ORION smart bt base

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Ministero dell’Università e della Ricerca Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica ACCADEMIA DI BELLE ARTI L’AQUILA SCUOLA DI GRAFICA D’ARTE

Tesi di Diploma Accademico di I livello

Orion studio e progettazione di un dispositivo smart, dalla forma alla validazione dell’idea

Candidato Agostino Luca Matr.n. 4277

Relatore il Chiar.mo Prof Carlo Nannicola

Anno Accademico 2019/2020



Luca Agostino – mat.4277 Relatore: Carlo Nannicola ABAQ Accademia di Belle Arti L’Aquila Grafica d’arte e progettazione A.A. 2019/2020



- Il designer progetta secondo l’ispirazione? - É l’artista che è toccato da messaggi divini, il designer ha un metodo preciso. - L’artista ha la fantasia e il designer? - Ha la creatività che è qualcosa di diverso. - L’artista ha uno stile personale. - Il designer non ha stile alcuno, le forme che progetta sono il risultato di un metodo oggettivo. - Ma insomma cosa crede di essere questo designer? - Un designer, non un artista.

Cfr. B. Munari, Artista e designer, Editori Laterza, Bari, terza edizione 1976





Prefazione

Nella sua massima accezione, la scuola di grafica d’arte e progettazione, mette l’accento sugli ambiti di sperimentazione più vicini alla società. L’aspetto del design, inteso come attività di sintesi e di ricerca, consente all’allievo, e ai corsi afferenti alla disciplina, una pratica continua di attività laboratoriali i cui risultati formano le basi esperienziali nella costruzione artisticoprofessionale del profilo dello studente. Il lavoro proposto e sviluppato da Luca Agostino parte proprio dalla attenta e rigorosa ricerca guidata dalle norme, implicite ed esplicite, della Grafica. La piena comprensione del problema del restyling è stata la prerogativa del lavoro di Luca, l’acquisizione di una tecnica di rappresentazione, sviluppata utilizzando tutti gli strumenti a disposizione degli studenti, dall’incisione calcografica alla modellazione 3D, dalla fotografia al web design, hanno permesso una capacità di visualizzare e interpretare l’oggetto in quanto immagine e poi prodotto. L’approfondimento, ulteriore, nella ricerca del prodotto ha incontrato l’aspetto comunicativo della grafica contribuendo a costruire l’identità dell’oggetto definendone le caratteristiche “sociali” dell’idea di partenza. Carlo Nannicola





Indice PREFAZIONE

pag.

INTRO Abstarct Cos’è lo Orion

DESIGN E DESIGNER La produzione di massa Avanguardie e design Il dopoguerra in Europa

TERZA FASE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Tra locale e globale Design contemporaneo Considerazioni stilistiche e studio di casi attraverso i trend

PROPOSTA PROGETTUALE Ideazione e sketch Genesi della forma Come funziona Interfaccia App Dimensioni e UX

VALIDAZIONE DELL’IDEA

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Benchmark Target

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CONCLUSIONI

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RINGRAZIAMENTI

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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Intro

In questa tesi viene illustrato Orion, un ricevitore e trasmettitore Bluetooth con base di ricarica wireless. Il prodotto intercetta l’esigenza di utenti che vogliono rivalutare i device datati presenti a casa o avere la possibilità di ascoltare musica e tv con le cuffie senza l’ingombro di cavi. Orion è un prodotto adatto ad un futuro senza fili e caratterizzato da un’interfaccia estremamente intuitiva. Troverete all’interno di questa tesi le motivazioni che hanno portato alla realizzazione del prodotto e tutte quelle scelte progettuali che ne permettono un’esperienza utente così semplice. Inoltre sarà esplorata la storia del design e le considerazioni stilistiche.

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Cos’è?

Orion è un ricevitore/trasmettitore Bluetooth con base di ricarica wireless

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*Ma prima un po di storia 5


capitolo 1

Design e Designer

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Il design è un settore molto evoluto rispetto alla condizione storica a cui è legato, oggi è diventato un punto centrale nell’agire dell’impresa, nell’attenzione dei media e nell’atteggiamento attento del consumatore. In questo capitolo si parlerà, sinteticamente, dell’evoluzione subita dal design nel corso del tempo, facendo riferimento al contesto internazionale. Quando ci si interroga sulla storia del design ci si pongono subito due questioni, che cos’è il design? E quando inizia il design? La prima risposta è semplice: design è una parola inglese che significa “progetto” (il designer quindi è un progettista). Spesso si aggiunge un altro termine per precisarne il significato. Così si parla, ad esempio, di industrial design per indicare il design per l’industria o di visual design per quello della comunicazione visiva. Per la seconda sono state proposte date diverse. Ma in realtà l’uomo progetta fin dalle sue origini, prima di tutto per soddisfare le sue necessità. Invece di interrogarsi su quando nasce il design, sembra quindi più interessante chiedersi quando appare il designer come figura sociale e professionale. Tale ruolo si delinea in maniera progressiva tra il XVIII ed il XIX secolo, insieme ad altre professioni come quella dell’ingegnere. Si sviluppano inoltre le Accademie di Belle Arti formulando il concetto stesso di “Belle Arti”. Il design come attività professionale emerge con la prima fase della rivoluzione industriale, tra la metà del Settecento e gli ultimi decenni dell’Ottocento.

La fase si apre con la macchina a vapore di James Watt in Gran Bretagna, migliorando la versione precedente. La macchina di Watt, applicata alle pompe idrauliche, permette di prosciugare le zone profonde delle miniere, incrementando così l’estrazione del carbone, necessario per far funzionare le macchine stesse. Viene inoltre applicata ai telai, con forte sviluppo del settore tessile, e permette la crescita della produzione in molti campi. Si sviluppa così in Gran Bretagna l’industria come sistema produttivo dominante, sostituendo o limitando gradualmente la produzione artigianale. Si moltiplica la produzione di ghisa e ferro e ciò permette la diminuzione dei prezzi. Nascono le locomotive e si sviluppa la rete ferroviaria inglese, che agevola le migrazioni dalle campagne alle città. Si concentrano così masse di uomini e donne nelle manifatture e si sviluppa il fenomeno dell’urbanizzazione. Gradualmente si afferma nel paese lo stile di vita urbano, sia per quanto riguarda i costumi sia per i consumi. Si sviluppano i mercati cittadini, la rete dei negozi, i grandi magazzini. È questa la prima fase della rivoluzione industriale, quella meccanica, seguita a fine Ottocento dalla seconda fase, quella elettrica, dove oltre all’energia elettrica anche quella derivata da fonti petrolifere avrà un ruolo dominante grazie all’invenzione del motore a scoppio. E il processo è tuttora in corso: infatti, si parla di “terza fase della rivoluzione industriale”, caratterizzata dalla globalizzazione e dallo sviluppo di nuove tecnologie.

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Capitolo 1 - Design e Designer

Dunque, tra Settecento e Ottocento, in Inghilterra si presenta la necessità di formare un nuovo tipo di professionista capace di progettare per l’industria nascente gli artefatti da produrre sulla base dei nuovi metodi di lavorazione. Nel delinearsi di nuovi metodi progettuali e produttivi un elemento di grande influenza è costituito dagli sviluppi del disegno tecnico. Nel Settecento si assiste alla nascita di nuovi metodi di rappresentazione di carattere tecnico, quindi prescrittivo, per superare l’approssimazione di quelli precedenti. Gaspard Monge1 formula la geometria descrittiva che permette al progettista di trasmettere con i disegni le informazioni necessarie per eseguire un artefatto con precisione. Si rende così possibile la separazione tra designer e artigiano. Il problema di migliorare la qualità dei prodotti inglesi si presenta presto e il governo lo affronta promuovendo le “Government School of Design” nel 1837,

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Gaspard Monge, conte di Pelusium (Beaune, 9 maggio 1746 – Parigi, 28 luglio 1818) è stato un matematico e disegnatore francese. 1

e successivamente le School of Design in molte città inglesi. In questo processo è di grande importanza la figura di Henry Cole che affronta il tema di come strutturare e diffondere il design. Nel 1846 Cole costituisce una piccola azienda di prodotti in ceramica, incoraggiando gli studenti delle School of Design a fare esperienze nelle manifatture inglesi. Il concetto base di Cole è Fitness and Price (adeguatezza e prezzo), un concetto che anticipa di molto alcune teorie del Novecento. Alla fine degli anni Quaranta del XIX secolo Cole viene incaricato per il riordinamento delle government school of design. Il nuovo orientamento implica che si insegni non solo il drawing (il disegnare) ma anche il design (progettare), riassunto in un principio “coniugare scienza e arte”. La nuova responsabilità che i designer hanno è quella di dar forma e senso ai processi di artificializzazione che la rivoluzione industriale va sviluppando. Un altro percorso molto interessante è quello di Christopher Dresser. Diplomatosi nella school of design di Londra, dove rimane per anni come insegnante. Dresser è il primo designer occidentale ad andare in Giappone. Rimane affascinato dall’essenzialità dell’architettura, dalla sapienza delle tradizioni artigianali, dalla stilizzazione degli ornamenti. Dell’arte giapponese ammira soprattutto la semplicità, la stilizzazione formale, la bidimensionalità dei motivi ornamentali e ne apprende il senso dei materiali, la cura per i dettagli e l’attenzione alla rispondenza dell’oggetto al suo scopo. Tornato in Europa, sviluppa una serie di


progetti dove mette in atto le peculiarità e le caratteristiche apprese dagli oggetti giapponesi. Un particolare dei suoi progetti è l’uso di dettagli tecnico-costruttivi che si trasformano in decorazione, ad esempio i rivetti di giunzione lasciati a vista e messi in evidenza per disegnare singolari pattern decorativi. In altri oggetti i volumi diventano ancora più lisci ed essenziali, le forme assumono precisione geometrica, giunzioni e rivetti si assottigliano fino a diventare semplici linee di connessione tra le diverse parti e scompaiono del tutto. Si evidenzia anche l’attenzione a disegnare forme che consentono di ottenere un’economia nell’uso del materiale. Molti suoi oggetti di metallo sono di una modernità sconcertante, anche grazie alla tecnica dell’elettro-placcatura che Dresser sperimenterà per sostituire l’argento, sostenendo così l’uso di materiali economici per raggiungere un pubblico più ampio. Dresser ha uno studio professionale, circondato di da assistenti e da apprendesti che elaborano i disegni di presentazione e quelli tecnici per le industrie, un’impostazione moderna e ben lontana dalla corrente idea di laboratorio come covo di artisti e artigiani. Si definisce un art-workman.

Nella fase matura opera come consulente, direttore artistico e designer per circa cinquanta delle più prestigiose industrie artistiche inglesi, dedicandosi a tutti i settori delle arti applicate. Sostiene l’uguaglianza di status tra produttore e progettista, si adopera perché le arti applicate acquistino la stessa dignità delle arti figurative ed è il primo designer ad ottenere di apporre la firma sui prodotti a fianco del marchio della ditta, abitudine che prenderà piede solo anni dopo. Progetta rispettando le caratteristiche delle diverse aziende, anche in termini economici. Si dimostra così tra i primi a comprendere i meccanismi del sistema industriale e dei mercati. Con Dresser si comincia a delineare l’industrial designer come figura professionale autonoma.

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Inizia la seconda fase della rivoluzione industriale. le innovazioni si succedono e non solo in Gran Bretagna. Le città si trasformano, l’urbanizzazione si accentua e molti dalle campagne si trasferiscono in città. Parigi si trasforma con la creazione dei passage2. Con l’illuminazione elettrica si incrementa la vita notturna. Si sviluppa la fotografia e il fotografo si afferma come nuova figura professionale. La chimica organica ha prodotto i colori di sintesi in tubetti. Diventa così possibile la pittura en plein air, uscendo dagli atelier per registrare la nuova città contemporanea con i soggetti che la popolano. Con i colori di sintesi si registra anche l’enorme aumento dei colori disponibili rispetto a quelli tradizionali di derivazione naturale. Nella seconda metà dell’Ottocento, con la nascita dell’elettricità, si assiste a un’intensa realizzazione di oggetti di uso comune che sono arrivati in buona parte fino ai giorni nostri. Il designer in questa fase è prevalentemente un tecnico che mette le sue conoscenze al servizio della resa funzionale del prodotto, occupandosi dell’aspetto estetico nell’ambito complessivo del progetto. Tra tutti l’oggetto destinato a incidere sulla vita quotidiana è la lampadina elettrica di Thomas Edison del 1877. Non a caso la sua invenzione segna il passaggio dalla prima rivoluzione industriale, che investe inizialmente il settore tessile e metallurgico, alla seconda fase, quella elettrica.

