Il Sapere secondo Dante

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urante il mio percorso scolastico tanti sono stati gli argomenti letterari e scientifici appassionanti e di singolare interesse, con cui ho avuto modo di confrontarmi. Ma un particolare approccio, non solo a livello scolastico, ma anche personale è stato sempre quello con il Sommo Poeta, Dante Alighieri.

Già nel “Convivio” Dante aveva cercato di instaurare questo connubio, questa relazione universale tra i diversi ambiti del sapere; ma sfortunatamente, o fortunatamente, la sua opera non trovò conclusione, rimanendo ferma al quarto di quattordici trattati precedentemente ideati. Sotto tale aspetto, però, ciò che non ha completamento nel “Convivio” trova poi sbocco nella sua opera di maggior rilievo e capolavoro quale è la “Divina Commedia”. Numerosi sono, infatti, gli excursus scientifico – umanistici nelle tre cantiche che compongono il poema: se ne contano circa un centinaio soltanto di carattere astronomico, per non menzionare quelli politici, filosofici e matematici. Quindi ciò che il mio lavoro si propone di fare, sulla scia della navicella dello ingegno dantesco, è di confrontare alcuni precisi concetti, estrapolati dalle cantiche della Divina Commedia, con argomenti attinenti al programma del corrente anno scolastico. Per cui, premesso ciò, mi accingo ad iniziare “puro e disposto a salire alle stelle”.

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“Nel mezzo del cammin di nostra vita…

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ella concezione medievale uno degli ambiti del sapere più diffusi era la filosofia, in quanto veniva vista come il punto d’incontro e l’insieme di tutta la conoscenza umana. Dante stesso afferma nel “Convivio” di essersi dedicato per ben trenta mesi agli studi filosofici; di conseguenza tale dottrina ha notevole importanza anche all’interno della Commedia. Udiamo infatti dalle parole di Virgilio… “<<Filosofia>>, mi disse, <<a chi la ‘ntende, nota, non pure in una sola parte, come natura lo suo corso prende dal divino intelletto e da sua arte;” (If. XI 97 – 100) Venuto a contatto con le prime anime del Paradiso, uno dei primi dubbi del poeta è quello riguardante la condizione dei Beati. Dante domanda, infatti, se gli spiriti dei rispettivi cieli non desiderino essere più vicini a Dio di quanto già sono; ma l’anima di Piccarda Donati ben gli risponde, in qualità di “beata in la spera più tarda”, descrivendo la pienezza della beatitudine per tutte le anime del Paradiso. “<<Frate, la nostra volontà quieta virtù di carità, che fa volerne sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.” (Pd. III 70 – 72)

Le parole di Piccarda definiscono quindi il giusto rapporto fra giustizia e felicità: è la forza di carità che fa si che ogni beato altro non voglia che stare li dove la volontà divina lo ha posto. Tale felicità inappagata, vissuta nella vicinanza e comunione tra i beati e “colui che tutto move”, può ricondurci ad uno dei concetti fondamentali espressi dalla filosofia di Sǿren Kierkegaard. Questi, nello spiegare la sua concezione della condizione umana, adotta una visione contrapposta a quella dantesca. In una delle sue opere di maggior rilievo, Aut – Aut, Kierkegaard descrive due differenti modelli esistenziali: quello estetico e quello etico, cui si aggiungerà poi anche quello religioso.

