problema. Lo spazio della consulenza, in altri termini, designa una strategia di aiuto che mira sia alla definizione del problema, sia alla promozione della coscienza critica del soggetto, che deve acquisire la consapevolezza e la volontà di impegnarsi a superare le contingenze “difficili”, in vista di una più positiva realizzazione di sé e del personale progetto di vita. La scuola, per poter intervenire in materia di disagio giovanile, si avvale anche della collabo-

razione degli operatori del Ser.T, dell’ASP N°2, stipulando intese che prevedono una condivisione dello spazio fisico e mentale, agito all’interno del C.I.C. (Centro Informazione e Consulenza), costituito con il D.P.R. 309 art. 104, che affida al Ministero della Pubblica Istruzione il compito di promuovere e coordinare le “attività di educazione alla salute” nella scuola, che si inquadrano nello svolgimento ordinario dell’attività educativa e didattica. Il Ser. T è nato come servizio rivolto ad un problema, quello della Tossicodipendenza. Con il passare del tempo il target di intervento del Ser. T si è ampliato rivolgendosi non solo agli utenti tossicodipendenti, ma più in generale a tutte le varie forme di dipendenza, dai disturbi alimentari alla dipendenza dell’alcol ai giochi di azzardo, ecc. Il Ser. T dell’azienda ASP n°2 è inserito nel territorio di Caltanissetta.

Il C.I.C. si qualifica come spazio polifunzionale, in cui i docenti possono colloquiare informalmente, stabilendo rapporti improntati alla reciprocità e finalizzati alla realizzazione di progetti e di attività relative all’esercizio del diritto alla salute, allo studio e all’identità personale. In particolare, gli operatori del Ser.T di Caltanissetta operano all’interno degli Istituti Superiori del territorio (Liceo Scientifico “A. Volta”, Istituto Tecnico Commerciale “M. Rapisardi”, Liceo Classico “R. Settimo”, ecc.). Compito degli operatori non è di cura o diagnosi, ma quello di favorire l’ascolto empatico, d’individuare un metodo teso a creare motivazione, impegno e partecipazione delle varie componenti alla vita della scuola. A tale scopo, gli operatori si muovono con l’intenzione di promuovere un orientamento alla risoluzione dei problemi, incoraggiando nei giovani il senso di appartenenza. Il C.I.C. non si configura come un contenitore vuoto, ma come un’innovativa opportunità che permette alle scuole superiori di migliorare la qualità del servizio territoriale attraverso il miglioramento della qualità complessiva della vita scolastica e sociale. La sfida che le istituzioni locali dovrebbero affrontare, è quella di promuovere l’autonomia nei giovani, incoraggiarli ed aiutarli a diventare protagonisti attivi della nostra città, nonché favorire la capacità di progettare creativamente la propria vita, per non essere più passivi spettatori, ma diventare costruttori attivi della realtà sociale. q

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Considerazioni in tema di sovraindebitamento di

ell’ambito del service nazionale del Lions Club International sull’emergenza lavoro, ludopatia, sovraindebitamento ed usura, che vedrà tutti i Club del Multidistretto 108 Italy affrontarne le problematiche nell’ambito delle proprie circoscrizioni e zone, desidero rassegnare queste considerazioni che traggono spunto dalla mia attività di Avvocato da molto tempo impegnato nello studio e nell’applicazione pratica della materia, in quanto da oltre 15 anni sono anche il responsabile e delegato dell’ADUSBEF (una associazione dei consumatori presente in tutta Italia) per le provincie di Caltanissetta, Enna ed Agrigento. Le mie considerazioni traggono lo spunto anche dal fatto che nei giorni scorsi, avanti il Tribunale Civile di Caltanissetta, ho depositato il primo ricorso per sovraindebitamento ai sensi della legge 27/1/2012 n. 3. Si tratta di una norma che nel suo complesso regola la materia in tema di usura e di estorsione, nonché' di composizione delle crisi da sovraindebitamento. Il ricorso è stato depositato, nell’interesse di una persona che si trovava da tempo in crisi, non essendo più in grado di far fronte con regolarità e puntualità agli innumerevoli debiti contratti negli anni. In poche parole, al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento, non soggette ne' assoggettabili al fallimento, è consentito al debitore concludere un accordo con i creditori nell'ambito della procedura di composizione della crisi economica. Per «sovraindebitamento» si intende una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e gli incassi, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.

