SOMMARIO Quotidiano di Bari, mercoledì 14 novembre 2007 - pagina 9
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Quotidiano di Bari, mercoledì 16 gennaio 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 23 gennaio 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 30 gennaio 2008 - pagina 6
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Quotidiano di Bari, mercoledì 12 febbraio 2008 - pagina 6
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Quotidiano di Bari, mercoledì 20 febbraio 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 27 febbraio 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 5 dicembre 2007 - pagina 9
Quotidiano di Bari, mercoledì 9 gennaio 2008 - pagina 6
Quotidiano di Bari, mercoledì 6 febbraio 2008 - pagina 7
Quotidiano di Bari, mercoledì 5 marzo 2008 - pagina 7
Quotidiano di Bari, mercoledì 12 marzo 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 19 marzo 2008 - pagina 5
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Quotidiano di Bari, mercoledì 26 marzo 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 2 aprile 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 9 aprile 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 16 aprile 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 23 aprile 2008 - pagina 4
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Quotidiano di Bari, mercoledì 30 aprile 2008 - pagina 7
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Quotidiano di Bari, mercoledì 7 maggio 2008 - pagina 7
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Curriculum
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Quotidiano di Bari, mercoledì 14 novembre 2007 - pagina 9
PERCHÉ C’È BISOGNO DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA Si sente parlare tanto di pianificazione strategica, ma cosa è esattamente? E perché un’amministrazione e una comunità dovrebbero essere interessate ad avviare questo percorso complesso? Oggi si parla tanto di pianificazione strategica senza comprendere bene in cosa consiste. A me piace spiegarla con l’immagine di una comunità che intraprende un percorso per trasformare la propria città e il proprio territorio nei migliori in cui vivere. Detto in maniera più semplice, la pianificazione strategica è lo strumento che consente a una comunità di effettuare un percorso verso il “bene comune”, fornendone gli strumenti e le condizioni. Questo vuol dire che una pianificazione è strategica se consente uno sviluppo sostenibile. E per spiegare questo, prendo a riferimento quanto dichiarato dalla Commissione Bruntland: “Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle prossime generazioni di soddisfare i propri bisogni”. A spingere un’amministrazione verso la pianificazione strategica è solitamente la consapevolezza che il presente deve essere modificato per avere un futuro migliore. Questo non vuol dire che le comunità che intraprendono il percorso di cambiamento e pianificazione debbano essere solo quelle in cui sono evidenti disagi o grosse problematiche ambientali e socio-economiche, ma possono essere anche quelle che vogliono semplicemente attivarsi per consentire, a se stessi e ai loro figli e nipoti, un futuro migliore. Certo in molti paesi, tra cui quelli scandinavi che hanno avviato processi di pianificazione strategica già negli anni Ottanta, l’esigenza è stata sentita a seguito di una situazione di crisi legata a pressioni economiche, ambientali o sociali: disoccupazione e perdite di competitività, disagio giovanile o di altre categorie della popolazione, mancanza di opportunità occupazionali, economiche e di crescita per il futuro, crisi ambientali da inquinamento, congestione o carenza di risorse naturali quali l’acqua, terreno fertile e fonti di energia. La cosa imprescindibile, senza la quale non è possibile parlare o avviare una pianificazione strategica, è che sia presente e visibile una comunità. Se pensiamo a quanto accade in un condominio, in un rione, in un quartiere e via dicendo, ci possiamo facilmente rendere conto che non sempre siamo di fronte a una evidente coesione sociale. Quindi, una comunità, che condivide principi e valori universali, è il primo requisito. Se si ottiene questo risultato è possibile co-creare una visione per il futuro, che fondata su principi e valori (come quelli contenuti nella Carta della Terra, nella Dottrina sociale della Chiesa, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) ispiri e tenga alta la tensione nel lungo cammino verso un futuro migliore e sostenibile. É chiaro che solo un’amministrazione capace di attivare una grande partecipazione (molti attori e a qualsiasi livello) sarà in grado di comprendere le esigenze della 5
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comunità e di aiutarla a elaborare la migliore visione per il futuro. Se ben coinvolti, infatti, gli attori del territorio possono mettere a disposizione la loro creatività per diventare intelligenza collettiva capace di realizzare soluzioni mai immaginate prima per migliorare il presente e il futuro. Ai tecnici della pianificazione strategica, aiutati da leader di progetto (in possesso delle migliori competenze specialistiche), è affidato il grave, ma stimolante, compito di trasformare da subito le idee “visionarie” in risultati concreti e visibili. In questo modo la pianificazione strategica non resterà solo un concetto astratto e si trasformerà in un insieme di stimoli che rafforzeranno il desiderio di innovare, cambiare stili di vita e camminare sicuri verso la visione. É difficile? Forse sì, ma è meglio dire la verità che non prendersi in giro come hanno fatto in molti che hanno dichiarato di aver eseguito un piano strategico ma di fatto hanno pianificato il raggiungimento di un obiettivo, se pure difficile, come può essere quello di una Olimpiade, una Esposizione universale, un Campionato del mondo o una mostra internazionale. Tutte le volte che si è intrapresa e si è conclusa una pianificazione strategica di questo tipo (cioè stimolata da un evento) la realtà ci ha ricordato un vecchio detto popolare: “passato il santo, finita la festa”. Per dirla in modo più sofisticato possiamo riferirci ad autorevoli ricerche, ad esempio dell’Università di Harvard che ha evidenziato come i piani strategici in organizzazioni complesse non funzionano fino al 90% dei casi, proprio perché mancano di una visione di insieme e di un metodo che consenta di agire efficacemente con un approccio sistemico. Non ci sono, però, solo esperienze terminate precocemente. Nel mondo esistono tante comunità che da anni ci danno lezioni di vero benessere e di come lo si consegue anche senza la pianificazione strategica.
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L’APPROCCIO SISTEMICO PER UN FUTURO SOSTENIBILE In che modo una amministrazione impegnata nella pianificazione strategica verso la sostenibilità può affrontare le difficili e complesse problematiche alle quali andrà incontro? Certamente non con i soliti metodi (tradizionali approcci di “forecasting” e “problem solving”), ma attraverso l’approccio sistemico; la modalità realmente efficace per governare un sistema complesso quali sono le città e i territori. In un sistema complesso un approccio di pianificazione di tipo solo previsionale (forecasting) va spesso incontro a due tipi di limitazioni: quando si progetta un futuro si tende a immaginarlo simile al passato ma senza i problemi del presente; si resta vincolati a paradigmi dominanti od obsoleti, motivo per cui viene notevolmente limitato il potenziale creativo nello sviluppare soluzioni. L’approccio sistemico, invece, offre la possibilità di guardare le situazioni dall’alto, e con occhi nuovi, per cercare di dominarne efficacemente la complessità. Consente di osservare non i singoli elementi ma l’insieme delle parti, intese come un tutto unico, concentrandosi sulle relazioni tra gli elementi piuttosto che sui singoli elementi presi separatamente. Come affermato nel 1994 dalla ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) lo sviluppo sostenibile “fornisce elementi ecologici, sociali e opportunità economiche a tutti gli abitanti di una comunità, senza creare una minaccia alla vitalità del sistema naturale, urbano e sociale che da queste opportunità dipendono”. Le dimensioni sociali, economiche e ambientali in una comunità sono strettamente correlate, quindi ogni intervento di programmazione deve tenere conto delle reciproche interrelazioni. Utilizzare l’approccio tradizionale non è sufficiente, ed assolutamente sconsigliato, in quanto esso porta ad affrontare un problema complesso da una sola angolazione. Questo modo di fare - tipico di amministratori di città, ma anche di “illuminati politici” nazionali, alla caccia di consenso a breve - genera subito un miglioramento locale ma sposta il problema nel tempo e da qualche altra parte del sistema (spazio), lasciandolo in eredità ai futuri amministratori in una forma ancora più complessa. La società presente sta avanzando in un imbuto le cui pareti sono costituite da: risorse naturali (acqua per usi umani, terra fertile, aria pulita, clima stabile, stock di pesce nei mari, materie prime, ecc.) e sociali (coesione, fiducia, robustezza del tessuto sociale) sistematicamente decrescenti, e da popolazione e domanda di risorse sistematicamente crescenti. Con il passare del tempo l’imbuto si va sempre più stringendo e il margine di manovra si riduce. É perciò indispensabile conoscere subito: il proprio posizionamento rispetto al sistematico declino delle risorse naturali del Sistema Terra, gli impatti a livello locale, le risorse scarse da cui si dipende. Generando consapevolezza sullo stato presente si prenderà coscienza delle vere priorità di azione e si potranno programmare azioni efficaci ed efficienti, con un orizzonte sia di lungo che di breve periodo. Se la pianificazione strategica deve infatti impostare un cambiamento che garantirà alle generazioni future il soddisfacimento dei 8
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loro bisogni, essa deve anche fare in modo che nel breve termine la comunità percorra strade economicamente competitive e vantaggiose. Per realizzare questo percorso complesso non si può prescindere dall’utilizzo dell’approccio sistemico. Come dice Peter M. Senge in “La quinta disciplina” (Sperling & Kupfer, 1992): “L'arte del pensiero sistemico consiste nel vedere le strutture sottostanti che provocano il cambiamento”. L’approccio sistemico consente (con l’applicazione di metodologie quali la “dinamica dei sistemi” e tecnologie quali i “micromondi”) di simulare i problemi reali, valutando l’impatto delle diverse decisioni possibili ed evidenziando quegli effetti che nell’esperienza reale sfuggono perché distanti, nel tempo e nello spazio. Esso permette inoltre di fare esperimenti, verificando la validità di diverse strategie; di imparare a comprendere meglio le variabili in gioco e a prendere decisioni efficaci. L’approccio sistemico, quindi, stravolge quel modo tradizionale meccanicistico e lineare di affrontare le problematiche fortemente radicato nella nostra società. Insomma, se si vuole condurre una comunità verso mete di vero benessere dovremo prima di tutto farla salire su di una montagna molto alta e farle guardare il sistema di cui sono parte. Resta evidente che per gli amministratori va riservato almeno l’elicottero. Perché, più si è lontani dal Potere e meglio si vede come amministrare e guidare una comunità. Gli interessi particolari svaniscono, non si vedono più, e si vede solo il Bene Comune.
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COMUNITÀ CREATIVE, CAPACI DI FUTURO Quale contributo possono dare i talenti creativi alle amministrazioni impegnate nella pianificazione strategica? Il significato che attribuiamo oggi alla parola “creativo” risponde alla mansione: colui che lavora in un’agenzia di comunicazione e si occupa della realizzazione di messaggi o immagini per campagne pubblicitarie, o chi costruisce le pagine web di moderni e attraenti siti Internet. Per capire chi sono davvero i creativi, bisogna però comprendere il significato del termine creatività. A me piace fare riferimento alla semplice e precisa definizione fornita dal matematico Henri Poincaré: "Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili". Le categorie di nuovo e utile radicano l'attività creativa nella storia e nella società. Il nuovo è relativo al periodo storico in cui viene concepito; l'utile è connesso con la comprensione e il riconoscimento sociale. Esse inoltre illustrano adeguatamente l'essenza dell'atto creativo: un superamento delle regole esistenti (il nuovo) che istituisca una ulteriore regola condivisa (l’utile). Ciascuno di noi, che sia un pensionato, uno studente, un cuoco, un impiegato, una casalinga o un professore, può essere un creativo. Purché sia una persona capace di creare e realizzare cose nuove e utili, cioè capace di risolvere in modo nuovo (diverso da ieri, innovativo, mai fatto prima) i problemi di sempre, oppure capace di fare cose utili (nuove o vecchie non importa) in modo nuovo. Ci sono alcune categorie di persone, in particolare quelle che svolgono ruoli di governo (tra cui anche gli imprenditori), che hanno l’obbligo di essere molto creative. E laddove non lo fossero hanno il dovere di circondarsi di collaboratori creativi. Molto spesso, purtroppo, questo non accade e restiamo allibiti di fronte ad “autorità” o “uomini di governo” che si circondano di “sciocchi”, convinti che in questo modo non perderanno mai il dominio e saranno l’unica stella a cui fare riferimento. Tale cattivo comportamento non educa la comunità a essere creativa. Sono molti gli esempi in Italia di città “morte” prive di desiderio di futuro e di vita. Ma chi le ha ridotte così? La politica del consenso a breve termine e amministratori poco interessati al futuro della loro città, che facendosi sfuggire, o offuscando, talenti la rendono debole e incapace di cambiamento. Disporre di una comunità creativa, invece, è l’obiettivo che si pone colui che decide di affrontare il governo della città mediante il difficile cammino della pianificazione strategica. Le società avanzate si basano sulla economia dell’informazione o della conoscenza, nelle quali è la creatività (capacità produttiva della ragione e della fantasia) a generare il vantaggio competitivo. Perché le città siano creative, è necessario popolarle di persone di qualità: molti talenti e molta creatività, diventano maestri di uno sviluppo sostenibile. 11
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Una comunità creativa consuma e genera cultura, ma quante scelte si compiono in questa direzione? Gli stadi di calcio, gli ipermercati e le nuove cattedrali del consumismo non producono cultura, al contrario sono luoghi che favoriscono uno stile di vita opposto alla sostenibilità. Nella programmazione che guarda allo sviluppo sostenibile si deve puntare a costruire e gestire luoghi che consentano di generare cultura e accrescere il capitale umano creativo. Nell’ambito delle attività legate alla pianificazione strategica, i creativi, che costituiscono il Centro di competenza o l’Ufficio di piano strategico, sono figure molto importanti, in quanto sono leader, cioè lievito e fermento, del cambiamento. Lasciati soli, però, non possono nulla. Uno dei primi passi, quindi, che un’amministrazione deve compiere per affrontare con efficacia ed efficienza la pianificazione strategica è quello di aumentare il capitale umano creativo, facendo scelte concrete che consentano di: non perdere quello esistente; risvegliare quello assopito; utilizzare i pensionati; far tornare i talenti fuggiti; attrarre nuovi creativi da qualsiasi città del mondo. É poi importante avviare un processo di apprendimento per dare supporto alla nascita e sviluppo di una leadership distribuita nella comunità e consentire a tutti di ‘allenarsi’ continuamente, di applicare nuovi concetti e strumenti, di riprovare con nuove azioni. La pianificazione deve potersi evolvere continuamente, arricchita da nuovi elementi che man mano emergono con l’esperienza e con l’esercizio della intelligenza collettiva, la quale abbisogna di ambienti creativi. Senza coesione sociale non nascono ambienti creativi, e senza ambienti creativi non aumenta la coesione sociale. E perché? Perché negli ambienti creativi si rafforza l’abitudine al lavoro collegiale; le relazioni sistematiche fanno crescere il senso di appartenenza al territorio e ne potenziano l’identità. Più alto è il senso di appartenenza, maggiore è la consapevolezza della visione condivisa e del futuro desiderabile, e in questa prospettiva si riducono sempre più i conflitti che nascono dall’egoismo socio-spaziale dei portatori di interessi.
