FORBYABOUTSELFPUBLISHENTPEOPLE

Page 1






ISIA Faenza Istituto Superiore per le Industrie Artistiche Diploma Accademico di I Livello in Disegno industriale e progettazione con materiali ceramici e avanzati Tesi di Laurea: ZÊnta Megazin Lorenzo Feliciani 1083/13 Nicolò Oriani 1093/13 Relatore: prof.ssa Cinzia Calzolari A.A. 2015/2016

Caratteri Utilizzati: Akzidenz Grotesk BQ Univers LT Std Times

Finito di stampare nel mese di gennaio 2017 presso Arti Grafiche Stibu Snc Di Biagetti E.& F. - Urbania


Inanzitutto ringrazio la professoressa Cinzia Calzolari che con i suoi consigli ci ha accompagnato in questa avventura, grazie anche al mio cumpa Lorenzo Feliciani che mi ha su/(o)pportato. Ringrazio i miei genitori che mi hanno insegnato un sacco di cose e se sono la persona che sono gran parte è merito(? ahah) loro. Mio babbo, mi ha insegnato che con la tenacia e la costanza si raggiunge qualsiasi obiettivo. Mia mamma mi ha insegnato a credere in me. Mia sorella mi insegna tutti i giorni che l’imprevedibilità è importante. Ringrazio Arianna, perchè mi ha insegnato che non c’è cosa meno scontata delle cose semplici. Grazie ai miei amici, perchè sono amici miei e questo dice tutto. Grazie a Bertoz che ci ha dato un pizzico della sua vena giornalistica e della sua arte. Ringrazio l’Isia, perchè, prima di entrare, non avrei mai pensato di appassionarmi tanto ad un mondo del genere e ad essere sincero il merito penso sia gran parte loro. Ringrazio l’arte, perchè è noioso pensare che sia tutto così rigoroso e meccanico. Ringrazio Marcel Duchamp, perchè c’è sempre un perchè. Grazie a tutte le persone che non ho mai visto e che mai vedrò, perchè sono parte integrante del mio pensiero. Un briciolo dei miei ringraziamenti vanno anche a me stesso. Nicolò

a chi mi ha messo in mezzo alla gente, a chi mi ha cresciuto in mezzo alla gente, a chi mi ha fatto amare la gente, a chi mi ha fatto odiare la gente. alla gente. Grazie alla Cinzia, grazie a Nick che mi sopporterà per altri due anni, grazie alla Marghe, grazie all’ISIA. Grazie Cocchi e grazie Filo che siete ancora capaci di farmi piangere. (grazie alle orfane che rovinano sempre tutto) Lorenzo



Sommario

11

Abstract

13

Parte 1. Storia dell’editoria indipendente

15 15 16 23 23 24 31 31 37 37 39 48 56 65 65 66 77 77 87 87

Introduzione Editoria ed editoria indipendente Autoproduzione: cos’è, cosa non è, a cosa serve

Capitolo I Le Origini I Chapbook

Capitolo II Lewis Carroll

Capitolo III Le Avanguardie Artistiche Il Dadaismo Il Surrealismo Il Futurismo

Capitolo IV L’Esoeditoria italiana Tre domande sull’esoeditoria

Capitolo V Le Fanzine

Capitolo VI Autoprodurre ai giorni nostri

92

Indice delle immagini

94

Bibliografia

95

Sitografia


Sommario

97 99

Parte 2. Anatomia del magazine 1. Il magazine Che cos’è un magazine? Classificazione

100 100 102 104 106 106

2. Tipi di magazine Mainstream magazine Supplements Pubblicazioni indipendenti

3. Anatomia La cover o copertina

108

3.1. Tipi di copertina

108 110 112 114 116 118

Portraits Photographics Multiple pictures Typographic Illustrated Special covers

120 122 124 126 128 129 131 133 136

Masthead o testata

3.2 Tipi di testata Dorso Struttura Flatplan Il sistema di griglie Perchè si usa la griglia Proporzione dei margini La costruzione della zona tipografica Esempi di Griglie

140

Indice delle immagini

142

Bibliografia

143

Sitografia


Sommario

145 146 146

Parte 3. Il progetto: Zénta Megazin Zénta Megazin L’Idea Il Percorso La soluzione Numero 0

148

Naming

149

Testata

150

Formato

152

Griglia

153

Caratteri

154

Numero 0



Abstract

Zénta Megazin nasce con l’intento di creare, una piattaforma cartacea autoprodotta per parlare, raccogliere e diffondere notizie e progetti relativi al mondo dell’autoproduzione, andando a concentrarsi su un fenomeno che negli anni sta andando sempre più affermandosi come un fenomeno fulcro del settore editoriale. Zénta Megazin vuole essere mezzo stesso per farsi voce dell’ autoproduzione editoriale. L’intento è quello di creare una rivista identitaria e completa, in grado al tempo stesso di sperimentare e scardinare l’idea comune di rivista e proporre un prodotto differente dall’editoria commerciale dei giorni nostri. Alla base del progetto si sviluppa una doppia ricerca sulla storia e l’evoluzione dell’ editoria indipendente, i fenomeni che l’hanno generata e quelli che oggi continuano a portarla avanti cercando di capirne differenze e analogie, e sulla teoria di redazione di una rivista, le parti e le figure che la compongono per trarne le basi tecniche da poter applicare nella realizzazione del progetto.

11

Abstract



Parte 1

Storia dell’editoria indipendente a cura di Lorenzo Feliciani

13


“Il mondo è

Stéphane Mallarmé


Introduzione

Editoria ed editoria indipendente L’editoria è l’attività imprenditoriale di produzione e gestione di contenuti riproducibili in serie e della loro diffusione e commercializzazione in forme trasmissibili attraverso i media (e oggi anche attraverso la rete). Il soggetto che esercita tale attività è detto editore. L’editoria è quindi un vasto settore che non comprende semplicemente l’aspetto cartaceo quale libri e riviste, ma anche quello musicale, mediatico e multimediale. L’editoria è il processo di trasformazione delle idee di un determinato autore in contenuti accessibili e disponibili al pubblico. Nel secolo scorso l’editoria, libraria, periodica e musicale, proponeva al pubblico un oggetto con evidenti caratteri materiali (libro, giornale, disco), oggi il termine indica anche la produzione di CD-ROM ipertestuali, eBook e file digitali. Questa tesi si occuperà nello specifico di trattare il settore editoriale cartaceo, in quello che in realtà è il diretto antagonista di questo settore: quello dell’editoria indipendente, autoprodotta o self-publishing. Oggigiorno si riscontra spesso molta confusione su questo termine, in questa introduzione cercheremo di capire cosa esattamente è ma anche cosa non è l’editoria indipendente. Se partiamo analizzando la struttura del termine risulta facile capire che si tratta di un editoria che non dipende, ma da cosa esattamente? Essa non dipende da una casa editrice o da qualsiasi altro tipo di ente che impone delle regole, di carattere tecnico e commerciale. Per autoproduzioni si intendono tutti quei progetti (libri, riviste, vinili, ecc…) che l’autore/i stesso dirige e finanzia a proprie spese senza passare attraverso la figura dell’editore e qualsiasi altro tipo di figura che riveste uno dei compiti del processo di produzione editoriale (redattori, distributori, marketing ecc..) Nel corso della storia le esigenze che hanno portato gli autori ad autoprodursi, ad investire tempo e denaro in progetti personali sono diverse e considerabili più o meno nobili, spesso influenzate dalla cultura circostante, dal periodo storico e dal mercato. Nei capitoli successivi cercheremo di ripercorrere attraverso la storia questi vari fattori e su come un fenomeno apparentemente unico è in realtà frammentato in tanti sottogruppi. Di seguito un articolo per capire meglio cos’è, cosa non è e a cosa serve oggi l’autoproduzione.

15

Editoria ed editoria indipendente


Autoproduzione: cos’è, cosa non è, a cosa serve… di Alessandro Bottero pubblicato su ww.fumettod’autore.com il 07/09/2010 Cos’è?

Autoproduzione è un termine di uso comune, che traduce in modo non del tutto coretto l’inglese Selfpublishing, che più precisamente si dovrebbe rendere con pubblicazione in prima persona. Comunque ai sensi del discorso, ed anche per la consuetudine d’uso, autoproduzione può andare bene. Esiste una grande, immensa, confusione su cosa sia autoproduzione e cosa no. Non si sa in base a quali parametri decidere se una cosa sia o meno autoproduzione, e come si sa, la poca chiarezza impedisce la piena comprensione. Sgomberiamo il campo da un equivoco. La qualità dell’opera non ha la minima incidenza sulla definizione dell’opera stessa. Per essere più chiari: sia Strangers in Paradise di Terry Moore (edizione Abstract studios), che Boiled Angels di Mike Diana, sono autoproduzioni, con la stessa dignità di autoproduzione. Che il primo sia tecnicamente, narrativamente e graficamente di un livello qualitativo X, ed il secondo poco più di un rutto, non conta ai fini della definizione. L’autoproduzione si definisce in base al metodo di produzione dell’opera, non sulla base dei contenuti. Cerebus è autoproduzione. Love and Rockets no. Capitan Novara della Emmetre è autoproduzione. Debbie Dillinger della DTE è autoproduzione, Ravioli Uèstern della NPE, no. Perché? Perché nell’autoproduzione il soggetto creativo è anche colui che, in prima persona o tramite una struttura di cui fa comunque parte e di cui determina e dirige le mosse, decide tempi e modi della produzione editoriale, investe direttamente i suoi soldi, e ha un contatto diretto con le strutture distributive. Ci siamo? Quindi quattro criteri, chi si autoproduce: 1 – è l’autore, in tutto o in parte, dell’opera prodotta; 2 – decide in modo autonomo tempi, modi e formati dell’opera prodotta; 3 – investe direttamente in prima persona i propri soldi, nel pagamento della produzione dell’opera; 4 – ha un contatto diretto con le strutture distributive, che diffonderanno l’opera nei punti vendita. La compresenza dei punti 1, 2, 3, e 4 qualifica un’opera come autoproduzione. La definizione di Autoproduzione a questo punto può essere: “Qualsiasi opera il cui autore è anche editore (totalmente

16

Introduzione


o in parte) dell’opera stessa, con tutti gli oneri derivati dall’essere editore (decisionali, gestionali, finanziari)” Facciamo alcuni esempi. Ratman viene da sempre citato come esempio di “autoproduzione che ce l’’ha fatta”. Beh, è sbagliato. Ratman non è mai stato un’autoproduzione. Infatti era la casa editrice Ned 50 a curare i rapporti con le strutture distributive dei famosi albetti spillati della prima versione di Ratman. Ossia, avevamo un editorez, che fungeva da filtro tra autore e distributore. Il Massacratore, versione Bottero Edizioni, è un’atoproduzione? No. Per quanto infatti i punti 1 e 2 vengano rispettato (Stefano Piccoli è l autore, e decide in modo autonomo), i punti 3 e 4 no. A Panda Piace è una autoproduzione? Finché era un web-comics sì. Giacomo Bevilacqua era colui che (secondo le nuove dinamiche produttive della web-era, ossia con nuovi modi di articolare i punti 3 e 4) gestiva in prima persona la produzione. Quando è diventato un volume BD, non è più stato autoproduzione, ma produzione. Idem possiamo dire per Ravioli Uèstern di Pierz. Autoproduzione finché web-comic, e poi produzione per la NPE. Mi sono capito, finora? Quindi, in sintesi, per stabilire cosa sia autoproduzione e cosa no, il discriminante non è la qualità dell’opera, ma il sistema produttivo. Si parla di autoproduzione, e abbiamo chiarito (più o meno) cosa sia. È da chiarire ora cosa non sia, e soprattutto chi fa autoproduzione e chi no in Italia. Cosa non è?

Diciamo subito che un’ Autoproduzione non è un fumetto fatto male, o ancora immaturo. La scusa “beh sì. È ancora un prodotto acerbo, ma sapete…è un’autoproduzione…!”, è una emerita fesseria. Il fatto che un’opera sia un’autoproduzione, ossia che l’autore in prima persona gestisca tutto il processo produttivo, non giustifica né scusa la pochezza grafica. Un fumetto fatto male è un fumetto fatto male. Autoprodotto, o meno. Un fumetto che dimostra lacune o carenze tecniche dovute all’inesperienza è, appunto, un fumetto che dimostra lacune o carenze tecniche dovute all’inesperienza. Poi può anche essere un’autoproduzione, ma le due cose sono totalmente scollegate. Se vuoi fare fumetti devi quantomeno provare con tutto te stesso a farli al meglio, indipendente se lo pubblichi in modo autonomo, o se te lo pubblica la Bonelli Editore in tutte le edicole del Regno d’Italia. Qualità dell’opera è un conto, modalità produttive un altro. Autoproduzione non significa nemmeno fare palestra, o gavetta. In un mondo dove il buon senso fosse un po’ più diffuso di quanto sia nella realtà uno si esercita, disegna tanto, scrive, eccetra eccetra, ma tutti questi sforzi restano

17

Autoproduzione: cos’è, cosa non è, a cosa serve


appunto un esercizio precedente alla pubblicazione. A chi realizza un’autoproduzione con l’idea che sia un esercizio per migliorare, e cerca di venderla, mi verrebbe da dire “scusa, se compro un libro, io voglio un qualcosa di definito. Non un insieme di bozze ed esercizi di scrittura.” Volete esercitarvi? Perfetto. Anzi, doveroso, ma l’autoproduzione che volete vendere è un’altra cosa. Autoproduzione non significa nemmeno essere a priori alternativi ai generi più popolari. Io posso benissimo autoprodurmi una storia western, con un pistolero buono che mena i cattivi, non ha dubbi esistenziali, non è un pervertito, non ha alcun rimorso di coscienza a fa fuori chi se lo merita, usando uno stile pulito, definito, rispettoso delle anatomie, e senza funambolismo psichedelici. Voi mi direte ”ma non c’è già Tex?”. Sì, e allora? questo è il mio fumetto western, e lo faccio come voglio io. E se è nel solco di Tex, che male c’è? Pensare che l’autoproduzione debba per forza e necessariamente qualcosa di sempre e totalmente diverso dal fumetto popolare, è solo una forma di snobismo fighetto. Spesso sostenuta da chi in realtà non è capace di scrivere storie popolari. In sintesi l’autoproduzione non è alternativa di per se stessa. Chi è che fa autoproduzione in Italia? Pochissimi. Se prendiamo come punto di riferimento un catalogo per fumetterie, in questo caso Mega n.157 (è di due mesi fa, ma le cose non sono cambiate) non è presente nessuno che usi lo strumento dell’autoproduzione. Eppure in passato le cose erano diverse. Ricordo Giorgio Santucci, con la Graffietti edizioni, oppure la Factory, che fu un interessantissimo caso di collettivo di autoproduzioni (l’unico che mi ricordi in Italia). C’è stato Bonny-Ed, con la Proud Ink, e anche Capitan Italia della Down Comix. Oggi chi fa effettivamente autoproduzione (ossia rispetta i punti 1, 2, e 3 espressi nella prima parte) sono la Emmetre service con Capitan Novara; la DTE, con Debbie Dillinger e le altre produzioni di Daniele Tomasi (ma non con la nuova rivista in pdf annunciata per Lucca “Continua…”, che è più produzione che auto-produzione); la Wombat Comics, di Luca Presicce ed Enzo Troiano. Realtà come Absolute Black, ad esempio, finché pubblicavano solo Il cimitero dei bambini addormentati erano inseribili nella categoria autoproduzioni, ma espandendo il catalogo entrano nella categoria editori in senso ampio, che pubblicano anche opere realizzate in prima persona dall’editore. Questo, chiaramente, limitandoci solo al campo degli editori visibili. C’è poi tutto il vasto, immenso arcipelago degli editori invisibili, quello che (prendendo come riferimento la kermesse di Lucca), gravita attorno a due poli: il padiglione self-area, e il padiglione fanzine. Qui le autoproduzioni fioccano, spesso con risultati egregi.

18

Introduzione


E anche qui bisogna sfatare dei miti: se per auto-produzioni intendiamo qualcosa che rientra nei quattro punti espressi allora realtà come Self Comics, I Cani, Monipodio, Canicola, Ernest, e altro non sono autoproduzioni. O meglio, mi spiego, il loro essere autoproduzione non dipende dall’essere fuori dai circuiti, o autonomi. L’autonomia concettuale e contenutistica è una cosa, l’autoproduzione un’altra. Le realtà citate sono (o sono state) autoproduzioni, solo se gli autori coinvolti (tutti gli autori coinvolti nei vari progetti) sono rientrati nei punti 1-4. Così a naso posso pensare che I Cani e Monipodio ci siano rientrati (impegno economico in prima persona degli autori, rapporto con i distributori ecc…), mentre le antologie Self Comics mi danno più l’idea di un Editore Alternativo, che un’Autoproduzione. Ripeto, qui non si tratta di discutere sulla qualità dei contenuti, ma di una chiarezza di definizione (anche per sapere in che categoria gareggiano i vari concorrenti). Le associazioni culturali (Alex Raymond, Cagliostro E-Press, Double Shot, Centro Fumetto Andrea Pazienza, ProGlo, ecc…) non fanno autoproduzione, infatti: A – gli autori delle opere pubblicate dall’associazione x possono non essere membri delle associazioni stesse, quindi cade il punto 1; B – gli autori delle opere pubblicate dall’associazione x possono benissimo non avere voce in capitolo per quel che riguarda modalità tecniche di realizzazione e tempistiche di pubblicazione, quindi cade il punto 2; C – gli autori delle opere pubblicate dall’associazione x non sono tenuti a investire in prima persona i loro soldi, per pagare le pubblicazioni dell’associazione culturale, quindi cade il punto 3; D – gli autori delle opere pubblicate dall’associazione x non sono affatto tenuti ad avere rapporti in prima persona con il distributore, per curare la diffusione dell’opera, quindi cade il punto 4. Attenzione, questo punto delle associazioni è molto importante, perché si gioca tutto sul punto 4. Un autore infatti può dire “beh, io mi autoproduco. Decido io cosa realizzare, mi pago io la stampa, nessuno mi controlla o pretende di dirmi cosa fare. Mi organizzo io gli incontri con le librerie. Mi auto produco”. Però questo autore sbaglia, perché se poi non è lui a mandare i comunicati ai distributori, se non è lui a gestire il magazzino, se non è lui a gestire i soldi ricevuti, se non è lui che va a tutte le mostre a farsi il sederino per promuovere la sua opera, allora non è una auto-produzione. Inoltre, se un’associazione culturale ha uno statuto, un presidente, un direttivo….o l’autore è il presidente e decide tutto lui, o altrimenti non è autonomo nei riguardi delle decisioni relative alla sua opera, e quindi non è autoproduzione.

19

Autoproduzione: cos’è, cosa non è, a cosa serve


Faccio un esempio. Sia Roberto Battestini (quando pubblica Fratelli con Bottero Edizioni) che Ausonia (quando pubblica Interni con Double Shot) godono della totale autonomia creativa, grazie a un rapporto di stima e fiducia tra autore ed editore (o associazione culturale). Ma né Fratelli né Interni sono autoproduzioni. E né Battestini (nel caso di Fratelli) né Ausonia (nel caso di Interni) possono dire di essere “autori che si autoproducono”. Possono dire di essere autori liberi di esprimere in modo totalmente autonomo la loro creatività. Ma auto prodursi è un’altra cosa. A cosa serve?