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Giuseppe Giunta

Il debitore presenta istanza al Presidente del Tribunale competente, ai fini della nomina di un Professionista abilitato che cura la proposta di accordo o il piano di rientro del debito. Le procedure sono due: la proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano proposto dal debitore (in questo caso l'accordo richiede il voto favorevole dei titolari di almeno il 60% dei crediti) oppure il c.d. piano del consumatore, inteso al medesimo risultato senza necessità di accordo con i creditori, in cui decide solo il Tribunale. Sia la proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, sia il piano del consumatore, non comportano necessariamente la liquidazione dell'intero patrimonio del debitore. La procedura intesa all'accordo con i creditori (la c.d. proposta di accordo ndr), comporta che il debitore possa essere ammesso a pagare i propri debiti in misura non integrale, (per esempio, nella fattispecie, ho richiesto un abbattimento dei debiti, in misura integrale del 40%) a determinate condizioni e purché rispetti gli impegni assunti con la proposta di accordo. Analogo scopo ha la procedura di composizione consistente nel piano del consumatore, con la differenza che in questo caso non è necessario l'accordo con i creditori, ma il piano può essere omologato (cioè reso efficace nei confronti dei creditori) sulla sola base della valutazione del Tribunale. Il debitore deve proporre la ristrutturazione dei propri debiti e la soddisfazione dei creditori in qualsiasi modo, anche con l'eventuale cessione di propri crediti futuri.


Occorre che il debitore dia conto di tutta la propria consistenza patrimoniale e che indichi elementi tali da far ritenere che l'accordo o il piano che egli propone sia fattibile (cioè realizzabile). Qualora sia necessario a tal fine l'intervento di terzi che offrano garanzie, occorre acquisire il loro consenso scritto con l’indicazione dei redditi o beni che essi mettono a disposizione. Dopo il deposito della richiesta, ha luogo un procedimento inteso a verificare se sussistono le condizioni per l'omologazione (cioè il provvedimento che rende vincolante l’accordo o il piano per tutti i creditori). Il tribunale provvede alla convocazione di tutti i creditori che, a seconda della procedura seguita, possono essere sentiti e votare sull’accordo, o no: in tal caso decide il Tribunale esclusivamente ed in autonomia. L’istituto posto in essere con la legge 3/12 è importante in quanto consente a chi si sia volontariamente o involontariamente caricato di debiti e si accorga di non potervi più far fronte, di ottenere una riduzione sensibile degli stessi e poter affrontare con serenità il futuro. Spesso mi sono trovato, in presenza di situazioni limite in cui tutto il reddito percepito dal consumatore veniva eroso dal pagamento di rate relative a prestiti o mutui contratti in passato. Non occorre tralasciare il fatto che ad ogni persona deve essere riconosciuta una soglia minima vitale c.d. di sopravvivenza che è pari ad € 516.46 ai sensi dell'art. 38 Legge 28.12.2001 n. 448. Orbene, in moltissimi casi da me esaminati, detta soglia non era osservata in quanto a causa dei pagamenti rateali degli impegni contratti in precedenza, il consumatore vedeva svanire il proprio salario o la propria pensione senza avere la possibilità di “difendersi”. Non occorre tralasciare, altresì,

una circostanza importante data dal fatto che qualsiasi finanziaria o banca prima di concedere un nuovo prestito, ha l’onere (morale oltre che) giuridico di valutare il complessivo indebitamento e, se del caso, non concedere il fido. Non basta, infatti, che il richiedente il prestito non sia inserito nelle c.d. “blacklist” e quindi ritenuto affidabile, ma occorre una più ampia valutazione da parte sia delle banche che delle finanziarie, sulla effettiva capacità di “rientro” del debito. Orbene tutte le finanziarie e le banche prima di concedere un nuovo credito hanno il dovere e l’onere giuridico di non esporre il ricorrente ad una forma di indebitamento che a lungo (o breve) andare prima o poi potrebbe metterlo in grande difficoltà. Ritengo che sussista sempre una responsabilità piena e completa di molti istituti finanziari nella causazione dell’evento di sovraindebitamento, in quanto alla luce delle nuove tecniche ed ai sistemi di credit scoring (o risk scoring) ciò sia ampiamente possibile. Si tratta “dell’applicazione di un algoritmo di ripartizione statistica dei rischi […] tecnica universalmente applicata da istituti specializzati […] e consente di adottare criteri omogenei uniformi.” Sono dei sistemi di valutazione del merito creditizio basati su dati statistici raccolti in database: appena sono raccolti un certo numero di dati si elabora una griglia, la griglia di score, basata su statistiche che tengono conto di diverse variabili comportamentali. Ad ogni soggetto viene poi attribuito uno score, ovvero un punteggio identificativo di un gruppo cui appartengono soggetti con identiche caratteristiche. L’istituto finanziario è sempre in grado di valutare la c.d. “capacità di rientro” del debitore, per cui quando si accorge che la concessione del nuovo finanziamento non potrà