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UN NAVIGATORE IN AIUTO DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA Gli enti locali impegnati nella pianificazione strategica verso la sostenibilità hanno bisogno di strumenti guida o manuali di supporto per poter gestire il composito processo che viene attivato dalla pianificazione. Uno di questi strumenti, voluto fortemente dall’Anci, è il Modello “pronto” Di.Mo.Stra., che si propone come un metamodello, cioè un modello totalmente e autonomamente personalizzabile dalla comunità che lo vuole utilizzare. Il modello Di.Mo.Stra. si identifica con una “Immagine Metafora” e la sua caratteristica fondamentale è l’approccio BackCasting. Le altre caratteristiche sono l’approccio sistemico (già trattato precedentemente), la leadership distribuita, il principio di sussidiarietà e una visione (successo) definita da principi. Soffermandoci sull’approccio BackCasting, si deve innanzi tutto spiegare il significato della parola, composta da Back, che vuol dire “a ritroso” e To Cast, “proiettare”. Da qui BackCasting: l’azione di proiettare a ritroso. Cioè: si immagina o si progetta un futuro in cui si sia già raggiunto il successo e da questa posizione si ipotizzano le azioni che hanno condotto dalla realtà presente al futuro desiderato. Partendo da una chiara e condivisa idea o definizione di cosa si voglia creare, ci si sgancia dalle limitazioni e dagli errori strutturali che hanno condotto alla situazione presente. Un approccio che “parte dalla fine” o di BackCasting aiuta ad indirizzare le scelte verso il raggiungimento della situazione desiderata. Il BackCasting consente di liberare le risorse e la creatività necessarie per risolvere i problemi alla radice, senza rimanere invischiati nella ripetizione degli schemi e dei paradigmi che hanno condotto alla situazione problematica dalla quale si vuole uscire. Innata in ciascuno di noi, c’è la capacità di pensare e agire strategicamente: quando dobbiamo fare un lungo viaggio, definiamo la nostra destinazione e tutti i passi che ci porteranno a raggiungerla. Quando non conosciamo la strada, guardiamo una carta geografica o usiamo un navigatore satellitare. In ogni caso, si parte “dalla fine”, accertandosi che qualsiasi decisione prendiamo durante il viaggio ci consenta di procedere verso la meta. In situazioni complesse - o rese tali dall’aumentare del numero e della diversità degli attori coinvolti - la capacità ad agire strategicamente tende a diminuire o a perdersi completamente, per cui diventa utile disporre di strumenti o sistemi di navigazione adeguati. Di.Mo.Stra. funziona come un Navigatore Satellitare: opera partendo dalla fine. Prima ci chiede la destinazione e poi, riconosciuta la nostra posizione di partenza, analizza la mappa del territorio, traccia il percorso e dà le indicazioni che consentono di raggiungere la meta, dopo che noi abbiamo impostato le modalità (per es. breve, veloce, autostrada, ecc). 14
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La Metafora di Di.Mo.Stra. rappresenta il sistema complesso attivato dalla pianificazione strategica. Rispetto al presente, oggi, il piano strategico è un percorso da intraprendere su di una lunga strada. A illuminare il percorso c’è il sole, cioè la visione condivisa di quello che la comunità vuole creare. Le nuvole rappresentano le modalità e gli strumenti di coinvolgimento della collettività, da cui scaturisce la partecipazione attiva (la pioggia). L’aria e il vento simboleggiano le reti di relazioni tra istituzioni a livello locale, nazionale e internazionale, che permettono ai Comuni di realizzare una pianificazione di ampio respiro e di condividere esperienze e schemi con altre comunità. Il piano integrato è rappresentato da un albero fortemente radicato al terreno, simbolo di valori e principi universali che ispirano la visione. Il tronco dell’albero rappresenta gli obiettivi prioritari unificanti, che si snodano in singole aree di intervento (i rami) e si concretizzano nelle azioni (le foglie). Detto questo è bene ricordare che: se qualcuno scrive una visione senza averla creata insieme ai cittadini (soprattutto quelli non rappresentati da associazioni) sta prendendo in giro se stesso e la comunità, e se qualcuno ci chiede di partecipare alla creazione di una visione, e noi non lo facciamo, stiamo negando benessere e futuro alle generazioni che verranno. 16
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SENZA SUSSIDIARIETÀ LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA È INEFFICACE Quanto è importante in un percorso di pianificazione strategica l’esercizio del principio di sussidiarietà? La pianificazione strategica è sempre caratterizzata da un’elevata complessità sociale e necessita di un approccio partecipativo per dare spazio a un numero notevole di attori, fortemente diversificati tra loro. L’efficacia di questo modello di governance ha come fattori di successo, la diffusione di competenze a tutti i livelli, una leadership distribuita e la ripartizione di responsabilità. Collaborare alla pianificazione strategica, con un agire autonomo, imprenditoriale e auto-organizzato ma nel rispetto di riferimenti comuni (valori, principi, una visione e macro obiettivi condivisi), è ciò che dà maggiore soddisfazione a chi vi partecipa e aumenta il desiderio di colmare, quanto prima, la distanza dall’oggi al futuro immaginato (visione). La sussidiarietà - complementare al principio di solidarietà - consiste, quindi, nel rispetto delle sfere di iniziativa individuale. “In base al principio di sussidiarietà, le strutture sociali devono essere organizzate in modo che i singoli e le comunità locali abbiano lo spazio (risorse, aiuti, ecc.) necessario per svilupparsi in modo autonomo, responsabile e sempre orientato al bene comune. Il principio di sussidiarietà è un principio di buon governo perché l’uomo si impegna di più per ciò che sente più vicino. Chi governa non deve sostituirsi alle persone e alle comunità e quindi non deve distruggere gli spazi di libertà e creatività, ma deve contribuire a: promuovere la responsabilità e l’iniziativa personale; valorizzare, sia nelle imprese sia nei gruppi sia nella società, le capacità, le idee, le iniziative, la creatività sociale; sostenere un rinnovamento della cultura sociale, per ottenere il bene comune attraverso il bene di ogni persona.” (tratto da EmilianoLorusso-Marchillo-De Padova “Per una città governabile”, Progedit 2006). É facile capire come sia importante applicare tale principio nella pianificazione strategica e ancora molto di più se trattasi di una pianificazione di area vasta, ove esiste il grave rischio che il principio di sussidiarietà scompaia del tutto. All’interno del modello Di.Mo.Stra. il principio di sussisidiarietà viene visualizzato negli elementi della Metafora nuvole e pioggia. Le nuvole rappresentano: i criteri, i livelli, le modalità e gli strumenti del coinvolgimento e della partecipazione; gli indicatori con i quali misurare il coinvolgimento, la quantità (numero di persone e tempo dedicato al successo del progetto) e qualità della partecipazione. Quando le nuvole sono ‘cariche’, si trasformano in pioggia. Le nuvole sono un derivato dell’energia che arriva dal sole, e quindi dalla visione della quale la partecipazione si alimenta. Allo stesso tempo, la partecipazione contribuisce a definire una visione sempre più forte, condivisa e motivante. Le nuvole sono la ‘fabbrica’ dove la pioggia ha origine, e questa è l’elemento che alimenta terreno e albero (cioè il piano strategico e le sue azioni) connettendo tutti gli elementi di un sistema vivo che abbraccia: la partecipazione 17
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della collettività; la responsabilità e la leadership distribuita; l’(auto)organizzazione dell’azione; la diversità; l’interdipendenza; le relazione tra le persone. Il tutto nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà. Semplici, ma efficaci strumenti per praticare il principio di sussidiarietà all’interno della pianificazione strategica, sono i gruppi apripista e i gruppi di volontariato. I primi sono costituiti da cittadini e da persone che rappresentano organizzazioni (sociali, imprenditoriali, pubbliche, ecc.). Trattasi di gruppi interdisciplinari, impegnati a promuovere la cultura della sostenibilità anche e soprattutto attraverso progetti concreti a forte impatto socio-economico. I gruppi di volontariato rappresentano “il diritto e la responsabilità di tutti a investire volontariamente il proprio tempo, il proprio talento e le proprie energie nella soluzione di problemi pressanti, umani, sociali, economici, ambientali e nella costruzione di comunità sane”. Questo è quanto ha dichiarato la International Association for Volunteer Effort (IAVE) nel 2001 che specifica: “Il volontariato è un elemento fondamentale della società civile. Realizza le più nobili aspirazioni del genere umano: il perseguimento della pace, della libertà, delle opportunità, della sicurezza e della giustizia per tutti. […] Il volontariato – attraverso l’azione individuale o attraverso l’azione di gruppo – è un mezzo con cui: i valori umani di comunità, assistenza e servizio si possono mantenere e rinforzare; gli individui possono esercitare i loro diritti e le loro responsabilità come membri di comunità, mentre imparano e crescono nell’arco della loro vita, realizzando appieno il proprio potenziale umano; si possono effettuare delle connessioni tra le differenze che ci dividono, in modo da poter vivere insieme in comunità sane e sostenibili, lavorare insieme per fornire soluzioni innovative ai nostri problemi comuni e creare i nostri destini collettivi.”
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SOLIDARIETÀ, FONDAMENTO DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA Come può una comunità comprendere quali siano i valori e i principi fondamentali sulla base dei quali costruire la visione e gli obiettivi di sostenibilità della pianificazione strategica? Innanzi tutto, abbiamo bisogno di ricordare che un piano strategico è il lungo percorso che una comunità intraprende per rendere la propria città la migliore in cui vivere. Il che vuol dire che una pianificazione strategica efficace ed efficiente non deve limitarsi alla progettazione e costruzione di nuovi palazzi, strade, quartieri, stazioni, aeroporti, ecc., cioè alla riqualificazione urbanistica della città, ma deve incidere fortemente su tutte le strutture che permettono alla società di istituire un sistema sociale, culturale ed economico capace di garantire il bene comune e un futuro migliore per tutti. Ma qual è il futuro migliore? Una società in cui aumenta la ricchezza? Una società in cui si è importanti per quanto si è ricchi di danaro? Sicuramente no, in quanto, di contro, aumenta il divario sociale e si creano ulteriori fasce di emarginati e povertà. Può, invece, essere una città migliore, quella in cui i bisogni fondamentali dei suoi abitanti (sussistenza, riposo, comprensione, identità, partecipazione, affetto, creazione, libertà, protezione) possono essere soddisfatti senza alcun ostacolo? Oppure una città nella quale tutti sono impegnati a non produrre rifiuti? Quella in cui imprese, istituzioni e cittadini si concentrano nella costante riduzione di concentrazioni di composti che si estraggono dal sottosuolo (combustibili fossili, metalli pesanti come mercurio o piombo, materiali radioattivi, amianto)? Migliore può essere una città dove ci si impegna alla quotidiana riduzione di sostanze quali CO2, pesticidi, diserbanti, composti volatili e altri che la natura non è in grado di riassorbire? E, per finire, può essere una città migliore, quella in cui si affermano la necessità e il dovere di mettere fine al sistematico degrado fisico della natura per creare condizioni grazie alle quali a nessuno vengano negati i bisogni fondamentali? É la comunità che deve interrogarsi su cosa sia una città migliore ed è compito di coloro che appartengono alla Cabina di Regia, o all’Ufficio di Piano, o al Centro di Competenza di un Piano Strategico, fare in modo che si individuino valori e principi condivisi sui quali fondare un visione di futuro. Da dove iniziare? dalle cose che esistono e che forse non si conoscono come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la Dottrina Sociale della Chiesa, la Carta della Terra, la Carta dei diritti della famiglia. Oltre a questi irrinunciabili riferimenti, la comunità può essere chiamata a condividere altri principi e valori propri sui quali basare la pianificazione; e si tratterà di scoprire quelli specifici, caratteristici, naturali e fondanti della stessa comunità. Dopo averli raccolti, il modo più semplice per passare a una solida condivisione è quello di raccogliere risposte alle seguenti domande: 20
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1) Se dovessi fondare una nuova città, un nuovo comune, lo costruiresti fondato su questo “…..” principio/valore, ovunque fosse collocata la tua comunità? 2) Vorresti che questo “…..” principio/valore persistesse per altri 100 anni, qualsiasi siano i cambiamenti nel mondo esterno? 3) Vorresti che la tua comunità mantenesse questo “…..” principio/valore, anche se a un certo momento diventasse uno svantaggio, o se l’ambiente esterno penalizzasse la comunità perché rimane fedele al suo principio/valore? 4) Credi che chi viola questo “…..” principio/valore, e lo ignora regolarmente, dovrebbe stare fuori dalla comunità? 5) Tu continueresti ad essere fedele a questo “…..” principio/valore anche se dovessi non essere compreso per rimanergli fedele? 6) Cambieresti il tuo stile di vita piuttosto di abbandonare questo “…..” principio/valore? 7) Se dovessi non avere più bisogno di lavorare da domani, continueresti a rimanere fedele a questo “…..” principio/valore? Il principio di solidarietà non può essere assente. E questo banalmente perché “introdurre la solidarietà tra i valori irrinunciabili nasce dalla consapevolezza che si è debitori verso la società in cui si vive. Si è debitori di quelle condizioni che ci consentono di vivere bene e di tutto quel patrimonio che è costituito dalla cultura, dalla conoscenza scientifica e tecnologica, dai beni materiali e immateriali; in poche parole da tutto quel patrimonio che l’umanità ha prodotto” (tratto da Lorusso-De Padova DePILiamoci–Liberarsi del Pil superfluo e vivere felici, Editori Riuniti 2007). Chi pianifica il futuro con atteggiamento egoistico non considera il fatto che tale debito va estinto con il nostro agire sociale, e quindi non può esimersi dal coinvolgere prioritariamente le diverse organizzazioni - che promuovono forme di servizio e di attenzione a quanti sono nel dubbio, nella povertà, nella solitudine o nell’abbandono – per ricevere i necessari contributi alla pianificazione strategica.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 9 gennaio 2008 - pagina 6
LA CONSAPEVOLEZZA DEL PRESENTE GUIDA LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA Un’amministrazione che decide di intraprendere un percorso di pianificazione strategica si assume la responsabilità di guidare un complesso processo di cambiamento della situazione presente. Deve perciò essere in grado di analizzare e comprendere perfettamente il “dove siamo” e il “dove vogliamo andare”, così da mettere in pratica azioni veramente utili al cambiamento. Ma come può fare tutto questo senza la paura di sbagliare? La prima cosa da fare, e non è poco, è costruire una Comunità che, condividendo principi e valori (si veda il Quotidiano di Bari del 19 dicembre scorso), definisca obiettivi prioritari e unificanti. La seconda consiste nel valutare gli ambiti di intervento avendo a riferimento analisi strutturate con dati quantitativi e qualitativi. In tutto questo è ovvio che la materia prima risulta essere ancora una volta la “partecipazione attiva”, perché ciascun gruppo di attori legge e interpreta la realtà presente in funzione di propri ‘filtri percettivi’; conoscere le diverse posizioni della comunità su fatti chiave da gestire con il Piano strategico significa per un’amministrazione sapere esattamente qual è il punto di partenza. Condividere un punto di partenza è un buon inizio per costruire una Comunità. La condizione di partenza si rappresenta mediante la elencazione dei punti di forza e punti di debolezza. I primi sono le pratiche armoniche con i principi e i valori fondanti della comunità, capaci di avere impatti positivi e rigenerativi dell’ambiente e della società; i secondi sono le pratiche disarmoniche o disallineate con i principi e i valori fondanti, che risultano essere distruttive per l’ambiente, la fiducia e la coesione sociale. Certamente il più efficace punto di partenza per una pianificazione strategica verso la sostenibilità è avere piena consapevolezza che il Mondo e la Società vivono una situazione di profondo squilibrio. I dati sui consumi ci dicono che una parte minoritaria della popolazione della Terra usa la maggioranza delle risorse disponibili e conduce uno stile di vita che, se adottato da tutti, si stima potrebbe essere sostenuto solo avendo a disposizione quattro pianeti. Collettivamente ogni anno usiamo circa il 30% in più di quanto il Pianeta può produrre. La crescita sistematica delle iniquità sociali e la pesantezza degli impatti dell’attività umana sulla biosfera sollevano domande profonde sulla sostenibilità, ovvero sulla possibilità di continuare nel tempo con i nostri attuali stili di vita. Approcci organizzativi e modelli di produzione/consumo ormai obsoleti vanno quindi messi in discussione e ripensati. Dobbiamo rapidamente progettare e creare città e comunità a “zero emissioni” ed è necessaria, in tal senso, una azione incisiva, gestita autonomamente dai territori e dai Comuni. Per generare consapevolezza sullo stato presente e prendere coscienza delle vere priorità è necessario quindi procedere con un’analisi di sostenibilità rispetto alle 23
Quotidiano di Bari, mercoledì 9 gennaio 2008 - pagina 6
Condizioni di Sistema (verificare come e quanto la città vive nel rispetto dei suddetti principi), oltre che realizzare una elencazione delle minacce e delle opportunità derivanti dal non rispetto. Ma altrettanto importante è analizzare la situazione presente facendo un esame di quanto si rispettano, ad esempio, i principi della Dottrina Sociale della Chiesa, della Carta della Terra, della Carta dei diritti della famiglia, ecc. Esempi di domande aperte che possono aiutare la comunità a fare una riflessione sella realtà presente sono: -
In quale misura pensi che i cambiamenti climatici generati dalle attività umane avranno un impatto sulla tua città?
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Quali sono le sfide più grandi che il tuo comune dovrà affrontare nei prossimi 5 anni? E nei prossimi 25 anni?
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In quale misura pensi che le questioni legate al costo ed alla disponibilità di energia avranno un impatto sul tuo comune?
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In quale misura pensi che i problemi legati alla disponibilità e alla qualità dell’acqua avranno un impatto sulla tua vita?
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Pensi che la qualità della vita tra 10 anni sarà migliore o peggiore di oggi?
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Pensi che i tuoi figli – o le prossime generazioni – vivranno meglio o peggio di come hai vissuto tu? Pensi che avranno migliori o peggiori possibilità di condurre una vita soddisfacente?
