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Cultura orizzontale e nuove modalità di lettura
1. L’Italia che legge (dieci anni dopo)
di Giovanni Solimine
premessa
Dieci anni fa, nel 2010, pubblicai presso Laterza un volumetto intitolato L’Italia che legge, che ebbe una qualche circolazione e in cui provavo a esaminare la configurazione “strutturale” del mondo del libro e della lettura in Italia e alcuni fattori che ne condizionano le dinamiche.
Su alcune problematiche connesse sono poi tornato successivamente con altre pubblicazioni3. Mi sono spesso occupato del rapporto tra i giovani e la lettura, e proverò a soffermarmi anche su questo aspetto, che credo meriti una particolare riflessione da parte di chi opera nel mondo della scuola.
Ma proviamo a fare il punto sulla situazione descritta nel 2010, su cosa è accaduto in questi dieci anni e – cosa forse più utile – su come possiamo attrezzarci per affrontare ciò che avverrà in un prossimo futuro.
1.1. Cosa dicevo in L’Italia che legge?
Nel volume scritto dieci anni fa offrivo una panoramica sulla lettura in Italia, ricordando che i lettori – per essere più precisi e per aderire esattamente alla definizione utilizzata dall’Istat, «coloro che hanno letto almeno un libro nel tempo libero nell’anno precedente alla rilevazione» – non hanno mai raggiunto la metà della popolazione, non sono mai stati in maggioranza, ma ricordando gli enormi progressi registrati nei vent’anni successivi alla prima rilevazione (16,5% nel 1965; 24,4% nel 1973 e del 46,4 nel 19844), il grande balzo
3.
4. Mi si consenta qui di ricordare soltanto altri due volumi editi da Laterza: Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia, apparso nel 2014, e La cultura orizzontale, scritto insieme a Giorgio Zanchini e pubblicato nel 2020. Dal 1965 l’ISTAT rileva i dati sulla lettura di libri in Italia. La principale fonte utilizzata in questa sede è l’indagine campionaria annuale Aspetti della vita quotidiana. 11
12 compiuto dopo il Sessantotto e negli anni della scolarizzazione di massa, la stagnazione dei primi anni del XXI secolo.
Ricordavo anche i grandi squilibri territoriali (20 punti percentuali di distanza nella quota dei lettori fra nord e sud) e di genere (che ha accompagnato le trasformazioni sociali: fino al 1973 i maschi, più istruiti, leggevano più delle femmine, per essere poi sorpassati dalle donne); la presenza di un’agguerrita pattuglia (14% dei lettori e 6% degli italiani) di persone che leggono un libro al mese e che da soli leggono il 40% dei libri venduti in Italia. Notavo anche che si legge quasi esclusivamente narrativa, che la libreria era, e rimane, il canale di vendita maggiormente utilizzato, che le biblioteche sono poco frequentate (all’epoca in cui scrivevo eravamo intorno all’11%; nel 2019 siamo arrivati al 15,3%).
Per un identikit della figura del lettore e per sottolineare i principali fattori che influenzano la consuetudine con la lettura, ricordavo la rilevanza delle condizioni ambientali e familiari, il condizionamento del livello di istruzione (da noi troppo basso in confronto a quello di paesi paragonabili al nostro) e socio-economico, il rapporto con gli altri consumi culturali, gli stimoli offerti da una “dieta mediatica” ricca e variegata in contrasto con una monocultura (o monocoltura) televisiva.
Alla luce di questi dati, provavo a sfatare alcuni luoghi comuni: è falso dire «ai miei tempi si leggeva di più», perché la percentuale dei lettori è stata comunque in crescita per tutta la seconda metà del Novecento, e perché i giovani leggono più degli adulti e fino a pochi anni fa i giovani hanno sempre letto di più dei giovani delle generazioni precedenti; è falso dire che «gli ebook sostituiranno i libri», perché il libro elettronico non ha sfondato e occupa quote di mercato tutto sommato marginali, e nei paesi dove si è diffuso di più e prima, come gli Stati Uniti, sembra aver addirittura intrapreso una parabola discendente; è almeno in parte falso dire che è «tutta colpa della tv e di Internet», perché i lettori forti sono grandi utilizzatori della rete e della comunicazione audiovisiva, per cui si può dire che la vera differenza non è tra chi ama leggere e chi preferisce altre forme di espressione culturale o di intrattenimento, ma tra chi ha uno stile di vita attivo e chi ha una vita culturale povera, tra chi fa tante cose e chi ne fa poche; è falso dire che «i libri costano troppo», perché il prezzo medio dei libri è stato praticamente fermo per anni e perché il costo non è tra le principali cause della non lettura indicate da chi dichiara di non leggere.
Questi in sintesi i contenuti di quel volumetto, che si concludeva denunciando l’assenza di politiche di promozione continuative e sistematiche. Quell’ultimo capitolo oggi lo potrei ristampare senza modificare una virgola.
1.2. un decennio in cui è cambiato tutto
Non sapevo, e non potevo immaginare, che l’anno in cui scrivevo, il 2010 (quando la percentuale dei lettori fu del 46,8% sulla popolazione), sarebbe stato l’anno in cui in Italia si è letto di più. Da allora è iniziato un declino, che alcune interpretazioni un po’ superficiali hanno semplicisticamente attribuito al calo generalizzato dei consumi seguito alla crisi economica del 2008-9, che ha fatto vedere i suoi effetti negli anni successivi (2011-14). Personalmente, ritengo che ci sia un deficit di analisi dei fenomeni verificatisi nell’ultimo decennio e che questo errore abbia gravemente compromesso le strategie di promozione messe in atto dagli editori, dalle amministrazioni pubbliche e dalle tante associazioni che operano nel campo della diffusione della lettura.