materialmente essere rispettato, ha il dovere di astenersi dal concederlo. Ma ciò purtroppo non accade mai. Personalmente spero che la legge possa trovare grande applicazione nella nostra provincia in cui ogni giorno di più si assiste alla presenza di una crisi che assume gli aspetti della irreversibilità. Costantemente nel mio studio ricevo persone che, a causa dei tanti debiti contratti negli anni, vuoi per sostenere i figli disoccupati, vuoi per far fronte alle indigenze strutturali e/o di sopravvivenza stessa delle famiglie, si espongono, complici finanziarie e banche poco attente al rischio di sovraindebitamento, ad un vero è proprio collasso economico dato dal corto circuito causato dall’eccessiva presenza e continuo aumento dei debiti, al confronto degli incassi che sono sempre sostanzialmente gli stessi. A ciò aggiungasi la piaga della disoccupazione che vede quasi il 50 % (e forse di più) dei giovani della nostra provincia in cerca di prima occupazione, per cui ben si comprende come le prospettive attuali non siano affatto rosee. Alla luce della situazione presente di pesante indebitamento stratificato un po’ a tutti livelli della popolazione, ben si innesta l’istituto della legge in esame che, se bene adoperata, potrà alleggerire e non di poco la posizione debitoria di molta parte dei consumatori vittime della crisi. Poter pagare il 30, il 40 o addirittura il 50 % in meno dei propri debiti, con ciò mantenendo il proprio decoro e correttezza, non può che essere di stimolo alla lenta soluzione della crisi, in quanto consentirà a chi ne beneficerà una, anche se leggera, ripresa nei consumi ed un miglioramento nella qualità della vita che non può che ripercuotersi positivamente su tutta la collettività. q

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Piazza reale o piazza virtuale? (S)conosciamoci sul web

empo fa avevo ricevuto un’offerta promozionale da un noto sito di incontri, che mi proponeva tre giorni di abbonamento, gratis, per provare l’esperienza di conoscere nuove persone sul web e, magari, trovare anche l’anima gemella. In effetti, l’idea di ampliare la cerchia delle conoscenze oltre a quelle di una vita, magari anche in una nuova città della mia regione, o persino in una città di altre regioni d’Italia, non mi dispiaceva affatto. Quando eravamo ragazzi, quelli della generazione degli attuali quarantenni, cinquantenni e sessantenni, gli incontri o l’ampiamento delle proprie amicizie e conoscenze li producevamo a scuola o fuori, in piazza, nei viali – chi può essersi dimenticato del Viale della Regione, a Caltanissetta? Lo struscio domenicale era lo strumento per favorire incontri, per adocchiare qualcuno, per darsi appuntamento… comitive intere si ritrovavano fuori e decidevano il da farsi, in un mondo senza telefonini, facebook, sms, e-mail, whatsapp… Ci si metteva la faccia, e anche tutto il resto. Ognuno di noi era individuabile in modo esclusivo attraverso la propria persona, ma anche attraverso la cerchia delle conoscenze comuni, delle voci, dei pettegolezzi, delle parentele… insomma, ognuno di noi era facilmente “schedabile” in un sistema di rilevazione e affermazione socialmente riconosciuto della propria identità. Difficile barare e fingere di essere qualcos’altro o qualcun altro. Oggi il Viale non esiste più, e nemmeno la piazza. Gli incontri avvengono al lavoro, nell’ambito di associazioni o club, in palestra, nei musei e alle mostre o ai concerti (per chi ha la fortuna di vivere in luoghi ove questi si organizzano)… e sempre condizionati

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Marcella Ginevra

da ritmi di vita molto più frenetici che un tempo. Oppure sulle chat. Dal momento della scomparsa dello struscio e delle piazze come luoghi di incontro, la socializzazione ha trovato, da diversi anni ormai, un suo spazio consistente nel web. C’è una grande disponibilità di siti di incontri, in cui è possibile definire un proprio profilo, indicare gusti e preferenze, sia relativamente ai propri interessi e alle attività di gestione del tempo libero, sia relativamente alla possibilità di selezionare la/le persona/e con cui si desidererebbe entrare in contatto. Dai più spregiudicati, a quelli che si dichiarano seri e discreti, la disponibilità di questi siti è veramente sorprendente! Nei giorni in cui ho fatto anch’io la prova, mi sono davvero molto divertita. Per chi non lo sapesse (o faccia finta di non saperlo), in questi siti ci si iscrive e si comincia dal definire il proprio profilo. Si può scegliere di inserire una o più fotografie di sé, o di ciò che si vuole. Si continua con l’indicazione di età, caratteristiche fisiche, stato civile, aspetti caratteriali, preferenze su come trascorrere il tempo libero, gusti, ecc… Si possono inserire filtri relativi alla ricerca e selezione della persona con cui entrare in contatto (tipo: alto, bello, giovane, affascinante, ricco, intelligente, fedele, romantico, principe azzurro…) E così via… Il sito normalmente consente di visitare i profili corrispondenti ai filtri indicati, avviare uno o più contatti, controllare chi a sua volta ha visitato il proprio profilo, inviare messaggi, chattare, o persino bloccare i contatti con persone che risultino sgradevoli. Nella mia esperienza, ho selezionato l’area di un’altra città che non fosse la mia, e ho