Un’indagine più diretta (risposte chiuse) da utilizzare come “auto-diagnosi” potrebbe essere la seguente: Pensi che i temi/problemi di seguito elencati nei prossimi anni andranno incontro ad un sistematico miglioramento o peggioramento? 1) Inquinamento della terra, dell’acqua e dell’aria; 2) Costo della vita; 3) Problemi e costi legati alla gestione di rifiuti; 4) Esborsi per tasse; 5) Costo di mutui e di assicurazioni; 6) Importo delle sanzioni; 7) Perdite di immagine e reputazione; 8) Allontanamento di risorse umane pregiate; 9) Costi di gestione dei servizi pubblici e dell’energia; 10) Aggiornamenti e rifacimenti per rimediare ad investimenti che ‘non hanno futuro’; 11) Resistenze dalle forze sociali; 12) Consenso politico; 13) Difficoltà ad attrarre talenti e ad utilizzare quelli nascosti nella città; 14) Competitività del sistema economico; 15) Attrattività turistica; 16) Accessibilità degli affitti; 17) Aree naturali; 18) Salute delle persone; 19) Coesione e fiducia del tessuto sociale; 20) Storia e cultura; 21) Ricreazione e divertimento; 22) Opportunità di apprendimento; 23) Trasporti e logistica; 24) Mobilità individuale e collettiva; 25) Ambiente costruito; 26) Finanza ed economia; 27) Collaborazioni con altre organizzazioni; 28) Rapporto col mare e/o con la montagna; 29) Rapporto tra ambienti urbani e rurali; 30) Qualità della vita urbana, 31) della vita rurale, 32) di quella nelle periferie; 33) Disoccupazione; 34) Qualità della attività lavorativa; 35) Precariato; 36) Integrazione e problemi con comunità straniere; 37) Coesione delle famiglie; 38) Solidarietà tra le persone; 39) Diffusione delle ONLUS-Terzo settore-nonprofit. 25
Quotidiano di Bari, mercoledì 16 gennaio 2008 - pagina 7
LA PARTECIPAZIONE ATTIVA AIUTA A DEFINIRE LA VISIONE DI SUCCESSO PER IL PIANO STRATEGICO Spesso quando si parla di pianificazione strategica vengono in mente progetti validi solo sulla carta, che hanno avuto un impatto limitato o nullo sulla realtà. Questo accade quando nella loro elaborazione sono mancati una visione di insieme e un metodo che consenta di agire efficacemente con un approccio sistemico (si veda il Quotidiano di Bari del 21 novembre scorso). I processi di pianificazione più efficaci sono, infatti, quelli che riescono a coniugare una visione di lungo termine con un’ampia partecipazione della popolazione. Ma come si può elaborare una visione davvero condivisa, che come un Sole possa illuminare il quadro sistemico nel quale un’amministrazione è chiamata ad agire? La visione è l’immagine, il più possibile nitida, della casa in cui la comunità vuole vivere. É un visone che ispira fiducia, ambiziosa ma raggiungibile, che si deve far desiderare ardentemente. La luce di un sole di mezzogiorno la deve tenere costantemente illuminata e se viene qualche giorno in cui il sole è coperto, l’amministrazione comunale deve fare tutti gli sforzi per non farla scomparire dagli occhi dei cittadini. Una visione così non può che essere fondata su principi e valori condivisi, che facciano riferimento alla sostenibilità e all’equità inter ed intra generazionale. Per rendere la visione più tangibile è bene che i responsabili del progetto la comunichino insieme a obiettivi concreti da raggiungere nel breve termine e che, una volta raggiunti, si facciano attività di comunicazione opportune. La visione per essere efficace deve scaturire da un processo partecipativo di co-creazione. Non può essere calata dall’esterno o dall’alto, né imposta. Dopo essere stata co-creata e condivisa, essa va costantemente ispirata e alimentata, in un processo di continuo chiarimento di quello che la comunità vuole veramente raggiungere. La visione del futuro può dirsi solida e attraente solo quando saprà dare ai vari soggetti attori del territorio – e a ciascun cittadino - la spinta a muoversi per colmare la distanza tra realtà presente e la visione stessa. Grazie al fatto di avere riferimenti comuni (valori, principi e obiettivi) e di poter concordare su una direzione condivisa rispetto a qualsiasi orizzonte di tempo, scala spaziale o ambito decisionale, ogni componente della comunità potrà muoversi in maniera autonoma, imprenditoriale ed auto-organizzata, secondo il principio di sussidiarietà, operando e convergendo sempre verso il bene comune. Per avviare il processo di co-creazione e condivisione della visione, le amministrazioni dovranno sottoporre (nelle forme più opportune e attrattive) alla popolazione, alle organizzazioni e a tutti i portatori di interesse, domande che stimolino una proiezione verso il futuro, distaccandosi dalle contingenze dello stato presente. La visione definita dovrà, infatti, avere un orizzonte temporale pluridecennale ed intergenerazionale e dovrà essere in grado di visualizzare trasformazioni anche radicali della realtà attuale. 26
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Le domande di tipo generale, che si possono sottoporre per chiarire una visione, sono: 1. Come immaginate il luogo e la comunità dove vivete nel rispetto dei valori e dei principi fondanti della comunità e nel rispetto dei principi di sostenibilità? 2. Che risultati volete ottenere? 3. Che cosa volete creare per il futuro vostro e delle generazioni che verranno? e per definire una visione, sono: 1. Per cosa vorresti fosse riconosciuta nel mondo la tua città? 2. Cosa della tua città vale di più (ha maggior valore) per te? 3. Cosa significa per te vivere qui? 4. Di cosa ha bisogno la tua città? 5. Quali sono le tue speranze e i tuoi sogni per la tua città tra 25-50 anni? 6. Descrivi la città che tu vorresti lasciare in eredità a tuo figlio o alle generazioni future. 7. Che contributo saresti disposto a dare per fare accadere tutto questo? I contributi forniti dalla popolazione devono essere raccolti e ordinati organicamente e studiati approfonditamente per vedere emergere le costanti che più fortemente rappresentano i desideri profondi delle persone.Così facendo, ogni attore che vive il territorio sarà stato protagonista della creazione della visione e più facilmente potrà essere coinvolto, per quanto di sua competenza e nelle sue possibilità, alla redazione di documenti e progetti del Piano Strategico. La pubblicizzazione con qualsiasi mezzo possibile – non solo sui portali internet – di tutto quanto accade, darà a chiunque l’opportunità di avere ben chiaro come si sta procedendo e permetterà di conoscere i ruoli e i compiti che gli spettano nella realizzazione del progetto condiviso. É chiaro che la partecipazione attiva della comunità prevista dal modello Di.Mo.Stra. non è limitata alla sola attività di ascolto ma implica un coinvolgimento diretto nella discussione, strutturazione e deliberazione degli obiettivi e delle modalità con i quali raggiungerli.Poiché non si può avere successo isolatamente, né avanzare verso una visione di lungo termine senza considerare gli impatti che si manifestano in altri luoghi del Pianeta o senza tenere conto di come accadimenti remoti nello spazio impattino le attività a livello locale, non si deve sottovalutare l’importanza di creare e promuovere network, locali o sovralocali, nazionali e internazionali. Avere costantemente presenti nella propria pianificazione strategica l’interconnessione e l’interdipendenza con le realtà circostanti è un elemento fondante di un processo di successo, perché oggi più che mai le nostre attività dipendono da quanto succede ‘al di fuori’ e i risultati a livello locale derivano dalle dinamiche che caratterizzano la propria area geografica, la propria provincia, nazione, continente e il mondo intero. Quando le azioni nel proprio Comune si fondano anche sull’obiettivo di sostenere altri comuni, regioni o popolazioni, le probabilità di esito positivo aumentano. La creazione di reti locali e sovra locali è, quindi, l’occasione per creare le condizioni affinché le relazioni cooperative e/o negoziali che nascono dall’apertura e partecipazione ad altri sistemi a rete siano in grado di potenziare le capacità creative e competitive delle città. 28
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ANCHE I MARINES SERVONO ALLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA Quali sono gli strumenti che possono accelerare il processo di coinvolgimento della comunità nella pianificazione strategica? Il modello Di.Mo.Stra., voluto dall’Anci, è stato pensato per consentire agli Enti Locali la massima creatività nella progettazione di un piano strategico e nell’utilizzo degli strumenti di coinvolgimento. Tra questi ne suggerisce molti, mai vincolanti, e ne propone uno come strategico: il gruppo di apripista, che si potrebbe metaforicamente chiamare gruppo dei marines. Non si tratta di un’idea originale, in quanto il gruppo dei marines è un’esperienza concreta e vincente adottata dal Comune di Whistler, meta turistica del Distretto di Nord Vancouver, Canada, in seguito alle indicazione ricevute da The Natural Step, organizzazione internazionale esperta nella ricerca ed applicazione di best practice innovative per creare prosperità economica, rigenerare l’ambiente e soddisfare i bisogni umani fondamentali, a vantaggio delle generazioni presenti e future. L’utilizzo di gruppi apripista è una buona pratica che ha permesso al Piano Strategico “Whistler 2020” di ottenere in breve tempo grandi risultati e di vincere nel 2005 il LIVCOM AWARD, riconoscimento patrocinato dalle Nazioni Unite, come migliore esempio al mondo di pianificazione per il futuro. Questa è la loro esemplare esperienza. Nel 2000 l’amministrazione di Whistler ha redatto un piano territoriale per proteggere l’ambiente e il patrimonio naturale e si è posta il problema di informare e coinvolgere i cittadini. Per attuare il piano ha scelto il framework (struttura di supporto) di The Natural Step, uno strumento operativo e non prescrittivo in grado di fornire un linguaggio comune e unire le energie e il potenziale di tutte le organizzazioni in una direzione condivisa, il quale è risultato una vera e propria chiamata all’azione per l’intera comunità. Per coinvolgere le forze economiche sul tema della sostenibilità, si è dato vita a un gruppo di lavoro, misto, interdisciplinare ed interorganizzativo, chiamato apripista. Tale gruppo ha incorporato la sostenibilità nelle proprie attività e ne ha dimostrato il vantaggio economico ottenibile. In esso hanno collaborato personale del Comune, rappresentanti di associazioni, imprenditori locali e docenti, che insieme hanno avviato un percorso di apprendimento intensivo sulla sostenibilità, con l’obiettivo di trovare modi efficaci per coinvolgere la cittadinanza. Grazie al metodo suggerito da The Natural Step, i marines si sono impegnati nel diventare un gruppo che apprende e si riunisce per elaborare e lanciare piccoli progetti validi per l’intera comunità. E per risolvere i problemi, il gruppo si è concentrato sulle cause invece di perdere tempo sui sintomi. Il gruppo ha prodotto Manuali di Istruzioni per aziende, famiglie e scuole, diffusi rapidamente e capillarmente. La forza del Piano Strategico “Whistler 2020” è stata, quindi, quella di costruire un quadro comune e condiviso per avanzare verso la sostenibilità, all’interno del quale chiunque, di fatto, è diventato partner di un progetto che ha come obiettivo il successo di tutti. Il gruppo apripista ha avuto la capacità di far percepire e comprendere 29
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alla comunità tale possibilità. Ecco due esempi “apripista” che hanno interessato una struttura alberghiera: 1) è stato avviato un processo di compostaggio domestico, usando vermi rossi, per ottenere fertilizzante per l’orto e il giardino; 2) si è proceduto alla sostituzione di tutte le lampadine in uso con altre a basso consumo, autofinanziandosi con il risparmio ottenuto. Il grosso investimento, pari a mezzo milione di dollari, si è alla fine ripagato in meno di due anni. É stata l’esperienza del gruppo di apripista che ha permesso di giungere con maggiore consapevolezza all’elaborazione definitiva del Piano Strategico. “Abbiamo immaginato quale sarebbe stato un successo per Whistler nel 2020 – ha detto il Project Manager del piano - e da lì abbiamo definito le nostre priorità. […] Per come arrivarci abbiamo delineato 16 strategie e individuato le principali aree in cui sono necessari dei piani e delle azioni da compiere; per ciascuna di esse c’è un gruppo dedicato per un totale di 140 persone. Nuove idee continuano ad emergere da tutta la popolazione, e molte vengono adottate perché le 16 aree sono connesse tra loro in un quadro condiviso. Poiché tutti continuano a parlarne, il progetto diventa sempre più grande, efficace e coinvolgente”. Si è riusciti a coinvolgere attivamente anche i turisti che, nella logica di una relazione virtuosa, hanno donato preziosi suggerimenti e hanno ricevuto cultura sui principi di sostenibilità da portare nelle comunità di provenienza. La grande sfida è stata quella di avviare un processo che ha reso capaci le persone di abbandonare le proprie consuetudini e le proprie comodità, per prendersi dei rischi e giocarsi la partita, che con tutti questi giocatori, è stata vinta. Nel 2006 il 72% delle azioni suggerite sono state adottate e l’80% delle azioni adottate hanno raggiunto un successo pieno. Questi i risultati ottenuti: una maggiore coesione sociale; risparmi di energia e materiali; fiducia nel futuro; rinnovamento economico; innovazione nel governo locale; la testimonianza di una vera leadership da parte di amministratori capaci di agire con fermezza e successo nell’immediato, ma avendo sempre in mente le prossime generazioni. Tra le occasioni di rinnovamento economico si può ricordare l’innovazione nel settore dell’edilizia popolare, che ha visto unite forze pubbliche e private. Tra il 2000 e il 2001 è stato costruito un edificio con 57 appartamenti, interamente riscaldato e rinfrescato con pompe geotermiche. L’impianto geotermico consente un risparmio di 50.000 dollari all’anno rispetto ad un impianto convenzionale (circa 1.000 dollari all’anno di risparmio per famiglia). I costi di gestione più bassi derivano dal fatto che l’impianto pompa il calore o il fresco dal terreno, calore che viene poi immagazzinato in due grandi serbatoi. L’esperienza di Whistler fa capire come basta poco per abbattere muri insormontabili costruiti dall’ignoranza, dalla diffidenza e dalla pigrizia. I marines (gruppi apripista) sono il banalissimo esempio di un modo di lavorare che sconfigge gli egoismi (normalmente manifestati dai portatori di interesse) e fornisce, nel breve periodo, risultati che accelerano il processo di pianificazione strategica verso la sostenibilità. 31
Quotidiano di Bari, mercoledì 30 gennaio 2008 - pagina 6
LE IMPRESE SOCIALMENTE RESPONSABILI SONO PARTNER PRIVILEGIATI DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA DELLA CITTÀ Perché, in un percorso di pianificazione strategica, non si può fare a meno dell’imprese? “Perché le imprese sanno come si raggiungono gli obiettivi. Fanno poca filosofia, cioè poca politica, e puntano diritto al risultato”. Questa è la risposta più scontata che potremmo ascoltare. Sembra efficace e sintetica. In realtà non è affatto buona né sufficiente, poiché prende in considerazione soprattutto la componente del “saper fare”. Nella domanda si sottintendono, invece, obiettivi che non sono semplicemente di fatturato o di profitto. Ci si riferisce al bene comune e alla sostenibilità, e queste cose per la stragrande maggioranza delle imprese sono ancora tutte da comprendere. Prima di fornire una esauriente risposta alla difficile domanda odierna, ci si può riferire a quanto detto la scorsa settimana (Il Quotidiano di Bari del 23 gennaio scorso), quando abbiamo parlato dell’esperienza del Comune canadese di Whistler e dell’importante ruolo che proprio le imprese hanno avuto nell’innescare il processo di cambiamento verso una città sostenibile. Abbiamo raccontato di imprese che hanno investito in energie di tipo alternativo ed ecocompatibile e che hanno accettato la sfida di un’edilizia popolare innovativa. Tali imprese sono state parte attiva dei gruppi apripista (marines) e hanno aiutato la comunità a raggiungere in breve tempo risultati visibili, che hanno accelerato il percorso della pianificazione strategica verso la sostenibilità. Abbiamo fatto riferimento, quindi, a imprese che si sforzano di operare in modo socialmente responsabile; imprese che riconoscono di non poter competere con successo senza una legittimazione sociale, e che sanno benissimo di essere premiate dal mercato soprattutto sulla base delle loro performance sociali: i loro profitti aumentano quanto più i loro comportamenti e valori sono in sintonia con i valori ritenuti rilevanti per la comunità. Sono imprese che hanno capito di dover essere una comunità solidale non chiusa negli interessi corporativi, per tendere ad un’ecologia sociale del lavoro e contribuire al bene comune, anche mediante la salvaguardia dell’ambiente naturale. Sono imprese “sane” moralmente e socialmente e non solo finanziariamente; sono imprese che prendono decisioni avendo ben presente che l’ambiente è “risorsa” e “casa” per tutti gli uomini, e quindi hanno ben presente che: le risorse naturali sono limitate e alcune di esse non sono rinnovabili; l’attuale ritmo di sfruttamento compromette seriamente la disponibilità di alcune risorse naturali per il tempo presente e per il futuro; la crescita economica di pochi non può più essere ottenuta a discapito di interi popoli e, soprattutto, delle future generazioni. In pratica, sono imprese capaci di integrare preoccupazioni di valore etico all’interno dei loro obiettivi di profitto ben sapendo che il problema ecologico, che viviamo, può essere risolto gestendo gli affari in maniera virtuosa. Queste imprese investono in nuove tecnologie, senza aspettare i finanziamenti pubblici, perché sanno che l’investimento, anche se elevato, si ripagherà da solo, per 32