Molto semplice. L’autoproduzione serve ad esprimere un’esigenza creativa del singolo, mantenendo il controllo dell’opera lungo ogni passaggio del percorso che va dall’ideazione dell’opera, alla sua commercializzazione Quindi due elementi: A – esprimere un’esigenza creativa B – mantenere il controllo sull’opera, da parte dell’autore. Il primo elemento è fondamentale. È l’espressione di un qualcosa di personale, che deve spingere l’autore. La creatività è personalità. Altrimenti abbiamo al massimo la tecnica. Ma questo, ripeto quanto detto nella seconda parte, non significa che l’autoproduzione debba per forza essere alternativa ai fumetti popolari. La mia creatività è, appunto, la mia creatività. E se voglio raccontare e disegnare storie di supereroi, ma a modo mio, e mantenendo il controllo dell’opera, sono libero di farlo. Sicuramente c’è chi dirà “Ma i super eroi li producono già la Marvel e la DC Comics!”. Embé? Quelli sono i loro super eroi. Io voglio fare i miei. Sarò padrone di farlo? “Sì, però così tradisci lo spirito dell’autoproduzione, per cui devi esplorare le cose che gli editori non ti fanno fare!” Ecco. Questo dialogo nemmeno tanto immaginario è emblematico di come un certo modo snob intende il fumetto. Il fumetto serio, quello autoriale, è solo quello che si pone contro il fumetto popolare, contro la Bonelli perché fa schifo, contro tutto quello che va in edicola, contro qualsiasi cosa che non sia “d’autore”. E questo germe della fighetteria infetta anche come si debba intendere e a cosa serva lo strumento dell’autoproduzione. L’autoproduzione, di per sé, non serve a far vedere agli editori grassi, ricchi e privi di coraggio, che gli autori sono fichi, coraggiosi, e provocatori. No. Se un autore la intende così ha tutti i diritti di farlo, e se ci crede fa benissimo ad esprimere la sua creatività secondo quello che per lui ha senso. Ma se un altro autore non la pensa così, e vuole solo esprimere la sua creatività realizzando le storie western, o di super eroi, che lui vuole

20

Introduzione


raccontare, ha tutti i diritti di fare come pare a lui, senza che un sedicente Comitato Centrale degli Autori Figosi e Snob dica a tutti cosa sia Autoproduzione e cosa no. Lo scopo è dare voce al libero gioco delle facoltà creatrici dell’autore, e una volta accettato questo, qualsiasi contenuto ha pari dignità. La seconda cosa a cui serve l’Autoproduzione è mantenere il controllo sull’opera da parte dell’autore, in ogni passo del processo produttivo. Ovvio che questo per qualcuno conti poco. In fin dei conti posso benissimo avere la massima libertà espressiva all’interno di una Casa Editrice, od Associazione Culturale, senza per questo usare lo strumento dell’autoproduzione. Volendo scherzare un poco potremmo dice che è solo chi desidera controllare e gestire in prima persona tutto (direi quasi un maniaco del controllo) che è adatto all’autoproduzione. Chi invece è più portato per il lato autoriale, potrebbe trovare tutto il resto (contabilità, rapporti con i tipografi, gestione della casa editrice) molto noioso, e snervante. In fin dei conto, per un Dave Sim che faceva davvero tutto da solo con Cerebus (e Sim è davvero un piccolo maniaco del controllo), abbiamo esempi come Terry Moore, Jeff Smith, o Steve Rude, dove l’artista pensa a realizzare l’opera, e le mogli gestiscono tutto il resto. E quindi? La conclusione? L’autoproduzione non è una passeggiata. È uno strumento tramite cui esprimere in modo del tutto autonomo la propria creatività, mantenendo il totale controllo dell’opera in ogni fase del processo produttivo. Si ha autoproduzione, quando si rispettano questi quattro punti: chi si autoproduce 1 – è l’autore, in tutto o in parte, dell’opera prodotta; 2 – decide in modo autonomo tempi, modi e formati dell’opera prodotta; 3 – investe direttamente in prima persona i propri soldi, nel pagamento della produzione dell’opera; 4 – ha un contatto diretto con le strutture distributive, che diffonderanno l’opera nei punti vendita. Ed avere una moglie che gestisce la parte burocratica, mentre l’autore crea il suo capolavoro, aiuta molto.”

21

Autoproduzione: cos’è, cosa non è, a cosa serve


Galileo Galilei


Capitolo I

Le Origini La nascita dell’editoria indipendente si può far risalire al XVI secolo, per una semplice ma nobile causa: aggirare i meccanismi di censura e veto esercitati dal potere dello stato per impedire il proliferare di ogni tipo di anticonformismo e innovazione culturale (di tipo culturale e religiosa). Quindi basti pensare a Galileo Galilei e al suo Sidereus Nuncius per capire che era sicuramente di natura clandestina, sfatando immediatamente alle origini l’idea che un autoproduzione sia alternativa nel senso di stilisticamente diversa, perché erano proprio i contenuti le prime preoccupazioni di diversità, anzi la produzione e la distribuzione erano addirittura più costose e di bassa qualità visti i pericoli in cui si poteva incorrere sfidando la legge.

23

Le Origini


I Chapbook Un’altro esempio di prime forme di stampa autoprodotta sicuramente più simile al concetto e ai meccanismi dell’autoproduzione moderna sono i chapbooks termine oggi ancora in uso per indicare diversi tipi di stampe, tra cui volantini, trattati di politica e religione, poesie, storie popolari, letteratura per bambini ed almanacchi. Originariamente i chapbooks (termine derivante da chapman ovvero venditore ambulante) erano prevalentemente piccoli libretti, di solito stampati su un foglio singolo ripiegato in modo da formare 8, 12, 16 o 24 pagine, a volte illustrato con xilografie che avevano poco a che vedere con il testo. Erano prodotti a basso prezzo, tuttavia la categoria non ha veri limiti: alcuni chapbook erano lunghi, di buona fattura ed alcuni persino storicamente precisi. I Chapbooks scomparvero gradualmente a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, svantaggiati dalla competizione

con giornali economici e, specialmente in Scozia, associazioni religiose che li ritenevano empi. Nonostante abbiano avuto origine in Inghilterra, molti furono stampati negli Stati Uniti nello stesso periodo. I Chapbook sono pubblicati in Sudamerica a tutt’oggi. Il centro di produzione di chapbooks era Londra e, fino al grande incendio, le stamperie erano collocate intorno al London Bridge. Comunque una caratteristica dei chapbooks è anche la proliferazione di stamperie provinciali, specialmente in Scozia ed a Newcastle upon Tyne. I chapbooks erano un importante mezzo per la diffusione della cultura popolare, specialmente nelle aree rurali. Si occupavano di intrattenimento, informazione e storia (generalmente poco affidabile). Al giorno d’oggi sono considerati come una registrazione di una cultura popolare

24

Capitolo I


25

I Chapbook


che non avrebbe potuto sopravvivere in alcun’altra forma poiché la stampa ufficiale del tempo era un mercato rivolto ad un pubblico aristocratico e benestante, si può dire che siano stati gli antenati delle riviste ludiche e culturali di oggi, ma probabilmente con contenuti più interessanti. Il prezzo era fissato in modo da poter vendere i chapbooks agli operai, anche se il mercato non era limitato alla sola classe operaia. Va ricordato che in Inghilterra l’alfabetizzazione era comune, così come in Scozia. Molti lavoratori sapevano leggere ed i modelli di lavoro pre-industriali offrivano dei periodi durante i quali era permesso leggere. I chapbooks erano senza dubbio usati per leggere in famiglia o a gruppi in birreria. Hanno anche contribuito allo sviluppo dell’alfabetizzazione. Una prova ulteriore dell’uso da parte di autodidatti ci viene da Francis Kirkman, autore ed editore, che ha descritto come i chapbooks alimentavano la sua immaginazione ed il suo amore per i libri. I chapbooks si differenziavano per generi tra questi possiamo distinguere chiaramente le seguenti sezioni: Dedizione e moralità Storia (vera e fantastica) Tragedie: omicidi, esecuzioni e giudizi divini Stato e tempo Amore – piacevole Amore – sgradevole Matrimoni, tradimenti e intrecci amorosi Mare – amore, prodezze e azione Alcolismo e Droghe Humor e miscellanea Il numero di tiratura era impressionante. Negli anni sessanta del seicento erano stampati almeno 400000 almanacchi, un numero tale da coprire circa una famiglia su tre in Inghilterra. I tipografi fornivano i chapbooks ai venditori (detti chapmen) a credito, questi li portavano in giro per il paese e li vendevano porta a porta, ai mercati ed alle fiere, poi ritornavano a saldare il loro debito. Ciò facilitava la distribuzione e cospicue vendite con il minimo costo, e forniva anche ai tipografi un riscontro su quali fossero i titoli più popolari. Gli editori distribuivano anche cataloghi ed i chapbooks si potevano trovare nelle biblioteche della gentry. Molti dei chapbooks sopravvissuti appartengono alla collezione di Samuel Pepys (tra il 1661 ed il 1688) e sono ora conservati al Magdalene College di Cambridge. Anche Anthony Wood collezionò 65 chapbooks, (di cui 20 risalenti a prima del 1660), che si trovano oggi alla Biblioteca Bodleiana.

26

Capitolo I


27

I Chapbook


As I walked out over London bridge one misty morning early I overheard a fair pretty maid was lamenting for her Geordie Ah, my Geordie will be hanged in a golden chain, this is not the chain of many. He was born of king’s royal breed and lost to a virtuous lady Go bridle me my milk white steed, go bridle me my pony, I will ride to London’s court to plead for the life of Geordie. Ah, my Geordie never stole nor cow nor calf, he never hurted any. Stole sixteen of the king’s royal deer and he sold them in Bohenny. Two pretty babies have I born the third lies in my body. I’d freely part with them every one if you’d spare the life of Geordie. The judge looked over his left shoulder, and said fair maid: “I’m sorry for thee, my pretty fair maid, you have come too late, 28

Capitolo I


for he’s condemned already”. Ah, my Geordie will be hanged in a golden chain, this is not the chain of many. Stole sixteen of the king’s royal deer, and he sold them in Bohenny. » Mentre camminavo lungo il ponte di Londra una nebbiosa mattina sentii una bella fanciulla piangere per il suo Geordie. non è una catena per molti. Egli era nato di stirpe reale e innamorato di una dama virtuosa. Sellate il mio cavallo bianco come il latte, sellate il mio pony, ad implorare per la vita di Geordie. Oh, il mio Geordie non rubò mai né una mucca né un vitello non fece male a nessuno. Rubò sedici cervi del Re e li vendette a Bohenny. Due bei bambini ho fatto nascere e il terzo lo ho ora in grembo. Liberamente lascerei ognuno di loro se voi risparmiaste la vita di Geordie. Il giudice guardò dalla sua spalla sinistra e disse alla fanciulla: “Mi spiace per te mia dolce fanciulla, siete venuta troppo tardi perché lui è già stato condannato”. non è una catena di molti. Rubò sedici cervi del Re e li vendette a Bohenny.

Geordie, XVI secolo, numero 209, Child Ballads

29

I Chapbook


Lewis Carroll


Capitolo II

Lewis Carroll Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Lutwidge Dodgson (Daresbury, 27 gennaio 1832 – Guildford, 14 gennaio 1898), è stato uno scrittore, matematico, fotografo e logico britannico. È celebre soprattutto per i due romanzi Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, opere che sono state apprezzate da una straordinaria varietà di lettori, dai bambini a grandi scienziati e pensatori. Famoso oggi per i suoi libri fonte di ispirazione per tanti altri scrittori, per le sue fotografie, per l’invenzione della nyctografia ma spesso sconosciuto per il suo contributo al mondo della autoproduzione editoriale. Fu infatti in giovane età che quasi per gioco, o meglio per far giocare i propri fratelli minori che Carroll pubblicò The Rectory Umbrella una specie di rivista nata come progetto familiare diventato un vero e proprio progetto personale raccolta di poesie, racconti, saggi e disegni. Fu in occasione del trasferimento della famiglia a Croft Rectory, nello Yorkshire nel 1843 che il giovane Carroll fra l’estate del 1849 e quella del 1850 con l’aiuto dei fratelli realizzò ben 81 numeri in copia unica di queste protoriviste di cui solo alcune sono a noi arrivate e ristampate in edizioni commerciali tra cui The rectory Umbrella and Mischmasch e The Rectory Magazine.

31

Lewis Carroll


La particolarità di questi progetti é che erano completamente scritti ed illustrati a mano in una unica copia, erano una sorta di raccolta di famiglia, un po’ come potrebbe essere un album fotografico al giorno d’oggi. Per quanto fossero progetti effimeri e tutt’oggi poco conosciuti sono estremamente importanti nelle delineazione dello stile umoristico e satirico che caratterizzeranno poi lo scrittore in età matura. Anche le sezioni di questa rivista casalinga, distribuita in famiglia e tra gli ospiti del rettorato di Crofton-Tees, nello Yorkshire, dove i Dodgson abitano per venticinque anni, sono un anticipo di futuro. Fin dal primo numero (The Rectory Magazine) il periodico svirgola nelle direzioni già predilette dal maestro del nonsense: racconti a puntate, articoli “scientifici” di zoologia immaginaria, filastrocche parodistiche, pastiches in rima, giochi matematici, paradossi logici. E gli amati indovinelli, in una spassosa Piccola posta che elenca le soluzioni ai problemi anziché i problemi (cui sta al lettore risalire): procedura a rovescio che anticipa Alice attraverso lo specchio (1872), dove prima si mangia la torta, poi la si taglia a fette e infine la si mette a cuocere nel forno. Per quanto riguarda l’autoproduzione questo è sicuramente un esempio di autore che riveste il ruolo di editore, illustratore, redattore a anche “stampatore” o meglio di amanuense, tuttavia si può ancora parlare di proto-autoproduzione poichè l’idea è più simile ad un operazione artistica che una vera e prorpia produzione editoriale indipendente.

32

Capitolo II


33

Lewis Carroll


Un urlo lancinante si srotolò per l’antro, rimbombando da una parete all’altra, andando a morire sulla volta imponente. Orrore! Eppur, non tremò il cuore del Mago, anche se il suo dito mignolo rabbrividì lievemente tre volte e uno dei suoi radi capelli grigi si levò di colpo dal suo cranio, ritto di terrore: un altro avrebbe seguito il suo esempio ma aveva un ragno appeso e non ci riuscì. Ed ecco, un lampo di luce mistica, nero come l’ebano più cupo, inonda i luoghi e alla sua momentanea luminescenza si vede la civetta fare una volta l’occhiolino. Minaccioso presagio! La vipera che la sorregge ha forse sibilato? Oh, no, sarebbe troppo spaventoso! Nel profondo silenzio di

34

Capitolo II


si distinse uno starnuto solitario provenire dal gatto di sinistra. Sì, si distinse. E stavolta il Mago davvero, e per intero, tremò. «Lugubri spiriti dei gorghi d’abisso!», smozzicò in un mormorio, nel mentre che sotto di lui: «Io non vi ho invocati: perché vi manifestate?». Così parlò. E così rispose, con voce cavernosa, la patata: «Tuuuu, sì!». Tutto fu silenzio. Il Mago ripiombò nel terrore: «Cosa? Preso per la barba da una patata? Giammai!». Martellò l’annoso petto in ambasce, poi, raccolte le forze per parlare, urlò:«Dì solo ancora una parola e ti bollirò all’istante. Teeee, sì!». da The Walking-Stick of Destiny, capitolo V, pp. 41-43 in The Rectory Umbrella (Traduzione dall’originale inglese di Mario Serenellini)

35

Lewis Carroll


Filippo Tommaso Marinetti


Capitolo III

Le Avanguardie artistiche Avanguardia è la denominazione attribuita ai fenomeni del comportamento o dell’opinione intellettuale, soprattutto artistici e letterari, più estremisti, audaci, innovativi, in anticipo sui gusti e sulle conoscenze, sviluppatisi nel Novecento ma derivanti da tendenze politico-culturali ottocentesche, connotata dal costituirsi di raggruppamenti di artisti sotto un preciso manifesto da loro firmato. Dal francese avant-garde (trad. “avanti alla guardia”), il termine, tratto dal linguaggio militare (l’avanguardia è il reparto che precede il grosso delle truppe per aprirgli il varco), è impiegato anche per indicare i diversi movimenti artistici del primo Novecento, caratterizzati da una sensibilità più “avanzata” rispetto a quella dominante: l’Espressionismo, l’Astrattismo, il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo. In questo senso il termine era passato dal linguaggio militare a quello politico già intorno al 1830, per indicare il nuovo compito assegnato agli intellettuali, per lo più di sinistra, consistente nell’assumere il ruolo di guida morale e ideologica delle battaglie politiche del liberalismo dell’epoca. A partire dalla fine del XIX secolo, la nozione di avanguardia era stata usata metaforicamente per caratterizzare i movimenti letterari ed artistici che volevano essere più “avanti” rispetto ai contemporanei. In particolare ritenevano “moderno” rompere con la tradizione e criticare chi imitava i “classici”. Il termine militare risultò sicuramente un aggettivo consono a questi gruppi che stavano combattendo una vera e propria battaglia culturale e artistica nei confronti della società del tempo. L’avanguardia si costituisce come risposta dell’arte alla società borghese e al predominio della mentalità utilitaria e mercantile, nel momento in cui diventa chiaro che il mercato assorbe anche l’arte stessa. Nello sforzo di evitare la vendibilità, l’antagonismo dell’avanguardia si sviluppa su diversi livelli: a livello politico, con un atteggiamento sostanzialmente anarchico; a livello psicologico, con la consapevolezza della divisione del soggetto; a livello propriamente artistico, con il rifiuto dei canoni, dei modelli e dei generi tradizionali. L’atteggiamento estremista e provocatorio dell’avanguardia rigetta, da un lato,

37

Le Avanguardie artistiche


l’orizzonte della tradizione (portando al massimo grado la sfida dell’originalità), dall’altro la produzione del kitsch, ovvero l’invasione del cattivo gusto standardizzato. Si può dire, ancora più in generale, che l’avanguardia si oppone al senso comune, al grado medio, al banale. L’avanguardia porta alle estreme conseguenze i caratteri della modernità, lo spirito critico e l’ermeneutica del sospetto, tanto da poter essere definita come la modernità radicale. Arriva a mettere in dubbio le conformazioni della rappresentazione (la mimesi classica), forzandola ai limiti fino al punto di rottura, realizzando una rappresentazione problematica oppure deformata, parodisticogrottesca. Di qui le difficoltà dei suoi testi, ai quali solitamente il pubblico risponde dicendo che non si capiscono. Tuttavia, l’oscurità del significato immediato significa precisamente due cose: che il significato è da cercare nel gesto che i testi compiono (occorre una inedita immedesimazione nell’autore); e che viene richiesto al fruitore un atteggiamento di attenzione particolare, un vero e proprio lavoro di lettura, ben diverso da una tranquilla e scontata degustazione. Nel suo intento di uscire dalle istituzioni e di organizzare una contro-egemonia, l’avanguardia tende a costituire una istituzione alternativa ed aperta, riunendosi in gruppi, con una sua vocazione al lavoro collettivo (che è di per sé una sfida all’idea romantica del singolo individuo geniale). Per questo spesso è stata vista come una sorta di gruppo di pressione o di manipolo golpista, data anche l’origine militare del termine avanguardia. Tuttavia, proprio se si pensa all’avamposto di un esercito, si può comprendere allora che l’avversario non può essere l’esercito che viene dietro e rispetto al quale l’avanguardia s’intende avanzata, ma quello che le si trova di fronte, o meglio il territorio ostile in cui gli esploratori mandati in avanscoperta si trovano ad operare, privi di alcuna garanzia. Uscendo dalla metafora, occorre considerare, nelle avanguardie artistiche, non solo la carica di innovazione, ma anche quella di ricerca (il cosiddetto sperimentalismo). In quanto attività di ricerca, di scavo o di sabotaggio delle configurazioni artistiche, l’antagonismo e il radicalismo artistico possono essere anche prodotti da sperimentatori isolati, che vanno quindi tenuti in considerazione nella mappa complessiva dell’avanguardia. (da https://it.wikipedia.org/wiki/Avanguardia, Analisi teorica)

38

Capitolo III


Sarà in questo clima di “guerra” che una delle armi più utilizzate allora ma anche oggi venne sfruttata dalle avanguardie nella maniera più esplicita possibile per uccidere l’arte come fino ad allora conosciuta, per affrontare la società borghese e ottusa del tempo, per arrivare alle masse vittima di una cultura dominante e ormai obsoleta. Il settore editoriale che da sempre si sa essere lo strumento di divulgazione politico-culturale per eccellenza venne preso di mira e fu stravolto nelle forme e nei contenuti sia a partire dalle pubblicazioni dei propri manifesti fino ad arrivare alla produzione di riviste e libri d’artista. I gruppi di avanguardia attuano una opposizione alla cultura dominante o appartandosi aristocraticamente o partecipando rumorosamente al dibattito pubblico, ma in ogni caso cercando di opporsi in ogni modo alla cultura del tempo sotto i differenti aspetti ed è proprio la stampa e l’editoria quella che a noi interessa e in questi anni subì uno dei primi veri fenomeni fulcro dell’editoria indipendente come oggi conosciuta.