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Secondo il filosofo sia il modello estetico, che quello etico, rispettivamente riconducibili alle cosiddette <<carte di A>> e <<carte di B>>, sono contraddittori ed implicano, quindi, un superamento. In particolare viene enfatizzato da Kierkegaard il carattere contraddittorio dello stato Etico, il quale, impersonato dal Giudice Whilelm, conduce immediatamente al riconoscimento di sé e, contemporaneamente, ad un riconoscimento di fronte a Dio. L’uomo etico quindi si sa inadeguato di fronte a Dio, non può accettarsi, ma non può neanche rifiutarsi, in quanto sostanza autocosciente. Tale tensione può essere vista anche a livello della natura umana: l’uomo è composto da anima e corpo, si sa finito, ma aspira all’infinito: a questo punto può accettarsi, ma non lo fa in quanto insufficiente a se stesso, ma non può neanche rifiutarsi, poiché entrerebbe in contrasto con la propria essenza. Tale contraddizione irrisolta genera la disperazione, quella che Kierkegaard chiama “malattia mortale dell’animo”, cioè “ vivere la morte dell’Io”. L’unico superamento può avvenire tramite la religione, ma ciò presupporrebbe un abbandono totale alla fede, quindi una scelta, la quale darebbe vita così al nuovo sentimento dell’angoscia. Per cui, mentre le anime dei beati accettano se stesse incondizionatamente e in comunione con la volontà di Dio, l’uomo di Kierkegaard rimane fermo nel Limbo della sua disperazione e lontano da Dio stesso.

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el corso della sua vita Kierkegaard vide susseguirsi sul trono di Danimarca diversi sovrani, cosa che generò una certa instabilità politica contornata da numerosi conflitti. È interessante notare quanto la guerra abbia in ogni tempo segnato la vita e la coscienza umana: lo stesso Dante nella Commedia si serve per ben diciotto volte del termine guerra. Sappiamo, infatti, che in quel preciso periodo storico, cui risale la stesura della Divina Commedia, la città di Firenze era scissa dal profondo conflitto civile tra i Guelfi e i Ghibellini, evento che aveva poi costretto il Sommo Poeta a concludere la sua esistenza in “terra straniera” lasciandolo indignato davanti a una Firenze talmente decaduta da apostrofarla nella prima e nella seconda cantica con aspre parole… “Godi, Fiorenza, poiché se’ si grande Che per mare e per terra batti l’ali e per lo ‘nferno tuo nome si spande!” (If. XXVI 1 - 3)

“e ora in te non stanno sanza guerra li vivi tuoi, e l’uno e l’altro si rode di quei ch’un muro e una fossa serra”. (Pg. VI 82 – 84)

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La lotta tra Guelfi e Ghibellini è solo uno dei tanti esempi di conflitto civile che, nel corso della millenaria storia italiana si sono verificati; ma tra i più recenti possiamo citare la lotta sanguinosa tra le fazioni partigiane, la Resistenza, e quelle fasciste durante il Secondo Conflitto Mondiale. In seguito all’arresto di Mussolini, imprigionato poi sul Gran Sasso, fu firmato, il 3 Settembre 1943, il Patto di Cassibile, il quale prevedeva l’armistizio tra le truppe italiane e quelle anglo-americane. Il patto venne reso noto dopo pochi giorni, precisamente l’8 Settembre 1943, ma nessun ordine era stato dato ai soldati riguardo il trattamento da riservare alle truppe degli exalleati e, in molti casi, la situazione si concluse in un vero e proprio massacro come, ad esempio, la famosa strage di Cefalonia. Alla fine del Settembre 1943 l’Italia era quindi politicamente divisa in due parti: il centro e il sud, annessi al Regno d’Italia, appoggiato dagli alleati, e il nord, occupato dalla Repubblica di Salò, la quale era stata fondata da Mussolini stesso in seguito all’evasione dal Gran Sasso per opera dei tedeschi. Il 13 Ottobre 1943 l’Italia dichiarò guerra alla Germania e gli Italiani si trovarono così di fronte alla profonda scelta dello schieramento. Alcuni giudicarono tradimento il “ voltafaccia” della monarchia nei confronti dei Tedeschi e si schierarono a fianco di Mussolini. Altri scelsero di schierarsi contro i fascisti e contro i tedeschi, dando vita alle truppe Partigiane: iniziò così per l’Italia il fenomeno della Resistenza. Sulla definizione di tale fenomeno come vera e propria guerra civile, si è molto discusso negli ultimi anni, ma una singolare interpretazione è stata data dallo storico Claudio Pavone nel 1991. Secondo lui, infatti, possiamo affermare che all’interno della famosa Resistenza si intrecciarono tre diversi tipi di conflitti: • Una Guerra Patriottica, per liberare il paese dai tedeschi; • Una Guerra Civile, tra i Partigiani e i Fascisti della Repubblica di Salò, meglio noti come Repubblichini; • Una Guerra di Classe, condotta soprattutto dai Comunisti, contro i ceti capitalisti e agrari che avevano precedentemente sostenuto il Fascismo.