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Passage in architettura, è il termine francese per passaggio, descrive gallerie con copertura in ferro e vetro dedicate allo shopping elegante dei grandi magazzini. La prima forma di galleria commerciale coperta. 2

La lampadina sarà l’invenzione in grado di cambiare ritmi e abitudini di vita in maniera radicale. Lo sviluppo della fotografia creerà una grande rivoluzione, la nascita di un mercato destinato alle masse. Nel 1888 la Kodak mette in commercio la Brownie Camera, rendendo popolare uno strumento che sinora considerato esclusivo dei professionisti. Il suo creatore, Eastman, progetta una pellicola in grado di imprimere l’immagini in seguito sviluppate in laboratorio. La Kodak fornisce un servizio completo, proponendo una macchina in cartone come usa-e-getta con pellicola e sviluppo incluso, commercializzata con lo slogan You press the button, we do the rest! e successivamente con la possibilità di sviluppare soltanto il rullino. Il nome brownie è un originale esempio di brand naming: allude al colore brown della macchina ma è anche un dolcetto americano e un folletto. I poster pubblicitari mostrano bambini che ci giocano ed il testo “operated by any school boy or girl” (può essere utilizzata da ogni scolaro o scolara). Un esempio di pubblicità che mostra la facilità d’uso di oggetti tecnici mai visti prima.


La produzione di massa

In Germania, vinta la guerra con la Francia nel 1870, il governo tedesco si trova ad affrontare gli stessi problemi che si erano posti in Gran Bretagna qualche decennio prima, dare qualità alla propria produzione industriale perché diventi competitiva sui mercati3. Nel 1876 il governo tedesco invia un gruppo di tecnici a Filadelfia, ad un esposizione organizzata dagli stati uniti per mostrare la propria ripresa dopo la guerra di secessione e allo stesso tempo è il luogo dove si misurano su scala internazionale i progressi e gli sviluppi produttivi dei singoli paesi. Ne viene fuori che la produzione tedesca risulta ancora inadeguata, la sua industria propone merci la cui competitività è affidata al basso costo e senza tenere conto della qualità. Da ciò nascono diverse iniziative. Una delle scelte più importanti è quella di elevare la qualità delle scuole, grazie anche all’architetto Hermann Muthesius, che organizzerà anche importanti conferenze pubbliche dedicate a progettisti e imprenditori ed afferma la necessità che i prodotti tedeschi siano caratterizzati da uno stile semplice e sobrio, la semplicità è più adeguata alle

Il marchio “Made in Germany” (oggi visto come sinonimo di qualità) viene introdotto in Gran Bretagna con una legge del 1887 per avvertire i consumatori che i prodotti con quel contrassegno sono di qualità inferiore agli standard inglesi. 3

possibilità della lavorazione a macchina. Un esempio molto importante dello sviluppo dell’industria tedesca è l’AEG, l’azienda tedesca di elettricità nata nel 1883. L’azienda produce turbine, centrali elettriche, linee di distribuzione, lampade stradali, materiali e oggetti elettrici. Nel 1981 attraverso una nuova legge che impone una carrozzeria per la sicurezza degli oggetti ad alimentazione elettrica nasce il design della scocca, sia come protezione sia come interfaccia d’uso e visiva con l’utente. Il design della scocca diventa un tema centrale per il design e l’affermazione sul mercato dei prodotti tecnici. Nella seconda fase della rivoluzione industriale si sviluppa la concorrenza internazionale e l’AEG si trova in competizione con due grandi aziende americane, la General Electric e la Westinghouse Electric Corporation. Nella concorrenza un’azienda ha bisogno di definire una propria identità che la distingua dai rivali e la relativa comunicazione. L’AEG assume così Peter Behrens, consulente artistico che nel 1907 riformula interamente l’immagine dell’azienda. Behrens vuole rappresentare la potenza dell’industria nella modernità e affermarne il ruolo e la nuova dignità della tecnica. Realizza il nuovo marchio, le lettere AEG hanno un carattere tipografico disegnato per l’azienda, il Behrens Antiqua, concepito come un font deciso con grazie accennate e ispirato alla monumentalità delle iscrizioni romane incise su marmo.

Capitolo 1 - Design e Designer

Il XX secolo si apre con una situazione internazionale caratterizzata dall’arresto dello sviluppo economico della Gran Bretagna e dall’ascesa socioeconomica di Germania e Stati Uniti. In questi due paesi in circa tre decenni si sviluppano processi relativi al design che segneranno molti anni a venire.

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Capitolo 1 - Design e Designer

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Le lettere sono inserite in un esagono diviso da tre più piccoli, riferimento forse all’alveare come esempio di grande produttività industriale. Nei prodotti viene affermata un’immagine di “modernità industriale” attraverso l’abbandono di decorazioni e la ricerca di semplicità delle linee. All’incirca negli stessi anni Ford in America afferma per le automobili, macchine più complesse e costose rispetto agli oggetti per la casa prodotti da AEG, l’idea di invariabilità nel tempo col modello Ford T. Negli Usa dopo la guerra di secessione (1961-65) l’economia americana inizia a svilupparsi in maniera esponenziale grazie all’American System of Manufacturing che ne è il motore. Si tratta della crescente introduzione di macchinari nelle fabbriche e del metodo di produzione basato su oggetti con componenti standardizzate, assemblabili e intercambiabili. Ovviamente i prodotti sono privi di decorazioni, caratterizzati da una semplicità che ne facilità la produzione e l’assemblaggio. Nel 1911 un ingegnere meccanico scrive The Principles of Scientific Management, il suo nome è Frederick Winslow Taylor. Nel suo libro riassume i suoi studi e sulla base dell’analisi di una serie di esempi rivela come alcuni prodotti richiedano tempi di produzione molto diversi da fabbrica a fabbrica. Taylor sostiene che ciò deriva dal fatto che l’organizzazione del lavoro nelle aziende non è scientifica, è ancora affidata agli operai che ne controllano le fasi, ed è rallentata dalla tendenza di molti a lavorare con ritmi blandi. Per migliorare l’efficienza delle aziende Taylor applica il metodo scientifico all’organizzazione dei flussi di produzione e al management. Nasce il Taylorismo. Contemporaneamente Henry Ford propone una “macchina universale”, la Ford T.

Nel 1903 fonda la Ford Motor Company e avvia la produzione di una macchina economica prodotta in serie, un modello pensato per rimanere invariato nel tempo, e che non richieda continui e costosi investimenti per le modifiche. Tra il 1913 e il 1927 ne vengono prodotte più di quindici milioni, è la prima automobile costruita con parti intercambiabili, prodotta in serie con la catena di montaggio. Nella pubblicità della Ford T appare la dicitura “Universal Car”. Da questo modello di produzione di massa nasce il termine Fordismo, che si trasformerà in “postfordismo” nella terza fase della rivoluzione industriale, con l’avvento della digitalizzazione e delle nuove tecnologie. A metà degli anni Venti la Genral Motors chiama Harley Earl, designer di carrozze, bighe e auto per gli studios di hollywood. Progetta nel 1928 la La Selle, vettura elegante e sofisticata. Earl propone un nuovo concetto di automobile, capace di apparire “alla moda” ma anche di imporla. L’auto di ebbe un enorme successo tanto che a Earl fu affidata la supervisione di tutti i modelli della GM ed il compito di costruire un reparto dedicato allo stile delle auto, la Art and Colors Section, poi Styling Division, fu la prima forma degli Uffici Stile di tutte le industrie automobilistiche. Con il termine Styling nasce uno stile di pensiero, un’idea di design inteso come “stilismo”, progetto di forme “alla moda”, concepite per sedurre il cliente. Henry Ford interrompe la produzione di Ford T per passare alla Ford A. Crolla così l’idea di “auto universale” e inizia la rincorsa al ricambio rapido di stile e modelli.

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Avanguardie e Design Il XX secolo è caratterizzato dal fenomeno artistico delle avanguardie. Tra Ottocento e Novecento appaiono gli sviluppi dei processi di internazionalizzazione, dal Giappone arrivano in Europa pittori come Hokusai e l’energia delle sue linee che inevitabilmente influenzerà la pittura degli impressionisti, di Van Gogh, Munch e anche il Design. Importante è anche la figura di Sigmund Freud che introduce il concetto d’inconscio, Freud dimostra che esiste una serie di attività mentali di cui l’individuo non ha coscienza. Si può dire che le avanguardie hanno una serie di punti in comune. Il rifiuto provocatorio della tradizione, cioè l’intenzione di voler risvegliare l’intelletto del pubblico, ormai addomesticato dal mercato, a voler favorire la riscoperta del mondo con nuovi principi. Altro punto in comune è la costituzione in gruppi intenti a far comprendere l’arte e il suo obbiettivo di rinnovamento

sociale e spirituale, come anche la sperimentazione di tecniche di rappresentazione alternative alla pittura e alla scultura (collage, fotomontaggi, l’utilizzo di materiali estranei alle tradizioni ecc.). Si evidenzia il rifiuto nel voler portare avanti la distinzione tra arte e vita, il cui simbolo è la relegazione dell’arte nei musei. Sono possibili diverse suddivisioni per le avanguardie. Le correnti astratte, di tipo geometrico, e correnti figurative, nelle quali la figura è spesso un modo di ragionare in relazione alla vita onirica e subconscia. Anche tra correnti influenzate dallo sviluppo della riflessione razionale e scientifica e quelle vicino alla riflessione mistico spiritualista. Il XX secolo ha visto una grande influenza reciproca tra le correnti artistiche e le tendenze nel design, sia tra le avanguardie storiche che tra le neoavanguardie.

De Stijl L’avanguardia artistica olandese De Stijl nasce il 16 giugno 1917 da Theo van Doesburg, i pittori Piet Mondrian e Vilmos Huszar, l’architetto Jacobus Oud e il poeta Anthony Kok. I passaggi fondamentali dell’avanguardia sono: l’aspirazione all’università, l’affermazione dell’astrazione come rinuncia a ogni particolarismo. Il protagonista più determinante per il design all’interno di De Stijl è Gerrit Rietveld, un falegname di Utrecht contraddistintosi per la visione libera del mobile inteso in senso spaziale. I tre elementi fondamentali in De Stijl sono la linea (orizzontale e verticale), colore (i tre primari), luce (il massimo nel bianco, la penombra del grigio e la sua assenza nel nero). Rietveld realizza la Sedia a Listelli nel 1918 che presenta piani obliqui ma 14

non tangenti e non limitati in una forma conclusa. La sedia è nota come icona De Stijl, ne sposa il senso dei colori primari divenendo la celebre Sedia Rosso-Blu. Nel 1924 progetta un’abitazione che avrebbe dovuto avere luce su tre lati, un unico spazio interno senza pareti divisorie e conservare la possibilità di privacy. La soluzione di Rietveld è in pareti scorrevoli che spariscono e compaiono a seconda della necessità e di mobili trasformabili. Pur non essendo mai stati realizzati, i mobili Rietveld denunciano un’aspirazione alla ripetizione seriale, a “progettare prodotti realizzati meccanicamente, articoli in serie”, come egli stesso specificò. Con riferimento a Rietveld, Van Doesburg scrive “le nostre sedie, tavoli e armadi e altri oggetti d’uso sono le sculture astratto-reali dei nostri interni futuri”.


Tra le avanguardie storiche il futurismo ha alcuni elementi di base che più si avvicinano a quelli dello sviluppo del design industriale. Esaltazione della macchina anche in senso estetico, celebrazione della velocità, sintesi spazio-temporale, rifiuto del culto del passato, progresso sociale e urbanizzazione sono tutti temi tipici del futurismo che si possono associare perfettamente al prodotto industriale per il consumo di massa.

Anche se le opere artistiche di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Antonio Sant’Elia e Filippo Tommaso Marinetti segnano una via di espressione che influenzerà in modo decisivo molte correnti successive, non altrettanto potrà dirsi dei prodotti di arredo e dei generi di consumo progettati. Le prove di Balla, per esempio, non escono dalla dimensione della prova. Più innovative saranno invece le opere di Francesco Cangiullo che progetta sedute e mobili. Le due eccezioni che al contrario maggiormente colgono nel segno, assimilabili al design contemporaneo, sono un vestito e una bevanda. Il primo progetto è firmato da Thayaht, stilista fiorentino che nel 1919-20 lancia la Tuta, il cui nome deriva dal taglio a T della stoffa ed è pensato per limitare lo spreco di materiale e per ottimizzare i passaggi della lavorazione in un’ottica industrializzata. Il secondo è il packaging della bottiglietta di vetro che Davide Campari commissionerà nel 1927 a Fortunato Depero, già affermato nella grafica pubblicitaria e con un ruolo attivo in diverse campagne della ditta, progetta una bottiglietta per il Campari Soda, arrivata immutata fino ai giorni nostri. Facilmente producibile a livello industriale è un inno alla forza dinamica dell’estetica futurista, grazie alla forma a imbuto con sezioni diagonali e alla totale trasparenza, ottenuta con la sovraimpressione del marchio e del nome direttamente su vetro, esalta il rosso elettrico della bevanda simbolo dell’artificio della macchina sulla natura. Depero progetta anche tutta la grafica pubblicitaria e gli allestimenti per la Campari. Rilevante è stato l’apporto dei futuristi al rinnovamento della grafica, promuovendo una rivoluzione tipografica contro l’armonia compositiva della pagina.