subito avuto la possibilità di entrare in contatto con diversi uomini, i quali si dichiaravano per lo più tutti sensibili, affidabili, seri e divertenti. Alcuni esponevano anche la loro fotografia, altri che non lo facevano si schernivano dietro varie spiegazioni più o meno plausibili, tipo: non vorrei che mi vedessero i miei figli, preferirei che al lavoro non lo sappiano… in realtà, fatte salve le dovute e immancabili eccezioni, le motivazioni vere molte volte erano altre (leggi: mogli ignare dell’improvvisa voglia di socializzazione dei loro mariti, o semplicemente totale mancanza di avvenenza…) È ovvio che questo vale anche per le donne che, a detta dei frequentatori più assidui delle chat, dal canto loro si presentano tutte come “SOLARI”, al punto da aver ormai inflazionato l’aggettivo. Con la stessa facilità con cui è possibile entrare in contatto, si rischia però di incappare in qualche piccolo imprevisto o delusione. Ad esempio, può succedere di trovare soggetti che espongono fotografie di modelli degni di VOGUE spacciandole per proprie, o uomini che si dichiarano single e invece hanno regolare famiglia, moglie e figli… C’è chi si presenta come manager, o esperto restauratore di antichi monumenti, per poi rivelarsi un normale impiegato o operaio. Nulla di male ad essere impiegati o operai, ma perché presentarsi con altre credenziali? La domanda è, ovviamente, retorica. C’è chi si propone come professionista in procinto di valutare nuove proposte di lavoro per la voglia di rimettersi in discussione, e invece al primo scambio di mail si offre nel ruolo di moderno gigolò o accompagnatore… per non parlare dei ragazzini ansiosi di dimostrare quanto il dialogo con le donne matu-

re costituisca la loro aspirazione più grande… E, sebbene a qualcuno possa sembrare ovvio, per la quasi totalità degli uomini, nonostante le dichiarazioni roboanti circa la loro autentica ricerca della “persona giusta”, alla fine lo scopo è sempre e solo il medesimo (indovinate quale?), e le chat sono un comodissimo canale per incontri senza impegno, fugaci e facilissimi da cancellare. Insomma, una specie di circo, dove può succedere di tutto. Qualcuno potrebbe facilmente obiettare che nella vita reale non c’è molta differenza.

Anche nella vita reale si mente, si simula e si dissimula, si finge di essere diversi per accattivarsi simpatie e favori. Ma nella vita reale è un po’ più difficile costruirsi un’identità fittizia, un sistema di relazioni e di interessi del tutto inventati e persino una posizione sociale che non possa essere, prima o poi, confermata. Allora che fare? Lanciare l’anatema sulle chat? No di certo. Usare qualche cautela però, sì. A me è capitato di entrare in contatto con diverse persone e di passare più tempo a cancellare profili di persone che non mi interessavano, che a proseguire la conoscenza al di là di qualche scambio di poche mail, per i motivi sopra indicati. Alla fine, ho costruito un mio piccolo vademecum, o più semplicemente una serie di pochi accorgimenti, che però ho trovato estremamente utili: -mai dare il proprio numero di

cellulare direttamente in chat, che comunque costituiscono pur sempre siti “osservati” dai loro stessi gestori; -scambiare un buon numero di mail (non occorre riscrivere l’Odissea di Omero) e avviare un dialogo su diversi argomenti di interesse, a livello personale e generale; -passare dopo di ciò, se è il caso, allo scambio dei numeri di cellulare… -se si arriva persino a fissare un primo incontro, scegliere per l’appuntamento un luogo affollato e sicuro; -ecc, ecc… Il più delle volte, la seconda fase non si completa nemmeno. Gereralmente, quando le intenzioni sono molto meno prosaiche e più… dirette, la scelta degli argomenti di conversazione risulta piuttosto monotematica, ed è quasi sempre accompagnata dall’immediata richiesta del numero di cellulare e di un appuntamento. Oggi io sono rimasta in contatto soltanto con un paio di persone, fra quelle con cui avevo iniziato a corrispondere via mail e che ho anche incontrato, con cui di tanto in tanto scambio due chiacchiere. Non posso dire di conoscerle bene, ma certamente di aver avviato una conoscenza che, diversamente dalla chat, sarebbe stata impossibile. Innegabilmente il web ha preso il posto della piazza… almeno nella gestione degli approcci iniziali, ma alla fine la prassi è quasi sempre quella di completare il processo di conoscenza nella realtà effettuale. Diversamente, pur nelle ali della più sbrigliata fantasia, rischieremmo di vivere vite parallele, prigionieri delle nostre bellissime identità fittizie, totalmente false ed effimere, superando il punto di non ritorno, o di equilibrio, che ci restituisca alla nostra quotidianità di sempre.