Una riflessione su ciò è accaduto negli anni Dieci di questo secolo non può non essere inquadrata all’interno della evoluzione imposta dalla rete. In occasione delle discussioni che si sono sviluppate in occasione dei cinquant’anni di Internet – Arpanet è del 1969 – abbiamo spesso sentito ripetere che ormai è «tutto un altro mondo»: gran parte delle trasformazioni più innovative, che hanno cambiato profondamente la nostra esistenza, le abbiamo vissute proprio in questi ultimi dieci anni ed è ovvio che gli effetti siano stati enormi anche nel rapporto tra gli esseri umani e il libro, il principale strumento che da millenni veicola la comunicazione culturale. Senza voler ricostruire qui la storia della parola scritta e neppure la storia della forma-libro, e volendoci limitare agli ultimi cinque secoli e mezzo, basterà ricordare che il libro a stampa è stato «ben altro che una realizzazione tecnica, comodo e ingegnosamente semplice, ma la messa a punto di uno degli strumenti più potenti di cui abbia disposto la civiltà occidentale per raccogliere il pensiero sparso dei suoi rappresentanti e conferire tutta la forza possibile alla meditazione individuale dei ricercatori, trasmettendola anche ad altri»5 .
Paradossalmente, il principale pregio del libro costituisce al tempo stesso la caratteristica che lo rende maggiormente esposto all’impatto delle novità che la rete porta con sé: al di là della sua apparente rigidità, il libro è un’entità dinamica, frutto dell’interazione fra autore e lettore. E sappiamo che in rete cambia il nostro modo di interagire con gli oggetti. Ma su questo ci sarà modo per tornare più avanti.
Una varietà di concause e un profondo mutamento del contesto, e cioè la rivoluzione digitale in corso e l’influenza che il web ha assunto sui consumi
5. L. Febvre, prefazione a L. Febvre, H.-J. Martin, La nascita del libro, trad. it. di A. Petrucci, Laterza, RomaBari 1977, I, p. 7. 13
culturali, hanno fortemente condizionato l’andamento della lettura. Con la diffusione della connessione dati in mobilità a tariffe flat, infatti, è completamente cambiato il nostro rapporto con la rete e si è riempito quasi tutto il tempo delle nostre giornate: il web “tascabile” è diventato il primo e a volte l’unico canale per l’accesso all’informazione e alla conoscenza. Ciò è accaduto quasi in contemporanea (il primo smartphone è del 2007, il Kindle del 2009, stesso anno in cui nasce WhatsApp, il primo tablet arriva nel 2010) agli effetti della crisi economica partita nel 2008. A partire dal 2011 si è registrato un calo notevole della lettura e in soli tre anni si sono persi in Italia tre milioni di lettori: nel periodo 2011-16 il fatturato del comparto editoriale è sceso da circa 3,5 miliardi di euro a 2,7 e la percentuale dei lettori ha toccato col 40,5 la punta più bassa. Anche questa volta – come altre volte in passato, quando si affermava che la lettura aveva un trend anticiclico, non sovrapponibile agli indicatori economici – l’andamento del mercato editoriale sembra essere determinato da cause endogene più che dalla congiuntura complessiva: nel periodo 2000-18 il livello dei consumi in generale rallenta la sua crescita e la spesa delle famiglie per consumi è passata da 100 (valore base) a 142,9, mentre la spesa per acquisto libri crolla, passando da 100 a 82,76 .
Dicevamo poco fa che in quegli anni si sono volatilizzati tre milioni di lettori. Cosa è davvero accaduto lo possiamo comprendere osservando i dati disaggregati per classi d’età: il calo complessivo è stato di poco più di sei punti percentuali nel periodo 2010-16 e non ha mai superato i tre punti all’anno; ma tra le generazioni più giovani si è aperta una vera e propria voragine, raggiungendo addirittura uno scarto di oltre quattordici punti nella fascia d’età 11-14 e di dodici punti nella fascia 15-17, di gran lunga più pesante di quanto non sia accaduto per le altre generazioni; da rilevare che, nello stesso periodo, tra gli over 60 la lettura ha tenuto o è addirittura cresciuta. Siccome i giovani erano e, malgrado tutto, restano coloro che leggono di più, il loro allontanamento dai libri ha inciso proporzionalmente in misura notevole nella determinazione del risultato complessivo. Quindi la crisi della lettura di questo decennio è la crisi della lettura tra i giovani.
Il dato è sovrapponibile alla migrazione sulla rete di un’intera generazione di lettori, fortemente attratta da Internet mobile e dai social network. Il distacco dalla lettura di libri verificatosi nei ragazzi di età compresa fra gli 11 e i 17 anni non si è diretto verso il libro digitale (appena il 6% degli italiani legge solo e-book), ma ci mostra uno spostamento dai libri e dalla lettura in
14
6. Fonte: elaborazioni dell’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Editori su dati statistici della Contabilità nazionale.
direzione di altri canali di intrattenimento e di apprendimento, che risultano più attrattivi sul «mercato dell’attenzione»7 .
Forse non abbiamo compreso per tempo cosa stava accadendo con gli effetti pervasivi della connessione in mobilità e in che modo le pratiche di rete modificavano radicalmente i comportamenti delle persone.
