Mario Mazzoni, una storia esemplare Da manovale ad organizzatore dei giovani comunisti, la vita esemplare di una delle prime vittime del fascismo
a cura di Loris Marchesini
Anzola dell’Emilia, gennaio 2003
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Prefazione
Una convinzione profonda ha spinto l’Amministrazione a promuovere in questi anni iniziative pubbliche e rivolte alle scuole, volumi, cortometraggi e interviste filmate tutte incentrate sulla Resistenza. La convinzione che a lato ed oltre la Resistenza come momento altissimo della storia del paese, che come tale deve essere oggetto non già di mercanteggiamenti politici, ma di seria conoscenza storica, esista ancor oggi uno “Spirito della Resistenza”, che è sete di giustizia, volontà di equità sociale, aborrimento della sopraffazione e della violenza per la violenza. Alla memoria deve aggiungersi l’impegno, alla conoscenza l’azione, l’impegno quotidiano per un futuro – ormai globale – più umano, realmente umano. Con vera gioia premetto queste poche righe al volume alla memoria di Mario Mazzoni, con viva soddisfazione dò il benvenuto alla nuova sede della sezione dei D.S. a lui dedicata, con l’auspicio che confermi e rafforzi la vocazione di centro di partecipazione e proposta politica.
Anna Cocchi (Sindaco di Anzola dell’Emilia)
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Premessa “Fare ed osare non una cosa qualsiasi, ma il giusto. Non ondeggiare nelle possibilità, ma afferrare coraggiosamente il reale non nella fuga dei pensieri, solo nell’azione è la libertà. Lascia il pavido esitare ed entra nella tempesta degli eventi. . “ (Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante e teologo tedesco. La sua opposizione senza compromessi al nazismo lo ha portato al carcere e ad essere ucciso per la sua fede nell’aprile 1945).
Preparando l’inaugurazione della nuova sede comunale dei Democratici di Sinistra di Anzola dell’Emilia (che abbiamo voluto sulla nuova Piazza Grimandi, dopo decenni di ospitalità al primo piano della Casa del Popolo), ci è sembrato naturale ricordare uno dei primi caduti anzolesi del ventennio, che è stato anche un protagonista dell’antifascismo nel nostro Comune: Mario Mazzoni, morto dopo essere stato torturato dalla polizia fascista il 21 novembre 1930. A Mario Mazzoni è dedicata da tempo l’Unità di Base DS di Anzola-Capoluogo, circa 900 iscritti, la più grande della Federazione bolognese. Questo ricordo è importante anche perché la vita del giovane Mario Mazzoni è stata davvero esemplare. Nelle pagine che seguono questo si potrà capire meglio; basti comunque riflettere sul fatto che Mazzoni, nonostante il grande tributo di vite, coraggio, generosità, sacrifici che il popolo anzolese ha dato alla lotta antifascista ed alla Resistenza, come nessun altro ha riassunto in sé qualità straordinarie in un giovane che proveniva da una povera famiglia, anche se piena di dignità: intelligente, instancabile, difensore dei suoi compagni di lavoro, organizzatore dei giovani comunisti in tempi di dittatura fascista, capace di direzione politica, coraggioso nel sacrificio, anche dopo essere stato minato nel fisico dal carcere duro. Giovani come Mazzoni hanno reso possibile la Resistenza, la Liberazione e l’orgoglio di chi era rimasto nella costruzione della democrazia italiana e di un forte Partito Comunista con tratti originali e democratici come quello italiano. Recentemente è mancato un cittadino anzolese ex capo-partigiano, stimato da tutti: Augusto Monteventi; egli divenne vice-comandante di un gruppo armato autonomo (SAP) proprio intitolato a “Mario Mazzoni”, come un’ideale staffetta tra il primo antifascismo e la Resistenza (commissario politico era Nerio Cocchi, anch’egli anzolese). Il ricordo di Mazzoni è inoltre opportuno, a 100 anni dalla sua nascita (sarà nel 2004), anche come riflessione offerta a tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia, della giustizia e della libertà in Italia: infatti, se grazie a 3
Mazzoni ed a tanti altri è stato possibile un Novecento con enormi progressi, pur con grandi e lunghe tragedie, ora spetta a noi (ed in particolare ai giovani), cittadini del XXI secolo, capire il nostro ruolo, scegliere i nostri ideali e valori, impegnarci perché questo nuovo secolo possa conoscere un’umanità migliore, con più giustizia, con l’assunzione della responsabilità della pace. D’altra parte dobbiamo saper difendere, anche con la memoria, i valori ideali e morali affermati con la lotta antifascista, la Resistenza, la guerra di Liberazione dal nazifascismo. Niente è conquistato per sempre, come ci ha ricordato recentemente Maria Cervi, la nipote di Alcide Cervi, dopo il bellissimo spettacolo dei ragazzi delle medie di Anzola, il 10 dicembre 2002. Lo scrittore e germanista Claudio Magris scriveva sul Corriere della Sera il 20 novembre 2002: “C’è nel clima politico-culturale sempre più dominante, un’aggressiva negazione dei valori della democrazia e della Resistenza che forse ci costringe a ridiventare ciò che speravamo e credevamo di non venire più costretti ad essere, ossia intransigenti antifascisti”.