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effetto del processo virtuoso di apprendimento e di riduzione dei costi di produzione. Si impegnano a migliorare i processi produttivi e a ridurre la produzione di rifiuti, grazie anche alla pratica di buone prassi come lo scambio di esternalità tra aziende. Un meccanismo basato sulla condivisione dei beni e servizi, sulla cultura del dono e la pratica della solidarietà, che non va identificato con il baratto - cioè con lo scambio senza danaro di prestazioni professionali - ma con una liberalità vera e propria che ciascuna impresa realizza a vantaggio della comunità delle imprese. Tali imprese svolgono una funzione sociale, perché attraverso i propri investimenti possono contribuire allo sviluppo di tecnologie innovative in grado di tutelare l’ambiente e arginare lo spreco di risorse, e in più sono il luogo dove si generano occasioni di incontro, collaborazione, crescita e valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte. Gli imprenditori che guidano questo tipo di imprese sono in grado di scegliere strategie aziendali a favore della qualità della vita dei lavoratori, concedendo loro non solo di esercitare la propria professionalità e creatività ma anche di godere di tempo libero e ritmi di lavoro più umani. Trattasi di imprenditori capaci, che sanno di poter essere ripagati dai loro dipendenti con un maggior rendimento, alta fedeltà e dedizione. Qualcuno potrebbe pensare che imprese così non esistono, invece, anche in Italia, anche in Puglia, anche in Terra di Bari, ci sono imprese simili. Le amministrazioni devono cercarle, coltivarle, incoraggiarle, coinvolgerle. Non si deve aspettare che siano le associazioni datoriali a metterle in mostra; ma bisogna disporre da subito di informazioni sulla loro organizzazione, sui loro prodotti-servizi e su come si relazionano con l’ambiente e la comunità locale. Il loro coinvolgimento produrrà risultati visibili che saranno di esempio per altre imprese e per il mercato, a tal punto da innescare un circolo virtuoso che coinvolge tutti gli altri attori (università, centri di ricerca, terzo settore, organizzazioni di cittadini, ecc). Le imprese, coinvolte in un processo socialmente utile, diventano protagoniste e rendono credibile il cambiamento. La comunità le riconosce come non orientate esclusivamente al profitto, bensì alla crescita del capitale sociale relazionale utile al raggiungimento degli obiettivi del piano strategico. Se gli amministratori locali vogliono realizzare il bene comune – quello autentico e non da loro preordinato – devono consentire a tutti di dare il loro contributo, anche alle imprese. In quanto il bene comune (che non è frazionabile e non è la somma dei beni individuali) è un bene relazionale e, se non esistono relazioni o se nelle relazioni si esclude qualcuno, non esiste bene comune.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 6 febbraio 2008 - pagina 7
SOLO UNA PUNTUALE E CONDIVISA DEFINIZIONE DI SUCCESSO RENDE CREDIBILE LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA Come un’amministrazione può elaborare tecnicamente un piano strategico integrato che possa avere speranza di successo? Le persone (politici, tecnici ed esperti), chiamate a redigere le “tavole” del piano strategico di una città, devono avere ben chiara nella loro testa la conoscenza, e quindi la distinzione, dei seguenti livelli gerarchici: sistema, successo, strategie, azioni e strumenti. Questi soggetti, infatti, possono dare il loro massimo e migliore contributo quando sanno con precisione – come in uno sport di squadra - ‘a che gioco si sta giocando’. Nello sport di squadra, infatti, è definito in primo luogo il (I) sistema (ovvero le caratteristiche e le regole fondamentali del gioco a cui si prende parte e quali siano i confini entro i quali si agisce); in secondo luogo il (II) successo, perché esiste chiarezza e consenso su come si vincono sia la partita che il campionato. La chiarezza e la condivisione su questi primi due elementi rende possibile la definizione di (III) strategie, composte di (IV) azioni, e degli (V) strumenti utili a raggiungere il successo nel sistema. Dedicare tempo e risorse per definire i contenuti dei suddetti livelli gerarchici, e per allineare tutti gli attori coinvolti su questi temi, è un fondamentale passaggio per il funzionamento del piano strategico. L’obiettivo, infatti, è creare un modello mentale condiviso, che consenta di organizzare sinergicamente le azioni di chi contribuisce al progetto. Prendendo come esempio il gioco del calcio, anche se l’obiettivo di una squadra può essere quello di pareggiare una partita, il successo in questo sport è definito dal soddisfacimento del principio di ‘mettere una volta di più dell’altro la palla nella porta avversaria’; tutta la partita e tutto il campionato si svolgeranno avendo questo principio come guida. Il principio non vincola rigidamente i giocatori sul come si dovrà svolgere la partita, su quale disposizione tenere in campo, su quali azioni compiere o su quando fare goal. Allo stesso tempo, fin dal fischio di inizio, tutte le mosse e le azioni sono guidate da una chiara e condivisa definizione di successo da parte di tutti i giocatori. Le azioni saranno strategiche non tanto perché tendono direttamente verso l’obiettivo – non tutti i tiri verso la porta avversaria rappresentano una mossa strategica, anche se la direzione del tiro è corretta –, ma perché ciascuna costituisce una ‘piattaforma aperta’ per una successiva evoluzione verso una direzione di successo. Si possono definire strategiche solo quelle azioni che creano le condizioni per cui si possa arrivare al goal, anche se il singolo passaggio viene effettuato all’indietro, a condizione che consenta successivi passaggi fino al goal. Descrivere la condizione di successo non è cosa facile, ma è cosa assolutamente vincolante per la riuscita del piano. Per intenderci, possiamo fare un esempio della 35
Quotidiano di Bari, mercoledì 6 febbraio 2008 - pagina 7
nostra vita quotidiana. Chiedere a nostro figlio il proposito di essere più buono, non esprime una condizione di successo, perché dice tutto e niente. Cosa vuol dire essere più buono? In che cosa si concretizza? Se invece gli diciamo di mettere la stanza in ordine tutte le mattine prima di andare a scuola o prima di iniziare a studiare, questo sì che è una condizione di successo chiara, inequivocabile, misurabile, anche se sfidante ed impegnativa. Molti piani strategici definiscono come successo solamente “chiacchiere”, certo ben argomentate ma sempre chiacchiere. Come si trasformano queste chiacchiere in obietti misurabili, prioritari ed unificanti, non si capisce. Ebbene è necessario che politici, tecnici ed esperti vadano a realizzare, con assoluta cura e precisione, una “scheda di intervento” o “tavola” per ciascuna delle aree di intervento del piano, andando, di fatto, a realizzare un vero e proprio Piano Strategico di Area (Mobilità, Salute, Cultura, Mare, ecc.). Ciascuna scheda deve contenere: -
Il titolo e la definizione dell’area di intervento
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La descrizione del successo (indicazione del risultato concreto atteso)
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Una analisi dell’Oggi descrivendo: punti di forza/debolezza, minacce/opportunità
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La misura (con valori oggettivi) della distanza dall’Oggi al risultato atteso
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L’indicazione di ogni quanto tempo va effettuata la misurazione di tale distanza
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L’elenco delle azioni ed attività per raggiungere il successo
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La raccolta di proposte progettuali a supporto delle azioni
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I processi e le modalità con le quali effettuare la valutazione, prioritizzazione, condivisione e approvazione delle azioni
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La tabella contenente gli indicatori per misurare la distanza ancora esistente tra il successo e la realtà presente, con indicazione di come utilizzarli e le correlazioni con altre aree di intervento.
É, inoltre, necessario capire che priorità dare alle azioni e verificare quanto le scelte siano veramente strategiche. Per far questo basta rispondere alle seguenti tre domande: 1. L’azione va verso la Descrizione del Successo?; 2. Le azioni implementate possono in seguito evolvere verso altre?; 3. L’azione è competitiva rispetto ad altre azioni?
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Quotidiano di Bari, mercoledì 12 febbraio 2008 - pagina 6
PER UNA PIANIFICAZIONE STRATEGICA DI SUCCESSO I LEADER NON DEVONO SMETTERE DI IMPARARE Chi, all’interno di una Pubblica Amministrazione, è in grado di gestire con successo la pianificazione strategica? Solo i leader. Leader di ogni tipo: politici, tecnici, amministrativi, di processo. Per una pianificazione di successo non servono “brave persone” o peggio “mezze cartucce” e “improvvisatori”. E non ci vogliono neanche i “superprofessori” che arrivano, proclamano la loro “scienza”, e poi scompaiono. Ci vogliono leader che ispirano, guidano e danno esempio, capaci di alzarsi le maniche e mettersi concretamente a lavorare. Il loro esempio è ciò che trascina le persone all’azione; e più è etico (cioè lontano dagli interessi personali) più le persone si convincono che, se pur faticoso, questo percorso si può compiere insieme. L’ampiezza e la complessità di un piano strategico richiedono una molteplicità di attori, ognuno dei quali al suo livello deve essere capace di guidare le attività, coordinare, ispirare l’azione e fornire una costante valutazione per assicurare che l’intero progetto - o la parte di esso affidatagli - si evolva nella giusta direzione e raggiunga gli obiettivi. L’Amministrazione Pubblica deve fornire dal suo interno i leader di processo. Senza di questi non si va da nessuna parte. Gli esterni vanno e vengono, perché sono come dei “mercenari” (ci si perdoni il termine); i dirigenti comunali, invece, rappresentano la Pubblica Amministrazione. E se non ci sono dirigenti capaci di essere leader di processo, vanno formati o assunti o condivisi con altri Comuni. Il dirigente comunale è patrimonio culturale (capitale sociale) di una città; rappresenta la certezza che le cose avvengono. I politici non possono usarli a loro piacimento, non possono offenderli, non possono emarginarli, non possono ignorarli. I politici possono dare indirizzi, i consulenti condividere le proprie esperienze e competenze specialistiche, ma i dirigenti restano quelli che “fanno avvenire le cose”. É vero anche il contrario: le cose non accadono se ci troviamo di fronte a dirigenti negligenti e privi di responsabilità e senso del bene comune. In un percorso di pianificazione i dirigenti vengono definiti responsabili del procedimento, perché sanno come si procede, cosa si può e si deve fare perché il miracolo della pianificazione strategica avvenga. E sanno anche molto bene che occorrono altre competenze, altri professionisti competenti in materia di pianificazione strategica, in sistemi complessi e di facilitazione di gruppi di lavoro. Questi professionisti, esterni all’Ente, devono essere esperti in dinamica dei sistemi e in tutti gli altri temi, ad esempio legati all’ecologia, ai trasporti, all’urbanistica, ecc. Poiché un piano strategico viene realizzato mediante tanti piccoli e particolari piani è evidente che c’è bisogno di tanti leader di settore competenti nella materia di cui il piano si sta occupando. Deve essere chiaro che un leader non può essere imposto, in quanto un vero leader ha mezzi propri per essere riconosciuto tale. In questo, purtroppo i politici sono bravi a sbagliare, e poi a pagare le conseguenze dell’insuccesso. 38
Quotidiano di Bari, mercoledì 12 febbraio 2008 - pagina 6
Di solito un grande progetto richiede l’istituzione di un Centro di Competenza (Ufficio di Piano). Si tratta di un ufficio facilitatore, un ufficio aperto, presente ovunque, che non accentra ma istruisce e delega, che non si sostituisce ai soggetti preposti nell’attuazione delle azioni ma supporta gli altri uffici dell’Ente stimolando un atteggiamento pro attivo, finalizzato a far convergere tutte le azioni verso la realizzazione del piano. Il Centro di Competenza (Capacity Center) si dedica, perciò, allo sviluppo di capacità operative e al supporto del progetto. Si occupa del monitoraggio, dell’organizzazione di training e dello sviluppo di capacità e saperi distribuiti. Eroga servizi per aiutare le organizzazioni pubbliche ad integrare le imprese, aiuta a innovare i comportamenti. Compito dell’Ufficio di Piano è anche quello di cercare, coinvolgere e valorizzare i talenti (o creativi), creando tutte le condizioni perché possano dare il massimo (si veda il Quotidiano di Bari del 28 novembre 2007). L’Ufficio di Piano è un ufficio di “servizio” per quanti operano nella pianificazione strategica, e si preoccupa di acquisire nuove competenze, ricercare nuove professionalità, garantire un continuo processo di formazione agli addetti della Pubblica Amministrazione, alla popolazione e a tutti quelli che sono coinvolti nel progetto della città. Aiuta i leader di settore a preparare altri membri della comunità a sviluppare competenze e capacità diffuse nonché a condividere le proprie conoscenze, creando o partecipando a network nazionali e internazionali. Investire sul capitale umano, del resto, sulla sua formazione e crescita umana e professionale è un dovere di chi governa. Molti progetti ambiziosi naufragano perché quanti li hanno avviati hanno ignorato il principio dell’apprendere per tutta la vita. L’apprendimento riguarda tutti. I primi che dovrebbero farlo, mettendosi con molto impegno, sono i rettori delle Università, i docenti, i politici e quanti sono al vertice di organizzazioni pubbliche o private. Solo gli arroganti, i presuntuosi, i superbi, smettono di imparare perché pensano di sapere già tutto e di non avere bisogno di nulla e di nessuno. Queste persone, specialmente se hanno ruoli di potere sono la rovina della comunità. Di contro, per fortuna, nascono nel mondo esperienze meravigliose che vedono le città incrementare a dismisura i luoghi di apprendimento. In Europa si parla di learning cities e di learning regions, concetti che si spera possano essere portati presto anche in Italia e nella nostra regione.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 20 febbraio 2008 - pagina 7
IL PIANO STRATEGICO: UN PERCORSO A DUE RUOTE Cosa può fare una Pubblica Amministrazione per dare il buon esempio e far intraprendere alla comunità un percorso verso la sostenibilità? Eric Ezechieli, presidente di The Natural Step Italia, organizzazione internazionale esperta in best practice innovative per creare prosperità economica, rigenerare l’ambiente e soddisfare i bisogni umani fondamentali, mi ha raccontato di aver visto nel Museo dei Trasporti pubblici di Londra un cartello che diceva più o meno così: “La velocità media del traffico a Londra nel ‘500 era di 16 km/h, oggi è di 16 km/h”. Interessante, vero? In più di 500 anni sembra non sia cambiato nulla, tranne il fatto che abbiamo sprecato una grande e spaventosa quantità di energia e di tempo. L’energia per tenere accese le auto, il tempo per cercare di parcheggiarle da qualche parte. Abbiamo inquinato, abbiamo prodotto rumori molesti, ci siamo procurati la malattia dello stress, il tutto per lo stesso risultato. Non siamo stati per nulla furbi e strategici: viaggiamo alla stessa velocità di 500 anni fa e stiamo peggio. E nonostante questo pensiamo di essere persone intelligenti e votate al progresso. Abbiamo costruito mezzi di trasporto da 1000 kg per trasportarne mediamente 80. Auto veloci che stanno ferme nel traffico e ai semafori, le quali dopo aver raggiunto la destinazione continuano ad inquinare per ancora 30 minuti, cioè il tempo medio per trovare parcheggio. E, ovviamente, il parcheggio più grande che possiamo trovare solo pochi anni fa era una bella piazza, un tempo il luogo migliore per riunirsi e dare valore ai palazzi rappresentativi della ricchezza della città. Per rispondere alla domanda si possono prendere in esame tre casi: Parigi, Ferrara e Munster. A Parigi si parla di potenziare l’uso della bicicletta dal 2001 e, recentemente, dopo aver registrato in 6 anni l’incremento dell’uso del 48%, il sindaco Bertrand Delanoë ha deciso di dare un’accelerata con il progetto VELIB (www.velib.paris.fr) partito il 15 luglio 2007. Il progetto prevede un parco di 20.600 biciclette e 1451 stazioni. Gli obiettivi del 2008 sono 200.000 abbonati ed una riduzione del traffico del 40% con evidenti benefici in termini di minore inquinamento ambientale. Il servizio è disponibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Le circa 1500 stazioni disteranno tra loro non più di 300 metri ed ognuna disporrà di 20 o 50 biciclette. La pensilina della stazione è dotata di un computer con schermo interattivo che consente di fare abbonamenti (giornaliero 1 euro, settimanale 5 euro, annuale 29 euro) pagando con carta di credito. Parigi dispone oggi di 371 km di piste ciclabili. Con il progetto VELIB si stima di ridurre le emissioni di CO2 per circa 2.400 tonnellate. Premiata nel 2000 dal Ministero dell’Ambiente per la promozione dell’uso urbano delle biciclette, Ferrara ha istituito un vero e proprio Ufficio Biciclette per la mobilità sostenibile (www.comune.fe.it/biciclette). A Ferrara sanno cos’è l’approccio sistemico, poiché sono andati a curare la causa del problema e non il sintomo, prendendo provvedimenti strutturali e non simbolici. La gestione delle Zone a Traffico Limitato e delle aree pedonali è rigorosa: nella ZTL valida 24 ore su 24 non circolano 41
Quotidiano di Bari, mercoledì 20 febbraio 2008 - pagina 7
né auto né motorini, ma solo biciclette. A Ferrara, anziché allargare o costruire nuove strade, non fanno utilizzare le auto e costruiscono piste ciclabili con costi inferiori. Ed è inoltre interessante sapere che, a differenza dell’uso nevrotico che ne fanno in altre parti nel mondo, i cittadini di Ferrara praticano lo “slow bike”: un uso “lento” della bici. Nella città tedesca di Munster, 255.000 abitanti, la bicicletta è il mezzo più utilizzato. Accanto alla stazione ferroviaria hanno costruito un parcheggio per 3.000 biciclette, aperto dalle 5,30 alle 23,00. I gestori del parcheggio offrono servizi di manutenzione, pulizia e noleggio. La scelta della bicicletta è stata per Munster una scelta strategica e per farlo non hanno atteso che la Comunità Europea parlasse di “pianificazione strategica”. Questa scelta viene da molto lontano e da amministratori illuminati. É dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, che a Munster si realizzano piste ciclabili. Oggi sono delle vere e proprie strade per bici, larghe due metri. La città ne dispone per 275 km ai quali si devono sommare 300 km di strade secondarie – molto frequentate – che attraversano campi e boschi. Questi sono solo tre esempi; nel mondo ce ne sono così tanti da stordire qualsiasi assessore alla mobilità. Progetti simili a quelli che vi ho raccontato sono in programma a Vienna, Bruxelles, Siviglia, Cordova e Barcellona, che con 6.000 bici conta già 90.000 utenti. Le soluzioni verso una mobilità sostenibile, quindi, ci sono e i cittadini di altre città sanno cosa fare. Certamente non sono cittadini più intelligenti di noi, ma solo diversi, perché sono persone che non hanno smesso di imparare come si fa a costruire il vero benessere. Se per noi il benessere coincide nel farsi vedere, fermo al semaforo, nel più moderno SUV, facciamo prevalere la cultura della “morte” e del decadimento dell’ambiente. Se per noi il benessere coincide con respirare aria pulita, camminare a piedi e preservare la salute, facciamo prevalere la cultura della vita. Sarà bene che i nostri pubblici amministratori locali, che certamente tifano per questa seconda soluzione, smettano di essere tifosi (cioè spettatori della partita) e comincino a giocare.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 27 febbraio 2008 - pagina 7