Capitolo 1 - Design e Designer

Futurismo

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Capitolo 1 - Design e Designer

Bauhaus Nel 1919 nasce a Weimar in Germania il Bauhaus, scuola di Design che, dopo un trasferimento a Dessau e alla fine a Berlino, vivrà fino al 1933, quando verrà chiuso dai nazisti. La Germania è profondamente colpita dalla guerra ed il suo panorama culturale è complesso e dilaniato, in arte domina l’espressionismo. Nel 1925 viene comunicato a Henry van de Velde che, essendo belga e quindi cittadino di una nazione in guerra con la Germania, per legge non può continuare a dirigere la Scuola d’Arti Applicate di Weimar, ma gli viene chiesto di scegliere il nome del suo successore. Sarà Walter Gropius che avrà il compito nel 1919 di fondere la Scuola d’Arti Applicate, dove si formano gli artigiani, e l’Accademia di Belle Arti, erede della tradizione artistica tedesca. Gropius è stato il primo progettista delle architetture razionaliste in Germania, volumi geometrici, grandi vetrate, tetti piani che scandalizzarono la cultura popolare. Il Bauhaus attraverso il suo manifesto dichiara la volontà di voler unire artisti e artigiani, per favorire l’accorpamento delle due scuole. Aperta la scuola, Gropius chiama ad insegnare Johannes Itten, teorico del colore, che considera l’artigiano come valore e ritiene che la scuola sia una comunità dove i docenti operano perché gli studenti esprimano sé stessi e non solo per trasferire loro nozioni. Si aprirà in seguito un dibattito tra Itten e Gropius, quest’ultimo vorrebbe i corsi in rapporto con alcune industrie, anche come modalità di finanziamento della scuola, mentre secondo Itten gli studenti non devono servire interessi “commerciali”. Per affrontare il problema dell’unificazione delle due scuole, si mette a punto un’organizzazione molto innovativa. Gli studenti delle due scuole devono frequentare un Grundkurs, o corso di base, al quale poi si ispireranno in vario 16

modo i corsi di Basic Design in tutto il mondo. Possiamo dire che la Bauhaus si divide in due parti, quella figurativoespressionista e quella geometricoastratta. Nasce progressivamente lo schema organizzativo della scuola. Il corso di base è seguito dai laboratori per materiali, accompagnati da alcuni corsi teorici generali. Alla fine è previsto il corso di architettura, avviato dal 1926. I laboratori sono affidati ciascuno a due maestri, quello della forma e quello dell’arte, ovvero l’artigiano. Ma la rivalità è forte, l’Accademia ha difficolta a integrarsi con una scuola di arti applicate e viceversa, e molti docenti dell’Accademia vanno via. Nel 1920 arrivano docenti come Klee e Kandinskij, che costituiranno motivo di grande prestigio per la scuola. In questa fase Itten ha un ruolo importante perché Gropius è spesso assente, impegnato a girare per l’Europa, a far conoscere la scuola e alla ricerca di nuovi docenti. Il Bauhaus vive un momento in cui è molto forte l’idea della riforma dell’insegnamento, gli allievi sono chiamati ad essere protagonisti attivi nella scuola e non solo dei riceventi passivi. Il docente deve essere una guida del processo in cui l’allievo impara tramite l’esperienza pratica, non con l’imposizione dall’alto. Nel 1922 Theo Van Doesburg, teorico del De Stijl, architetto e pittore, decide di tenere una serie di conferenze a Weimar, alle quali partecipano molti allievi del Bauhaus. Egli attacca l’espressionismo dominante nella scuola, rimproverando Gropius, progettista di edifici razionalisti e pienamente moderni, di avere tradito sé stesso. All’interno del Bauhaus si forma un’associazione studentesca che, aderendo alle critiche di Van Doesburg, prende il nome di KURI (Konstuktivism, Utilitarian, Rationell e Internationell), in riferimento a un linguaggio


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internazionale da contrapporre alle tendenze nazionaliste. Gropius è fortemente criticato, il consiglio comunale di Weimer condanna l’anti tradizionalismo e minaccia di tagliare i finanziamenti. In questa situazione si corre il rischio di trovarsi con una scuola che forma artisti-artigiani invece di designer industriali. Così, Gropius manda una lettera ai professori in cui ribadisce la necessità di educare studenti partendo dal lavoro artigiano, ma procedendo gradualmente al rapporto con le macchine per formare in conclusione progettisti capaci di operare con l’industria. Itten lascia la scuola. Gropius nel 1923 chiama Làszlò MoholyNagy, pittore fotografo e ricercatore ungherese, a dirigere il laboratorio del metallo e subito dopo il Grundkurs. Sempre in quell’anno, Gropius prepara a Weimar un’esposizione dei lavori del Bauhaus, dove tenne una conferenza anche Kandinskij e una serie di concerti di musicisti tra cui Igor Stravinskij. Importanti sono i manifesti nei quali si delinea la grafica Bauhaus: astrattismo geometrico, caratteri tipografici a stampatello, composizioni in cui figure geometriche e scritte partecipano alla pari, scelta di colori che introducono varianti allo schema De Stijl come l’arancione. L’ispirazione al De Stijl appare in gran parte dominante nella scuola. Alla fine del 1923 c’è ancora il sospetto da parte dall’esercito che nella scuola si svolgano attività comuniste, e nel 1924 i finanziamenti vengono fortemente ridotti. Gropius decide di chiudere la scuola, e il consiglio comunale di Dessau decide di ospitarlo. Nel 1925 il Bauhaus si trasferisce a Dessau dove Gropius ha progettato i nuovi edifici. La scuola prende il nome di Hochschule Fur Gestaltung, cioè scuola superiore di configurazione formale, nel senso di strutturazione razionale della forma, contrapposta a un’idea di progetto libera da sentimenti ed emozioni. 18

Per la scuola Gropius sviluppa un linguaggio razionalista fatto di grandi parallelepipedi articolati tra loro con impianto asimmetrico, collegamenti a ponte, lunghe vetrate e tetti piani. Gli ambienti Bauhaus sono a bassa densità di mobili e arredi, prevedono grandi vetrate, pareti bianche, niente tappeti o oggetti e mobili in tubo metallico, così da non diventare ostacoli in senso percettivo e da far passare l’aria e la luce. La comunicazione interna della scuola come gli orari e i programmi sono redatti in una grafica essenziale. Si afferma un rigoroso ordine compositivo di base, in particolare Herbert Bayer, artista e grafico austriaco, sviluppa uno stile essenziale, adoperando per lo più caratteri sans serif minuscoli. Nel 1925 disegna il carattere sans serif geometrco, detto Universal. Composto solo da segmenti orizzontali e verticali, da cerchi, da elementi ad arco, il più possibile intercambiabili per disegnare le differenti lettere. Nel 1925 Gropius e Moholy-Nagy danno vita ai Bauhausbucher, i libri del Bauhaus. Si inizia col libro di Gropius Architettura Internazionale, si propongono libri di docenti Bauhaus come Klee e il celebre Punto Linea e Superfice di Kandinskij. Molti libri sono dedicati alle avanguardie. Da un lato quindi documentano il lavoro Bauhaus attraverso le ricerche e i nomi più rappresentativi, dall’altro si pone come artefice della comunicazione delle avanguardie. È una grande operazione di costruzione dell’immagine del Bauhaus. Così la scuola propone un’idea di design che si articola in prodotto, grafica e comunicazione visiva, stand e allestimenti, architettura d’interni. Nel 1928 Gropius lascia il Bauhaus per aprire uno studio d’architettura a Berlino, la situazione sta cambiando e si avverte dalla ripresa economica del paese, anche se da lì a poco in America si avrà la crisi del 29 che poi si estenderà a tutti i paesi.


Capitolo 1 - Design e Designer

Con Gropius vanno via anche MoholyNagy, che fonderà negli USA nel 1937 la New Bauhaus, poi Chicago School of Design, oggi IIT-Illinois Institute of Technology; Bayer che diventerà direttore artistico dell’ufficio berlinese di Vogue e Marcel Breuer. Diventa direttore della scuola Hannes Meyer, architetto svizzero fondatore della rivista “ABC” dall’orientamento costruttivista e funzionalista. Nel frattempo in Germania si afferma in arte la Nuova Oggettività. Nella cultura in generale molto è diretto a sperimentare la possibilità di affrontare i problemi in termini scientifici, tecnici, fuori dai particolari estetici. Nella scuola vengono invitati a tenere lezioni esperti di illuminazione, tecnologia, acustica, psicologia, all’inseguimento di un metodo scientifico di progettazione. Meyer, quando sarà costretto a lasciare il Bauhaus, dichiarerà di essersi trovato nella paradossale situazione di essere il direttore e di dover combattere lo stile Bauhaus che, invece di affrontare i bisogni della vita, si divertiva con oggetti della geometria colorata. Secondo Meyer gli oggetti moderni sono un prodotto della formula “funzione moltiplicato economia” e non sono opere d’arte. La ricerca progettuale in questa fase è esemplificata dal lavoro di Marianne Brandt, designer, pittrice e scultrice tedesca che aveva disegnato in precedenza oggetti di grande qualità con matrice De Stijl e con qualche riferimento a Dresser.

Appare una ricerca tesa a fissare tipi “universali”, definitivi. In Bauhaus si guarda al fordismo, inteso come produzione di massa di beni a basso costo, e alla possibilità di adoperarlo in una strategia socialista. E nei laboratori si progettano semplici mobili economici in compensato. La scuola viene riorganizzata, i laboratori diventano quattro. Tessitura, che è sempre riuscito a vendere all’esterno molti prodotti; arredamento, che riunisce quelli di falegnameria, metalli e pittura murale; il laboratorio di pubblicità che si occupa di legatoria, stampa, tipografia e grafica; edilizia, non architettura, per evitare ogni riferimento all’arte. Nel 1929, a seguito degli attacchi da parte della stampa contro la scuola, il sindaco licenzia Meyer ed accetta l’incarico da direttore della scuola Mies van der Rohe che, dopo un paio d’anni a Dessau, nel 1932 trasferisce il Bauhaus a Berlino, in alcuni capannoni nella periferia della città. Restringe le attività fondamentalmente all’architettura e impone un forte controllo su quelle politiche degli studenti. Nonostante i limiti di van der Rohe la fama del Bauhaus come scuola comunista popolata da ebrei è tale che nel 1933 trentadue studenti vengono arrestati, la polizia ne annuncia la chiusura e Mies con i maestri la scioglie. Nel 1937 i nazisti espongono a Monaco, in una mostra intitolata Arte degenerata, opere portate via dai musei di autori come Herbert Bayer, Lyonel Feininger, Johannes Itten, Vasilij Kandinskij, Paul Klee, Marc Chagall, Max Ernst. Nel corso degli anni Venti il Bauhaus cerca di stabilire rapporti di collaborazione con aziende, con pochi risultati, verranno prodotti i mobili metallici di Breuer, la Wassily, e una lampada da tavolo di Marianne Brandt.

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Il dopoguerra in Europa Design scandinavo

Capitolo 1 - Design e Designer

A partire dai primi anni Cinquanta lo stile scandinavo si afferma a livello internazionale grazie all’affermazione di piccole-medie aziende. I prodotti coniugano praticità e gradevolezza, oltre a prediligere materie prime naturali come legno, ceramica e vetro. Il design scandinavo ottiene un grande successo commerciale grazie alla pacatezza e al buonumore dello stile proposto, nel Nord Europa il design è sempre stato praticato e percepito come un diritto al bello a prezzi accettabili per il grande pubblico. Il loro è un mobile pensato per essere realizzato artigianalmente, mettendo a frutto la grande esperienza dei maestri falegnami e l’abbondanza della materia prima che crea l’insolubile binomio legno-design scandinavo. È nel secondo dopoguerra che si avvia al suo successo mondiale la ditta di arredi venduti per corrispondenza fondata negli anni Quaranta da Ingvar Kampard, l’Ikea. Nel 1951 viene pubblicato il suo primo catalogo di vendita di mobili prodotti su larga scala e nel 1956 inizia la progettazione di arredi flat pack e assemblati direttamente dall’utente. L’attenzione alla salute è sempre stata basilare nel design scandinavo, tanto che l’obbiettivo tecnico che guida la forma fa sì che questo design prenda le distanze dalle tante influenze storicistiche e

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stilistiche che hanno condizionato le produzioni di altre regioni geografiche. Con equivalente attenzione per l’influenza che oggetti e arredi possono generare sulla salute umana, ricordiamo il progetto della luce di Poul Henningsen, il quale nel 1958 vede il successo della sua lampada più celebre, la Artichoke. L’idea che guida il progettista danese è quella di una luce portatrice di salute e benessere nei bui mesi invernali del Nord Europa, utilizzando un sistema di lamelle a rifrazione in grado di moltiplicare l’effetto di luce diffusa ed evitare l’abbagliamento diretto. La stessa semplificazione formale compare anche nei pattern decorativi della produzione tessile, dove alla naturalezza delle materie prime corrisponde una vivacità cromatica estremamente apprezzata a livello internazionale. La stessa allegria di colori che vedrà l’affermazione del gioco per l’infanzia più celebre della storia, il mattoncino componibile Lego. Nato in legno negli anni Trenta, diviene colorato nella sua versione in plastica proprio in questi anni. Componibilità, standardizzazione e assemblabilità sono elementi del gioco sviluppati nel Bauhaus, che trovano qui una forma commerciale e produttiva perfetta per arrivare finalmente al grande pubblico.