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a problematica politica della nostra nazione è stata sempre nel corso dei secoli così tormentata, che per più di mille anni, dai tempi dei Longobardi, fino al 1861, anno dell’Unità, la nostra Italia rimase divisa e contesa tra i vari usurpatori. Analogamente alla condizione politica, anche la questione linguistica della Nazione costituiva un problema molto vasto, in quanto spesso gli abitanti delle diverse zone trovavano numerose difficoltà nel comunicare tra loro. Già il Sommo Poeta aveva precedentemente affrontato il problema della questione della lingua nel “De Vulgari Eloquentia”, anch’esso, come il Convivio, rimasto incompiuto. “La lingua ch’io parlai fu tutta spenta innanzi che a l’ovra inconsumabile fosse la gente di Nebròt attenta”. (Pd. XXVI 124 – 126) Successivi al tentativo di Dante si registrano gli interventi di Machiavelli, Bembo, Trissino, Castiglione, che a lungo hanno preso parte al dibattito linguistico Nazionale. Ma soltanto nel XIX secolo si arrivò ad una forma linguistica tale da poter, in futuro, diventare Nazionale, grazie all’intervento di colui che “andò a sciacquare i panni in Arno”… Alessandro Manzoni. L’elemento portante del contributo linguistico manzoniano può essere sicuramente individuato in quello che rappresenta il capolavoro della sua letteratura: “I Promessi Sposi”. Come sappiamo, infatti, possono essere classificate riguardo l’opera ben tre redazioni e due edizioni. La prima redazione, inedita, risale al 1821-23, con titolo “Fermo e Lucia”; la seconda, “I Promessi Sposi” pubblicata nel 1827; e infine un’ultima edizione nel 1840. Tra le due edizioni vi sono essenzialmente differenze linguistiche, le quali rispecchiano l’idea della fiorentinità della lingua, elaborata da Manzoni, mentre la prima redazione presenta differenze tanto profonde, da essere considerata un altro romanzo. Con la redazione finale de “I Promessi Sposi” Manzoni fornisce alla letteratura moderna un nuovo modello di lingua letteraria. Il romanzo, nel modo in cui era stato concepito dall’autore, doveva essere indirizzato alla moltitudine delle genti, ma ciò era ostacolato dalla profonda differenza tra la lingua parlata e la lingua letteraria 6


scritta del tempo: l’autore stesso, in una lettera a Fauriel, lamenta la difficoltà che oppone la lingua italiana alla stesura di un romanzo. Fondamentale è per lui il viaggio a Firenze del 1827, in seguito al quale egli decide che la lingua da usare, sia nella letteratura, sia nella vita sociale, è il fiorentino delle persone colte. Nonostante, però, Manzoni si distacchi dal romanzo nell’ultimo periodo della sua produzione letteraria, in quanto lo ritiene un’ibridazione tra realtà e fantasia, il problema linguistico continua ad essere fondamentale. Egli infatti scrive numerosi trattati di carattere linguistico, tentando soprattutto di individuare un modo per poter diffondere la Lingua Fiorentina in tutta la Nazione. La soluzione trova in Manzoni un duplice sbocco: da una parte essa consisteva nella stesura di un “Vocabolario della Lingua Italiana”, dall’altra nel mandare messi fiorentini in tutta Italia affinchè potessero insegnare la lingua agli abitanti delle diverse regioni. Benchè questa sembrasse un’ottima soluzione, fu però rifiutata dal governo d’Italia, di cui Manzoni faceva parte, in quanto la lingua veniva considerata come qualcosa che va sviluppandosi e crescendo con la Nazione e quindi con il popolo cui appartiene: pertanto, essa non può essere imposta, come invece prevedeva la riforma manzoniana.

