Changing Territory | Ri-conoscere il territorio

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Ri-conoscere il territorio C hProcesso a n g i n g diTe densificazione r r i t o r y | U r burbana a n d enell’area n s i f i c a t i onord n i ndi RReggio e g g i oEmilia Emilia

UniversitĂ degli Studi di Ferrara | DIpartimento di Architettura Te s i d i L a u r e a M a g i s t r a l e a . a . 2 0 1 4 - 2 0 1 5

Lo re n z o C o n t i


Abstract

In un territorio di forte transizione i confini diventano labili e le realtà’ locali contese dalle veloci trasformazioni della modernità. Gli interventi che il comune di Reggio Emilia sta praticando in questi anni, come il nodo infrastrutturale della nuova stazione alta velocità, vedranno il territorio mutare aspetto e potranno generare nuove dinamiche sociali all’interno della società. La rete veloce fa vivere il territorio come luogo di passaggio. Una sorta di “non-luogo” che in urbanistica si esplicita spesso nelle periferie ai confini delle città o in tutti quei luoghi in cerca di un’identità. Ma nessun luogo, per quanto alienante o deteriorato, è banale. La periferia a nord di Reggio Emilia e’ infatti intessuta si, di innovazione, ma anche

di tradizione. In quest’ottica,

per il territorio controverso di Mancasale emerge la necessita’ di ridare identita’ consolidando i legami esistenti del tessuto urbano locale e valorizzando i luoghi dell’interazione. Occorre prendere vantaggio dalle strutture esistenti utilizzandole come serbatoio di esperienza, capaci di generare nuova vita e ottimizzando la gestione di un territorio attualmente impreparato al cambio di velocità. In questo contesto, una soluzione plausibile potrebbe essere data dallo sfruttamento della proprietà privata stessa, esplicitandone il grande potenziale dello spazio spesso inutilizzato. Sulla base di una diagnosi condivisa, è possibile portare le persone a discutere collettivamente sulle sorti del loro quartiere, dello spazio pubblico, e di tutto ciò che riguarda la vita di comunità. Grazie alla collaborazione potranno venire fuori idee per progetti residenziali e comunitari nati dalla volontà locale e si restituirà alla gente del posto un forte ruolo nella produzione di habitat. La realtà di Mancasale, data la sua storia di cooperative, artigianato ed imprenditorialismo potrebbe essere un ottimo terreno di sperimentazione, in una società e un territorio sempre più mutevoli.

In a land of transition, the fragile boundaries between the city and the rural pheriphery can always break down and local life be affected by the rapid changings of modernity. This happens when big infrastructure comes and the natural territory is not well prepared to it. Recently, the city of Reggio Emilia has been promoting new interventions, such as the High-Speed Rail Station. These infrastructure is located right in the


industrial area, out of the historical center. Whereas it is considered just a peripheral area, it actually represents the old entrance to the city to. It is crucial to maintein its configuration and its history. The new developments will problably trigger the local business towards a new market model and the relationships among the society could rapidly change. The city is well known for its entrepreneurial

skill. Its urban history

has been built with the ingenuity of its inhabitants, their cooperation skills and their strong relationship with the natural territory. The fast network make the landscape lived as a transition line. It becomes a kind of “non-place”. In urbanism terms it is usually related to any place in search of identity, such as many suburbs. The new railway station will bring a new stream of people. It is important to understand the lived urban spaces within the industrial context and taking care of them. When there’s no identity, architecture often loses stimuli or it seems unable to find out qualities but only problems. The point is that no place, even if uninteresting and degraded is trivial. The northen suburb of Reggio Emilia has not only an history of traditional countryside behind but innovation and

forward-looking attitude. Indeed community should reacts

to this overimposed

economic urban planning opposing a bottom-up local

development. It is now crucial to use the existing spots inside the urban pattern, adding just what is missing , linking undervalued paths and enhancing the qualities of interaction places. If we take advantage of the existing structure we can use them as a reservoir of knowledge, able to lead the development effectively. Indeed, big changes can be assimilated only by a proper use of existing facilities, without wasting of resources and optimizing the present shape. In this context, a solution can be obtained by the use of private property itself, bringing out the great potential of the space underused. With a shared analysis, it is possible to bring people discussing collectively on the future of their neighborhood, public space, and everything about community life. Collaboration will be crucial for local communities, in order to come out with new ideas and projects. The private property multiplies and it generates a virtuos local market. To build something grown from the dweller’s will, is the key for a smart land developement and it gives people back a strong role in the production of urban habitat. The reality of Mancasale, the northern area of Reggio Emilia, given its history of social cooperatives, handicraft and entrepreneurship, would be a proper testing ground in a increasingly society and a changing territory.


parte 1

1 Reggio Emilia, città del dialogo interculturale Future dialogue on diversity in Reggio Emilia 1.1 Spazio multiculturale; 1.2 Situazione abitativa e cooperazione; 1.3 Architettura multiculturale; 1.4 Ghettizzazione 1.5 Vicinato; 1.6 Le azioni della città multiculturale

2 Nuova velocità High speed city 2.1 Contestualizzazione del modello; 2.2 Futuro sostenibile 2.3 Situazione attuale; 2.4 Sistema della viabilità e percorsi pedonali 2.5 Il progetto della Spina Verde

3 Vita di Quartiere Nighborhood life 3.1 Le sorti del quartiere; 3.2 Limiti e microsistemi 3.2 Quartiere futuro

4 Timeline 4.1 Territorio anfibio; 4.2 I mulini della memoria collettiva 4.3 La fisionomia di Mancasale

5 Il processo di densificazione Ri-densification 5.1 Strategia; 5.2 Infilling

6 Metodo economico Economic strategy 6.1 Il potenziale della proprietà privata; 6.2 Pareri contrastanti


parte 2 |

Low-cost Architecture

7 costruire a basso costo Cost-effective buildings 7.1 Una questione di standard; 7.2 Progettazione particolareggiata 7.3 Ritorno al locale

8 Libertà di utilizzo Usability 8.1 Flessibilità; 8.2 Soluzioni non convenzionali; 8.3 Legami 8.4 Accessibilità

9 Architettura effimera Fragile Architecture 9.1 Architettura delle immagini

parte 3 10 Il nuovo quartiere The quartier 10.1 Analisi; 10.2 Ri-conversione; 10.3 Programma funzionale 11 Centro multiculturale di formazione Multicultural education centre 11.1 Spazio intermedio; 11.2 Funzione sociale

12 Bibliografia e Sitografia

























1 Reggio Emilia | Città del dialogo interculturale

Spazio Multiculturale 1.1

La provincia di Reggio Emilia rappresenta una delle province italiane con la più alta percentuale di popolazione straniera residente. Dati statistici alla mano, si può infatti notare che su 172,000 abitanti, il 18% è costituito da stranieri. Le etnie predominanti sono quella cinese, con il 13% rispetto all’intera

popolazione

immigrata,

seguono

poi

i

gruppi

minoritari composti da albanesi, marocchini, ucraini, rumeni, ghaniani e moldavi. Il tasso di crescita della popolazione negli ultimi 10 anni è del 10% con un’età media attorno ai 42 anni. Questa crescita demografica non è derivante solo dall’arrivo di numerosi stranieri in cerca di lavoro e di una condizione stabile ma alimentata anche da un flusso interno, regionale e interregionale, soprattutto dalle regioni Abruzzo, Calabria e

Area Nord di Reggio Emilia

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Campania1. L’incipit statistico appena fornito illustra efficacemente il contesto emiliano e getta le basi per ogni eventuale intervento futuro, obbligando di fatto gli operatori del territorio ad un approccio sensibile alle problematiche socioculturali di questo ambiente multiculturale. Tra i dati più significativi vi è il tasso di natività della popolazione straniera rispetto a quella italiana. Sfiorando il rapporto previsto di 1/3 di nati da coppie straniere sul numero totale delle nascite, l’andamento di tale fenomeno fa comprendere bene quale sia la direzione di questo cambiamento demografico. Particolare interesse riveste, dunque, la questione della nuova generazione di immigrati e come questi troveranno modo di radicarsi nella popolazione locale, di generazione in generazione. Queste nuove generazioni, definite con il nome di seconde generazioni, sono composte da figli di immigrati o

terziaria G2

non-nationals

18%

foreign-born nationals

0-14

65+

60%

15-64

676

secondaria nati da genitori stranieri primaria o inferiore

età media stranieri: 32 anni

persone sole

poplazione straniera nella circoscrizione

Cinese

coppie coniugate senza figli

altre

21% Albanese Marocchina

coppie di fatto senza figli altro

Ucraina Rumena

genitori e figli (2-5)

Ganiana

Moldava

coppie coniugate con figli (3-5)

coppie con figli (3-5)

coppie di fatto con figli (3-5)

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rifugiati nati e/o cresciuti in Italia. Chi fa parte di questa rete si autodefinisce come figlio di immigrato e non come immigrato: i nati in Italia non hanno compiuto alcuna migrazione, e chi è nato all’estero ma cresciuto in Italia non è emigrato volontariamente, ma è stato portato in Italia da genitori o altri parenti. In Italia, rispetto alla Francia o altre nazioni, questo è un fenomeno ancora in divenire. In campo statistico e sociologico, le seconde generazione, sono studiate come il fenomeno “G2”. Non essendoci ancora una visione uniforme di questo fenomeno sociale, si fa spesso riferimento alle diverse e più specifiche realtà locali. Infatti solo recentemente i processi di stabilizzazione e regolarizzazione degli immigrati hanno iniziato ad aumentare e ad essere maggiormente visibili all’interno della società, cosicché i figli degli immigrati hanno trovato una loro definizione di status non solo dal punto di vista sociale, ma anche legale e amministrativo. Si sta cercando quindi di dare attenzione alla questione perché i figli degli immigrati sono in aumento ( secondo le fonti Istat sono circa 400.000 oggi e saranno meno di un milione tra dodici anni) e perché rappresentano una delle fasi di evoluzione della società moderna. Inoltre questi ragazzi, ognuno con la propria storia, hanno in comune con chi nasce e vive sempre in un’ unica società, determinate caratteristiche, aspirazioni, sogni e malesseri2. Dopo questa breve spiegazione generale sulla situazione italiana torniamo nello specifico della realtà reggiana, dove la percentuale degli immigrati G2 (foreignborn nationals) comprende il 3% della popolazione ed è in continuo aumento3. La concentrazione nell’area di intervento di Mancasale risulta essere la più alta di tutta la città con il 4,35% di nuovi nati da genitori immigrati, il che significa che le classi scolastiche andranno verso una sempre maggiore mescolanza etnica, considerando anche l’andamento negativo della crescita delle famiglie italiane, e tenendo presente che la percentuale dei minori di origine straniera sul totale degli stranieri residenti è il 25,3%4. La circoscrizione nordest di Reggio Emilia comprendente l’area di progetto di Mancasale, è la più popolata e anche la più multiculturale, con il 21% di residenti stranieri. Per quanto concerne, invece, la situazione lavorativa dell’economia reggiana, un dato rilevante riguarda il numero di imprenditori immigrati: 9.206 attività sulle 50.866 totali nella città di Reggio Emilia sono gestite da stranieri5. Il “self-employment rate” della provincia costituisce il 18,4%, di cui il 12,73%

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Macro-intervento di edilizia convenzionata i n Pa rc o O t t a v i , Re g g i o Emilia

è apportato da imprenditori stranieri6. Il 9,58% delle attività commerciali con un numero inferiore a 50 dipendenti sono gestiste da stranieri, in gran parte relative al settore delle costruzioni, manifatturiero e vendita al dettaglio7. Questi dati risultano molto stimolanti per intraprendere un percorso di progettazione che abbia come finalità il soddisfacimento di esigenze in mutamento, modelli di abitazioni e luoghi di lavoro diversi dagli standard, che tengano conto dell’aumento della presenza straniera nella vita dei cittadini reggiani. Riporto un estratto del documento Risorse di cittadinanza redatto dal centro Mondoinsieme di Reggio Emilia. I flussi migratori nella città di Reggio Emilia sono aumentati in modo particolare dalla fine degli anni ’90 consolidando una presenza che da almeno 15 anni è caratterizzata da una marcata stabilizzazione. Nel 2004 la Regione ha aggiornato la precedente legislazione sull’immigrazione, in un’ottica di maggior attenzione ai diritti dei nuovi residenti. Le finalità principali della L.R. 128/20041 richiamano infatti le disposizioni europee che prevedono, tra le altre cose, la promozione della partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, stimolando lo sviluppo dell’associazionismo degli immigrati, riconoscendogli un ruolo attivo nell’integrazione, favorendone la consultazione e concedendo loro contributi per attività di carattere sociale, culturale ed assistenziale. A Reggio Emilia, come previsto dalla

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Legge regionale, ci sono rappresentanti degli immigrati sia nelle Consulte che nei Consigli provinciale e comunale. [...] Il modello adottato dal Comune in rapporto alle associazioni degli immigrati può essere definito a “relazione triangolare”. L’Assessorato alla Coesione e al Territorio gestisce di fatto i rapporti istituzionali con queste realtà attraverso la convenzione con il centro Interculturale Mondoinsieme. [...] Il Centro è considerato di fatto anche come una “casa” delle associazioni degli immigrati. Molte associazioni hanno qui la propria sede, e possono usufruire degli spazi su prenotazione per le proprie riunioni e attività e per l’uso dei diversi strumenti. Uno degli ambiti della formazione dedicata riguarda la partecipazione ai bandi e l’accesso alle risorse, su cui le associazioni meno strutturate sono molto deboli8. Riporto alcuni dei progetti nazionali e internazionali a cui il comune di Reggio Emilia ha preso parte: ; Le citta del dialogo; Intercultural Cities; Diversity in

the Economy and Local Integration (deli); European Forum for Urban Security (Efus); DiverCity OnBoards; FA.RE (Facilitating trans-cultural relationships in multiethnic manufacturing enterprises; SAFE )School Approaches for Family Empowerment.

Situazione abitativa e cooperazione 1.2

Il contesto reggiano presenta migliaia di residenze sfitte nel mercato immobiliare. Questo dato non è però rappresentativo della situazione abitativa, data la forte richiesta di alloggi a canone calmierato. Ciò che è disponibile nel mercato non risponde alle reali esigenze della popolazione, soprattutto straniera e immigrata, che necessita urgentemente di un alloggio. L’offerta di case popolari attuale è limitata e inadatta. Nuovi interventi sono bloccati dalla difficile situazione economica delle aziende costruttrici ed il patrimonio esistente è in uno stato di forte degrado. Il problema della periferia italiana già all’inizio degli anni ’80 appare

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irrimediabilmente compromesso soprattutto dall’assoluta mancanza di qualità dello spazio pubblico e dalla carenza generalizzata di servizi e di polarità di interesse urbano. È in questo scenario che, sulla spinta dell’emergenza sociale, acuita negli anni ’90 dalla massiccia ondata migratoria che ha investito il nostro paese e dalla tendenza al progressivo invecchiamento della popolazione residente nei quartieri di edilizia popolare, che le periferie diventano oggetto di una rinnovata attenzione che si esprime dapprima con i programmi di recupero urbano e più recentemente con i contratti di quartiere. I recenti sviluppi della crisi economica hanno depresso la produzione italiana di nuova edilizia sociale, ma acuito drammaticamente la domanda di alloggi in affitto a canoni contenuti, soprattutto dopo la crisi del 2008. Questa situazione è la conseguenza di uno sviluppo urbanistico avvenuto prevalentemente attraverso numerosi interventi diretti di piccola e media dimensione, che non sono stati sufficienti a riequilibrare i fabbisogni. Nel 1999 con il piano degli alloggi di edilizia convenzionata si è tentato di ristabilire la situazione ma il piano, mancando di specifiche procedure attuative non è mai stato utilizzato. Inoltre le imprese edili temevano che l’insediamento di stranieri potesse abbassare l’appetibilità sul mercato dell’offerta pensata per una fascia di acquirenti medio-alta. Per farvi fronte almeno parzialmente, una campagna di riqualificazione e densificazione del parco attualmente disponibile si presenta come una strategia credibile, efficace e di immediata possibile attivazione. Oltre che esiguo per dimensioni, 120 alloggi destinati all’affitto calmierato nel comune di Reggio Emilia, lo stock di edilizia sociale presenta rilevanti limiti di adeguatezza funzionale e prestazionale, dovuti alla sua elevata età media ed alla scarsa manutenzione, che acuiscono gli effetti di una produzione già in origine realizzata sulla spinta dell’emergenza abitativa, con standard di qualità tecnica e durabilità spesso molto modesti, quando non scadenti. Oggi, la questione abitativa sociale torna, dunque, ad assumere la sua centralità, dovuta principalmente all’incapacità del mercato di garantire e generare nuovi spazi dell’abitare, coerentemente con le mutate condizioni sociali, culturali ed economiche. Questa precaria situazione abitativa si muove parallela alla questione della sempre maggiore mescolanza etnica della popolazione. Un ruolo fondamentale nel dare alloggi sociali è svolto dalle cooperative di case popolari. Tra le più longeve troviamo proprio quella di Mancasale. Si tratta di una cooperativa aderente alla Lega nazionale mutue e cooperative, che ha per scopo quello di soddisfare i bisogni abitativi dei soci assicurandone il godimento in

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design as: attitudes, behaviour, customs

pedagogy

manifesto of interculturality

sociology

specific spaces for each foreign population

statistic

trigger the migrations

geography

multicultural architecture

composition

ease of use and spaces for interaction

art

events and music

urban planning

agorĂ

urban strategies

public sector

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Grattacielo a Ferrara

proprietà indivisa tramite la gestione associata. Attualmente la cooperativa dispone di 63 alloggi residenziali, 15 autorimesse, 3 negozi, 1 palestra con area verde attrezzata circostante, 4 locali uso ufficio, 1 locale ad uso pubblico. I soci sono circa 500, un quarto dei quali è assegnatario. All’origine di questa esperienza vi sono: dignità del lavoro, fratellanza tra gli uomini, autogestione cooperativa per costruire un mondo nuovo. Ad oggi, dunque, le cooperative di case popolari garantiscono, più di ogni altro contesto, la coesione sociale tra gli abitanti italiani e stranieri, essendo fondate sull’aiuto mutuale dei soci.

Architettura multiculturale 1.3

The more sensitive that urban designers, planners, architects, and developers are to the role that culture plays in how people interact with landscape and built space—especially in today’s increasingly diverse urban communities—the better the chances for building neighborhoods and cities that are environmentally and culturally sustainable9.

