"Scalabriniani" n. 5 / 2010

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Bimestrale - Anno XVII - N. 5 Settembre - Ottobre 2010

Migrazioni FraternitĂ convivenza armonia di colori e di culture


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Bimestrale della Associazione Scalabriniana ONLUS Anno XVII - N. 5 Settembre - Ottobre 2010 Direzione, redazione Via Calandrelli 42 - 00153 Roma Tel. (06) 58.33.11.35 - Fax (06) 580.38.08 website: www.scalabrini.org e-mail: lorenzobosa@gmail.com segreteriacs@gmail.com Direttore Lorenzo Bosa Direttore responsabile Gianromano Gnesotto Redazione Gaetano Parolin Elena Nazzaro (segretaria) Silvano Guglielmi Pierino Cuman Mariella Guidotti Hanno collaborato Sergio Andreazza - Pierino Cuman - Carlo Galli - Antonio Gr asso - Mar iella Guidotti - Pietro Manca - Bruno Mioli - Missionarie di San Carlo Missionarie Secolar i Scalabr iniane - Hé ctor Orozco - Antonio Paganoni - Giovanni Saraggi Eufrocina Sumampon - Giovanni Terragni - Pietro Tessaro - Renato Zilio Fotografie Autori degli articoli - Archivio Fotografico di “Scalabriniani” - Seg reteria Gener ale della Cong regazione - Sérgio Luiz Garana - Pietro Paolo Polo - Vittorio Basso Tipografia Città Nuova della PAMOM Settembre 2010 Autorizzazione Tribunale di Roma, n. 18 del 20-1-1994

Italia

Abbonamento

Euro Euro Estero Euro

16,oo (ordinario) 26,oo (sostenitore) 28,oo

Sommario 03 04 06 08 10 12 14 15

Esodi sotto il fuoco di Lorenzo Bosa Ci scrivono

Italia - 100 anni di unità d’Italia e di emigrazione di Bruno Mioli

Australia - Crocevia di culture di Antonio Paganoni

Italia - La civiltà del lavoro

di Antonio Grasso

Sud Africa - A Città del Capo

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Inghilterra - Giovani italiani oltre la Manica di Renato Zilio

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dopo i mondiali estratto da Avvenire - G. S.

Portogallo - Migranti a Fatima Italia - Confini

16 Argentina - Querida Mamita di Héctor Orozco 18 Italia - Scalarock 2010 di Pietro Manca 20 Scalabriniani - Una comunità tutta missionaria di Giovanni Saraggi 22 Australia - Quando l’ospitalità 23 24 25

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di Pietro Tessaro

A pagina 38 - 39 come partecipare alla

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S O L I D A R I E T À

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Sacerdoti da 60 anni Australia - Festa per il nuovo organo

Volontari di frontiera

M I S S I O N A R I A

ingiusta

pacifica

Stati Uniti - Il mio viaggio

Occhi sul mondo delle migrazioni Messico - Realtà missionaria

Stati Uniti - Stop a una legge Colombia - Per una convivenza

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diventa missione di Tony Paganoni

Italia - In riva al Brenta di Sergio Andreazza Scalabriniani - Formazione laici

Australia - Aria di elezioni P. Ugo Fent a cura di P. Giovanni Saraggi

Missionarie Secolari Scalabriniane Un anno per ringraziare da “Sulle strade dell’esodo”

Filippine - I ragazzi di Payatas di Eufrocina Sumampong Comune spirito missionario a cura di P. Giovanni Terragni Ordinazioni sacerdotali Hanno detto Alla Casa del Padre: P. Elói Dalla Vecchia P. Giovanni Bonelli Solidarietà missionaria

Anche tu... puoi essere Missionario

diffondendo la devozione al Beato G. B. Scalabrini inviando intenzioni di Sante Messe pregando perché il Signore moltiplichi le vocazioni e benedica l’apostolato dei missionari orientando i giovani alla vita sacerdotale e missionaria inviando offerte per le opere di carità sostenendo un progetto missionario sottoscrivendo e facendo conoscere il bimestrale “Scalabriniani”

Donare la vita agli altri è il modo migliore per viverla pienamente


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Esodi sotto il fuoco Lorenzo Bosa