La Germania e il basic design Nel 1965 il miracolo economico tedesco, parallelo a quello italiano, grazie agli aiuti americani del Piano Marshall. Molte industrie come la Volskwagen e la Braun ripartono, il rapporto con il design è importante e significativo per le aziende tedesche. Nel 1955 si inaugura la scuola superiore di progettazione di Ulm. La scuola nasce con l’obbiettivo di continuare il discorso del Bauhaus, interrotto nel 1933 dai nazisti. L’obbiettivo è formare progettisti professionalmente capaci, culturalmente preparati e politicamente consapevoli, ritenuti necessari per la ripresa di una Germania in cui lo sviluppo tecnico-scientifico sia correlato alla crescita della democrazia e della eguaglianza sociale. In particolare, l’obbiettivo è la progettazione di oggetti d’uso quotidiano che utilizzino le nuove tecnologie, tali da migliorare la qualità della vita moderna. La scuola vuole definire una metodologia della progettazione ma insieme organizzare il processo di formazione degli studenti. Si afferma così una cultura progettuale orientata alla produzione industriale di serie, caratterizzata dalla qualità tecnica, dalla precisione funzionale e dalla semplicità formale. Molto significativo è il rapporto tra la scuola di Ulm e le aziende tedesche. La società Lufthansa commissiona alla scuola il progetto della sua immagine coordinata. Il team progetta tra l’altro grafica, logotipo, tipografia, desk,

packaging, divise, vassoi, adoperando con decisione il colore giallo che conferiva forte riconoscibilità alla Lufthansa in una fase in cui cresce il trasporto aereo e la concorrenza tra le diverse compagnie. Particolare è poi il rapporto con la Braun. Nel 1955 la scuola di Ulm riceve dalla Braun uno dei suoi primi incarichi. Un sistema radio presentato in un allestimento, entrambi curati da insegnanti della scuola. Il tema è la miniaturizzazione resa possibile dall’uso dei transistor. Protagonista di questo periodo è Hans Gugelot, che già nel 1953 ha disegnato un sistema di pannelli componibili per armadi e librerie, successivamente disegna radio ed elettrodomestici come il rasoio elettrico per la Braun nel 1962, il proiettore di diapositive Kodak Carousel nel 1963 e le macchine per cucire per Pfaff AG dal 1959 al 1969. Nel 1955 inizia la collaborazione tra Braun e un altro grande protagonista di quel periodo Dieter Rams, che dal 1962 dirige il Braun Product Design Department. L’immagine della Braun è tanto legata al lavoro di Rams che i critici spesso si sono chiesti se si debba parlare di “Braun Style” o di “Rams Style”. Egli tende a definire oggetti essenziali, di grande precisione tecnologica, dalla presenza non invadente. Gli oggetti tecnici tedeschi costituiscono così un aspetto importante della civiltà dei consumi che si sta sviluppando all’epoca.

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La Francia Mente in Italia spopola la Fiat 500, in Francia l’italiano Flaminio Bertoni, gia autore della Due Cavalli nel 1948, crea sempre per la Citroen l’iconica DS4. Sarà soprannominata “squalo” per le forme biomorfe e prominenti del suo cofano. Nel decennio successivo un’altra meraviglia dell’ingegneria francese, il Concorde. Progettato in collaborazione tra Air France e British Airways a partire dal 1967 è il primo aereo supersonico pensato per l’aviazione civile capace di viaggiare da Parigi a New York in sole tre ore e mezza. Il suo muso a becco resta nell’immaginario collettivo come una delle ulteriori riprove del fatto che l’analogia col mondo biologico rappresenta a livello formale uno dei modi più efficaci per traghettare l’alta tecnologia in un linguaggio familiare alle masse. Riuscire nell’arduo compito di trovare un compromesso tra estetica e tecnologia nel prodotto realizzato a macchina resta anche nel secondo dopoguerra uno dei temi centrali per molti progettisti. In Francia, tra le risposte più interessanti a questo problema, troviamo quelle di Jean Prouvè. Nel 1951 dimostrerà come l’assemblaggio di componenti prefabbricate si presti non solo a soluzioni in condizioni di emergenza, ma anche come proposta della nascente estetica “brutalista”. Il termine “brutalista” nasce con riferimento al béton brut, ovvero il cemento armato a vista, dell’Unité d’Habitation di Le Corbusier a Marsiglia nel 1950. La materia viva dell’edilizia industrializzata non è più base da

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Pronunciato Dèesse che in francese vuol dire “dea”.

rivestire e rinnegare, ma veicolo di una nuova sensibilità per la forma. Le Corbusier riesce a mettere in atto la teoria del Modulor, sviluppata tra il 1942 e il 1948. La sua ipotesi è quella di adottare un sistema di misurazione che non abbia più nulla a che fare con quello metrico-decimale. Le misure del Modulor derivano dalla sezione aurea rapportata alle misure umane medie e alle sue proporzioni, ovvero all’altezza dell’uomo con braccio alzato (226cm) e la sua metà, pari all’altezza dell’ombelico (113cm). Una scelta del genere riporta il corpo al centro dell’attenzione, dopo anni in cui la fisicità era stata condizionata dalle leggi razionaliste, che imponevano una visione dello spazio prima di considerare il comfort posturale. In questa scelta è da riconoscere il desiderio d’interrogarsi sulla relazione tra ambiente costruito e ambiente naturale. Nel campo della moda gli anni Cinquanta francesi sono cruciali e lanciano verso un successo senza rivali un settore che diventa identificativo per la nazione. Segnati più di ogni altro dal New Look di Christian Dior. Dopo la sobrietà delle linee di Chanel degli anni Venti, Dior torna all’opulenza dell’Haute Couture5 con linee che sottolineano il punto vita in una donna sensuale e sofisticata. Il successo dell’alta moda francese è planetario e neanche la prematura morte di Dior ne intaccherà il prestigio, grazie anche alla successione dell’astro nascente di Yves Saint Laurent. Ma Coco Chanel non resterà a guardare e risponderà negli stessi anni con il suo tailleur tre quarti.


Il modello italiano che promuovono nei territori la propria identità con allestimenti spesso curati dagli stessi designer delle aziende. Si sviluppa così in Italia il rapporto tra aziende, designer, comunicazione, distribuzione e mercato. All’inizio degli anni Sessanta si registra ancora una profonda separazione tra la cultura progettuale e quella dei consumatori, il design degli oggetti quotidiani si proporrà di sanare questo divario. Da un lato cavalcando l’affermazione di materiali plastici che introducono nuovi metodi di produzione e promettono un design democratico. Dall’altro proponendo un progetto che si nutre delle istanze della cultura internazionale, a partire da quella Pop, che farà scegliere ai più promettenti architetti di quegli anni la via del design come affermazione di una controcultura, diversa dai parametri dei maestri del movimento moderno. Altri designer progettano mobili che trovano nell’alleanza con giovani industriali la possibilità di sintetizzare in una nuova idea di prodotto le proprie idee. Base comune è l’idea di un oggetto nomade, multifunzionale, pensato per essere trasportato in una casa mutevole e trasformabile. Ma le industrie del design sanno guardare oltre il prodotto e investire in sperimentazione e ricerca. L’applicazione del poliuretano espanso genera un notevole incremento produttivo del settore degli imbottiti, così come il truciolare amplifica il progetto dei componibili, mentre prosegue il successo nella ricerca sull’applicazione della plastica nel settore dell’arredo a partire dalla fine degli anni Cinquanta.

Capitolo 1 - Design e Designer

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta in Italia si delinea il rapporto tra designer e industria, quello che si potrà definire il “modello italiano”. I designer italiani in quegli anni trovano precisi rapporti con la rete di aziende italiane nella produzione di mezzi di trasporto, elettrodomestici, oggetti tecnici come Fiat, Olivetti o Necchi. La produzione italiana di elettrodomestici bianchi in pochi anni conquista il primo passo in Europa. È con la crisi degli anni Settanta che si modifica il quadro della produzione industriale italiana e di conseguenza anche la collaborazione con i designer. Il designer oltre a progettare arredi, assume un ruolo tra il consulente e l’art director, agevolando la collaborazione dell’azienda con professionisti di qualità per cataloghi, la comunicazione, gli stand ai saloni. Si instaura anche un rapporto tra progettista e tecnici interni alla fabbrica, questa capacità delle aziende italiane di dialogare con i designer costituisce un carattere specifico del modello italiano. Nei decenni successivi i designer di tutto il mondo saranno ben disponibili a collaborare con le aziende italiane. Nuovi materiali rendono possibile la lavorazione a macchina e i designer italiani dimostrano un’alta capacità di dar loro forma e senso, reinventando tipologie e morfologie arredative. Un altro aspetto che emerge in questo periodo è la capacità delle aziende di autopromuoversi, affermando il design come simbolo della nuova modernità. Si sviluppa dunque un’articolata attività di promozione, comunicazione e pubblicità. Nel 1961 apre a Milano il Salone del Mobile e ciò modifica profondamente il rapporto tra le aziende e i rivenditori. Si afferma un nuovo ruolo degli showroom

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Capitolo 1 - Design e Designer

A raggiungere questi risultati saranno per lo più autori provenienti dall’ambito dell’architettura. Il nuovo design si reinventa anche a partire da piccoli oggetti per tavola e scrivania, come quelli di Bruno Munari ed Enzo Mari per Danese. Gli anni Sessanta sono anche quelli del trionfo della plastica. Si tratta di un materiale in realtà già annunciato da importanti sperimentazioni e ricerche tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta nel Novecento, sia nella ricerca di sintesi chimica inorganica che in quella delle cosiddette bioplastiche di origine vegetale. Tuttavia è solo con la scoperta fatta dal premio Nobel Giulio Natta del cosiddetto “Moplen” nel 1954 che il polipropilene identificherà una nuova stagione di impiego dei materiali plastici in una grande quantità di industrie e tipologie di prodotti. Si compie allora una vera rivoluzione nella percezione della plastica dove l’alleanza tra industria, ricerca e design diventa fondamentale. Gli indirizzi principali per il suo utilizzo sono due, da un lato essa distingue l’oggetto moderno, democratico, finalmente disponibile per

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il grande numero e il suo impiego viene associato all’ampia diffusione di beni di consumo di massa; dall’altro, la plastica è il materiale del futuro, quello collegato a una sperimentazione che è protesa verso il grande evento che segnerà tutto l’immaginario del decennio, il raggiungimento del suolo lunare. Gli obbiettivi che i nuovi prodotti in plastica raggiungeranno facilmente sono impilabilità, trasportabilità e multifunzionalità. In Italia la sperimentazione segue lo sviluppo di aziende come la Kartell. Marco Zanuso saprà poi utilizzare la plastica come veicolo per il grande successo della tipologia di oggetti tecnici quali radio, televisori e telefoni. L’idea dell’oggetto pensato per un doppio uso, acceso e spento, grazie al meccanismo del guscio richiudibile in analogia alla morfologia degli organismi bivalve è alla base del successo sia della radio TS 502 quanto al telefono Grillo per Siemens Italia. Questa apertura e chiusura a libro tramite cerniera è una soluzione che anticipa di qualche decennio quella presente nei primi telefoni cellulari, quali lo StarTAC della Motorola del 1996.


È grazie alla plastica che l’oggetto d’uso diviene realmente popolare e accessibile a tutti. Un effetto della sua diffusione è legato anche all’idea di efficienza associato a oggetti monouso usa-e-getta. Basti pensare al successo della francese Bic, una penna nata in ambiente aeronautico per sostituire le stilografiche e poi passata nel 1950 al grande successo della versione civile usa-e-getta. Ma plastica vuol dire anche materiale di facile manutenzione, capace di veicolare il successo dell’americana Tupperware che distribuisce nelle case di mezzo mondo le sue scatole per alimenti, in grado di rendere più igienico e conservabile il cibo domestico.