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C’è inevitabilmente da chiedersi se la progettazione architettonica in senso stretto debba considerare, oltre al contesto geografico, anche il background sociale. La conoscenza delle statistiche sul profilo della popolazione, i progetti sociali in corso promossi sul territorio, l’influenza di gruppi etnici diversi sulla vita dei vari quartieri, l’individuazione di strategie di edilizia popolare adeguate, le problematiche legate ai grandi alloggi popolari, ed altro ancora, risulta strettamente collegato alle decisioni dell’urbanista-architetto. Non parlo solo di funzioni, luoghi destinati “all’ altro” cittadino, ma di una vera e propria progettazione multiculturale che coinvolga ogni tipo di cittadino. Viene spontaneo porsi alcune domande: Do the city’s main public spaces and institutions reflect its diversity or are they monocultural? How do different groups behave in the city’s public places: do they seek or avoid interaction? Is the atmosphere positive, indifferent, or tense? Is social interaction considered a priority in the planning guidance for new public spaces?10

Riflettere sulla diversità culturale significa affrontare la questione dell’identità. Quale identità deve esprimere un nuovo progetto di architettura che indubbiamente verrà vissuto da una comunità composta da etnie diverse? Continuare a costruire “per inerzia”, come se fosse una consuetudine ma non sempre come buona pratica, porta alla creazione di un luogo con poche caratteristiche, non identificativo, dove nessuno può rispecchiarsi e senza riferimenti, perché ripetitivo. Spesso ciò che viene chiamato “architettura italiana del mattone” altro non è che la trasposizione del modello occidentale di abitazione monofamiliare generatrice di sprawl. L’abitazione rurale italiana non ha nulla a che vedere con un fenomeno estensivo di urbanizzazione orizzontale ma, a mio modesto parere, esprime una cultura opposta, quella, cioè, del risparmio. Essendo nato in una zona di campagna del centro Italia ed essendo sempre stato fortemente legato alle mie radici, posso affermare come la tradizione del “mattone” sia semplicemente parte di quella che oggi chiamiamo autocostruzione. Dimensione e forma derivano dalla necessaria realizzazione naturale, a misura d’uomo. Dal mattone all’intera abitazione, così lo spazio diventa cucito sulle reali possibilità degli abitanti. Marc Augè scrive:

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Il corpo umano è uno spazio, uno spazio abitato nel quale non cessano di giocare le relazioni di identità e alterità. [...] Dal corpo al territorio, dal territorio al corpo, si afferma tutta una concezione del luogo antropologico: del luogo in cui tentano di mettersi in atto i riferimenti dell’identità, della relazione e della storia. In un luogo così ci si riconosce. E’ il centro orientato, contrassegnato, simbolizzato degli universi di riconoscimento che abbiamo già ricordato, universi da cui deriva ogni sapere e che non sono dunque in sé oggetti di conoscenza11.

Perdendo così questo contatto con lo spazio ri-conosciuto, si sollevano problemi di distacco dalla società e di allontanamento da questa.

Ghettizzazione 1.4

Una questione importante da trattare è quella delle periferie, spesso vissute come luoghi di emarginazione, allontanamento e quindi ghettizzazione. Aspetti, questi, che possono essere visti sotto due diversi punti di vista: da un lato come un effetto involontario e imprevedibile, dall’altro come problema attribuibile a “difetti” di progettazione. Sono molte le parole spese sulle problematiche sociali delle periferie. Il più delle volte si attribuiscono le responsabilità del fallimento sociale di quest’ultime, direttamente a soggetti o scelte politiche sbagliate. Altre volte invece, la questione della chiusura sociale di queste particolari zone viene o evitata o ne viene data la responsabilità agli abitanti stessi, accusati di essere incapaci di integrarsi con il resto del territorio. Per comprendere meglio questi aspetti, riporto le parole degli architetti Lacaton e Vassal, adatte al contesto francese come in quello italiano. The notion of gated communities being juxtaposed as if it were a question, in practical terms, of private micro-cities forming “the city” is somewhat inevitable. Great attention be paid to the definition of fluid relationships and the assembly of each of the articles that go to form the interiorities that link them together.

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If the politicians manage to grasp and to say that in order to do urbanism it’s necessary to do good housing, then it’ll again become realistic to speak in terms of quality. Social cohesion depends upon an increased taking of responsability by local people in regard to the city. The problem of lack of security should be tackled in each location precisely, and not in general terms, entrances to buildings, spacious and trasparent hallways etc12.

In accordo con quanto citato, è quindi possibile affermare che una scarsa qualità favorisce e determina la ghettizzazione anche se il più delle volte le caratteristiche estrinseche degli edifici periferici, vale a dire ambiente salutare e ampi spazi, possono essere di forte pregio. La parola ghetto, può essere vista, secondo l’etnologo Marc Augé, sotto diversi e opposti punti di vista. Riporto alcune riflessioni dello studioso francese in merito: Le Corbusier suggeriva l’idea che in un grande complesso abitativo come quello da lui creato a Marsiglia fosse possibile soddisfare tutte le necessità della vita quotidiana e dunque vivere felici, esaudendo un presunto desiderio di vita raccolta, autonoma, completamente autosufficiente. La sua era la trasposizione all’interno di una città ideale di solidarietà e vita in comune tipico del piccolo villaggio. Personalmente mi chiedo se uno dei problemi delle “citè”, delle banlieu, non derivi dal fatto di essere state concepite in base a un’utopia di questo tipo[...] Non va dimenticato che l’ideale del Sessantotto coincideva, per alcune persone, con l’idea del villaggio, in cui vivere e lavorare. Un’utopia fissa, immobile, che si traduceva per forza di cose in una sorta di ghettizzazione. Poteva funzionare un’utopia del genere? Poteva servire ad accogliere gli sradicati del mondo? Qui ci troviamo di fronte ad una vera e propria contraddizione: quella di un’utopia concepita in base a regole locali ma applicata a coloro che venivano da fuori[...] La ghettizzazione si è tradotta di fatto in una duplice divisione: da un lato, una divisione nel tempo, vale a dire il divario generazionale tra figli che avevano accesso all’istruzione e genitori impossibilitati a rappresentare per loro il supporto, il punto di riferimento e l’autorità di cui avevano bisogno; dall’altro, una divisione nello spazio, la ghettizzazione vera e propria13.

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Vicinato 1.5

Come creare uno spazio omogeneo, un terreno comune per una convivenza senza pregiudizi? Le relazioni e gli scambi reciproci sono usuali in un buon vicinato, ma quando questo è costituito da stranieri, spesso a predominare sono un senso di sfiducia e paura verso l’altro, verso il diverso. Il motivo di questa insicurezza può essere ricercato nella dialettica irrisolta tra culture globali ed identità locali, che può condurre alla conflittualità piuttosto che alla condivisione di valori ed intenti. Allo stesso tempo ciò che emerge è una più generale crisi dell’identità, o se vogliamo dirla come il già citato Marc Augé, una crisi dello spazio e dell’alterità. Secondo lo studioso infatti: Era la stabilità dell’altro che rendeva l’identità concepibile e facile. Per “l’altro lontano” ed evidente: non lo si vedeva che a condizione di spostarsi o di andare almeno all’Esposizione coloniale. Per “l’altro vicino” che sta all’interno, per lungo tempo si sono rivelate molto efficaci categorie più o meno sottili (divisioni proprie della società di classi e snobismi […] ). Oggi la categoria dell’altro si è offuscata. Ma ciò non vuol dire che il razzismo o lo spirito di classe siano scomparsi. Si potrebbe suggerire anche che, al contrario, per l’offuscarsi dei segni, questi possono conoscere espressioni particolarmente aspre. Non riuscendo a pensare l’altro, si costruisce lo straniero14.

Sul lato pratico emerge dunque in un qualunque contesto multiculturale la necessità di intervenire sul tessuto urbano creando o valorizzando i luoghi dellʼ’interazione. Attraverso un’ architettura del dialogo sarà basilare creare dei sistemi integrati per la residenza, nei quali giochino un ruolo fondamentale le attrezzature collettive e gli spazi pubblici. La città interetnica ha bisogno di luoghi che favoriscano l’incontro e il confronto tra donne ed uomini di culture diverse. L’interesse pubblico non esiste in natura ma va costruito in modo partecipato e dinamico con la costruzione sociale di un piano di sviluppo. Queste riflessioni possono condurre a

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rivedere l’approccio: non occorrono politiche specifiche per gli imigrati, piuttosto serve garantire la partecipazione attiva alla formazione della decisione da parte di tutti i soggetti sociali, anche i più deboli e marginali. Facilitare e garantire l’accesso al dibattito sulla propria città consente di superare la precarietà con la quale sono vissuti gli spazi urbani da una cospicua parte della popolazione urbana contemporanea. Un urbanista può favorire il fenonomeno dell’interazione mediante la costituzione di una rete di punti di aggregazione che riorganizzino il tessuto urbano rendendolo meno straniante; un sistema nel quale i poli inteconnessi attraverso relazioni forti e deboli costituiscono punti di irradiazione delle forme di integrazione. La chiave per l’attuazione di tale processo è il recupero dell’esistente, l’innovazione tecnologica e la partecipazione.

Le a z i o n i d e l l a c i t t à m u l t i c u l t u r a l e 1.6

A multicultural city is a city in which there is genuine acceptance of, connection with, and respect for the cultural Other, and the possibility of working together on matters of common destiny, the possibility of a togetherness in difference15.

E’ Reggio Emilia veramente una città interculturale? Le statistiche dimostrano come la comunità reggiana sia una delle più aperte al pluralismo culturale in Italia. L’amministrazione lavora con molto impegno al mantenimento di questa attitudine e lo dimostra promuovendo associazioni e attività volte a progetti di integrazione sociale. Lo spazio pubblico, inoltre, è anch’esso parte di un processo di coinvolgimento dei cittadini verso tematiche come welfare, assistenza, sicurezza e coesione. Riguardo invece gli aspetti architettonici più specifici, come la questione dell’abitare o le “modalità d’uso” di uno spazio architettonico, la città reggiana dovrà continuare ad identificare gli spazi pubblici chiave e ad investire nella loro riprogettazione, animazione e manutenzione per aumentare il livello di

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utilizzo e favorire in questo modo l’interazione dei diversi gruppi etnici. Dovrà altresì sviluppare una maggiore comprensione riguardo l’uso che questi diversi gruppi fanno degli spazi pubblici, per rivederli e incorporarli nelle linee guide della pianificazione territoriale. Identify a number of key public spaces (formal and informal) and invest in discrete redesign, animation and maintenance to raise levels of usage and interaction by all ethnic groups; Develop a better understanding of how different groups use space and incorporate into planning and design guidelines16.

In una società dove è sempre più difficile trovare un punto di accordo tra varie culture e dove, spesso, l’aumento della libertà individuale coincide con l’aumento dell’impotenza collettiva, lo sforzo che la città di Reggio Emilia sta compiendo, è un esempio positivo e spero divenga terreno di sperimentazione per una architettura futura. A tale proposito, e con la speranza che il territorio reggiano continui in questa direzione, vorrei citare alcuni passi tratti da un saggio di Bauman e che mi auguro fungano da stimolo per continuare in questa direzione.

L’ opportunità di mutare questa condizione dipende dall’agorà: lo spazio né privato né pubblico, ma più esattamente privato e pubblico al tempo stesso. Lo spazio in cui i problemi privati si connettono in modo significativo: […] per cercare strumenti gestiti collettivamente abbastanza efficaci da sollevare gli individui dalla miseria subita privatamente; ;lo spazio in cui possono nascere e prendere forme idee quali “bene pubblico”, “società giusta” o, “valori condivisi”17.

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2 Nuova velocità | High speed city

Il testo qui riportato rappresenta la sintesi del lavoro prodotto nel primo semestre da noi studenti del Laboratorio di progettazione Tecnologica, corso dell’ultimo anno dell’Università degli Studi di Ferrara. Il laboratorio affronta il tema delle architetture connettive, che è stato analizzato e declinato secondo il contesto dell’area di intervento, ovvero a nord nella città di Reggio Emilia. Al fine di comprendere la grande potenzialità dell’area di intervento, localizzata a sud della nuova stazione dell’Alta velocità di Reggio Emilia, è necessario partire da osservazioni a scala nazionale. Il mondo del lavoro sempre più dinamico richiederà alle persone di spostarsi molto frequentemente a distanze maggiori ed in tempi brevi. A livello Italiano il trasporto di passeggeri per

Stockholm

London

Amsterdam Warsaw

Berlin

Brussels

Bologna Paris Budapest Vienna

Lisbon Madrid

Istambul

Roma

Athens

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AV P

A1

FS

eccellenza sarà la linea ferroviaria AV, che assicura ad esempio il collegamento tra Milano e Roma in 2 ore e 40 minuti. Le città che verranno toccate dalla linea ferroviaria AV saranno quelle che godranno dei maggiori vantaggi, in particolare quelle connesse al corridoio infrastrutturale Milano – Napoli, che rappresenta la tratta più redditizia e dal maggiore potenziale economico. I capoluoghi di regione si configureranno sempre più come città metropolitane inglobando all’interno di grandi conurbazioni le città limitrofe. In questo panorama acquisiranno grande rilevanza strategica le città che non sono metropoli ma che sono dotate di un’infrastruttura che le renda vicine a queste dal punto di vista temporale, ovvero le città satellite. Queste, a differenza delle città maggiori, pur essendo economicamente forti facendo parte delle grandi conurbazioni, sono caratterizzate dall’elevata qualità della vita e attenzione al singolo cittadino tipico delle città di piccole dimensioni. Il termine città satellite, perde l’accezione riduttiva di città minore che sopravvive grazie all’esistenza della grande metropoli, e diviene punto di arrivo

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Layout infrastrutturale Reggio Emilia


di scelte localizzative per abitanti, imprese ed investimenti proprio grazie alle sue caratteristiche economiche, sociali, posizionali e paesaggistiche.

Contestualizzazione del modello 2.1

Partendo da esempi positivi come quello di Aix-En-Provance è possibile definire il modello ideale per una città satellite di nuova generazione, caratterizzata da un nodo intermodale esterno alla città ma collegato in maniera diretta al centro, attraverso un servizio di trasporto pubblico efficiente. La citta di Reggio Emilia presenta, ad oggi, tutte le potenzialità di una futura città efficiente. La città possiede infatti tutti gli elementi necessari per il suo sviluppo e valorizzazione nei prossimi decenni: il nodo intermodale, costituito dalla stazione Mediopadana AV ed il futuro parcheggio autostradale scambiatore, previsto a breve, e collegato al centro tramite la linea ferroviaria regionale. Quest’ultimo collegamento potrebbe inoltre essere ulteriormente migliorato e potenziato dalla trasformazione della ferrovia in tranvia. L’ inserimento di un parcheggio scambiatore assicura inoltre la riduzione del traffico cittadino non più contaminato dai flussi di macchine degli utenti autostradali: sia i viaggiatori dell’AV provenienti dell’autostrada che le persone dirette in città potranno parcheggiare gli autoveicoli per poi sfruttare il trasporto pubblico. Nel sistema urbano della città satellite assume un ruolo fondamentale il collegamento tra il centro e il nodo di interscambio infrastrutturale, poiché l’asse rappresenta un generatore di grandi potenzialità. Lungo questo asse, a Reggio Emilia rappresentato dalla linea ferroviaria regionale, il comune ha attivato attraverso il PSC numerosi progetti di riqualificazione e valorizzazione urbana, come a San Lazzaro, alle Reggiane, a Santa Croce e attorno all’area del Mapei Stadium. L’area di progetto rientra all’interno di questo sistema rappresentandone la testata nord dinanzi la nuova stazione AV. Il comune ha diviso gli ambiti di riqualificazione in una serie di poli funzionali, rispetto ai quali il nuovo progetto d’intervento rappresenta una proposta funzionalmente complementare.

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Reggio Emilia

a

Futuro sostenibile 2.2

Definito il contesto generale nel quale il progetto si inserisce, è possibile scendere di scala e mostrare la strategia urbana dell’intervento. Si pone l’attenzione sulle indicazioni del PSC del comune che specifica, tra gli obiettivi, quello di mettere al centro un’idea di sostenibilità, intesa come rapporto tra economia, territorio, ambiente e socialità. Gli sviluppi futuri delle Bologna città verso le Smart Cities, ovvero città intelligenti che riescano ad integrare

aspetti urbanistici, edilizi, ambientali e innovazione, ci hanno portato ad intervenire secondo le indicazioni del Protocollo Leed, mirando alla realizzazione di un eco-quartiere. Questa scelta oltre ad avere vantaggi ambientali, porterà anche a dei vantaggi economici importanti, come la possibilità di accedere ai Fondi Europei, di realizzare delle economie di scala, di accrescere il valore immobiliare della zona, e rendere competitivo l’intervento nel mercato nonostante il periodo di stasi. Inoltre non devono essere sottovalutati i benefici che deriverebbero dal potenziamento dell’immagine di Reggio come città sostenibile.