UNA CITTÀ SOSTENIBILE È UNA CITTÀ CHE HA IMPARATO A VIVERE SENZ’AUTO E’ possibile un città senza automobili? Quale aiuto può venire dal Piano Strategico? Una città senza automobili è qualcosa di possibile, lo sanno tutti, ma nessuno ha il coraggio di desiderarlo. Sì, desiderarlo, perché anche chi pensa sia necessario, utile, drammaticamente utile, non fa nulla. Chi in tempo di campagna elettorale si è impegnato a ridurre il traffico in città, una volta eletto si scontra con le difficoltà e smette di desiderarlo. Cosa più grave, forse, del non riuscire a mantenere una promessa elettorale dopo averci comunque provato. Ci sono moltissimi esempi di città che hanno raggiunto significative riduzioni del numero di auto circolanti. Diverse le soluzioni adottate e tra queste mi sembrano inaccettabili quelle che prevedono il pagamento di pedaggi per l’accesso in città. Questo perché non si fa altro che consentire ai più ricchi di continuare a inquinare. La filosofia di fondo non dovrebbe essere “chi inquina paga”, ma darsi da fare per smettere di inquinare. Abbandonando la cultura del profitto, della spesa e quindi della crescita del PIL, si deve cercare di far crescere il benessere della collettività, rendendo le città luoghi sani, salubri, sostenibili appunto. Un architetto di fama mondiale, Moshe Safdie (che, tra le tante cose, ha realizzato gli aeroporti internazionali di Tel Aviv e di Toronto), ha scritto oltre 10 anni fa un libro dal titolo “The city after the automobile: An architect’s vision”, (Basic Books, 1997). Leggendolo, è interessante scoprire come nel tempo le città si sono modificate, trasformate, ogni qualvolta si è imposta una rivoluzione nei trasporti. L’automobile ha dato il colpo finale. Tutto è stato progettato pensando al grande flusso di auto che avrebbero attraversato le nostre città. “L’automobile ha devastato il tessuto fisico delle città sia vecchie che nuove” a tal punto da far sparire ogni “premessa fisica di città tradizionale, come la circolazione pedonale continua, un ambito pubblico abitabile e ben definito e una complessa gamma di dettagli architettonici lungo le strade e sugli edifici – porte, cornicioni, finestre, gradini, lampade, panche, alberi, e cosi via.” Il danno ormai è fatto - dice qualcuno - e poi senza auto non sappiamo vivere; al massimo diamoci un correttivo. Acquistiamo auto ibride sfruttando gli incentivi pubblici, che non mancano. Usiamo il car sharing, cioè compriamo l’uso effettivo del mezzo (attraverso abbonamenti appositi) e non il mezzo stesso. Il car sharing è una soluzione ideale per chi percorre pochi chilometri, complementare al trasporto pubblico locale, avviata nel 1987 in Svizzera e poi diffusasi in tutto il mondo. Finanziato e voluto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare a partire dal 2000, al momento conta 12.600 utenti, lo 0,00022% della popolazione. Una cifra bassa ma che porta benefici come: almeno 500.000 mq di spazio cittadino liberato dalle auto parcheggiate; minori emissioni annue per 160 tonnellate di CO2, per 1,5 tonnellate di PM10, 15 tonnellate di NOx, 13,5 tonnellate di VOC; sostituzione di 44
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almeno 8 auto private (dati dell’ICS-Iniziativa Car Sharing). Questi dati dovrebbero far riflettere, soprattutto le amministrazioni del Sud Italia, poiché il servizio al momento è presente solo nelle maggiori città del Centro e del Nord Italia. 30 enti locali di queste aree hanno aderito al consorzio ICS, che fornisce assistenza e un iniziale supporto finanziario e operativo alle città che intendono attivare sul proprio territorio questo servizio di mobilità alternativa. Non si dimentichi che negli ultimi anni il Governo ha stanziato finanziamenti appositi, alcuni rivolti ai privati che decidono di rottamare la propria auto e di aderire al car sharing. Sarà il caso di muoversi anche nel Mezzogiorno per diffondere questa buona prassi, e la pianificazione strategica può essere una buona occasione. Chi guida la pianificazione strategica ha l’obbligo di insegnare la sostenibilità, che è l’unica via di uscita per diventare la “migliore città in cui vivere”, e non certo uno show, uno spettacolo messo in scena da architetti ed esperti illustri. La pianificazione strategica per la sostenibilità si fonda esclusivamente sul fatto che non si deve contribuire: all’aumento di concentrazioni di composti che si estraggono dal sottosuolo (es. combustibili fossili, metalli pesanti come mercurio o piombo, materiali radioattivi, amianto, ecc); all’aumento di concentrazioni di sostanze prodotte dalla società (es. CO2, pesticidi, diserbanti, composti volatili e altri composti che la natura non è in grado di riassorbire); al sistematico degrado fisico della natura; alla creazione di condizioni che impediscano alle persone di soddisfare i propri bisogni. Se questo è vero allora è bene che ci decidiamo ad andare a piedi. “Chi va piano, va sano e va lontano”. Forse avevano ragione!
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Quotidiano di Bari, mercoledì 5 marzo 2008 - pagina 7
IL PIANO STRATEGICO INSEGNA A NON PRODURRE RIFIUTI Come può la pianificazione strategica aiutare un’amministrazione ad uscire dall’emergenza rifiuti? La pianificazione strategica, che ha nella sua forza la capacità di attivare la partecipazione e la cooperazione, è l’occasione migliore perché la comunità possa prendere consapevolezza che i rifiuti determinano un grave pericolo per l’umanità. Quella dei rifiuti è un’emergenza diffusa in Italia, che dopo le indicazioni ricevute dall’Ue, si è cercato di affrontare con il Decreto Ronchi (D.Lgs. 22/97). Purtroppo non abbiamo ottenuto grandi risultati, nonostante si ispirasse a principi di responsabilizzazione e cooperazione e promuovesse forme di premialità o penalizzazione di quelle realtà incapaci di innescare un virtuoso sistema di smaltimento. Quello di cui non ci si rende conto è che negli ultimi 50 anni abbiamo prelevato, consumato e distrutto risorse naturali in maniera del tutto incontrollata, restituendole al pianeta sotto forma di rifiuti. E questo grazie alla nostra intemperanza, alla logica del consumismo a tutti i costi, grazie alla scoperta di nuovi, ma falsi, bisogni indotti dalla pubblicità. Coloro che ci hanno governato - siano stati di destra o di sinistra - hanno avuto il solo ed unico obiettivo di farci consumare, per dimostrare la loro capacità di far “crescere” l’Italia. La conseguente crescita del PIL, però, si è trasformata nella più grande industria di produzione di rifiuti, e le nostre città si sono trasformate in grosse discariche. Questa politica cieca, alla sola ricerca del consenso e del potere, sta regalando ai nostri figli un “grande” futuro… pieno di rifiuti. Dobbiamo ricominciare. Bisogna rieducare le persone a non utilizzare prodotti “usa e getta” ormai diffusissimi. Bisogna educare i nostri figli a mangiare in piatti di ceramica, a bere in bicchieri di vetro, a non maltrattare i giocattoli e a saperli riparare, o meglio, a costruire i loro giochi con l’aiuto dei genitori. Bisogna iniziare da capo. Le imprese devono produrre prodotti che durano di più e siano riparabili e devono essere capaci di riutilizzare le parti di quelli che gli vengono restituiti dai consumatori per produrne di nuovi. Questo è un esempio di come non si produco rifiuti. Ma chi ci deve educare? Chi deve dirci queste cose, chi ci può informare che la tecnologia attuale può aiutare a non produrre rifiuti? Un piano strategico, fondato sui principi della sostenibilità, può essere una grande opportunità per comunicare, informare, formare. Una piccola città italiana della Valtellina, Morbegno (So), ha deciso, come prima cosa, di destinare i fondi della pianificazione strategica alla cosa più importante: l’educare i cittadini a vivere pensando alle generazioni che verranno. In questi ultimi mesi sono stati avviati corsi di formazione rivolti a tutti gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado della Valtellina e nel prossimo mese sarà distribuito alle famiglie un piccolo opuscolo con consigli pratici per non sprecare e produrre meno rifiuti. 47
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Un altro piccolo esempio viene dalla città di Whistler, Comune canadese che ha avviato una pianificazione strategica esemplare (si veda il Quotidiano di Bari del 23 gennaio scorso), nella quale tutti gli alberghi sono riforniti di sacchetti ottenuti da materiale riciclato al 100% e addirittura compostabile. Molti, per non dire tutti quelli che ci governano, sono concentrati a curare il sintomo e quindi il loro obiettivo è la riduzione dello smaltimento in discarica e la valorizzazione energetica delle frazioni costituite da materiale non recuperabile. Ci riuscissero! Modelli da cui copiare ne abbiamo, si pensi alla Germania e alla Svizzera. La Germania è riuscita a trasformare, in meno di un ventennio, la spazzatura in un’importante fonte di energia e profitto. Nel 1991 il Governo ha reso obbligatoria la raccolta differenziata, che nel 2004 si è attestata intorno al 56% dei rifiuti nazionali ed è in continua crescita. La Remondis, una delle maggiori compagnie del riciclaggio dei rifiuti e dell’acqua, è riuscita a costruire ben 71 inceneritori a recupero energetico, capaci cioè di trasformare i rifiuti in energia elettrica. La Svizzera, con una percentuale di rifiuti urbani riciclati di oltre il 50%, si pone tra i paesi più ecologici d’Europa; per alcuni tipi di materiali come il vetro la quota di riciclaggio supera il 95%. Non si può guardare con lo stesso entusiasmo al nostro paese e soprattutto alla nostra regione, che conferisce in discarica una percentuale di rifiuti urbani pari al 91%. Secondo l’Apat (Agenzia per la protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici ) a livello nazionale la diffusione della raccolta differenziata è ancora lontana dall’obiettivo del 40% che doveva essere raggiunto alla fine del 2007, arrivando solo al 25,8%; poca cosa se si pensa che nel 2005 si era al 24,2%. Guardando alle singole aree geografiche, però, mentre il Nord ha raggiunto l’obiettivo del 40%, il Centro e il Sud si attestano rispettivamente intorno al 20 e 10,2%. Allora bisogna proprio darsi da fare. Prendiamo tutti i danari che abbiamo e, anziché sprecarli in cose inutili che servono solo a dare immagine a chi li gestisce, investiamoli in tutte quelle istituzioni, la famiglia in primis, che hanno la responsabilità di educare i nostri figli. Facciamo ritornare gli insegnanti ad essere maestri di virtù.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 12 marzo 2008 - pagina 7
LA CITTÀ NON È UN PROBLEMA, È UNA SOLUZIONE Perché si ha paura ad affrontare la pianificazione strategica? La cosa che più fa paura ai sindaci della pianificazione strategica è sicuramente quella di non poter avere consenso immediato, perché i risultati sperati saranno visibili nel lungo periodo, quando cioè avranno abbandonato il loro posto di governo; le cose da fare sono troppe e difficili e i cittadini hanno bisogno di risposte, oggi, subito. La mancanza di cultura sistemica non permette, infatti, di capire che la pianificazione strategica consente di fare bene e meglio ciò che si deve fare oggi, gettando le basi per un domani migliore. Cioè, dà la possibilità di fare oggi tutte quelle cose che, nel rispetto dei valori condivisi della comunità, consentiranno di raggiungere la metà di una città migliore. Questo vuol dire che risultati visibili e concreti nell’immediato ci devono e ci possono essere, anche perché sono fondamentali in quanto ispirano fiducia e spingono i cittadini a darsi da fare per continuare sulla buona strada intrapresa. I sindaci in campagna elettorale dichiarano sempre di essere capaci di risolvere i problemi della città, ma poi durante il loro governo non si rendono conto che la paura di non essere rieletti li porta a tarpare le ali alla creatività e alla programmazione. Con la conseguenza di creare una visione senza prospettive della città e di veder fallire politiche innovative e di ampio respiro. Sarebbe quindi utile riflettere sull’affermazione di Jaim Lerner, già sindaco di Curitiba (Brasile): “La città non è un problema, è una soluzione”. Ogni città, infatti, risolvendo problemi ordinari e straordinari, ha un ruolo decisivo per la nazione e per l’intera umanità. Pensiamo al cambiamento climatico e agli altri disastri che abbiamo combinato in questi ultimi 50 anni e a questioni rilevanti come la mobilità e la sostenibilità, che ormai sono le grandi opportunità che una città ha per avviare un processo di cambiamento. “Il nostro approccio verso la città è sempre molto pessimista – continua Lerner -. Lavoro sulle città da oltre 40 anni e ogni sindaco prova a dirmi: ‘Oh, la mia città è così grande…’. Un altro sindaco dice ‘non abbiamo risorse finanziarie. Lasciatemi dire che in base alla mia esperienza, ogni città del mondo può essere migliorata in meno di tre anni. Non è una questione di dimensioni, non è una questione di risorse finanziarie. Ogni problema all’interno di una città ha bisogno di responsabilità condivise e anche di progetti”. Curitiba ha 3 milioni di abitanti nell’area metropolitana e 1,8 milioni nella città vera e propria, ed è un importante esempio di come si possa vivere e lavorare assieme. A Curitiba hanno iniziato a lavorare sulla mobilità nel 1974 con 25 mila passeggeri al giorno, oggi sono a 2 milioni e 200 mila. Persino i diversamente abili possono utilizzare l’autobus, come tutti gli altri mezzi di trasporto, grazie al loro design. L’idea di mobilità di Curitiba consiste nel cercare di collegare le diverse modalità di trasporto. La rete di trasporto è sempre la stessa, solo il veicolo è differente. In pratica, le reti di trasporto sono state combinate con un solo vincolo: dove c’è la metropolitana non c’è una rete di superficie; quindi non c’è competizione negli stessi 50
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spazi. Ci sono voluti 25 anni prima che un’altra città seguisse questo esempio, si tratta di Bogotà. Oggi altre 83 città in tutto il mondo stanno mettendo in pratica quello che ha costituito il successo di Curitiba. Per avviare un cambiamento verso la sostenibilità le amministrazioni hanno anche la grande opportunità di “lavorare sulle automobili”. Più del 50% delle emissioni di anidride carbonica deriva dalle automobili, dalle quali oggi dipendiamo totalmente. Ecco perché, quando parliamo di sostenibilità, non basta pensare a edifici verdi, nuovi materiali, nuove fonti di energia. Jaim Lerner dice scherzosamente: “L’automobile è come vostra suocera: dovete avere un buon rapporto con lei, ma lei non può comandare la vostra vita. E quando l’unica donna nella vostra vita è vostra suocera… significa che avete un problema!”. Un concetto innovativo di cui Lerner si è fatto promotore è quello di città“multiuso”. Partendo dall’idea che non si possono avere luoghi vuoti per 18 ore al giorno, Lerner è convinto che bisognerebbe sempre avere delle strutture (luoghi, ambienti, quartieri, ecc.) in cui si può vivere e lavorare assieme; lo sforzo da fare è capire quali settori della città potrebbero avere diversi ruoli nell’arco delle 24 ore. Per concludere, è bene ricordare che per ottenere il successo bisogna mettere da parte l’arroganza e la convinzione di avere tutte le risposte. La partecipazione attiva di tutta la comunità è fondamentale, così come è importante che creatività e innovazione vengano messe al servizio della visione condivisa. Bisogna anche iniziare a slegarsi dal concetto di finanziamento pubblico. Lerner dice: “Non dimenticatevi mai che la creatività nasce quando tagliate uno zero dal vostro budget, se ne tagliate due è ancora meglio”. Non sono i finanziamenti che devono incentivare l’avvio di una pianificazione strategica di valore, ma la voglia di cambiare e di co-creare un futuro migliore. Importantissimo, poi, puntare sull’educazione. Molta parte del successo di una pianificazione strategica passa dal come istruiamo i bambini. In pochi mesi possiamo insegnar loro a differenziare i rifiuti, a risparmiare energia elettrica, ad usare la bici, e poi saranno sicuramente loro a insegnarlo ai genitori. Andiamo nelle scuole tutti i giorni ad insegnare i principi della sostenibilità, così l’obiettivo finale della pianificazione strategica sarà sempre più vicino e tangibile.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 19 marzo 2008 - pagina 5