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Bruno Munari

“Il designer è un progettista dotato di senso estetico, che lavora per la comunità. Il suo non è un lavoro personale, ma di gruppo […] mentre l’artista se deve progettare lo fa nel suo stile, il designer non ha stile alcuno e la forma finale dei suoi oggetti è il risultato logico di una progettazione che si propone di risolvere nel modo ottimale tutte le componenti di un problema progettuale: sceglie le materie più adatte, le tecniche più giuste, sperimenta la possibilità di entrambe, tiene conto della componente psicologica, del costo, di ogni funzione”6. Risposta puntuale a problemi funzionali sono i suoi progetti di maggiore successo. Tra questi la lampada Falkland per Danese nel 1964, detta anche “Calza”, perché sfrutta le doti di elasticità del tubolare in Lycra, al fine di ottenere una lampada a sospensione che propone in chiave contemporanea l’effetto delle lanterne in carta di riso giapponesi. Si tratta di soluzioni che, oltre all’indubbia valenza funzionale ed estetica, s’inseriscono su temi più ampi della ricerca teorica. La Flakland, infatti offre indirettamente una risposta intelligente alle questioni

della sostenibilità dal momento che, grazie alla sua conformazione flessibile, misura nella scatola d’imballaggio pochi centimetri e questo comporta grande facilità di gestione nello stoccaggio e nel trasporto, quindi riduzione delle spese di manutenzione della filiera, che a loro volta incidono in senso positivo sul costo finale dell’oggetto. Ciò dimostra come il design di Munari è davvero un processo di ragionamento a 360°. Nel 1981 il designer trasferirà questa attitudine speculativa nel suo celebre schema sul metodo all’interno del saggio Da cosa nasce cosa. Si tratta di una sistemazione del fare all’interno di una teoria che riassume il senso di una sperimentazione pluriennale. Ma, ancora più importante, è il nesso continuo che Munari stabilisce tra il momento progettuale e quello didattico. I suoi libri dedicati al progetto, alla comunicazione visiva, all’esercizio della creatività trasferiscono sempre ad altri il proprio sapere e il frutto dell’esperienza, con la lucida consapevolezza che il mestiere del designer è un sapiente matrimonio tra intuizione ed esercizio. Al punto da arrivare a dimostrare come anche la fantasia possa essere opportunamente esercitata, se stimolata attraverso meccanismi di comprensione del linguaggio visivo.

Capitolo 1 - Design e Designer

Da artista di formazione chiarisce a sé stesso e al pubblico del design che la posizione del designer e quella dell’artista vivono in condizioni sostanzialmente molto diverse:

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B. Munari, Artista e designer, Laterza, Roma-Bari 1971


capitolo 2

La terza fase della rivoluzione industriale

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Tra locale e globale L’ampliamento delle reti di comunicazione, già avviato nei decenni precedenti con la diffusione dei massmedia e progettato con la visione di un sistema informatico globale, sulla fine degli anni Settanta diventa realtà. Gli effetti della connessione viaggiano di pari passo con quelli della globalizzazione dei mercati. Così la libera concorrenza e i flussi internazionali delle merci metteranno presto in evidenza punti di forza e di crisi del sistema capitalistico. Si entra nella terza fase della rivoluzione industriale, quella attuale, dominata da nuove tecnologie, studio di altre fonti energetiche, dal nucleare alle rinnovabili, e digitalizzazione dell’informazione. Nei primi anni Settanta l’aumentare dei conflitti arabo-israeliani rende più difficile la distribuzione dei prodotti di derivazione petrolifera, con relativo aumento dei prezzi, quindi viene limitata la possibilità commerciale dei prodotti in plastica che avevano dominato il decennio precedente. Al tempo stesso la concorrenza internazionale nei settori tecnologici crea alcune difficoltà alle aziende italiane causando una battuta di arresto nell’ascesa al mercato globale. Il panorama internazionale viene dominato da giganti giapponesi come Sony. Nel 1977 Sony lancia sul mercato il primo Walkman, un apparecchio per l’ascolto individuale della musica, allora registrabile su audiocassette. Venduto in più di trecento milioni di pezzi in tutto il mondo, il Sony Walkman divenne un vero e proprio fenomeno di moda e costume. Dedicato inizialmente ad un pubblico giovane, conquistò gli utenti di tutte le generazioni. Altra conseguenza della crisi è la cessione ad aziende internazionali di alcuni marchi italiani nel settore degli elettrodomestici ed il settore del mobile, della luce e del completamento d’arredo

in Italia si rafforzano notevolmente. Le piccole-medie aziende del settore del mobile stabiliscono un primato internazionale che farà confluire progettisti e clienti da tutto il mondo a partire dalla fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta e Novanta, anche grazie alla centralità che il Salone del Mobile di Milano saprà conquistarsi. A livello progettuale le principali strade vincenti sono due: l’elaborazione di prodotti che incorporano una sapienza artigianale e la creazione di mobili versatili. Grazie a queste nuove linee, dominate dalla sobrietà e dall’ampia possibilità di impiego, la richiesta di mobili moderni influenzati dal design in questi anni aumenta notevolmente. Nel frattempo, nel settore del car design miete successi Giorgetto Giugiaro, tra i più prolifici progettisti industriali degli anni Settanta, che, in autonomia o col gruppo Italdesign da lui fondato nel 1968, firma alcune tra le automobili più innovative della storia recente, dalle Fiat Panda e Punto alla Volkswagen Golf, passando per l’Audi 80 e l’Alfasud della Alfa Romeo. La pulizia delle linee esterne trova riscontro nel disegno degli interni, che sanno garantire comfort con il massimo sfruttamento dello spazio dell’abitacolo. Se Giugiaro domina il progetto delle autovetture per il grande pubblico, il vero sogno irraggiungibile e globalizzato è la Ferrati Testarossa, un’automobile in cui Sergio Pininfarina trasferisce la ruggente iconografia delle macchine sportive di formula 1, il baricentro basso, gli alettoni svettanti e i tagli sulle portiere laterali, in un mezzo da strada. L’illusione della prestazione professionale messa alla portata del pubblico, per quanto di nicchia in questo caso, si rivela un potente catalizzatore di attenzione consumistica. 29


Capitolo 2 - La terza fase della rivoluzione industriale

L’unificazione dei mercati globali all’inizio degli anni Ottanta incide fortemente sulla nuova direzione economica delle industrie trainanti nel mondo del design. Per esempio, esplode la moda italiana, caratterizzata da un originale rapporto stilista-industria, in cui lo stilista è il personaggio dominante. Diverse aziende italiane capiscono che è necessario proiettarsi alla conquista di altri mercati ed elaborano nuove linee strategiche. Un caso emblematico è quello dell’italiana Alessi. Nel 1983 nasce la collezione Tea & Coffe Piazza, si tratta di servizi da tè e caffè dove i classici elementi sono pensati come edifici posizionati su una piazza-vassoio. A progettarli vengono chiamati architetti della stagione postmodernista. La strategia ottiene grande successo e Alessi si apre ad altre collaborazioni con architetti, tra cui Aldo Rossi. Questa via vincente apre poi ad Alessi fronti internazionali e, sulla fine degli anni Ottanta, lo spremiagrumi del designer francese Philippe Starck diviene una vera e propria icona dei suoi tempi. Questo spremiagrumi si inserisce nel clima post-moderno, più impegnato a disegnare desideri che a risolvere problemi o ad assolvere funzioni. La sua forma scultorea ed elegante risulta una novità, quasi aliena, nel paesaggio domestico della cucina. Chi lo sceglie lo fa riconoscendo in esso uno style-symbol, non dettato né dalla sua funzionalità, né tantomeno dalla sua preziosità. Juicy Salif è una sorta di opera d’autore in serie, raggiungibile da tanti e capace davvero di rendere accessibile il “bello” su scala industriale. Starck più Alessi sono un’alleanza che genera mercato e un successo che va oltre l’essere francese dell’autore o italiano dell’azienda. Nel frattempo le aziende del mondo del mobile guardano sempre con maggiore interesse ai designer stranieri e da questi ultimi l’industria italiana viene 30

vista come un punto di arrivo o di salto nella propria carriera. Disegnare per le aziende Made in Italy vuol dire ricevere garanzie di ascolto e una realizzazione concordata e impeccabile. Ma anche ottenere una vetrina mediatica e un’eco di stampa ineguagliabile nel resto del mondo. A New York gli ambasciatori del design italiano e del suo gusto per l’equilibrio estetico e l’efficacia funzionale sono Massimo e Lella Vignelli. Lo Studio Vignelli firmerà alcuni dei prodotti più tipicamente americani dell’epoca, dalla mappa della metropolitana di New York ai brand della FedEx e dell’American Airlines. Grafica e comunicazione assumono in questi anni un’importanza fondamentale per ogni brand, a prescindere dalla tipologia di prodotto. I cataloghi e la pubblicità sono spesso curati da fotografi di moda e mirano a proporre uno stile di vita, un universo culturale, un mindstyle. OlivieroToscani ad esempio con Benetton creerà un’immagine coordinata che farà pensare al Design Process in stile Olivetti, anche qui il processo coinvolge prodotto, pubblicità, stabilimenti produttivi, la creazione di riviste specializzate che non necessariamente riguardano lo specifico merceologico, ma più filosofia aziendale. E per la prima volta l’immagine del designer tende a dominare sul prodotto. Un altro esempio è Philippe Starck, le aziende che collaborano con lui aderiscono alla costruzione di un “mito”, viene consacrato come un esponente di un nuovo star system, come quello cinematografico, della moda e quello della musica rock. Se i designer del passato avevano identificato immagine personale e prodotto o erano entrati nel vivo della strategia comunicativa come progettisti, adesso è la dinamica della celebrità a contagiare qualunque aspetto della vendita e del consumo.


Tra arte e design Il cosiddetto art design è un campo ibrido che connette il mondo dell’arte e quello del design, non solo in termini di repertorio immaginativo, ma anche per metodi produttivi e distributivi. Sempre più sono i designer che progettano oggetti che sono frutto di una ricerca molto particolare e che richiedono energie impensabili per i meccanismi della grande industria. Spesso questi artefatti si avvicinano più alla definizione di prototipi che di prodotti e i loro committenti sono i collezionisti, gli editori, le gallerie e le istituzioni culturali. I campi d’intervento sono tra i più disparati, dall’interaction design al social design. Novità ulteriore è che negli ultimi anni vengono commissionati oggetto d’arredo ad hoc, non solo dalle gallerie e non solo ai designer. Per fare qualche esempio, al Salone del Mobile di Milano del 2006, Dolce & Gabbana hanno presentato poltrone scultura commissionate a Ron Arad, a marzo di quest’anno Fiat ha presentato la nuova 500 elettrica e per l’occasione ha scelto di far realizzare tre modelli unici a Kartell, Armani e Bulgari. Il mondo dell’arte, così come quello del design, punterà per almeno un ventennio a un business alimentato dalla fama delle celebrities del mondo culturale, seguendo una modalità niente affatto differente da quella delle archistar che costruiscono landmark7 . E non a caso alcune di queste archistar, come Frank Gehry saranno contese a suon di contratti stellari da alcune tra le principali aziende del mondo dell’arredo per siglare collezioni d’autore in cui la firma vale sola il prodotto.

Termine inglese per indicare un punto di riferimento visuale o paesaggistico, in questo caso, edifici in grado di segnare un territorio attraverso la riconoscibilità linguistica del proprio progettista. 7

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Design contemporaneo segna un’estetica e una funzionalità user friendly. Marc Newson designer industriale di fama mondiale per il collezionismo e beni di lusso, nel 2001 firma una serie di prototipi di automobili e addirittura aeroplani per la Newlines, che vedono il trasferimento in questi mezzi di locomozione della sua estetica pop: “Chiedi ai bambini di disegnare un’auto e disegneranno qualcosa del genere, quindi in molti modi lo 021C è un oggetto familiare e confortevole. Ma non utilizza molti spunti tipici di progettazione automobilistica e, sebbene incorpora una tecnologia interessante, non è la tecnologia utilizzata semplicemente per il gusto di farlo”8. Nel 2014 viene affiancato a Jonathan Ive alla Apple, dove creeranno Apple Watch, rivoluzionando il mondo dei wearable. Nel 2019 entrambi lasceranno l’azienda fondata Steve Jobs, per un nuovo progetto di Ive del quale ancora non si hanno nuove notizie, se non quella di voler collaborare a stretto contatto con Apple. Nel 1993 in olanda nasce Droog Design. Una collaborazione che raccoglie designer provenienti da molte nazioni, creando una micro-produzione di oggetti di derivazione concettuale, che importano nel quotidiano dosi di riflessione sui nostri comportamenti, abitudini, vizi e virtù dell’agire attraverso le cose. Il nuovo design concettuale, parte spesso dal valore d’uso dell’oggetto. La rottura che produce sulla ripetitività della gestualità quotidiana, crea una riflessione sui nostri comportamenti sociali, sulle relazioni o sentimenti. Anche la tecnologia utilizzata non segue la moda della spettacolarizzazione e all’Hi-Tech preferisce la tecnologia touch, il rapporto umano diretto.

