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Alla ricerca delle competenze: la definizione del contesto
20 vari documenti, articolazioni e indicazioni ha prodotto sulle competenze. Si tratta di una dinamica di questi ultimi decenni che, non va nascosto, ha generato talvolta un senso di disorientamento: occorre quantomeno contestualizzarla in una cornice di norme e di senso.
Si usano, e le assimiliamo volentieri, metafore e modelli di struttura che possono spiegare il senso delle scelte. La tavola, l’atlante, la mappa. Il concetto di mappa e delle sue implicazioni e potenzialità è ben spiegato da Gregory Bateson1:
LA mAPPA NoN È IL TeRRIToRIo e IL Nome NoN È LA CoSA DeSIGNATA Questo principio, reso famoso da Alfred Korzybski, opera a molti livelli esso ci ricorda in termini generici che quando pensiamo alle noci di cocco o ai porci, nel cervello non vi sono né noci di cocco né porci ma in termini più astratti la proposizione di Korzybski asserisce che sempre quando c’è pensiero o percezione oppure comunicazione sulla percezione vi è una trasformazione, una codificazione, tra la cosa comunicata, la Ding an sich, e la sua comunicazione Soprattutto, la relazione tra la comunicazione e la misteriosa cosa comunicata tende ad avere la natura di una classificazione, di un’assegnazione della cosa a una classe Dare un nome è sempre un classificare e tracciare una mappa è essenzialmente lo stesso che dare un nome
La TPC in quanto mappa è infatti il frutto di una classificazione e di una scelta di campo – l’universo delle competenze – che consiste nella delimitazione del territorio e nell’attribuzione di posizioni specifiche e riconoscibili.
I documenti propongono diverse competenze (e non sempre con gli stessi nomi): ora disciplinari, ora trasversali, ora di cittadinanza, ora soft oppure light, ora vengono definite chiave, e così via.
In questo panorama estremamente variegato il nostro lavoro di docenti è stato quello di prendere una posizione cercando di sistematizzare nella TPC una serie di competenze: una mappa della trasversalità dei saperi e una visione del territorio d’insieme dell’apprendimento.
Alla ricerca delle competenze: la definizione del contesto
L’acquisizione-potenziamento delle competenze dei soggetti in formazione, quali che siano la loro età e il grado scolastico in cui si trovano, prevede sempre processi complessi, che comportano un ruolo attivo del docente. L’esperienza di quest’ultimo si basa naturalmente sulla conoscenza diretta del contesto.
1. G. Bateson, Mente e natura, trad. it. G. Longo, Adelphi, Milano 1984, p. 47.
Cogliere la condizione di partenza di ciascuno e della classe nel suo insieme, progettare in funzione del contesto specifico e d’Istituto (a livello individuale e di classe, secondo indicazioni dei dipartimenti disciplinari, piano triennale dell’offerta formativa, regolamenti allegati ecc.) significa già realizzare azioni che richiedono un alto livello di traduzione dal generale al particolare: il docente è chiamato a leggere esigenze e bisogni di una realtà che non sarà mai propriamente riconducibile a rappresentazioni sintetiche e di sistema. Se queste ultime sono però quadri normativi è indubbio che siano uno snodo imprescindibile della programmazione e che debbano essere, nel rispetto delle varie realtà dei contesti della scuola vissuta, lo scenario di una visione strategica volta al raggiungimento degli obiettivi di crescita umana e culturale dei soggetti.
Insomma, “tradurre” nell’azione didattica stabilendo una concreta connessione tra norma e realtà, facendo, per così dire, parlare l’impianto normativo non in modo sommario e superficiale, ma operando lo sforzo di capire come questo possa invece essere uno strumento utile nell’articolare un impianto che funzioni nella scuola reale, intesa come esperienza di vita e comunità di pratiche, e che favorisca un’educazione e una didattica per competenze.
In questo senso cercare coesione e sistema nel variegato contesto normativo non è un esercizio generico e senza una specifica prospettiva, ma anzi è un’operazione da condurre tenendo conto dello specifico focus sulle competenze.
Se da una parte dunque lo scopo è chiaro, da un’altra si deve legare la costruzione del contesto all’oggetto da trattare: la domanda su quali competenze osservare, a questo punto, non è affatto banale, perché nel momento in cui si inizia a leggere il corpus di leggi, decreti, indicazioni e quadri, si rischia un po’ di perdere la bussola. È quanto ci siamo proposti di fare nel capitolo 2.
Ma in questa introduzione vogliamo già anticipare il nodo centrale dell’operazione condotta con la TPC. La sua ideazione è stata appunto concepita come una bussola da tenere sempre a portata di mano e che aiuta a muoversi tra le varie questioni normative. Vediamo dunque di collocare la TPC nell’orizzonte normativo.
Un esempio concreto può essere utile.
Per farlo, consideriamo le dinamiche legate alla certificazione delle competenze e vediamo come si possono affrontare con la TPC.