Il Dadaismo Il Dadaismo o Dada è un movimento culturale nato nel 1916 a Zurigo, nella Svizzera neutrale della Prima guerra mondiale, e sviluppatosi tra il 1916 e il 1920. Il movimento ha interessato soprattutto le arti visive, la letteratura (poesia, manifesti artistici), il teatro e la grafica, e ha concentrato la sua politica antibellica mediante un rifiuto degli standard artistici attraverso opere culturali che erano contro l’arte stessa. Il dadaismo ha inoltre messo in dubbio e stravolto le convenzioni dell’epoca: dall’estetica cinematografica o artistica fino alle ideologie politiche; ha inoltre proposto il rifiuto della ragione e della logica, ha enfatizzato la stravaganza, la derisione e l’umorismo. Gli artisti dada erano volutamente irrispettosi, stravaganti, provavano disgusto nei confronti delle usanze del passato; ricercavano la libertà di creatività per la quale utilizzavano tutti i materiali e le forme disponibili.

(Tristan Tzara, Manifesto Dada 1918)

39

Il Dadaismo


40

Capitolo III


41

Il Dadaismo


Le riviste dadaiste

Le riviste, assunsero per la diffusione del Dadaismo un’importanza pari, se non superiore, a quella dei periodici per gli espressionisti tedeschi. Benché ne uscissero pochi numeri, la loro diffusione nel mondo dell’avanguardia era capillare; si trattava dei soli veicoli attraverso i quali potevano diffondersi le idee di un gruppo ristretto di intellettuali, contrari alle opinioni correnti. Le pagine di queste riviste, non soltanto le copertine, erano spesso concepite come progetti d’artista e opere riproducibili. Fra i tratti caratteristici e innovativi dell’editoria dadaista spiccano sicuramente un nuovo utilizzo della tipografia, in parte anticipato dal cubismo, con font che cambiano frequentemente nello stile e nella dimensione, la lettera e la parola diventano tanto immagine questo la fotografia e l’illustrazione. Nasce una nuova concezione del layout e un utilizzo massiccio della diagonale, sparisci l’impaginazione simmetrica ma si cerca sempre di creare dei contrasti, non-sense, lo spazio bianco diventa elemento fondamentale delle impaginazioni, e i libri e le riviste al pari defili oggetti sono sottoposti al concetto duchampiano di ready-made e nascono libri illeggibili, libri simbolo, libri ludici. Dalla forma al contenuto lo scopo era quello di contrastare una cultura dominante con la semplice logica di “non aver altro scopo che non avere uno scopo”.

Maggiori Riviste Dadaiste 291

Edita da Alfred Stieglitz. New York, 1915-1916. 12 Numeri

391

Edita da Francis Picabia. Barcelona, New York, Zurich, Paris, 1917-1924. 19 Numeri

Action

Edita da Florent Fels et al. Paris, 1920-1922. 12 Numeri

Aesthete 1925

Edita da Walter S. Hankel (pseudonimo collettivo di Matthew Josephson, Malcolm Cowley e altri). New York, 1925. 1 Numero

Almanach der freien Zeitung

Edita da Hugo Ball. Bern, 1918. 1 Numero

Almanach der neuen Jugend

Edita da Wieland Herzfelde. Berlin: Verlag Neue Jugend, 1917. 1 Numero

Der Ararat

Edita da Hans Goltz. Munich, 1918-1921. 22 Numeri

Aventure

Edita da René Crevel. Paris, 1921-1922. 3 Numeri

Blindman

Ed. Henri-Pierre Roche, Beatrice Wood e Marcel Duchamp. New York, 1917. 2 Numeri (n. 2 intitolato Blind Man)

Der blutige Ernst

Edita da John Höxter, Carl Einstein. Berlin, 1919. 6 Numeri

42

Capitolo III


Cabaret Voltaire

Edita da Hugo Ball. Zurich, 1916. 1 Numero

Cannibale

Edita da Francis Picabia. Paris, 1920. 2 Numeri

Le Coeur à barbe

Edita da Tristan Tzara. Paris, 1922. 1 Numero

Dada

Edita da Tristan Tzara. Zurich, Paris, 1917-1921. 7 Numeri

Der Dada

Edita da Raoul Hausmann, John Heartfield e George Grosz. 1919-1920. 3 Numeri

L’Élan

Edita da Amédée Ozenfant. Paris, 1915- 1917. 10 Numeri

Die Freie Strasse

Edita da Raoul Hausmann e Johannes Baader. Berlin, Verlag Freie Strasse, 1915-1918. 10 Numeri

Die Freude

Edita da Wilhelm Uhde. Burg Lauenstein/Oberfranken, 1920. 1 Volume

Littérature

Edita da Louis Aragon, Andre Breton e Philippe Soupault. Paris, 1919-1924. 20 Numeri; nuova serie, 13 numeri

Maintenant

Edita da Arthur Cravan. Paris, 1912-1915. 5 Numeri. (Interamente redatta da Cravan a suo nome e sotto vari pseudonimi)

Manuscripts (MSS)

Edita da Paul Rosenfeld. New York, 1922-1923. 6 Numeri

Der Marstall

Edita da Paul Steegemann. Hanover, 1920. 1 Doppio numero

Merz

Edita da Kurt Schwitters. Hannover, 1923-1932. 21 Numeri (numerata da 1-24; n. 10, 22-23 mai pubblicati)

Neue Jugend

Edita da Heinz Barger e Friedrich Hollaender, 1914; da Heinz Barger con disegni di Wieland Herzfelde, 1916-1917. 12 Numeri

New York Dada

Edita da Marcel Duchamp e Man Ray. New York, Aprile 1921. 1 Numero

Perevoz Dada (Transbordeur Dada)

Edita da Serge Charchoune. Berlin, Paris, 1922-1949. 13 Numeri (dei numeri 3 e 8 esiste solo il manoscritto). Negli ultimi numeri non compare Dada nel titolo

Die Pleite

Edita da Wieland Herzfelde, George Grosz, John Heartfield. Berlin, Zurich, Vienna, 1919-1924. 11 Numeri in 10 (incluso il doppio n. 10/11); incluso Schutzhaft di Herzfelde, pubblicato al posto del n. 2

Projecteur

Edita da Céline Arnauld. Paris, 1920. 1 Numero

Proverbe

Edita da Paul Eluard. Paris, 1920-1921. 6 Numeri

43

Il Dadaismo


Sic

Edita da Pierre Albert-Birot. Paris, 1916-1919. 54 Numeri

De Stijl

Edita da Theo van Doesburg. Leiden, 1917-1932. 8 Volumi (90 numeri)

Mécano

Edita da Theo van Doesburg dietro pseudonimo di I.K. Bonset. Leiden, 1922-1924. 4 Uscite

Rongwrong

Edita da Marcel Duchamp, Henri Pierre Roché e Beatrice Wood. New York, Luglio 1917. 1 Numero

Z

Edita da Paul Dermée. Paris, 1920. 1 Numero

Zenit

Edita da Ljubomir Mici. Belgrade, Serbia, 1921-1926

Der Zweemann

Der Zweemann – Edita da F. W. Wagner, Christof Spengemann e Hans Schiebelhuth. Hanover, 1919- 1920. 10 Numeri Dall’elenco delle riviste si individua subito un aspetto interessante, ovvero il fatto che molte riviste possono essere considerate delle pubblicazioni singole esaurendosi esse in un solo numero. Spesso le riviste morivano prima ancora di nascere, oppure cambiavano strada mutando in un’altra rivista, il tutto sempre in un ottica di sperimentazione. Le riviste erano aperiodiche, spesso erano fascicoli di fogli prodotti da persone diverse, realizzate su carte differenti semplicemente confezionate insieme. Ma il successo di tali pubblicazioni e la loro importanza fu proprio nella loro essenza effimera e transitoria, prodotti a basso costo in grado di alimentare un idea e una critica in grado di mettere in contatto i membri del movimento ma anche la comunità. L’aspetto effimero delle pubblicazioni sarà un carattere importante e fondamentale di tutta l’editoria indipendente fino ai giorni nostri, lo stesso non si potrà dire però dell’idea democratica e divulgativa come vedremo nei capitoli a seguire.

44

Capitolo III


45

Il Dadaismo




Il Surrealismo Il surrealismo è un movimento culturale del Novecento che nasce come evoluzione del dadaismo. Ha coinvolto tutte le arti visive, anche letteratura e cinema, quest’ultimo nato negli anni venti a Parigi, dove, nel 1925 è stata allestita la prima mostra del movimento. Esso ebbe come principale teorico il poeta André Breton, che canalizzò la vitalità distruttiva del dadaismo. Breton fu influenzato dalla lettura de L’interpretazione dei sogni di Freud del 1899; dopo averlo letto arrivò alla conclusione che era inaccettabile il fatto che il sogno (e l’inconscio) avesse avuto così poco spazio nella civiltà moderna e pensò quindi di fondare un nuovo movimento artistico e letterario in cui il sogno e l’inconscio avessero un ruolo fondamentale. Nacque così il surrealismo, che aveva avuto tra i suoi precursori recenti il poeta e scrittore Guillaume Apollinaire, morto nel 1918. Il primo Manifesto surrealista del 1924, definì così il surrealismo: «Automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale». Il surrealismo è quindi un automatismo psichico, ovvero quel processo in cui l’inconscio, quella parte di noi che emerge durante i sogni, emerge anche quando siamo svegli e ci permette di associare libere parole, pensieri e immagini senza freni inibitori e scopi preordinati. I surrealisti si avvalevano di diverse tecniche per far in modo di attivare il loro inconscio, una di queste è il cadavre exquis (cadavere squisito), tecnica basata sulla casualità e sulla coralità, che prevede la collaborazione di più artisti: uno di essi comincia l’operazione tracciando un disegno, una figura, che deve essere ignorata dagli altri, poi il foglio deve essere passato a tutti i partecipanti, uno per uno, i quali a loro volta faranno una figura, e così via. La caratteristica comune a tutte le manifestazioni surrealiste è la critica radicale alla razionalità cosciente, e la liberazione delle potenzialità immaginative dell’inconscio per il raggiungimento di uno stato conoscitivo “oltre” la realtà (sur-realtà) in cui veglia e sogno sono entrambe presenti e si conciliano in modo armonico e profondo. Il pensiero surrealista si manifestò spesso come ribellione alle convenzioni culturali e sociali, concepita come una trasformazione totale della vita, attraverso la libertà di costumi, la poesia e l’amore.

48

Capitolo III


49

Il Surrealismo


Le riviste surrealiste

Le riviste surrealiste non ebbero un esplosione al pari di quelle dadaiste che nascevano e morivano un giorno si e l’altro pure, tuttavia se pur in maniera contenuta nella pubblicazione ebbero la stessa importanza a livello di strumento divulgativo per le idee e le critiche del movimento. Ebbero sicuramente fondamenti più solidi e duraturi delle tante riviste dadaiste che a volte apparivano e scomparivano come un urlo in una piazza, e quasi nessuna di essa si riduceva ad un solo numero ma cercavano sempre di creare una rete continua e concreta. Basti pensare che fu proprio attorno ad un rivista Littérature di André Breton che inizio a formarsi e codificarsi il movimento surrealista: Trait d’union - Le illustrazioni di Picabia e la rivista Littérature tra Dada e Surrealismo di Barbara Tiberi pubblicato su www.senzacornice.org In che momento il surrealismo si sgancia da Dada? Rispondere è ammettere che i surrealisti sono dei dadaisti trasformati, cosa assai improbabile. In effetti, se si esaminano gli esordi dei primi difensori del surrealismo, si scoprono opere personali, certo ostili alla tradizione dominante, ma poco segnate dallo spirito dissolvente Dada. La rivista Littérature, fondata nel 1919 e così battezzata per antifrasi, conserva alle origini molti aspetti letterari, e anche ritmi da rivista tradizionale. È là che il progetto di fondare un nuovo modo di pensare, di sentire e di vivere, che sia quello di un mondo nuovo, si perde e si elabora inseparabilmente. […] Le scelte operate in seno alla direzione della rivista e le caratteristiche che la riguardano appaiono talvolta in contrasto tra loro o non propriamente riconducibili a un principio di coerenza. Se inizialmente l’intento è quello di rifarsi a scrittori affermati per imporre una certa autorevolezza, già dal secondo numero di Littérature si contano incursioni Dada, sempre più frequenti nei numeri successivi. Lotte intestine dilaniano a più riprese la rivista e lo stesso Picabia, di cui Breton aveva chiesto la collaborazione fin dal 1919, sospende la sua collaborazione con Littérature fino al n.4 della nuova serie. All’inizio del 1922 André Breton realizza che non può scendere a compromessi con Picabia e decide di dargli carta bianca. Una nuova veste della rivista è quindi inaugurata nel marzo 1922, inizialmente contraddistinta da un disegno di Man Ray in copertina. Il ritorno di Picabia vede un nuovo assetto grafico per Littérature partendo dal n. 4 (settembre 1922) fino al giugno 1924. Dietro richiesta di Breton,

50

Capitolo III


il cappello magico di Man Ray sparisce per lasciar spazio ad illustrazioni più irriverenti, caratterizzare da un simbolismo erotico e da contrasti violenti. Non si può quindi dire che le riviste ebbero meno importanza, anzi furono la base e lo sviluppo di una sperimentazione, di una provocazione per il momento d’avanguardia più longevo di sempre.

Maggiori Riviste Surrealiste Acéphale

Edita da Georges Bataille. Paris, 1936-1939. 5 Numeri

Arsenal/Surrealist Subversion

Edita da Franklin Rosemont. Chicago, 1970-1989. 4 Numeri

Documents

Edita da Georges Bataille. Paris, 1929-1930. 15 Numeri

DYN

Edita da Wolfgang Paalen. Mexico City, 1942-1944. 6 Numeri

L’ Archibras

Edita da Jean Schuster. Paris, 1967-1969. 7 Numeri

Littérature

Edita da André Breton. Paris, 1919-1924.

Minotaure

Edita da Albert Skira. Paris, 1933-1939. 13 Numeri

Nadrealista Danas i Ovde

Edita da Marko Ristick. Belgrade, 1931-1932. 3 Numeri

La Révolution surréaliste

Edita da Pierre Naville e Benjamin Péret. Paris, 1924-1929. 12 Numeri

Le Surrealisme au service de la revolution

Edita da André Breton. Paris, 1930-1933. 6 Numeri

View

Edita da Charles Henri Ford e Parke Tyler. New York, 1940-1947. 36 Numeri

VVV

Edita David Hare e Marcel Duchamp. New York, 1942-1944. 4 Numeri

51

Il Surrealismo


52

Capitolo III


53

Il Surrealismo




Il Futurismo Il Futurismo è stato un movimento artistico e culturale italiano del XX secolo. Ebbe influenza su movimenti artistici che si svilupparono in altri Paesi, in particolare in Russia, Francia, Stati Uniti e Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione, dalla pittura alla scultura, alla letteratura (poesia e teatro), la musica, l’architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La denominazione ufficiale del movimento si deve al poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti.

(Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto futurista 1909) Il Futurismo nasce in un periodo - l’inizio del Novecento - di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell’arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, “avvicinando” fra loro i continenti. Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava all’interno dell’essere umano una nuova realtà: la velocità. I futuristi intendevano idealmente “bruciare i musei e le biblioteche” in modo da non avere più rapporti con il passato e concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare ad una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione. Questo movimento nacque inizialmente in Italia e successivamente si diffuse in tutta Europa.

56

Capitolo III


57

Il Futurismo


Le riviste hanno svolto un ruolo essenziale nella storia del futurismo, fungendo da luogo d’aggregazione per inutili e gruppi disseminati in quasi tutte le regioni italiane. Oltre alle testate principali, si contano molti fogli dalla vita più o meno effimera, numeri unici, a circolazione limitata; si tratta, complessivamente, di circa 170 titoli, cui va aggiunta una settantina di riviste d’area parafuturista o modernista. Questo fenomeno di proliferazione si registra soprattutto a partire dalla Grande Guerra.

Le riviste futuriste

(Salaris. La rivoluzione tipografica. 70) Anche i periodici sono sottoposti a quel procedimento di ridefinizione che investe tutti i settori della produzione e della comunicazione artistica, le cui leggi, modalità e codici vengono “reinventati” dai futuristi. La tradizione precedente è azzerata: i fogli futuristi rispecchiano i comportamenti e le norme dell’avanguardia che si traducono in aggressività linguistica e grafica. Pubblicano testi e manifesti ma contemporaneamente divengono il luogo privilegiato per cronache di manifestazioni futuriste, appuntamenti per esposizioni e presentazioni. Un oggetto da mandare in omaggio, come i libri, a uomini di cultura, giornalisti e personaggi famosi. Le testate futuriste proliferano in tutt’Italia e nel mondo: solo negli anni “eroici”, fino cioè alla prima metà degli anni venti, fra riviste maggiori e fogli minori sono oltre 160 ma il numero cresce di molto se si considerano anche i periodici d’avanguardia. La rivoluzione in campo grafico, attraverso la parolaimmagine, che il movimento futurista compie a partire dalle sperimentazioni parolibere, una radicale reazione antipassatista e antidannunziana “diretta contro la così detta armonia tipografica della pagina, che è contraria al flusso e riflusso, ai sobbalzi e agli scoppi dello stile che scorre nella pagina stessa”, come proclama Filippo Tommaso Marinetti nel manifesto L’immaginazione senza fili e le parole in libertà, investe sotto vari aspetti anche le pubblicazioni periodiche, spazio privilegiato di diffusione e dibattito del pensiero-azione futurista. Così le riviste futuriste da un lato incarnano l’organo di diffusione stesso del movimento (pensiamo al numero di manifesti che vi vengono pubblicati), dall’altro sono esse stesse campo aperto di sperimentazione tipografica, dove la pagina, non più intesa come schermo passivo e vincolato a rigide regole di armonia, viene percepita, al contrario, come campo dinamico da utilizzare in funzione lirico-espressiva. La rivista diviene con il Futurismo luogo privilegiato e “personale” di accesi dibattiti culturali, un organismo vivo che incide sulla realtà artistica italiana e internazionale e non semplicemente specchio di ciò che accade nel circostante universo culturale. Il periodico si rinnova,

58

Capitolo III


tipograficamente e concettualmente. Parafrasando Marinetti, la rivista deve essere l’espressione futurista del pensiero futurista, così come avviene per il libro. La lettura del fenomeno avanguardista di primo Novecento non può essere dunque separata dal confronto costante con i suoi organi privilegiati di diffusione.