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ltre gli evidenti contributi linguistici che il Sommo Poeta ha apportato alla nostra tradizione, è importante anche l’aspetto della moralità: infatti, assistiamo sempre nella Commedia alla contrapposizione tra le virtù dei Beati e i vizi dei peccatori. Non a caso nella prima cantica Dante colloca nel primo cerchio, il Limbo, i cosiddetti Spiriti Magni, cioè tutti coloro che nel corso dell’esistenza umana hanno lasciato a tal proposito dei fondamentali insegnamenti, pur avendo vissuto in un’epoca antecedente alla venuta di Cristo e che, quindi, “non ebber battesmo”… “e vidi il buon accoglitor del quale Diascoridie dico, e vidi Orfeo, Tulio e Lico e Seneca morale”. (If. IV 139 – 141) Non è casuale il fatto che tra i gli innumerevoli Spiriti del Nobile Castello del Limbo vi sia proprio Lucio Anneo Seneca, né tanto meno che questi venga da Dante definito “morale”. Infatti nel suo intento, in qualità di precettore, di indirizzare sulla retta via il Principato di Nerone, il latinus poeta fornisce numerose opere di carattere moralistico, quali i Dialogi, leEpistulae Morales ad Lucilium, le Novem Coturnatae, ma quella che sicuramente incarna maggiormente lo spirito morale è il De Clementia. 7


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l De Clementia, pubblicato tra il 55 e il 56 d.C., si compone di due libri i quali delineano, sotto forma di trattato politico il programma di governo del presunto “Sovrano Illuminato” che Seneca identifica in Nerone, esplicito dedicatario dell’opera. Dal punto di vista filosofico l’opera risente, come quasi tutta la produzione di Seneca, dell’influenza della dottrina stoica: infatti, quel logos che per gli stoici governa l’universo, si incarna qui nel princeps che deve, a sua volta, governare lo stato, impersonando la figura del saggio stoico. Contemporaneamente anche il concetto di clementia viene riconsiderato nell’ottica dello stoicismo: infatti, essa era originariamente una virtus romana da dover rivolgere agli hostes e poi, nel caso delle guerre civili, anche ai nemici interni; ma nell’opera di Seneca la clementia viene ad assumere il significato di instrumentum regni e, contemporaneamente, ampliata da Seneca, fino a diventare una virtù stoica impersonata dal “monarca come saggio”. Tra i numerosi argomenti di carattere morale, quelli fondamentali, e spesso presenti, sono le riflessioni sul tempo e sulla morte. Per quanto riguarda il tempo, questo è per Seneca, come vediamo nel dialogo De Brevitate Vitae, la cosa più preziosa che ci sia stata concessa, ma, nonostante ciò, l’uomo continua a sprecare quel prezioso tempo nell’otium. Nel caso della morte invece Seneca non esprime un pensiero finito: si accosta talvolta alla concezione platonica, vedendo la morte come la fine di ogni cosa, il nulla assoluto; altre volte si riallaccia, invece, allo stoicismo, secondo il quale l’anima sopravvive dopo la morte, seppur per un tempo limitato.

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a contrapposizione tra vizio e virtù, che caratterizza la dottrina dello stoicismo, è quindi sempre presente nella Commedia. Fondamentali sono infatti le tre virtù impersonate da Beatrice, Santa Lucia e Maria, contrapposte ai peccati degli “spiriti dolenti” dell’Inferno. “quivi sto io con quei che le tre sante virtù non vestiro, e sanza vizio conobber l’altre e seguir tutte quante” (Pg. VII 34-36)

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Tale conflitto tra vizio e virtù può essere riscontrato nella letteratura inglese del XIX Secolo nel personaggio wildeiano di Dorian Gray, in which sin has overcome virtues, enstablishing itself deep inside his corrupted soul.