Commercio-expo

Sport-shopping

Tecnologia

o universitario

Istruzione

Funzioni lungo il nuovo parco lineare

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Parco sportivo

Parco innovazione

ogna

Ingresso centro storico

Parco universitario

SItuazione attuale 2.3

Progetto parco lineare e conversione linea ferroviaria in tranvia

Scendendo di scala, l’area si configura morfologicamente come un’area industriale, delimitata a est dalla campagna. I magazzini ed i capannoni, per lo più dismessi, hanno un impatto al suolo molto elevato, dato non solo dall’elevata superficie coperta, ma anche dagli ampi piazzali esterni. Si tratta quindi di un’area compromessa da riutilizzare riqualificandola. La strategia progettuale proposta prevede di sostituire i capannoni industriali dismessi mentre gli edifici in via Cavallotti ed i casali lungo via Petrella potranno essere riqualificati. Il sistema infrastrutturale presente, oltre a portare molteplici vantaggi garantendo la facile fruizione dell’area da parte degli utenti, comporta anche degli svantaggi dettati dai vincoli urbanistici legati allo stesso. Infatti l’autostrada necessita di una fascia di rispetto inedificabile di 65 m mentre la linea FER impone un

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fascia inedificabile totale di circa 70 m, corrispondente a 30 m per ogni lato a partire dall’ultimo binario. La nostra idea è stata quella di trasformare questi svantaggi in vantaggi sfruttando la fascia accanto all’autostrada per insediarci il parcheggio scambiatore e l’area di sosta dell’autostrada, mentre la fascia di rispetto della ferrovia verrà trasformata in un viale verde ciclo-pedonale che consentirà il collegamento fino al centro città. L’asse verde crea valore sotto tutti i punti di vista, soprattutto nell’ambito sociale, economico ed ambientale. Esso diventa elemento generatore dell’insediamento urbano, aumentandone il valore immobiliare. La densità si concentra lungo questa arteria. L’obiettivo è quello di compattare l’edificato, risparmiando l’uso del suolo. La realizzazione dell’asse verde nell’area d’intervento a ridosso della linea ferroviaria rappresenta il primo passo verso la realizzazione di un sistema di progetti di riqualificazione. Si può osservare che la linea ferroviaria non rappresenta solo il collegamento tra i nuovi poli funzionali della stazione, la zona stadio Mapei, Le Reggiane e San Lazzaro, ma anche tra tutte le aree verdi limitrofe alla sede ferroviaria. Con la realizzazione di progetti, promossi dal comune e da privati, localizzati nelle immediate vicinanze dell’asse infrastrutturale, sarà possibile riqualificare e valorizzare un’area molto più ampia della città. Infatti, è possibile intervenire recuperando le aree dismesse attorno alla ferrovia e andando a creare un parco urbano che metta a sistema, attraverso collegamenti ciclo-pedonali diretti, il centro, gli altri ambiti di riqualificazione e la linea AV. La realizzazione di un eco-quartiere nell’area nord è quindi solo il primo degli interventi che potrebbe portare la città di Reggio Emilia ad una totale rigenerazione urbana. Tutto questo sistema potrebbe essere notevolmente potenziato grazie all’inserimento di un nuovo sistema di trasporto più efficiente: ideale sarebbe la riconversione della linea FER in tranvia. Questo assicurerebbe una maggiore affluenza di persone nelle diverse aree riqualificate ed una migliore connessione tra queste, il centro della città e la stazione AV. Inoltre l’introduzione della tranvia creerebbe una rete di collegamento tra la provincia e le città vicine, ampliando il bacino di utenza sia della stazione dell’alta velocità, che di tutta l’area nord. Si può portare da esempio il progetto di Richard Rogers a Scandicci, concluso nel Novembre 2013. Il tema era la riqualificazione della zona centrale del comune,

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attraverso il passaggio e le fermate di una tranvia che porta a Firenze, e la costruzione di un polo logistico-residenziale. Per l’Area Nord di Reggio Emilia si pensa sia possibile ricreare le stesse condizioni socio economiche, per favorire la riqualificazione dell’area limitrofa al Nodo intermodale e conseguentemente tutte le aree dismesse lungo la tratta ferroviaria che entra in città per poter creare una vera e propria spina dorsale verde.

Sistema della viabilità e percorsi pedonali 2.4

Avendo già evidenziato l’importanza dell’asse verde come elemento catalizzatore di tutti I progetti di interventi a livello cittadino, si sottolinea la fondamentale importanza che assume anche nella specifica area nord. L’asse verde è l’elemento generatore di tutto il progetto in quanto canalizzatore dei flussi ciclo-pedonali che da questo si espandono ortogonalmente ad esso. Il secondo sistema di viabilità, gerarchicamente inferiore, è quello del trasposto su gomma che corre perimetrale all’area di intervento, collegandosi alla rete stradale urbana esistente e raccogliendo anche il flusso proveniente dal nodo di interscambio. Sfruttando il disegno della centuriazione romana si tracciano le strade secondarie che penetrano nel quartiere, generando gli isolati. Questa configurazione è adattabile ad ogni tipo di funzione e proporzionabile ad ogni tipo di flusso di utenti. La rete sostenibile e quella carrabile entrano in contatto in dei punti di scambio, realizzati come blocchi logistici di parcheggi e luoghi di scambio persone e merci. La distribuzione interna degli isolati è quindi solo ciclo-pedonale ed avviene perpendicolarmente all’asse centrale.

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Il progetto della spina verde 2.5

La spina verde, come precedentemente descritto, collegherà l’area nord al centro città passando anche attraverso i nuovi interventi realizzati nelle aree delle ExReggiane e di San Lazzaro. Questo collegamento rappresenta un percorso strutturato, cioè configurato secondo facilità di utilizzo ed accesso. Per evitare che la ferrovia diventi una cesura sono previsti nuovi sottopassi e sovrappassi, che permetteranno l’attraversamento puntuale dell’asse, migliorando la fruizione da parte di ciclisti e pedoni. Il parco è strutturato linearmente secondo percorsi veloci, di passeggio e di sosta. Nell’area interna del parco, che costituisce il contenitore delle attività pubbliche, saranno organizzati diversi spazi tematici, disposti in modo tale da inglobare ciascuno un punto di scambio. La varietà data dalle diverse tipologie di spazio, unito alla disposizione in sequenza di queste, creerà l’effetto curiosità che porterà l’utente a visitare l’intero parco, allontanandolo così dal nodo intermodale e facendolo avvicinare sempre più al centro storico. Infatti, la presenza della ferrovia e dei passaggi puntuali permetterà di convogliare i flussi di visitatori in una sorta di circuito, come visto anche nello schema precedente. Questa disposizione offre il vantaggio di avere una presenza continua di fruitori in ogni parte del parco, garantendo la stessa redditività anche alle zone più lontane e soprattutto il movimento continuo di persone verso la città. Per

la

strutturazione

del

parco

diventa

fondamentale

anche

il

bordo,

con

l’inserimento di attività commerciali specializzate e piccole attività di terziario avanzato. La spina verde, dunque, vive e influisce sulle attività che ne sono a contatto. Il progetto si sviluppa come metamasterplan, cioè come insieme di regole, limiti e successioni temporali. Il viale, che ha un’importanza prevalente su tutto il resto del comparto, dovrà essere la prima pietra verso la costruzione dell’area nord. In questa prima fase, la struttura avrà tale configurazione, a prescindere dagli aspetti formali. Verranno poi forniti spunti e suggestioni sull’aspetto della spina verde. Il bacino di utenza dell’alta velocità si estende fino alla

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provincia di Mantova ed unisce direttamente Reggio Emilia con Milano e Bologna. Questa valutazione influisce di molto sulla caratteristica del viale, poiché lo pone su un piano non più cittadino ma ad una scala territoriale maggiore. L’intento è quindi quello di progettare un asse urbano d’intrattenimento, vetrina della città verso tutto il bacino mediopadano, visibile direttamente dalla nuova stazione dell’alta velocità, fortemente comunicativo e commerciale. Il viale costituirà dunque un’operazione di marketing urbano vero e proprio, con un’area di influenza interregionale. La proposta che avanziamo per il prossimo futuro, riguardante il tema del parco, è, dunque, quella del parco tematico/divertimenti sulla sostenibilità. Affianco ai loghi commerciali sul tema green, del riciclo e del riuso, talvolta fin troppo banalizzati, si ritrovano concetti di sostenibilità molto importanti come la personalizzazione del prodotto, il ritorno all’attività di artigianato, la valorizzazione del prodotto locale e delle biocolture. Il vantaggio di questo sistema tuttavia non sta tanto nella scelta del tema ma nella sua flessibilità. Esso infatti diventerà espressione dei modelli di vita futuri. L’innovazione sta nella sua struttura. L’asse diventa di fatto una vetrina dei prodotti, strutturato in modo da favorire l’artigianato di bottega, il piccolo commercio, atelier, piccoli laboratori ed esposizioni dei prodotti locali.

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Area di Mancasale nei pressi della nuova stazione alta velocitĂ

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3 Vita di quartiere | Highborhood life

Le s o r t i d e l q u a r t i e re 3.1

La ricerca effettuata all’interno del laboratorio di sintesi, e presentata all’amministrazione comunale di Reggio Emilia, ha trovato un riscontro molto positivo. L’aspetto più importante del nostro lavoro è stato quello di trovare una risposta pragmatica all’utilizzo dell’attuale linea ferroviaria regionale. Il passo in avanti rispetto ad altre ricerche condotte per lo sviluppo di questa area hanno giudicato negativamente questo elemento che risultava quindi costituire il “retro” di ogni eventuale tessuto urbano. Sebbene essa rappresenti una forte cicatrice estovest, qualunque progetto non dovrà partire negando l’esistente ma sempre cercando di contemplare gli aspetti negativi, mitigare i loro effetti o sfruttare ogni loro particolare caratteristica. In questo caso l’onerosità del mutamento della tratta ferroviaria a tranviaria limiterebbe ogni possibilità di sviluppo. La linea deve essere vista quindi in una duplice ottica. Quella dell’urgenza di un collegamento “sereno” tra la stazione dell’alta velocità con la città e quella di un possibile asse generatore per la riqualificazione ed espansione dell’intera area nord. Inoltre

una

previsione

a

lungo

termine

necessita

di

una

pianificazione di massima, generalmente a larga scala, in modo da postulare i principi base di sviluppo. Questa progettazione a larga scala deve essere alla portata della periferia reggiana. Ritengo che il pericolo di un fuori scala non sia tollerabile in questo contesto.

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Via Cavallotti

L’intera area nord di Reggio Emilia, il vecchio snodo autostradale, il nuovo, i tre ponti di Calatrava e la stazione AV, insieme alla già presente area Fiera ancora più a nord hanno, a mio avviso, un forte impatto ambientale su un territorio prettamente agricolo, che, in quanto verde, va preservato a tutti i costi. La purezza architettonica dei nuovi interventi autostradali creano sicuramente una buona cornice per uno sviluppo cosciente del territorio. Con ciò intendo dire che questi, in maniera puntuale, aiutano alla definizione di un limite, di uno spazio circoscritto, di un sipario per la campagna emiliana. Questi oggetti scenografici sono infatti funzionali se immersi in un territorio come quello reggiano, una territorio fatto di “campagna e nebbia”, un territorio dove la vista dell’onda bianca della stazione sotto la luce del tramonto di una serata nebbiosa non potrà che rimanere impressa nella mente del viaggiatore. Lo sviluppo cosciente dell’area nord deve mancare di banalità e ripetizione formale. Deve continuare a pensare al paesaggio reggiano e alla sua campagna. Se la ruralità è la caratteristica principale, nulla può suggerirci di negarla. Se quest’area mutasse, l’identità sarebbe definitivamente persa. Non si può essere cechi di fronte alla quantità di verde esistente da preservare e al tempo stesso di superficie inutilmente già sfruttata dalle industrie. Il rapporto va quindi riequilibrato. É per questo che un piano di sviluppo classico, matriciale,

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Pa rc o p u b b l i c o i n v i a Cavallotti

orientato stazione-centro non può funzionare se pensato in maniera convenzionale. Un nuovo quartiere pensato in larga scala, come nuovo “district” economico, è un quartiere non innovativo. Diventerebbe solamente un luogo di passaggio, un quartiere rettilineo non misurabile in metri ma in secondi. Una sorta di non-luogo fisico, per usare un’espressione di Marc Augè. E oggi di non-luoghi ne siamo pieni, essi sono ormai altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta (non solo nel campo lavorativo), dalla provvisorietà, dal transito e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli outlet, le sale d’aspetto, gli ascensori eccetera. Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane. Simili eppure diversi: le differenze culturali massificate, in ogni centro commerciale possiamo trovare cibo cinese, italiano, messicano e magrebino. Ognuno con un proprio stile e caratteristiche proprie nello spazio assegnato. Senza però contaminazioni e modificazioni prodotte dal nonluogo. Il mondo con tutte le sue

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Casello di Mancasale

diversità è tutto racchiuso lì. I luoghi e i nonluoghi sono sempre altamente interlegati e spesso è difficile distinguerli. Raramente esistono in “forma pura”: non sono semplicemente uno l’opposto dell’altro, ma fra di essi vi è tutta una serie di sfumature. In generale però sono gli spazi dello standard, in cui nulla è lasciato al caso tutto al loro interno è calcolato con precisione il numero di decibel, dei lum, la lunghezza dei percorsi, la frequenza dei luoghi di sosta, il tipo e la quantità di informazione. Sono l’esempio esistente di un luogo in cui si concretizza il sogno della “macchina per abitare”, spazi ergonomici efficienti e con un altissimo livello di comodità tecnologica (porte, illuminazione, acqua automatiche). L’utente dei non-luoghi, definito attraverso la sua destinazione, la somma dei suoi acquisti o la situazione del suo conto bancario, sfiora milioni di altri individui ma è solo, con soltanto dei testi che si interpongono fra lui e il mondo esterno. Il paradosso della surmodernità è allora al suo culmine: nei non-luoghi nessuno si sente a casa propria, ma non si è nemmeno a casa degli altri18.

Tornado ora su un piano più strettamente architettonico, utilizzare delle strategie urbane assolute, intese come sviluppi lineari, polari, portano a togliere specificità, enfatizzando l’inizio e la fine ma svuotando il percorso. Ritengo pertanto più opportuno favorire logiche di prossimità. Dunque, ad una visione binomiale fronteretro costituita da assi principali e secondari, meglio sostituirne una addizionale, fissativa.

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Stazione dell’alta velocità

This empirical, additive method rests on a culture of precision and proximity. A local urbanism. A fragmentary notion of the city brough up to date so as take a close look at the phenomena that housing and public space fabricate in order to improve and modify them through a minimum number of specifically targeted actions19.

Quello che gli architetti chiamano “local urbanism” diverge dall’urbanistica di “mass planning”, ancora dominante soprattutto nei paesi Orientali ed eccessivamente condizionata da strumenti che ne favoriscano il layout più visibile e riconoscibile. The historic combination of Architecture and Urbanism is perhaps the main cause of this oversight. The entire scheme, all the thinking, contained in a single, definitive “gesture”. This way of designing, the very idea of the development plan, has meant that the architect increasingly severs his links with interiors20.

L’urbanistica locale, invece, prende vantaggio dalle strutture esistenti, mantenute, trasformate e prolungate, come serbatoi di esperienza capaci di generare nuova vita meglio di qualsiasi altro nuovo organismo. La percentuale di suolo industriale sfruttato è molto ampia e il resto del tessuto urbano è prevalentemente residenziale. Calibrando la scala di ricerca su questo quartiere da macro a micro, si può constatare come all’interno di un’area industriale ci sia, riprendendo un’espressione del demografo Hervé Le Bras, un

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“filamento urbano” di residenze, ormai consolidato e vissuto positivamente dai suoi abitanti. Seppure nascosta o meglio innestata alle industrie presenti, vi è la presenza di una scuola, alcuni uffici, una chiesa con oratorio ed altre attività commerciali. Una “mixitè” di spazio privato e pubblico, ma la cui sostanza si disperde tra l’asfalto e gli ampi spazi di manovra degli autocarri. Unico debole collante è il piccolo giardino pubblico, un punto positivo molto frequentato da famiglie locali e straniere. Vorrei ancora una volta ribadire quanto sia importante considerare i legami spaziali, storici e affettivi che, seppure poco rilevanti rappresentano la vita del quartiere e per questo vanno rafforzati. Ogni cambiamento ha un costo ed il miglioramento della qualità “a priori” risulta spesso essere un principio aleatorio nel sistema italiano. La densità è molto bassa considerato il carattere produttivo dell’area, ma al tempo stesso il fattore trasportistico e rurale devono essere resi efficienti. Sono molti gli spazi vuoti da riempire, alcuni magazzini da sostituire, sistemi ciclabili, campetti sportivi dell’oratorio, exmagazzini da riqualificare, sistema di parcheggi, passaggio a livello ed il piccolo parco pubblico per bambini.

Quartiere futuro 3.3 Molti dei discorsi fatti sul futuro dell’area nord sono solo proposte, idee, speranze. L’area ad oggi sembra invece immobile e immutabile. Sullo sfondo, le arcate bianche della stazione ed il rumore continuo dall’autostrada. Ampi spazi vuoti e poche macchine. Ovviamente, per chi studia le possibili linee di sviluppo della stazione, è stimolante costruire una città futura dell’alta velocità. Demolire i vecchi stabilimenti industriali, giocare con i nuovi edifici e le “attività del futuro”. In realtà, lo studio fatto all’interno del laboratorio, oltre a formulare un masterplan reale a lungo termine, ci ha permesso di capire, o meglio ci ha rivelato come le capacità di quest’area di accogliere nuovi quartieri residenziali non risponda e non risponderà mai alle vere esigenze della cittadinanza. Bisogna costruire sul costruito, evitare salti di scala, sviluppare l’esistenza secondo principi di necessità. Prevedere non è possibile. L’imprevedibilità è uno degli aspetti più stimolanti per

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Vuoto urbano

un Architetto. L’unico dato certo futuro è che la stazione funzionerà ancora per anni e accoglierà un flusso sempre maggiore di persone. C’è necessità di un collegamento forte che funga da motore. Per questo è importante valutare come innestare ciò che esiste a questo nuovo motore di sviluppo, senza lasciare che sia il flusso a dettare le regole di trasformazione. I quartieri esistenti non devono essere sopraffatti e non devono costituire sfondo per cartelli pubblicitari. L’opportunità questa volta deriva proprio dall’inutilità di un nuovo sviluppo immobiliare. Il flusso rimarrà flusso, la riqualificazione o meglio l’espansione della città di Reggio Emilia può davvero essere un esempio di sviluppo consapevole, “generoso” verso i residenti. Le carte in tavola sono: spazi verdi, agricoltura autoctona, benessere di vita, facilità di trasporto, facilità di impresa. Con queste premesse, il quartiere in oggetto diventa modello di una parte di città, residuo periferico presente in ormai tutte le medie città italiane, che si trova coinvolta in un grande piano di trasformazione, lungimirante, con fondamenta solide grazie alla buona amministrazione del territorio, ma, di fatto, vuoto in superficie. Riempiere ciò che è vuoto, aggiustare i meccanismi non funzionanti, accendere il circuito cittadino. Questo significa mostrare che la città è già proiettata nell’ottica globale dello sviluppo controllato e consapevole.

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4 Timeline |

Te r r i t o r i o a n f i b i o 4.1

La storia di Mancasale, Magnum Casale, è una storia di terreni a conduzione autonoma, gestiti da uomini liberi21.