Maggiori Riviste Futuriste 25

Edita da Giorgio Riccardo Carmelich. 1925. 2 Numeri

Dinamo

Emilio Settimelli, Mario Carli, Remo Chiti, Filippo Tommaso Marinetti. 1919. 7 Numeri

Dinamo futurista

Edita daFortunato Depero. 1933. 5 Numeri

Futurismo-Artecrazia

Edita da Mino Somenzi 1932-1934. 63 Numeri

La balza futurista

Edita daGuglielmo Jannelli, Luciano Nicastro, Vann’Antò (Giovanni Antonio Di Giacomo). 1915. 3 Numeri

Lacerba

Edita da Giovanni Papini e Ardengo Soffici. 1913-1915. 69 Numeri

L’Aurora

Edita da Sofronio Pocarini. 1923-1924. 11 Numeri

L’Eroica

Edita da Ettore Cozzani. 1911-1921, 1924-1944. 310 Numeri

L’italia Futurista

Edita da Bruno Corra ed Emilio Settimelli. 1916-1922. 39 Numeri

Noi

Edita da Bino Sanminiatelli e Enrico Prampolini. 1917-1925. 10 Numeri

Poesia

Edita da Sem Benelli, Vitaliano Ponti, Filippo Tommaso Marinetti. 1905-1909. 31 Numeri

Quartiere latino

Edita da Ugo Tommei. 1913-1914. 7 Numeri Sant’Elia Edita da Angiolo MAzzoni e Mino Somenzi. 1933-1934. 26 Numeri

Stile Futurista

Edita da Filippo De Filippis. 1934-1935. 16 Numeri

Vela latina: pagine futuriste

Edita da Francesco Cangiullo. 1915-1916. 15 Numeri

59

Il Futurismo


60

Capitolo III


61

Il Futurismo




Paul De Vree


Capitolo IV

L’ Esoeditoria italiana Esoeditoria è un termine impreciso, probabilmente tanto inopportuno quanto suggestivamente evocativo. Usato fin dagli anni Sessanta per definire e circoscrivere la tendenza alla autoproduzione della nuova editoria contro-industriale, assume nel tempo un carattere fortemente connotato politicamente. La consacrazione di tale termine è affidata alla già citata mostra di Trento nel 1971 e ai testi contenuti nel suo catalogo, manco a dirlo eso-prodotto, dalla locale “Pro Cultura”. La nuova produzione tipografica quindi nasce ora “da fuori” con una vocazione a svelare criptiche verità da parte di sacerdoti sciamani connotati da una forte tensione antagonista nei confronti dell’industria editoriale ufficiale. Questa editoria fatta sul tavolo da cucina, come diceva Adriano Spatola, è però capace di far nascere capolavori di contenuti e di forme, messaggi alieni di una creatività che pervade un ventennio dai nuovi messaggi artistici e sociali. Se la ricerca si alimenta di tutta questa malleabile e imprendibile materia e se lo scopo di questo libro è di porre le basi per una documentazione sulle attività artistiche del secondo Novecento, occorre tracciare i confini, i metodi, ma anche i limiti e le possibili mancanze in cui questo lavoro incorre. La abnorme quantità di pubblicazioni periodiche che hanno accompagnato gli anni presi in questione, impone la definizione di un preciso ambito che circoscriva un genere e ben separi quello che c’è e quello che non c’è. Se con consapevolezza e assunzione di responsabilità scientifica sono state scelte le inclusioni e le esclusioni, bisognerà pur fare ammenda di quante sono perse alla memoria per errata decisione per pigrizia per non aver inseguito a fondo le deboli tracce. Un lavoro archeologico che ripercorre spesso indizi troppo labili per essere scritti, tramandati a memoria dai protagonisti o nascosti in qualche frammento di scrittura. Qui non si tratta delle grandi opere documentali che la storia dell’arte e dell’editoria ha ormai fatto proprie accettandole come parte attiva di una vicenda su cui quasi tutto è stato scritto, ma di schegge disperse in archivi privati, mai o quasi mai, presenti nelle biblioteche pubbliche e nei musei che prima o poi dovranno pur porsi il problema di documentare, anche attraverso questi strumenti, l’arte più recente.

65

L’esoeditoria italiana


La vita delle riviste d’avanguardia è però per definizione caduca, nate per agire sulla realtà loro contemporanea, mal si adattano alla storicizzazione. Per questo la ricerca presta il fianco alle incomprensioni e ogni tentativo di imbrigliarne le vicende si scontra con le possibili diverse interpretazioni. Del resto le riviste sono nate proprio per dare fastidio al conformismo culturale. (Giorgio Maffei. Dal testo introduttivo di Riviste d’Arte d’Avanguardia. Esoeditoria negli anni Sessanta e Settanta in Italia di Giorgio Maffei e Patrizio Peterlini, pubblicato da Edizioni Sylvestre Bonnard nel 2005) Il neologismo “esoeditoria” fu coniato proprio in occasione del convegno, con annessa esposizione internazionale, organizzato a Trento nell’ottobre 1971 da Bruno Francisci: con questo termine s’intendeva definire tutta quella produzione editoriale “esterna” (dal prefisso greco eso) ai canali commerciali usuali e quindi non condizionata dal mercato e non controllabile dai detentori, più o meno occulti, del potere economico e politico. Sì, anche politico, in quanto il fiorire di una miriade di iniziative miranti all’autoproduzione di libri e riviste - connessi alla ricerca di nuovi linguaggi espressivi dell’arte e della letteratura, in particolare della poesia, ma anche di mezzi alternativi di comunicazione della protesta e dell’aspirazione a un mondo più equo e solidale - si era verificato nel decennio precedente, con un’espansione globale culminante nelle rivolte studentesche e operaie del 1968- 1969. Forse perché poteva dare adito a qualche confusione con la pubblicistica esoterica, il termine “esoeditoria” non ebbe gran fortuna e fu presto sostituito da locuzioni più consone, come “editoria indipendente” o “alternativa”. (Maurizio Spatola)

Tre domande sull’esoeditoria (Risponde Adriano Spatola, da Rassegna dell’esoeditoria italiana : per una verifica di alternative culturali-culture alternative contemporanee, Trento 1971) D - Quali sono le strategie e gli strumenti più efficaci oggi disponibili in Italia su terreno della prassi esistenziale al potere culturale dominante? R - Il potere culturale dominante è talmente affermato, ramificato,e presente nell’esistenza quotidiana, che proporre agli intellettuali di definire gli strumenti più efficaci per resistergli significa aspettarsi una risposta in termini negativi. In effetti si tratta quasi esclusivamente di fìrifiutare il proprio contributo ai

66

Capitolo IV


veicoli ideologici di maggior consumo ogni qualvolta questo contributo debba essere sottoposto a censura, o ad autocensura (che è il caso peggiore di tradimento). Comunque non credo che sia possibile, in mancanza di emittenti radio e stazioni televisive clandestine, fare a meno della stampa, sia pure con tutti i noti controlli che lo stato esercita su di essa. D - Quale funzione creda assolva, in questo contesto, la recente produzione esoeditoriale (ove ci riferisca in particolare, piuttosto che alle edizioni private di singoli autori, a quelle riviste e nuclei operativi che svolgono un attività permanente e a livelli diversi) e in base a quale discriminante potrebbe condurre una distinzione tra esoeditoria “politica” ed esoeditoria “culturale”? R - L’esoeditoria ha dunque una funzione di prima piano, purchè garantisca severamente nei suoi prodotti non soltanto un organicità di scelte “inquietanti” ma anche e soprattutto un programa a lunga scadenza, così da combattere anche sul piano del metodo l’editoria ufficiale. Da questo punto di vista non distinguerei tra esoeditoria politica ed esoeditoria culturale, in quanto il problema si pone agli esoeditori in un unico blocco. Direi piuttosto che, in realazione al panorama politico italiano, sarebbe consigliabile una maggiore centralizzazione della esoeditoria politica in modo da evitare dispersione di forze e di lotta. Più in generale, l’esistenza di una esoeditoria va vista nel più largo contesto della battaglia in atto fra i “trusts” della stampa, che lascia un piccolo margine di manovrabilità a simili iniziative periferiche. Molto probabilmente in un più o meno prossimo futuro anche questo modesto campo di libertà d’azione verrà eliminato. Già oggi possiamo renderci conto che una delle versioni più suggestive dell’esoeditoria è molto vicina all’antiquariato, con tutte le complicità con il potere borghese che ciò sottintende. D - E se è possibile, in definitiva, affermare che, agli effetti di una alternativa rivoluzionaria politica, l’alternativa culturale da sola può, nella migliore delle ipotesi, solo anticipare-prefigurare una “teoria” di quella , che in rapporto con la prassi politica ritiene debba collocarsi l’azione di quanti, impegnati sul piano culturale, intendono lavorare in una prospettiva veramente rivoluzionaria? R - Non credo sia possibile affermare che l’alternativa culturale si limiti ad anticipare (prefigurare) una “teoria” dell’alternativa rivoluzionaria politica. La prassi mi sembrala stessa in entrambi i casi. Naturalmente non bisogna dimenticare che un buon 50% della esoeditoria è composto di ricerche ristrette al campo della poesia, in cui l’incidenza di una ideologia utopistica é ovviamente molto forte. Ma con ciò si aprirebbe il discorso dei rapporti fra utopia e rivoluzione, che non è il caso di affrontare in questa sede.

67

Tre domande sull’esoedioria


Le riviste esoeditoriali

L’esoeditoria italiana è un forte esempio di una stampa indipendente connotata di forti idee politiche prima ancora di un movimento culturale o artistico come poteva essere nel caso delle avanguardie artistiche. Se pur la sua vita sia stata breve se riferita al contesto storico, si pensi al convegno di Trento come primo e utlimo di questo movimento, in realtà è stata per l’Italia la prima vera base su cui si svilupperà poi tutto il movimeto di editoria autoprodotta e indipendente che conosciamo ai giorni nostri, si può quindi dire che non sia morta ma semplicemente abbia cambiato nome, dinamiche e putroppo anche obbiettivi. L’esoeditoria ha sempre avuto uno stretto contatto con la poesia concreta e visiva quanto forse gli ideali politici, non si può certo dire che fossero quindi edizioni di pregio, o che avessero l’intenzione di stabilire un nuovo concetto di qualità artistica. Sarà forse proprio la poesia visiva e la sua importanza per la parola in tutti suoi aspetti che coinvolgerà anche l’aspetto grafico di queste pubblicazioni. Quello che le riviste volevano portare era un nuovo modello editoriale nell’approccio ai contenuti e ai messaggi. Volevano portare un mezzo che permettesse agli artisti di esprimersi in maniera diretta, capillare e sperimentale, aggirando il sistema capitalistico e commerciale che aveva intaccato anche il mondo artistico. Partendo dall’idea forte rivoluzionaria delle avanguardie continuarono la ricerca di un estetica in ambito concettuale e poetico visuale in rottura con l’ambito pittorico informale, astratto.

Maggiori Riviste Esoeditoriali Abracadabra

Edita da Marcello Angioni, Luxemburg. 1977-1981. 5 Numeri

Agaragar

Edita da Mario Pemiola, Genova, Roma. 1972-1977. 5 Numeri

eta

Edita ad Gino di Maggio, Milano. 1975-1976. 5 Numeri

Amodulo

Edita da Enrico Pedrotti, Sarenco, Brescia. 1968-1970. 4 Numeri

Ana Eccetera

Edita da Martino Oberto, Genova. 1958-1971. 11 Numeri

Antipiugiù

Edita da Arrigo Lora Totino, Torino. 1961-1966. 4 Numeri

Azimuth

Edita da Enrico Castellani e Piero Manzoni, Milano. 1959-1960. 2 Numeri

Bit

Edita da Germano Celant, Milano. 1967-1968. 9 Numeri

68

Capitolo IV


Cartabianca

Edita da Alberto Boatto e Adele Cambria, Galleria Attico. 1968-1969. 5 Numeri

Data

Edita da Tommaso Trini Castelli. 1971-1978. 32 Numeri

E/Mana/Azione

Edita da Luciano Caruso e Stelio Maria Martini, Napoli. 1976-1981. 25 Numeri

Geiger

Edita da Adriano, Maurizio e Tiziano Spatola, Torino. 1967-1982. 10 Numeri

Ghen

Edita da Francesco Saverio Dòdaro. Lecce. 1977-1979. 3 Numeri

Linea Sud

Edita da Luigi Castellano, Napoli. 1963-1967. 5 Numeri

MadeIn

Edita da Lucio Amelio, Napoli. 1968-1969. 4 Numeri

Marca Tre

Edita da Gruppo 63, Genova. 1963-1972. 67 Numeri

Modulo

Edita da Arrigo Lora-Totino, Genova. 1965. 1 Numero

Pallone

Edita da Galleria la Bertesca, Genova, 1968-1969. 6 Numeri

Scade il

Edita da Gianni Carino, Reggio Emilia. 1970-1979. 5 Numeri

Schema Informazione

Edita da Galleria Schema, Firenze. 1973-1975. 3 Numeri

Senzamargine

Edita da Alberto Boatto, Roma. 1969. 1 Numero

Téchne

Edita da Eugenio Miccini, Firenze. 1969-1976. 9 Numeri

Trerosso

Edita da Luigi Tola, Genova. 1965-1966. 3 Numeri

69

L’esoeditoria italiana


70

Capitolo IV


71

L’esoeditoria italiana


Il caso Geiger

“L’idea originale da cui prese forma il progetto dell’Antologia sperimentale GEIGER scoccò a Bologna nella primavera del 1965, quando si verificò l’incontro fatale tra mio fratello Adriano, allora ventiquattrenne e il giovane e scatenato poeta francese Julien Blaine […]. In quella prima occasione si parlò, fra l’altro, del progetto di una rivista internazionale che si sarebbe dovuta intitolare Rabelais: quella finestra pantagruelica sulla nuova poesia non si aprì, ma l’idea rimase e attecchì un anno dopo, nella casa della campagna parmense, a San Donato di San Prospero, dove Adriano soggiornava temporaneamente con la moglie Anna e il piccolo Riccardo. Nel corso di una memorabile nottata i tre fratelli Spatola (anche il più giovane, Tiziano [...] si era gettato con entusiasmo nel nostro progetto un po’ folle) concepirono e misero in moto il meccanismo che avrebbe prodotto la prima antologia sperimentale GEIGER, madre delle omonime Edizioni. Ancora oggi mi sorprende [...] la particolare maniera con cui decidemmo di realizzare quella raccolta, che doveva essere una sorta di mosaico di esperienze apparentemente incompatibili: un discorso basato sul superamento dei confini tra i diversi linguaggi espressivi artistici e letterari, e le cui premesse erano state poste dal movimento internazionale Fluxus e, ancor prima, dal Dadaismo, con radici nell’introduzione di Kandinskij al Blaue Reiter (1911). Era un progetto basato sulla contaminazione e sulla semina (o fecondazione) nel terreno altrui. Discutemmo perciò a lungo [...] per scegliere fra le due ipotesi di titolo che ci sembravano più consone, Geyser, noto fenomeno naturale di tipo vulcanico [...] o Geiger, nome dello strumento per la misurazione della contaminazione radioattiva e della sua intensità […]. Alla fine, quello che in seguito ci venne spontaneo definire autoironicamente lo stapp delle Edizioni Geiger arrivò a una conclusione: la nostra antologia sperimentale, cui al momento nessuno di noi pensava di dar seguito con successive pubblicazioni, si sarebbe chiamata GEIGER, ticchettando la presenza di sperimentazioni poetiche e artistiche di ogni genere specie se sconfinanti, segnalandone la presenza e la valenza. Prendendo spunto da Mallarmé, quell’idea era un vero coup de dès, una scommessa, che rendemmo ancora più azzardata, con il metodo inventato per coinvolgere gli autori, poeti e artisti: richiedere l’invio di trecento copie di un’opera rappresentativa della loro ricerca sperimentale nel formato da noi indicato (UNI all’epoca, corrispondente all’attuale A4). Stilammo un elenco comprendente una cinquantina di nomi, diversi dei quali stranieri, e il giorno dopo ritornai a Torino con l’incarico di occuparmi personalmente dell’organizzazione pratica dell’Antologia, poiché Adriano aveva altri impegni: il ruolo di curatore dell’Antologia GEIGER restò di mia competenza anche negli anni successivi. Con una certa sorpresa l’adesione degli autori invitati fu entusiasta e si

72

Capitolo IV


ripetè nel corso degli anni, con un numero crescente di poeti e artisti di ogni parte del mondo, dall’Europa alle Americhe, dal Giappone all’Australia. Le nove Antologie GEIGER, realizzate fra il 1967 e il 1982 furono tutte assemblate artigianalmente allo stesso modo, unendo le pagine con graffe applicate con una cucitrice a leva e incollando poi le copertine con Vinavil o con nastro biadesivo, che in linea di massima tiene tuttora. Facemmo anche un grande uso, per stampare pagine intermedie o testi non pervenuti in trecento copie, del ciclostile, dato che al tempo non esistevano le fotocopiatrici: ognuno di noi girò quella manovella migliaia di volte e imparammo a far uscire dal quel semplice strumento pagine eleganti, anche su carta patinata. Per la seconda Antologia GEIGER, realizzata nel 1968 e della quale qui si riproducono alcune pagine, scegliemmo un formato diverso, più piccolo, cm. 21x19. La copertina reca una firma di prestigio, quella del grande designer e architetto Franco Grignani (19081999), all’epoca già molto famoso: Grignani ci inviò la copertina già stampata in 300 copie, aggiungendo anche la riproduzione sempre in 300 copie di una sua opera grafica, una doppia pagina a soffietto che dava un ulteriore tocco di originalità alla nostra antologia. Per la decima, organizzata in omaggio ad Adriano, otto anni dopo la sua morte, dal sottoscritto con l’aiuto di Franco Beltrametti e Arrigo Lora Totino, scegliemmo invece di disporre le pagine all’interno di un cofanetto, anche per l’elevato numero di poeti e artisti che avevano aderito all’iniziativa, più di cento. Alcuni di loro hanno realizzato splendide pagine-oggetto, con acquerelli, disegni, scritte o collages, in misura maggiore rispetto al passato. La prima antologia GEIGER costituisce oggi un documento storico, pressochè introvabile, e fu la costola su cui fondammo le Edizioni Geiger, con sede prima a Torino presso il mio indirizzo e dal ’72 con il cuore pulsante a Mulino di Bazzano.” (Maurizio Spatola) Rivista nata come antologia annuale della sperimentazione poetica, perderà la sua cadenza annuale a partire dal quinto numero. Svolge un lavoro importantissimo e fondamentale di strutturazione di una rete di contatti tra i diversi autori internazionali permettendo lo sviluppo di quella “sperimentazione permanente”, assolutamente libera da programmi e pregiudizi, che ha caratterizzato la fine degli anni sessanta. Geiger è sicuramente la rivista più importante per quanto riguarda la poesia sperimentale. Nelle sue pagine hanno trovato spazio testi di ispirazione concreta, tecnologica, gestuale, parasurrealista, spaziale, automatica, visiva, cibernetica, ideologica, impegnata, dei maggiori artisti della scena internazionale.