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orian Gray is the protagonist of the homonymous work “The Picture of Dorian Gray”, which is the only novel Oscar Wilde has ever written. The story is set in London, where Dorian has inherited a big fortune from his dead grandfather. During his attempt to adapt himself to London society, he fascinates the painter Basil Hallward, who decides to portrait him. Dorian also meets at Basil’s place Lord Henry Wotton, a very cynical man, and it is right because of his influence, that Dorian would change its lifestyle. Sensive, after Lord Henry’s speech, that his youth, soon or later, would die, he wishes that his portrait could grew old for himself… and so it happens. Dorian begins living just for pleasure and so satisfies all his desires, while his sin outside signs are shown on the portrait instead of on himself body. At the end, after numerous killings and other horrible actions, Dorian feels oppressed by his own soul and wants to destroy the painting, in order to break himself free, but in the right moment he stabs the portrait, he kills himself. All his actions so fall back down on his shoulders, making him become the horrible figure he had always looked at in the portrait, while the painting returns at its original beauty. The story, of course, has an allegorical meaning and can be referred to Christophere Marlowe’s Doctor Faustus for the theme of the lust for power. Moreover the feature of the portrait stands for a critique to Victorian society: as matter of fact, during the Victorian Age, beautiful people were considered moral, while ugly people were immoral. Wilde shifts this concept upside-down showing, thanks to the magical portrait, that even if outside people could seem perfect, beautiful, moral and correct, their interior consciousness is not. So nothing is ever what it seems….. tutto non è sempre come sembra…

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e la moralità può essere considerata la perfezione al livello spirituale, quella relativa al carattere fisico della nostra esistenza è senz’altro la Geometria, elemento sempre presente nella Commedia. Infatti è sorprendente come il Sommo Poeta possa facilmente accostare un discorso di matrice storico-profetica, quale quello di Cacciaguida, a perifrasi di carattere geometrico. “O cara piota mia che si ti insusi che, come veggion le terrene menti non capere in triangol due ottusi” (Pd. XVII 13-15) In particolare possiamo considerare la Divina Commedia come un progetto interamente basato sul concetto di simmetria, come vediamo dalla struttura del baratro infernale, del monte del Purgatorio e del Paradiso stesso, formati sempre da cerchi concentrici, al numero 33 che ritorna sempre, alla parola “stelle”, che chiude le tre cantiche… “[…] le cose tutte quante hanno ordine tra loro, e questo è forma che l’universo a Dio fa simigliante” (Pd. I 103-105) Non a caso il concetto di simmetria è tanto importante per la struttura della Commedia, quanto indispensabile nel linguaggio matematico, sia dal punto di vista della Geometria Euclidea, sia da quello dell’analisi. Dal punto di vista geometrico possiamo considerare due fondamentali trasformazioni geometriche, appartenenti alla classe delle Isometrie: la Simmetria Assiale e la Simmetria Centrale. Consideriamo una retta a ed un punto P, preso sullo stesso piano di a. Da P tracciamo adesso la semiretta PP’, perpendicolarmente alla retta a, e chiamiamo H il loro punto d’intersezione; su PP’, nel semipiano opposto a quello di P prendiamo un punto P’, tale che PH=P’H. Diciamo quindi che P’ è il simmetrico di P rispetto a a; tale retta diventa quindi l’asse del segmento PP’. 10


Per cui… Si dice Simmetria Assiale quella particolare trasformazione geometrica che, data una retta a, associa ad ogni punto P del piano il suo simmetrico rispetto ad a, la quale viene detta asse di simmetria. Consideriamo inoltre un punto O in un piano e un punto P dello stesso piano di O; tracciamo la semiretta PO e su questa, da parte opposta rispetto ad O, consideriamo il punto P’, tale che PO=P’O. Diciamo quindi che P’ è simmetrico di P rispetto ad. Per cui: Si dice Simmetria Centrale quella particolare trasformazione geometrica che, dato un punto O, associa ad ogni punto P del piano il suo simmetrico rispetto a O, il quale viene detto centro di simmetria. Nel caso dell’analisi delle funzioni il concetto di simmetria ci riconduce alla definizione di funzioni pari e dispari. Infatti vediamo che: • Una funzione f di equazione y=ƒ(x) e di dominio D si dice pari se, per qualunque x appartenente al dominio, si ha che ƒ(x)=ƒ(-x), quindi il diagramma della funzione è simmetrico rispetto all’asse delle ordinate; • Una funzione f di equazione y=ƒ(x) e di dominio D si dice dispari se, per qualunque x appartenente al dominio, si ha che ƒ(-x)=-ƒ(x), quindi il diagramma della funzione è simmetrico rispetto all’origine degli assi cartesiani.