La Storia di Reggio Emilia, comune libero, comincia intorno al XI sec. Una nuova giurisdizione del territorio congiuntamente ad una forte crescita demografica sono alla radice di un periodo di notevoli cambiamenti. La situazione politica, sociale ed economia del libero comune fa si che le proprietà terrene vengano divise ed i titoli distribuiti ai vari proprietari terrieri. Si viene così a delineare un nuovo assetto fondiario, non più definito dal potere reale ma comunale. Il territorio assume dunque una valenza giuridica, soprattutto nel controllo delle transizioni e dei passaggi. L’approvvigionamento delle materie prime, in tutto il bacino

Pa r ro c c h i d i M a n c a s a l e

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Nel 1248 il podestĂ Zavarone fĂ costruire alcuni mulini lungo il canale Naviglio e in zona Borgo Santa Croce. Grazie anche alla pace di Costanza, il comune di Reggio Emilia riesce a godere di un benessere mai raggiunto prima e a raggiungere i 17000 abitanti.

XI sec: Reggio emilia diventa comune libero.

L'origine storica di Mancasale risale all'alto Medioevo, quando, tra il VII sec. ed il X sec, gli uomini ripresero ad appropriarsi delle terre dopo l'abbandono dell'impero romano e la venuta dei barbari.

Nel 1057 ci sono tracce della presenza di un monastero con cappella dedicata a San Silvestro, nei terreni del monastero di San Prospero fuori le mura.

Nel 1183 venne firmata la pace tra Federico Barbarossa ed i rappresentanti della Lega Lombarda

Nel XII sec. i reggiani stringono accordi con i cremonesi per la costruzione del canale Naviglio, che si estende da Reggio a Guastalla. Mancasale rappresentava di fatto il primo terminale di arrivo delle chiatte dal Po

Tra l' XIII ed il XIV secolo il mulino diventa una vera possessione strategica. Il comune costringe le feudalitĂ a cedere il possesso dei mulini e delle acque. La costruzione di ulteriori mulini diventa necessaria per garantire il sufficiente sostentamento della popolazione nel territorio reggiano

Il primo atto ufficiale che sancisce l'esistenza del mulino di Mancasale risale al 9 luglio 1357, quando Francesco Zoboli riceve in concessione dall' imperatore Carlo IV il mulino del Naviglio, situato ai confini delle proprietĂ della Chiesa di Mancasale.

Il rapporti tra la ricca famiglia reggiana Zoboli ed il monastero di San Prospero fuori le mura, portano alla cessione dei possedimenti nel 1431

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1348: arrivo della peste nera, fatale per la società e l'economia di Reggio.

L'impianto odierno della parrocchia è successivo alla "tagliata" estense, cioè dopo il XVI sec., l'attuale immagine è invece frutto di una riedificazione fatta nel 1793. Il cimitero risale al 1840

Verso la fine del XVI secolo e la metà del XVII secolo si assiste ad un nuovo ciclo di espansione. Le acque del Secchia vengono nuovamente riutilizzate, come anche gli impianti del borgo di Santa Croce.

Nel 2005 Il mulino “la nave” viene definitivamente

Impianto di sollevamento della bonifica Parmigiana Moglia-Secchia degli anni 1930 su canale Naviglio, nel programma di bonifica del territorio

piani di riorganizzazione e fortificazione tra il XVI e XVIII sec

la storia di Mancasale in quanto crocevia di comunicazione si arricchirà di un nuovo capitolo nel 1888, con l'attraversamento della frazione ad opera della tratta ferroviaria Sassuolo - Reggio – Guastalla

Nel 1551 Francesco I d'Este attua il piano di fortificazione, con una nuova cinta muraria. L'operazione è denominata "la tagliata" e, purtroppo, distrugge quasi tutti i mulini vicini di 600 metri.

Dal XVIII sec nelle carte troviamo: il Mulino Basso sul canale Naviglio; il Mulino del Panno in via Ramazzini; la Nave; Follo della Carta; il Mulino Maccagnano e quello di Mancasale. Molti di questi rimarranno attivi fino agli inizi degli anni trenta del '900, fino cioè alla bonifica di tutto il territorio "della bassa".

La costruzione dell'autostrada risale agli anni '50 ed il casello di Reggio al 1959 (dismesso nel 2006). Il villaggio industriale risale invece agli anni '60 e '70.

La scuola "Balletti", costruita nel 1920, piano alfabetizzazione campagne dalle prime amministrazioni socialiste

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reggiano, avveniva tramite i canali fluviali. Nel periodo comunale assistiamo allo sviluppo delle attività manifatturiere parallelamente alla crescita agricola. Questa condizione favorevole ha portato alla nascita di numerosi opifici, mulini, magli e folli. I diritti di sfruttamento delle risorse idriche passano dalla podestà regia ai proprietari terrieri e l’utilizzo dei canali diventa subordinato non più alle concessioni feudali ma vincolato a possessioni comunali. Di conseguenza, molti mulini passano ai proprietari fondiari e cominciano a diventare motore di un’economia locale autonoma. Le prime fonti relative all’uso di mulini ad acqua risalgono intorno all’anno 1000 d.C. negli atti delle contrattazioni per l’uso delle acque. Lo sviluppo tecnologico dei mulini inizia nel medioevo ma questi erano già presenti dal periodo dei romani. Per tutto il medioevo il mulino costituisce, non solo un centro di produzione di grani e oli da macina, ma anche un centro artigiano e tessile. Il mulino diventa l’anello della catena economica del comune, trasformando materie prime in prodotti fondamentali alla vita della comunità. Nell’ambito della tecnologia proto industriale, i mulini ad acqua e a vento furono i primi “motori” alimentati da una fonte di energia naturale a sostituzione dell’energia biologica. I mulini sorgono per la maggior parte in zone caratterizzate dalla presenza di arenaria e di marne. La pianura padana è molto adatta alla coltivazione di grano e cereali per la ricchezza delle acque ed di terreni fertili. Tipologia di mulini e tipo di produzione vanno commisurati alle caratteristiche geomorfologiche del territorio. In pianura i corsi d’acqua hanno un flusso a velocità ridotta. I mulini da grano sono a ruota verticale, con canali scavati artificialmente e dislivelli e sbarramenti che ne controllino la velocità. La complessità di queste opere portavano a costi di costruzione e manutenzione elevati, adatti solo a comunità vaste. Nel bacino del Po, fino ai primi anni del XX sec. sono presenti inoltre mulini galleggianti, data la particolare configurazione idrica del bacino del Po. L’idea che abbiamo oggi del territorio si fonda in maniera implicita sul dominio delle vie terrestri. Si tratta, tuttavia, di un’immagine recente, che appartiene ai giorni nostri e dipende dallo sviluppo della motorizzazione di massa. La cultura emiliano-romagnola appare fin dalle origini connessa al carattere anfibio della regione, la più ricca di depressioni umide. Perciò sistema idrologico come

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Mappa secentesca delle acque di Reggio Emilia

chiave produzione territoriale. Se qualcosa ha davvero distinto in passato l’Emilia Romagna e le sue città ,è stata l’elaborazione di un sapere inteso alla fusione di uno stile di vita terrestre e quello idrico. La centuriazione romana si regge sulla sottomissione delle vie d’acqua e di terra allo stesso identico ordine, su una sorta di equilibrato connubio tra logica dell’elemento liquido e logica dell’elemento solido22.

Come detto prima, l’incremento demografico dell’XI ha reso necessario un regolare flusso commerciale dei canali, per un costante approvvigionamento della popolazione. Il fiume Secchia garantisce un regime costante e diventa perciò la principale fonte di energia idrica del tempo, ma viene conteso continuamente con il comune di Modena. Il Secchia alimentava molti canali, tra cui il Naviglio (lungo l’attuale via Gramsci), importante asse d’entrata al comune di Reggio Emilia. Il canale storico

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Mulino reggiano

reggiano è il Crostolo, che attraversa la città. Tra l’ XIII ed il XIV secolo il mulino diventa una vera possessione strategica. Il comune costringe le feudalità a cedere il possesso dei mulini e delle acque. Questo controllo strategico è di carattere politico, economico, sociale, e costituisce fonte di reddito per il comune e riduce la presa economica sulla popolazione locale. La costruzione di ulteriori mulini diventa necessaria per garantire il sufficiente sostentamento della popolazione nel territorio reggiano. Nel 1248 il podestà Zavarone fà costruire alcuni mulini lungo il canale Naviglio e in zona Borgo Santa Croce. Grazie anche alla pace di Costanza, il comune di Reggio Emilia riesce a godere di un benessere mai raggiunto prima e a raggiungere i 17000 abitanti. Il comune accresce le sue proprietà con almeno 8 mulini. Questo andamento positivo trova una battuta di arresto nell’anno 1348 con l’arrivo della peste nera, fatale per la società e l’economia di Reggio. Nel 1551 Francesco I d’Este attua il piano di fortificazione, con una nuova cinta muraria. L’operazione è denominata “la tagliata” e, purtroppo, distrugge quasi tutti i mulini vicini di 600 metri. Gli unici a restare intatti sono la “Molendina nova”, detta “La Nave”, e quello di Mancasale. Verso la fine del XVI secolo e la metà del XVII secolo si assiste ad un nuovo ciclo di espansione. Le acque del Secchia vengono nuovamente riutilizzate, come anche gli impianti del borgo di Santa Croce.

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M u l i n i s u l Po

Dal XVIII sec nelle carte troviamo: il Mulino Basso sul canale Naviglio; il Mulino del Panno in via Ramazzini (ristrutturato dai proprietari); la Nave; Follo della Carta, che trasformato nel 1648, passa da mulino a follo per carta da stracci ad uso comunale e chiude l’attività verso gli anni 60, dopo aver ospitato comunità di braccianti, operai, artigiani ed essere stato adibito ad abitazione popolare per poi venire abbattuto nel 1980; il Mulino Maccagnano, demolito negli anni 70, e che verrà, invece, sostituito da un magazzino di formaggi. In questo periodo, il canale Secchia con le sue derivazioni conta 70 mulini circa, tra grano, filatoi, tintorie, folli, pistrini etc. Molti di questi rimarranno attivi fino agli inizi degli anni trenta del ‘900, fino cioè alla bonifica di tutto il territorio “della bassa”. Sarà infatti proprio in questi anni che, con l’arrivo dell’industria, molti mulini verranno dismessi essendo ormai diventati oggetti storici vuoti e fatiscenti. La loro perdita, come ad esempio quella de “Il Follo”, esempio di comunità, di castello popolare fatto di magazzini, caseifici, laboratori artigianali e piccole attività di ristoro, risulta, una lesione alla memoria comune del luogo, perché parte integrante della cultura locale. Ancor prima della prima metà del novecento costituiva materia di racconto orale tra le diverse generazioni di abitanti del luogo, contribuendo a nutrire il legame di appartenenza23.

Non meno rilevante, la modificazione dei rapporti agrari produce, insieme alla nascita

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di nuove figure sociali, quali i braccianti, spesso concentrati dei “castelli popolari”, il diffondersi di specifiche tipologie abitative di produzione. L’esempio più duraturo, destinato a modificare il paesaggio agrario locale, è la cosiddetta casa a “porta morta”: dotata di una stalla annessa all’abitazione e di un vasto fienile, costituisce una vera e propria unità produttiva incentrata sulla filiera lattiero-casearia. Riguardo i rapporti agrari occorre inoltre dire, quanto la cooperazione tra mondo agricolo e industriale, soprattutto in epoca moderna, sia stata importante ed identificativa della società reggiana. Il rapporto mutuale tra agricoltori che producevano prodotti grezzi e industria che forniva strumenti per la lavorazione agricola, accresceva il senso identitario e autoalimentava la comunità, accrescendola virtuosamente. Ed è anche per questo che il territorio reggiano è sempre stato terra di cooperative.

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Mulino di Mancasale


I mulini della memoria collettiva 4.2

A livello esemplificativo mi sembra opportuno descrivere quello che i due principali mulini, i due più antichi rimanenti lungo il canale Naviglio, rappresentavano per la società reggiana, e che ora fanno parte della memoria collettiva. Il mulino “la Nave”, ubicato all’incrocio tra il canale Enza e il più antico Naviglio, aveva, in principio, la funzione di porto antico. Esso funzionava come una piccola darsena per le chiatte che, cariche di merci, risalivano i due canali. Il mulino era infatti dotato di grandi impianti di sollevamento all’avanguardia. Qualunque materia prima poteva arrivare al mulino, come il sale dell’adriatico o il materiale edile. Esso garantiva un approdo sicuro al collegamento fluviale, migliore di quello terrestre per la frequenza delle inondazioni. Fu utilizzato per la costruzione del Teatro Comunale nel 1857 e venne dotato nel 1885 di un nuovo impianto di macinazione e delle prime lampade Edison. L’infrastruttura costituiva, inoltre, un centro servizi per il trasporto, utile allo scambio dei carri e dei cavalli, oltre ad essere anche un luogo di ristoro e incontro. Fu così che il mulino divenne uno dei più importanti nodi economici del territorio rurale. Poi le bonifiche del 1930 ne precluderanno inevitabilmente l’ accesso navale e già dalla seconda metà del ‘900 non rimase alcuna traccia delle macine e delle pale di macinazione. Nel 2005 Il mulino viene definitivamente abbattuto per far spazio ad un nuovo centro polifunzionale. La vicenda del Mulino di Mancasale, situato più a nord, all’incrocio tra le attuali vie Gramsci e Cavallotti, è invece ancora aperta. Nel XII sec. i reggiani stringono accordi con i cremonesi per la costruzione del canale Naviglio, che si estende da Reggio a Guastalla. Mancasale rappresentava di fatto il primo terminale di arrivo delle chiatte dal Po. Questo ci fa presupporre che ci siano tracce del mulino già questo momento. Ma il primo atto ufficiale che

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Chiesa parrocchiale e Mulino

sancisce l’esistenza di quest’ultimo risale al 9 luglio 1357, quando Francesco Zoboli riceve in concessione dall’ imperatore Carlo IV il mulino del Naviglio, situato ai confini delle proprietà della Chiesa di Mancasale, con la facoltà di irrigazione delle terre e con il permesso di poterne costruire altri. Quello di Mancasale rappresenta dunque il mulino di impianto più antico ancora esistente. La sua persistenza deriva probabilmente dalla lontananza al centro urbano e alla possibile giurisdizione comunale per il controllo dalle acque e quindi ai piani di riorganizzazione e fortificazione attuati soprattutto tra il XVI e XVIII sec. Ma, se per secoli, il mulino è riuscito a rimanere intatto grazie alla sua posizione periferica, oggi potrebbe anch’esso diventare vittima di una trasformazione e riassetto territoriale. Infatti già con il ‘900 vediamo il mulino cambiare nome e funzione. L’ultimo proprietario, fino al secondo dopoguerra, fu la famiglia Forti, bolognese, con la quale il mulino divenne oleificio, macina grani e cereali. Mentre oggi giace in uno stato di abbandono e declino strutturale. Nonostante questo, Il mulino vive ancora nei ricordi dei più anziani , i quali conoscono il ruolo che ha sempre rappresentato in quanto fulcro per l’economia e la società locale. Il mulino costituiva il centro della vita comunitaria ed era percepito da luogo di divertimento, a luogo di importanti attività, come quella ittica, fondamentali per il sostentamento. Inoltre i canali erano un importante luogo dove svolgere attività ad alta socializzazione, come il loro riuso in vasche nelle calde estati o come fonti per lavare i panni. Il mulino di Mancasale costituiva una fonte inesauribile di vita, nonché un elemento

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distintivo del paesaggio rurale. I mulini non vanno pensati come sopravvivenze arcaiche, hanno piuttosto assunto nel tempo la funzione simbolica di monumenti laici e domestici24.

Proprio per questo motivo, bisognerebbe avere la consapevolezza che, tutt’oggi, l’equilibrio dell’ecosistema si regge sulla manutenzione di un complesso sistema di canali, canaletti di derivazione e manufatti idraulici, al fine di garantire la regimazione delle acque e offrire agli agricoltori un efficace sistema di irrigazione. Mancasale è un territorio intessuto di vecchio e nuovo, di campagna e città periferica, di terra e di acqua con maglie di rete sommerse. Un territorio complesso, inquieto, forse indisciplinato e un po’ conteso dalle veloci trasformazioni della modernità25.

Per mantenerlo tale bisogna fermarsi un attimo, fare mente locale per poter esprimere una nuova possibilità dell’esserci e dell’abitare, per non essere solo consumatori di luoghi; saper acquisire una conoscenza locale perché lo spazio da geometricoterritoriale diventi intenzionalmente antropologico ed esistenziale. Una facoltà di migliore gestione del territorio è imprescindibile da una esperienza di vita nel luogo praticata e condivisa. Ciò che vale in particolare per quello che riguarda il territorio corrispondente alla Circoscrizione 7 (area nord di Reggio Emilia) che riassume in sé diversi caratteri e problemi legati alle nuove società: territorio di forte transizione collocato a un potente crocevia spazio-temporale che incontra la compresenza di aree cittadine, industriali, periferiche e del forese interessate nel corso di questo secolo a flussi migratori più o meno continui, ma sempre a forte impatto sulla realtà sociale e sulla collettività. Fare mente locale al fine di favorire un ancoraggio trasferibile, anche partendo da luoghi oggi marginali, che sia l’orientarsi in una attività di conoscenza, di comprensione dell’articolazione e della frequentazione dei luoghi stessi nel rapporto tra centro e periferia, tra interno ed esterno. Come l’ancoraggio è trasferibile, così la prospettiva è inclusiva delle diverse culture e appartenenze che nel tempo hanno naturalmente narrato e ri-narrato il luogo; culture e appartenenze che solo nell’incontro e nello scambio concorrono alla costruzione di identità reciprocamente ri-conosciute e condivise sia nella società locale che nella comunità. Certo, diversamente da quanto accade oggi, dove gli elementi rappresentativi dell’identità locale sono due classici “non luoghi” della letteratura sociologica: l’autostrada e la zona industriale, va anche detto che, con le opere di urbanizzazione connesse alla costruzione della grandiosa opera dell’architetto Calatrava, le cose potrebbero

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cambiare. Nulla vi è però di scontato. Al momento, molte ragioni fanno pensare che, come è già accaduto per la “nave”, il mulino di Mancasale rischi seriamente di diventare il monumento all’incuria e al disinteresse di una città sempre più interessata a crescere ad ogni costo26.

La fisionomia di Mancasale 4.3

Aggirarsi per Mancasale significa fare esperienza, ad ogni passo, della transizione nella modernità27.