73

L’esoeditoria italiana


74

Capitolo IV


75

L’esoeditoria italiana


Marc Jacobs 76

Capitolo V


Capitolo V

Le Fanzine Il termine fanzine, contrazione di fans magazine, ovvero rivista di/per appassionati, è entrato nell’uso corrente soltanto nella seconda metà degli anni ‘70, per designare una forma spontanea e iconoclasta di giornalismo musicale fai-da-te, sbocciato sull’onda del successo travolgente delle prime formazioni punk (Sex Pistols, Clash, Damned, eccetera) e al pari di queste irrispettoso nel linguaggio e nei contenuti, privo di qualsiasi inibizione. Oggi, viene spesso chiamata fanzine una qualsiasi pubblicazione autoprodotta, nata senza una motivazione di ordine prettamente commerciale, solitamente dalla periodicità irregolare e dalla vita e circolazione estremamente ridotta, anche se per correttezza filologica la definizione non andrebbe applicata indistintamente a tutta la small press periodica, bensì limitata a quelle riviste amatoriali concepite per categorie specifiche di “fans” (quali gli ascoltatori di un preciso genere musicale, i cultori del fumetto, della fantascienza, dei films horror, ecc.). Il termine nacque per differenziarsi fortemente dalla underground press o esoeditoria del decennio precedente, produzioni principalmente fatte comunque da artisti o da intellettuali che volevano andare contro la cultura dominante. Nel caso delle fanzine gli artefici erano spesso totali inetti, o novelli della grafica e dell’editoria, semplicemente erano esperti in un determinato argomento e volevano comunicare al pubblico la loro opinione la loro idea. Le fanzine nacquero per parlare di tutto quello che l’editoria ufficiale e commerciale non voleva parlare o perchè non inetressante ai loro occhi, o perchè non legale agli occhi della società. I governi spesso reagivano violentemente, con perquisizioni, censure e condanne, alla diffusione di questa small press priva di briglie, venduta per pochi centesimi agli angoli delle strade da militanti dei vari gruppi. Le più note testate statunitensi si chiamano Other Scenes, San Francisco Oracle, Berkeley Barb, Old Mole, Open City, c’è poi l’inglese It e Oz, più volte sequestrata per oscenità e creata da Richard Neville fra Sydney e Londra, mentre in Italia all’esperimento isolato di Pianeta Fresco, curato da Ettore Sottsass e Fernanda Pivano, sono seguiti dopo qualche anno i libretti di controinformazione di Stampa Alternativa e i

77

Le Fanzine


vari Fallo!, Re Nudo, Puzz, Tampax, ecc. Stampate a volte con primitivi ciclostile o in eliografia, con interventi manuali, su carta da pacchi o altri materiali “poveri”, ma anche in off-set tipografico a più colori e con tirature che hanno superato in alcuni casi le 50.000 copie, le riviste underground dei ‘60 costituiscono un patrimonio letterario immenso per la ricchezza ed eterogeneità degli argomenti trattati (liberazione dai tabù sessuali, cultura della droga, viaggi alternativi a poco prezzo, protesta anti-Vietnam, politica radicale e utopia, misticismo e religioni orientali, musica e arte pop). Dopo le brevi illusioni rivoluzionarie del ‘68 e le trasfusioni sulle pagine sotterranee, soprattutto in Europa, di idee Situazioniste, il fenomeno si smorza gradualmente nella prima metà dei ‘70, seguendo lo sfaldarsi del Movimento politicogiovanile internazionale. Le fanzine non moriranno qui ma subiranno una radicale trasformazione andando sempre più nella direnzione dell’editoria indipendente odierna dove all’anarchia, alla controcultura, alla protesta, alle droghe, alla censura si sotituiscono l’interesse per l’aspetto creativo-artistico, grafico-tipografico.

78

Capitolo V


79

Le Fanzine


80

Capitolo V


81

Le Fanzine


Sniffin’ Glue

La prima, la più influente e anche la più venduta delle fanzines è stata Sniffin’ Glue, scritta, impaginata, stampata e distribuita artigianalmente a partire dall’estate del 1976 (grazie anche all’aiuto di Rough Trade e di altre strutture indipendenti) da un giovane disoccupato londinese, Mark Perry. Fu dopo un concerto punk che accadde una cosa totalmente punk, la sera dopo il concerto delle famosa band Ramones Mark decise di dare vita a Sniffin’ Glue proprio a partire dalla canzone della band intitolata “Now I Wanna Sniff Some Glue”. Partendo da appena 50 copie del primo numero arrivo nei numeri successivi a raggiungere le 150000 copie di tiratura. Il segreto? L’immediatezza. A differenza della conformista stampa musicale ufficiale, dalle pagine della sua rivista Perry incensava o maltrattava senza peli sulla lingua i gruppi punk del momento, che aveva modo di seguire e studiare da vicino, promuovendo fra grezzi collages e montaggi neo-dadaisti efficaci slogan del tipo “eccovi tre accordi, ora formate un gruppo musicale”, o incitando i lettori a fondare le loro fanzines (appello che in molti non si fecero ripetere due volte). Nel punk ogni scioccante “rivolta nello stile” si è bruciata e consumata con enorme rapidità, dopo poco più di un anno Perry fondava egli stesso un gruppo rock, gli Alternative TV, il cui singolo di esordio è allegato all’ultimo numero di Sniffin’ Glue. Già verso la fine del 1977, la crescita esponenziale del numero di fanzines punk, solo in pochi casi mordaci e innovative come il modello originale (Jolt, These Things, Hangin’ Around, Ripped & Torn), aveva prodotto una situazione di saturazione e omologazione del fenomeno, molto simile a quella che simultaneamente interessava i gruppi musicali, assorbiti dalle grandi case discografiche (saranno difatti i responsabili delle fanzines della prim’ora a scrivere e “vendere” all’establishment i primi instant books da cassetta sulla scena punk). “Sniffin’ Glue was not so much badly written as barely written; grammar was non-existent, layout was haphazard, headlines were usually just written in felt tip, swearwords were often used in lieu of a reasoned argument. . .all of which gave Sniffin’ Glue its urgency and relevance.” (Fletcher, Tony (Oct 23, 2001). “the iJamming! book review: SNIFFIN’ GLUE”.)

82

Capitolo V




“Un’altra cosa che non reggo, è la contesa su chi ha fondato la Punk Rock Music. Sono stati i Sex Pistols in Inghilterra? O sono stati i Ramones e i Velvet Underground a New York. I Ramones, I Sex Pistols… chi se ne frega chi è stato ad iniziare… È MUSICA! Non so, chi ha creato il genere, non mi importa, quello che sò è…. CHE LA NOSTRA MUSICA È PIÙ HARD, È MOLTO PIÙ VELOCE, E CHE DENTRO C’È MOLTO, MOLTO PIÙ AMORE BIMBO! E questo non ce lo può togliere nessuno!” dal film SLC PUNK! - Fuori di cresta, di James Merendino, 1998

85

Le Fanzine


ZĂŠnta Megazin


Capitolo VI

Autoprodurre ai giorni nostri In quest’ultimo capitolo non ci occuperemo di fare una storia o elencare quali siano i luoghi dell’autoproduzione oggi, ma piuttosto cercheremo di capire cosa significa farla, cosa è cambiato e come ci siamo arrivati. L’autoproduzione di oggi se pur porti con se tanti tratti dell’autoproduzione passata ha fortemente cambiato la sua funzione e il suo pubblico. Per capire ciò bisogna far capo all’avvento delle nuove tecnologie e della nascita del cosiddetto desktop publishing, momento in cui tutti hanno potuto iniziare ad autoprodursi grazie al basso costo e alla semplicità con cui grazie ad un personal computer si poteva e si può tutt’ora dare vita ad un prodotto editoriale pronto per essere stampato o più semplicemente pubblicato sul web. Negli anni 90 le fanzine cartacee iniziano a sparire soppiantate dalle webzine nient’altro che le loro sorelle su supporto digitale, e il web permette una circolazione delle notizie in maniera assai più rapida ed economica che quella che potevano dare le riviste. Il web si rivela anche più libero ed efficace nell’aggirare la censura e poter quindi comunicare argomenti poco trattati o illegali con molta più facilità. La domanda sorge spontanea: a cosa servono ormai le riviste autoprodotte degli anni 70, le fanzine psichedeliche, le pubblicazioni politiche di controcultura e opposizione alla cultura dominante? La risposta che tutti si danno è semplice, non servono più a comunicare, o meglio non è più la loro funzione primaria perché ci sono modi molto più veloci ed economici per farlo, vorrei far notare che non significa per forza in maniera più efficace ma questo è un altro discorso che non avremmo abbastanza tempo per argomentare in questa tesi. Se pensiamo oggi ai social network questo meccanismo ha raggiunto la sua massima potenza, le notizie viaggiano incontrollate e rapidissime da un capo all’altro del mondo. Tutto questo “webbismo”, passatemi il neologismo, ha portato negli anni 90 a dimenticare completamente il settore editoriale nei suoi aspetti più materiali e tecnici, è così quindi che a partire dal XXI secolo l’autoproduzione ha ricominciato ad avere attenzione e partecipazione per un nuovo aspetto: quello della qualità editoriale contro la logica quantitativa ed economica della globalizzazione.

87

Autoprodurre ai giorni nostri


Hanno iniziato così a nascere tanti festival di autoproduzione in cui i diretti interessati sono soprattuto i designer, i grafici, gli illustratori, ovvero coloro che si occupano dell’oggetto editoriale nelle loro forme e nelle tecniche. Il rischio che si è generato è quello di cerare un fenomeno a circuito chiuso che non ha slancio nei confronti del mondo esterno. Se voi come me frequentate festival di autoproduzione oggi (SPRINT a Milano; Fahrenheit 39 a Ravenna; Gelati Fanzine Festival a Genova; Fruit Exhibition a Bologna, Carta Forbice Sasso Fanzine Festival a Pesaro, AFA a Milano, BORDA Fest a Lucca e tanti altri) avrete potuto notare che ormai si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di festival organizzati dai designer per i designer. Con questo non voglio dire che l’autoproduzione sia inutile e il suo messaggio sbagliato, perché denunciare che il settore editoriale oggi sia diventato strettamente commerciale e di bassa qualità, e che il web stia si velocizzando la comunicazione e allo stesso tempo appiattendo le informazione è sicuramente un dovere, tuttavia il compito dell’autoproduzione è quello in primis di arrivare fuori da se stessi, autoprodursi non significa fare le cose strane e alternative, significa comunicare cosa non sta andando. “E’ insomma quantomai interessante notare una bizzarra inversione di tendenza, mentre comincia a delinearsi il volto dell’editoria del ventunesimo secolo: ad una small press sempre più agguerritamente professionale si contrappone una grande editoria che aspira ad offrire un servizio sempre più personalizzato, ovvero che mira a recuperare quell’interscambio diretto con il lettore fino ad ora prerogativa fondamentale della stampa sotterranea (nelle riviste elettroniche, l’interattività si applica quasi indistintamente a progetti di tipo alternativo e no). E’ su questo terreno altamente tecnologicizzato che si giocherà la battaglia decisiva fra colossi dell’informazione e outsiders indipendenti, certi comunque che, fintanto che si avvertirà l’esigenza di un’informazione del tutto libera e priva di censure, appassionata e disinteressata paladina di nuovi valori, ci sarà sempre un nuovo John Wilcock, un Richard Neville, un Mark Perry o un Tom Vague che si ingegnerà rocambolescamente per fornircela.” Fanzirama 2000 - Percorsi sotterranei dell’editoria indipendente, dal ciclostile al desk-top publishingdi Vittore Baroni, Ultimo aggiornamento: 12/02/2008 pubblicato su ww.estatica.it) La storia di questo fenomeno ci ha insegnato tanto e portare le basi in quello che si fa credo sia strettamente importante, anzi che sia un dovere primario.

88

Capitolo VI


Patrizio Peterlini, (Direttore della Fondazione Bonotto, laureato in Lettere Moderne e Psicologia clinica, ha conseguito un D.E.A. in Psychanalyse Concept et Clinique all’Universite’ Paris-8, membro partecipante della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi in Italia, è docente di Psicologia dell’arte presso l’Accademia Santa Giulia di Brescia) in un intervista pubblicata su www.balloonproject.it a cura di Valeria Baudo notava che se è pur vero che questo fenomeno ricorda quello avvenuto negli anni Sessanta/ Settanta, in quel caso si trattava di persone estremamente consapevoli di ciò che stavano portando avanti, un programma, e l’aggregazione era determinata da una forte generosità e spirito di condivisione con tutte le esperienze che si generavano contemporaneamente. “Il punto è forse questo, ho l’impressione che siamo troppo individualisti, e che ciò che facciamo sia più finalizzato all’autocelebrazione che, appunto, a regalare un tassello in più al contesto in cui viviamo. Non è da escludere comunque che uno dei motivi di questo divario sia anche una spinta politica che, se adesso è più o meno assimilata, comunque in termini quasi sempre teorici, in quel caso è stata la forza motrice che animava la lotta vera e propria e in cui, appunto, la diffusione cartacea giocava il suo ruolo ideologico e propagandistico. E’ ancora possibile tuttavia che questo fenomeno di cooperazione, che per ora si basa solo su frammentate iniziative diffuse su larga scala, si possa sviluppare ulteriormente, assumere nuove forme e creare un reticolo sempre più fitto: il mio augurio, dunque, è che si proceda in questa direzione assumendo più consapevolezza di ciò che stiamo facendo, per una responsabilità sia verso coloro che guardiamo come esempi sia verso chi, forse, un giorno prenderà ad esempio noi.” (A BRIEF HISTORY OF INDEPENDENT PUBLISHING POLICY Pubblicazioni d’artista nel contemporaneo di Valeria Baudo pubblicato su www.balloonproject.it) Il problema non è quello che si fa ma come e con quale consapevolezza lo si fa, un settore tanto ricco di storia e di contenuti non deve a mio parere essere vittima dello stesso meccanismo di superficialità e azzeramento del mondo dei social network, l’autoproduzione non è indipendente nel senso individualistico ma nel senso comunitario, io che dico una cosa in mezzo al nulla dico del nulla, io che dico una cosa in mezzo ad un movimento dico qualcosa insieme a quel movimento.

89

Autoprodurre ai giorni nostri


“CARO LETTORE, SIAMO GIUNTI ALLA FINE DI QUESTA AVVENTURA BREVE MA INTENSA, E ORA UNA DOMANDA VORREMMO PORTI: TI SENTI PIÙ RICCO DI PRIMA? QUALUNQUE RISPOSTA TI DARAI NON CI IMPORTA PERCHÉ TANTO NON CAMBIERÀ LA SORTE DI QUESTA RIVISTA. QUESTA RIVISTA MORIRÀ QUI, CON IL SUO NUMERO ZERO, EPPURE DOBBIAMO DIRTI CHE È STATO IL PROGETTO PIÙ UTILE DEL NOSTRO PERCORSO DI STUDI. PROGETTARE SIGNIFICA CAPIRE QUANDO SI STA VERAMENTE PORTANDO QUALCOSA AL LETTORE O SI STA SEMPLICEMENTE AGGIUNGENDO DEL CAOS AL CAOS.

90

Capitolo VI


SIAMO PARTITI CON UN IDEA E SIAMO ARRIVATI CON UN’ALTRA. L’EDITORIA INDIPENDENTE ODIERNA MANCA DI UNO SLANCIO NEI CONFRONTI DELLA SOCIETÀ, MOLTI PROGETTI SONO AUTO REFERENZIALI, SONO UN EGOISMO CREATIVO DELL’AUTORE, SONO UN ESERCIZIO. QUINDI ORA CHE ANCHE NOI ABBIAMO FATTO IL NOSTRO ESERCIZIO CAPIAMO CHE NON VI SERVONO I NOSTRI ESERCIZI MA FORSE IL NOSTRO MESSAGGIO. ZÉNTA MEGAZIN NON HA NECESSITÀ DI ESISTERE PERCHÉ FARE QUALCOSA CHE VUOLE PARLARE DEL NULLA SIGNIFICA FARE DELL’ALTRO NULLA.”

91

Autoprodurre ai giorni nostri


Indice delle immagini

23 24 25 26 31 32 33 40 41 45

46 49 52

53 54 57 60

61 62 69 70

Galileo Galilei, 15 febbraio 1564 - 8 gennaio 1642 Sidereus Nuncius, 1610 Tre Chapbook del 1826 “The good farmer”, Banbury: Printed and sold by J.G. Rusher, Bridge. “Nursery Rhymes” chapbook, 1830 “The Sodier’s Return”, broadside chapbook “The Rectory Magazine”, copertina del libro, 1850 pagine 14-15 di “The Rectory Magazine” pagine 38 e 74 di “The Rectory Magazine”, illustrazioni di Lewis Carroll “The Rectory Umbrella”, frontespizio illustrato da Lewis Carroll, 1850 “Wat is dada?”,Theo van Doesburg, 1923 Lettera di sollecitazione al dadaismo firmata da Francis Picabia, Tristan Tzara, Georges Ribemont-Dessaignes and Walter Serner, 1920 Bulletin Dada, T. Tzara, n.° 6, 1920 Cabaret Volaire, unico numero, 1916 Merz, El Lissitzky, volume 2, n.° 8, 1924 Z, n.° 1, 1920 391, n.° 15, 1920 Cabaret Voltaire, Zurigo, 1916 “Qu’est-ce que le Surréalisme?” manifesto surrealista copertina di René Magritte, 1934 Litterature, copertina di Francis Picabia,1922 Minotaure n.° 10, copertina di René Magritte, 1937 Acéphale n.°1, copertina di André Masson, 1936 La Révolution Surréaliste n.° 1, 1924 Documents n.° 1 e 3, 1929 vvv n.°1,2,4 copertine di Ernst, Duchamp and Matta, 1942 Foto di gruppo dei surrealisti, Man Ray, 1933 Sintesi futurista della guerra, Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo,Piatti, 1915 Uccidiamo il chiaro di luna!, Marinetti, 1911 Dinamo Rivista Futurista, Anno I n.° 7, 1919 Lacerba n.°1, 1913 Noi Rivista Futurista n.°1, 1917 Poesia n.° 1, Marinetti, 1905 Futuristi. Da sinistra: Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Gino Severini R.E.I. Rassegna dell’esoeditoria italiana, copertina catalogo, pro cultura editrice, Trento, 1971 Bit, anno II n.° 2,4, 1968 Data, anno II n.° 2, 1972

92

Parte 1


71

74 75 78 79 80

83

Téchne 7-8, Eugenio Miccini, Eugenio Miccini, Firenze 1970 Marcatrè, anno III n.° 14-15, 1965 Cartabianca, n.° speciale, 1965 Linea Sud, anno I n.° 1 bis, 1964 Geiger n.° 1-10, collezione completa, fondazione Bonotto Geiger n.° 3, pagina 2, Marina Appollonio, “...da far ruotare a tutte le velocità, 1969 Geiger n.° 1, Maurizio Spatola, 1967 Geiger n.° 1, pagina 1, 1967 Geiger n.° 2, copertina di Franco Grignani, 1968 Pianeta Fresco n.° 3, Ettore Sottsas, 1968 Atem anno II n.° 15, 1979 Renudo anno II n.° 6, 1971 Berkely Barb, n.°19, 1967 Oracle n.° 5, 1967 Obscenely Loud, 2006 OZ, n.° 35, 1971 OZ, n.° 47, 1973 Sniffin’ Glue, n.° 5, 1976

93

Indice delle immagini


Bibliografia

La rivoluzione tipografica. Edizioni Sylvester Bonnard. Milano 2001. Farsi un libro, a cura di Marcello Beranghini e Daniele Turchi. Biblioteca del vascello/Stampa Alternativa. Roma, 1990. Riviste d’erte d’avanguardia. Edoeditoria negli anni sessanta e settanta in Italia, Giorgio Maffei e Patrizio Peterlini. Edizioni Sylvester Bonnard. Milano, 2005. Artefatti comunicativi. Tra ricerca e didattica, a cura di Alfonso Acocella. Media MD. 2013 Proposta per un’autoprogettazione. Enzo Mari. Milano, Centro Duchamp, 1974. La Rivista, giornali e manifesti del futurismo, a cura di Rita Petrilli, Graziana Saccente. Università degli Studi di Venezia. Facoltà di Design e Arti. Corso di laurea magistrale in comunicazioni visive e multimediali. 2012 Yes Yes Yes Alternative Press 1966-1977, From Provo To Punk. Edited by Emanuele De Donno / Amedeo Martegani. Co-published by A+mbookstore, Milano / VIAINDUSTRIAE publishing, Foligno. 1968-1988 Arte Psichedelica e Controcultura in Italia, a cura di Matteo Guarnaccia Stampa Alternativa. Roma, 1988. Rassegna dell’esoeditoria italiana. Per una verifica di alternative culturali, catalogo della mostra. Pro Cultura Editrice. Trento, 1971. la domenica, di Repubblica, 4 Maggio 2014, Numero 478.

94

Parte 1


Sitografia

www.slideshare.net www.materialdesign.it archiviodada.wordpress.com circe.lett.unitn.it www.balloonproject.it www.archiviomauriziospatola.com www.fondazionebonotto.org www.estatica.it issuu.com www.senzacornice.org www.giorgiomaffei.it it.wikipedia.org

95

Bibliografia



Parte 2

Anatomia del magazine a cura di Nicolò Oriani

97



1. Il magazine

Che cos’è un magazine? Per magazine si intende una pubblicazione periodica non quotidiana stampata a intervalli regolari (o, più raramente, irregolari). Può avere sia contenuti informativi generali (in questo caso è rivolta a un vasto pubblico) o può trattare argomenti riguardanti un particolare settore di studio, o di attività (prevalentemente a fini di aggiornamento e di approfondimento).