Non per ricercare facili consolazioni, ma per capire da dove ripartire per ricominciare, va considerato che, malgrado questo calo, la lettura tiene e si attesta intorno al 40%, mente i visitatori dei musei sono il 33% della popolazione, le mostre sono al 25%, i siti archeologici al 27%, gli spettatori di spettacoli teatrali al 22%: anche il calo di questo decennio non è paragonabile a ciò che è accaduto per il cinema, per la tv generalista, per la musica, campi in cui si è verificata una totale destrutturazione del mercato.
Un altro elemento di riflessione interessante e da non trascurare ce lo fornisce proprio l’Istat, che ha modificato nel tempo il modo di rilevare i dati. Infatti, la decisione di rilevare negli anni Sessanta o Settanta il numero di coloro che leggevano libri (anche pochi), nel tempo libero e per scelta, rappresentava la voglia di crescere attraverso la cultura e la lettura, in un paese che era attraversato da un’importante spinta allo sviluppo. Da qualche anno disponiamo anche di un altro dato. In occasione della indagine multiscopo quinquennale sulle famiglie l’Istat ha rilevato non solo la lettura “per piacere”, ma anche quella di libri professionali ed educativi (non scolastici), effettuata nel tempo libero, e certe forme di consultazione che non si possono definire lettura vera e propria (ricettari di cucina, guide turistiche ecc.): come per incanto, l’indice è schizzato al 59,4%. Sembra solo un modo diverso di calcolare il numero dei lettori, frutto di una ventata di ottimismo, che ora consente di affermare che quasi 6 italiani su 10 sono lettori, in risposta ai pessimisti, che continueranno a lagnarsi perché solo il 40% dei nostri compatrioti legge almeno un libro all’anno. «Può darsi che la motivazione di questa nuova modalità di rilevazione possa nascondere anche un’intenzione di questo tipo, ma a noi qui interessa sottolineare che questi due dati hanno un significato diverso e descrivono fenomeni diversi. Rilevare oggi il numero complessivo di italiani che leggono libri nel tempo libero, per studio, per occasioni professionali ci dice invece un’altra cosa: nell’era della rete e della comunicazione digitale, mentre una quota crescente di giovani utilizza un tutorial disponibile su YouTube per documentarsi e per imparare qualcosa, preferendo le immagini alla lettura di un saggio o di un manuale, c’è ancora un 60%
7. Tra i tanti titoli sull’argomento, cito qui solo T. Wu, The Attention Merchants: From the Daily Newspaper to Social Media, How Our Time and Attention Is Harvested and Sold, Atlantis Books, London 2017; B. Pagliaro, Attenzione! Capire l’economia digitale ti può cambiare la vita, Hoepli, Milano 2018. 15
16 degli italiani che ricorre alla parola scritta e al libro come strumento per impadronirsi della complessità»8 .
Il significato dei dati cambia e la loro interpretazione non può essere affidata solo ai valori numerici, così come l’indice di lettura del 2018 (40,6%) è assai diverso da quello del 2001 (40,9%), perché sono passati quasi vent’anni e perché tutto il mondo racchiuso dentro e attorno a quei dati è cambiato.
1.3. I giovani, i libri, la lettura
Molte sono le contraddizioni che caratterizzano il rapporto delle giovani generazioni con la lettura. Come abbiamo già visto, infatti, ragazzi e adolescenti fanno registrare percentuali più elevate di consumo culturale – lettura compresa – rispetto ad altre fasce d’età, ma non si può neppure ignorare un progressivo allontanamento dei giovani dalla lettura dei libri, che non sono più – a differenza di quanto accaduto per le generazioni precedenti – il principale riferimento per lo studio e le pratiche formative.
Sappiamo molto poco di altre forme di lettura (e di apprendimento) che non passano attraverso i libri. Sappiamo che nel 2017 un terzo degli italiani ha usato Internet per leggere giornali, news e riviste e che solo l’8,1% ha scaricato libri in formato digitale. Sappiamo anche che in quell’anno più della metà (61,7%) delle persone che adoperava il cellulare ha usato le funzionalità che consentono l’invio/ricezione di testi scritti (SMS, e-mail, messaggeria istantanea); tra i ragazzi di 15-19 anni la percentuale sale al 90%. Nel tempo si sono via via affermati nuovi oggetti di lettura: testi brevi che viaggiano via e-mail, tramite Facebook e Twitter oppure attraverso SMS o messaggeria istantanea.
Si afferma anche una nuova modalità di lettura più veloce e discontinua che salta da un testo (breve) all’altro, diversa da quella tradizionale, lineare e progressiva. Anche quando ci troviamo di fronte a testi lunghi, cambia intrinsecamente il modo in cui lo sguardo si rapporta alla parola scritta, che viene scansionata più che letta9. Questo tipo di lettura sembra avere poco a che fare con la “lettura profonda”10, di cui parlano i cognitivisti, e che ci con-
8.
9.
10. G. Solimine, La lettura e il suo contesto, «AIB Studi», vol. 58 n. 3 (settembre/dicembre 2018), pp. 427-437: p. 433. Resta fondamentale lo studio di J. Nielsen, F-Shaped Pattern For Reading Web Content, condotto nel 2006, per il quale si rimanda all’URL https://www.nngroup.com/articles/f-shaped-pattern-readingweb-content-discovered/. Tra le tante ricerche più recenti si segnala https://www.go-gulf.ae/blog/ how-people-read-content-online/. M. Wolf, M. Barzillai, The Importance of Deep Reading. What will it take for the next generation to read thoughtfully-both in print and online?, in «Educational Leadership», 66, 2009, 6, pp. 32-37.
duce alla comprensione di ciò che leggiamo attraverso processi cognitivi sofisticati, che ci permette di acquisire gli strumenti per l’analisi e l’appropriazione critica. Insomma, la complessità del libro11 non sembra, almeno per il momento, avere alternative.