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Nascita, famiglia e formazione Mario Mazzoni, detto Marabino (per la verità il soprannome era il dialettale Marabein, derivato dal padre), nacque ad Anzola dell’Emilia il 22 ottobre 1904, da Augusto e da Alfonsina Argentini. Era il primogenito, arrivarono poi un fratello e tre sorelle. Suo padre era bracciante, la famiglia abitava nella frazione Immodena, località a metà strada fra Anzola e Le Budrie, sulla via che porta a San Giovanni in Persiceto (che è, proprio in ricordo di Mario, via Mazzoni). Inizio ‘900 – L’edificio del vecchio municipio
Il toponimo di questa località è la versione dialettale di Case Modena, forse anticamente abitate da famiglie di ebrei. Ricorda Enzo Migliori che, fra fine ‘800 e primi decenni del ‘900, Immodena era una borgata formata da 16 famiglie e da una cooperativa socialista che comprendeva uno spaccio alimentare e un’osteria con il ballo nelle sere di sabato e domenica (poi gestita nel periodo fascista dalla famiglia Busacchi). A soli cento metri, in direzione di Anzola, vi era un’altra borgata, il Castellino. In queste due piccole comunità vi è sempre stata una tradizione di passione politica per la sinistra ed antifascista. Sarebbe sicuramente giusto, come ritengono Guerrino Gotti ed Enzo Migliori, ricordare questo contributo di Immodena allo sviluppo del movimento operaio ed alla lotta antifascista con una iniziativa adeguata, magari proprio nel 2004, a cento anni dalla nascita di Mazzoni. Quando uscirono le prime macchine agricole, papà Augusto si sforzò di capirne il meccanismo e, dopo poco tempo, fu adibito ad esse: la sua paga, di conseguenza, aumentò. La mamma Alfonsina non conobbe mai i suoi genitori, la sua infanzia fu molto sofferta, rimase alla Maternità-Infanzia di Bologna fino all’età di 12 anni. Fu poi prelevata dal signor Serrazanetti, che era proprietario terriero; lavorò in quella casa come domestica e, siccome i suoi padroni venivano a passare l’estate in una loro villa di campagna che era vicina ad Immodena, Augusto la conobbe e la sposò. Aveva 19 anni. Solo allora Alfonsina ebbe una vera famiglia che lei stessa aveva scelto. 5
1904: un anno importante, quello in cui nacque Mario, per la storia politico-sociale del Comune di Anzola dell’Emilia. In gennaio vi fu il primo atto costitutivo della futura Cooperativa Casa del Popolo (anche se fu registrata due anni dopo come cooperativa “Sempre Avanti”), l’iniziativa portava innanzitutto la firma di Augusto Pedrini, della Lega di Miglioramento fra i Braccianti di Anzola. Sempre nel 1904 si registra la prima grande lotta fra leghisti bracciantili anzolesi e grandi proprietari agricoli: lo sciopero bracciantile in occasione della mietitura del grano, sciopero che aveva come obiettivo un aumento salariale che controbilanciasse l’incremento del costo della vita: fu proposto di elevare la tariffa oraria a 20 centesimi; il 21 giugno ebbe inizio lo sciopero e vi fu l’adesione anche dei mezzadri (evento non previsto dal sindaco Claudio Serrazanetti); la trattativa portò alla tariffa di 19 centesimi (prima era a 12), anche se l’accordo fu poi sconfessato da alcuni grandi proprietari reazionari. Proprio un anno esatto dopo la nascita di Mario, il 22 ottobre 1905, le elezioni comunali di Anzola portarono i socialisti alla conquista del Comune per la prima volta, con il sindaco Giovanni Goldoni.
1911 circa – La nuova Casa del Popolo
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E’ in questo ambiente povero, ma in grande fermento e già preparato alle prime lotte organizzate, che nasce e si forma Mario Mazzoni. Fin da piccolo Marabino stava delle ore a guardare gli operai edili: gli piacevano i muratori, quelli che facevano le case. Raccontava sua madre che Mario diceva: “quando sarò grande voglio fare le case!”. Finita la 4a elementare (scuola dell’obbligo), avrebbe voluto andare a lavorare in cantiere, ma era troppo piccolo, la madre lo impedì. Appena ebbe 12-13 anni andò a lavorare come giovane manovale. Era un ragazzo franco, allegro, si faceva ben volere; lui non voleva essere, così diceva, un “coglione” sul lavoro, non si accontentava di rimanere manovale. Si dette da fare con i numeri, il metro, il filo, il piombo, insomma con tutti gli attrezzi: stava attento al suo mastro
che gli insegnava l’arte del mestiere, perché vedeva con quanta volontà e passione il ragazzo assimilava ciò che gli veniva insegnato. Finito il tirocinio ed i passaggi intermedi, divenne mastro muratore. Marabino era un ragazzo sensibile, non sopportava le prepotenze e non gli piacevano le ingiustizie da qualunque parte esse provenissero. Per questo modo di vedere e concepire le cose, si fece benvolere da tutti, tanto da godere della stima degli anziani e dell’ammirazione dei giovani lavoratori, che
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Anni ’20 – Pausa di un gruppo di muratori
vedevano in lui non solo il mastro bravo, ma il loro difensore. Mazzoni cominciò ad avvicinarsi alle organizzazioni dei lavoratori nel 1919, a soli 15 anni, e gradualmente maturò le convinzioni politiche che lo porteranno ad aderire al Partito Comunista fin dai primi tempi della sua fondazione. La sorella Fedora racconta che Mario era socialista e, pur così giovane (aveva 17 anni), era già un attivista; andò infatti a Livorno per partecipare al Congresso del Partito Socialista e qui, con la scissione, aderì al Partito Comunista. La situazione politica anzolese nei primi anni del fascismo La provincia di Bologna, dove le lotte agrarie erano state più acute, fu anche, in un primo tempo, l’epicentro della reazione fascista. Erano numerosi i fascisti che da Bologna facevano incursioni nelle campagne dei comuni della pianura e si scontravano con operai socialisti aderenti alle leghe. Alla fine del 1920 la parola d’ordine del Partito Socialista della “resistenza passiva” contrastava con la spontanea ribellione che manifestavano gli operai ed i braccianti provocati da elementi fascisti. Ad Anzola e nelle vicinanze (Le Budrie) vi era una tendenza maggioritaria a risposte dure, anche per le influenze anarchiche soprattutto qui presenti.