Il nome “Magnum Casale” dato a questo brano di territorio deriva dal suo essere un’estensione poderale costituita da aggregazioni sparse di comunità agricole gestite autonomamente da uomini liberi. L’origine storica risale all’alto Medioevo, quando, tra il VII sec ed il X sec, gli uomini ripresero ad appropriarsi

C h i e s a Pa r ro c c h i a l e d i San SIlvestro, Mancasale

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Scuola elementare “L.Balletti”

delle terre dopo l’abbandono dell’impero romano e la venuta dei barbari. Mancasale si colloca ai limiti occidentali dell’antico e vasto specchio d’acqua denominato Bonednum, in una zona relativamente più difendibile dalle alluvioni. Essa è compresa tra due alvei del torrente Crostolo e giace sull’asse Reggio-BagnoloNovellara, il prolungamento dell’antico cardo romano del centro urbano di Reggio Emilia. La ragione storica dell’attuale conformazione morfologica di via Cavallotti, come si può evincere dalla excursus storico precedente , risiede nella necessità di collegare la rete fluviale a quella terrestre. Via Petrella, soprannominata “via del sabel”, cioè del trambusto dato dall’intensità dei traffici commerciali, porta dritta alla zona di Santa Croce ed era inoltre percorsa dai pellegrini diretti alla chiesa. I romani costruirono questa strada, come già detto in questo capitolo, sovrapponendo la centuriazione alla rete di canali. Con la nascita della chiesa, del

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mulino e la crescita dei terreni di Mancasale e San Prospero si vennero a creare i primi borghi rurali. Via Cavallotti venne costruita per il passaggio delle materie prime ed iniziò così a costituirsi intorno ad essa una serie di magazzini e alloggi per i braccianti, nonché un caseificio. Riporto di seguito una breve descrizione storica di ogni elemento presente nell’area. -Parrocchia di San Silvestro. Nell’anno 1057 ci sono tracce della presenza di un monastero con cappella dedicata a San Silvestro, nei terreni del monastero di San Prospero fuori le mura. Dal XIII sec. la famiglia Zoboli diventa censuria del monastero. Iniziano così i lunghi ed intesi rapporti tra la ricca famiglia reggiana ed il monastero, che porteranno alla cessione dei possedimenti nel 1431. L’impianto odierno della parrocchia è successivo alla “tagliata” estense, cioè dopo il XVI sec., l’attuale immagine è invece frutto di una riedificazione fatta nel 1793. Il cimitero risale al 1840 mentre la canonica è stata ristrutturata nel 1909. -Via Cavallotti, il “Brado” Si tratta di uno fra i tanti castelli popolari che costellavano le “ville” del forese. Qui abitavano i braccianti, avventizi, salariati agricoli delle famiglie spesso numerose e costrette a vivere stipate in stanze senza servizi igienici. Presso il “castello” si collocavano poi tutta una serie di piccole attività artigiane e commerciali, le quali contribuivano a dargli l’aspetto di un vero centro di aggregazione sociale; -Latteria Sociale, oggi trasformata in un’azienda di confezioni; -Il casello di Mancasale, sulla linea Reggio-Bagnolo-Guastalla; Oltrepassato il passaggio a livello si incontra un paesaggio misto di case rurali, capannoni, pioppeti coltivati. La commistione tra tipologie edilizie, qui molto evidente, rinvia alla peculiarità del posto come una frazione di transito. -La scuola “Balletti”, costruita nel 1920, piano alfabetizzazione campagne dalle prime amministrazioni socialiste; -L’impianto di sollevamento della bonifica Parmigiana Moglia-Secchia degli anni

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Il borgo storico di Via Cavallotti

1930 su canale Naviglio.

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Ristrutturazione casa tradizionale, Okazaki, Giappone, Studio Velocity

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5 Il processo di densificazione | Local Urbanism

Strategia 5.1

La

strategia

di

intervento

consiste

nella

densificazione

dell’area peri-urbana a bassa densità, dove la tipologia prevalente di abitazione è quella residenziale mono-familiare ed il tessuto urbano si fonde con quello industriale. La volontà sarebbe quella di costruire negli spazi di risulta, nei giardini non usati e nelle zone di svolta dei piazzali industriali, ottimizzando così la gestione del territorio, attualmente impreparato alla futura trasformazione urbanistica dettata dai grossi capitali economici investiti in infrastrutture veloci. Con il termine impreparato si vuole sottolineare la progressiva fagocitazione del tessuto storico esistente da parte dei programmi industriali in atto ormai dagli anni 70. Gli spazi sfruttati dai capannoni industriali e la vicina campagna vergine

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Densità della popolazione reggiana: CIrcoscrizione nordest: superficie/Kmq - 121; popolazione residente - 57236; Densità (Ab./Kmq) 470

costituiscono agli occhi degli investitori un’ottima opportunità di sviluppo. D’altra parte, la parte abitata della zona risulta ormai “nascosta” e poco flessibile a possibili estensioni. Una soluzione plausibile potrebbe essere data dallo sfruttamento della proprietà privata stessa, esplicitandone il grande potenziale dello spazio spesso inutilizzato e derivante da una logica consumistica degli ultimi decenni del secolo passato. Questa soluzione rientra in un processo di micro-urbanistica controllata, o urbanistica locale, che guarda quindi più all’espansione “bottom-up”, piuttosto che ad una sovraimposta. Il tema della densità non si manifesta solo nella contrapposizione tra città densa e città diffusa ma nell’obiettivo di consumare meno suolo in un’ ottica ecologista. La densificazione è un’opportunità che si può cogliere nel tessuto della città per sperimentare nuove condizione di urbanità, investendo sia nella forma fisica della città che nelle relazioni tra le persone che la abitano. Il fattore “densità” è infatti una variabile in grado di definire la forma e la qualità della città. in un’ipotesi di rinnovamento anche morfologico può diventare strumento di misurazione e di progettazione e, favorendo la qualità dello spazio pubblico e della socialità, può altresì aumentare la bassa densità abitativa del modello razionalista, dove lo spazio aperto è troppo ampio, dispersivo, e trascurato. Il mio progetto di tesi mira ad essere particolare anzi che generale, complementare, sia per dotazioni che per funzioni, al quartiere residenziale presente, andandone ad aggiungere ciò che manca. Passo dopo passo, abitazione dopo abitazione. Il processo è partecipativo e mira alla rigenerazione di interi quartieri periferici. La società “liquida” in cui viviamo viene spesso descritta facendo riferimento al concetto dei flussi e delle reti: realtà diverse fisicamente lontane, la mobilità delle persone , la banda larga e l’alta velocità. La città, che è la forma spaziale della società, rispecchia lo scorrere del flusso nella dimensione della cittàterritorio, dai confini in perenne crisi, in cui lo spazio è patito come ostacolo, e il tempo è il principale parametro di riferimento. Tuttavia la dimensione del locale non può essere ignorata. Nuove forme di localismi e fenomeni di auto-organizzazione riportano all’attenzione la resistenza dei luoghi alla dissoluzione spaziale. In questo quadro, densificare significa attivare quella intensità e varietà di

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Densificazione dei luoghi socialmente riconosciuti

persone, capace di valorizzare i luoghi, e così potenziare il senso di una loro interconnessione. La densità viene definita in primo luogo dalla struttura degli incontri che essa è capace di generare. Non solo, riducendo le distanze tra le persone si aumentano le possibilità dei contatti tra esse, e lo spazio fisico che è loro comune può essere articolato in modo da favorire una vasta gamma di relazioni possibili.

Infilling 5.2

Oggi, nelle nostre città, si manifesta il tema della densità e dell’infilling come possibile strategia di recupero dei quartieri pubblici con operazioni di

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Riaulificazion in via Cavallotti

ricucitura dei tessuti, innesti e completamenti. L’ipotesi di “densificazione orizzontale” riempie gli spazi vuoti inutilizzati in zone urbanizzate, rivitalizza spazi aperti troppo ampi e indifferenziati, con opportune costruzioni e, conformando lo spazio pubblico, consente l’uso di spazi interstiziali e di piani “pilotis” inutilizzati, offrendo luoghi per la collettività, servizi, o nuove residenze. Si tratta, in un certo senso, della perpetuazione di una forma storica di progressione dell’ urbanizzazione “densa” nei centri urbani e nelle periferie. Il fenomeno può avvenire su una scala di tempo relativamente lungo di una zona o in un più tempestivo e spettacolare momento. E questo avviene sempre all’arrivo di una infrastruttura

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Collegamento dei servizi di quartiere

di trasporto pubblico, che aumenta la pressione sulla terra, o in relazione a favorevoli dinamiche socio-demografiche del mercato. La forma urbana più sostenibile tuttavia, non è quella super-densa, ma una forma più intermedia, perfettamente individuabile in case o combinazioni di padiglioni e piccoli edifici. Questa forma è anche quella voluta dalla maggioranza degli italiani, che richiedono un alloggio individuale ma anche efficienti servizi urbani. Questo trova giustificazione nella funzione di Kenworthy che tende a dimostrare come, al di sotto di una certa soglia di densità, il consumo di energia per viaggio cresce molto rapidamente. È stata stabilita una funzione equivalente per la regione di Parigi da Vincent Fouchier. Questo effetto soglia corrisponde ad una realtà osservabile: il divario di consumo per viaggiare tra centro città e aree peri-urbane è dell’ordine di 2 a 3. Al di sotto della soglia, non solo le distanze si allungano, ma la macchina tende a dominare i cambiamenti di sistema per l’esclusione di tutte le altre modalità. Poiché il rapporto consumo-densità mostra anche che, una volta attraversata la soglia, il consumo energetico per viaggi diminuisce relativamente lentamente quando

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si aumenta la densità, si potrebbe affermare che non c’è giustificazione ecologica per voler imporre alte densità anche in zone peri-urbane. E’ tra le basse densità e densità medie che risiede il vero problema. Se l’auto è necessaria per funzioni semplici come comprare il pane o portare un bambino a scuola, si può essere certi che dominerà l’intero sistema di movimento. Le dimensioni di questa unità urbana elementare che i pianificatori devono considerare, tende a posizionarsi tra 5 000 e 10 000 abitanti. Infatti, è a questo livello che possiamo trovare i servizi urbani primari, ma anche una prima diversità funzionale. Pertanto, uno degli obiettivi primari di una pianificazione corretta è quello di consentire il funzionamento pedonale dell’intero sistema. A titolo indicativo, un nucleo che riunisce 5.000 abitanti a 700 metri è equivalente ad una densità di circa 3200 abitanti per km². Tale densità è perfettamente compatibile con le forme urbane relativamente dense. Se prendiamo ora un’altra scala urbana, come quella di una città media di 50.000 abitanti, il proprio obiettivo è quello di essere in grado di fornire una parte significativa percorribile nel suo spostamento interno con bicicletta (2 km di raggio). In altre parole, la migliore declinazione di densificazione non è la città iperdensa ma la “città reinventata”. Le nostre città e villaggi hanno nel loro cuore una

Processo di densificazione finale

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Nuovi spazi di interazione

potenzialità nascosta ed è questa che bobbiamo far venire fuori. Se la densificazione venisse ponderata in questo modo, il quadro conoscitivo e conseguentemente il “modus operandi” potrebbero strutturarsi in quest’ordine. Una prima fase è di indagine e ricognizione delle condizioni tecnico–urbanistiche per l’intervento di densificazione. L’obiettivo è quello di assumere un ambito di progetto dell’area individuata tra i tessuti da riqualificare e da sottoporre allo strumento di attuazione del programma integrato, misurandosi con i vigenti piani urbanistici. Risulta, dunque, necessario operare un incremento delle previsioni edificatorie, considerando la componente di edilizia sociale. Il secondo passo consiste nella definizione dello spazio dei flussi: spostamenti pedonali, connessioni e accessibilità dello spazio pubblico. In questa fase è importante ricordare che densificare significa innanzitutto dare valore all’interconnessione esistente. Un terzo livello concerne l’individuazione di alcuni principi di base nel configurare la qualità dello spazio compreso tra la casa e il resto della città: l’introspezione dentro-fuori, la varietà funzionale, l’attenzione all’arco temporale quotidiano di funzionamento dei servizi, la tipologia in grado di favorire la mixitè sociale e l’articolazione degli spazi da quelli privati, interni all’alloggio, a quelli

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esterni e a quelli in assoluto pubblici. Il progetto di densificazione non è frutto di una contrattazione con gli abitanti ma vuole avviare un processo di vera partecipazione con essi, partendo dalla sua capacità di indagine e mostrando le potenzialità che il processo può produrre. Potenzialità che non si riducono ai soli aspetti quantitativi ma che vogliono mirare soprattutto agli aspetti qualitativi e di migliore vivibilità che la trasformazione ipotizza.

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Nuove estensioni


House open to the city, Studio Velocity

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6 Metodo economico | Economic strategy

Il potenziale della proprietà privata 6.1

Il

processo

economico

di

scambio

alla

base

di

questa

densificazione localizzata spiega come, costruendo sulla propria proprietà privata, si possano finanziare progetti comunitari e reciprocamente, sviluppando gli interessi collettivi , si possano innescare processi di accrescimento urbano. In un contesto circoscritto come quello del quartiere, dare concessioni ai privati e ricevere oneri per finanziare la costruzione di opere pubbliche nel quartiere stesso, favorirebbe il consolidamento agopunturale di ciò che già c’è, evitando mass planning decennali di sviluppo del territorio. Considerando il patrimonio industriale in via di smaltimento ed il continuo aumento del flusso di scambio tra stazione AV e centro, come già più volte detto, questo tessuto urbano potrebbe però rischiare di rimanere solo un residuo urbano. Per questo, le due

Progetto di densificazione Boidot e Robin Architects

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parole chiave per il futuro di Mancasale devono essere identità e densificazione, in un contesto dove quest’ultima si possa sviluppare nel suo aspetto sociale e non direttamente urbanistico. Infatti studiando la realtà del territorio ad una scala molto ravvicinata è possibile riconoscere una comunità vera, composta soprattutto da artigiani e industriali, da italiani e stranieri. La storia di Mancasale e di via Cavallotti continua ancora oggi, e la vita del borgo con il suo mulino, la parrocchia, la scuola e i canali, è ancora viva nella memoria degli abitanti e nei racconti degli anziani. Esistono diversi modelli di densificazione delle zone periferiche urbane, ma credo che l’utilizzo della capacità dei privati come matrice di sviluppo sia la più adatta al contesto reggiano. Deve essere possibile individuare nuove economie che consentano la realizzazione di progetti e processi di rigenerazione dal basso, senza necessariamente aspettare l’ iniziativa della sfera pubblica, oppure ipotizzando partnership pubblico-privato preposte al miglioramento generale del quartiere, individuando interessi e convenienze socio-economiche complementari. Tecnicamente molti esempi di aumento della densità urbana in zone periferiche sono stati sperimentati ma, tra i più interessanti e compatibili al mio intervento, c’è il progetto di ricerca nazionale francese BIMBY®. La strategia di sviluppo di tael progetto si basa sulla divisione delle proprietà catastali, in modo tale che sia il privato a generare nuovi lotti edificabili. spazio pubblico

Lasciare che il proprietario di una casa possa utilizzare parte del giardino per costruirne proprietà

proprietà privata

una nuova, sia per se stesso o per terzi, consentirebbe ad un gran numero di famiglie p r i v adi ta

accedere ad alloggi ben posizionati e collegati alla città, in risposta alle aspirazioni e progetti di vita del proprietario, secondo un modello economicamente sostenibile, che non richiede alla comunità ulteriore sfruttamento di suolo28. nuova BIMBY: Build In My Back Yard (in opposizione al Not In My Back Yard) è un concetto s p adziivoi s i o n e pubblico

urbano, che considera la divisione catastale come un pnuovo modo di sviluppo della roprietà proprietà proprietà spazio p u b b l i c op r i v a t a

privata

p r o p rpireotpàr i e t à p r i v aptrai v a t a

privata

città. BIMBY è in un processo attivo in cui la densificazione inizia dalla gente del proprietà privata

proprietà privata

proprietà privata

proprie priva

proprietà privata

posto ed è controllato dal comune stesso. E ‘ un progetto di ricerca selezionato nel 2009 e finanziato per 3 anni da parte dell’Agenzia Nazionale di Ricerca come parte del suo appello per il progetto Città sostenibili. nuova divisione

nuova d i v i s i onnueo v a

nuova d i v i s pi ao zn ie o

privata

proprietà

privata

proprietà privata

privata

p r o p r i eptrào p r i e t à

proprietà

p rporporpireiteàt à

p r i v a t a sull’evoluzione p r i v a tpar idel pprriivvaattaa v a t a tessuto urbano p r i v esistente, ata tecnici, politici) di mobilitare la comunità proprietà privata

nuova divisione

proprietà privata

proprietà privata

94 proprietà privata

servizi

nuova divisione

p r o p r i eptrào p r i e t à p r i v a tpar i v a t a

proprietà privata

spazio pubblico

p r o pprrioeptràpireotpàr i e t à p r ipvraitvaaptrai v a t a

proprietà privata

proprietà privata

proprie priva proprietà privata

proprietà privata

spazio pubblico

proprietà privata

n u o v a pp rr io vp ar ti ae t à d si pv ai zs ii oo n e pubblico

nuova divisione

proprietà privata

servizi

proprietà privata

nuova divisione

spazio pubblico

nuova divisione

nuova d i v i s i o nsep a z i o pubblico

divisione

p u b b l i curbani o L’ipotesi centrale del progetto BIMBY si basa sullap rcapacità degli (abitanti, oprietà p r o p r iattori età proprietà

p r o p r iseetràv i z i privata

proprietà privata

n u onvua o v a divisione

proprietà privata

divisione

proprietà privata

p r o p r i e t àp r o p r i e t à privata privata

proprietà privata

proprie priva


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attivando processi di autofinanziamento per il rinnovamento e l’intensificazione graduale di quartieri suburbani. Infatti, vediamo che in molti casi gli interessi dei singoli (come quello di dividere i terreni per utilizzare al meglio la proprietà nel mercato immobiliare) possono servire nell’interesse della comunità (ad offrire una vasta gamma di singole abitazioni, senza causare espansione urbana)29.