Un approfondimento di questi discorsi ci porterebbe lontano, ma è bene averli accennati e tenerli sullo sfondo, se desideriamo non dare per scontata la valenza formativa della lettura e, di conseguenza, dare solide motivazioni alle politiche di promozione del libro e della lettura.
Tornando a cosa sta accadendo a proposito della interattività cui la rete ci induce, va detto che il combinato disposto della lettura in ambiente digitale e della frequentazione dei social network ha portato anche all’affermarsi di nuove forme di condivisione dell’esperienza di lettura: il social reading è un fenomeno molto interessante, anche se diffuso prevalentemente solo tra i lettori abituali12 .
Dicevamo – stiamo parlando della lettura di libri – che solo tra i giovani i lettori superano il numero dei non lettori: si legge molto fra gli 11 e i 14 anni, dove la percentuale di chi legge almeno un libro all’anno è sempre stata superiore al 50%, superando addirittura il 60% tra il 2002 e il 2012; attualmente il punto più alto viene toccato nella fascia 15-17 col 53,9% (anche in questo caso il dato è sempre stato superiore al 50%). I fattori che influenzano questi indici sono molteplici. Pesa sicuramente l’azione della scuola, che propone agli studenti la lettura come un valore positivo e un’attività formativa complementare allo studi\o curricolare. Ad essa si affiancano attività promozionali realizzate nei territori dalle biblioteche di base e da altri soggetti che operano a livello locale. In taluni casi incide positivamente il contesto familiare: vi è una forte correlazione con le abitudini dei genitori (leggono il 65% dei ragazzi figli di lettori abituali, ma solo il 27% di quelli i cui genitori non leggono) e con il numero di libri presenti in casa, al punto che i ragazzi che acquisiscono fin da piccoli una familiarità con i libri tra le mura domestiche hanno una probabilità di divenire lettori da grandi di ben 3,5 volte maggiore rispetto a chi cresce in una casa senza libri13. A questo proposito è da notare che il numero di famiglie che possiede libri, incrementato notevolmente nell’ultimo trentennio del Novecento, si è sostanzialmente fermato in questi primi due decenni del nuovo secolo: aumenta in modo impercettibile solo la ristretta
11. 12.
13. Cfr. G. Solimine, Il valore del libro, in «Treccani. La cultura italiana», 2018, pp. 18-27. Si legga in proposito Le reti della lettura. Tracce, modelli, pratiche del social reading, a cura di C. Faggiolani e M. Vivarelli, Editrice Bibliografica, Milano 2017. Per una panoramica pressoché completa di esperienze e strumenti cfr. V. Marchese, Leggere social. Una mappatura delle pratiche di lettura condivisa in rete, in «DigitCult, Scientific Journal on Digital Cultures», 3 (2018), n. 2, pp. 37-54. A. Morrone, M. Savioli, La lettura in Italia, Editrice Bibliografica, Milano 2008, p. 49. 17
18 quota di famiglie che possiede più di 100 libri, mentre sfiora il 50% la percentuale di famiglie che possiede meno di 50 volumi e oltre il 10% non ne possiede neppure uno.
Continuando a muoverci tra dati e segnali contraddittori, abbiamo già ricordato che bambini, ragazzi, adolescenti continuano a leggere più degli adulti, ma una contrazione molto marcata nelle fasce d’età in cui si legge di più deve giustamente destare allarme, se la proiettiamo nel tempo: se si considera un inevitabile allontanamento dalla lettura dopo l’uscita dal sistema scolastico, fenomeno che si verifica in modo costante sempre e ovunque, si può prevedere che, quando l’ondata di questa disaffezione raggiungerà le classi d’età in cui solitamente si è sempre letto di meno, assisteremo a un forte ridimensionamento del mercato librario e, più in generale, della funzione del libro come strumento di accesso al sapere.
Vediamo cosa leggono i giovani e perché. Scavando dentro le statistiche, troviamo alcuni dati che ci possono interessare. Molti giovani leggono solo per motivi scolastici (in genere il 16% degli studenti, il 18,1% nella fascia d’età 11-14, il 19% nella fascia 15-17, il 15,7% nella fascia 18-19) e questo dato, oltre a spiegare le ragioni dell’allontanamento dalla lettura dopo l’uscita dal sistema scolastico, la dice lunga sull’efficacia delle attività di promozione praticate nelle scuole: evidentemente, la lettura viene percepita unicamente come un’attività di studio o parascolastica e nella maggior parte dei casi non si consolida e non transita nelle abitudini coltivate autonomamente nel tempo libero.