Classificazione I magazine possono essere classificati in base a: - Periodicità: cioè all’intervallo di tempo che intercorre fra un numero e quello successivo, in settimanali, quindicinali, mensili (bimestrali, trimestrale, quadrimestrali, semestrali), annuali o annuari, pluriennali; - Argomento: cioè il campo di interesse (scienza, letteratura, arte, politica, economia, filosofia, religione, tecnica, attualità, ecc.). Le riviste scientifiche e accademiche selezionano il contenuto per peer review, cioè in base a una valutazione fatta da specialisti del settore, distinguendosi in questo dai settimanali di attualità e dai cosiddetti rotocalchi; - Mezzo di comunicazione: a stampa e on-line; - Diffusione: “a pagamento”, vendute in edicola, libreria o inviate tramite abbonamenti a pagamento; per “abbonamento da quota associativa”, ossia abbonamento riservato a soci dell’attività editoriale o di un’organizzazione; a “diffusione gratuita”.

99

Che cos’è un magazine?


2. Tipi di magazine

Mainstream magazine Sono le riviste piĂš classiche, le piĂš vendute, che prendono in considerazione il maggior numero di utenti e parlano di cultura generale. Sono riviste con una periodicitĂ fissa (escono ogni settimana/mese). Si trovano in edicole e non si ha nessuna difficoltĂ nel trovarle.

100

Anatomia del magazine


IMG. 1 New York. Maggio-Giugno 2016

IMG. 1 Time. 12 Aprile 2010

IMG. 2 Wired. N.34, Dicembre 2011

IMG. 1 The New Yorker. N.20, 12 Gennaio 2009

101

Tipi di magazine


2. Tipi di magazine

Supplements Sono pubblicazioni affiliate a giornali e fanno appunto da “supplemento” ad esso. Spesso e volentieri parlano in maniera più giovanile del giornale a cui sono affiliate, ma sono comunque riviste di cultura generale, anche se in certi casi se ne possono trovare di più specifiche. Si trovano anche queste nelle edicole appunto perchè vendute con quotidiani.

102

Anatomia del magazine


IMG. 5 IL magazine. N.16, Gennaio 2010

IMG. 7 The New York Times. 9 Giugno 2013

IMG. 6 Du Monde. 7 Gennaio 2012

IMG. 8 Zeit Magazin. N.38, Settembre 2016

103

Tipi di magazine


2. Tipi di magazine

Pubblicazioni indipendenti Sono le riviste autoprodotte che non hanno un vero e proprio target d’insieme e parlano di interessi specifici che molto spesso sono vicini al mondo dell’arte. Non hanno alcuna periodicità di uscita, escono, solitamente, ad intevarlli irregolari. Molto spesso è difficile trovarle in un edicola classica, perchè sono prodotti di nicchia, molto più semplice acquistarle online.

104

Anatomia del magazine


IMG. 9 Fathers. N.2, 2015

IMG. 11 dot. N.1

IMG. 10 Alla Carta. N.1, Agosto 2012

IMG. 12 Bonafide. N.11

105

Tipi di magazine


3. Anatomia

Anche un magazine come ogni altro oggetto ha un’anatomia, è composto da diverse parti che possono differenziare tra loro per caratteristiche. Possiamo dividere in due parti l’analisi sulla composizione e struttura di un magazine. La prima parte riguarda la composizione esterna, tutte le varie parti che impattivamente devono dare all’utente l’idea di ciò che la rivista tratta, comprende la cover o copertina, la masthead o testata e la spine. La seconda parte invece riguarda la composizione interna ovvero tutto ciò che tiene conto della sequenzialità del prodotto: la struttura di testi ed immagini, il ritmo dato dai vari tipi di pagina che sono a loro volta costruite in base ad un sistema di griglie.

La cover o copertina La cover o copertina è la parte esterna di un libro, di una rivista, di un quaderno, di un’agenda o di un disco solitamente formata da carta o cartoncino più spessi dei fogli interni. Poiché si tratta dell’unica parte soggetta a contatto con l’esterno, normalmente la copertina dello stampato viene plastificata per resistere maggiormente nel tempo e non danneggiarsi o scolorirsi. In gergo tipografico, le 4 pagine della copertina prendono i nomi di prima, seconda, terza e quarta di copertina. Quest’ultima è detta anche piatto inferiore. Nelle riviste o altre pubblicazioni a cadenza cronologica, viene usata sovente a scopo promozionale. Nei libri, invece, solitamente riporta note sull’opera e sull’autore, nonché il codice ISBN. Se la copertina è stampata con la stessa carta usata per le pagine interne (come può accadere, ad esempio, nel caso di un opuscolo), e quindi essa è compresa nel conteggio delle pagine del menabò, allora si parla di stampato autocopertinato. La copertina ha nel campo dell’editoria una funzione fondamentale: ha lo scopo di catturare l’attenzione del potenziale lettore, suscitando curiosità o interesse, e di indirizzarlo a valutare l’acquisto di una determinata pubblicazione. Per questa ragione, nel corso del tempo, sono stati studiati vari stratagemmi comunicativi e si sono sviluppati vari tipi di copertine: portraits, photographics, multiple pictures, typographic, illustrated e special covers.

106

Anatomia del magazine


III

IV

Retro copertina

107

I

II

Fronte copertina

La cover o copertina


3.1. Tipi di copertina Portraits

IMG. 13 Zeit Magazin. N. 42, 14 Ottobre 2010

108

Anatomia del magazine


IMG. 14 Zeit Magazin. N. 50, Dicembre 2013

109

Tipi di copertina


3.1. Tipi di copertina Photographics

IMG. 15 Bloomberg Businessweek. Gennaio-Febbraio 2015

110

Anatomia del magazine


IMG. 16 Bloomberg Businessweek. 25-31 Luglio 2016

111

Tipi di copertina


3.1. Tipi di copertina Multiple pictures

IMG. 17 IL magazine. N.46, Novembre 2012

112

Anatomia del magazine


IMG. 18 Lucky Peach. N.14, Primavera 2015

113

Tipi di copertina


3.1. Tipi di copertina Typographic

IMG. 19 IL magazine. N.39, Marzo 2012

114

Anatomia del magazine


IMG. 20 Bloomberg Businessweek. 18-24 Febbraio 2013

115

Tipi di copertina


3.1. Tipi di copertina Illustrated

IMG. 21 The New Yorker. 22 Agosto 2016

116

Anatomia del magazine


IMG. 22 Feuilleton. Giugno 2015

117

Tipi di copertina


3.1. Tipi di copertina Special covers

IMG. 23 Colors. N.82, Autunno 2011

118

Anatomia del magazine


IMG. 24 The New York Times Magazine. 12 Ottobre 2014

119

Tipi di copertina


3. Anatomia

Masthead o testata La testata non è altro che il titolo di un quotidiano o di un’altra pubblicazione periodica, posto in testa alla prima pagina o alla copertina contenente anche il prezzo, il numero progressivo di pubblicazione e la data e avente determinate peculiarità tecniche (caratteri di stampa, fregi, ecc.) tali da contraddistinguerlo chiaramente. La testata è oggetto di proprietà riservata, non può essere riprodotta, da parte di chi non ne è proprietario. Compito della testata è quello di comunicare nel miglior modo e nel minor tempo possibile il tipo di ifnormazioni che il magazine tratta e il suo target. Per questo motivo ci sono vari tipi di testata: red labels, white stripes, hand written, permanent change e unusual logo position.

120

Anatomia del magazine


Testata

121

Masthead o testata


3.2. Tipi di testata

Red labels

White stripes

Hand written

IMG. 25 Life. 22 Settembre 1958

IMG. 29 Achtung. N.23, 2012

IMG. 26 Der Spiegel. N.29, 18 Luglio 2011

IMG. 30 Wallpaper. N.03, Marzo 2015

IMG. 27 The Face. N.62, Novembre 1993

IMG. 31 Dash. N.06, Autunno-Inverno 2014

IMG. 28 Flash Art. N.273, Luglio-Settembre 2010

IMG. 32 Interview. N.08, Luglio-Agosto 2015

122

Anatomia del magazine


Permanent change

Unusual logo position

IMG. 33 Things & Ink. N.09

IMG. 37 Blvd. N.100, Settembre-Ottobre 2009

IMG. 34 Ray Gun. N.08

IMG. 38 Blvd. N.101 Novembre-Dicembre 2009

IMG. 35 Ray Gun. N.69

IMG. 38 Blvd. N.102, Gennaio-Febbraio 2010

IMG. 36 Ray Gun. N.03, 1993

123

Tipi di testata


3. Anatomia

Dorso Il dorso di un magazine è la parte che divide il fronte della copertina dal retro, ha il compito di coprire la rilegatura e di rendere rigido il magazine cosÏ che non si pieghi o si rompa. Nel dorso sono solitamente contenuti: nome del magazine, numero e data.

124

Anatomia del magazine


Dorso

125

Dorso


3. Anatomia

Struttura La struttura di un magazine è tutto ciò che riguarda l’interno, l’organizzazione e il ritmo di esso. Si crea questa struttura tramite: un piano dei contenuti detto anche flatplan in cui si decide come distribuire i vari argomenti trattati all’interno del magazine (come distribuire i testi, le immagini) per analizzare prima di cominciare ad impaginare come potrebbe e dovrebbe risultare l’impaginato finale, un ritmo che è ciò che permette all’osservatore di sfogliare piacevolmente il magazine e un sistema di griglie di composizione che viene utilizzata per distribuire con criterio i vari contenuti: testi, immagini, fotografie, ecc.

Flatplan Il piano dei contenuti è uno degli strumenti più importanti nella realizzazione di una rivista. Quanto contenuto può stare in un determinato spazio può creare un problema. Il Flatplan è un modo molto utile per organizzare le idee, per vedere come scorrono nel contesto di una rivista, per capire se il ritmo che si sta dando è quello giusto.

Nella pagina a fianco viene mostrato un esempio di come sia sviluppi un piano dei contenuti, nell’esempio qui a fianco l’organizzazione avviene in modo molto semplice, utile ad organizzare in primo luogo, dopo di chè si realizzerà un piano molto più completo ed esaustivo in cui si andranno ad ipotizzare le varie grandezze di immagini e foto e le porzioni occupate dai testi.

126

Anatomia del magazine


colophon

1

2

editoriale

3

naming

6

nascita zĂŠnta

4

autoproduzioni

5

testata

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

articolo postmoderno

articolo postmoderno

articolo postmoderno

articolo postmoderno

font utilizzate

font utilizzate

18

19

20

21

22

23

font utilizzate

font utilizzate

font utilizzate

font utilizzate

0 come

0 come

24

25

26

27

28

29

formato

127

Flatplan


3. Anatomia

Il sistema di griglie La griglia divide un piano bidimensionale in campi più piccoli o uno spazio tridimensionale in compartimenti più piccoli. I campi o compartimenti possono essere uguali o di differenti dimensioni. I campi corrispondono in profondità ad un numero specifico di righe di testo e la larghezza dei campi è identica alla larghezza delle colonne. La profondità e la larghezza sono indicate in misure tipografiche, in punti e Ciceros. I campi sono separati da uno spazio intermedio in modo che da un lato le immagini non sporchino la leggibilità e dall’altro che le didascalie possano essere posizionate sotto le immagini. La distanza verticale fra i campi è 1, 2 o più righe di testo, lo spazio orizzontale a seconda della dimensione del tipo di carattere e delle immagini. Per mezzo di questa divisione in griglie dei vari campi diversi come tipografia, fotografia, illustrazione e colore lo spazio può essere utilizzato e smaltito in modo migliore. Questi elementi sono adeguati alle dimensioni dei campi della griglia e inseriti con precisione nella dimensione giusta: la più piccola immagine corrisponde al campo della griglia più piccolo. Tutte le immagini, fotografie, statistiche, ecc. hanno la dimensione di 1, 2, 3 o 4 campi griglia. In questo modo si crea uniformità nella presentazione di informazioni visive, la griglia infatti serve a determinare le dimensioni costanti nello spazio grafico. Non vi è praticamente alcun limite al numero di divisione della griglia. Si può dire in generale che ogni pezzo di lavoro deve essere studiato molto attentamente in modo da arrivare alla griglia specifica corrispondente ai risultati che si vogliono ottenere.

da Grid systems in graphic design, capitolo III-IV, pp. 10-11 (Traduzione dal originale inglese di Joseph Muller-Brockmann)

Una regola importante nella composizione di questa griglia è che minori sono le differenze nella dimensione delle illustrazioni, più alta sarà l’impressione di equilibrio creata dal totale. Come sistema di controllo la griglia facilita nel dare allo spazio/superficie un’organizzazione razionale ed equilibrata.Un tale sistema favorisce il pensiero analitico e dà alla soluzione del problema una base logica e materiale. Se il testo e le immagini sono disposte in modo sistematico, le priorità spiccheranno in modo più chiaro e le gerarchie grafiche saranno evidenti con maggior facilità.

128

Anatomia del magazine


Una griglia idonea rende più facile: a. costruire l’argomento in modo oggettivo con i mezzi di comunicazione visiva b. costruire il testo e materiale illustrativo sistematicamente e logicamente c. organizzare il testo e le illustrazioni in una disposizione compatta con il proprio ritmo d. mettere il materiale visivo in modo che sia facilmente comprensibile e strutturato con un alto grado di tensione.

Perchè si usa la griglia? Ci sono varie ragioni per usare la griglia come aiuto nell’organizzazione del testo e delle immagini: -ragioni economiche: un problema può essere risolto in meno tempo e ad un costo inferiore; -ragioni razionali: probemi sia semplici che complessi possono essere risolti in modo uniforme e con lo stesso stile; -ragioni sociali: la presentazione sistematica dei fatti, di sequenze, di eventi e di soluzioni ai problemi devono, per ragioni sociali ed educative, essere un contributo costruttivo allo stato culturale della società e l’espressione del nostro senso di responsabilità.

La griglia è utilizzata dal tipografo, dal graphic designer, dal fotografo per risolvere i problemi di visual design in due e tre dimensioni. Il graphic designer e tipografo lo usano per la progettazione di annunci, per stampati, brochure, cataloghi, libri, periodici, ecc. mentre il progettista espositivo per concepire il suo piano per la partecipazione espositiva e show-vetrine. Organizzando la superficie e gli spazi in forma di griglia il progettista è aiutato nel posizionare i suoi testi, fotografie e diagrammi, in conformità con criteri oggettivi e funzionali.

129

Il sistema di griglie


La dimensione delle immagini è determinata secondo l’importanza del soggetto. La riduzione del numero di elementi visivi utilizzati e la loro incorporazione in un sistema a griglia creano un senso di pianificazione, intelligibilità e chiarezza, e suggeriscono un ordine e un equilibrio della pagina. Questo ordine conferisce maggiore credibilità e gerarchia alle informazioni inducendo così fiducia nell’utente.

Le informazioni presentate con titoli chiari e logicamente stabiliti, sottotitoli, testi, illustrazioni e didascalie non sarà letto solo più velocemente e facilmente, ma l’informazione sarà anche meglio

130

Anatomia del magazine


compresa e conservata nella memoria. Questo è un fatto scientificamente provato e il progettista non può permettersi di ignorarlo. La griglia può essere utilizzata con successo anche per le identità aziendali delle imprese. Questo include tutti i supporti visivi di informazioni dal biglietto da visita per lo stand: tutte le forme di stampa per uso interno ed esterno, materiale pubblicitario, veicoli per il trasporto merci e passeggeri, targhette ed edifici lettering, ecc.

Proporzione dei margini L’area tipografica è sempre circondata da una zona marginale. Per prima cosa, per ragioni tecniche: di regola le discrepanze tra 1 e 3 mm e spesso 5 millimetri si verificano quando le pagine vengono tagliate. Senza un margine adeguato il testo stesso potrebbe essere “rovinato” o non leggibile. Oltre alle ragioni tecniche ci sono anche ragioni estetiche. Un margine ben proporzionato può aumentare il piacere di leggere. Tutte le famose opere tipografiche dei secoli precedenti hanno delle proporzioni di margini che sono state attentamente 1

1,5

1

1

da Grid systems in graphic design, capitolo XI, pp. 39-42 (Traduzione dal originale inglese di Joseph Muller-Brockmann)

3

2

1

3

131

Il sistema di griglie


calcolate utilizzando la sezione aurea o qualche altra formula matematica. Se il margine è stretto, il taglio obliquo della pagina balza agli occhi in un attimo. Più ampio è il margine, meno probabile è che ci siano inesattezze tecniche, che, se presenti, toglieranno alla pagina quell’apparenza di equilibrio che dovrebbe avere. Un progettista “sensibile” farà sempre del suo meglio per creare la massima tensione nelle proporzioni che sceglie per i suoi margini. Un attento studio della progettazione del libro di esponenti famosi, come Gutenberg, Caslon, Gramond, Bodoni e le opere di pionieri del 20 ° secolo come Jan Tschichold, Karel Teige, Moholy-Nagy, Max Bill, Willi ecc possono dare un aiuto prezioso. Per i libri di immagini, la preferenza è una pagina senza margini per dare un’apparenza monumentale. I margini e la loro proporzione, cioè il rapporto tra loro dimensioni, possono avere notevoli ripercussioni sull’impressione creata nella pagina stampata. Se sono di piccole dimensioni, il lettore sentirà la pagina troppo piena. Se i margini sono grandi sarà difficile evitare un senso di stravaganza e la sensazione sarà quella di un testo che si perde nello spazio bianco della pagina stampata. Al contrario, un rapporto equilibrato e proporzionato tra i margini sui lati, la testa e la coda può produrre un’impressione gradevole ed equilibrata. Tutti i grandi tipografi hanno dato al problema del margine la loro massima attenzione. Un margine di dimensioni sufficienti è anche una necessità tecnica. 3

0,5

0,5

0,5

0,5

2

2

3

Margini troppo ampi.

Margini troppo stretti.

132

Anatomia del magazine


La costruzione della zona tipografica La griglia suddivide, come già precedentemente detto, l’area di testo disponibile in unità proporzionate fornendo una struttura visiva generale e facilitando la composizione degli elementi. La struttura della griglia più semplice, usata prevalentemente nei romanzi, è quella con una singola colonna. Dalla misura dipende la leggibilità. Nei layout più complessi con testo, immagini, schemi, didascalie è necessaria una griglia più elaborata, orizzontale e verticale. Le griglie che comprendono da 3 a 6 colonne consentono l’inserimento di tutti gli elementi. Più unità si creano, maggiore flessibilità si ha per inserire sia testi brevi come le didascalie, che più lunghi, come i sottotitoli o il testo principale. è importante impostare le colonne secondo le porprie esigenze, a numeri interi, piuttosto che adattarsi alle impostazioni di default del computer. In teoria una griglia ben fatta dovrebbe anche avere guide verticali, sia per strutturare la pagina che per ottenere un layout ordinato. Si deve dare una posizione fissa a titoli, sottotitoli, didascalie, numeri di pagina. Infine serve un po’ di flessibilità. Le griglie infatti non devono essere limitative bensì una struttura flessibile che consente numerose scelte compositive.

da Grid systems in graphic design, capitolo XIV, pp. 49-57 (Traduzione dal originale inglese di Joseph Muller-Brockmann)

Prima che la griglia tipografica possa essere determinata, il progettista deve sapere quanto testo ed immagini o illustrazioni saranno sistemati nello stampato. Egli deve anche avere un’idea di come sarà la sua “risposta al problema” e sapere che dovrà essere simile o comunque avere una costante per tutto lo stampato. Si deve faer una netta distinzione tra contenuti testuali e contenuti fotografici e dopodichè si deve pianificare l’area di riferimento delle varie parti. Se le informazioni visive consistono principalmente in testi con pochissime immagini, l’area tipografica può essere determinata facendo riferimento il più possibile al formato cartaceo. Devono essere prese in considerazione non solo altezza e larghezza dell’area tipografica, ma anche dimensione del

133

Il sistema di griglie


carattere, volume del testo e numero di pagine disponibili. Se c’è una grande quantità di testi da sistemare in poche pagine, ci dovrà essere una griglia tipografica grande con margini relativamente stretti e proporzionalmente un carattere piccolo. Il numero di colonne uno, due o più dipende dal formato dello stampato e dalla dimensione del carattere. Il formato della pagina e la dimensione dei margini determinano la dimensione della griglia tipografica. L’impressione estetica generale creata dipende dalla qualità della proporzione tra il formato della pagina, la dimensione dell’area tipografica e la font utilizzata. Gli esempi che seguono illustrano la diversità dei problemi che il progettista può incontrare. Essi variano da caso a caso. I progettisti devono affrontare ogni nuovo problema con una mente aperta e devono cercare di risolverlo in maniera sempre differente, sviluppando griglie che si adattino al tipo di richiesta in maniera ottimale. Un piccolo giornale pubblicitario non presenta le difficoltà di progettazione di un quotidiano con 10 e più colonne. Tale compito richiede non solo una progettazione ben fatta, ma anche la capacità di organizzazione dal momento che l’informazione è in continua evoluzione i contenuti devono essere disposti in un ordine logico e la griglia deve riflettere le loro priorità momentanee.griglia deve riflettere le loro priorità momentanee.