La Francia ha attualmente 19 milioni di singole abitazioni, in un territorio costituito da lotti di grandezza media di 1000 m². Mentre l’espansione urbana è diventata il nemico dichiarato dei pianificatori, BIMBY offre una nuova via, dove la casa ed il suo “backyard” interpretano i ruoli principali. Si tratta di affrontare il cuore dei pregiudizi dell’ideologia NIMBY. Questo progetto economico, politico, urbanistico e architettonico è seriamente in grado di rilevare reali opportunità. Inoltre, in un periodo di crisi e di recessione economica, l’architettura può diventare generatore di ricchezza per coloro che accetteranno di affrontare il cambiamento. L’implementazione di questo processo in diversi comuni francesi ha già mostrato la sua rilevanza. Infatti circa un quarto degli abitanti delle città coinvolte si è interessato al progetto, e più di uno su cinque vuole eseguire questo tipo di operazione. Occorre facilitare, innanzitutto, l’incontro degli interessi individuali con quelli collettivi attraverso processi di informazione e partecipazione.

Il successo che questo progetto sta avendo è dovuto alla

lontananza dell’ideologia BIMBY nei confronti di un’ottica consumistica e di macro pianificazione. Sono il ritorno al singolo e alla condivisione, mantenendo la propria autonomia, ma ospitando nuove costruzioni, a creare un rapporto economico reciproco e virtuoso. E’ un processo rapido e locale, senza sfociare in esiti standard e

proprietà privata

proprietà privata

spazio pubblico proprietà privata

proprietà privata

proprietà privata

proprietà privata

nuova divisione

96 proprietà privata

proprietà privata

nuova divisione

nuova divisione


impersonali. BIMBY non raccoglie partner privati, né costruttori progettisti o developers, ma riunisce università (laboratori e scuole di architettura), autorità pubbliche (Saint-Quentin-en-Yvelines CASQY, Rouen CREA, CAUE Eure) e gli uffici di progettazione pubblici. L’approccio dovrebbe essere esteso poi agli attori pubblici locali come le amministrazioni e le associazioni del territorio, poi ancora ai proprietari, in una rete esterna alle logiche finanziarie dei grandi investimenti immobiliari. Gli operatori devono prima convincere i funzionari eletti di come sia possibile porre le basi per questo modo di sviluppo urbano diffuso. L’evoluzione di alcune norme dovrà poi agevolare la divisione frammentaria delle particelle catastali, in modo da attivare processi autogenerativi ma dovranno altresì padroneggiare questa evoluzione del tessuto cittadino, con un’opportuna gestione e supervisione nel tempo. In questa impostazione strategica, ogni proprietario residente può essere ricevuto da un architetto. Alcuni possono esporre la loro situazione personale e familiare mentre il consulente dovrà delineare i vantaggi economici di una possibile divisione del lotto. Il processo si basa su un rapporto di fiducia. La comunità e la capacità di relazione dell’amministrazione locale risultano pertanto fondamentali. L’architetto può consigliare le soluzioni tecniche migliori e ad hoc. La consulenza è di tipo pubblico, evitando così ulteriori costi intermedi. Questo è un altro vantaggio rispetto alla transazione immobiliare standard in quanto il numero di “giocatori” nella trasformazione immobiliare diminuisce ed alcuni costi sono quindi ridotti o completamente evitati, a favore invece di una microeconomia composta da figure professionali locali e piccoli costruttori edili. Il progetto ragiona in termini di filiera corta, utilizzando l’industria locale senza sviluppatori intermedi o promotori. La proprietà passa direttamente dal proprietario corrente al futuro occupante. Inoltre, i costi di urbanizzazione possono essere ridotti pur rimanendo, a differenza di interventi di nuove costruzioni, interamente assorbiti dalle casse comunali. I costi per la rete, insomma, sono già da considerarsi archiviati per l’amministrazione. Il processo potrebbe così generare alloggi a prezzi accessibili, auto-finanziare la riabilitazione del patrimonio immobiliare esistente, adeguare l’offerta di alloggi per le esigenze di oggi e inventare nuove soluzioni per lo sviluppo di alloggi

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sociali e delle cooperative. La posta in gioco è alta, micro e macroeconomia, operazione architettonica e pianificazione territoriale si intersecano, si scontrano, si completano a vicenda. Si tratta di un nuovo stato di equilibrio che è in grado di generare, per somma delle parti, evoluzioni su larga scala. Come ogni intervento urbanistico, anche l’iniziativa BIMBY vedrà i suoi risultati sul lungo termine. Ciò che il programma si prefigge di raggiungere è creare una piattaforma OpenSource, tra popolazione e attori della “governance” del territorio, in modo da affermarsi come vera disciplina e conoscenza comune.

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Esempio progetto BIMBY


Pa re r i c o n t r a s t a n t i 6.2

Alcuni ostacoli appaiono ovviamente nel programma di densificazione. A prima vista, l’intervento sul tessuto suburbano è difficile nella misura in cui è in conflitto con la natura individuale e la struttura frammentata della proprietà della terra. Strumenti e modalità tradizionali di gestione pubblica si rivelano inadeguati. Inoltre la maggior parte dei proprietari, erroneamente, vede la divisione come una svalutazione della propria proprietà. In realtà, economicamente, la somma del valore del nuovo terreno successivo alla divisione e la parte restante, supera il valore della casa originale. L’operazione consente al proprietario di promuovere al meglio il suo patrimonio e di mobilitare il mercato di compra-vendita o in parte di finanziare i suoi progetti. L’ostacolo maggiore è dato quindi dall’accettazione sociale e dalle sembianze utopiche del progetto. I primi risultati sembrano tuttavia dissonanti con i dubbi iniziali. Per uscire dal vicolo cieco di questo presunto ostacolo sociale, si deve “accettare”, da parte dei professionisti, la posizione di testa del proprietario nelle scelte del suo habitat. Ogni famiglia può essere più o meno predisposta a questo tipo di intervento ma, ognuna di esse, ha esigenze diverse a cui il proprio terreno può potenzialmente rispondere e diventare risorsa economica. Gli esempi sociali riflettono la necessità di ospitare un familiare a carico in una piccola casa nel suo giardino invece di inviarlo in una casa di riposo; trovare una soluzione finanziaria per il divorzio, il licenziamento, il perseguimento di educazione di un bambino; chi mira a costruire un edificio da mettere in affitto nel suo giardino; una casa walk-on nella sua terra dove poter vivere la sua vecchiaia. La questione non è dunque se la media o la grande maggioranza delle persone vogliono costruire sulla loro terra nei prossimi anni, ma quali famiglie vogliono farlo domani e perché . Questa domanda non trova risposta naturalmente in studi sociologici, ma le nuove caratteristiche della democrazia locale possono dare concretezza ai progetti per persone di reale interesse. Le statistiche francesi sono positive ed il 54% dei proprietari intervistati esprimono interesse ad aumentare la loro costruzione, il

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39% a dividere il loro giardino, a condizione di trovare un vantaggio finanziario e in virtù di un progetto tecnicamente fattibile. Il 67% degli intervistati considera questo strumento efficace per ridurre il deficit abitativo nelle medie città30. Il secondo ostacolo risiede nella possibile incapacità del progetto di garantire un sufficiente numero di alloggi rispetto alla prassi della costruzione di nuovi blocchi di housing. La misurazione quantitativa del possibile patrimonio offerto da questo progetto non è facilmente calcolabile ed è strettamente correlato alla fisionomia delle periferie a bassa densità nel territorio. I risultati raggiunti in Francia sono ancora una volta positivi. Se ogni anno un centinaio di proprietari decidessero di fare un’operazione di BIMBY, considerando che 1 casa su 5 potrebbe ospitare tecnicamente una nuova abitazione, circa 190.000 case potrebbero emergere senza nessuna espansione urbana, l’equivalente della produzione attuale di case e di abitazioni collettive. Basterebbe, statisticamente, che l’1% dei proprietari francesi decidessero di dividere la propria terra per soddisfare il fabbisogno di nuovi alloggi. Come detto precedentemente, il processo di urbanistica locale genera abitazioni ad hoc, dove la domanda e l’offerta possono trovare un punto di incontro grazie alla natura partecipativa del progetto. Il progetto trova ragione nell’inadeguatezza del parco abitativo attuale, come i grandi complessi di social housing ingestibili o le case singole, energivore, tipologicamente inattuali e spesso sovradimensionate per le esigenze dei loro occupanti,. Vi sono poi le situazioni familiari, di nuclei sempre più frammentati che richiedono una flessibilità maggiore nell’abitare. Il terzo problema potrebbe essere caratterizzato da una divisione catastale probabilmente portatrice di una domanda di parcheggi, acqua, servizi igienicosanitari, smaltimento rifiuti, trasporto pubblico ed energia, sempre maggiori. Bisogna, quindi, accertarsi che l’infrastruttura esistente sia in grado di sopportare un ulteriore carico. Così, se da una parte, il costo della densificazione per la comunità è ridotto, questo tipo di processo potrebbe sovraccaricare le reti in via di obsolescenza, soprattutto in quartieri costruiti tra il 1950 ed il 1980. Poi, sul piano urbanistico, è ampiamente accettato che forme urbane prodotte dallo sviluppo delle aree residenziali suburbane dal 1970 non siano soddisfacenti. inoltre la struttura della strada cieca non risulta spesso favorevole allo sviluppo di modalità attive o al servizio di trasporto pubblico e, dunque, la densificazione non potrebbe portare a situazioni a lungo termine positive. Il contesto reggiano e,

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Esempio densificazione, a21studio

più precisamente il quartiere analizzato di via Cavallotti, trova invece una sua conformità al progetto in quanto la configurazione lineare e l’intreccio tra i vari flussi carrabili e pedonali rendono facilmente attraversabile tutto lo spazio urbano. Infine, da un punto di vista sociale, si può mettere in dubbio la natura individualistica dell’approccio. La vita di periferia non è semplicemente disciplinata dalle norme legali della suddivisione. Essa presuppone il rispetto delle regole implicite di buon vicinato, una distanza rispettosa e l’osservanza della privacy. Il presupposto fondamentale del progetto BIMBY è però quello di una densificazione democratica e sostenibile. Per essere accettato, la possibile intensificazione e i benefici individuali ricavati, dovrebbero far parte di un progetto collettivo sviluppato da e per i residenti locali e accompagnato da benefici collettivi per tutte queste persone. In termini di compravendita, l’impegno dei singoli cittadini dovrebbe ricadere sullo sviluppo dello stesso comparto, come in un sistema chiuso. Come già ribadito, la densificazione crea identità, se esercitata nel “locale” e per il “locale”. Sulla base di una diagnosi condivisa, è possibile portare le persone a discutere collettivamente sul possibile futuro del loro quartiere, dello spazio pubblico, delle modalità di trasporto “dolce”, dei servizi, del commercio, delle strutture

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comunitarie e di tutto ciò che riguarda la vita di comunità. Da un punto di vista sociale si restituisce alla gente del posto un forte ruolo nella produzione di habitat, fornendo alla comunità potenti mezzi di crescita condivisa, mediante una sinergia di progetti residenziali e comunitari nati dalla volontà locale. E ‘anche tempo di impegnarsi con soluzioni innovative per l’energia, l’acqua ed il trattamento dei rifiuti. L’implementazione delle trame urbane può anche passare attraverso una ristrutturazione più ampia e fondamentale del territorio con il supporto di un’istituzione pubblica che consenta una migliore organizzazione dei sistemi di rete e sociali. La casa privata, che porta lo stigma di individualismo americano, accrescendo le libertà individuali, può svolgere un ruolo verso la libertà collettiva, trovando un interesse comunitario. La realtà di Mancasale, data la sua storia di cooperative, artigianato ed imprenditorialismo potrebbe essere un ottimo terreno per la replica di questo progetto. In un certo modo, la forte pressione finanziaria generata dalle grandi opere infrastrutturali, dalla vicinanza alla fiera mondiale di Milano 2015 e dal continuo flusso in entrata della popolazione, garantiscono un tasso di rischio dell’operazione sicuramente minore. L’offerta potrebbe soddisfare la domanda di alloggi e allo stesso tempo, di ancor più rilevanza, il quartiere di Mancasale potrebbe lanciare un’alternativa alla trasformazione del territorio che l’amministrazione sta attuando, in maniera molto più estensiva e a larga scala. BIMBY può svolgere il ruolo di strategica alternativa allo sprawl urbano seguente all’arrivo di una grande infrastruttura come l’alta velocita nel comune di Reggio. Ad oggi, l’esperienza ha già prodotto alcune operazioni di successo nei piani di sviluppo di alcuni comuni francesi e costruendo già le prime abitazioni su lotti ottenuti da divisione catastale. Il progetto è ora supportato da una vasta gamma di attori professionisti, attori pubblici e privati, che operano nel campo della pianificazione urbana, dell’ architettura e della costruzione. C’è da dire, inoltre, che la nuova velocità consente veramente di lavorare altrove ma rimanere nella città di Reggio Emilia. Poter costruire nella propria comunità, investire nel proprio territorio, vedere i frutti dei propri investimenti nello spazio pubblico attorno, aumenterebbe la stabilità economica e la continuità generazionale, globale pur rimanendo in un contesto fortemente locale.

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spazio pubblico proprietà privata

proprietà privata

proprietà privata

nuova divisione

nuova divisione

proprietà privata

proprietà privata

nuova divisione

proprietà privata

proprietà privata

proprietà privata

nuova divisione

spazio pubblico proprietà privata

servizi

proprietà privata

proprietà privata

proprietà privata

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Low-cost Architecture

Part 2 No-standard housing for a multicultur society


dwelling

micro-architecture

typologies

extension

lifestyle

local

usability

low-tech


7 Costruire a basso costo | Cost-effective buildings

Una questiona di standards 7.1

Parlare di collective housing, low-cost design, consumi zero, bioenergetica, co-housing ed altri termini in voga oggi giorno, conduce a discorsi di sviluppo sostenibile fondamentali e urgenti in architettura, ma non sempre ben chiari, adeguati o addirittura necessari. L’architettura sta diventando un prodotto di rapido consumo cui si affianca il richiamo sempre più forte della “sostenibilità” come lotta alla sintomatologia data dagli errori strutturali di sistema. Le strategie di progetto svolgono un ruolo determinante per

gli

architetti

al

fine

di

affrontare

le

circostanze

in modo tale da ottenere risultati, poiché la pressione del mezzo finanziario è spesso talmente alta da far apparire quasi impossibile la realizzazione di risultati di elevata qualità.

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Entra poi in gioco la sostenibilità economica come parametro imprescindibile di progetto e garante di uno standard abitativo elevato e allo stesso tempo cosciente in un’ottica di sviluppo globale positivo. Parlare di efficienza di costi non ha nulla a che vedere con il tema delle costruzioni a basso costo. Da un punto di vista formale, gli obbiettivi economici non dovrebbero necessariamente costituire un fattore negativo. Spesso, rinunciare al superfluo porta a soluzioni stupefacenti dal punto di vista formale. Si viene a formulare così la tesi: “costruire a basso costo = costruire sostenibile. In architettura, la continua rincorsa all’ottimizzazione economica ha acquisito ampio significato solo durante la rivoluzione industriale. Nel corso della storia, troppo spesso gli architetti hanno motivato l’impoverimento finanziario delle proprie opere come nuove conquiste architettoniche con l’obbiettivo dell’automotivazione creativa. Nell’epoca moderna, i metodi costruttivi industriali e i fondamenti della politica socialdemocratica hanno favorito il concetto di unità residenziale sviluppata specificatamente per soddisfare le esigenze minime dell’uomo. L’edilizia popolare sovvenzionata che ne è derivata è stata, nella maggior parte dei casi, equiparata all’edilizia a basso costo31.

I costi di costruzione di un edificio diventano tema di dibattito televisivo e argomento dei quotidiani solo quando in edifici spettacolari si sfiorano smisuratamente i budget, come nel caso di nuovi aeroporti o grattacieli di lusso. E anche i colpevoli sono presto trovati: a ragione o a torto, vengono sempre imputati gli architetti. Per molto tempo gli architetti si sono presentati come artisti dell’architettura e di conseguenza, l’asettico compito di controllare i costi e il rispetto del timing di lavoro costituivano solo una fastidiosa necessità. In un periodo di grave crisi economica, in un momento in cui l’epoca delle icone dell’architettura volge ormai alla fine, si preannuncia un nuovo radicale cambiamento di pensiero32.

Alcuni professionisti spiegano che se il risultato di un progetto è scadente, il motivo è che è stato investito poco denaro per l’architettura. Questa argomentazione si basa su un equivoco elementare circa il ruolo dell’architetto nel processo di progettazione e costruzione. Il controllo dei costi esula dal concetto di costruzione a basso costo ma si lega maggiormente alla questione della responsabilità professionale e dell’importanza sociale del costruire habitat. Se pensiamo al settore edile, “economico” significa ridurre il volume riscaldabile o risparmiare sulle finiture. Ma quali implicazioni si determinano a lungo termine?

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Case a schiera a Mulhouse, Lacaton e Vassal

Gli edifici hanno come caratteristica la tendenza a vivere più a lungo del loro periodo di ammortamento. Sono parte integrante dell’ambiente ed hanno la capacità di farlo migliorare o peggiorare. Ridurre la costruzione di edifici abitativi agli aspetti puramente qualitativi ne farebbe esorbitare il costo oltre ad innescare problematiche inerenti al fatto che i costi aggiuntivi supererebbero di gran lunga il ritorno dell’investimento iniziale. I sobborghi di Parigi, fatti di edifici prefabbricati in pannelli di cemento, aspri problemi sociali, violenza e vandalismo, sono un prodotto della cementificazione funzionale. Ciò nonostante, nel contesto della globalizzazione, la discussione dei costi è condotta su una linea alquanto discutibile. Oggi più della metà della popolazione globale vive in agglomerati urbani. Ipotizzando che, in tutti i paesi in via di sviluppo, si desiderasse avere il medesimo standard di comfort dei paesi industrializzati, con un fabbisogno di risorse simile, avremmo bisogno di una

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Edificio universitario a Nantes, Lacaton e Vassal

doppia quantità di potenziale energetico, di materie prime e riserve di ossigeno. Questo scenario chiarisce la responsabilità di tutti coloro che sono coinvolti nel processo costruttivo, specialmente in Europa, dove si rende necessaria un’analisi della situazione abitativa, e dove ancora oggi le case sono progettate come unità per famiglie con entrate economiche medie. Nel campo del social housing, low-cost housing etc., la sostenibilità economica è raggiungibile solo grazie ad un forte processo industriale di pianificazione, prefabbricazione e standardizzazione per la produzione seriale degli elementi costruttivi. Come afferma l’architetto dell’atelier Kempe Thill: Nonostante tutti i postulati di un’avanguardia accademica che implora un’inversione di tendenza nel settore edile, le regole del Fordismo dominano come un tempo la produzione edilizia.[...]. In linea generale e nell’edilizia residenziale, la Mass customisation – produzione di massa personalizzata – e la progettazione parametrica sono molto difficili da usare, per il fatto che nella maggior parte dei casi i numeri della produzione sono troppo bassi per raggiungere un rapporto qualità – prezzo ragionevole[...]. Per riuscire a muoversi in un quadro economico ben delimitato, gli edifici plurifamiliari devono

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Edificio a Rotterdam, Atelier Kempe Thill

essere concepiti come strutture seriali. Non si tratta di una progettazione seriale della pianta ma di integrare elementi di facciata prefabbricati, componenti standardizzati e di ridurre i particolari tecnico – costruttivi. La serialità e la riduzione, da un lato sono necessarie per limitare le ore di lavoro impiegate per la costruzione e di conseguenza per risparmiare sui costi, dall’altro servono a impedire una logistica complessa che le imprese non sono più in grado di sostenere. Tuttavia non trattiamo l’edilizia seriale come un fardello tecnologicamente necessario, piuttosto come un tratto caratteristico dell’edilizia contemporanea, che accogliamo con favore e concettualizziamo come se fosse un’arte costruttiva autentica. Come il perfezionamento del prodotto industriale33.