Se occorre certificare le competenze per l’assolvimento dell’obbligo scolastico a conclusione del primo biennio della scuola secondaria superiore, ci si deve attenere al modello ministeriale (D.M. 9/2010), che organizza competenze per assi disciplinari.
La prima questione è già posta dal fatto che queste competenze nella cer-
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22 tificazione sono esplicitamente presentate come qualcosa che si fonda su altre competenze, più generali – competenze chiave di cittadinanza italiana (D.M. 139/2007) – e che queste altre, a loro volta e in una certa misura, risultano coincidenti con le competenze chiave per l’apprendimento permanente previste dalla Raccomandazione europea del 2006, ma poi riviste nel 2018.
Quale deve essere la relazione tra questi tre gruppi di competenza? L’uno riassume l’altro? In quale misura? Come conciliare la logica degli assi disciplinari, tipica della certificazione, con le competenze a cui si ispira, la cui articolazione è del tutto libera da gabbie concettuali che definiscono recinti per discipline?
Inoltre, quale rapporto c’è tra questa certificazione e quella del primo ciclo, nonché con i riferimenti alle competenze nelle linee guida e nelle indicazioni di licei, istituti tecnici e istituti professionali?
La risposta a tutte queste domande potrebbe essere la TPC, soprattutto perché si propone semplicemente di semplificare e connettere in forma unitaria un sistema altrimenti disorientante.
Si pensi, per esempio, che le indicazioni nazionali per il curricolo nel primo ciclo richiamano le competenze europee del 2006, senza però alcun riferimento a quelle italiane di cittadinanza del 2007 che invece sono nella certificazione del secondo ciclo, mentre la certificazione nel primo ciclo è sperimentazione relativamente più recente (2017) e segue un modello che pare non guardare troppo a quanto già realizzato per l’altro ciclo.
Infine, se consideriamo anche i risultati di apprendimento comuni e propri dei vari tipi di Istituto (licei, tecnici o professionali), insieme alle competenze e agli obiettivi specifici di apprendimento previsti dai documenti del secondo ciclo per ciascuna disciplina, non possiamo non vedere come tutti questi aspetti rischino di rappresentare un quadro parallelo e non coincidente a quello della certificazione per l’assolvimento dell’obbligo.
Ma è chiaro che nella pratica didattica è opportuno ragionare invece con un unico quadro di riferimento, che possa ragionevolmente rendere conto dell’insieme dei risultati a cui si mira, senza dover pensare all’idea che una didattica per competenze sia cosa diversa dalla didattica tout court o che addirittura si debba moltiplicare l’azione didattica in funzione della diversità dei quadri di competenza da osservare.
Comunque, il rischio di confondere e complicare il lavoro è evitabile se non si perde la bussola e si hanno ben chiari alcuni punti di riferimento per orientarsi nel cammino: - le esigenze di formazione a ciascun livello e momento d’istruzione devono prevedere una decisa attenzione nel sapere osservare e anche distinguere tra competenze generali e trasversali e competenze disciplinari specifiche;
- la verticalizzazione dei percorsi di apprendimento deve rispondere alle esigenze in modo da favorire la lettura dell’itinerario compiuto in ciascuna competenza posta sotto osservazione; - la logica della certificazione delle competenze deve tradursi in un’effettiva pratica didattica nel corso di tutto il percorso formativo del soggetto, così che veramente si giunga a un’idea di certificazione reale e non puramente burocratica-amministrativa e a posteriori.
Quindi, nel caso dell’esempio della certificazione dell’assolvimento dell’obbligo, la risposta che la TPC fornisce viene da una scelta di campo, l’italiano, e da un punto da cui partire, un testo normativo tra quelli indicati, da usare come pietra di paragone con tutti gli altri testi, consapevoli della natura sperimentale del lavoro e della integrabilità della tavola che ne sarebbe risultata nel momento in cui si fosse innescato il confronto tra i documenti.
Per la definizione del quadro d’insieme e dei singoli elementi della TPC, che parte dalla specifica attenzione sull’italiano, si è guardato innanzitutto all’impostazione delle Indicazioni nazionali per i licei e poi a quella delle Linee guida di tecnici e professionali. Ci sono alcune differenze: in queste ultime, ad esempio, nel primo biennio si riprende come modello di riferimento sia quello della certificazione del 2010, sia, a ben vedere, quello dei Piani di Studio elaborati nella proposta redatta dalla Provincia autonoma di Trento nel giugno 2009, mentre questi modelli non si ritrovano nelle indicazioni liceali.
Si è riflettuto su tutto ciò che il testo normativo delle indicazioni va a definire in termini di “linee generali e competenze” e poi di “obiettivi specifici di apprendimento”, rispettivamente per lingua e letteratura e secondo la suddivisione degli obiettivi tra primo biennio e secondo biennio e quinto anno.