Se analizziamo i dati sulle motivazioni che i giovani non lettori intervistati dall’Istat hanno fornito, possiamo notare alcune risposte illuminanti. Da notare che le risposte fornite dai giovani di età compresa fra i 20 e i 24 si avvicinano di più a quelle degli adulti e quindi al dato medio, mentre in alcuni casi lo scostamento è molto maggiore tra ragazzi e adolescenti, da una parte, e dato medio dall’altra: ciò confermerebbe che è in atto una trasformazione nei comportamenti destinata ad avere effetti ancora più rilevanti negli anni futuri. La noia e la mancanza di interesse ricorre nelle risposte dei giovani molto di più che nella media della popolazione (questa risposta viene fornita da quasi metà dei giovani non lettori e da un terzo nella media generale degli intervistati); anche la stanchezza a fine giornata sembra togliere motivazioni ai giovani più che agli adulti; una discrepanza simile riguarda anche la preferenza di altri svaghi (indicata anche in questo caso da quasi la metà); sia pure in misura meno frequente, anche la risposta «Al giorno d’oggi non serve più leggere» ricorre tra i giovani di 11-19 anni circa il doppio delle volte che tra gli adulti; tra i 15 e i 19 anni la risposta «Preferisco altre forme di comunicazione» oscilla tra il 12,6 e il 14,6% dei casi; significativa anche la risposta «Ci vuole troppo tempo, ho bisogno di stimoli più veloci», fornita con
una certa frequenza dai ragazzi di 15-19 anni, abituati ovviamente al ritmo e ai tempi di risposta della rete.
La mancanza di librerie, edicole e biblioteche non viene percepita come una delle cause prevalenti della non lettura, né dai giovani né dagli adulti. Questo dato sembra confermare che la lettura non sia un bisogno “naturale” e che non si può desiderare ciò che non si conosce: in questo campo, come in gran parte dei consumi culturali, è l’offerta che crea la domanda.
Utile fornire anche uno spaccato sulle preferenze dei lettori giovani, con distinzione per genere di libri letti e per fasce d’età. Alcuni risultati sono ampiamente prevedibili: al primo posto troviamo i libri di narrativa, sia tra i giovani che tra il pubblico adulto, seguiti da fantascienza, fantasy, horror e fumetti; mentre la saggistica comincia a farsi strada solo dopo i 18 anni. Anche in altri casi, ovviamente, le preferenze cambiano a seconda delle fasce d’età e del contesto ambientale. Le abitudini di lettura dei millennials sono state oggetto di molti studi, dai quali apprendiamo che anche nella realtà più avanzate, come il Nord America, spesso il vecchio convive col nuovo14 .
Per completare il quadro, possiamo aggiungere qualcosa sull’uso delle quasi 14.000 biblioteche italiane. Relativamente alle fasce d’età che ci interessano più da vicino, notiamo che le percentuali dei frequentatori sono del 41,5% per i ragazzi di età compresa fra gli 11 e i 14 anni, del 33,6% nella fascia 15-17, del 37,7% nella fascia 18-19, del 33,6% nella fascia 20-24. L’utilizzo più intenso riguarda gli studenti universitari (il 52,3% dei giovani con età compresa fra i 20 e i 24 anni dichiara di essere stato in biblioteca almeno una volta al mese nel corso dell’ultimo anno). Interessanti le motivazioni delle visite: circa due terzi degli intervistati va in biblioteca solo per studiare, mentre la percentuale di chi vi si reca nel tempo libero non raggiunge il 20%. Solo il 1213% di questa fascia d’età si collega al sito web della biblioteca per consultare cataloghi o pubblicazioni full-text. Le attività svolte in prevalenza da chi va in biblioteca sono quelle specifiche: leggere e studiare, prendere in prestito libri (i volumi presi in prestito in biblioteca costituiscono il 14,1% dei libri letti nella fascia d’età 11-14 e il 10,6% nella fascia 15-17), raccogliere informazioni bibliografiche; poco praticate la consultazione di giornali e riviste (meno dell’11% degli studenti universitari e percentuali irrilevanti tra gli studenti medi) e il prestito di materiale audiovisivo, che ormai viene prevalentemente scaricato dalla rete. Sono sempre inferiori alle due cifre anche i dati statistici riguardanti la partecipazione alle attività culturali organizzate dalle biblioteche, come corsi, dibattiti e presentazione di libri, la visita a mostre, le pre-
14. Cfr. https://ebookfriendly.com/reading-habits-of-millennials-generation-infographic/ e https:// geediting.com/world-reading-habits-2018/. 19
20 senze per assistere a proiezioni, spettacoli o concerti. Questi istituti sono comunque un luogo di aggregazione e un punto di riferimento sul territorio: infatti, a fronte di un dato medio pari all’8,5% sul totale degli utenti di tutte le età, vi si reca “per incontrare gli amici” il 13% dei frequentatori di età compresa fra gli 11 e i 14 anni, il 13,4% nella fascia 15-17, il 18,7% nella fascia 18-19, il 12,3% nella fascia 10-24. Le percentuali più elevate si registrano nei piccoli comuni, dove evidentemente le biblioteche esercitano con maggiore attrattività la loro funzione di presidio culturale.