Esempio 1

Esempio 2

134

Anatomia del magazine


Esempio 3

Esempio 4

Esempio 5

Esempio 6

135

Il sistema di griglie


3. Anatomia Esempi di griglie The Herald

431 Ă— 570 mm Six-column modular grid

IMG. 39 The Herald. N.1, Massimo Vignelli

136

Anatomia del magazine


IMG. 40 The Herald. N.2, Massimo Vignelli IMG. 41 The European Journal. Massimo Vignelli

137

Esempi di griglie


3. Anatomia Esempi di griglie Twen

265Ă—335mm Twelve-column modular grid

IMG. 42 Twen Magazine. N.3 Marzo, 1962 Willy Fleckhaus

138

Anatomia del magazine


IMG. 43 Twen Magazine. N.2 Febbraio 1962 Willy Fleckhaus

IMG. 45 Twen Magazine. N.9 Settembre 1966 Willy Fleckhaus

IMG. 44 Twen Magazine. N.3 Marzo 1962 Willy Fleckhaus

139

Esempi di griglie



Indice delle immagini

5

7

9

14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 28

29

44 45 46 47

IMG. 1 New York. Maggio-Giugno 2016 IMG. 2 Wired. N.34, Dicembre 2011 IMG. 3 Time. 12 Aprile 2010 IMG. 4 The New Yorker. N.20, 12 Gennaio 2009 IMG. 5 IL magazine. N.16, Gennaio 2010 IMG. 6 Du Monde. 7 Gennaio 2012 IMG. 7 The New York Times. 9 Giugno 2013 IMG. 8 Zeit Magazin. N.38, Settembre 2016 IMG. 9 Fathers. N.2, 2015 IMG. 10 Alla Carta. N.1, Agosto 2012 IMG. 11 dot. N.1 IMG. 12 Bonafide. N.11 IMG. 13 Zeit Magazin. N. 42, 14 Ottobre 2010 IMG. 14 Zeit Magazin. N. 50, Dicembre 2013 IMG. 15 Bloomberg Businessweek. Gennaio-Febbraio 2015 IMG. 16 Bloomberg Businessweek. 25-31 Luglio 2016 IMG. 17 IL magazine. N.46, Novembre 2012 IMG. 18 Lucky Peach. N.14, Primavera 2015 IMG. 19 IL magazine. N.39, Marzo 2012 IMG. 20 Bloomberg Businessweek. 18-24 Febbraio 2013 IMG. 21 The New Yorker. 22 Agosto 2016 IMG. 22 Feuilleton. Giugno 2015 IMG. 23 Colors. N.82, Autunno 2011 IMG. 24 The New York Times Magazine. 12 Ottobre 2014 IMG. 25 Life. 22 Settembre 1958 IMG. 26 Der Spiegel. N.29, 18 Luglio 2011 IMG. 27 The Face. N.62, Novembre 1993 IMG. 28 Flash Art. N.273, Luglio-Settembre 2010 IMG. 29 Achtung. N.23, 2012 IMG. 30 Wallpaper. N.03, Marzo 2015 IMG. 31 Dash. N.06, Autunno-Inverno 2014 IMG. 32 Interview. N.08, Luglio-Agosto 2015 IMG. 33 Things & Ink. N.09 IMG. 34 Ray Gun. N.08 IMG. 35 Ray Gun. N.69 IMG. 36 Ray Gun. N.03, 1993 IMG. 37 Blvd. N.100, Settembre-Ottobre 2009 I IMG. 38 Blvd. N.101 Novembre-Dicembre 2009 IMG. 38 Blvd. N.102, Gennaio-Febbraio 2010 IMG. 39 The Herald. N.1, Massimo Vignelli IMG. 40 The Herald. N.2, Massimo Vignelli IMG. 41 The European Journal. Massimo Vignelli IMG. 42 Twen Magazine. N.3 Marzo, 1962 Willy Fleckhaus IMG. 43 Twen Magazine. N.2 Febbraio 1962 Willy Fleckhaus IMG. 44 Twen Magazine. N.3 Marzo 1962 Willy Fleckhaus IMG. 45 Twen Magazine. N.9 Settembre 1966 Willy Fleckhaus

141

Indice delle immagini


Bibliografia

Grid systems in graphic design. Joseph Muller-Brockmann, edizione niggli, riedizione 2016 The Vignelli Canon. Massimo Vignelli, autoproduzione Massimo Vignelli, 2010 Designing News. Francesco Franchi, edizione Die Gestalten Verlag, 2013 Editorial design. Cath Caldwell e Yolanda Zappaterra, Laurence King, 2014 The modern magazine. Jeremy Leslie, edizione Laurence King, 2013 The grid. Allen Hurlburt, edizione John Wiley and Sons Ltd, 1982 Grid system. Kimberly Elam, edizione Princeton Architechtural Press, 2004 Anatomy of a Magazine. Davide Mottes, slide Kerning Conference, 2016

142

Parte 2


Sitografia

www.writingclasses.com blog.debiase.com www.magazinedesigning.com www.hs-augsburg.de en.wikipedia.org www.thefreedictionary.com it.wikipedia.org forums.scribus.net

143

Bibliografia



Parte 3

Il progetto: ZÊnta Megazin a cura di Lorenzo Feliciani e Nicolò Oriani

145


Zénta Megazin

L’Idea L’Idea di Zénta Megazin nasce quasi per caso, nasce per la passione e per l’interesse nei confronti dell’editoria indipendente sviluppata durante il nostro percorso di studi. Il voler essere parte di questo mondo in maniera attiva ci ha portato a scegliere di proporre come tesi un progetto che potesse poi essere sviluppato al di fuori del nostro percorso di studi. L’idea iniziale era chiara: voler creare una nostra rivista autoprodotta che parlasse di autoproduzione ed editoria indipendente ai giorni nostri, ma non solo a chi fa parte di questo mondo, ma soprattutto a chi non lo conosce. Il progetto di tesi avrebbe nel particolare interessato la creazione della rivista a partire dalla testata fino al formato e la pubblicazione del numero 0 della rivista, un numero speciale che raccontasse la rivista tramite se stessa, raccontando non solo il fenomeno e gli intenti dell’autoproduzione ma anche cosa sta dietro alla progettazione di una rivista o meglio quale è il lavoro e cosa passa nella testa di un editorie indipendente.

Il Percorso Abbiamo quindi inizato a progettare la rivista in tutte le sue parti, la testata, il formato, la tecnica di stampa, i colori, la griglia, i caratteri e poi inziato a comporre i contenuti per il numero 0. Contemporaneamente alla parte di progettazione portavamo avanti la parte di ricerca necessaria allo sviluppo della tesi. É stata proprio questa fase che ha ribaltato il nostro punto di vista e ci ha portato a trovarci in una situazione di stallo e di crisi nei confronti del progetto. Ci siamo resi conti che la nostra idea non era più in accordo con il progetto, e che il messaggio che volevamo dare si era in parte modificato. Questo significa che tutto il lavoro fatto non aveva più motivo di essere portato avanti o meglio dovevamo trovare il modo di comunicare la nostra nuova idea. Ragionando ci siamo chiesti se eliminare tutto il lavoro e rifare da capo avesse senso, ma in realtà quello che dovevavmo raccontare era proprio come la nostra idea fosse cambiata, perchè il messaggio era proprio in quel cambiamento.

146

Il Progetto: Zénta Megazin


La soluzione La rivista era ormai completa e anche il numero 0 era quasi finito e pronto per essere stampato. L’idea inziale era di stampare 300 copie del numero 0 su fogli 70 x 100 cm in stampa offset, ma stampare 300 copie di una rivista che racconta qualcosa con cui non sei più in accordo è un controsenso oltre che uno spreco di carta e soldi inutile. Abbiamo deciso quindi di stampare la rivista ma semplicemente in formato ridotto passando dal 70 x 100 cm al formato A3 (29,7 x 42 cm), trasformando la rivista in una sorta di oggetto, oggetto simbolo della nostra idea e del nostro percorso. Le mini-riviste saranno poi distribuite gratuitamente alle persone durante l’esposizione della tesi, un po’ in stile dadaista l’idea è stata quella di creare una rivistaoggetto completa dei contenuti dell’idea iniziale e fruibili dal lettore (contenuti che comunque rispecchiano tutt’ora la nostra idea di autoproduzione) ma allo stesso tempo portatrice di un messaggio e di un percorso che la tesi stessa ha generato. Gli intenti iniziale erano quelli di arrivare alla gente, alle persone, di raccontare a loro l’autoproduzione, che si sono evoluti nel voler anche spronare gli autoproduttori a non produrre semplicemente per il proprio egoismo, ma cercare di avere più slancio nei confronti di chi è al di fuori di questo mondo, al di fuori di un meccanismo spesso sconosciuto non per cattiveria ma per ignoranza, un ignoranza causata a nostro parere da noi stessi che rischiamo di creare un circuito chiuso piuttosto che una rete aperta di comunicazioni.

Il Numero 0 Il Numero 0 è il progetto della nostra tesi, che racconta attraverso l’ironia e la grafica la rivista nelle sue parti e nella sua progettazione, racconta l’idea iniziale e l’idea finale, è il simbolo della tesi e del nostro percorso. Il numero 0 della rivista è stato stampato in 250 copie in scala ridotta e 6 numeri in scala originale. La rivista morirà qui con il suo numero 0, non avrà un seguito o meglio non lo avrà sottoforma di questa rivista ma lo avrà nella nostra coscienza e nella nostra progettazione futura.

147

Zènta Megazin


Naming

Il nome Zénta Megazin nasce dal dialetto romagnolo e da qualche simpatico gioco di parole, per rimanere fedeli alla terra nativa (più o meno), fatta di vino, piadina, simpatia e tradizione.

Zénta, sf Gente. Con «zénta» si usa solitamente il verbo al plurale. | Basazénta, gente del popolo, popolani. ( Lat. gens- tis; rad. indoeuropea gen«nascere; generare» ) Zénta è una parola del dialetto romagnolo che si traduce in italiano con il termine “gente”. Zénta perchè alla fine è proprio la gente che ci interessa, ci interessa parlare di gente nel senso di coloro che a volte rimangono in sottofondo, di progetti e idee di gente che hanno scelto di autoprodurre e di proporre qualcosa rimanendo appunto gente. Non c’è l’interesse ai grandi nomi, ai grandi progetti, non c’è interesse alla fama ma semplicemente alle idee e alle opinioni di altri che come noi ci provano. La gente sei anche tu, lettore, sia che tu sia un appassionato o un profano, non vogliamo raccontarti cose difficili, vogliamo raccontarti delle idee.

Megazin, sf Rivista. Neologismo dialettale romagnolo per indicare una rivista che spakka. ( Ingl. mega- zine; rad. anglosassone magazine rivista, sin. fan-zine/web-zine )

Megazin è un gioco di parole, un neoligismo futurista coniato in un momento di follia. Composto dalle parole mega (grande) e zine (abbreviazione del termine magazine inglese). Mega in senso stretto e in senso lato. Mega come il formato del foglio 70 x 100 cm da cui nasce la rivista. Mega come megalomani che non siamo altro. Zin perchè noi romagnoli siamo gente essenziale, la “e” finale con si legge e allora cosa la teniamo a fare?

148

Il Progetto: Zénta Megazin


Testata

48,6 Pti.

7,5 Pti.

30 Pti.

90 Pti.

Crenatura

Times - 17 Pti. Bold Akzidenz - Grotesk BQ - 47 Pti. Bold

100%

75%

50%

25%

149

Testata


Formato

23 cm

23 cm

Tipico delle autoproduzioni o comuqnue di edizioni atipiche non commerciali è il fuori formato tuttavia, un fuori formato implica uno scarto di materiale a meno che non si parta da una vera progettazione. Il formato 23 x 12 (rivista chiusa) di Zénta Megazin nasce da un formato standard B1 (70 x 100 cm) senza scarto di materiale, o meglio con lo scarto minimo della rifilatura. Prendendo un foglio 70 x 100 cm bisogna dividere il lato corto per 3 e il lato lungo per 8, quindi piegare a fisarmonica prima nella direzione del lato corto poi nella direzione del lato lungo. Le ultime tre piegature rimarrano aperte per formare delle pagine di dimensione maggiore. Per fare ciò è stato veramente necessario autoproggettare un nuovo modo di piegare il foglio in modo da ottenere un’unica segnatura rifilabile e rilegabile con le minime possibilità. Anche l’imposition del file esecutivo è stato progettato da zero e consegnato direttamente al tipografo per la stampa poichè non era possibile realizzare la rivista con questo metodo utilizzando un software di imposition standard. Nella stampa della rivista a dimensione reale non essendo stampata in offsett e quindi non sul formato B1 l’imposition non è stata applicata mentre è stata applicata nel caso delle mini riviste stampate su formato A3.

12 cm

11 cm

Formato Chiuso

11 cm

Formato Aperto

150

Il Progetto: Zénta Megazin


23 cm

11 cm

34 cm

Formato Aperto Pagine Finali

Come può crescere questo bambino?

Naming

Non lamentiamoci se la nostra generazione si è persa tra facebook e instagram, due buoni mondi dove, nonostante il buttasù quantitativo, sembrano vigere ancora certe regole di fondo.

Cosa sono?

(es. case editirici).

zénta

Zénta è una parola del dialetto romagnolo che si traduce in italiano con il termine gente. Zénta perchè alla ne è proprio la gente che ci interessa, ci interessa parlare di gente nel senso di coloro che a volte rimangono in sottofondo, di progetti e idee di gente che hanno scelto di autoprodurre e di proporre qualcosa rimanendo appunto gente. Non c’è l’interesse ai grandi nomi, ai grandi progetti, non c’è interesse alla fama ma semplicemente alle idee e alle opinioni di altri che come noi ci provano. La gente sei anche tu, lettore, sia che tu sia un appassionato o un profano, non vogliamo raccontarti cose dif cili, vogliamo raccontarti delle idee.

inizi ‘90 è obbligato, per legge, a frequentare la scuola primaria, dove conosce altri bambini nati lo stesso suo anno, cresciuti più o meno come lui, ma che il romagnolo non lo sanno bene: infatti i genitori del suo compagno di

Perchè autoprodurre?

Per avere la massima

potenzialità di espressione sia dei contenuti, che delle forme senza l’obbligo di

sottostare a limitazioni esterne o per una semplice mancanza di nanziamenti da parte della stampa uf ciale.

Megazin, sf Rivista. Neologismo dialettale romagnolo per indicare una rivista che spakka. ( Ingl. mega- zine; rad. anglosassone magazine rivista, sin. fan-zine/web-zine )

banco sono argentini, e la bambina più bella della classe è sì romagnola, ma in casa sua il dialetto non lo parlano. Arriva la maestra: lezione di inglese: questa lingua vi servirà

megazin

Cosa spinge all’autoproduzione?

Megazin è un gioco di parole, un neoligismo futurista coniato in un momento di follia. Composto dalle parole mega (grande) e zine (abbreviazione del termine magazine inglese).

quando andrete dove non sanno l’italiano, perchè questa lingua la sanno in tutto il mondo. Perchè proprio l’inglese? Perchè è

Zin perchè noi romagnoli siamo gente essenziale , la “e” nale con si legge e allora che la teniamo a fare?

stampa uf ciale o trattarli attraverso un ottica differente 3. Sperimentare nuovi linguaggi.

volta quella lingua che ti fa cittadino del mondo era il francese, e ancora prima il latino. Questo fatto di una lingua che dalla

cit. Massimo Vignelli 08 - 09

20 - 21

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

ZÉNTAMEGAZIN. N°0 Autoprodursi non signi ca fare le cose strane, alternative. Autoprodursi signi ca avere coscienza che si sta facendo qualcosa per qualcuno senza l’autorizzazione di qualcun’altro. Non per questo signi ca fregarsene o fare quello che ci pare, autoprodurre signi ca autoprogettare e la progettazione é un impegno, è una cosa seria.

capire quale forza usare per far si che i cavalli semplice passare dal puntuale all’universale, compensando la frammentarietà dell’uno con la grossolanità dell’altro. Il nostro ragazzo si sentiva con gli arti legati a due cavalli che correvano ai poli opposti, e stava cercando di

Zénta Megazin vuole essere mezzo stesso per farsi voce dell’ autoproduzione editoriale. L’intento è quello di creare una rivista identitaria e completa, in grado al tempo stesso di sperimentare e scardinare l’idea comune di rivista.

creare una lega indissolubile, e ci provò, inizialmente con scarsi risultati. Si era però reso conto che a livello concettuale era molto cun me a fe la spesa?’ della nonna: da una parte lo studio, i libri e il mondo, dall’altra gli anziani, la terra, e il paese. Si chiedeva se questi due elementi tanto distanti si sarebbero potuti sciogliere nello stesso stampo per

Buonaa come la Questa globalizzazione che spreme il mondo, ne prende il succo e lo fa colare un

uno sopra l’altro elementi che altrimenti, in un’ottica antipostmoderna, sarebbero rimasti ovviamente estranei l’uno all’altro. Questo grande calderone che noi, 18 - 19

23 cm

contrasto devono, e sottolineo la necessità, trovarsi a convivere. Immaginiamoci ora uno sventurato nato in Romagna a inizio anni ‘90: sta tornando, nato da pochi giorni, a casa assieme alla mamma e al babbo. In radio una brutta notizia: Kurt Cobain si è sparato con un fucile e ha lasciato una lettera al suo amico immaginario Boddah. La mamma non vuole sentire la notizia e cambia stazione: in Romagna non sono poche le radio locali che trasmettono zumpapa dalla mattina alla sera, e si trova ad ascoltare Raoul Casadei, nel traf co del tragitto ospedale casa, su una macchina americana con una radio made in Korea.

11 cm

30 - 31

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

arroganza, assumere il nome di artista, comprare una tela, fare una Gioconda naif e truccarla come il bassista dei Kiss; non si osi

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

22 - 23

10 - 11

T’è una testa come al do ad coppi.

Adrian Frutiger 1928 - 2015

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

ci sarà nessuno e nessuno avrà l’arduo compito di capirci qualcosa.

po’ a caso per tutta la terra crea poi dei punti critici in cui elementi apparentemente in

commettere un’arte scevra di imposizioni ma

Akzidenz - Grotesk BQ - 47 Pti. Bold Times - 17 Pti. Bold

di una passione, di una progettazione.

Crenatura 30 Pti.

