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Giuseppe Cavallini a cura di Lorenzo Belli
Con il patrocinio di
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Catalogo e mostra a cura di Lorenzo Belli
Progetto grafico di Giuseppe Joh Capozzolo
Casa Museo Ugo Guidi Via Civitali n.33 Forte dei Marmi (LU) 16 - 30 giugno 2019
Atelier Giuseppe Cavallini Via Indipendenza 33 Livorno 1 settembre 2019
“E ascolto dalla voce le ragioni invisibili di cui le città vivevano e per cui forse, dopo la morte, rivivranno”
Italo Calvino, Le città invisibili
Giuseppe Cavallini si forma respirando l’area salmastra del mare di Livorno
e, partendo dall’eredità stilistica dei macchiaioli, afferma un personale linguaggio d’espressione oggettivo carico di colore e pathos. Fin dal primo esordio artistico ritrae gli affetti, i luoghi a lui cari e la quotidianità lavorativa senza soffermarsi sulla bellezza stereotipata della città labronica come il mare, i fossi, i bagni ma preferendo i luoghi segreti, del popolo, dove può ritrarre anche se stesso tra la moltitudine della massa . In Cavallini è il cuore che asseconda la mano e non viceversa, i tratti ripercorrono il suo stato d’animo, i suoi pensieri, la sua vita; le opere pittoriche e gli scritti che ci ha lasciato narrano parole che descrivono ambienti, situazioni e stati d’animo affinati negli anni da una pittura d’emozione di fonte naturalistica. Negli anni ’50 I temi centrali del dibattito sul realismo innescato dal Partito Comunista furono prontamente accolti da Cavallini, che si pose come uno dei testimoni più attivi della nuova rivoluzione industriale italiana che mutava luoghi ed abitudini. Il Realismo socialista si poneva allora come esaltazione del mondo popolare, basandosi sull’ideologia politica figlia del suo tempo e dei suoi luoghi più rappresentativi,
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così quello che per Fattori era il lavoro nei campi per Cavallini è la realtà della fabbrica, i luoghi della vita quotidiana, la piazza del mercato. Cavallini, divenuto il massimo esponente labronico di questa corrente, viene invitato a partecipare al Premio Suzzara, rassegna artistica che si poneva in modo alternativo ai canoni accademici aprendo ad un’idea di arte del popolo per il popolo, che in quel periodo storico era rappresentato da intellettuali come Zavattini e pittori come Sughi, Zigaina e Mucchi. Cavallini nelle sue composizioni artistiche fa vivere quel micromondo, animato e non, che caratterizza il substrato sociale di Livorno descrivendo ciò che vede con quel cinico realismo che racchiude una severa critica verso un’epoca di forti contrasti. Nell’opera degli anni ’60 “Artisti che protestano per la Biennale di Venezia” nel continuare a farsi interprete di una società che sta mutando come teatro di profondi cambiamenti e contraddizioni, Cavallini ci propone un linguaggio di figure che riempiono il paesaggio con una moltitudine di singole individualità alla ricerca, nella propria isolata solitudine, dell’essenza del proprio scopo di esistere. Questi scenari sono parte integrante della sua anima schiva e orgogliosa, della sua purezza intuitiva che contamina ed interpreta la neutralità del reale con l’amore per i luoghi del popolo cogliendone l’elemento sociale preminente. Come per Gertrude Stein “da una generazione all’altra non cambia niente della gente, tranne il modo di vedere ed essere veduti” (Picasso, 1973) oggi più che mai vi è una necessità di riscoprire questo periodo storico per comprendere il percorso della società che ci ha portato ai giorni nostri. Negli anni successivi Cavallini prende parte attiva al dibattito tra realismo pittorico e astrattismo scegliendo una propria terza via personale rendendo solidi gli insegnamenti dell’espressionismo e dei maestri dell’arte gestuale come Vedova e Pollock e della violenza espressiva di De Pisis, unendo a questi l’uso del colore che fu di Benvenuto Benvenuti. Cavallini in questa nuova fase, con la tecnica del realismo materico, con le sfumature accentuate e cumuli di colori puri e incrostati dichiara amore ai luoghi, all’inanimato e ci porta all’esteriorizzazione della propria personalità artistica più profonda.
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Cavallini è maestro nel catturare la luce con potenza e gestualità figlia della tradizione labronica, usando i colori come cartina tornasole dei suoi sentimenti: come una nuvola che attraversando il sole, passa dal grigio torpore alla luce abbagliante, cosicché i soggetti e le situazioni cambiano a seconda del suo stato d’animo. Dagli anni Sessanta comincia a dipingere su carta di giornale incollata su tavola, accentuando la sua carica emotiva grazie a colpi di spatola sempre più vibranti e materici uniti a pennellate gestuali. I suoi ritratti si muovono in punta di pennello con la loro carica espressiva di tensione dirompente: il segno e la pittura così istintiva ed irruente mostra una natura sempre più affine alla parola. Fermo alla fiducia nella verità dell’arte ha preso il rischio di porsi fuori dalle regole del commercio, relegando al mercato la produzione di alcuni ritratti e nature morte che prepara e vende direttamente nel suo atelier livornese e durante le numerose esposizioni personali allestite nella sua città ed in tante altre parti d'Italia, dal Lago di Garda a Termini Imerese, nonché durante l'annuale Premio Rotonda di Livorno. Nei suoi dipinti più autentici e personali vi è, oltre ad una ricerca stilistica, un profondo e sincero sentire dei luoghi e dei tempi, in particolare nelle sue opere mature l’immagine pittorica descrive un fotogramma interiore, un frammento della memoria di attimi vissuti. Le sue composizioni di elementi e di architetture sono vere e proprie nature viventi. Nell’arco di una carriera di oltre quarant'anni Cavallini affina e muta la tecnica assecondando costantemente il suo particolare sentire: un suo ritratto, un paesaggio, un vaso di fiori, scavano in tutti noi motivi di riflessione sull’animo umano. Cavallini ha dichiarato amore ai luoghi ma soprattutto all’inanimato aldilà dell’apporto umano.
Lorenzo Belli Curatore della Mostra
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Riposo cm. 121 x 70 - Olio su legno
@2019 Eredi Giuseppe Cavallini - Tutti i diritti riservati Finito di stampare Maggio 2019 da pixel pixrtprinting