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E’ utile, a questo punto, riportare alcune informazioni sulla situazione politica anzolese nei primi anni del ventennio fascista; queste informazioni sono state raccolte grazie ad una ricerca del Centro Culturale Anzolese, curata da Gabriele Gallerani (Cronache anzolesi 1923-1933). Il 6 aprile 1924 si svolgono le elezioni politiche; ad Anzola questi sono i risultati (la popolazione allora era di circa 5000 abitanti):
Elettori Votanti Partito Nazionale Fascista Partito Socialista Unitario Partito Socialista italiano Partito Comunista Italiano Partito Popolare Italiano
1.420 1.237 1.040 46 38 27 24
Presto si verificò una repressione violenta contro militanti socialisti e comunisti anzolesi, con arresti e percosse; una delle prime vittime fu Giovanni Goldoni, sindaco socialista per 15 anni, morto a soli 54 anni il 17 giugno 1924 in seguito alle percosse che accelerarono il suo degrado fisico; il fascismo non gli perdonò di essere stato un sindaco giusto, popolare, efficace mediatore nelle lotte dei lavoratori, capace di far funzionare bene gli strumenti conquistati (per esempio il collocamento diretto dei lavoratori braccianti) e protagonista di una politica imparziale a favore di tutti gli strati produttivi. Malgrado la repressione del regime, il funerale di Goldoni si trasformò in una grande manifestazione antifascista. Il paese vi partecipò pressoché compatto. L’amministrazione fascista accusò il colpo, tanto che non poté sottrarsi al dovere di portarvi il gonfalone del Comune. Un’altra delle prime vittime del fascismo fu Marcello Testoni, comunista, rincorso dagli squadristi fin sulla soglia dell’osteria della Casa del Popolo e picchiato a morte. Ancora prima, il 5 marzo 1922, era stato assassinato nella borgata Immodena ( quella dove abitava Mazzoni) Aristide Toselli; egli era un animatore del “club”, situato nel cortile più grande della borgata, con le sue barzellette e le sue “zirudelle”, chiamate anche “flepa”; aveva idee anarchiche, era uno spirito libero e indipendente. In quella domenica al “club” arrivarono tre fascisti di Persiceto, cominciarono a provocare e spararono: Aristide rimase ucciso mentre Adelmo Negrini ed altri due furono feriti. L’assassinio di Aristide (aveva 57 anni) 9
commosse tutto il paese che, unanime, partecipò ai funerali dove l’orazione funebre fu tenuta da Enrico Malatesta, prestigioso dirigente anarchico. L’autunno 1926 rimane nella storia come la stagione che diede corpo alla dittatura fascista, che la consolidò. Il sindaco Nerio Costa trasmise i dati sulla vendita della stampa, dietro sollecitazione del Prefetto; si apprende così che nel luglio 1926 furono vendute ad Anzola dell’Emilia, quotidianamente, 60 copie de “Il Resto del Carlino”, 9 copie del “Corriere della Sera”, 1 copia dell’”Avvenire d’Italia” e 16 copie de “L’Unità”. Fino a poco tempo prima venivano vendute 12 copie del giornale “La Giustizia”, quotidiano dei socialisti riformisti. Dopo il varo delle leggi eccezionali, da dicembre in poi, scompaiono dalle edicole “L’Avanti”, “L’Unità” e tutta la stampa radicale repubblicana e cattolica-popolare. Per finire, nel plebiscito del marzo 1929, ad Anzola si verificarono questi risultati: su un totale di 1.402 aventi diritto al voto e 1.200 votanti, i SI furono 1.115 e i NO 85. In questo contesto di dittatura violenta, di conformismo, di divisione della coalizione antifascista, occorre sottolineare i duecento elettori che non votarono (paura, opposizione, etc.) e gli 85 irriducibili antifascisti che ebbero il coraggio (quello vero) di votare NO al fascismo. Questi, in condizioni difficilissime, consentirono di tenere viva la resistenza antifascista anche ad Anzola e dettero a Mazzoni ed ai suoi compagni il coraggio di lottare.