LE AZIENDE MUNICIPALIZZATE INTERPRETANO LA SOSTENIBILITÀ Come può una azienda municipale contribuire al piano strategico? Le aziende per i servizi pubblici sono uno degli strumenti con il quale la Pubblica Amministrazione si mette al servizio dei cittadini. Sono state pensate per essere agili e snelle, per erogare prestazioni sempre più efficaci ed evitare negli uffici comunali un aumento di personale “dal disimpegno facile e generalizzato”. All’uopo, il legislatore ha voluto trasformare le aziende pubbliche in vere e proprie S.p.A. (anche se a maggioranza pubblica). Queste imprese contribuiscono alla pianificazione strategica se hanno come primo obiettivo la soddisfazione dei bisogni della comunità e se agiscono secondo i principi delle aziende socialmente responsabili (vedi Quotidiano di Bari del 30 gennaio), facendo attenzione all’innovazione e alle nuove scoperte tecnologiche e scientifiche, in grado di ridurre gli agenti inquinanti nell’atmosfera o i danni da rifiuti tossici. Le Municipalizzate che ignorano questi sani comportamenti non operano per il bene comune, anzi vanno contro il benessere della comunità. Ragionando come un’impresa privata, anzi meglio, le aziende di servizi pubblici devono monitorare il gradimento dei propri servizi con una frequenza quotidiana e fare valutazioni complessive almeno semestrali. Compito dell’ente pubblico che le controlla è imporre nell’organizzazione la presenza di funzioni aziendali adibite alla verifica della soddisfazione dei clienti (che poi sono i cittadini). Un esempio italiano è quello dell’ATM (Azienda Trasporti Milanesi S.p.A.), che già nel 2001 ha scelto di certificarsi per il Sistema Gestione Qualità e Gestione Ambientale e nel 2004 ha redatto il suo primo bilancio di sostenibilità ambientale. Con una nuova cultura d’impresa e coinvolgendo il personale nella revisione dei processi, cosicché il raggiungimento degli obiettivi per la qualità e per l’ambiente è diventato scopo comune e impegno prioritario di ciascuno, l’ATM si è impegnata a conoscere le esigenze e le aspettative dei clienti, a concretizzare tali bisogni in requisiti per l’organizzazione, a individuare e monitorare i processi aziendali che hanno una diretta incidenza sulla qualità e sull’ambiente e a _prevenire possibili cause di disservizi o di problematiche in questi ambiti. Tutto questo ha portato a investire: in un costante rinnovo del parco mezzi, fermando gli autobus Euro 0; nella programmazione di interventi sulle infrastrutture mirati al rinnovo degli impianti, al mantenimento dei livelli di sicurezza e al miglioramento della loro funzionalità, riducendo gli impatti ambientali; nella sperimentazione di soluzioni tecniche all’avanguardia utili a ridurre le emissioni inquinanti e a gestire in maniera economicamente più vantaggiosa il parco veicoli. Al dicembre 2006 l’azienda copriva il 65,5% di km percorsi in ambito urbano con energia pulita mediante metropolitana, tram e filobus (il valore più alto in Italia) e raggiungeva un’estensione della rete metropolitana di 74,6 km costruiti, 13,6 km in costruzione e circa 36 km in programma. Aveva un parco autobus urbano di età media di 5,3 anni (il più giovane delle grandi città), con veicoli in servizio Euro 2 e Euro 3 alimentati con gasoli ecologici e montanti filtri anti-particolato. Grazie al suo impe53
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gno l’ATM ha ottenuto una mozione speciale nella Categoria Migliore Gestione per lo Sviluppo Sostenibile al Premio Impresa Ambiente, Edizione 2005-2006. Un importante principio che le imprese di servizi pubblici devono rispettare nella loro attività è il principio di sussidiarietà. Il che vuol dire che devono ricercare modalità di erogazione dei servizi in grado di sviluppare capacità d’iniziativa individuali, autonomia e responsabilità personali dei dipendenti e dei cittadini. Inoltre devono ricercare collaborazioni con le attività imprenditoriali locali o con attività organizzate dagli stessi cittadini. Un comportamento non coerente con il principio di sussidiarietà può portarle a commettere alcuni errori quali: occupare indebitamente spazi di mercato, senza poi offrire un servizio efficace; accrescere una cultura tipica degli apparati pubblici guidati più da logiche burocratiche che dall’obiettivo di soddisfare i bisogni delle persone; deresponsabilizzare i cittadini. Infatti, quando i cittadini non reclamano è sintomo che non usano quel servizio e ritengono uno spreco di tempo reclamare il suo buon funzionamento, anche perché l’azienda si è mostrata sorda e incapace di reagire a qualsiasi sollecitazione a fare meglio. L’incapacità dell’azienda ad erogare servizi di qualità è il “cattivo esempio” dal quale i cittadini imparano a non rispettare la città e a non contribuire al bene comune. Se un autobus è vuoto, la colpa è anche dell’azienda di trasporto pubblico, che con la sua inefficienza ha costretto i cittadini a scegliere l’auto privata, con la conseguenza che si è incrementato il traffico e l’inquinamento e si è creato un circolo vizioso per cui l’azienda pubblica non è stimolata a migliorare l’offerta non essendoci domanda. Il piano strategico può richiedere alle aziende comunali di attivare tre indicatori. L’indicatore della soddisfazione dei cittadini, che consiste nel constatare che i servizi erogati vengono utilizzati, e condizione di maggiore soddisfazione è quando la domanda di servizio aumenta. L’indicatore della partecipazione: i cittadini reclamano e danno consigli per migliorare il servizio; un numero crescente di contributi è indice che l’azienda ha saputo ascoltare e ha fatto tesoro dei consigli ricevuti. Il terzo è l’indicatore dell’eccellenza, che porta al coinvolgimento dei cittadini nell’erogazione del servizio, in qualsiasi punto della catena del valore.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 26 marzo 2008 - pagina 7
FRIBURGO CITTÀ “SOLARE” PIÙ DI UNA CITTÀ DEL MEDITERRANEO Esistono città che hanno realmente costruito e condiviso una visione di lungo periodo? Esempi ce ne sono tanti, come abbiamo detto anche in precedenza. Uno degli esempi più seducenti, però, è quello di Friburgo, una città “furba” (o intelligente) con una comunità molto coesa. Certo gli amministratori si sono dati da fare ma è merito dei cittadini non farsi pregare due volte. La visione del piano strategico è stampata sulla fronte di qualsiasi persona che si incontra in città. Trent’anni fa Friburgo - città tedesca della Bassa Sassonia di circa 210.000 abitanti ha scelto di trasformarsi in una città simbolo. La comunità ha fatto suoi i principi di sostenibilità e si è posta, tra gli altri, l’obiettivo di ridurre del 25%, entro il 2010, la quantità di biossido di carbonio immessa nell’atmosfera nel 1992, investendo nell’energia solare. Nel 1978 è stata costruita la prima casa solare da parte della società che gestisce l’edilizia popolare, il cui risparmio energetico è ottenuto grazie all’isolamento termico e a collettori solari con tubi a sottovuoto, uno a sostegno del riscaldamento e l’altro per produrre acqua calda. Già da molti anni Friburgo ospita i maggiori centri di studio e ricerca per l’energia solare, i maggiori esempi di case o quartieri solari ed ecologici e cooperative solari costituite dai cittadini (anche da quelli che non hanno un proprio impianto ma che comprano quote di altri impianti). Ed ecco perché è importante parlare di Friburgo. Lo scorso febbraio 32 imprenditori (quasi metà delle imprese pugliesi aderenti al consorzio Costellazione Apulia, formato da aziende che hanno deciso di investire nella responsabilità sociale d’impresa e nello scambio di esternalità) sono andati a “conoscere” questa città e hanno trovato una realtà incredibile, anche per chi (come alcuni soci) si occupa di energie rinnovabili. Hanno scoperto che lì, con un quarto del nostro sole, producono il 50 per cento dell’energia solare della Germania. Tutto ciò che è possibile rivestire con pannelli solari o fotovoltaici è coperto. Tetti e facciate rivolti a sud ospitano pannelli scuri e vetrate che d’inverno catturano il sole e d’estate vengono adeguatamente schermate. Architetti e designer li hanno progettati in maniera da renderli esteticamente gradevoli, quasi delle opere d’arte. Un appartamento progettato e realizzato per produrre più energia di quella che consuma costa solo 2.050,00 euro a metro quadro (prezzo esposto su cartellone). Per evitare che la burocrazia intralci l’uso di pannelli solari e fotovoltaici, nonostante intacchino la purezza architettonica del centro medievale, i regolamenti edilizi sono semplici. La forza di Friburgo è che ogni azione è utile a conseguire la visione condivisa, affrontata con un approccio sistemico che permette a ogni livello della società (dagli amministratori, agli imprenditori, ai professionisti, ai semplici cittadini) di partecipare e di "crederci". Il risparmio energetico, la mobilità sostenibile, la rinuncia alle automobili, sono scelte libere di un nuovo stile di vita, che la popolazione vive per rendere migliori la città, il territorio e il proprio futuro. Girando per Friburgo, gli imprenditori di Costellazione Apulia hanno potuto vedere un’auto alimentata a pan56
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nelli fotovoltaici (perfettamente funzionante da otto anni), mamme che portano in giro i carrozzini indossando i pattini a rotelle e soprattutto tante, tantissime biciclette. Basta fermarsi alla stazione ferroviaria, luogo di interscambio tra diversi mezzi pubblici e privati, da cui partono lunghe piste ciclabili, la rete tranviaria e una ferrovia suburbana che collega la città con i paesi vicini (mezzi che si possono indifferentemente usare con un solo biglietto giornaliero dal costo non eccessivo). Qui c’è un parcheggio per 1000 biciclette: si tratta di un edificio a cilindro rivestito in liste di legno e schermato da un ombrello fotovoltaico, in cui le bici sono parcheggiate su due livelli. La bicicletta non è, come per noi, un mezzo alternativo, ma un mezzo ordinario, tanto che per strada ci sono distributori automatici di camere d’aria, anziché di sigarette. Esistono interi quartieri in cui le auto, parcheggiate all’esterno, non circolano e le grandi dorsali del traffico sono "nascoste" e isolate dal punto di vista acustico. É normale l’uso del car pooling, cioè la condivisione di automobili, previo pagamento di una quota associativa e poi del tempo di utilizzo e dei chilometri effettivamente percorsi. L’albergo che ha ospitato gli imprenditori pugliesi è alimentato per solo il 10% del fabbisogno energetico da un impianto fotovoltaico, oltre che da un impianto con caldaia a pellet per il riscaldamento e un impianto geotermico all’interno di una falda d’acqua per l’impianto di condizionamento. Quasi tutto ciò che è servito a colazione non prevede imballaggi ed è prodotto nella provincia, contribuendo alla bassa incidenza dell’impatto dei trasporti. Nelle camere non ci sono monodosi di shampoo e sapone ma solo dispenser a parete ricaricabili. Non siamo nel paese delle meraviglie, siamo in una normalissima città fatta da normalissimi cittadini. Cittadini “furbi”; in realtà gente normale, saggia quanto basta per capire cosa significa vivere bene. Trentanni fa non sapevano cosa significasse, ma qualcuno glielo ha fatto comprendere. Qualcuno che sapeva come fare una pianificazione strategica verso la sostenibilità. Qualcuno che aveva alto senso civico e sentiva una grande responsabilità e che ha saputo utilizzare al meglio le risorse economiche disponibili. E in cosa ha investito i primi soldi? Nell’insegnare la “sostenibilità” nelle scuole, nel distribuire strumenti di apprendimento alle famiglie, nell’insegnare alle imprese come evitare lo spreco di energie e ai politici a governare in ottica di bene comune.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 2 aprile 2008 - pagina 7
IL BENESSERE DI UNA COMUNITÀ AUMENTA ANCHE SE LE ENTRATE DI BILANCIO NON CRESCONO Quali sono le risorse pregiate di un territorio? Come vanno utilizzate? “Ogni volta che si chiede ad un capo di Stato quali sono le risorse naturali più preziose del suo paese, di norma le risposte spaziano dalle fonti di energia alle montagne, passando dal patrimonio artistico ai fiumi. Solo dopo si comincia a parlare delle persone. Ovviamente questo è un errore in cui purtroppo ci si imbatte spesso, le persone sono infatti la risorsa naturale più importante, quella di maggiore impatto sulle politiche e sul territorio che ha il potere di creare e distruggere” (da “Un nuovo paradigma di abbondanza” di Eric Ezechieli, presidente di The Natural Step Italia). Se ripensiamo ai significativi esempi di Whistler (Canada) e di Friburgo (Germania) che finora ho citato in questa rubrica, comprendiamo che essi rappresentano esattamente quanto affermato da Ezechieli: perché una pianificazione strategica funzioni - dando risultati visibili nel breve e nel lungo periodo - ci devono essere “persone” che decidono di essere una comunità coesa, capace di condividere pienamente obiettivi e azioni verso la sostenibilità. È l’essere una comunità che fa la differenza, che permette ai cittadini, alle associazioni e alle imprese presenti sul territorio di sentirsi coinvolte e direttamente partecipi alla costruzione di un futuro migliore. Compito delle amministrazioni è attivarsi con tutte le forze - perché la partecipazione sia il la più completa ed efficace possibile. Vediamo ora come l’ha utilizzata recentemente l’amministrazione di Cassinetta di Lugagnano (MI) che nel marzo 2007 ha approvato il PGT (Piano di Governo del Territorio), dopo essersi esercitata con la partecipazione attiva della comunità per quasi 5 anni. Una partecipazione continua di bambini, associazioni, gruppi informali o singoli cittadini che ha portato a una forte condivisione delle scelte a partire da quelle di bilancio. Il giovane sindaco di Cassinetta, Domenico Finiguerra, interessato ad “emancipare” il bilancio dagli oneri di urbanizzazione, ha chiesto alla cittadinanza se preferiva pagare quel tanto in più di tasse necessarie a ottenere servizi funzionali o pagarne di meno grazie agli oneri di urbanizzazione che il Comune si sarebbe potuto procurare prevedendo nuove zone di espansione urbanistica. Il territorio di Cassinetta di Lugagnano - che rientra nel Parco Lombardo della Valle del Ticino, riserva della Biosfera UNESCO – avrebbe avuto, infatti, la possibilità di essere lottizzato rispondendo alla domande sempre crescente di nuova edilizia della zona sud-ovest di Milano. Attraverso assemblee pubbliche aperte, la cittadinanza si è espressa a favore di una politica di bilancio che li rendesse liberi dalla “crescita a tutti costi” e dalla cultura che la ricchezza di una comunità si fa con nuove abitazioni e nuovi cittadini che producono nuove entrate. Hanno deciso di far fronte ai loro bisogni di spese correnti e nuovi investimenti ricercando, ed ottenendo con reali progetti, contributi provinciali, regionali e statali a fondo perduto; e questo ha permesso di finanziare nuove opere pubbliche affiancate a interventi di recupero dei volumi esistenti (ad es. la realizzazione di una nuova farmacia è stata accompagnata dalla realizzazione del nuovo polo 59
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sanitario). Anziché diminuire, l’offerta dei servizi sociali, educativi e culturali è aumentata e non è stato fatto nessun taglio alla spesa per i servizi alla persona. La via scelta dal Comune di Cassinetta è stata quella di migliorare il benessere senza crescere, senza diventare più grossi. La comunità di questo paese ha fatto – così come dice la metafora del progetto Di.Mo.Stra. – “un percorso per trasformare la propria città nella migliore in cui vivere”. É interessante sapere, quindi, che nei documenti di programmazione e nel PGT stesso non è stata prevista nessuna nuova zona di espansione, perché i cittadini hanno condiviso (quale obiettivo prioritario e unificante fondato su valori) che “non è sostenibile un modello di sviluppo che preveda il consumo sistematico del suolo”. La decisione di adottare la “crescita zero” come cardine della politica urbanistica, condivisa dai cittadini, ha provocato lo stupore perfino degli urbanisti, increduli che una comunità potesse scegliere di non crescere per mantenere integro il territorio. Ma da questa scelta la comunità ci ha solo guadagnato, perché è stata salvaguardata l’agricoltura, la qualità ambientale, sono state evitate grandi e invasive infrastrutture pubbliche e soprattutto gli investimenti urbanistici hanno riguardato prevalentemente il recupero del centro storico e del patrimonio immobiliare già esistente (al quale è rivolto un dettagliato Piano del colore contenuto nel PGT). Questo piccolo esempio, insieme ad altri di cui ho già raccontato o alle numerose iniziative di Comuni “verdi” come Ferrara, dà ragione ad Eric Ezechieli, che dice: “L’Italia si sta muovendo come paese precursore e guida di cambiamenti che, prima o poi, riguarderanno tutto il mondo. In un’epoca in cui tutti parlano di scarsità e limiti, il nostro paese sta applicando un nuovo principio di abbondanza fondato sull’uso intelligente delle risorse e sulla riconnessione delle varie parti di un sistema che è andato sempre più frammentandosi nei decenni passati” (da “Un nuovo paradigma di abbondanza”). In Italia è infatti possibile incontrare dei piccoli network capaci di utilizzare l’intelligenza collettiva per realizzare piani strategici che mirano alla sostenibilità.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 9 aprile 2008 - pagina 7
LE CITTÀ INSEGNANO A STAR MEGLIO CONSUMANDO MENO Come si può far comprendere ai cittadini la necessità uno stile di vita più sobrio? L’avidità è un sostantivo che in questi ultimi anni si è trasformato in uno stile di vita che ormai tutti riconoscono come standard. L’avidità che caratterizza la civiltà occidentale, pervasa dal consumismo, ha superato il desiderio sfrenato di possedere per consumare e divertirsi consumando. Eppure oggi in molti si sforzano di far comprendere che questo stile di vita porterà presto al più grave, e mai visto prima, impoverimento dei popoli – specialmente quelli del Sud del mondo – ed alla necessità di ricorrere urgentemente a nuove fonti di energia per effetto dell’esaurimento di quelle tradizionalmente conosciute. Come evitare tutto questo? Cambiando stile di vita. Ovviamente tutti aspettano che ad iniziare sia qualcun altro. E come dargli torto se i politici di questi giorni ci dicono che bisogna riprendere a crescere e per crescere bisogna consumare! Allora chi è che dice bugie? Solo chi è avido non sa riconoscere il bugiardo. Alcune città italiane hanno scoperto che si può vivere meglio consumando meno, e per questo appaiono determinate a fare pianificazione strategica verso la sostenibilità. Sono città che hanno investito, o stanno investendo, i loro soldi in progetti che informano e formano la gente al fatto che si può cambiare senza privarsi di tutto ciò che ci siamo guadagnati attraverso il lavoro quotidiano o senza stravolgere completamente le proprie abitudini. Basta riflettere su tutto quello che ogni giorno buttiamo via pur non utilizzandolo, come gli imballaggi (attenzione, noi paghiamo sempre l’imballo dei prodotti che acquistiamo). “Pensate alla scatoletta del tubetto di dentifricio: tu non la usi mica, tu la compri, togli il dentifricio e la butti via”, ha ricordato Beppe Grillo. E la stessa cosa vale per i contenitori dei detersivi liquidi. In Germania già da un po’di tempo si utilizza il detersivo alla spina, costa il 50% in meno e l’unico inconveniente è quello di portarsi dietro il contenitore ogni volta che si va a fare la spesa! Un’iniziativa simile è stata da poco adottata anche a Bari, presso l’ipermercato Auchan di Modugno, ed è la soluzione migliore per risparmiare sul costo dell’imballaggio oltre che per produrre meno rifiuti di plastica difficilmente riciclabili. Rivedere il proprio stile di vita in ottica sostenibile non è difficile né impossibile, richiede solo piccoli cambiamenti. Nel 2005 il Comune di Venezia ha lanciato il progetto Cambieresti? (acronimo di Consumi, Ambiente, Risparmio energetico e Stili di vita), con il quale è stato chiesto a mille famiglie di rivedere per dieci mesi i propri stili di vita, riducendo i consumi ed orientandoli in senso più etico e rispettoso dell’ambiente. Il messaggio di fondo che Cambieresti? ha voluto diffondere è “star meglio consumando meno”. “Sembra un’eresia – ha detto Paolo Cacciari, ex Assessore all’Ambiente del Comune di Venezia, ideatore e promotore del progetto – siamo così abituati ad associare il benessere al consumo, la felicità al poter spendere, la realizzazione dei propri desideri al possesso di cose, da aver smarrito il contenuto di fatica vera che c’è nei soldi guadagnati lavorando, il significato concreto di ciò che compriamo”. 62