Nel caso in cui si decidesse di progettare componenti edili speciali, possiamo comunque favorire l’introduzione di prodotti industrializzati evitando di testare prodotti su misura che richiederebbe tempo e soldi. Prendiamo in esempio una grande vetrata di un edificio a schiera. Utilizzando elementi di grandi dimensioni, come sistemi di serramenti ad ampia specchiatura fino a 6 ≈ 3 metri o rivestimenti di

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alluminio di 7 metri di lunghezza che possono conferire al prodotto una certa monumentalità, i profili e i giunti più che altro standard finiscono per apparire molto eleganti e sontuosi, come ben dimostra la facciata dell’edificio di sei piani dell’Aia. L’architettura semplice e di pochi particolari deve essere emozionale. Lo standard può essere la chiave di lettura per nuove idee. Una volta ridotta l’architettura all’essenziale, la prospettiva avrà nuove frontiere abitative tecnologiche, morali. Inoltre un progetto economico, di per se non è, come spesso si crede, anche semplice (nell’eccezione negativa del termine), ma racchiude un enorme potenziale per costruire a basso costo. Strutture ordinate, un’organizzazione funzionale e razionale degli spazi, un sistema costruttivo compatto e soprattutto il limitarsi ad un’idea architettonica principale, è la strada giusta per definire costi adeguati. La ristrettezza di mezzi determina un momento creativo che esalta le potenzialità di un nuovo pensiero estetico. L’inserimento di componenti edili e sistemi costruttivi appositamente studiati rappresenta un avvenimento alquanto raro e saltuario. Tuttavia è possibile utilizzare in maniera sperimentale materiali in contesti che esulano dalla loro peculiare funzionalità34.

Ritorno al locale 7.2

Un’ architettura ridotta all’essenziale è un’architettura in grado di recuperare la semplicità dei processi industriali della piccola economia, quella legata ai sistemi locali. L’ atto della costruzione deve essere anzitutto un atto culturale, e prescindere dalla conoscenza del territorio, delle tecniche e delle risorse naturali. In termini di realizzazione c’è un ritorno all’impiego di risorse locali, in controtendenza rispetto alla recente importazione di materiali speciali provenienti da paesi lontani. Questo aiuta ad abbattere i costi, aiutando la sostenibilità dei progetti e favorendo, come in passato, la particolarità. Bisogna inoltre considerare

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Edificio universitario a Nantes, Lacaton e Vassal

che una migliore qualità è, alla lunga, più economica poiché niente è più caro della demolizione di edifici di scarsa qualità anche in termini ecologici. Il know-how locale insieme all’applicazione delle conoscenze tecniche moderne permettono di ottenere una architettura duratura che riscontra il riconoscimento della società in termini di identificazione, bellezza e comodità35.

Sostenibilità economica e sostenibilità energetica sono due termini spesso in contrasto. Come architetti abbiamo il dovere di occuparci della questione della sostenibilità e dell’efficienza energetica che in gran parte si può risolvere con un minimo impiego di installazioni tecnologiche[...]La domanda di sostenibilità è soprattutto una questione di qualità di vita dell’uomo. Non dobbiamo dimenticarcene. Dobbiamo per forza di cose chiudere una facciata esposta a nord anche se verso nord si gode di una vista meravigliosa? Se l’uomo è al centro delle riflessioni, sarà proprio l’uomo a chiedere quanto dovrà essere efficiente energeticamente un edificio36.

Il paradosso sta nel fatto che il miglior involucro è quello che meno interagisce

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con l’ambiente esterno. Il cambiamento delle stagioni, i picchi di caldo/freddo in inverno ed estate, il ricambio d’aria fresca al mattino sono spesso negati a favore di un miglior controllo del confort interno. Many architects say their projects suffer from stringent regulations governing energy efficiency and from financial pressures on their housing programs, leading them to design spaces that are increasingly smaller, enclosed and cut-off from the outside environment. But modernity is not about norms, or rules or the minimum. Rather, it is about delivering maximum pleasure, comfort and luxury on every floor37.

La perfezione sta nel trovare la soluzione migliore; c’è il pericolo che la tecnologia diventi fine a se stessa e che l’architettura raggiunga costi ingiustificati. Si può vivere in modo confortevole anche senza garantire standard elevati ad ognuno. Ogni persona è diversa. E poi non è così fastidioso percepire la variazione delle condizioni climatiche.

Progettazione particolareggiata 7.3

Rendere l’architettura ad alta efficienza energetica adottabile da qualsiasi cliente, significa indubbiamente portare il livello tecnologico ad uno schema più semplice, comprensibile e soprattutto economico. Sostituendo il largo impiego di materiali “hi-tech” o ad alta efficienza con altri più comuni ed economici, occorre prestare massima attenzione alla progettazione del dettaglio. La progettazione particolareggiata assume un ruolo di particolare importanza, e se è precisa ad ogni fase e attenta agli sprechi, può evitare varianti di progetto e aumentare la qualità. La realizzazione segue la progettazione. La regola è banale quanto efficiente: chiusa la fase progettuale, prima che inizi il cantiere, si può costruire in modo economicamente consapevole. Una progettazione contemporanea alla realizzazione solo apparentemente implica un risparmio di costi e tempo, in realtà ostacola la revisione dei prezzi, ritarda spesso le fasi di costruzione e rende più onerosa la logistica di cantiere[...]

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School

Una progettazione completa prima dell’apertura del cantiere implica, invece, una scaletta delle prestazioni per ogni priorità. Le imprese che si occupano della realizzazione determinano il progetto di montaggio. Dato che il successo economico dipende in larga misura dal controllo e dal progetto, si può procedere entro tempo ad un’eventuale risoluzione di contrasti. Una progettazione completa sin dall’inizio delle opere offre una base attendibile per le trattative e uno spazio di negoziazione nel processo di appalto. Il rischio del computo sta allora nella realizzazione e non nella progettazione38.

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F u j i , Te z u k a Architects


8 Libertà di utilizzo | Usability

Flessibilità 8.1

Se è facile capire ciò che libertà di utilizzo significhi per chi utilizza lo spazio, più complesso risulta essere il senso di spazio libero per chi progetta. The point is to go beyond programs, rules and norms. Buildings are beautiful when people feel good in them, when the light is beautiful and the air is pleasant, when moving between the inside and the outside seems easy and soft, when life in them is agreeable and the uses and sensations are unexpecte. In the big spaces of these tool-buildings, everything is possible39.

La qualità architettonica deriva dall’utilizzo di un arsenale classico di principi progettuali, tra i quali annoveriamo la logica strutturale, le potenzialità prototipiche, le proporzioni armoniose e una quantità ben dosata di monumentalità e grandiosità, connesse con un linguaggio formale misurato e una certa indeterminatezza. Coerentemente con la filosofia di Mies van der Rohe, non si tratta di progettare un edificio interessante ma di realizzare architettura di qualità la cui atemporalità lo renda sostenibile. Nonostante le destinazioni imprescindibili, gli edifici devono mostrare un carattere autonomo per stimolare attività. Gli utenti possono impossessarsi e riempire lo spazio a disposizione, invece di essere recettori passivi dei desideri formali dell’architetto in ogni settore. Spesso però ottimizzare va a discapito della libertà di utilizzo, di personalizzazione. Su questo punto occorre precisare come l’indeterminatezza funzionale sia in realtà una questione anche economica . Un aspetto centrale è la relazione tra l’investimento ed il valore del suo utilizzo. Non c’è alcuna ragione di ridurre la superficie. In futuro, il mantenimento del

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valore ecologico ed economico sarà un tema cruciale. La neutralità funzionale delle aree abitative possiede un ruolo in questo. Se non è stato predefinito l’utilizzo, è possibile adibire i volumi ad altre forme di abitative. Il concetto di libertà di utilizzo non si può tradurre in organizzazioni spaziali dinamiche, sistemi a scomparsa, pareti multiuso etc. La suddivisione logica dello spazio, regolare, unita a spazi “generosi” crea una piattaforma dove tutto è possibile. Garantire la libertà di utilizzo non si traduce nell’esasperare il funzionalismo degli spazi minimi. L’abitazione non può essere vissuta come una “cassettiera” dove le modifiche avvengono giornalmente e mai si adattano alle vere esigenze a lungo termine delle famiglie. Occorre progettare maggiormente in base a particolari scorci, microclimi, vicinato, rumore, senso di accoglienza etc., utilizzando spunti a volte non convenzionali. The different spaces would be strongly characterised, not by precise functions, but by extremely strong qulitative particularities. A priori, no bedrooms, living rooms or bathrooms, or premeditation when it comes to conceiving the places for relaxing, working or eating in. Ratherm a catalogue of spaces with complementary and contrasting qualities. The building standards, acoustic and thermal, con only be applied to part of pur spaces. This would favour migrations within the dwelling, in accordance to the seasons the istallation wouldn’t be specialised, but always ambivalent and ambiguous40.

Persino l’orientamento secondo punti cardinali, posizionando le aperture a sud e chiudendo il fronte a nord, porta sempre a soluzioni ottimali. Conoscere i principi generali della progettazione energetica diventa utile solo nel momento in cui si è capaci di scendere a principi più locali, microsistemi, microambienti. In pratica è il quartiere in se che segna le linee guida della progettazione energetica. Intendo dire che tutti gli aspetti ambientali del progettare vanno mediati sempre con quelli sociali e che riguardino il piacere di abitare. Ogni atteggiamento di chiusura verso il micro-contesto non può definirsi né innovativo né ambientale.

Documenta 12, Kassel, Lacaton & vassal

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Management Science University, Bordeaux, Lacaton e Vassal

Soluzioni non convenzionali 8.2

Errore e indeterminatezza tornano necessari in contrasto alle regole energetiche imposte assolutisticamente e che, talvolta, rendono l’abitare maggiormente asettico. Aalto elaborated Ruskin’s idea when speaking about the human error

and criticizing the

quest for absolute truth and perfection: ‘We can say that architecture always contains a human error, and in a deeper view, it is necessary; without it the richness of life and its positive qualities cannot he expressed’. Referring to discontinuities in design logic, Aalto uses the expression ‘sympathetic error’41.

A Bordeaux, l’edificio universitario da poco ultimato possiede requisiti di 119


FRAC, Dunkirk, Lacaton e Vassal

elevata efficienza per 3000 studenti ma è caratterizzato da ampie finestre e da balconate continue con rose rampicanti. L’attenzione dell’utente è richiamata più dall’elemento floreale che dal particolare architettonico. Era importante in questo progetto che l’architettura non prevaricasse come elemento percettivo. L’architettura deve essere disturbata da altri elementi. Una prospettiva visiva, un albero, un fiore, possono “rubare” all’architettura il ruolo di primadonna. Il ruolo primario dell’architettura non è quello di essere vista per se stessa. E’ fondamentale quello che l’architettura offre.

Le g a m i 8.3

Architecture must be direct, useful, precise, economical, free, joyful, poetic and cosmopolitan42.

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Openhouse, To k y o , Junya Ishigami

La sfida che personalmente voglio intraprendere parla di semplicità, luce, piacere. Ogni progetto di architettura può creare, rompere, fortificare ed indebolire i legami presenti nel contesto. Dunque, una progettazione sensibile deve inquadrare il progetto nel più circoscritto dei sistemi, arrivando alla parte intima, molecolare. Solo così è possibile constatare gli aspetti positivi, negativi, fondamentali o banali che essi siano. Il piacere di vivere uno spazio non può essere predeterminato, occorre quindi selezionare l’esistente, selezionare in maniera precisa ciò che più rende l’abitare piacevole. Da questo punto il discorso si estende alla città intera. Progettare senza l’ottica del fare-disfare. Cercare sempre di consolidare il presente. Sono questi i “must” della progettazione sensibile. The deeo rapport we maintain with the pre.existing in its capcity for transcendence and openness engages a whole other way of reflectiong on the city that there is no longer any question of interrupting , of parcelling out, of diving into areas designed for concerted development but of promptly densifying , precisely prolonging, reorganizing from inside in order to allow fresh starts43.

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Riguardo la città contemporanea, essa costituisce già di per se una megastruttura. I limiti sono fissati e ben rappresentati da quello che già esiste. Nulla va creato, ma integrato. Rimane solo per i progettisti di prolungare questa infrastruttura. Non bisogna perdere l’ottimismo! Anche in contesti problematici c’è sempre qualcosa di positivo. Da un’analisi attenta della situazione risultano sempre piccole cose inizialmente invisibili, che possono, al contempo, creare la base concettuale di un progetto44.

Accessibilità 8.4

This traditionally precise response to the so-calles precise needs of the average ideal family seems to be admitted and assumed as being definitive: the man who works and the woman who stays at home to take care of the three kids of school age. The evolution of the nature of the morphology and functioning of the house rejects the evolution of the concept of a family45.

Si è soliti pensare che la villa con giardino sia simbolo di un elevato status sociale; un oggetto di lusso, dove gli spazi risultano essere maggiori essendo meno legati a vincoli economici. La progettazione standard per residenze a basso costo porta invece inevitabilmente a spazi minimi, che rispondono solo provvisoriamente alle esigenze di famiglie che si allargano. Sotto quest’ottica, considereremo sempre le residenze a basso costo come alloggi di passaggio, in attesa di una vita migliore, data la loro incapacità a soddisfare i bisogni comuni e duraturi. In realtà, in accordo all’opinione di Lacaton e Vassal, ritengo che: The discourse on singel-family is not so different from that on communal housing. A singlefamily house is no more than worse built flat.[…] It’s aberrant to have people dream of singel-family houses when these create an obvious problem by consuming territory46.

Dobbiamo svincolare il concetto di povertà da quello di social housing. La sfida maggiore degli architetti dal mio punto di vista dovrà essere quella di ottenere

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S c h a u s t e l l e Pa v i l i o n , M u n i c h , J . M a y e r A rchitects

costruzioni economiche senza limitare la qualità degli alloggi e renderli appetibili ad ogni classe sociale. We have to stop creating typologies and just do what’s really desiderable, relating to the notion of automatic architecture. [...] Architects should put proposals of great quality at everyone’s disposal. In no way is it a question of generating ghetto within the ghetto, if we propose generous, spacious flats for all, flats that benefit from the special features of the geography, with unecumbered spaces, useful services, etc., the model will end up interesting all social levels47.

Il contributo che un edificio residenziale dà a favore dello spazio pubblico, è la considerazione più importante che l’architetto deve fare. Il consenso sociale e culturale non dipende solamente da chi occupa lo spazio ma anche dai passanti che hanno un ruolo cruciale nella sostenibilità degli edifici. Gli edifici residenziali sono l’epidermide della città.

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9 Architettura effimera | Fragile Architecture

Architettura delle immagini 9.1

Per concludere la prima parte di questa ricerca è opportuno collegare il discorso sulla “tecnologia minima” con il ruolo iconografico dell’Architettura. As a consequence of the power of the eye over the other sensory realms, architecture has turned into an art form of instant visual image. Instead of creating existential microcosms, embodied representations of the world, architecture projects retinal images for the purpose of immediate persuasion. Flatness of surfaces and materials, uniformity of illumination, as well as the elimination of micro-climatic differences, further reinforce the tiresome and soporific uniformity of experience. All in all, the tendency of technological culture to standardize environmental conditions and make the environment entirely predictable is causing a serious sensory impoverishment. Our buildings have lost their opacity and depth, sensory invitation and discovery, mystery and shadow48.

Per questo importante nodo della questione ricorrerò spesso alle parole del critico svedese Pallasmaa, il quale, prendendo come esempio il Paimio Sanatorium di Alvar Aalto, sostiene che: In his description of the design process of the Paimio Sanatorium, Aalto formulates a design philosophy progressing from the identification and articulation of experiential situations: [...] a building has to be conceived from inside outwards, that is, the small units and details with which a person is engaged form a kind of framework, a system of cells, which eventually turns into the entity of the building. Using this method of analyzing experiential situations, Aalto conceived the sanatorium as a carefully and empathetically studied instrument of healing for the benefit of human beings at their

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weakest, ‘the horizontal human being’, as Aalto calls his hospitalized client49.

Lo stesso concetto è ripreso in maniera continua nel lavoro dei Lacaton e Vassal e da molti altri, i quali considerano fondamentale progettare inward-outward, dal cucchiaio alla città, senza incidere segni su un foglio mai abbastanza grande per poterci disegnare una città intera. Nel suo saggio, il critico scandinavo parla poi di “architettura fragile”, come quella composta da parti, eterogenea, frammentaria, ma pur sempre umana, intima: The present-day artistic universe is perceived from experiences that are produced at discrete points, diverse heterogeneous to the highest degree, and consequently our approximation to the aesthetic is produced in a weak, fragmentary, peripheral fashion, denying at every turn the possibility that it might ultimately be transformed definitively into a central experience50. Non c’è reale oggi che passi attraverso l’immagine.[...] Viviamo in un mondo di sguardi, di visioni, di immagini e, [...] immersi in questo mondo, ci capita spesso di sentirci accecati51.