L’organizzatore comunista dei giovani Anche ad Anzola l’azione del Partito Comunista si orientò verso una opposizione drastica e inflessibile al regime fascista e, fra il 1923 e il 1926, l’opera di proselitismo dei comunisti anzolesi continuò ad aggregare giovani proprio attraverso Mario Mazzoni ed il “tandem” costituito da Duilio Carpanelli e Francesco Testoni (così denominato perché agivano sempre insieme). Mario era il dirigente riconosciuto delle nuove leve antifasciste ed accanto a lui si formò un nucleo di giovanissimi: Francesco Testoni (sarà poi sindaco di Anzola dopo la Liberazione), Teofilo Bavieri (detto “Cilein”), Bruno Turrini, Primo Turrini, Duilio Carpanelli (quest’ultimo valoroso combattente durante la Resistenza nelle file della 7a Brigata GAP “Gianni”, sarà ferito a morte in uno scontro con i nazifascisti il 18 ottobre 1944 a Zola Predosa). Racconta la sorella Fedora: “Mario leggeva molto, pur con i limiti della difficile condizione economica familiare. Tutte le volte che poteva, leggeva “L’Unità””. 10
Mazzoni, più volte arrestato con l’accusa di sovversivismo e perturbazione dell’ordine pubblico (nel maggio 1925 perché aveva ricevuto da Roma un pacco di opuscoli del PCI), continuò la sua militanza politica fino agli anni delle “leggi eccezionali” che instaurarono, di fatto, la dittatura fascista in Italia. Nel ricordo dei sopravvissuti, a quelle prime riunioni di giovani comunisti (in gruppi o cellule con un massimo di cinque persone) che il partito organizza in paese, c’è la figura di Mario Mazzoni che parla con il fazzoletto sempre a portata di mano: con gli arresti, la carcerazione e le percosse egli è peggiorato, ha la tubercolosi che lo fa soffrire. Un altro gruppo di antifascisti comunisti di Immodena che collaboravano con Mazzoni erano i fratelli Negrini: Adelmo, Alfonso, Armando, Guido e Gino (tutti muratori) e un certo Pietro Baiesi, detto “Pirùnzein”. Gli arrestati comunisti dei primi anni dopo le leggi eccezionali del 1926-’27 erano quasi tutti minorenni, quindi in attesa di giudizio venivano rinchiusi nel carcere minorile di San Francesco, il Pratello di Bologna. La sorella Fedora ci ha raccontato che la madre sosteneva il figlio nella sua attività politica, nonostante i rischi che comportava: “Il papà lavorava per Nerio Costa; questi gli diceva di convincere il figlio a lasciar perdere, altrimenti gli sarebbe successo qualcosa prima o poi; nostro padre disse a Mario che rischiava di fargli perdere il lavoro. Per non essere di peso, Mario se ne andò di casa per un po’ di tempo, ma la mamma lo convinse a tornare, c’era una forte complicità fra di loro”. L’arresto, il carcere Nel 1927 (in febbraio) anche Mazzoni, in occasione dello scioglimento di tutti i partiti antifascisti e del varo delle leggi eccezionali, fu arrestato, bastonato, torturato e trasferito nel carcere di Venezia, per oltre un anno (l’accusa era di aver distribuito volantini comunisti). Qui le sue condizioni peggiorarono, ma migliorò la sua preparazione politica grazie al suo compagno di cella Arturo Colombi, dirigente del Partito Comunista. Ad Anzola, nei cantieri, fra i muratori, il suo arresto suscitò molto clamore. Il fascismo, avendo in mano tutte le leve del potere, faceva presto a disfare, umiliare e mettere alla fame un’intera famiglia. Aveva colpito non solo il pilastro, ma anche i familiari di Mario; infatti il padre Augusto venne boicottato in modo che fu costretto a fare meno giornate lavorative. La madre Alfonsina capì subito che doveva andare nei campi, diventò una bracciante per sfamare la famiglia e per avere la possibilità di andare almeno una volta a trovare il figlio Mario in carcere; dopo il suo arresto non si dava pace, doveva vederlo per levarsi l’angoscia che la opprimeva.
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In carcere a Venezia la madre lo trovò pallido, emaciato e magro. Non poteva vederlo tutto intero, il divisorio era troppo alto. A lei sembrava facesse fatica a stare in piedi. Gli chiese come mai non riuscisse a stare fermo, lui rispose che si sgranchiva le gambe. La verità era un’altra: la polizia lo aveva picchiato con i calci dei fucili sulla pianta e sulle dita dei piedi, era livido e gonfio, dovette fare uno sforzo tremendo per nasconderlo. La madre ritornò dal colloquio di Venezia afflitta. L’aveva trovato molto male. Capiva che aveva bisogno di sostentamento. Gli spedì un pacco di viveri, ma le guardie avevano avuto disposizioni di consegnarlo al destinatario quando il tutto fosse deteriorato per colpire lui e per umiliare la famiglia. Mario, privazioni a parte, si sentiva mortificato perché non poteva aiutare la famiglia che sapeva avere tanto bisogno (vi erano anche gli altri fratelli e sorelle più piccoli, l’ultima, Fedora, aveva appena due anni). Quando ritornò a casa, Mario era molto ammalato. Sua madre lavorava giorno e notte per rimetterlo in salute. Lui diceva: “mamma, sarò più debole fisicamente, ma non mi piegheranno mai, la mia idea si è rafforzata. In carcere ho trovato un maestro che mi ha insegnato tante cose”. Quel maestro era, appunto, Arturo Colombi, anch’egli operaio edile. Uscito dal carcere, Mario, pur in cattive condizioni di salute, continuò la sua attività clandestina, indirizzandola soprattutto verso i giovani. Nel 1928 Mazzoni fu nuovamente arrestato, con numerosi altri militanti antifascisti, e deferito al Tribunale Speciale per riorganizzazione del PCI e associazione sovversiva. Il 10 luglio venne assolto in istruttoria e scarcerato. La Commissione Provinciale lo avrebbe voluto assegnare al confino, ma il provvedimento venne sconsigliato per motivi sanitari, essendo affetto da tbc. Fu diffidato. Enzo Migliori ci racconta un episodio, a proposito di questo periodo, che ha saputo dalla sua famiglia: “Mio nonno Alfonso, padre di Otello Parmeggiani, abitava ad Immodena, vicino a Mario; aveva un cane, di nome Porto, che era spesso assieme a Mario quando era a casa ammalato. Una notte Porto era molto agitato, mio nonno fu costretto a legarlo. La mattina dopo, slegato, corse contro la porta di Mario, che fu trovato ferito dalle botte che gli avevano dato dei fascisti, forse delle Budrie”.