Cfr. Marc Newson, “Reaching out for a new generation of consumers”. Ford Motor Company. 20 ottobre 1999. Traduzione a cura dello studente. 8

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Capitolo 2 - La terza fase della rivoluzione industriale

Quella che si sta aprendo è un’epoca di grandi pluralismi, dove l’arte è riferimento ineludibile e il design non appare più condizionato dal dominio della visione, avventurandosi in nuove forme di sensorialità, più tattili, più emozionali. E sotto l’aura della sperimentazione il serio e l’umoristico possono convivere serenamente. Se una sottile ironia accompagna il progetto del design, soprattutto quello italiano, sin dagli anni Sessanta, i novanta sono segnati da una corrente spiccatamente ludica che punta sulla seduzione dell’utente finale. Il paesaggio domestico si popola di oggetti che hanno un palese richiamo all’infanzia, al giocattolo, al ricordo. Un repertorio di chiaro appeal per un pubblico non esclusivamente di esperti, e presto vengono rilevate dalla critica le radici di questo biomorfismo che è antropologicamente incastonato nella storia della relazione tra uomo e oggetti. Lo straordinario successo fa cambiare anche la posizione stessa del designer che ora presenzia ai tavoli dei comitati dirigenti delle aziende per definire le strategie di mercato. Il fenomeno edonistico che travolge il mercato dei piccoli oggetti non tarda a coinvolgere anche altre categorie, addirittura quelle tradizionalmente legate a un’immagine seriosa o a quella dei beni di lusso. Nel 1998 la californiana Apple sbaraglia la concorrenza con un nuovo computer che comunica buonumore senza minimamente mettere in dubbio la propria affidabilità prestazionale. Il nuovo iMac G3 dai colori artificiali e sgargianti, “Sorry, no beige” recitava la pubblicità che accompagno l’uscita di questo innovativo computer, progettato già a partire dal 1996. Due gli aspetti determinati del suo successo, il colore che libera l’oggetto dall’idea ingessata del lavoro, la facilità dell’interfaccia che


Capitolo 2 - La terza fase della rivoluzione industriale

Oltre all’oggetto bello e utile, si trovano qui cose che nascono da idee e che invitano al pensiero. I campi di indagine sono tra i piu vari, dall’uso dell’energia e dei beni primari alle relazioni, dalla politica di gestione alla tecnologia. Molti saranno in Europa gli autori spinti da un’analoga ricerca di contenuto da poter immettere nel mondo della produzione, aprendosi più al dubbio che all’affermazione di certezze. Questi oggetti non cambieranno le sorti del pianeta, ma sono pur sempre portatori di un valore immateriale che trascende la mera oggettualità. Uno degli aspetti che caratterizza la nostra epoca è lo sviluppo accelerato delle nuove tecnologie e di quanto questo sia connesso con i processi di globalizzazione, un mondo senza internet e computer oggi sarebbe impensabile. Nel 1974 nasce il primo personal computer, o nel 1976, quando Steve Jobs e Steve Wozniak creano nel loro garage l’Apple I. Gli anni Novanta e 2000 sono segnati dall’affermazione di processi di produzione resi possibili dalle macchine a controllo numerico e dalle stampanti 3D, che operano su programmi digitali, rendendo possibili libertà formali prima neanche immaginabili. Contemporaneamente si assiste all’entrata in uso delle nanotecnologie sul terreno medico, chirurgo e sanitario in generale. Macchine, processi, materiali e metodi pensati per ambiti strettamente specialistici diffondono il loro potenziale al progetto generale e molti sono gli ambiti che possono beneficiare di queste scoperte. Altre potenzialità di sviluppo riguardano il rapid manufacturing, volto a realizzare prototipi ma già usato dalle industrie perché in grado di permettere la produzione di piccole serie, ma anche

di esemplari unici a bassi costi. Le stampanti 3D nel corso degli anni sono diventate più piccole, maneggevoli ed economiche. Ciò ha prodotto due conseguenze, i designer sempre più eseguono in studio i prototipi dei loro progetti, presentando quindi alle industrie ipotesi già molto strutturate. Inoltre, molti progettisti hanno dato via a un fenomeno che prende il nome di autoproduzione digitale, per cui il designer progetta, realizza e propone al mercato le sue idee. Fondamentale per la creazione di questo mondo del progetto è l’opera di un team persone che nel 2003, all’interno dell’Interaction Design Institute di Ivrea, crea Arduino “una piattaforma hardware low-cost programmabile, con cui è possibile creare circuiti ‘quasi’ di ogni tipo per molte applicazioni, soprattutto in ambito di robotica ed automazione”9. Pensata per facilitare la programmazione dei progetti di design interattivo, crea una grande rivoluzione nel mondo tecnologico. Costituisce, infatti, la base per la realizzazione di moltissimi progetti anche in ambito non professionale e favorisce il boom dei Makers, operatori del mondo tecnologico che progettano, realizzano e producono oggetti, ma anche applicazioni e sistemi in autonomia delle industrie tradizionali, basandosi sull’open source, ovvero sulla totale condivisione dei dati e dei risultati delle loro ricerche. Nasce in parallelo nel mondo del design anche il cosiddetto Download Design, ovvero un compendio di progetti che sono liberamente messi a disposizione della comunità e che possono essere scaricati e realizzati direttamente dall’utente.

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Definizione tratta dal sito web ufficiale www.arduino.cc


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Mentre il mondo va nella direzione della globalizzazione, con conseguente perdita delle identità nazionali, il Giappone rappresenta una felice eccezione. La nazione del sol levante s’impone per efficienza della conduzione industriale. Accanto alla mai persa tradizione artigianale il Giappone si caratterizza nel secondo Dopoguerra soprattutto nel settore tecnologico, questo genera da un lato il proliferare di prodotti che sapranno vincere il confronto internazionale sul fronte delle prestazioni, aziende come la Sony e la Mitsubishi, la Yamaha e la Honda si impongono in settori merceologici come quello dei trasporti grazie all’alto livello dell’elettronica nazionale; dall’altro l’affermazione di un’estetica purista e di raffinata eleganza, che saprà farsi riconoscere e ammirare in tutto il mondo. La tendenza alla miniaturizzazione e alla concentrazione diventa, a partire dai primi anni Ottanta, una delle più evidenti caratteristiche del design che dal Giappone influenza tutto il mondo della tecnologia. “Stipare una quantità di cose in uno spazio ridotto mantenendo al contempo il senso estetico, costituisce l’essenza di gran parte del design giapponese per l’alta tecnologia, dove uno degli obbiettivi è ‘stabilire che la multifunzionalità e la miniaturizzazione siano valori paritari’. Ammassare numerose funzioni in un oggetto e renderlo più piccolo e sottile sembrano mete contradittorie, ma per trovare una soluzione occorre portare al limite estremo la contraddizione”10. Non a caso, Tokyo diviene la metropoli dei minialloggi, una città futuribile fatta di spazi angusti dominati dalla domotica e quella descritta dal fantascientifico Blade Runner di Ridley Scott nel 1982 la ricorda molto da vicino. A contribuire all’affermazione dello stile giapponese è senz’altro un’esportazione che opera su più fronti, dalla cucina, con l’affermazione globale dei ristoranti di sushi, alla tecnologia elettronica, dalla moda all’architettura. Negli ultimi anni il design giapponese ha in Nendo la sua risposta infallibile, con circa sessanta prodotti all’anno, commissionati da diverse aziende nel mondo. Oki Sato, il progettista del gruppo, si rivela come il più prolifico degli autori internazionali.

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D. A. Norman, Emotional Design, Apogeo Education, Milano 2004 l’autore si riferisce al saggio di Kenji Ekuan, The Aestetichs of the Japanese Lunchbox del 1998 10


In questo periodo storico sono rilevabili alcuni elementi comuni che determinano un’estetica condivisa da diverse aziende e autori. Un esempio per l’architettura, il gigantesco Beaubourg (Centro Georges Pompidou) di Renzo Piano e altri architetti, che nei primi anni ottanta segna profondamente l’immaginario dei progettisti grazie al suo aspetto da elettrodomestico in cui gli ingranaggi non sono più occultati da una scocca, non a caso la Swatch realizzerà proprio in quegli anni uno dei suoi modelli di maggior successo, il Jelly Fish, connotato da un quadrante che esibirà i propri ingranaggi di funzionamento come elemento di funzionale bellezza. Grande presenza di acciaio e alluminio, accento sulle prestazioni più professionali, meccanismi esibiti sono alcuni dei punti fondamentali del nuovo linguaggio industrial. Da un lato questo porta al paradosso di oggetti tecnologici che vendono prestazioni analoghe, se non superiori, a quelle degli strumenti professionali, basti vedere il moltiplicarsi di funzioni e pulsanti nei sistemi hi-fi, mai realmente utilizzati dagli utenti; dall’altro la dimensione industrial produce oggetti che diventano assoluti long seller. Come il successo di lampade che trasferiscono in ambito domestico forme e prestazioni più vicine all’arredo urbano. Il designer diviene un traduttore della sua stessa visione, non è più il progettista ignaro delle dinamiche produttive, che consegna agli ingegneri di produzione il complicato compito della realizzazione. È un professionista completo, conosce nel dettaglio materiali e tecniche produttive e sa fino a che punto stressare la forma per far apparire semplice quello che in realtà richiede un processo di grande ragionamento.

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Capitolo 2 - La terza fase della rivoluzione industriale

Tra la metà degli anni Ottanta e tutti i novanta la produttività europea ha continuato a incrementare il suo successo grazie a un filone neo-razionalista e a un’estetica che si identificherà come pienamente “industrial”.


Capitolo 2 - La terza fase della rivoluzione industriale

Social design Le tecnologie sono presenti anche in quelle direzioni di ricerca che vanno sotto il nome di social design, che si definisce come una progettazione che intende contribuire al miglioramento delle condizioni di vita e benessere degli uomini. Nel rapporto con la tecnologia, è possibile individuare due tendenze. La prima vede progetti di semplice utilità, realizzati con materiali e tecniche elementari, mediante l’utilizzo di tecnologie povere. Sono spesso progetti ingegnosi e interessanti, ideati per affrontare, con soluzioni economiche, i drammatici problemi che investono molte aree del pianeta, dalla sopravvivenza all’inquinamento, alla scarsità d’acqua. Una seconda ipotesi riguarda la possibilità di adottare tecnologie avanzate in situazioni arretrate. Per fare qualche esempio, si tratta di progetti che prevedono l’impiego di batterie solari o pannelli fotovoltaici delle aree arretrate. La mancanza di investimenti dei Paesi industrializzati nelle produzioni di queste, teoricamente, praticabili soluzioni relega, loro malgrado, nella sfera della speculazione animata delle migliori intenzioni. Alberto Meda, per esempio, nel 2006 progetta una Solar Bottle in grado di purificare l’acqua inquinata utilizzando la sola esposizione alla luce solare, è il caso di un ottimo progetto rimasto a livello di prototipo per mancanza di investimenti. La difficolta di dialogo con le industrie non riguarda solo i progetti per le aree depresse del pianeta. Spesso investire in valori aggiunti, che vadano oltre la funzione pratica, non viene colto dalle aziende legate ai settori del sociale neanche nei Paesi industrializzati. Quando il duo Francesca Lanzavecchia e Hunn Wai progetta un’interessante serie di protesi medicali, che hanno nella considerazione del fattore estetico il loro valore aggiunto, o mobili pensati per la terza età, sempre distinti dalla qualità formale associata all’efficienza funzionale, la recettività del settore si rivela deludente. La conseguenza di questa miopia imprenditoriale è che spesso i prodotti di social design disponibili sul mercato sono intrisi di una funzionalità che non tiene conto di tutti quei fattori, estetici, simbolici e semantici, che altri ambiti del progetto contemporaneo hanno conquistato. Vanno citati alcuni progetti realizzati come Ocean Cleanup dell’Olandese Boyan Slat, il primo sistema di pulizia per l’oceano al mondo, utilizza un tubo di plastica curvo lungo 2000 piedi (circa 610 metri), e potrebbe essere testato sulla superficie dell’acqua nel nord del Pacifico. oppure Warka Tower dell’Italiano Artuto Vittori, che presenta una soluzione innovativa alla mancanza di acqua potabile in Etiopia, Haiti, Togo e Camerun. gli abitanti delle comunità rurali locali raccolgono ancora acqua da bere dal fiume, che è potenzialmente inquinata, per raccogliere l’acqua potabile dall’aria, il team ha sviluppato diversi concetti strutturali e costruito 12 prototipi in scala reale per testare materiali diversi in condizioni ambientali variabili. soprannominato albero di warka, la struttura verticale raccoglie pioggia, nebbia e rugiada e eroga ogni giorno da 40 a 80 litri di acqua potabile. C’è da dire che in questo periodo particolare, ricordato sicuramente per la pandemia che ci ha colpiti, e l’altissimo livello di inquinamento raggiunto in tutto il pianeta, il social design sta recuperando la consapevolezza che merita, sicuramente nel periodo più prossimo si vedrà una grossa rivoluzione in merito.

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Considerazioni stilistiche e studio di casi attraverso i trend Nella progettazione di un oggetto bisogna prima di tutto fare delle considerazioni stilistiche, trovare la strada da percorrere per far sì che il nostro oggetto prenda la giusta direzione. Nel capitolo precedente abbiamo affrontato l’evoluzione del design nel corso degli anni, questo percorso mi ha portato ad un quesito: È meglio progettare un oggetto assolutamente anonimo e minimal o qualcosa di caratteristico e esagerato? Probabilmente un bravo designer risponderà minimal, la storia ci insegna che un oggetto troppo caratteristico dove la forma non segue la funzione tende ad invecchiare velocemente o potrebbe entrare a far parte della nicchia degli oggetti simbolici o “riflessivi”. Al giorno d’oggi la società è portata all’acquisto di un prodotto anziché un altro perché influenzata dai trend, o mode, che trasformano il gusto estetico in un gusto temporaneo. I trend evolvono in continuazione, si espandono velocemente anche grazie all’estrema forza dei social e degli influencer All’improvviso si inizia a vedere un determinato colore in giro, il verde pistacchio ad esempio. I personaggi dello spettacolo lo indossano, nei negozi d’abbigliamento tutti i capi sono in verde pistacchio, Pantone lo definisce colore dell’anno, fino ad arrivare alle persone più vicine a te, ed ecco che un nuovo trend è nato. Il trend ha una particolare forza psicologica, se non li segui rischi di sentirti escluso, di essere fuori dal gruppo, di fare la fine del boomer. Ma allo stesso tempo sono deboli, durano poco e spariscono all’improvviso, allo stesso modo in cui sono nati. Nessuno vorrebbe indossare il verde pistacchio quando il nuovo colore è il tortora. I trend sono molto potenti in termini di comunicazione, vanno previsti e seguiti in tempo, e potrebbero essere terribili se presi in ritardo, rischierebbero di invecchiare la tua immagine.