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Educare dentro il carcere per essere migliori fuori

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“…Perché la vita del carcere non sia l’università della delinquenza, ma diventi un’esperienza che ti fa tornare nella società migliore di prima…”. (Un ex detenuto)

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quasi impossibile nascondere le emozioni da cui si è travolti una volta varcato il cancello di ingresso del carcere minorile di Caltanissetta. Ci si sente come irrigiditi al solo pensiero che bastano pochi minuti per ritrovarsi all’interno. Si prova ad immaginare come sarebbe se si fosse reclusi e si è travolti da mille pensieri mentre ci si reca verso la porta di ingresso. La mia prima esperienza come educatore professionale ebbe inizio circa un anno fa e ricordo precisamente qualsiasi cosa, come se fossero passate solo pochissime ore. È impossibile descrivere precisamente le emozioni che ho provato, ma di una cosa sono certa, la mia esperienza è stata una grandissima fortuna, non solo per lo stretto contatto che ho avuto con i minori autori di reato, ma anche perché sono stata affiancata da una grande équipe, con cui ho condiviso tante ore di lavoro in armonia. Rendersi conto di vivere in una società dove i giovani sono sempre più soggetti ad eventi che li portano a smarrirsi durante il percorso di maturazione, significa capire le ragioni e i contesti sociali che conducono ad avere comportamenti devianti. Occorre, pertanto, offrire possibilità concrete affinché i ragazzi siano attori protagonisti del proprio contesto sociale, pertanto il ruolo da me svolto riguarda ap-

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Paola Pernaci

punto l’area trattamentale del minore e precisamente il ruolo dell’educatore professionale, uno dei principali all’interno dell’istituto Penale Minorile. Tale figura è da considerarsi come la migliore possibile per cogliere i bisogni dei detenuti, per aiutare a superare la criticità della vita detentiva e rilanciare obiettivi. Compito fondamentale risulta essere l’osservare scientificamente la loro personalità al fine di programmare delle attività educative. Il fatto che all’educatore non spetta il compito di esercitare in prima persona il potere sui reclusi, permette ad essi di instaurare con i minori detenuti un rapportoispirato alla fiducia, alla comprensione gratuita dei loro bisogni - individuali e di gruppo - e di conseguenza facilitare il processo di reinserimento sociale. L’educatore rappresenta, infatti, l’elemento di raccordo, umanamente e pedagogicamente significativo, tra la realtà esterna vissuta prima dell’arresto e la personalità che egli esprime in ambiente detentivo. Oltre al reinserimento sociale del condannato o internato, egli deve saper comprendere la persona in senso esistenziale, e non già come “malato” da diagnosticare e curare. Appunto per questo l’educatore ha il compito di sviluppare, sostenere, motivare ciascuno ad impegnarsi e costruire un atteggiamento di responsabilizzazione a partire dalla realtà del carcere stesso che gli offre attività e programmi da eseguire. L’educatore è il tecnico del comportamento, che non significa convertire o cambiare il modo di essere, di pensare delle persone detenute, quanto piuttosto quello di offrire certezze, opportunità di


modifica degli atteggiamenti, che, messe insieme ai contribuiti degli altri operatori intervenuti sul caso, ciascuno con le proprie competenze, possono costruire un percorso più ampio di reinserimento sociale. Oltre a tale compito, l’educatore professionale si occupa di curare le informazioni da fornire ai soggetti riguardo i rapporti con il Magistrato di Sorveglianza, di fornire i chiarimenti che concernono i diritti di ogni minore, ovvero il diritto di avere un avvocato, o ancora il diritto di avere un colloquio con l’avvocato subito dopo l’arresto. Le finalità dell’Istituto penitenziario minorile possono essere riassunte in quattro punti, ovvero: la tutela dei diritti soggettivi dei giovani, lo sviluppo della loro responsabilità individuale, il mantenimento di un ordinato svolgimento delle relazioni umane senza alcuna discriminazione e l’attuazione dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Obiettivo prefissato per ogni minore - quindi individualmente - e conseguito dall’intera equipe di lavoro è verificare e condividere sia i limiti dell’in-

tervento che le risorse del gruppo, verificare il lavoro svolto, condividere eventuali difficoltà e i risultati raggiunti. Gli strumenti di cui ci serviamo insieme sono: riunioni di programmazione e verifica, condivisione di periodiche relazioni, supervisione esterna dell’equipe che possa supportare il lavoro di gruppo così come il singolo operatore. Gli strumenti che utilizziamo con i nostri utenti riguardano i colloqui frontali, che hanno all’incirca una durata di 45 minuti, in cui il compito dell’operatore, oltre a quello di chiarire alcuni aspetti fondamentali come il segreto professionale, è quello di affrontare con il minore detenuto argomenti più personali, che riguardano il reato, la situazione familiare, il rapporto con i familiari, gli amici ecc. Una volta individuata la personalità, i bisogni, le capacità del minore, vengono attivate diverse modalità di intervento, che possono riguardare la scuola (se si trova nell’età dell’obbligo o se ha interesse nel continuare gli studi), la partecipazione a diversi progetti all’interno o all’esterno

della struttura, o il giardinaggio o ancora la partecipazione a corsi di formazione professionale. Il risultato è spesso positivo, questo perché il numero massimo di detenuti all’interno della struttura di Caltanissetta permette lo svolgimento adeguato di qualsiasi attività. L’Istituto Penitenziario Minorile, diretto dalla dott.ssa Alfonsa Miccichè, ha una capienza massima di 12 detenuti. Ed essendo l’unica struttura in Sicilia ad avere un Centro di Prima Accoglienza femminile, prevede la presenza di detenute in stato di fermo, arresto o accompagnamento, fino all’udienza di convalida, da concretizzarsi entro e non oltre le 96 ore di fermo. Il nostro duro lavoro è quello di creare generazioni non più indifferenti, ma piuttosto sensibilizzate a tale realtà, al di sopra e al di là del pregiudizio. A mio parere ciò di cui i minori ristretti hanno continuamente bisogno sono le certezze, quelle che a molti sono sempre mancate. Tutti abbiamo bisogno di una seconda opportunità e di riscoprire la bellezza della vita.