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osì come la simmetria, nella descrizione ambientale e paesaggistica, su cui Dante si dilunga per svariati versi, assume un ruolo altrettanto importante l’effetto luminoso e sonoro, a cui è sempre accostato ogni elemento dello scenario dantesco. “La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra e risplende in una parte più e meno altrove” (Pd. I 1-3) 11


Tali excursus di carattere descrittivo, che il filosofo Benedetto Croce definisce “parti di non-poesia”, sono sempre strettamente legati al carattere ottico e sonoro. Si passa infatti dai “sospiri, pianti e alti guai” degli ignavi nell’ Antinferno, al “grido di si alto suono” dei beati nel Paradiso… Dall’”aere sanza stelle”, al divino “cielo acceso di la fiamma del sol”. Tali considerazioni, come sappiamo hanno delle origini prettamente scientifiche e precisamente relative a quelle parti della fisica quali Acustica e Ottica. Fondamentale è la differenza tra le onde sonore e le onde ottiche: infatti, mentre il suono è un’onda di tipo meccanico, che quindi necessita di un mezzo di propagazione, la luce, invece, è un’onda elettromagnetica, la quale può diffondersi anche nel vuoto. Lo studio delle onde elettromagnetiche fu portato avanti dal fisico James Clerck Maxwell, il quale, dopo aver elaborato le sue equazioni sul Flusso e la Circuitazione del campo Elettrico e Magnetico, ricavò la dipendenza di E e B dalle variabili spaziali e dalla variabile di tempo, ottenendo un risultato sorprendente. Maxwell noto infatti che E e B riacquistano nel vuoto lo stesso valore vettoriale dopo un dato intervallo di tempo t, in posizioni poste sulla direzione ortogonale si a E, sia a B, e distanti fra loro d= t / √oµo , dove 1 / √oµo ha le dimensioni di una velocità. Quindi, è come se i due campi si fossero spostati nel vuoto, senza deformarsi, con velocità

vo = 1 / √oµo , mentre, invece, si propagherebbero nello spazio con velocità v < vo. Precisamente quindi B ed E si presentano come onde trasversali, per le quali possono essere definite: • Frequenza f, misurata in Hertz (Hz); • Lunghezza d’onda λ , misurata in metri, anche se spesso veniva utilizzato l’Armstrong ( 1 A=10-10m) o il nanometro (1nm= 10-9 A). 12


Ma il fattore essenziale e sorprendente è che, sostituendo i valori di o e µo, il valore vo coincide con il valore della velocità della luce c.

vo = c = 3,0 x 108 m/s = 300 000 Km/s Maxwell ipotizzò, quindi, che la luce consistesse in onde elettromagnetiche, appartenenti ad una particolare gamma di frequenze. Oggi, grazie agli studi successivi di Hertz e Righi, possiamo classificare le onde elettromagnetiche a seconda delle loro frequenze, raggruppate nello Spettro Elettromagnetico, e lunghezza d’onda λ:

• Onde Radio, occupano la parte a bassa frequenza dello spettro con lunghezza d’onda compresa fra 10 km e 10 cm; vengono utilizzate per trasmissioni radiofoniche e televisive; • Microonde, con lunghezza d’onda compresa fra 10 cm e 1 mm; sfruttate per forni a microonde e cellulari; • Radiazioni visibili, (la luce), con una lunghezza d’onda λ compresa fra 7 x 10-7 m e 4 x 10-7 m; • Radiazioni Infrarosse, lunghezza d’onda compresa fra 7 x 10-7 m e 1mm; la pelle la percepisce sotto forma di calore; • Radiazioni Ultraviolette, con lunghezza d’onda compresa tra 4 x 10-7 m e 10-8 m; favorisce determinate reazioni chimiche, ma possono provocare danni biologici; • Raggi X, con lunghezza d’onda tra 10-8 m e 10-11 m; sono sfruttati dagli esami radiologici; • Raggi γ, con lunghezza d’onda λ < 10-12 m; sono molto penetranti e possono essere pericolosi per gli esseri viventi; spesso sono usati per la radioterapia dei tumori.