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Capitolo 2 - La terza fase della rivoluzione industriale

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Seguire i trend, perchè? Lo stile minimal si piazza, come metodo di progettazione, oltre il trend ed il gusto personale. Essendo privo di personalità, quindi neutro, è però molto versatile e questo gli permette di adattarsi ad ogni contesto, target, stile ed epoca.

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Pensiamo a come lo stile Apple ha conquistato, e continua a conquistare, milioni di utenti da anni. I loro smartphone non seguono alcun gusto personale evidente, già a partire dall’iPhone 4 le forme erano la naturale conseguenza delle sue funzioni. La struttura dell’oggetto era concentrata nella cornice in alluminio, l’assenza delle plastiche ed il pannello in vetro era stata un grande svolta in termine di stile rispetto agli anni precedenti, rendendolo elegante ed essenziale. La luce evidenziava i contrasti delle finiture opache e lucide. La semplicità della geometria della cornice in alluminio in realtà nascondeva la complessità della tecnologia dell’antenna. Negli anni successivi alla nascita di iPhone diversi marchi come Samsung e Google hanno provato a produrre un iPhone killer, ma con poco successo. Uno dei problemi principali era il voler dare una personalità al proprio prodotto. La personalità piace a pochi, e come abbiamo visto invecchia presto, gli smartphone prodotti da altri marchi spesso presentavano delle texture, i pattern vengono visti da alcuni come un’esagerazione e da altri come un tocco di classe. Il minimalismo di Apple è sempre stato vincente, perché appunto impersonale e neutro, piaceva a tutti. Va detto però che lo stile minimal non è sempre una garanzia, può portare anche a risultati sconvenienti se non si analizza il target, e sfociare nel “noioso” o “ostentoso”.

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Un “errore”, parola da prendere con le pinze, fatto da Tesla con il Cybetruck nel 2019, il primo suv prodotto dall’azienda di Elon Musk. Tesla ha presentato una rivoluzione nell’ambito dei pick-up americani, ormai uguali da quasi centocinquant’anni, questo perché l’americano medio non ha mai chiesto altro e la voleva così, aggressiva e mascolina, a tratti rozza. Tesla ha concepito un pick-up completamente nuovo, essenziale e minimal. Ma nonostante il design molto curato e attento al dettaglio, gli immensi studi effettuati sui materiali e la forma aerodinamica, il Cybertruck fin da subito ha avuto un impatto negativo sul mercato, ricevendo numerose critiche e venendo considerato “strano”.

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Quindi abbiamo delle differenze sostanziali tra una progettazione minimal e una più personale. Lo stile minimal abbraccia un target più ampio e ci dà sicurezza nelle vendite, un approccio sicuro e duraturo.

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Lo stile personale è colorato, spesso esagerato e per alcuni versi rischioso perché deve combaciare con il gusto degli utenti ma sicuramente molto originale. Allora perché tutte le aziende non lavorano nel minimal? Perché non tutte ne sono capaci. Semplificare è molto difficile, individuare e capire le priorità, cosa togliere e cosa lasciare, saper rivoluzionare senza stravolgere, rimuovere le funzioni senza peggiorare l’esperienza utente è molto difficile. Percepire i trend e rendere il minimal elegante non è solo “assenza di complessità”. L’attenzione ai materiali e alle finiture, trasmettere l’identità dell’azienda attraverso lo stile, che seppur minimal deve esserci e deve essere uniforme in tutta la linea di prodotti.


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Capitolo 2 - La terza fase della rivoluzione industriale

Dall’osservazione di questi casi si sviluppa il mio pensiero: Dovendo progettare un oggetto da salotto o scrivania, scelgo un design geometrico ed essenziale, quindi anonimo o qualcosa di più personale e magari divertente? Esaminando le risposte avremmo un prodotto sicuramente utile ma che non lascerà nulla all’utente finale per il primo caso, un prodotto in grado sì di emozionare ma che sicuramente invecchierebbe prima nel secondo. Inoltre, immaginando un salotto del futuro dove avremo cubi, sfere e cilindri senza sapere a cosa servano, che potrebbero essere speakers, router o hardisk e che molto spesso passano in secondo piano a causa del loro aspetto anonimo e la poca interazione.


capitolo 3

Proposta progettuale

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Con il mio progetto ho voluto rivalutare un oggetto che nella maggior parte dei casi scompare dietro le sue funzioni, passando in secondo piano. I ricevitori Bluetooth sono di base anonimi ed ho voluto “rendere giustizia” a qualcosa di così utile e sottovalutato, aggiungendo qualche funzione in più e dandogli un’anima. Ho ricollegato la funzione del Bluetooth, quindi la possibilità di connettere e connettersi con il proprio smartphone ai vari dispositivi presenti nelle nostre case, interpretandolo come una sorta di spostamento virtuale, a quella dei pipistrelli che attraverso l’emissione di raggi a ultrasuoni si possono spostare e comunicare tra loro, una sorta di metafora. Non si tratta di dare un’identità bizzarra o animalesca all’oggetto, si tratta di dare significato alle forme, ai colori e alle finiture. Oggi la parola d’ordine per la scrivania di un designer o un architetto, ma soprattutto di un salotto moderno è wireless, senza fili, e Orion vuole ampliare questo pensiero. Ho effettuato il restyling di un ricevitore/ trasmettitore Bluetooth con l’aggiunta di ricarica wireless, permettendo il collegamento tra dispositivi fissi e mobili molto più semplice, efficace e pulito, ma soprattutto rivaluta quegli impianti Hi-Fi, giradischi, “vecchi” televisori che abbiamo a casa, dando anche la possibilità di godersi la tv o la musica attraverso cuffie Bluetooth.

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Genesi della forma

Capitolo 3 - Proposta progettuale

Un buon progetto si basa su due punti fondamentali, bellezza e funzionalità. Con bellezza si intende la semplicità delle forme e immediatezza nell’uso. Per funzionalità ci si riferisce all’uso e alle funzioni che l’oggetto ci permette di effettuare. Trovare il giusto equilibrio tra questi due aspetti senza far prevalere l’uno sull’altro è la più grande sfida per un designer. Il significato che un può acquisire, o quello che il designer vuole dare al suo progetto può diventare la chiave per il giusto equilibrio tra bellezza e funzionalità. Le forme, i colori e le finiture in oggetto devono avere dei significati anche se lo stile che si utilizza è minimal e essenziale. Sicuramente Google e Amazon con i loro assistenti vocali sono stati un punto di riferimento importante per quanto riguarda la progettazione di Orion, un prodotto sempre presente ma poco ingombrante, dalla forma semplice ma con un carattere, in questo caso non la voce, ma la forma del prodotto stesso.

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Capitolo 3 - Proposta progettuale

Pensando al mio progetto avevo le idee chiare sul fatto che avrebbe dovuto attirare l’attenzione, quindi doveva illuminarsi e avere una forma che si sposasse il più possibile con l’ambiente, stravolgendo comunque la standardizzazione dei ricevitori Bluetooth attuali, non doveva essere un semplice cubo o cilindro. Ho preso ispirazione dai prodotti di casa Google e Amazon, esperti in semplicità e innovazione, in particolare ho pensato ai lori assistenti vocali, guardando al ruolo che ricoprono nelle nostre case. Ovviamente voler collegare un animale ad un oggetto simile può creare qualche dubbio e magari portare a stravolgere l’idea di quel prodotto, così ho effettuato un lavoro di sintesi totale, smaterializzando il pipistrello in soli 2 elementi, le ali e le onde ad ultrasuoni. Così facendo ho eliminato il lato giocoso che avrebbe potuto avere dovendo rappresentare un animale e sono riuscito a mantenere una forma adatta a tutte le esigenze di stile mentendo un’estetica piacevole. L’oggetto doveva rendere l’esperienza utente facile e rapida, il piano inclinato lascia intendere che è possibile appoggiarci qualcosa, in questo caso lo smartphone per la ricarica wireless, la luce fa intuire che il dispositivo è connesso. Le forme semplici e i pochi tratti accennati erano caratteristiche che cercavo già dalle prime bozze, volevo una forma semplice con un contrasto di forme organiche mantenendo l’oggetto moderno.


Capitolo 3 - Proposta progettuale

Quando si progetta è sempre difficile equilibrare estetica e funzionalità, bisogna trovare dei compromessi che però molto spesso non rispecchiano l’idea che abbiamo prefissato nella nostra mente o peggio ancora potrebbero danneggiare l’esperienza utente. Bisogna sempre cercare delle soluzioni ai problemi mantenendo il più possibile l’approccio personale al progetto, in modo da rendere la soluzione trovata non più un compromesso ma la naturale conseguenza dell’aver rispettato l’obbiettivo posto.

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Come funziona Orion è un ricevitore/trasmettitore Bluetooth, con una base di ricarica wireless. Si utilizza per trasmettere l’audio con i diversi dispositivi presenti in casa e per ricaricare lo smartphone. Basta collegarlo tramite cavo audio, ad esempio alla tv, e tramite il Bluetooth alle cuffie. Una volta avvenuta la connessione il led centrale si illuminerà e resterà acceso per tutta la durata del collegamento tra i due dispositivi. Per caricare lo smartphone invece basterà lasciarlo sul piano inclinato di Orion, il led lampeggerà a conferma di ricarica in corso.

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modalità bypass


modalità trasmettitore

Per la prima configurazione bisognerà collegarlo alla rete elettrica tramite un cavetto usb di tipo C, una volta alimentato il nostro Orion inizierà in automatico la procedura di pairing (accoppiamento), bisogna installare l’app sul proprio smartphone, dove verrà rilevato e registrato. Sull’app si potranno anche registrare tutti i nostri dispositivi Bluetooth, per un passaggio rapido da un dispositivo ad un altro, mentre

per i dispositivi fissi è inevitabile il collegamento fisico tramite cavo AUX da 3,5 mm o ottico. L’intenzione è quella di rendere la UX il più semplice possibile, per questo ho optato per l’eliminazione dei pulsanti, questo aspetto ha ricoperto un ruolo molto importante nella progettazione del prodotto. 57

Capitolo 3 - Proposta progettuale

modalità ricevitore


Capitolo 3 - Proposta progettuale

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Interfaccia

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Orion presenta un’interfaccia fisica sul retro, un ingresso usb di tipo C che permette l’ingresso di un adattatore al quale sarà possibile collegare i device audio, ed un led centrale. Il design è estremamente semplice, risultato di una ricerca sulla funzionalità molto attenta. Analizzando le funzioni sono arrivato a queste semplici soluzioni, nella parte posteriore l’adattatore permette, con un ingresso Aux oppure ottico, il collegamento dei nostri dispositivi audio o della tv. L’adattatore è stato scelto anche per una questione di ordine, avere un insieme di cavi attaccati ad Orion lo avrebbero reso ingombrante e sicuramente poco bello, cosa che assolutamente non sarebbe dovuta accadere, in questo modo l’adattatore può facilmente scivolare dietro la scrivana o dietro la tv della sala, facendo così sparire il groviglio di cavi. Nella parte anteriore, quella rivolta “al pubblico”, si trova un piano inclinato che dà la possibilità di ricaricare il nostro dispositivo, su questo piano si trovano due inserti in gomma per evitare allo smartphone di scivolare e tenerlo ben saldo durante la ricarica. Al centro, come a voler spaccare in due l’oggetto, si trova “l’anima” di Orion, un led che aiuta l’utente durante l’utilizzo, attraverso la sua accensione o il suo lampeggiare indica se ci troviamo in fase di pairing o se siamo collegati a un dispositivo. Grazie a queste accortezze e all’app, il dispositivo non necessità di un apprendimento, si è capaci di usarlo anche senza averlo mai usato prima.


Capitolo 3 - Proposta progettuale

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APP

Capitolo 3 - Proposta progettuale

L’app è necessaria per la prima configurazione del dispositivo. Installata l’app sul proprio smartphone questa permetterà di configurare il dispositivo, gestirlo, aggiornarlo e visualizzare lo stato della batteria. L’interfaccia dell’app è molto semplice, nella home si trovano tutte le funzioni di Orion e si avrà la possibilità di passare da ricevitore a trasmettitore in maniera veloce cliccando su quella desiderata in base all’esigenza. in una seconda schermata si ha la possibilità di accoppiare nuovi dispositivi, fino ad un massimo di 6 dispositivi anche contemporaneamente.