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Il tempo per sopravvivere tra casa e lavoro

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Riflessioni semiserie sul lavoro femminile

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re 6, 30. Suona la sveglia. Infilo la vestaglia, mi trascino verso la cucina, bevo un bicchiere d’acqua (rigorosamente tiepida con due gocce di limone ) e metto sul fuoco la caffettiera. Faccio colazione davanti alle notizie del mattino. Ora che ci penso, il momento più tranquillo della giornata. Sono già le 7, 10. Con una leggera pressione sul telecomando comincia il lavoro. Quello vero. Con passo deciso vado verso la camera di mia figlia: “Bea –sussurro– è ora di alzarsi”. E alzo la tapparella come se un po’ di luce che proviene dalla strada possa in qualche modo scuoterla dal letargo. “Bea –e a quel punto il tono della voce comincia a tradire i primi segni di nervosismo– sbrigati, altrimenti farai tardi!”. Non si è mai visto alcun figlio sano di mente preoccupato per l’orario d’inizio delle lezioni. Eppure, tutte le mattine, mi ostino con quella stupida intimidazione: “Farai tardi!” che, ovviamente, lascia mia figlia nella più totale indifferenza. A quel punto,

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Alessandra Di Bar tolo

però, il leggero nervosismo ha lasciato il posto alla furia. Sono ormai le 7, 20 e nessuno si è ancora presentato in cucina per la colazione. Già. La colazione. Che deve essere nutriente, calorica eccetera. E allora vai di cereali. Sono le 7, 40, mia figlia ha finito la colazione e io sono ancora in pigiama. È ora di passare all’azione. Nel giro di due minuti sono pronta. Ormai sono le 8, 10, ho già rifatto i letti, sistemato la cucina e nel frattempo ho già deciso cosa si mangerà per pranzo. Ore 8, 30. Sono in studio. Accendo il computer. Mi siedo finalmente alla mia scrivania. Che in quel momento mi sembra un’oasi di pace. Sono la prima ad arrivare in ufficio e mi godo qualche minuto di silenzio. Ho già al mio attivo due ore di lavoro. Gli strilli mi hanno un po’ stordita, ma devo lasciare quella frenesia dietro di me. Perché faccio un lavoro di responsabilità. Devo avere la mente sempre pronta. Sì, perché io, di mestiere, faccio il commercialista. E non posso permettermi di farlo solo quando mi viene l’ispirazione. Devo risolvere problemi su problemi, rispettare scadenze, in una parola, produrre. Diario di una professionista, un’acrobata del quotidiano come ce ne siamo moltissime, divise tra lavoro e famiglia, tra figli e carriera. Sul dilemma di come conciliare lavoro e carriera si riempiono tutt’ora pagine di giornali. Ma il tema non è questo. Mi domando se il nostro quotidiano, il nostro essere donne, influenzi il modo di essere. Ebbene sì. Lo stile femminile è riconoscibile. Le donne hanno una naturale propensio-


ne alla mediazione, alla comprensione. Un atteggiamento che le porta a mettere in discussione tutto, a cominciare da se stesse. “Vediamo la differenza tra donne e uomini nella valutazione di sé. Le donne tendono a dare una sottovalutazione di tutto il lavoro e della ricchezza che si portano dentro. Invece tra gli uomini c’è onnipotenza: sono bravo, forte, ce la farò in ogni caso” Le donne, e le mamme ancora di più, questo senso di onnipotenza faticano a costruirselo, perché il loro quotidiano è messo in discussione ogni giorno. Si alzano alla mattina e non hanno consapevolezza di quel che può capitare durante la giornata. La loro presenza in ufficio è subordinata a una serie sconfinata di variabili: la baby sitter con il mal di pancia, lo sciopero dei mezzi che non le consente di arrivare, la nonna, se è lei a curare il bimbo, in buona salute, la scuola in sciopero e non ultime le malattie dei figli. Per questo una donna, una mamma, è un po’ meno sicura di farcela. Perché quando scatta l’ora X,