Una interpretazione sull’insieme di questi dati è abbastanza complessa e va portata avanti ampliando lo sguardo. Tanto per cominciare, vanno considerati distintamente, come si è cercato di fare, i dati che si riferiscono alla lettura nel tempo libero da quelli relativi allo studio, mentre altra cosa ancora è la lettura di giornali e riviste, così come la lettura di libri cartacei rispetto a quella praticata attraverso computer fissi o dispositivi mobili. Non disponiamo finora di rilevazioni ricorrenti, complete e affidabili specificamente mirate sulle forme di lettura in rete. Vi è sicuramente una quota di giovani lettori che si è trasferita dal cartaceo al digitale e che, specie nei prossimi anni, farà le prime esperienze di lettura direttamente in ambiente digitale. Possiamo solo dire che, che, in base a dati 2018, la percentuale di coloro che hanno letto e-book nei tre mesi precedenti all’intervista è tra i ragazzi circa il doppio rispetto alla media nazionale (quasi il 16% tra i 15 e i 17 anni e poco meno del 15% tra i 18 e i 24 anni, a fronte di una media dell’8,4% sull’intera popolazione). Ma sarebbe inutilmente consolatorio limitarsi a prendere atto di un trasferimento da una forma del libro a un’altra: infatti, meno del 13% dei giovani dichiara di preferire gli e-book ai libri di carta. Se il cambiamento in atto consistesse solo nella sostituzione dei libri elettronici al posto dei libri tipografici, e si trattasse cioè solo di una “migrazione interna”, dovuta all’evoluzione della veste esteriore e degli aspetti materici di questi oggetti, non ci sarebbe nulla di strano, anche perché attualmente gli e-book sono concettualmente identici a libri di carta e, per farsi accettare, si autolimitano a essere un’imitazione dei libri di carta. Il libro elettronico, in buona sostanza, non è riuscito ad acquisire quella centralità simbolica che è determinante per il successo di un prodotto, e non ci ha dato sinora quelle esperienze aggiuntive – l’inserimento di suoni e video negli e-book è stata sinora deludente, e debole è l’interattività – che ci aspettavamo15. Forse anche per queste ragioni, i libri elettronici non hanno dilagato. Nel 2018 il 24% degli italiani ha letto un e-book e il 7% ha “letto” ascoltando un audiolibro. Tra gli strumenti dedicati alla lettura digitale, lo smartphone è quello largamente preferito per accedere
15. Cfr. G. Zanchini, Leggere, cosa e come, Donzelli, Roma 2016.
ai contenuti editoriali, sia nel caso di testi, sia per l’ascolto di audiolibri. In calo l’e-reader, che passa dal 54% nel 2017 al 47% nel 2018.
Dopo il forte calo nell’acquisto e nella lettura dei libri verificatosi fino al 2016, si è registrata una certa ripresa. Anche la crescita verificatasi tra 2017 e 2019 va letta attentamente. Nel 2015 si è invertita la tendenza della spesa media delle famiglie per l’acquisto di libri; il mercato dei libri di varia è cresciuto del 2,8% nel 2017 rispetto all’anno precedente, dello 0,7% nel 2018, tendenza confermata nel 2019 con un incremento del 3% circa; nel 2017 le vendite complessive hanno nuovamente superato i 3 miliardi di euro. Più modesto l’incremento della lettura: rispetto al 40,5% del 2016, l’indice è stato del 41% nel 2017 e del 40,6% nel 2018, recuperando in cifre assolute meno di un decimo dei tre milioni di lettori che si erano persi negli anni precedenti. I dati economici migliorano senza un significativo allargamento del perimetro della lettura: ciò si spiega col fatto che in questi ultimissimi anni è leggermente aumentato il prezzo medio del venduto e finalmente, dopo quasi otto anni, è aumentato del 4% anche il numero di copie vendute. Quindi possiamo dire che si siano venduti più libri a chi già era lettore.
Sempre muovendoci tra le contraddizioni relative al pubblico giovanile, va detto qualcosa a proposito del più massiccio intervento di promozione della lettura che sia stato posto in essere negli scorsi anni. Dal 2016 il Governo mette a disposizione di chi compie 18 anni un “bonus cultura” di 500 euro, la cosiddetta App18: complessivamente sono stati stanziati 1 miliardo e 270 milioni di euro, destinati a circa 2 milioni e mezzo di ragazzi, e si stima che all’acquisto di libri sia stata dedicata circa la metà delle somme disponibili. Ma tra i ragazzi di 18-24 anni registriamo una crescita di soli centomila lettori, per cui si può ritenere che anche in questo caso chi già leggeva ha letto qualche libro in più, oppure che queste somme sono state spese per acquistare libri scolastici o destinati ad altri componenti della famiglia. Quindi si è recuperata una minima parte dei giovani che erano migrati verso l’universo digitale, abbandonando quello analogico.
1.4. gli effetti della pandemia
All’inizio del 2020 il sistema del libro e della lettura dava qualche segno di ripresa, ma si mostrava strutturalmente inadeguato a fronteggiare la sfida dell’innovazione e a esercitare un ruolo incisivo in un’era in cui la rete acquista un peso crescente nei comportamenti culturali dei nostri connazionali, e segnatamente tra i più giovani. Le trasformazioni avvenute nell’ultimo decennio sono profonde e molto probabilmente irreversibili, perché investono tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana: il web non è un nuovo
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22 canale che si è aggiunto a ciò che esisteva già, non è solo un modo diverso per fare le stesse cose che si facevano prima, o per aggiungere al vecchio qualcosa di nuovo, ma è “il modo” per fare le cose, è l’ambiente al cui interno si svolge la nostra vita. Basti pensare che il wi-fi è nell’aria che respiriamo.
Su tutto questo si sono innestati gli effetti della pandemia da coronavirus, che hanno sconvolto il mondo intero, scaraventandoci sulla rete in un modo semplicemente imprevedibile. Alcuni di questi effetti hanno toccato pesantemente le giovani generazioni – si pensi soltanto alla sospensione della didattica in presenza – e le pratiche di lettura – insieme alle scuole sono state chiuse librerie e biblioteche – e ora cominciamo ad avere gli elementi per valutare ciò che è accaduto e immaginare il futuro su cui stiamo affacciandoci.