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Il 1930 L’attività politica del Partito Comunista è costante e tesa a mantenere viva nel Paese la sensazione che i comunisti “ci sono”, clandestini ed anonimi, ma sempre presenti; vengono utilizzate tutte le occasioni possibili per dare agli anzolesi dei segnali dell’attiva presenza dei militanti comunisti. Dalla testimonianza di Francesco Testoni (giovane muratore nel 1930): “la vita nei luoghi di lavoro diventava sempre più difficile, perché alle cattive condizioni di lavoro si aggiungevano le restrizioni politiche, il che significava pagare a duro prezzo le giuste proteste. Conobbi Mario Mazzoni nel 1930, era mastro muratore. Diceva che le paghe erano basse e che per gli edili vi erano lunghi mesi di disoccupazione che coincidevano con i mesi morti dei braccianti. Mario, detto “Marabino”, mi illustrò la strada per uscire da questa situazione; vi erano in me tutti i presupposti per fare quella scelta e Marabino lo capì. Mi fece conoscere altri giovani, miei paesani, ragazzi circa della mia età. Entrai nell’organizzazione della Gioventù Comunista nel 1930 all’età di 18 anni. Tutta la storia dell’antifascismo segna gli anni ’30 come un momento importantissimo. Furono anni di rilevanti lacune politiche, perché emerse un orientamento di chiusura da parte dei comunisti verso altre forze di origine antifascista. Per contro, però, ci fu un grande fatto positivo. Il PCI, sia pure con mezzi limitati e pochi uomini, svolse un’intensa attività verso i giovani e i giovanissimi, indicando loro la strada della lotta per abbattere il regime fascista che rappresentava la parte padronale più conservatrice, gretta e aggressiva del Paese, fomentatrice di guerre. Ritornando al 1930, ricordo, in occasione dell’anniversario dello scoppio della 1a guerra mondiale, 1° agosto 1914, che la Federazione Giovanile Comunista fece una forte diffusione di manifestini clandestini fra i lavoratori affinché non avvenissero più guerre, perché era scontato che a pagare sarebbero stati i giovani. Ebbi poi la soddisfazione di partecipare al congresso provinciale (naturalmente clandestino) dei giovani comunisti che ebbe luogo a Montebudello. Fu scelta quella località perché, essendoci sorgenti d’acqua sulfurea, vi erano spesso comitive di gitanti e quindi davamo meno nell’occhio”. Racconta, su questo evento, Giorgio Scarabelli, nel suo libro autobiografico “25 anni di galera per antifascismo” (Scarabelli era nato nel 1912 ad Anzola dell’Emilia, condannato dal Tribunale Speciale, fu funzionario del PCI a Brescia, a Bologna, segretario della Federazione PCI a Forlì, consigliere comunale e assessore a Bologna, poi rappresentante in varie associazioni, enti e banche): “Nell’estate del 1930, su indicazione di Moscatelli - del centro interno del partito ed esattamente il 3 agosto, organizzammo un Congresso provinciale, il 3° della gioventù comunista bolognese, che si svolse a Montebudello (frazione del comune 13
di Monteveglio) alla presenza di 23 delegati. Il compagno Ferruccio Marchesi svolse la relazione d’apertura; dal resoconto organizzativo risultò che nella provincia di Bologna, Imola esclusa, contavamo 85 aderenti, una cifra imponente in piena clandestinità. Debbo dire che quella scampagnata politica non mancò di fiaschi di buon vino e di ottimo pane contadino imbottito di affettato”. Ritorniamo alla testimonianza di Francesco Testoni: “In settembre avemmo il compito di fare un’altra diffusione di volantini in occasione della Giornata Internazionale tra i popoli. Ma il lavoro più impegnativo lo svolgemmo in occasione dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, il 7 novembre. Furono fatte parecchie riunioni per predisporre in tempi brevi e ben sintonizzati tre cose: 1°) diffusione di volantini; 2°) stampigliaggio sui muri delle case di insegne con falce e martello e 3°) esposizione di una bandiera rossa proprio nel mezzo della Via Emilia. E’ superfluo insistere quanto fosse delicato il lavoro in quella ricorrenza. Tutte le giornate che ricordavano momenti di lotta del movimento operaio internazionale, erano motivo per i comandi fascisti di perlustrazioni ed arresti. Il nostro compito era di vigilare bene per poter effettuare il lavoro durante la notte, dopo il ritiro delle squadre fasciste. Il nostro intento era far sì che i cittadini che si alzavano di buon’ora per recarsi al lavoro potessero vedere che l’organizzazione, malgrado gli arresti, era sempre viva e si riproduceva. Per i paesani, che mai avevano dimenticato quanto aveva fatto l’Amministrazione Comunale socialista soppressa dai fascisti, rivedere sventolare il simbolo dei lavoratori nel mezzo di una delle più grandi arterie nazionali, fu motivo di grande soddisfazione e per giorni sui luoghi di lavoro non si parlò d’altro. La reazione fascista non si fece attendere. Si ebbero subito, nel pomeriggio, arresti a Bologna, Borgo Panigale, Casalecchio, ecc. E, purtroppo, ad Anzola furono arrestati Bruno Turrini e Tonino Cappelli. Ci fu una pausa di 13 giorni. Pensavamo fosse finito lì, invece la mattina del 21 novembre arrestarono Mario Mazzoni, mentre nel pomeriggio fui arrestato io assieme a Dante Sarti, Bruno Trebbi e Cleto Masi. Dopo pochi giorni dal mio arresto, altri compagni furono arrestati: Teofilo Bavieri, i fratelli Libero e Alberto Proni, Otello Parmeggiani, Lino Panzarini, Marino Ruggeri e Duilio Carpanelli. Quest’ultimo sarà riarrestato nel 1936. Altri antifascisti furono arrestati nella primavera del 1931, fra i quali anche giovanissimi come Primo Turrini, che aveva 16 anni. Una parte dei compagni fu condannata dal Tribunale Speciale (la mia sentenza portava il n. 47 del 23/9/1931); un’altra parte fu inviata al confino, altri ancora furono mandati a casa con l’ammonizione. Il compagno Mario Mazzoni morì sotto le percosse fasciste lo stesso giorno dell’arresto, nella Questura di Bologna”. La preparazione della manifestazione fu laboriosa e difficile, ma venne portata a termine nel tempo e nei modi stabiliti. Fra le ore ventitre del 6 novembre e l’una 14