Si crea un dualismo. Da una parte la progettazione diligente che partendo dalla parte intima e privata esce verso l’esterno, come il percorso dell’abitante che, ogni mattina, si sveglia, si prepara alla giornata ed esce in direzione del luogo di lavoro. Dall’altra, una progettazione basata esclusivamente sull’esasperazione dell’effetto sorpresa, dell’immagine shock che si ferma alla retina senza suscitare alcun meccanismo emotivo . Questo dualismo, nella professione dell’architetto, ritengo richieda una presa di posizione. Focused on visual imagery and detached from social and contextual considerations, the celebrated architecture of our time -- and the publicity that attempts to convince us of its genius -- too often has an air of self-satisfaction and omnipotence. Buildings attempt to conquer the foreground instead of creating a supportive background for human activities and perceptions. Architectural projects of our day are often impudent and arrogant, and our age seems to have lost the virtue of architectural neutrality, restraint, and modesty52.

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10 Il nuovo quartiere | The quartier

Analisi 10.1

Come già affermato, l’ipotesi è quella di creare, lungo l’attuale linea ferroviaria regionale, un parco lineare che funga da futuro collegamento tramviario. Dopo aver riconosciuto la realtà esistente del quartiere di via Cavallotti, l’intervento prevede quindi la riqualificazione puntuale degli elementi trasversali presenti. Questo intervento si può porre come modello per tutte quelle aree periferiche presenti nelle città che si trovino “nascoste” e con un’identità minata dai cambiamenti in atto nei vari territori. Il riuso progressivo dei vuoti urbani viene affiancato dalla ri-conversione puntuale dei capannoni e piazzali industriali. Nell’ipotesi di progetto la sola demolizione di un magazzino non usato, libera grandi opportunità di riassetto per l’intero comparto. Seguendo questo metodo, lo spazio periferico potrebbe, passo dopo passo, riacquistare una dimensione pedonale, ottimizzando lo spazio non progettato per una funzione diversa e adattandolo alla società odierna. Il progetto non vuole influire sulle prospettive economiche degli imprenditori attivi. Esso vuole integrare lo spazio carrabile del traffico pesante a quello

Progetto di densificazione in Via Cavallotti

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urbano più intimo, interrogandosi sui possibili confini tra questi e non intaccandone l’accesso agli edifici industriali . Il deficit di lavoro, seppure minimo, derivato dall’abbattimento dei complessi industriali meno utilizzati verrà comunque colmato da altrettante attività produttive che abbiano le caratteristiche attuali del coworking o dei laboratori artigianali (“makers”). In generale, il processo di ri-qualificazione e densificazione puntuale crea, con una buona mixitè funzionale, nuove opportunità di lavoro. Una tematica particolarmente presente in questi contesti industriali è quella della deimpermeabilizzazione del suolo. La conversione è un atto culturale: non basta riconvertire il costruito ma è necessario anche che parti di suolo tornino ad essere naturali. De-impermeabilizzare significa ripristinare parte del suolo precedente rimuovendo strati impermeabilizzati come asfalto o calcestruzzo, dissodando il terreno sottostante, rimuovendo materiale estraneo e ristrutturandone il profilo.

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Funzioni e spazio pubblico


La de-impermeabilizzazione è una misura di compensazione a volte collegata a un approccio piu ampio al recupero urbano, ad esempio rimuovendo edifici degradati e creando adeguati spazi verdi ma il totale ripristino delle funzioni del suolo in un terreno impermeabilizzato puo essere tecnicamente difficile o costoso. Il collegamento verde stazione AV-centro è, di per sé, uno sviluppo consapevole ed ecologico del territorio. La ri-conversione del suolo impermeabilizzato non deve essere recepita come un ritorno alla campagna ma come ritorno ad uno spazio basato sulla sinergia tra uomo e natura. Dare una nuova faccia all’ormai compromesso suolo industriale significa ridare equilibrio all’intero sistema sociale. Via Cavallotti corre perpendicolare alla strada provinciale di via Gramsci. Quest’ultima ha cambiato, dagli anni ‘70 in poi, la sua fisionomia. Storicamente costruita sulla precedente via di comunicazione del Naviglio, via Gramsci è un percorso commerciale che collega il centro alla zona industriale nord di Mancasale. I cartelli pubblicitari ne scandiscono oggi il paesaggio. Il progetto di tesi, nonostante si concentri sulla trasversale via Cavallotti, ragiona anche sulle sorti di questo asse, andandosi a replicare in maniera analoga su via Gramsci. La densificazione potrebbe interessare, con priorità visiva, l’asse urbano, andando a ripristinare l’immagine della città reggiana come “città delle persone” sostituendola a quella atonale delle industrie a nord della città. In questo caso, si aggiungerebbe all’ impostazione BIMBY quella di BINFY (espressione coniata dagli architetti francesi Boidot & Robin), cioè costruire in front of, ri-utilizzando gli spazi antistanti le proprietà private per allocarvi nuovi servizi. Il nodo tra via Gramsci e via Cavallotti verrebbe riqualificato nello spazio urbano antistante la facciata della chiesa parrocchiale, con l’aggiunta di alberature e attrezzando il verde pubblico esistente. Il ruolo di questo nodo non è per nulla secondario data la vicinanza alla stazione dell’alta velocità che lo tramuta in porta d’ingresso alla città. Anche la parte più a ovest di via Cavallotti, quella antistante la parrocchia, rientrerebbe

nel

processo

di

ri-qualificazione

in

quanto

storicamente

e

morfologicamente in una situazione analoga a quella di progetto. A nord della chiesa troviamo, oltre ad un piccolo centro commerciale abbastanza frequentato, i resti del vecchio casello autostradale. Ritengo necessario, in questo caso, de-impermeabilizzare questo suolo per ripristinare quel particolare equilibrio rurale, fonte di vita per la comunità. Il cuore di via Cavallotti, descritto nel capitolo storico, è abitato da famiglie

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reggiane e straniere, presenti ormai da generazioni. Esse hanno visto l’area cambiare davanti ai propri occhi, ma nonostante questo, continuano a vivere il luogo sempre in modo molto attivo, come dimostra l’uso, soprattutto da parte dei più piccoli, del piccolo parco urbano presente, anche se è stato quasi del tutto fagocitato dall’asfalto dei capannoni. La parte est di via Cavallotti, quella oltre la ferrovia, da un lato, soffre di emarginazione rispetto al tessuto residenziale opposto, dall’altro però, beneficia di stralci di campagna sia a sud, verso lo stadio, che ad est, dove troviamo alcuni interessanti casolari dismessi. Inoltre in questa zona il traffico si riduce drasticamente e vi è la non meno importante presenza della scuola elementare “Balletti”. Anche in questa zona l’industrializzazione novecentesca ha però lasciato delle cicatrici sul territorio. L’inutilizzato casello di Mancasale, quale stazione ferroviaria “a chiamata”, insieme ad una pessima configurazione del passaggio a livello, rende questo nodo infrastrutturale un ostacolo che scinde via Cavallotti in maniera netta. In questa fase, rimane però fondamentale, riconoscere come l’intero comparto non sia sprovvisto di piste ciclabili e zone pedonali. Una corretta analisi racchiude in se le conseguenti soluzioni. In questo modo, i due principali collegamenti ciclabili presenti potrebbero essere facilmente ricollegati, così da poter ripristinare il passaggio del casello di Mancasale e rendere via Cavallotti interamente pedonalizzata. L’accesso carrabile è comunque garantito dalle due strade parallele

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Replica funzionale


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di ingresso alle industrie. Emerge, ora, con più forza, la logica di fronte-retro tra via Cavallotti, prettamente a carattere residenziale, e i luoghi di produzione e commercio a sostegno della comunità.

Ri-conversione 10.2 Riassumendo, la logica progettuale prevede, dunque, l’intero riallacciamento di via Cavallotti, il ri-uso degli stabilimenti dismessi, il consolidamento del quartiere con nuove residenze, lo sviluppo di nuovi laboratori artigianali moderni e flessibili alle logiche di mercato attuali, lo sviluppo del punto d’intersezione tra parco lineare e l’asse di progetto, con la costruzione di un centro multiculturale di quartiere, l’autocostruzione di micro-architetture di servizio agli spazi pubblici, come depositi o serre pubbliche, posizionate in zone limite in modo da delineare lo

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Vuoti urbani

spazio riqualificato. La densificazione affonda le proprie radici nella cristallizzazione dei luoghi simbolo. La volontà è quella di rafforzare i legami storici e sociali dell’area. Il processo di densificazione deve allora partire dagli elementi del paesaggio di Mancasale. Come già indicato, la riqualificazione degli spazi di interazione risulta necessaria al fine di potenziare i flussi futuri. Il mulino dovrà anch’esso essere ripristinato e musealizzato, essendo uno tra gli ultimi reperti legati all’economia locale. Il resto del complesso circostante potrà essere rifunzionalizzato per creare nuovi alloggi sociali e co-housing, oppure ceduto al settore pubblicoamministrativo. Il borgo, già in buone condizioni, potrà estendersi secondo le regole di densificazione, andando, magari, ad ottimizzare il fabbisogno energetico. Alcuni spazi di ingresso al quartiere potranno essere dotati di strutture più effimere come serre o installazioni temporanee, così da incentivare le attività sociali e dare un segno di cambiamento e riappropriazione dello spazio di Mancasale. Alcune strutture pubbliche, leggere e verdi, potranno inoltre essere usate come bordo degli edifici industriali innestati nel tessuto residenziale. Le funzioni, come già accennato, saranno principalmente residenziali e produttive. La regola generale rimane la stessa: consolidare i legami deboli esistenti. Un tema molto interessante è quello dei laboratorio artigianali. Essi manifestano il carattere imprenditoriale della comunità, nata grazie al commercio fluviale, cresciuta in sinergia con il lavoro della campagna e adattatasi, evolvendosi, al contesto industriale sopraggiunto nel periodo post-bellico. I laboratori artigianali in chiave moderna rappresentano il “know-how” dei giovani

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lavoratori, che uniscono il riciclo al mercato “green”. Sono luoghi dinamici, di co-working, luoghi dove si innesca un rapporto diretto con la materia prima, con la lavorazione artigianale e con le richieste del cliente. Lo spazio co-working si fonde spesso con quello co-housing, grazie ad una generazione che fa dell’ingegno la più grande opportunità di lavoro.

Programma funzionale 10.3 -Quartiere di via Cavallotti; condizione attuale verde pubblico: 4670 m²; residenziale:11090 m²; produttivo: 73570 m²; commercio: 1380 m²; funzione pubblica: 1500 m²; sport: 6500 m². -Quartiere di via Cavallotti; nuove addizioni verde pubblico: 2600 m²; residenziale; 10050 m²; 71 alloggi famiglie 2-3 componenti; servizi:

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Nuovo sistema urbano


330 m²; sport: 5400 m²; funzione pubblica: 3440 m²; parcheggi pubblici: 70. -Nuovo progetto Loft (piccole unità open-space con zona notte flessibile e servizi igienici in entrata): alloggi da 80m²; numero alloggi: 4; fruitore: giovani coppie; tot: 320 m² – 8 abitanti. Schiera1 (unità con piano terra composto da entrata, cucina e servizi igienici, primo piano con camere, terrazza) : alloggio 1 da 126m²; alloggio 2 da 266m²; numero alloggi totali: 6; fruitore 1: piccoli nuclei famigliari da 3 componenti; fruitore 2: nuclei famigliari da 3 a 5 componenti; tot: 1036 m² – 22 abitanti. Schiera2 (unità composte da zona giorno a piano terra, ingresso e cucina, primo piano con camere) : alloggio da 190 m²; numero alloggi: 4; fruitore: piccoli nuclei famigliari da 3 componenti, possibile ruolo di foresteria; tot. 760 m² – 12 abitanti. Laboratorio artigianale (spazio unico a corte con vetrina e spazio di fruizione perimetrali. Possibilità di co-housing in alcune parti dotate di servizi) : open space: 590 m²; fruitore: artigiani, start-up, studenti-lavoratori. Edificio servizi e tempo libero (palestra di quartiere e centro gestione impianti sportivi, deposito attrezzi) : palestra di quartiere: 114m²; deposito attrezzature sportive: 72 m². Parcheggi pubblici nuovi 30; Casello Mancasale (ampliamento del casello con una struttura leggera utile ad un centro giovanile di quartiere) : ampliamento: 125 m²; fruitore: giovani Aree verde pubblico: 1800 m² + progetto parco lineare -Totale funzione residenziale attuale 11090 m²; futuro 11090+10050+4230 = 25372 m²; nuovi abitanti 200

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Kanagawa Institute of Te c h n o l o g y W o r k s h o p , Junya Ishigami

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11 Centro multiculturale di formazione |

Spazio Intermedio 11.1

L’intero processo di densificazione dell’area interessata, trova conclusione nella costruzione di un centro pubblico che verrà collocato nell’intersezione tra l’asse verde e via Cavallotti, in modo da essere strategicamente fruibile da più flussi di diversa natura e portata, visibile e condivisibile da tutti gli abitanti, turisti, passanti e lavoratori. Il centro rispecchierà gli sforzi messi in atto per la trasformazione culturale dell’area nord, da parte sia degli abitanti che dell’amministrazione. Sarà la bandiera di un quartiere modello. Un quartiere che ha scelto di reagire alla grande infrastruttura con un programma di sviluppo locale ma pensato in ottica globale e internazionale. Il centro viene progettato secondo la funzione pubblica di fornire istruzione e assistenza ai nuovi arrivati. Trovandosi in una posizione cardine, esso risponde in duplice maniera, sia

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alle ambizioni del quartiere di essere rispettato e servito con degli spazi ad uso proprio, sia alle necessità del comune di avere un luogo atto ad ospitare le attività di formazione e informazione per i nuovi abitanti. Per queste particolari funzioni il centro verrà definito Centro multiculturale di formazione. Con l’analisi culturale-demografica svolta nei primi paragrafi, si è visto come la città sia vissuta e abitata da diverse etnie, tutte ben integrate nel contesto. Tali analisi vogliono quindi imporre delle regole che travalichino anche nella sfera della progettazione: l’aggettivo multiculturale deriva dalla volontà di rendere il territorio fruibile da chiunque. Il centro, in accordo con quanto detto, deve essere accessibile a tutti i livelli sociali e alle varie etnie nel territorio. La struttura del centro è una struttura aperta e flessibile. Il rapporto e il dialogo con l’associazione Mondoinsieme ha contribuito a farmi capire le reali necessità della popolazione. Di conseguenza, dentro il centro ho adibito spazi per l’associazionismo e diverse aule pubbliche. I bisogni più evidenziati dalle associazioni sono infatti quelli di corsi di italiano, supporto linguistico, informazione/comprensione delle leggi (non solo sull’immigrazione), maggiore partecipazione alla vita pubblica, più occasioni di confronto, più ascolto da parte dei locali. Il concept architettonico deriva , di fatto, dallo sviluppo “inside-out” di un aula pubblica, partendo dalla visione di uno studente, dal modo in cui viene

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FAVA Autist School, , Caracas, Urban Think Ta n k


Costruzione volumetrica centro i formazione

usufruito lo spazio interno ed esterno. Una seconda parola chiave per la definizione di questo progetto è spazio intermedio. L’involucro esterno dell’edificio è un incubatrice di incontri ed eventi, come del resto anche il volume su via Cavallotti, che si sviluppa su 2 piani e si interconnette di volta in volta a parti diverse dell’involucro. Lo spazio intermedio è uno spazio conteso tra la natura e l’edificio, tra interno ed esterno. Questo tipo di spazio permette la connessione delle discontinuità. La natura dello spazio intermedio è nella sua ambivalenza e multivalenza. Esso non costringe elementi opposti ad un’armonia particolare ma fornisce la chiave per vivire in simbiosi.

Le tre aule pubbliche ad ovest, allocate all’interno dell’edificio sono flessibili, montabili, componibili ed interamente apribili all’esterno. Possono ospitare una pluralità di eventi, da concerti a esibizioni e lezioni. La metà ad est è quella, come detto, adibita all’incontro di associazioni e per riunioni varie. Il nuovo parco lineare dominerà l’ingresso laterale.

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La forma concava della facciata contribuisce, infine, ad una maggiore definizione dello spazio esterno e genera un passaggio effimero tra spazio pubblico esterno e interno. La terrazza è attrezzata con impianti sportivi e offre una buona vista sia verso la città che verso le recenti opere dell’architetto Calatrava. Lo scelta di inserire nel progetto uno spazio dedicato alle attività sportive deriva dalla consapevolezza che La città interetnica ha bisogno di luoghi che favoriscano l’incontro e il confronto tra donne ed uomini di culture diverse. [...] e lo sport può contribuire in modo innovativo e determinante, perché capace di trasformare la conflittualità in interazione, attraverso la competizione. La nuova architettura del dialogo si materializza nelle attrezzature e negli spazi dedicati alle attività sportive, trasformandoli in luoghi urbani53.

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Foundation Car tier, Pa r i g i , J e a n N o u v e l


Volumi e piani

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Sketch bySANAA

Funzioni sociali 11.2

programma funzionale centro di quartiere: -aule: 1040 m². -riunioni-studio-lettura: 335 m² . -spazio associazioni e uffici: 250 m². -servizio: 200 m². -spazi collegamento: 855 m². -terrazza: 1270 m². TOTALE: 3950 m². Il progetto dovrebbe lasciare agli abitanti il diritto di modificare il luogo dove vivono, in modo da poter incidere con le loro azioni sul territorio, e costruire la propria storia. Un’area riprogettata ex-novo, riuscirà ad essere un luogo urbano solo quando gli elementi che la costituiscono (piazze, strade, aree verdi, case, ecc) non risultino da una semplice sommatoria, ma siano interconnessi tra loro, tramite un sistema di causa-effetto indotto dalla vita sociale dei cittadini stessi.

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Facciata low-tech

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Citazioni

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Sitografia:

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Ringrazio i relatori Luca Belatti e Silvia Brunoro per avermi guidato nel percorso di tesi, Il prof. Roberto Di Giulio e la prof.ssa Laura Gabrielli per i consigli datemi.

Volevo, inoltre, ringraziare i Dittongo Architetti, nelle persone di Alessandro Ardenti e Roberto Nasi, per avermi introdotto con sensibilità e competenza nella realtà dell’area di Mancasale.

Ringrazio, infine, tutti quelli che mi hanno sostenuto tecnicamente e moralmente in questo periodo, fornendomi consigli utili al mio lavoro.



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