‘dobbiamo’ spegnere il computer per forza. È inevitabile, dunque, che questa pressione sui tempi di lavoro che si possono dilatare con poca elasticità abbia un riflesso sul nostro modo di essere. Che ci importa? La ricerca della perfezione, intesa come attenzione minuziosa per ottenere il miglior risultato. Spesso noi donne pretendiamo troppo da noi stesse e applichiamo il medesimo rigore scientifico a tutta la sfera delle nostre attività, lavorativa e non. Diciamo che pecchiamo nella capacità di fissare scale di priorità e, per non sbagliare, ricerchiamo la perfezione ovunque, in ufficio e in casa, come professioniste, mogli e madri. Un carico insostenibile! La donna lavora tutto il giorno, arriva a casa la sera stanca morta e invece di farsi una doccia, non trova niente di meglio da fare che dare una sistematina al guardaroba. Dopodiché, oltre che stanca, è anche furibonda. Pronta per inveire contro il marito, non appena si materializza sulla porta di casa. Una ricetta nessuna di noi si

sente di proporla, ma qualche considerazione generale si può fare. Nelle aziende si usa l’outsourcing, una sorta di delega per tutte quelle attività non considerate “core”, e cioè strategiche per il business. Ecco, noi donne dovremmo introdurre con più determinazione l’outsourcing anche nel nostro privato! Non è pensabile tornare a casa dopo una giornata di lavoro durata oltre le otto ore standard e affrontare il “secondo lavoro” con lo stesso approccio. Non dobbiamo dimostrare superefficienza, dobbiamo essere efficaci. Contano i risultati, al lavoro e in famiglia. I nostri figli e i nostri mariti sopravviveranno benissimo con un po’ di disordine. Anche perché si comincia a parlare di ‘Fattore D’ e cioè di vantaggi economici legati all’occupazione femminile: per 100 donne che entrano nel mondo del lavoro si creano 15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi. Come dire… il guardaroba ed il cassone della tapparella possono attendere. q

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Sì c’ero anch’io Il mio personale amarcord musicale

il giugno del 1965. Finiti gli studi liceali, mio padre mi manda da mio fratello che vive ormai da tanto tempo a Milano dicendomi: “Chissà che non trovi da sistemarti”. In quall’anno si verificano molti cambiamenti in campo musicale e, a spopolare, sono soprattutto The Fab Four, “Il Favoloso quartetto” e cioè i Beatles, dei quali si dava un concerto a Milano. Mio fratello mi trova un biglietto e, come tanti altri coetanei, sono proiettato al Vigorelli. Una serie di controlli, poi una sedia e tante persone, soprattutto ragazzine esagitate. Allora non avevo l’amore sviscerato che adesso coltivo per questo complesso e le sue canzoni: non me ne sfugge una, ho tutta la serie completa dei 45 e dei 33 giri con le meravigliose copertine ed anche i cd e i file in mp3, per non parlare dei video. Il concerto ha inizio con dei complessi cosiddetti di spalla - quelli che servono per riscaldare il pubblico - ma soprattutto con Peppino di Capri di cui sono un fan sfegatato. Nel momento in cui entrano in scena i Beatles è tutta un’altra cosa. Anche se l’amplificazione lascia a desiderare, il primo brano I fell fine è un trionfo e poi, a seguire, tutte le altre canzoni. La mia memoria non mi consente di rammentare tutta la scaletta, ma ricordo di essere uscito felice, stordito, ubriaco di musica. Da sempre ho amato la musica e ho accumulato un numero enorme di dischi su dischi, appassionandomi. Le canzoni rappresentano la colonna sonora della vita che viene scandita dalle varie tracce musicali che rimangono vive nel tempo. Ogni volta che risento una canzone che ho amato, entro nell’atmosfera dei ricordi di quel tempo e rivivo magicamente tutto

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Salvatore Lacagnina

quanto facevo in quel momento, chi mi stava attorno, le persone a me più care. Capita a molti, io credo, di rivivere il momento in cui si metteva sul giradischi il pezzo di Bobby Solo Una lacrima sul viso, disco non facile da reperire perché sempre esaurito nei negozi. Quando disponibile, veniva risentito nelle serate da ballo organizzate in casa di qualcuno che aveva una fonovaligia e una stanza libera. Ho continuato ad accumulare dischi in vinile comprando fra l’altro un’apparecchiatura per l’ascolto eccellente e ho acquistato un Galactron 1000 con potenza d’uscita di 250 watt per canale, predisposto per la quadrifonia (poi fallita), un preamplificatore con possibilità di attacco di giradischi, cd player, un grande decoder a nastro che durava anche otto ore, un Nakamici 1000 per l’ascolto delle cassette (del valore di tre milioni di lire), e le casse Janssen talmente potenti da far tremare il palazzo. Tutto fuori moda ormai, reperti che si direbbero preistorici se rapportati ai mezzi di oggi. Così ascoltavo Elvis Presley, Ray Charles, Joe Cocker, i Beatles, i Rolling Stones, Eagles Credence e così via. Era l’anno 1976 e c’era un manipolo di ragazzi come me che volevano comunicare la gioia della musica ad altri. Era il periodo in cui la radio mandava in onda canzoni che non ci entusiasmavano, così pensammo di mettere su una radio locale che potesse trasmettere ad altri la quantità di canzoni che avevamo nelle nostre case. La chiamammo “Radio CL 1”. Credo fosse il 13 novembre 1976. L’entusiamo era alle stelle, nella 500 era