del 7 novembre, circa centocinquanta giovani di Bologna e provincia diffusero migliaia di volantini e giornali davanti alle fabbriche, nei depositi del tram e delle ferrovie, nei mercati, etc.. Comparvero scritte contro il fascismo in città e nei centri della provincia. Vennero issate bandiere rosse al Pontelungo, a Borgo Panigale, Anzola, Imola, Calderara, Casalecchio e in altri centri e periferie. Notevole fu l’impressione fra l’opinione pubblica. Fascisti e polizia strappavano i volantini dalle mani degli operai davanti alle fabbriche, vietavano alla gente di sostare e leggere le scritte antifasciste sui muri e di osservare le bandiere rosse dispiegate al vento. La reazione fu spietata: 250 giovani comunisti furono arrestati e bastonati. L’ultimo arresto, il sacrificio, la madre Mario Mazzoni fu arrestato il 21 novembre 1930, venne portato alle carceri di San Giovanni in Monte di Bologna e sottoposto a inumane sevizie. Morì poche ore dopo esservi entrato. Nel referto medico venne scritto che era deceduto per “paralisi cardiaca”. La famiglia accertò e testimoniò che le mani e i piedi presentavano ferite presumibilmente provocate da chiodi, come fosse stato crocifisso. Mario intuiva probabilmente che sarebbe stato arrestato e, forse, prevedeva anche le conseguenze più estreme; ciò è confermato dalla testimonianza della fidanzata (Fernanda, del Martignone) raccontata da Enzo Migliori: “In quel novembre 1930 Mario chiese a Fernanda di fare una passeggiata, da Immodena all’incrocio con Roccanovella, e qui si scambiarono l’ultimo abbraccio; Mario aveva voluto questa ultima occasione intima, prima di essere arrestato all’improvviso; non aveva voluto sposarsi perché sapeva di aver scelto una vita rischiosa”. Un’altra testimonianza, tratta sempre dal bellissimo volume “Anzola: un popolo nella Resistenza” (curato da Anna Zucchini e Linceo Graziosi, redatto da Cesare Bianchi e Iole Giovanna Converso), sull’arresto e la morte di Mario Mazzoni: “Fu soprattutto grazie alla sua attività che, ad Anzola, l’organizzazione clandestina antifascista ebbe un grande sviluppo e, quando nel 1929-1930 l’organizzazione della gioventù clandestina comunista prese un grande impulso, Marabino ne fu uno dei più brillanti animatori. L’arrestarono a casa sua nella borgata Immodena, frazione di Anzola dell’Emilia, il 20 novembre 1930 (in realtà il 21, ndr), una mattina grigia e piovigginosa, verso le sette. Tutti quelli di casa pensavano che l’avrebbero trattenuto qualche giorno, come sovente succedeva al passaggio di qualche moscone nero o in ricorrenze che facevano paura al regime fascista, come ad esempio il Primo maggio. Uscì di casa fra due carabinieri. Fatti pochi passi si fermò, si voltò a guardare la madre ferma sulla soglia di casa, impietrita dal dolore. Muta, seguiva con gli 15
occhi il figlio. Marabino vide nella immobilità della madre tanta fierezza. Gli occhi dolci di lei l’accarezzavano. Si sorrisero. Poi lui si avviò con i suoi accompagnatori verso la strada, si accorse che dietro di lui saltellava la Fedora, che era la più piccola dei suoi fratelli, la salutò con il nomignolo consueto, “Andrica” e le raccomandò di correre in casa altrimenti avrebbe preso freddo”. La sorella Fedora, a questo proposito, ha aggiunto: “mentre lo stavano per portare via, ricordo che mi chiese di andare a prendere in casa un pacchetto di sigarette, ma non glielo concessero! Neanche quello!”. Riprendiamo la testimonianza precedente: “Hanno arrestato Marabino! Hanno arrestato Marabino!”, si sussurava sottovoce. La notizia si sparse ed in mattinata la popolazione seppe dell’arresto. Era da poco suonato mezzodì, cinque ore dall’arresto, la famiglia stava desinando quando comparve il maresciallo che, senza giri di parole, come fosse cosa di normale amministrazione, comunicò ai genitori che il loro figliolo si trovava nella camera mortuaria della Certosa di Bologna e, se premeva loro di vedere il figlio, facessero presto perché l’avrebbero seppellito. Poi se ne andò. A tale atroce notizia la madre corse su per le scale rifugiandosi nella sua stanza e dette sfogo al suo immenso dolore. Il padre rimasto seduto inebetito dal dolore, non era capace di muoversi, piangeva in silenzio tenendo in braccio la figlia più piccola. Nella stanza la madre sembrava sentire le parole del maresciallo che come un mulinello ripeteva: “Se volete vedere vostro figlio, fate presto!”. Come un automa aprì un cassetto dal comò, prese l’unica camicia bianca, i pantaloni più belli e stringendoli al petto si sedette ancora per un attimo sul letto, chiuse gli occhi: lo rivide piccolino, poi ragazzo che non sopportava le ingiustizie, poi quando l’arrestarono la prima volta e lei si recò a Venezia a trovarlo in quella lurida prigione e quando lei si mise a piangere lui la sgridò. La chiamarono, scese le scale, in cucina c’era già qualcuno che con il calesse la portò alla Certosa. Entrò nella camera mortuaria, si fermò guardandosi attorno, al centro c’era una cassa fatta con quattro assi rozze, fra le lacrime seguì la mano che indicava che lì fra quelle quattro assi c’era suo figlio. Si avvicinò, vide il figlio con le braccia aderenti al corpo, sembrava l’avessero messo sull’attenti, da morto, dato che da vivo non erano riusciti a piegarlo. Il bel viso che la mattina le aveva sorriso come ci fosse un’intesa fra di loro, era tumefatto dalle percosse, non sembrava più lo stesso. La madre accarezza il viso martoriato del suo ragazzo e gli parla con amore. Non vuole vederlo con le braccia lungo il corpo; piano piano, per paura di fargli male, solleva un braccio, gli accarezza la mano che ha un ecchimosi, pensa: “Si sarà difeso quando lo picchiavano”. Con gli occhi pieni di lacrime non può più vedere, si asciuga con un fazzoletto, poi lo passa sulla mano inerte.