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Il progetto Cambieresti? è durato 18 mesi e si è articolato in tre fasi. Una prima fase di progettazione partecipata, durata sei mesi, ha permesso di attivare un tavolo di lavoro allargato in cui si sono confrontate tutte le risorse, le conoscenze e le esperienze presenti a livello locale. È poi partita la campagna informativa (manifesti, locandine, brochure, ecc.) per far conoscere il progetto alla città e raccogliere le adesioni dei cittadini, arrivate così numerose da aver superato ogni aspettativa. La sperimentazione con le famiglie è durata dieci mesi, dopo i quali sono stati elaborati i risultati e sono state fatte le valutazioni conseguenti al progetto. Le persone effettivamente coinvolte nel progetto sono state 2.980, prevalentemente in età lavorativa (dai 30 ai 35 anni) anche se non sono mancati gli over 65 e alcuni studenti. Le modalità di azione proposte a chi ha aderito al progetto prevedevano innanzi tutto la partecipazione assidua a incontri di approfondimento, dove venivano trattati temi come la medicina alternativa, la finanza etica, i condomini solidali e il risparmio energetico a livello domestico. Poi la possibilità di usufruire in modo libero ed autonomo degli strumenti messi a disposizione come la floriterapia, acqua del rubinetto purificata da bere, case bioecologiche, pannelli solari (costruiti a volte dalle stesse famiglie) ecc. Nonostante l’abbandono di molti, le critiche e i problemi riscontrati, Cambieresti? è stata un’esperienza unica che ha permesso in alcune famiglie di ridurre fino al 13% del consumo dell’acqua, grazie solo a una maggiore cura dei comportamenti. Per l’elettricità la riduzione è arrivata al 27% grazie al solo utilizzo di lampadine a basso consumo. Inoltre tra i partecipanti sono nate relazioni di amicizia che hanno permesso di scambiarsi le buone abitudini e ad alcuni di continuare l’esperienza anche da soli, ad es. costituendo Gruppi di acquisto solidale. Il progetto di Venezia non è per fortuna rimasto isolato: Comuni come Campobasso, Colorno (Pr), Piacenza, Biella e Ferrara hanno avviato esperienze simili, in grado davvero di procurare un cambiamento di stili di vita, anche grazie ad una rivoluzione nei consumi.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 16 aprile 2008 - pagina 7
LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA NON DEVE IGNORARE LA FAMIGLIA Perché, e in che modo, la pianificazione strategica è attenta alla famiglia? La pianificazione strategica è lo strumento ideale per realizzare il Bene Comune, è evidente, perciò, che non può dimenticare tutti gli aspetti del sociale ed ovviamente la famiglia. Per spiegare come la pianificazione strategica possa agire per impegnarsi sul fronte sociale, bisogna innanzi tutto recuperare il principio di solidarietà e quella di sussidiarietà (si veda il Quotidiano di Bari del 12 e del 19 dicembre 2007). Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Sollicitudo rei socialis ha definito la solidarietà: “la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”; il principio di sussidiarietà, riconosciuto dall’Ue attraverso il Trattato di Maastricht, stabilisce che lo Stato e gli enti locali devono intervenire solo quando i singoli e i gruppi che compongono la società non sono in grado di farcela da soli, cercando soluzioni che permettano agli individui di partecipare attivamente alla costruzione di soluzioni utili e non di essere assistiti passivamente. Per poter realizzare il bene comune, quindi, è fondamentale che le amministrazioni applichino contestualmente i principi di solidarietà e di sussidiarietà, e comprendano primariamente che le politiche sociali non corrispondono con le politiche familiari. Per spiegare questo prendo a prestito le parole del prof. Pierpaolo Donati, che recentemente - in un convegno a Bari - ha detto: “una politica è familiare se i provvedimenti sono pensati e gestiti per sostenere le relazioni familiari come tali, e non si rivolgono ai bisogni dell’individuo generico”. Insomma, le proposte per il sociale che possono essere elaborate da una pianificazione strategica devono puntare a soddisfare i bisogni della comunità, concentrandosi innanzi tutto sui bisogni che sono tipici del nucleo familiare, non solo dei singoli individui che lo compongono. É bene capire che non sono politiche familiari quelle che considerano la famiglia solo come un insieme di individui e prevedono esenzioni, sconti e benefici in base al numero dei componenti. Facciamo ancora un esempio: abbassare la TARSU o l’Ici, aprire nuovi asili nido, sono scelte proprie di politiche che aiutano le persone che sono in una famiglia, ma certo non sono politiche che aiutano a “fare famiglia”. E questa è una bella differenza, se pensiamo che essere famiglia è un pre-requisito dell’essere una comunità. Recentemente a Parigi nel meeting delle ECO-CITTA’, George Iacobescu, amministratore delegato del nuovo quartiere d’affari londinese di CanaryWharf, ha sottolineato: “É molto facile costruire edifici, molto più difficile è costruire una comunità”. Quindi per fare comunità dobbiamo impegnarci a “fare famiglia”, che è la cosa che risulta più difficile. Dice ancora Donati: “La politica familiare deve evitare i possibili equivoci nei suoi presupposti e nei suoi effetti, e quindi richiede una definizione distintiva e promozionale (capace cioè di distinguere la famiglia dalle altre relazioni che non lo sono), perché si tratta di promuovere la soggettività sociale della famiglia, anche come porta65
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trice di identità ed interessi, dunque di scelte autonome” (dalla relazione su “Politiche familiari e sussidiarietà: il ruolo delle amministrazioni locali”, 2008). L’ideale sarebbe passare dall’attuale idea e forma di welfare, secondo cui le politiche sociali sono un modo per risarcire chi ha bisogno di essere riportato alla massima funzionalità per il mercato del lavoro e del consumo, ad un “welfare societario plurale, che vede la persona come un individuo in relazione con gli altri capace di realizzarsi prima di tutto nella sfera privata (attraverso il suo compito identitario primario cioè la costituzione di una famiglia) e poi nella sfera pubblica e di mercato”. In questo modo la pianificazione strategica potrebbe dare un serio contributo a mettere fine a politiche sociali di tipo assistenzialistico, che si stanno rivelando fallimentari, e si potrebbe passare a politiche sociali che, combinando solidarietà e sussidiarietà, siano in grado di valorizzare la famiglia nelle funzioni che solo lei può e deve esercitare. Si deve dar vita ad azioni di governo locale che alimentino le “buone pratiche”, cioè interventi che hanno l’effetto di mettere le famiglie in condizioni di poter esercitare scelte di libertà e responsabilità propria. Ovviamente per far sì che questo accada, le famiglie devono partecipare a tutto il processo di condivisione, tipico di una pianificazione strategica e di cui abbiamo parlato già in precedenza (si veda il Quotidiano di Bari del 9 e 16 gennaio e del 6 febbraio scorsi). É fondamentale quindi invitare quanti hanno responsabilità di attuazione del piano strategico a non dimenticare cosa accade in una vera famiglia se vogliono praticare il bene e contemporaneamente la solidarietà e la sussidiarietà.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 23 aprile 2008 - pagina 4
UNA ECO-CITTÀ FRUTTO DELLA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI: IL QUARTIERE VAUBAN DI FRIBURGO È possibile che in un percorso di pianificazione strategica siano i cittadini i veri protagonisti e artefici del cambiamento verso la sostenibilità? Sì, è assolutamente possibile, e spero che ciò avvenga anche in Italia, presto e ovunque. Sono certo che i cittadini delle grandi città ormai hanno consapevolezza che l’inurbamento ha raggiunto livelli sconcertanti e che ci ritroviamo a vivere in città sempre più insopportabili, caotiche ed inquinate. I motivi di allarme sono sia di ordine sociale che di ordine ambientale. Le città si connotano sempre di più come un organismo parassitario che si nutre di energia (prevalentemente idrocarburi) e materia (alimenti e merci) provenienti dall’esterno, le metabolizza per il suo funzionamento (la vita quotidiana dei cittadini) e le restituisce all’esterno sotto forma di rifiuti ed emissioni inquinanti. Se le città sono diventate un’insostenibile fabbrica di inquinamento, al tempo stesso sono il luogo da cui ripartire (si veda il Quotidiano di Bari del 12 marzo scorso), e questo sicuramente grazie all’impegno di pubblici amministratori illuminati, di imprese e cittadini responsabili. Il circuito causale - tipico del’approccio sistemico - che caratterizza il modello Di.Mo.Stra. (www.progettodimostra.it) può rendere evidente come una comunità, che condivide solidi principi e valori, sia capace di avviare un percorso di cambiamento verso la sostenibilità senza aspettare i finanziamenti pubblici. E se il modello su carta non dovesse essere sufficiente ci si può ispirare ai fatti. Quando oltre trent’anni fa la città tedesca di Friburgo (si veda il Quotidiano di Bari del 26 marzo scorso) ha deciso di rinunciare al nucleare e alle energie fossili per investire nell’energia solare, la scelta non è stata fatta perché c’erano finanziamenti, ma solo perché l’amministrazione, i cittadini, i centri di ricerca e le imprese hanno saputo trasformare in azioni concrete principi e valori, desideri e speranze per un futuro migliore. Tutti insieme hanno saputo avviare una pianificazione strategica con obiettivi chiari e condivisi, come ad esempio: ridurre le emissioni di gas nell’aria o la produzione di rifiuti, sfruttare l’energia proveniente dal sole per ogni utilizzo possibile, rinunciare alle auto e circolare in bicicletta. Questi obiettivi erano così tanto condivisi che si è riusciti a costruire collegialmente l’esperienza esemplare dell’eco-quartiere di Vauban (www.vauban.de), nato dal progetto di recupero di un’area dove fino al 1992 sorgeva un’antica caserma francese utilizzata dall’esercito, e poi in seguito di quello di Rieselfeld. I due quartieri oggi ospitano circa 6.500 case autosufficienti in termini di energia, spazi verdi attrezzati in particolare per i bambini, servizi pubblici efficienti che permettono di lasciare le auto fuori dal quartiere, di circolare solo in bici e di raggiungere in poco tempo il centro cittadino. In più in essi si praticano stili di vita ispirati alla democrazia partecipata. L’eco-quartiere di Vauban è stato progettato e realizzato seguendo il concetto di “pianificazione didattica”, cioè mediante un’elevata flessibilità nel reagire a ogni esigenza o proposta da parte della cittadinanza. Nel 1994 è stato costituito il “Forum dei cittadini”, logo dove esercitare l’intelligenza collettiva per creare il primo modello di quartiere residenziale ecologi68
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co. Il Forum, che si è costituito come associazione senza fine di lucro, è organo consultivo del gruppo consiliare del Comune, organizza gruppi di lavoro, campagne d’informazione e altre manifestazioni sullo sviluppo socio-ecologico del quartiere. I cittadini partecipano con le loro idee su vari livelli, nei gruppi di lavoro si discutono problemi comuni come traffico, energia, comunità abitative e questioni femminili, vengono organizzati incontri informali e corsi pratici rivolti ai residenti e workshop realizzati insieme all’amministrazione comunale su tematiche come le vie residenziali e le cinture verdi. I fondi per le attività del Forum provengono dalle quote d’iscrizione, da donazioni, dalla erogazione di servizi oltre che da contributi pubblici. Il quartiere di Vauban, per il grande lavoro di partecipazione e cooperazione della cittadinanza, è stato premiato dal Governo tedesco che lo ha presentato alla conferenza mondiale HABITAT II di Istanbul del 1996 come “best practice” nazionale. Fortunatamente in Europa e in Italia esistono altre esperienze di eco-città; basta ricordare le tre città vincitrici del Riconoscimento Europeo della Città Sostenibile del 2003: Heidelberg, dove grazie alle autorità cittadine e all’università si sono ridotte le emissioni di carbonio e dioxide nell’aria rispettivamente del 35% e del 15%; Oslo, nota per il suo efficace sistema di trasporto pubblico e riduzione nella produzione di rifiuti; Ferrara concentrata con un sistema funzionale di riciclaggio e sulla mobilità sostenibile (si veda il Quotidiano di Bari del 20 febbraio scorso). Questi buoni esempi, che si stanno diffondendo sempre più, dimostrano che lavorare per la sostenibilità conviene, è possibile, e soprattutto che è vincente farlo tutti insieme.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 30 aprile 2008 - pagina 7
LE DELIBERE DI GIUNTA PER UNA ECO-CITTÀ Quali decisioni deve prendere una giunta comunale per rendere la propria città “sostenibile”? La domanda è interessante anche e soprattutto perché una giunta comunale può deliberare molte cose anche senza disporre di un progetto di pianificazione strategica. Da subito, una giunta comunale può studiare e fare proprie le Linee guida per l’attuazione degli Aalborg Commitments elaborate dal Segretariato europeo della Iclei (Local Governments for Sustainability) ed iniziare a darsi degli obiettivi. Per dare un piccolo suggerimento è bene che tali obiettivi siano SMART (Specific, Measurable, Achievable, Realistic, Time-bound), cioè specifici, misurabili, raggiungibili, realistici, con una scadenza precisa. Fare questo non ci porta lontano da quanto già detto (vedi Quotidiano di Bari del 6 febbraio scorso) a proposito della “definizione di successo” indicata dal modello Di.Mo.Stra. - la quale, precedentemente condivisa in modo collegiale da tutta la giunta, è fondamentale per realizzare gli obiettivi. Va da sé che i dirigenti di ripartizione non possono essere esclusi da questo processo di condivisione. A loro è affidata la realizzazione, quindi devono avere ben chiaro il perché e come attuare le scelte deliberate. Il modello Di.Mo.Stra. ci ricorda che le scelte per realizzare una eco-città si concretizzano nell’impegno a: 1) ridurre l’aumento di concentrazioni di composti che si estraggono dal sottosuolo (es. combustibili fossili, metalli pesanti come mercurio e piombo, materiali radioattivi, amianto ecc); 2) ridurre l’aumento di concentrazioni di sostanze prodotte dalla società (es. CO2, pesticidi, diserbanti, composti volatili e altri composti che la natura non è in grado di riassorbire); 3) ridurre il sistematico degrado fisico della natura; 4) ridurre quelle condizioni ambientali, ma anche socioeconomiche, che impediscono alle persone di soddisfare i propri bisogni. È evidente che una giunta comunale dispone di tanti elementi per poter deliberare a favore di una eco-città. Ma cosa potrebbe deliberare? Quelle che seguono sono solo alcune delle tante idee che si potrebbero realizzare, e perciò non sono da considerare esaustive dei bisogni di una eco-città. Sintetizzando gli appunti raccolti da Maurizio Pallante, fondatore del Movimento della Decrescita Felice, nello scritto (non ancora pubblicato) “Proposte alla Politica”, proviamo a stilare una lista delle deliberazioni possibili: 1) Ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio pubblico con l’obbiettivo minimo di avere edifici di classe C, cioè edifici che hanno un consumo energetico di 70 chilowattora al metro quadrato all’anno 2) Certificazione energetica degli edifici sulla base delle classi di efficienza energetica adottate dalla Provincia autonoma di Bolzano già nel 2004 3) Formulazione di allegati energetico-ambientali ai regolamenti edilizi, vincolanti la concessione delle licenze edilizie, per il raggiungimento degli standard di consumo di classe C 71
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4) Espansione del verde urbano nell’ottica di una riduzione dello squilibrio complessivo tra inorganico e organico, con fissazione di percentuali annue di incremento al fine di: migliorare i microclimi urbani; aumentare l’alimentazione delle falde idriche riducendo l’impermeabilizzazione dei suoli; potenziare la fotosintesi clorofilliana per incrementare l’assorbimento CO2 5) Uso nell’edilizia di materiali locali, per quanto possibile, e riuso di materiali provenienti dalle demolizioni 6) Nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni: obbligo del doppio circuito, acqua potabile per gli usi alimentari e non potabile per gli altri usi, obbligo di usare l’acqua piovana per gli sciacquoni 7) Valutazione strategica dell’impatto ambientale per qualsiasi intervento sul territorio 8) Divieto di costruire parcheggi per edifici destinati ad attività lavorative, divieto totale di sosta nelle strade dei centri storici a eccezione dei residenti e destinazione agli stessi dei parcheggi sotterranei esistenti 9) Riduzione del traffico di merci e persone incentivando: l’uso individuale e collettivo di automobili pubbliche (car sharing e taxi collettivi) e l’uso collettivo di automobili private (car pooling) 10) Potenziamento dei sistemi di trasporto pubblico, favorendo i mezzi a trazione elettrica alimentati da reti e affiancando ai mezzi di trasporto collettivi (filobus e tram) mezzi di trasporto pubblico a uso individuale utilizzabili con schede prepagate a consumo ricaricabili 11) Incentivazione di filobus alimentati da reti elettriche sul sedimento stradale, in modo da poter estendere l’alimentazione anche ad automobili elettriche senza batterie 12) Blocco del traffico privato nei centri urbani. Molti si chiederanno quanto possa essere difficile prendere le decisioni di cui sopra in assenza di condivisione con la comunità. Ebbene qualche difficoltà potrebbe esserci, ma sicuramente vale la pena affrontarle in un lavoro continuo per co-creare una visione di città sostenibile insieme a tutti i cittadini. Agendo così potremo superare quanto detto da George Iacobescu, amministratore delegato del nuovo quartiere d’affari londinese di CanaryWharf, durante il Summit sulle Eco-città di Parigi del 14 e 15 febbraio 2008: “É molto facile costruire edifici, molto più difficile è costruire una comunità”.