montato un’Autovox verde che avrebbe dovuto trasmettere in FM, ma che in effetti non riusciva a sintonizzarsi. Pertanto, dopo avere montato l’apparecchiatura, ci recavamo nei punti più disparati della città avvisando con telefono fisso a gettone se il segnale arrivava o meno. E così, piano piano, ognuno di noi dette il proprio contributo musicale: io preparavo delle cassette a nastro con le canzoni che piacevano a me e che, pensavo, l’ascoltatore avrebbe gradito. Questa emittente, che è stata la prima in città, ora domina l’ambiente nisseno delle radio private. Quanti ricordi legati alle canzoni. C’era una canzone indimenticabile di Franco e i G 5 che diceva: Piccola cara, anche se l’azzurro del cielo mi ricorda i tuoi occhi ed il rosso del tramonto le tue morbide labbra … vivo del tuo amore. La frase veniva poi propinata ad ogni pseudo dichiarazione d’amore. Come poi non citare 5 minuti

ed Un jet partira’ lasciandomi solo, mentre Peppino di Capri cantava cinque minuti ancora fammi restare con te ed erano quei minuti che si tentava di rubare quando la festa è finita e gli amici se ne vanno. Come può uno scoglio arginare il mare e ancora una donna, donna, ma quante braccia ti hanno stretto… Signore chiedo scusa anche a lei ma io ero fuori di me quando dicevo “posso stringerti le mani”. Un grande meraviglioso ricordo è legato ad un festival di Sanremo, quando la canzone di Toto Cotugno nella voce di Ray Charles diventa Good times bad times che faceva tremare le ossa. Mi viene da citare la canzone di Joe Cocker scritta dai Beatles e diventata un capolavoro. Mi riferisco a With a little help from my friends. Per non parlare poi di You can leave your hat on, dal film 9 settimane e ½ (9½ Weeks), cantata da Joe Cocker, il cui primo verso dice: Baby take off your coat, cioè “baby togliti la giacca”, diven-

tata una canzone cult. Ma quelli erano già gli anni Ottanta. Poi ricordo le serate trascorse ballando il limbo (reso splendidamente dalla chitarra di Duane Eddy su testo di Chubby Checker), quando tutti cercavano di passare sotto l’asticina calata sempre più in basso fino a quando qualcuno non cadeva. E poi il madison, l’hully gully ed il twist. A proposito di questo ultimo ballo, ricordo che, quando ero piuttosto giovane e lo ballavo anch’ io, alla fine rimanevo così sconvolto che mia madre, una volta, ritenne giusto portarmi dal medico di base per capire se tutto ciò rientrasse nella fisiologia. Il medico la rassicurò. Come non parlare poi delle canzoni che toccavano anche noi giovani, come La novia di Antonio Prieto che parlava di quella sposa che piangeva non per gioia, ma per dolore. La sentimmo e risentimmo centinaia di volte, commuovendoci sempre come la prima volta. Erano altri tempi.

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Ancora una volta insieme a... San Giuseppe di

ipetendo un'attivitĂ gia svolta negli ultimi anni, il 17 dicembre scorso, su incarico del Presidente del Lions Club di Caltanissetta, ho organizzato, con la generosa collaborazione della maggior parte dei soci, una cena natalizia di beneficenza presso i locali parrocchiali di San Giuseppe. Sono stati settanta residenti del quartiere, opportunamente individuati dall'infaticabile parroco, don Salvatore Lo Vetere, gli ospiti della serata, allietata dalla musica di Michele Vitale e dall'ottimo cibo, cucinato e servito ai tavoli da soci e consorti. Ăˆ stata una festa "vera", in tutti i sensi; una serata di musica ed allegria che ha coinvolto, familiarmente, i presenti, ospiti ed organizzatori. Non soltanto un modo per fare beneficenza ma un'occasione di confronto con realta' diverse, un momento di incontro e di riflessione. L'impegno profuso dai soci per l'organizzazione della serata, in particolar modo quello speso nella preparazione delle pietanze per un cosi' gran numero di persone, e' stato ampiamente ripagato dalla soddisfazione di vedere gli ospiti pienamente coinvolti nella festosa atmosfera della serata, rallegrata anche da un coinvolgente karaoke. La vista e soprattutto il palato, hanno goduto dell'abilita' pasticciera di Mario Lombardo e Maria Grazia Raimondi che hanno realizzato delle vere "opere d'arte", ma non meno significativo e' stato l'apporto culinario di tutti gli altri soci. Ringrazio il nostro Presidente, Salvatore Vizzini, per l'opportunita' che, ancora una volta, mi e' stata data nel rendermi utile verso il prossimo, e ringrazio tutti coloro che hanno prestato un po' del loro tempo per la riuscita di una serata speciale, durante la quale ognuno di noi ha compreso il vero significato del Natale.

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Lions Club di Caltanissetta

Daniela Vullo


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