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Ma questo non è un segno lasciato dalle percosse. Guarda meglio, prima sul dorso, poi nel palmo e si accorge che la ferita è un buco che passa da parte a parte la mano, fatta con un corpo contundente. Alza l’altro braccio, vuole vedere l’altra mano, anche questa ha un buco. Incredula gira gli occhi intorno, vede tre individui che seguono le sue mosse con un mezzo sorriso, lei intuisce e grida: “Cosa gli avete fatto, cosa gli avete fatto assassini?”. “State zitta”, le ingiunge uno con tono burbero, “altrimenti ve ne accorgerete”. “Smettetela”, dice un altro sgarbatamente, “e sarà meglio per voi”. Il terzo rimane zitto. Erano tre agenti dell’OVRA in borghese che avevano un compito ben preciso. La madre accarezza e bacia le mani del figlio, gli occhi si fanno taglienti, non piangono più, è presa da un orribile sospetto: “No, no, non può essere che abbiano fatto una cosa simile!”. Ma le mani senza vita sono lì a testimoniare che sono state bucate come se lo avessero messo in croce. Le gambe le tremano presa da un grande spavento, si appoggia alla bara, se così si può chiamare, si trascina ai piedi del figlio e presa da grande frenesia vuol vedere i piedi. Anche i piedi sono stati trapassati, non c’è alcun dubbio, hanno due buchi che li passano da parte a parte. I fascisti le hanno crocifisso il figlio! Nella camera mortuaria c’è una grande croce con il Cristo, la madre lo guarda, le sembra di vedere il figlio suo sulla croce, vuol dire qualcosa, ma dalle sue labbra esce un urlo che non ha niente di umano: “Me lo hanno crocifisso come te, perché come te voleva l’uguaglianza”. I parenti che l’avevano accompagnata la trascinano fuori. La madre vuol dare degna sepoltura a suo figlio anche se dovesse lavorare un anno intero per pagarla. Va a ordinare una bara degna di lui. Quando ritorna, Marabino è già seppellito. Capisce solo allora il compito degli agenti: seppellirlo al più presto. I fascisti con questo orribile delitto credevano di aver seppellito per sempre l’antifascismo. Ma quello che aveva seminato Marabino cominciò a germogliare fra i giovani, i quali seppero tenere alta la bandiera della libertà, diffondendo fra le nuove generazioni gli ideali di uguaglianza, di democrazia che sfociarono poi nella lotta di Liberazione”. Leggiamo ora la testimonianza della sorella di Mario Mazzoni, Fedora, sul suo arresto e la sua morte: “In occasione della grande manifestazione del 7 novembre 1930, anche lui fu arrestato e la polizia, intuendo che aveva in mano l’organizzatore, si vendicò uccidendolo di botte nella Questura di Bologna. Dopo questo grave fatto, la mamma di giorno nascondeva la sua pena, non voleva affliggere anche noi, ma di notte la sentivo piangere. Mio padre in due giorni fece tutti i capelli bianchi, cercò di soffocare il suo dolore isolandosi dai compagni e dagli amici di lavoro, dal suo ambiente. Mamma capiva il dramma di mio padre 17
che, anziché essere di conforto, veniva a costituire un altro motivo di preoccupazione, ma non gliene faceva una colpa. Anche se, inconsapevolmente, in questa maniera, si autodistruggeva proprio come voleva il fascismo. La mamma prese le redini della famiglia, e difese i suoi figli dalle prepotenze fasciste. E’ rimasto impresso nella mia mente un episodio che ho vissuto a scuola quando fui canzonata e umiliata, ma non scorderò mai quando mia madre entrò in aula la mattina dopo e la fierezza con cui disse alla maestra che non avrei mai messo la divisa che aveva ucciso mio fratello. Com’ero orgogliosa di mia madre! Non vedevo l’ora di arrivare a casa per dirglielo. Trovai papà e lo informai di quello che mamma aveva fatto. Lui mi guardò con lo sguardo assente, mi sorrise e mi disse brava come quando gli dicevo che avevo preso un bel voto. Capii che lui non avrebbe avuto la forza di venire dalla maestra e lo dissi alla mamma quando rincasò. Lei quella sera mi parlò, come fossi stata già adulta: “Non puoi ricordare, perché quando i fascisti uccisero tuo fratello avevi appena cinque anni. Tuo padre non era così, era un uomo buono e onesto, grande lavoratore e gli sarò sempre riconoscente per avermi fatto sentire il calore di una famiglia e di avermi dato la possibilità di dare ai miei figli quell’amore che io non ho avuto”. Mia sorella Adelmina era coetanea di Mario, era nata nel 1906; rimase molto scossa ed impaurita dall’assassinio del fratello; non ebbe il coraggio di esigere la dissepoltura di Mario, in modo da dimostrare che non era morto perché malato, come voleva far credere la polizia fascista. Quando la mamma chiese i resti di Mario alla Certosa, scoprì che l’avevano già dissepolto per mettere le ossa nella fossa comune. Io reagii diversamente, appena fui ragazza desiderai