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Capitolo 3 - Proposta progettuale

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Dimensioni e UX

Le dimensioni del prodotto sono molto ridotte, Orion è stato pensato per essere posizionato vicino una Tv o su una scrivania e non poteva avere grandi dimensioni, ma il minimo per supportare la grandezza di uno smartphone.

Capitolo 3 - Proposta progettuale

90x100x50

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50 mm

90 mm

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Il prodotto ha un aspetto solido, i materiali, anche se plastici, danno una percezione di qualità e compattezza. Quando Orion è scarico è possibile ricaricarlo ed utilizzarlo anche sotto carica, basterà collegare un qualsiasi cavo usb di tipo C, come quello del cellulare.

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Capitolo 3 - Proposta progettuale

Il prodotto è pensato per essere usato senza nessun tipo di conoscenza pregressa. Basterà aprire l’app e seguire dei semplici step. Se voglio trasmettere audio, ad esempio, se voglio ascoltare dei vinili dal giradischi di mio nonno con le mie cuffie Bluetooth mi basterà collegare il cavo AUX dall’uscita del giradischi all’ingresso di Orion, associare le cuffie tramite l’app e mettere in play il giradischi. Se invece voglio utilizzarlo come ricevitore dovrò collegare tramite AUX o cavo ottico dal dispositivo che voglio utilizzare, ad esempio l’impianto Dolby Surround, all’uscita di Orion e tramite l’app collegare lo smartphone e ascoltare la musica, con la possibilità di lasciarlo sul dispositivo e avere la batteria carica grazie alla ricarica wireless.


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capitolo 4

Validazione dell’idea

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Per capire se Orion ha mercato è necessario valutare 3 dati: l’esistenza di un’esigenza, analisi della concorrenza e la proiezione degli scenari futuri. Ad oggi in Italia possiamo trovare sicuramente più smartphone che televisori. Sicuramente il rapporto con i media ha influenzato in maniera abbastanza considerevole anche il vivere la casa ed il rapporto con essa, analizziamo dei dati : in Italia troviamo 43,6 milioni di smartphone contro 42,3 milioni di televisioni, lo smartphone ha sicuramente un ruolo chiave nelle nostre vite e ad oggi rappresenta un oggetto di culto, la percentuale degli utenti in Italia è passata dal 15% nel 2009 all’attuale 73,8%. Sono stati i giovani under 30 i pionieri del consumo, passati dal 26,5% nel 2009 all’86,3% dell’ultimo anno. Dal 2016 si è registrata anche un’impennata tra i giovani adulti, età compresa tra i 30 e i 44 anni, che ad oggi risulta pari al 90,3%. Nel 2018 nelle case degli italiani si contano 111,8 milioni di device, in ogni famiglia ci sono in media 4,6 device. Il 2018 è stato l’anno in cui i gli smartphone superarono i televisori. In particolare vediamo i numeri relativi ai dispositivi connessi nelle case, si contano 6,5 milioni tra smart TV e dispositivi esterni effettivamente collegati a Internet per guardare programmi televisivi. Il 47,8% delle famiglie in cui vive un minore ha in casa una smart TV o dispositivi esterni che consentono di collegarsi al web. Crescono anche le famiglie di over 65 anni che sfruttano schermi per collegarsi ad Internet, l’8% dispone di una smart TV connessa. Alla luce di questi dati valutiamo che nonostante l’avvento delle smart TV, che sono dotate di Bluetooth o di app dedicate alla gestione delle stesse e quindi riescono a rendere più versatile il nostro rapporto con le tecnologie presenti in casa, risulta comunque una spesa non indifferente da affrontare per una famiglia, ancora più difficile se parliamo di studenti fuorisede. Il rapporto con lo smartphone invece è ormai alla portata di tutti, dai bambini agli anziani e da tutte le fasce economiche.

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Capitolo 4 - Validazione dell’idea

La diffusione di una tecnologia così personale e potente ha contribuito ad una piccola mutazione antropologica, che ha finito per plasmare i nostri desideri e le nostri abitudini. Più della metà dei possessori di uno smartphone, il 50,9%, ammette di controllare il telefono come primo gesto al mattino o ultima attività della prima di dormire. Lo smartphone è diventato il device dedicato anche alla gestione di noi stessi, come un’estensione del nostro pensiero e spesso cerchiamo la soluzione a tutti quei problemi legati alla tecnologia proprio dallo smartphone, dal quale ci risultano più facili da affrontare. Quante volte ci è capitato di pensare, riferendoci ad un operazione analogica, “perché non posso farlo con il cellulare?” o “perché non hanno ancora inventato

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l’app per fare l’operazione x?”, molto spesso queste situazioni ci si pongono quando ci interfacciamo con device che hanno un’esperienza utente sbagliata, o con quei dispositivi abbiamo in casa che non sono al passo con i tempi ma che comunque non buttiamo via perché funzionanti, come ad esempio l’impianto Hi-Fi regalato alle nozze dei propri genitori, o con il giradischi, l’oggetto vintage per eccellenza, tornato molto in trend negli ultimi anni. L’esigenza di un ricevitore/trasmettitore Bluetooth non va sottovalutata, nonostante l’espansione di device che hanno tutte le ultime tecnologie, risulta ancora oggi un’esigenza reale. Poter rendere smart o comunque fare un upgrade di un prodotto “vecchio” e


avere poi versatilità tra lo smartphone e i device che abbiamo già, senza dover spendere cifre assurde va sicuramente incontro a una grande percentuale di pubblico. Orion potrebbe avere sicuramente un target molto solido, in particolare tra i giovani. Ma qual è l’attuale concorrenza? Attualmente solo i possessori di una smart tv o di un Google Chromecast possono collegare il proprio smartphone alla tv, condizionati da una connessione wi-fi in entrambi i casi. Sono sicuramente due opzioni differenti, come lo sono le esigenze, un possessore di Google Chromecast è interessato prima allo streaming per la fruizione di contenuti video, come Netflix e YouTube che

all’audio. La stessa situazione si ripropone per gli impianti hi-fi e per i giradischi, se non si possiede un prodotto di ultima generazione non è possibile effettuare un upgrade del device e poter interagire con lo smartphone. Con Orion devi solo collegare il prodotto che hai già in casa ed installare l’app, rivalutando così i tuoi device in maniera semplice grazie anche alla gestione tramite lo smartphone. L’utente può così sentirsi libero di ascoltare la musica dal device che preferisce e che già possiede senza nessun limite, ascoltare il suo vinile preferito in pace attraverso le cuffie anche alle due del mattino e senza disturbare il vicino di casa brontolone.

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Benchmark Esistono diversi ricevitori e trasmettitori Bluetooth sul mercato, i migliori sono tre:

NOME:

TaoTronics TT-BA09 PREZZO:

Circa 30

RICARICA WIRELESS:

No

PROBLEMI:

Il design del device è poco curato

NOME:

Elegiant BTI-066 PREZZO:

Circa 30

RICARICA WIRELESS:

No

PROBLEMI:

Secondo gran parte degli utenti il pairing risulta molto lento e macchinoso

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NOME:

Aukey BR-O8 PREZZO:

Circa 50

RICARICA WIRELESS:

No

PROBLEMI:

Manca la batteria, ciò comporta l’utilizzo del device solo in presenza di prese elettriche

NOME:

Orion PREZZO:

Circa 50

RICARICA WIRELESS:

PROBLEMI:

La gestione del dispositivo è legata totalmente all’app, quindi all’utilizzo di uno smartphone o un tablet

Al momento non sembra ci siano sul mercato ricevitori e trasmettitori Bluetooth che implementano la ricarica wireless e l’utilizzo di un app. L’unico concorrente in termini di design è Aukey BR-O8, vincitore del premio red dot award nel 2019. 79

Capitolo 4 - Validazione dell’idea

Si


Capitolo 4 - Validazione dell’idea

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Orion è un prodotto che fa della sua estetica e usabilità il selling point. Per questo non si posiziona in una guerra di prezzo o di funzione, pur rimanendo concorrenziale. Ma l’incremento di connessioni Bluetooth all’interno dei nuovi prodotti tecnologici come tv e dolby surround può essere un problema? Probabilmente sì, ma è giusto considerare che la maggior parte di questi dispositivi implementano principalmente la funzione di ricevitore Bluetooth e mai di trasmettitore. Senza sottovalutare il fatto che il mio utente richiede versatilità tra diversi prodotti. Se consideriamo uno scenario futuro dove tutte le case avranno una smart tv e la possibilità di collegare anche più paia di cuffie Bluetooth contemporaneamente, allora sì, Orion sarà un prodotto datato ma questo non avverrà prima di cinque anni.

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Target

A chi si rivolge Orion? Chi è l’utente medio di questo prodotto? È sicuramente una famiglia con figli adolescenti che vogliono un prodotto tecnologico e versatile in casa per sfruttare le cuffie Bluetooth. È l’utente amante della musica che vuole ascoltare e magari condividere un brano in casa con gli amici. È l’utente che ama i prodotti semplici e ben progettati, e che vuole avere la sua scrivania in ordine. È lo studente fuorisede che vuole una casa un po’ più smart senza spendere molto. È la coppia che vuole godersi un film con le cuffie senza disturbare il sonno del bambino

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Capitolo 4 - Validazione dell’idea

Orion vuole dare una possibilità in più di creare condivisione o un momento di privacy con poco, in maniera elegante semplice ed ordinata..


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Conclusioni

Orion è un prodotto semplice sotto ogni aspetto, ma non è assolutamente un progetto facile. Semplificare la forma senza rinunciare all’esperienza utente e alle funzioni è arduo, sarebbe stato facile cedere ai compromessi ma non l’ho fatto, probabilmente anche per questo il risultato è un prodotto davvero valido. L’idea dal principio era quella di portare Orion sul mercato, attraverso un proprio brand ed una campagna di Crowdfunding, sicuramente è una soluzione interessante che valuterò nel tempo, migliorandomi negli studi nel settore del product design.

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Ringraziamenti

Per primi voglio ringraziare i miei genitori, senza i loro sacrifici il mio percorso di studi non sarebbe stato possibile, a loro va il ringraziamento piu grande. Ringrazio i miei compagni di accademia, Lorenzo Stefano Fabio Elena e Silvia, non solo compagni ma amici veri, colonne portanti del mio percorso. Probabilmente senza di loro non sarei arrivato a conclundere questo progetto, grazie ragazzi. Un grazie va a Tommaso, coinquistanza che mi ha sopportato per anni senza mai lamentarsi, ai ragazzi di via Monterotondo e a quelli di via Strinella. Un immenso grazie va a L’Aquila, una città che mi ha dato tanto e dove lascio un pezzo di me. Agli amici di sempre Diego Gandalf Giovanni Mattia Angela Cinese e Maglio, sempre pronti a supportarmi, forse meglio a sopportarmi, senza di voi non sarei la persona che sono oggi. Grazie a tutti gli amici che hanno ascoltato i miei mille problemi su questi tesi e che ora ne gioscono con me. A Daniela, una persona speciale.

La felicità è reale solo quando

è condivisa

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Bibliografia Dardi D. e Pasca V. Manuale Di Storia Del Design. Milano: Silvana ed.; 2019. Mari E. Progetto E Passione. Torino: Bollati Boringhieri; 2003. Munari B. Da Cosa Nasce Cosa. Roma: Laterza; 2019. Munari B. Artista E Designer. Bari: Laterza; 1976. Munari B. Fantasia. Bari: Laterza; 2017. Norman D. A. La Caffettiera Del Masochista. Firenze: Giunti; 2014. Norman D. A. Emotional Design. Milano: Apogeo; 2004. Terragni E., Loesch-Quintin L. Graphic: 500 Designs That Matter. London: Phaidon; 2017. Yudina A. Furnitecture. Modena: Logos; 2015. Argan G. C. e Masini L. V. L’arte Moderna. Sansoni Per La Scuola, 2008.

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Sitografia Alessi. https://alessi.com

Playstation. https://www.playstation.com

Apple. https://apple.com

Sony. https://sony.com

Arduino.cc. https://arduino.cc/.

Swatch. https://swatch.com

Censis - Centro Studi Investimenti Sociali. www.censis.it

Tesla. https://www.tesla.com

Domus. https://domusweb.it Google. https://store.goole.com Ikea. https://www.ikea.com/. Kartell. https://kartell.com Lego. https://www.lego.com

Web archive http://web.archive.org/. Xbox. https://xbox.com Youtube. https://youtube.com/c/ StefanoPasottiDesignStudio Youtube. “TEDItalia - Don Norman e i tre modi in cui il design rende felici”. https://www.youtube.com/ watch?v=5zfqSltDUOM

Marc Newson. https://marc-newson.com Microsoft. https://microsoft.com Muzli Inspiration. https://muz.li Nendo. https://nendo.jp

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“Le vent se lève, il faut tenter de vivre... Si alza il vento, bisogna tentare di vivere.” - Jiro Horikoshi

Cfr. Paul Valery, verso dal poema Le Cimetire marin (1929), ha ispirato il titolo sia del romanzo originale Si alza il vento di Tatsuo Hori sia del film di Hayao Miyazaki e viene citato all’interno del lungometraggio.




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