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Quotidiano di Bari, mercoledì 7 maggio 2008 - pagina 7
UNA ECO-CITTÀ NON PRODUCE RIFIUTI E’ davvero possibile ridurre la produzione di rifiuti? Quali comportamenti devono praticare singoli cittadini e pubbliche amministrazioni? É bene iniziare a pensare ai rifiuti in maniera diversa: l’impegno non deve essere solo quello di inventare sistemi di smaltimento poco inquinanti e in grado di realizzare una vera raccolta differenziata, ma deve essere soprattutto quello di produrre meno rifiuti già dal momento dell’acquisto dei prodotti. Questo è quello che ci insegna l’approccio sistemico del modello Di.Mo.Stra.: passare dalla cura del sintomo (riciclaggio) alla rimozione della causa (rifiuti), perché curare solo il sintomo significa spostare il problema nel tempo e lasciarlo, più grave, alle generazioni che verranno. Vediamo come si può lavorare sulla causa, partendo dalla guida “Ridurre i rifiuti” della Provincia di Varese che ci ricorda che circa il 50% dei volumi dei rifiuti non umidi prodotti in ambito domestico sono imballaggi. E se è vero che l’imballaggio garantisce la massima sicurezza del prodotto proteggendolo da ogni tipo di alterazione o danneggiamento, è altrettanto vero che spesso gli imballaggi sono in materiale non riciclabile o difficile da differenziare perché multimateriale (si pensi al tetrapak o al polistirolo). Come consumatori, quindi, per rimuovere la causa dobbiamo iniziare a fare acquisti ponendo attenzione sia al volume che alla tipologia degli imballaggi. Di conseguenza: comprare prodotti con imballaggi ridotti al minimo, possibilmente riciclabili (ad es. non farsi incartare i cibi in pellicole e alluminio), acquistare prodotti alla spina riutilizzando gli imballaggi, senza dimenticare che il vetro o le cassette di frutta sono vuoti a rendere da restituire ai negozianti. Altre scelte da fare sono: acquistare prodotti “formato famiglia”, più convenienti dei monodose e caratterizzati da un volume di imballaggio inferiore rispetto alle confezioni più piccole; comprare intero (un salame, una forma di formaggio) in modo tale da evitare le vaschette di plastica; utilizzare borse per la spesa di carta o di stoffa e non più quelle di plastica. Una cosa che dobbiamo imparare a fare è evitare il più possibile prodotti usa e getta. Stracci al posto del panno carta, tovaglioli e fazzoletti di stoffa invece di quelli di carta, bicchieri di vetro o di plastica lavabile, piatti di ceramica, posate di acciaio: meglio insegnare ai nostri figli a lavare gli utensili piuttosto che a buttarli, soprattutto se non sono riciclabili. Questo vale anche per le cose che noi consideriamo vecchie, consumate, ormai inutilizzabili; per noi sono un rifiuto per altri no. Evitiamo di buttare, doniamo o scambiamo oggetti e non vergogniamoci di possedere e indossare cose usate. Compriamo ricaricato o ricaricabile, riciclato o rigenerato e riparabile, così da poter cambiare i pezzi guasti e non dover buttare l’intero oggetto. Potremmo ridurre i consumi di energia, oltre che l’inquinamento e i costi giornalieri da sostenere, se imparassimo a bere acqua del rubinetto e a consumare prodotti freschi, di stagione, comprati nei mercati rionali – tutti rigorosamente senza imballaggi. Non sottovalutiamo il fatto che i prodotti venduti nella grande distribuzione solitamente provengono da lontano (con aumento del traffico su strada e dell’inquinamen74
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to) e giungono preconfezionati (spesso in confezioni fatte di materiale inquinante di plastica o polistirolo). Possiamo anche imparare ad autoprodurre i beni, dagli alimenti, ai vestiti, ai giocattoli. Pensiamo a quanti imballaggi si eviterebbero se sostituissimo alle merendine una bella ciambella fatta in casa; pensiamo alla felicità dei nostri figli se costruissimo con loro un aquilone e li portassimo a giocare in campagna. Naturalmente molti staranno già pensando quanto sia difficile modificare il nostro attuale stile di vita con comportamenti coerenti con quanto detto finora. Dobbiamo aiutarci a vicenda e chiedere, a chi governa, di aiutarci. Alle amministrazioni il compito di investire nell’educazione dei bambini e spiegare agli adulti quanto benessere potranno donare ai loro figli e nipoti praticando la raccolta differenziata. In Italia ci sono numerose iniziative, più o meno riuscite. Un esempio vincente è quello del Consorzio Intercomunale Priula, che gestisce l’intero ciclo di rifiuti di 23 Comuni della provincia di Treviso per un totale di quasi 100.000 utenze e 220.000 abitanti (www.consorziopriula.it). Il sistema di recupero e smaltimento si caratterizza per la raccolta differenziata “porta a porta”, che consente di prelevare a domicilio le varie tipologie di rifiuto urbano. Il Consorzio copre interamente i costi di gestione dei rifiuti con la riscossione di una tariffa applicata ai vari utenti commisurata all’effettiva produzione di rifiuti. L’utente paga un quota fissa e una variabile, che dipende dal numero di svuotamenti del contenitore del secco non riciclabile, che è quel tipo di rifiuto maggiormente inquinante e costoso da smaltire. Quindi chi ne produce di più, perché sceglie prodotti non riciclabili, fa aumentare i costi di smaltimento e di conseguenza paga di più. Questo esperienza ha raggiunto, oggi, una percentuale di riciclaggio che si aggira intorno al 77% ed una notevole riduzione (18% in soli 5 anni) della produzione procapite di rifiuti.
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ROBERTO LORUSSO Curriculum
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Coordinatore del progetto di ricerca, "definizione e DIvulgazione di MOdelli SRAtegici" - Di.Mo.Stra. - per una governance innovativa e partecipativa, realizzato dall'ANCI. Da più di 25 anni, è imprenditore e consulente per l'innovazione e l'apprendimento continuo. Si occupa di progettazione e coordinamento - per Enti Pubblici ed Imprese - di programmi di cambiamento organizzativo attraverso tecniche di Partecipazione Creativa e Dinamica dei Sistemi. Le esperienze professionali ed un continuo e sistematico percorso di apprendimento gli hanno consentito di progettare e condurre importanti progetti di ricerca, tra cui: INTRAPRESA della Learning Organisation nelle PMI pugliesi, in partnership con l'Università di Dresda, l'Università di Brema, la University of Central England, il Politecnico e l'Università di Bari. Il progetto ha rappresentato l'Italia al Congresso Europeo sulle "nuove forme di organizzazione del lavoro" del 2000, ricevendo notevoli riconoscimenti; AVANZARE, realizzato con il Consorzio Costellazione Apulia, avente come scopo la creazione e la condivisione in rete delle Esternalità positive prodotte dalle imprese; RIPRESA, per la Definizione e Certificazione della Metodologia Harold per l'Apprendimento Organizzativo, finanziato dal MIUR; EDOTTO, cofinanziato dal Ministero del Lavoro, che prevedeva un percorso formativo volto allo sviluppo delle professionalità dell'indotto del mobile nell'area geografica compresa tra Matera, Taranto e Bari; EVOLUTION, in sinergia con il Patto Territoriale Ofantino, che mirava allo sviluppo della collaborazione interaziendale al fine di definire nuovi modelli per lo sviluppo socio-economico del territorio; FORECOST, finanziato dal Murst e realizzato in collaborazione con importanti istituti di ricerca. L'occasione ha dato origine alla sperimentazione di un prototipo per la configurazione di preventivi di offerta in un'azienda di servizi; MOBILE COLLABORATION, che ha consentito di sperimentare strumenti e tecnologie per favorire l'utilizzo di device mobili a supporto dei processi aziendali; MARKETSIM, sistema di simulazione dinamica di marketing. La finalità di tale progetto era quella di fornire supporto ai livelli decisionali aziendali nei processi di definizione strategica nell'area del marketing; AGITECH, comprendente cinque sotto-progetti all'interno della misura Sprintech per l'innovazione tecnologica ed organizzativa per sperimentare processi di reingegnerizzazione del business attraverso Internet; INTERNAZIONALIZZAZIONE, afferente l'esigenza di assistere le imprese che si presentavano sui mercati esteri ed affrontavano la sfida della competività globale; DART - Development Approach by Rapid Prototyping based on Visual Programming and Software Reuse Techniques, con l'obiettivo di conseguire un miglioramento nel processo di sviluppo software e facilitarne la fruizione da parte dei clienti. FOSTER: Facilitiamo l'Organizzazione a Sviluppare compeTEnze di Rinnovamento. Su incarico dell'ISFOL (Istituto per la Formazione
Professionale dei Lavoratori), ha Progettato e Coordinato il Percorso di Apprendimento Organizzativo rivolto ai dirigenti e dipendenti dell'Assessorato alla Formazione Professionale e Lavoro della Regione Puglia. TrattaNo: modelli innovativi di informazione strategica nel contesto della tratta. Nell'ambito di questo progetto europeo Equal, ha svolto l'incarico di Consulente per la progettazione, il test ed il monitoraggio tecnico della sezione E-Management. Il progetto si proponeva come un nuovo modello integrato di educazione alla legalità ed informazione sulla tratta di esseri umani, attraverso la realizzazione di un apposito portale web e di un'adeguata campagna informativa. POWERBIZ, ricerca e sviluppo di una innovativa piattaforma per la fornitura online di soluzioni e servizi auto configurabili dagli utenti. Il progetto prevede la collaborazione del Dipartimento di Informatica dell'Università e del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Gestionale del Politecnico di Bari. Sulla base della specifica esperienza in marketing ed organizzazione di processi di apprendimento collettivi, ha svolto l'incarico di responsabile delle campagna elettorale di Michele Emiliano per la carica di Sindaco di Bari. In questa occasione ha progettato gestito una forma innovativa di campagna elettorale volta al pieno coinvolgimento dei cittadini nella elaborazione del programma. Presso il Comune di Bari, ha svolto l'incarico di Consulente per l'Innovazione dei Processi Decisionali ed Organizzativi, e ha progettato e realizzato il "Metodo in Comune". In occasione del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale, tenutosi a Bari nel maggio 2005, ha svolto il ruolo di Consulente alla Comunicazione Attrattiva per conto del Comitato Organizzativo della Conferenza Episcopale Italiana, e - in qualità di Delegato del Sindaco di Bari - il ruolo di Coordinatore delle attività di Organizzazione e Comunicazione. Per conto dell'IPE (Istituto per le ricerche delle attività educative) e dell'Azienda Ospedaliera Monaldi di Napoli, ha gestito la Progettazione e la Facilitazione del percorso di apprendimento denominato "La nuova Medicina", teso alla riscoperta della umanizzazione della medicina. Ha progettato e coordinato il meeting residenziale del Progetto SPINTA - Servizi per la Promozione di Imprese Nuove a Tecnologia Avanzata. Iniziativa inserita nell'ambito dell'azione "Interventi per la promozione e l'assistenza tecnica per l'avvio di imprese innovative", promossa e cofinanziata dal Ministero Attività Produttive (MAP). Ha svolto l'incarico di Facilitatore dell'Apprendimento nell'ambito del progetto denominato R.I.P.R.O.V.A. UEPE (Rinnovare Investimenti nel Penitenziario Rafforzando Organizzazione, Valori, Attività), promosso dal Ministero della Giustizia. L'intervento ha visto come protagonisti il personale di servizio degli Uffici dell'Esecuzione Penale Esterna dell'Amministrazione Penitenziaria della Regione Puglia presso le sedi di Bari e di Taranto. Collabora con SPEGEA (Scuola di perfezionamento in gestione aziendale) ed Uni.Versus CSEI (Consorzio universitario per la formazione e l'innovazione) per le quali coordina percorsi formativi per la P.A.. In Uni.Versus svolge, inoltre, la funzione di Direttore dell'Officina della Creatività. Dopo i primi libri editi con Franco Angeli in materia di organizzazione e business, ha recentemente pubblicato: "Per una città governabile" (Progedit, 2006) con M. Emiliano, A. De Padova, M. Marchillo. "DePILiamoci - liberarsi dal PIL superfluo e vivere felici" (Editori Riuniti, 2007) con A. De Padova. Tutte le attività di Roberto Lorusso sono ispirate dalla sua filosofia: Solo attraverso la partecipazione attiva delle persone, chiamate ad agire secondo un fare creativo e collegiale, le Comunità e le Organizzazioni possono definire e raggiungere ambiziosi obiettivi di sviluppo sostenibile. L'innovazione radicale, l'apprendimento continuo e l'uso di tecnologie e buone prassi per risparmiare risorse, sono gli ingredienti di un agire quotidiano che, nel superare le regole imposte dal consumismo, produce la riscoperta e la pratica di un antico valore condiviso: il Bene Comune. www.robertolorusso.it 79
Quotidiano di Bari, mercoledĂŹ 14 novembre 2007 - pagina 9
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