come prima cosa vendicare mio fratello Mario. Andai quindi a lavorare alla Ducati dove partecipai all’organizzazione dello sciopero del 1° marzo 1944 ed entrai nella Resistenza”. Fedora fu staffetta, ebbe poi il riconoscimento di partigiana con il grado di sottotenente e la croce di guerra. Il ricordo di Mario Mazzoni, del suo sacrificio, è sempre rimasto vivo fra gli anzolesi, in particolare fra gli abitanti di Immodena. Enzo Migliori racconta un episodio che lo coinvolse direttamente: “Avevo 13 anni, era il giorno dei morti del 1942; i miei famigliari vollero portarmi con me alla Certosa di Bologna. Quando fummo vicini all’ossario comune dove c’erano anche i resti di Mario, mi diedero un garofano rosso da lasciar cadere sopra l’ossario; intanto i miei controllavano che non arrivassero dei fascisti o dei poliziotti”. La testimonianza di Giorgio Scarabelli, nel suo libro autobiografico: “nel mese di novembre del 1930, Mazzoni fu arrestato dalla polizia del regime, sarà assassinato nei locali della questura di Bologna; lo fece bastonare da due sgherri il tristemente noto commissario di PS Riccardo Pastore, capo della squadra politica bolognese; egli adottò metodi feroci e inumani (egli aveva già sulla coscienza la 18
morte per tortura del compagno Luigi Roveri), venne assecondato dal capo dell’OVRA (Organizzazione Vigilanza Repressione Antifascista, la polizia segreta fascista, ndr) Bocchini (a Bologna in quel periodo, era stato il prefetto della città), e dai gerarchi della “X Legio”, fascisti tra i più violenti”.
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Un insegnamento ed un rammarico Mario Mazzoni, in questo modo, pagò il suo impegno antifascista e la sua sete di giustizia. Non aveva voluto diventare un peso per il partito, e rifiutò l’espatrio clandestino che il PCI gli aveva proposto a causa del suo precario stato di salute. L’esilio di tanti antifascisti, in particolare in Francia negli anni Trenta, servì a salvaguardare i quadri comunisti, socialisti, azionisti, repubblicani, cattolici, consentendo la riorganizzazione del fronte antifascista. Ma è indubbio che fu altrettanto importante, e sicuramente più difficile e pericoloso, l’antifascismo militante che, in clandestinità, rimase nel nostro Paese: la scelta di Mazzoni fu generosa, ma anche consapevole e responsabile. Egli aveva preparato il terreno perché si costituisse e crescesse l’antifascismo fra i giovani anzolesi, ma non poté così vedere e partecipare alla Liberazione del nostro Paese. Se non fosse stato ucciso e torturato come un martire cristiano, sarebbe forse diventato, come sosteneva Giorgio Scarabelli, il primo deputato eletto nel nostro territorio: aveva l’intelligenza, la passione politica, la preparazione e la generosità per farlo.
Quadro che ricorda i cittadini anzolesi caduti per la libertà dal nazifascismo. Mario Mazzoni è al centro di questa iconografia.
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Bibliografia
Anzola: un popolo nella Resistenza, a cura di Anna Zucchini e Linceo Graziosi, Anpi di Anzola dell’Emilia, 1989
Cronache anzolesi 1890-1910, a cura di Claudio Chiarini, Lorenza Forni e Gabriele Gallerani, Centro Culturale Anzolese, 1987
Cronache anzolesi 1923-1933, a cura di Gabriele Gallerani, Centro Culturale Anzolese, 1991 Giorgio Scarabelli, 25 anni di galera per antifascismo, Tip. Moderna, Bologna, 1982 AA. VV., Movimento operaio e fascismo nell’Emilia-Romagna 19211923, Editori Riuniti, 1973 Luigi Arbizzani e Nazario Sauro Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), vol. IV (Dizionario biografico, M-Q), Bologna, 1995 Luciano Bergonzini, La Resistenza a Bologna – Testimonianze e documenti, Istituto per la storia di Bologna, Bologna, 1980 Le immagini fotografiche sono state tratte dall’archivio fotografico della Biblioteca Comunale “De Amicis” di Anzola dell’Emilia
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Ringraziamenti Questa ricostruzione della storia di Mario Mazzoni è stata naturalmente possibile grazie alle testimonianze scritte raccolte in precedenza nei testi elencati nella bibliografia. Quindi i primi ringraziamenti vanno agli autori, ai curatori di queste opere e, soprattutto, alla signora Fedora Mazzoni per la sua disponibilità e la sua passione. Si ringraziano poi, per i contributi forniti e per la loro disponibilità: • • • • • •
Guerrino Gotti dell’ANPI di Anzola dell’Emilia Dorina Vignoli Carla Rubini del Comune di Anzola dell’Emilia Biblioteca Comunale di Anzola dell’Emilia Enzo Migliori Gabriele Gallerani
"Se un uomo non è disposto a rischiare qualcosa per le sue idee, o le sue idee non valgono niente, o lui non vale niente". (Ezra Pound, uno dei maggiori poeti del Novecento)
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