Qualcuno si era illuso – forse io stesso fra questi – che la segregazione per mesi tra le mura domestiche e una maggiore disponibilità di tempo libero avrebbero prodotto un incremento della lettura. Così non è stato, come dimostra un’indagine realizzata dall’Associazione editori e dal Centro per il libro16: l’emergenza ha provocato un forte calo dei lettori di libri in Italia. A maggio del 2020 la percentuale di italiani (15-74 anni) che dichiarava di aver letto negli ultimi 12 mesi almeno un libro (compresi e-book e audiolibri) è in calo di 15 punti percentuali rispetto al marzo dell’anno precedente, attestandosi al 58%. Il valore scende di altri 8 punti percentuali (50%) quando si prendono in considerazione solo le letture nei due mesi, marzo e aprile, in cui il lockdown è stato più rigido.
Non basta il tempo “vuoto” per accostarsi al libro, ma occorrono stimoli specificamente orientati in direzione della lettura e, forse, una consuetudine che non si improvvisa. Quasi la metà di chi non ha letto durante la quarantena (il 47%) lo attribuisce alla mancanza di tempo, il 35% parla della mancanza di spazi in casa dove concentrarsi, il 33% si dice assorbito dalle preoccupazioni, il 32% ha sostituito i libri con la ricerca di informazioni, testimoniata anche dalla crescita degli ascolti di radio e televisione. Ne è derivato un crollo verticale. Già a fine marzo il 64% degli editori aveva fatto ricorso alla cassa integrazione e le librerie (che generano il 66% del mercato) hanno perso solo a marzo 25 milioni di ricavi. Per la fine del 2020 si stimano 18.600 opere in meno pubblicate; 39,3 milioni di copie in meno stampate e confezionate; 2.500 titoli in meno tradotti. Nelle prime 18 settimane del 2020 la contrazione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è stata di quasi il 20%. Per fine anno si stima una perdita di fatturato degli editori italiani tra i 650 e i 900 milioni su 3,2 miliardi complessivi.
16. AIE-CEPELL, La lettura nei mesi dell’emergenza sanitaria, consultabile all’indirizzo https://www.aie.it/ IndagineCepellAie.aspx.
Alcune misure poste in essere dal Governo a sostegno della domanda e delle imprese, oppure volte a rivitalizzare le biblioteche (credito di imposta per le librerie, finanziamenti alle biblioteche per acquisto libri nelle librerie del territorio, rifinanziamento della App 18), riusciranno forse a garantire la sopravvivenza di alcune strutture che altrimenti rischierebbero di essere spazzate via dalla crisi che si sta manifestando. Ma è evidente che l’obiettivo strategico non può essere quello di ritornare alla situazione pre-Covid, di per sé già difficile.
Il futuro del libro e della stessa industria editoriale è affidato alla possibilità di rendere le pratiche di lettura “contemporanee” al mondo che verrà, in presenza degli stili di vita, di informazione e di apprendimento che già vanno affermandosi da qualche anno, frutto del progressivo spostamento verso la rete di tutte le nostre attività di lavoro, di studio e di intrattenimento; un trasferimento che è facile prevedere subirà una ulteriore accelerazione per effetto della pandemia. Il modello di trasmissione culturale che il libro incarna e la complessità che lo connota potrebbero alla fine risultare incompatibili con un certo modo di intendere la rete e per l’impazienza che essa ci trasmette. Oggi sembra tramontare (almeno apparentemente) la comunicazione monodirezionale, siamo sempre più insofferenti verso un’offerta confezionata, siamo in preda alla irresistibile tentazione per il fai-da-te, al senso di onnipotenza che ci prende per il fatto di poter accedere rapidamente a una enorme quantità di non meglio specificati contenuti, e di potervi accedere in modo “immediato” (e cioè non solo rapidamente, ma senza passare attraverso alcuna forma di mediazione).
Mi limito ad accennare qui a due esempi di innovazioni che – tra le tante – potrebbero essere sperimentate, rispettivamente nel campo della produzione e della circolazione dei prodotti editoriali. In entrambi i casi credo che potrebbe trattarsi di cambiamenti capaci di attrarre la curiosità del pubblico giovanile.
Sul versante della produzione, partirei dalla considerazione che i libri elettronici attualmente disponibili sono soltanto la versione elettronica del libro cartaceo, in tutto simile al libro paginato che conosciamo ormai dal IV secolo d.C., quando il codex sostituì definitivamente il rotolo o volumen, dopo averlo affiancato per qualche tempo. Gli e-book attuali utilizzano in minima parte le potenzialità delle tecnologie digitali e non prevedono l’integrazione di codici comunicativi diversi – testo scritto, suono, immagini fisse, immagini in movimento – o percorsi di lettura differenti da quello lineare. Anche la possibilità di interagire è molto limitata. Un libro che fosse realmente un prodotto dell’era digitale dovrebbe essere concepito a partire dalle tecnologie digitali ed essere un “oggetto narrativo” che – lo dico per cercare di spiegarmi – dovrebbe somigliare forse più ai videogiochi che a un file pdf, che non è
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altro che un libro cartaceo senza carta e che perciò non è competitivo rispetto al libro analogico. Sempre pensando all’architettura e alla struttura di un libro nato in ambiente digitale, questo oggetto non dovrebbe mancare della ricchezza propria del web, com’è la “monografia a strati” ipotizzata dallo storico Robert Darnton, che mette insieme diversi livelli di approfondimento e di lettura con una possibilità di interazione tra autore e lettore: «Lo strato superficiale potrebbe essere un’esposizione sintetica del soggetto, da rendere magari disponibile in paperback. Lo strato successivo potrebbe contenere versioni ampliate di diversi aspetti dell’argomentazione, disposti non sequenzialmente, come in una narrazione, bensì come unità autonome che vanno a inserirsi nello strato superficiale. Il terzo strato sarà composto dalla documentazione, possibilmente di diversi tipi, ciascuno introdotto da un saggio interpretativo. Un quarto strato potrebbe avere un carattere teorico o storiografico, con una scelta di saggi e di analisi preesistenti sull’argomento. Ci potrebbe essere un quinto strato a carattere didattico, con suggerimenti per discussioni in classe, con un modello di corso di studi e pacchetti di materiali didattici. E un sesto strato potrebbe contenere le recensioni, la corrispondenza tra autore e editore e le lettere dei lettori; questo materiale potrebbe diventare un corpus di commenti che si accresce man mano che il libro raggiunge categorie di pubblico diverse»17 .