Bold Italic

Regular

06 - 06

il mondo del dollaro, della Cina, l’esportazione dei manga giapponesi e delle serie TV britanniche, l’hamburger, il gulach e la pizza nello stesso menù. Ma tanto tra mille anni non

12 - 13

zero manolo liuzzi . benedetta tappari un serpente che si morde la coda arianna arneodo faster than one irish favério ( ) ken marisi il buco vuoto dello zero che mi fa tanta paura alex bertozzi zero moltiplicato per un milione margherita marzaduri la capacità di non estraniarsi elisa fioravanti i denti di chi ha il pane marika banci tanti giovanni ricchi 1 filippo carroli gli anni che avevo quando sono nato francesco iafigliola insid(i)e francesco fadani il comic sans benedetta pompili la copia che mi arriverà matteo bernabè me beatrice aburaba la tisana allo zen carlo cornacchia renato jessica bugamelli il cazzo che me ne frega francesco carroli dico io o niente luciano albanelli tutto giuseppina cini il punto di inzio juri preti le caramelle rimaste nel sacchetto elira pulaj la voglia che ho quest’anno alberto fraccaroli il mio conto in banca federico zampolini le speranze del genere umano francesca lazzari le volte in cui Cristo ha fatto all’amore francesca ferri la voglia di uno studente di andare a scuola giulia de filippis chi non finisce mai nie mario shimigami la distanza di alessio bernabei capovolta andrea zanni l’assoluto neven mazza il coseno di 90 marco villa l’energia dopo una giornata di lavoro con gli psichiatrici filippo franco i soldi del mio stipendio elena franco il tempo per cagare tra una lezione e l’altra ester mezzini la voglia di truccarmi prima di andare a lezione elisa carioni come la farina matteo capanna ovale anna lombardi la divergenza di un rotore matteo bernabè i neuroni di salvini elisabetta mascherucci il voto che darei a trenitalia chiara ghigi quello che sto capendo alla lezione di geometria descrittiva irene bassoli la droga davide medhi duranti Ouroboros unlimited W(a/o)nder nino cortellini come i cavoli a merenda camilla carioli le onde che prendo surfando genny pierini un uovo laura semprini rapato a cecilia zavaglia quiete prima della tempesta edoardo lughi sangue caterina oriani universalità del nulla cesare del pane vuoto manuel mondini l’infinito aperto francesco gallegati l’oblio davide varoli niente leonardo bellini kilometro mariasole melandri partenza e traguardo federico bertacchini tutto e niente luca ucciero origine stefano balla concettualizzazione michele donati nero maria carla calai l’esistenza nulla matteo vandelli i buoni propositi per il nuovo anno marco gorgoroni i gradi nella 22 denise baldisseri i dinosauri che ho visto camminare sull’ acqua edoardo cancelli Russel Westbrook giacomo tavernelli il termitanor universale serena marzaduri un grande cerchio che si chiude lorenzo capacci le gioie che mi regala la diana gabriele zarzouras nam mto renge kyo giuseppina cini la memoria dopo l’esame di processi industriali ceramici isotta marchese calcare bianca pieri la tristezza riccardo ganzerli le tavole che ho fatto di marzani ops anna caterina perlati la temperatura in netherlands luca zamagni la mia gioia matteo bernabè N-N+ luca zamagni il tasso alcolemico che non rispettiamo.mai nino cortellini il titolo del libro di saviano giulia de filippis la considerazione dei creativi in italia luigi capraro l’entropia di una reversibile maddalena gambini zerocento maurizio oriani il denaro filippo gianessi anno 0 federica alpi il punto di non ritorno a questa vita gabriele galli la mia voglia di sistemare il portfolio claudia vitali il vostro voto di laurea mariapia bellosi tony revolori in gran budapest hotel elisa carioni i treni arrivati in orario lorenzo capacci l’assoluto mio tempismo jacopo ciaroni i mi piace che riceverà questo post la tolleranza francesco ken marisi le cose a cui stai pensando federico cinque la giustizia francesco carroli il faenza parfum francesca rastrelli i lavori fatti nel parcheggio anna caterina perlati falso nella logica binaria edoardo landi gli esami che passerò quest’anno federico zanotti le onde in adriatico dario tarabella

faceva la nonna! CARO LETTORE, SIAMO GIUNTI ALLA FINE DI QUESTA AVVENTURA BREVE MA INTENSA, E ORA UNA DOMANDA VORREMMO PORTI: TI SENTI PIÙ RICCO DI PRIMA? QUALUNQUE RISPOSTA TI DARAI NON CI IMPORTA PERCHÉ TANTO NON CAMBIERÀ LA SORTE DI QUESTA RIVISTA. QUESTA RIVISTA MORIRÀ QUI, CON IL SUO NUMERO ZERO, EPPURE DOBBIAMO DIRTI CHE È STATO IL PROGETTO PIÙ UTILE DEL NOSTRO PERCORSO DI STUDI. PROGETTARE SIGNIFICA CAPIRE QUANDO SI STA VERAMENTE PORTANDO QUALCOSA AL LETTORE O SI STA SEMPLICEMENTE AGGIUNGENDO DEL CAOS AL CAOS? SIAMO PARTITI CON UN IDEA E SIAMO ARRIVATI CON UN’ALTRA. L’EDITORIA INDIPENDENTE ODIERNA MANCA DI UNO SLANCIO NEI CONFRONTI DELLA SOCIETÀ, MOLTI PROGETTI SONO AUTO REFERENZIALI, SONO UN EGOISMO CREATIVO DELL’AUTORE, SONO UN ESERCIZIO. QUINDI ORA CHE ANCHE NOI ABBIAMO FATTO IL NOSTRO ESERCIZIO CAPIAMO CHE NON VI SERVONO I NOSTRI ESERCIZI MA FORSE IL NOSTRO MESSAGGIO, ZÉNTA MEGAZIN NON HA NECESSITÀ DI ESISTERE PERCHÉ FARE QUALCOSA CHE VUOLE PARLARE DEL NULLA SIGNIFICA FARE DELL’ALTRO NULLA.

S’am met a fê e’ caplêr la zenta la ness testa. Siamo svogliati e poco fantasiosi. Avevamo bisogno di una mano quindi la copertina l’abbiamo fatta fare a voi e continueremo a farvela fare perchè dopotutto siete stati bravi. Grazie ai social network è stato semplice organizzare una “call for peolple” in cui si chiedeva semplicemente di completare la frase “0 COME...” e raccogliere frasi e pensieri che descrivono cosa è alla ne questo nostro numero 0. Invece della solita “call for artist” tipica di molti progetti autoprodotti abbiamo pensato ad una call più democratica in cui chiunque potesse dare il suo contributo, senza pensare di dover fare l’opera d’arte del secolo, ma semplicemente lasciando un pensiero una parola in modo divertente, ironico, introspettivo e personale. Dall’ironico al loso co, dal visivo all’introspettivo, dal blasfemo al profano, dal concettuale al trash abbiamo raccolto in una settimana esattamente 101 “0 COME” e abbiamo scelto i 4 più interessanti che sono stati premiati con una copia della rivista. Con la speranza di andare avanti ci vedremo con la call di “1 COME” con qualche novità, perchè se no diventiamo noiosi come in questa rivista. Nella pagina af anco tutti gli “0 COME” raccolti nella prima call con i relativi artisti, non esitate a contattarli per mostre e altre magiche opere d’arte.

Se fra mille anni ci saranno ancora i nostri discendenti, non sarà sicuramente facile per loro comprendere i meccanismi multinazionali, le guerre fredde e calde, l’importanza in tutto

Non essendoci più una classe nobile o ecclesiastica che paghi scrittori e artisti

maledetta, e intendo dire sia socialmente che economicamente, ognuno può, con legittima

11 cm Formato Aperto

Imposition

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

un po’ titubanti, continuiamo a chiamare Postmoderno è glio, come ogni corrente

Bella storia i Fuori Formato, sempre indice di qualcosa di alternativo, di diverso, ma fare un fuori formato per il semplice gusto di farlo non è simbolo di progettazione. Un Fuori Formato implica uno scarto di materiale a meno che non si parta da una vera progettazione. Il formato 23 x 12 (rivista chiusa) di Zénta Megazin nasce da un formato standard B1 (70 x 100 cm) senza scarto di materiale, o meglio con lo scarto minimo della ri latura. Prendendoun foglio 70 x 100 cm bisogna dividere il lato corto per 3 e il lato lungo per 8, quindi piegare a sarmonica prima nella direzione del lato corto poi nella direzione del lato lungo. Le ultime tre piegature rimarrano aperte per formare delle pagine di dimensione maggiore. Per fare ciò è stato veramente necessario autoproggettare un nuovo modo di piegare il foglio in modo da ottenere un’unica segnatura ri labile e rilegabile con le minime possibilità. Anche l’imposition del le esecutivo è stato progettato da zero e consegnato direttamente al tipografo per la stampa poichè non era possibile realizzare la rivista con questo metodo utilizzando un software di imposition standard. L’idea di concepire un nuovo formato, di andare in un certo senso a complicarsi la vita nasce dal semplice fatto che una rivista, un libro non è semplicemente un contenitore, ma la sua forma, il suo stile, la rilegatura, il colore, la carta sono contenuto tanto quanto ciò che che c’è al suo interno.

FORBYABOUTSELFPUBLISHENTPEOPLE

maggior parte della gente è appresa studiando interessava l’ormai adolescente, che vedeva in tutto questo il contrappeso a quel ‘vot avnì Bold

24 - 25

perchè seguano le direttive del gusto contemporaneo, ed essendosi gli artisti stessi voluti affrancare dai potenti, preferendo

de nirla espressione di grado inferiore, perchè l’arte è nella concettualizzazione compiuta, prima di tutto, da chi l’arte la fa. Certo, è interessante avere la possibilità di porre

Zènta Megazin nasce per gioco, per passione, per incoscienza. Nasce perché l’autoproduzione per noi è importante, ma cosa signi ca esattamente autoprodursi? Signi ca sentire la necessità di trasmettere qualcosa, di voler comunicare qualcosa.

comprendere i fenomeni artistici. Questo anche perchè lo stesso termine “postmoderno” risulta spesso troppo vago e inef cace, tanto che

Regular

Bold Italic

Stanley Morison 1889 - 1967

artistica, del nostro tempo: GLOBALIZZAZIONE.

Al giorno d’oggi, in piena epoca postmoderna, non è per niente facile, o forse impossibile, tracciare una linea da seguire per

per ogni artista: infatti, se non altro, è senza dubbio la commistione, il pasticcio, il cardine della nostra arte.

Zénta Megazin nasce con l’intento di creare una piattaforma cartecea autoprodotta per parlare, raccogliere e diffondere notizie e progetti relativi al mondo dell’autoproduzione, andando a concentrarsi su un fenomeno che negli anni sta andando sempre più affermandosi come un fenomeno fulcro del settore editoriale e non solo.

“Volevo essere postmoderno, mo a so un po’ confus” di Alex Bertozzi

ormai i critici appioppano un -ismo diverso

Formato

Aa Italic

zero manolo liuzzi . benedetta tappari un serpente che si morde la coda arianna arneodo faster than one irish favério ( ) ken marisi il buco vuoto dello zero che mi fa tanta paura alex bertozzi zero moltiplicato per un milione margherita marzaduri la capacità di non estraniarsi elisa fioravanti i denti di chi ha il pane marika banci tanti giovanni ricchi 1 filippo carroli gli anni che avevo quando sono nato francesco iafigliola insid(i)e francesco fadani il comic sans benedetta pompili la copia che mi arriverà matteo bernabè me beatrice aburaba la tisana allo zen carlo cornacchia renato jessica bugamelli il cazzo che me ne frega francesco carroli dico io o niente luciano albanelli tutto giuseppina cini il punto di inzio juri preti le caramelle rimaste nel sacchetto elira pulaj la voglia che ho quest’anno alberto fraccaroli il mio conto in banca federico zampolini le speranze del genere umano francesca lazzari le volte in cui Cristo ha fatto all’amore francesca ferri la voglia di uno studente di andare a scuola giulia de filippis chi non finisce mai nie mario shimigami la distanza di alessio bernabei capovolta andrea zanni l’assoluto neven mazza il coseno di 90 marco villa l’energia dopo una giornata di lavoro con gli

ZÉNTAMAGAZIN. N°0

posto, perchè senza considerazioni da parte nostra ci sarà un romagnolo-lingua morta e un inglese di base, orribile e inconsistente. La bellezza del dialetto del sè e della lingua dello yes sono bellezze diverse, che si scegliessero la stessa direzione e lo facessero correre via più forte che mai. Questa è la forza che dobbiamo cercare tutti noi lologi dell’arte quando sentiamo che un Mcdonald’s in via Indipendenza non c’entra, o quando invece ci sembra che quello, di fronte alla targa per Anteo Zamboni, sia proprio il suo

Numero 0 è la rivista raccontata tramite se stessa, a chi di gra ca ne sa e a chi di gra ca non ne sa. 0 come l’inizio, forse 0 come la ne, ma in ogni caso 0 come qualcosa:

1234567890

Pesi:

Zénta Megazin

28 - 29

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

schiacciano l’un l’altra nel loro vorticare: «How are you my darling?» «A stèg bè, la mi burdela!»

zero

una rivista auotoprodotta.

cosa stai facendo di bello?

Alfabeto:

È

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

Truvé Uolli che sta zénta la vo andè a chesa.

fast-food is for pussies

Fonts utilizzate: Times

Storia:

spinti dall’idea di spingere idee spinte giù da un burrone

1. Restrizioni politico-

culturali che limitano la libertà di espressione. 2. La volontà di trattare argomenti poco trattati dalla

Mega in senso stretto e in senso lato. Mega come il formato del foglio 70 x 100 da cui nasce la rivista. Mega come megalomani che non siamo altro.

semplice, perchè gli stati più potenti parlano inglese... poi il bambino più tardi, magari vedendo il video della telefonata a Quasimodo per l’assegnazione del Nobel, capirà che una

artefatti fatti da poveri matti fatti per far finta di far quello che non san far e fingere di fare quel che san fare

Sono tutte quelle

pubblicazioni nanziate e dirette dagli stessi autori che non fanno capo ad altri enti

solitamente il verbo al plurale. | Basazénta, gente del popolo, popolani. ( Lat. gens- tis; rad. indoeuropea gen«nascere; generare» )

arcana, in una lingua tagliente, spesso aspra, molto pragmatica: il dialetto. Già bilingue, almeno per quanto riguarda la comprensione delle lingue, il bambino romagnolo nato a

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

Autoproduzioni

Il nome Zénta Megazin nasce dal dialetto romagnolo e da qualche simpatico gioco di parole, per rimanere fedeli alla terra nativa (più o meno), fatta di vino, piadina, simpatia e tradizione.

Zénta, sf Gente. Con «zénta» si usa

Il bambino ipotetico è spesso con la nonna, una vecchia contadina rachitica collo zio morto in Russia e il fratello partigiano, e questa anziana signora gli parla, lei sola custode degli

0X0

32 - 33

faceva la nonna!

04 - 05

FREE POSTER

Buonaa come la

Una tesi che non parla di un opinione ma parla

90 Pti.

stessa, ma una tesi rischiosa, appasionata, sentita.

Medium Italic

L’ Univers, progettato da Adrian Frutiger 1957-1963 per la Parigi typefounders Deberny & Peignot, è da allora diventato il carattere sansserif più utilizzato. Ciò grazie ad alcuni vantaggi che sono importantissimi per stampatori e progettisti. Per prima cosa, la font è disponibile in light, medium, semi-bold e bold, in roman e anche in Italic. Al ne di garantire un buon riproduzione possibile le connessioni tra lo stelo e la ciotola della lettera sono più lievi e le ascendenti e discendenti accorciate.

Pesi:

48,6 Pti.

la gente di cui scriviamo, la gente che contribuisce, self-publishing. Zénta é la gente che ci legge,

Bold

vogliamo essere un po’ più self-con dent e un po’ più

Aa Alfabeto:

Aa Bb Cc Dd Ee Ff Gg Hh Ii Jj Kk Ll Mm Nn Oo Pp Qq Rr Ss Tt Uu Vv Ww Xx Yy Zz 1234567890 Testata Storia:

Fonts utilizzate: Univers

Il Berthold sans serif (o Akzidenz-Grotesk) è stato progettato nel 1898 dal tipografo Hofmann a Berlino. Esso si basa sulle font sans-serif del 19 ° secolo. Una caratteristica del Berthold è lo spessore quasi uguale dei tratti verticali e orizzontali. Il nome “sans-serif” è dovuto all’omissione delle terminazioni le finiture nella parte superiore e inferiore di una lettera. Il Berthold ha attraversato una rinascita dopo la seocnda Guerra Mondiale, prima in Svizzera e poi nel resto d’Europa. A causa della sua forma fresca è stato utilizzato in particolare nella pubblicità industriale.

Alfabeto:

Aa Bb Cc Dd Ee Ff Gg Hh Ii Jj Kk Ll Mm Nn Oo Pp Qq Rr Ss Tt Uu Vv Ww Xx Yy Zz 1234567890

Aa Pesi:

Light

Roman

E sol e suga l’aqua la bagna, Dio i fa e po j accumpagna.

vogliamo provarci per lo meno, vogliamo rischiare,

Inanzitutto non è quella che diede Zidane a Materazzi, ma è quella cosa che bisogna fare quando ti viene in mente di creare un magazine di qualsiasi tipo. La testata di un magazine serve per trasmettere e riassumere nel più breve possibile l’intento, i contenuti e lo stile del magazine. Cosa vogliamo trasmettere noi con la nostra testata? Bella domanda. Sicuramente semplicità, perchè essendo un magazine rivolto appunto alla gente dovrà essere per tutti. Ma Zénta non è solo semplicità, noi vogliamo divertirci e quindi è anche ironia e gioco che si nota nel gioco di caratteri della testata e lungo tutto il magazine.

Fonts utilizzate: Akzidenz-Grotesk

Storia:

Zénta siamo noi. Non la solita tesi ne a se

7,5 Pti.

ci sentiamo capiti. Allora vogliamo farci capire, 0 come le volte che forse 0 come

Che cos’è una testata?

___ /000

Zénta Megazin N.0

for, by, about self-publishent people Rivista indipendente auotoprodotta Italia, Gennaio 2017 Stampato presso Tipografia Carta Bianca Faenza , Rilegatura Singer Piatta Hand-Made n. copie 0

Oblique

Bold Oblique

Bold

Lorenzo Feliciani Nicolò Oriani Nicolò Oriani Lorenzo Feliciani

I livello ISIA Faenza Cinzia Calzolari

Josef Hoffmann 1879 - 1956

Akzidenz-Grotesk BQ Universe LT Std Times

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

14 - 15

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

26 - 27

ZÉNTAMEGAZIN. N°0

Imposition

151

Formato


Griglia

Griglia 6 x 3 (Intercolonna 3 mm, Interiga 3,2 mm) Interlinea 9 pti Margine Superiore 7,1 mm Margine Inferiore 12,6 mm Margine Esterno 9,6 mm Margine Interno 20 mm Margine Rilegatura 10 mm Area testo 90 x 203 mm

152

Il Progetto: ZĂŠnta Megazin


Caratteri

Akzidenz Grotesk BQ: Titoli, Tipografia Libera

Aa Bb Cc Dd Ee Ff Gg Hh Ii Jj Kk Ll Mm Nn Oo Pp Qq Rr Ss Tt Uu Vv Ww Xx Yy Zz 1234567890

Univers LT Std: Testi, Sottotitoli

Aa Bb Cc Dd Ee Ff Gg Hh Ii Jj Kk Ll Mm Nn Oo Pp Qq Rr Ss Tt Uu Vv Ww Xx Yy Zz 1234567890

Times: Numeri Pagina, Note, Citazioni

Aa Bb Cc Dd Ee Ff Gg Hh Ii Jj Kk Ll Mm Nn Oo Pp Qq Rr Ss Tt Uu Vv Ww Xx Yy Zz 1234567890

153

Aa Aa Aa Caratteri


Numero 0

154

Il Progetto: ZĂŠnta Megazin


155

Numero 0


156

Il Progetto: ZĂŠnta Megazin


157

Numero 0


158

Il Progetto: ZĂŠnta Megazin


159

Numero 0




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.