Sono così emersi dalla lettura alcuni gruppi di competenze classificabili inizialmente per direttrici di azione: leggere, scrivere, parlare, comprendere, conoscere, riflettere.
A loro volta una grande pluralità di aspetti sono risultati centrali per sostanziare le direttrici: l’uso personale della lingua, la chiarezza e la proprietà lessicale, varie operazioni fondamentali di ordine comunicativo e di riflessione nell’utilizzo di strumenti e nel cogliere fenomeni e contesti letterari, storici, culturali, nel ragionare sugli scopi della comunicazione umana e letteraria, nel favorire l’esperienza della lettura e l’acquisizione di metodi.
Dopo questa prima fase di lavoro si è proceduto a raffinare lo sguardo e a integrarlo, proprio attraverso il confronto con le linee guida di tecnici e professionali che appaiono piuttosto frutto di una ripresa delle competenze della certificazione. Nel D.M. 9/2010 si lavora su tre macro-competenze, che nelle linee guida vengono riproposte e integrate o meglio esplicitate: da tre diventano sei, tra cui una – «utilizzare gli strumenti adeguati, anche multimediali, per una fruizione consapevole del patrimonio letterario e artistico» – è
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24 evidentemente il prodotto della fusione delle due competenze previste nella certificazione ma per “altri linguaggi” («utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico e letterario» e «utilizzare e produrre testi multimediali»).
L’operazione condotta dalle linee guida dei tecnici e professionali è poi interessante perché dà molto rilievo alle competenze, sia in fase di progettazione didattica, sia nella realizzazione delle attività, sia infine per l’importanza del momento valutativo.
Alla fine, dal confronto tra i documenti, si arriva a comprendere come la Tavola Periodica delle Competenze possa essere lo spazio concettuale in cui, stringendo lo sguardo per cogliere un maggiore dettaglio rispetto a quello della certificazione, benché in una prospettiva unitaria e larga, si può consentire l’osservazione della certificazione sì, ma e nel contempo una più ampia visione d’insieme, in grado anche di rendere conto, in buona sostanza, anche delle altre sollecitazioni che inizialmente sono state presentate come un apparente problema: raccomandazioni europee, competenze di cittadinanza, indicazioni primo ciclo.
L’esempio naturalmente serve solo a entrare subito nel vivo delle questioni che ci siamo proposti di illustrare.
L’idea di base è che la TPC possa essere un punto di connessione e di traduzione nell’intero arco di osservazione delle competenze, a partire da quelle d’ingresso che nel secondo ciclo sono certamente quelle d’uscita del primo ciclo, fino a quelle che sono prospettate come risultato atteso alla fine del percorso quinquennale di licei, tecnici, professionali (competenze in uscita del secondo ciclo). E ciò senza trascurare le prospettive delle raccomandazioni europee, della certificazione INVALSI, delle competenze digitali e di cittadinanza, ricomprese nelle voci della TPC desunte dalla normativa del secondo ciclo o esplicitamente integrate qualora non sufficientemente espresse dalla medesima normativa.
La didattica per competenze deve avere questa visione complessiva del panorama e della linea di orizzonte, non certo perché in ogni singola azione didattica si osservi tutto, ma perché per ogni azione si possa dire quale parte della mappa delle competenze si è esplorata e quanto sia rappresentativa.
La formazione di quello che la normativa chiama metaforicamente uno “zoccolo duro” di competenze di base e trasversali richiede tempo, gradualità, lavoro in continua marcia verso il potenziamento delle competenze e la condivisione tra i saperi.
L’italiano può essere, a nostro avviso, una chiave che favorisce tutto questo, molto oltre il recinto della disciplina, in quanto è chiamato, per evidenti ragioni culturali-comunicative, a un ruolo certamente trasversale.
E, a conti fatti, vedremo che la TPC in definitiva rappresenta competenze che, per quanto focalizzate sull’italiano, possono ampiamente soddisfare
anche molti aspetti di osservazione di competenze fondamentalmente trasversali e che sono oggetto di riflessione di molte altre discipline.
I curatori ci tengono a chiarire che il presente volume è il frutto di un lavoro collettivo.
Ogni sua parte, pur nelle diverse attribuzioni di capitoli e/o paragrafi a vari autori, resta espressione di uno scambio e di una collaborazione che ha visto il coinvolgimento di tutti i membri del gruppo di ideazione della TPC:
Paola Andreoli (Liceo “Andrea Maffei” - Riva del Garda (TN)
Anna Maria Bisi (Liceo “Andrea Maffei” - Riva del Garda (TN)
Fabio Di Pietro (Liceo “Domenico Alberto Azuni” - Sassari)
Stefano Lotti (Liceo “Andrea Maffei” - Riva del Garda (TN)
Michele Ruele (Liceo “Galileo Galilei” - Trento)
Emilia Seghetti (Liceo “Enrico Fermi” - Bologna)
Marina Usala (Liceo “Stanislao Canizzaro” - Palermo).
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