I cambiamenti non dovrebbero riguardare però solo i prodotti editoriali, ma anche il sistema della loro circolazione e commercializzazione. Probabilmente il futuro è nello streaming, una forma di fruizione che ha già rivoluzionato in altri settori il rapporto fra “possesso” e “accesso” e tra “offerta” e “uso”. Più saranno ricchi e complessi gli oggetti digitali e più sarà inevitabile, anche per questioni legate alla pesantezza dei file, il ricorso a questa modalità. L’evoluzione dei consumi culturali trova nello streaming la sua forma naturale per accedere facilmente e in autonomia a grandi quantità di prodotti culturali, di informazione e di intrattenimento. Si tratta di un sistema molto competitivo rispetto alle tradizionali forme di acquisto e fruizione (non occupa spazio, costa poco, consente un accesso praticamente illimitato a oggetti che non si deteriorano con l’uso, ci libera da qualsiasi vincolo costituito dall’offerta e dai palinsesti) ed è perfettamente coerente con il mondo della rete in cui siamo immersi. La musica, la radio e le televisioni sono entrate pienamente in questa nuova era e ne sono state completamente stravolte. Parimenti, la
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17. Per una più compiuta presentazione di questo modello, cfr. R. Darnton, Il futuro del libro, trad. it. A. Bottini, Adelphi, Milano 2011, pp. 99-103.
distribuzione dei prodotti editoriali potrebbe avvenire tramite abbonamenti a tariffe flat per accedere a una quantità enorme di libri, riviste, giornali18 .
Sono questi solo alcuni esempi per descrivere il mondo in cui stiamo transitando e quanto potrebbe essere diverso entrarci fino in fondo o viverne ai margini.
18. È quanto avviene già con il servizio Kindle Unlimited di Amazon, che per 9,99 euro al mese offre l’accesso a oltre un milione di e-book. 25
QUESTO VOLUME, SPROVVISTO DI TALLONCINO A FRONTE (O OPPORTUNAMENTE PUNZONATO O ALTRIMENTI CONTRASSEGNATO), È DA CONSIDERARSI COPIA DI SAGGIO - CAMPIONE GRATUITO, FUORI COMMERCIO (VENDITA E ALTRI ATTI DI DISPOSIZIONE VIETATI: ART. 21, L.D.A.). ESCLUSO DA I.V.A. (DPR 26-10-1972, N.633, ART. 2, 3° COMMA, LETT. D.). ESENTE DA DOCUMENTO DI TRASPORTO. QUAD RICER 56 LA GIORNATA DI UN LETTORE3877 La giornata di un lettore Un progetto di educazione alla lettura dell’Associazione degli Italianisti e del Centro per il Libro e la Lettura
Quanto conta per l’esercizio consapevole della cittadinanza la consuetudine con la lettura? E come educare gli studenti al piacere della lettura come risorsa permanente, che dal tempo della scuola si estende all’intera esistenza? Il progetto “La giornata di un lettore”, che le Associazioni degli Italianisti di scuola e università (Adi-SD e Adi) hanno intrapreso in collaborazione con il Centro per il libro e la lettura (CEPELL), è nato dalla consapevolezza che è necessario agire nella scuola a tutti i livelli per educare i giovani e i futuri cittadini a una disponibilità costante all’apprendimento e allo sviluppo di un pensiero critico, fondamentali per fronteggiare le sfide della attuale società globalizzata. La convinzione che la frequentazione costante della pagina scritta, in qualsiasi forma e attraverso qualsiasi supporto, sostenga le competenze fondamentali di cittadinanza, ci permette di immaginare nuovi paradigmi, di pensare, ad esempio, che accanto a un PIL economico e finanziario, si possa costruire un PIL della cultura, forse più importante per garantire una convivenza pacifica e democratica. Questo Quaderno restituisce alcune delle esperienze didattiche compiute nell’ambito del progetto nell’anno scolastico 2019-20. La feconda collaborazione con il CEPELL sta proseguendo, con l’auspicio di costituire anche nella scuola dei “presidi permanenti” di lettura, che offrano a tutti i cittadini e a tutte le cittadine gli strumenti per affrontare positivamente le sfide di un mondo connesso e complesso.
Lucia Olini insegna Lettere in un liceo veronese. È impegnata nella ricerca didattica e nella formazione dei docenti. Attualmente è vicepresidente dell’Adi-SD.
Silvia Tatti insegna Letteratura italiana alla Sapienza; si occupa di formazione insegnanti e presiede l’Adi-SD.
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LA GIORNATA DI UN LETTORE