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erfetta nella sua imperfezione concettuale astronomica, la commedia si adegua interamente al modello dell’universo tolemaico, quindi un modello Geocentrico. Di singolare importanza è, pertanto, la considerazione sul moto dei pianeti che Dante enuncia nel primo canto del Paradiso…

“Surge ai mortal per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella che tre cerchi giunge con tre croci con miglior corso e con migliore stella esce congiunta e la mondana cera più a suo modo tempera e suggella” (Pd. I 37-42) Ma oggi, a distanza di otto secoli, grazie soprattutto agli studi del grande Galileo Galilei che, come afferma Foscolo, “all’Anglo sgombrò primo le vie del firmamento”, siamo in grado di dimostrare la reale struttura del nostro Sistema Solare, non più Geocentrico, ma Eliocentrico. Il Sistema Solare è un sistema planetario che prende il nome dal corpo celeste più importante di cui è formato: il Sole, il quale permette la vita sul nostro pianeta, irradiando energia termica e luminosa.

Questo si trova al centro della nostra galassia di forma spirale, la cosiddetta “Via Lattea”. Il Sistema si compone di otto pianeti: Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano e Nettuno; fino a pochi anni fa anche Plutone era considerato un pianeta, ma studi recenti hanno dimostrato che si tratta solamente di un asteroide di grandi dimensioni. 14


Un ruolo fondamentale è sicuramente quello della Terra: questa viene anche definita il “Pianeta Blu”, poiché è formata per circa il 60% da acqua, ed è l’unico pianeta, almeno oggi, su cui sono state riscontrate delle vere forme di vita. La Terra, insieme a tutti gli altri pianeti del Sistema, compie un moto di rivoluzione intorno al Sole con un periodo di 365 gg e 6 h, e contemporaneamente un moto di rotazione intorno a se stessa, con periodo pari a circa 24 h.

Il moto di rivoluzione provoca l’alternanza delle stagioni, a seconda della posizione più lontana o più vicina della Terra da Sole, rispettivamente dette perielio e afelio, mentre il moto di rotazione comporta l’alternarsi del giorno e della notte. I moti della Terra, così come quelli di tutti i pianeti del Sistema Solare, sono regolati da alcune leggi astronomiche fondamentali, quali le Leggi di Keplero e di Newton. Tra il 1609 e il 1619 Keplero espose le sue leggi nell’opera Harmonices Mundi: 1. La prima Legge afferma che un pianeta percorre un’orbita ellittica intorno al Sole che occupa uno dei due fuochi; 2. La seconda Legge sostiene che il raggio vettore che collega il Sole al pianeta spazza aree uguali in tempi uguali; 15


3. La terza Legge dice che è constante il rapporto tra il quadrato del periodo ti rivoluzione e il cubo della distanza del pianeta dal Sole

p2 / d3 = K

p2 = d3

Sir Isaac Newton, elaborò, invece, in seguito a numerosi studi, sia sperimentali che teorici, la Legge di Gravitazione Universale. Questa afferma che la forza di attrazione gravitazionale tra due oggetti o, in questo caso, tra due pianeti, è direttamente proporzionale alle masse dei rispettivi corpi e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.

F ÷ m1m2

F ÷ 1/r2

Dove l’intera relazione dipenderà poi dalla costante G, detta costante di Gravitazione Universale, che ha valore pari a

G = 6,67 ×10-11 Nm2/kg2

Ciò spiega quindi perché la Terra aumenti o diminuisca la propria velocità in determinati punti della sua orbita ellittica. Molti studiosi nel corso della storia furono perseguitati dal potere ecclesiastico ed accusati di eresia per il loro studi, come nel caso di Galileo, che fu costretto al carcere e all’abiura, ma, nonostante ciò, dopo tutti questi anni, grazie ai loro preziosi insegnamenti, siamo finalmente in grado di conoscere quale sia realmente il nostro posto nell’universo e cosa è davvero…

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