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uccede in vari paesi ricchi, ma particolarmente segnati dalla povertà e dalla sofferenza della popolazione e dalle continue stragi su cui troppo spesso c’è un silenzio imbarazzante. Nemmeno la comunità internazionale ne vede l’importanza e sembra nascondere l’esistenza, chiusa in un silenzio impressionante. La difesa dei cristiani - dice il Papa nell’Instrumentum Laboris per il Sinodo del Medio Oriente – è una “grave responsabilità” e denuncia nello stesso tempo che “nel gioco delle politiche internazionali si ignora spesso la loro esistenza”, pur appartenendo al tessuto sociale. Ci riferiamo in particolare alla sistematica persecuzione contro i cristiani che insanguina vari paesi del mondo islamico, dove avere o portare una Bibbia, avere al collo un rosario o una minicroce si è bollati come apostati e come tali è certa la via del martirio o dell’esilio. Da molto tempo i fatti si ripetono, non solo tra le montagne o villaggi dove predominano i guerriglieri talebani, ma anche nei Paesi moderati, islamici e non: villaggi dati alle fiamme in Pakistan, un paese particolarmente provato dalle inondazioni dei mesi scorsi con migliaia di morti, dove tra le fiamme sono immolati bambini colpevoli di avere genitori cristiani; persecuzioni alle comunità cristiane in Iraq bersagliate dall’odio e dal fanatismo del fondamentalismo islamista; cristiani braccati e costretti alla clandestinità a causa della loro fede nello Yemen; centinaia di cristiani uccisi a colpi di machete in Nigeria; continue aggressioni e assalti armati ai cristiani in Indonesia; l’Algeria martoriata dalla “guerra santa” e altrettanto in Egitto l’oppressione verso i cristiani copti e così via. La serie di questi misfatti è purtroppo lunga e non sembra abbia tregua. Di questi fatti e di tantissimi altri l’unica ragione è l’ostilità assoluta e l’odio contro i cristiani, che Al Qaeda considera siano i “crociati” da estinguere dalla faccia della terra, perché invasori e attentatori alla purezza di una religione non tollerante di altre fedi. I cristiani si trovano in questo scenario, un campo di battaglia impari, indifesi e inermi; subiscono attentati e ricatti per cui per molti l’unica via di scampo è l’esodo forzato e l’abbandono delle proprie terre e dei propri cari. Le ferite aperte dalla violenza acuiscono infatti il problema dell’emigrazione, che inesorabilmente priva le minoranze cristiane delle migliori risorse per il futuro. Il motivo è proprio perché “cristiani” e non a causa di conflitti militari o politici; fatto questo che, per l’indifferenza del mondo e dei media in generale, viene scantonata. I cristiani non utilizzano le armi; non esistono milizie cristiane e quindi sono i più vulnerabili. La geografia delle migrazioni cristiane è veramente impressionante, non solo nei territori dove il fondamentalismo non dà tregua, ma anche là dove la convivenza diventa spesso ostilità a causa delle differenze o dell’autoritarismo. I cristiani “costretti alla fuga e la loro scomparsa” da questi territori, di cui sono cittadini a tutti gli effetti, mettono in serio “pericolo non solo l’identità della Chiesa”, che in questi Paesi affonda le sue radici, ma anche “un futuro di democrazia e pluralismo” (Benedetto XVI Instrumentum Laboris per il Sinodo del Medio Oriente). Il Papa più volte ha fatto presente questo fenomeno e ha fatto appello per uno sforzo internazionale urgente e concertato al fine di risolvere le tensioni. Ha pure rivolto agli stessi cristiani l’invito di resistere, di dare prova della loro fede e di rimanere. Ma non sempre è stato possibile e non lo è tuttora, perché la loro vita è in costante pericolo. Nonostante, il Papa afferma che i cristiani sono “una ricchezza” non solo per la Chiesa ma per il mondo intero. Ed esorta anche noi a superare le “differenze”, a “portare pace” e ad “offrire al mondo un messaggio di speranza”.

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Da sinistra: Giustina Inés, P. Giovanni e Lina Moletta

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Giustina Inés Pellizer in Fusarini, nata a Onè di Fonte nel 1925 ed emigrata in Uruguay. È rimasta vedova a soli 24 anni, con due figli gemelli: Dino e Dina. Sempre vicina ai miei nonni e suoi cognati Mario Dal Bello e Maria Fusarini, ha saputo essere papà e mamma. La sua salute è stata sempre delicata, ma è sempre stata una vera donna italiana e trevisana. È tornata al cielo nel mese di maggio 2010. Nel Natale 2009, con i suoi 84 anni, con molta gioia ha ricevuto la bella visita di Gesù Eucaristia e una bella immagine di Gesù Bambino, portata da P. Giovanni Baggio della Missione Cattolica. Oltre alla nonna, al momento della visita c’eravamo tutti noi e un’altra italianissima signora, Lina Moletta. P. Giovanni, a cui va la nostra più sincera gratitudine, ha ripetuto questa visita a tante altre famiglia della comunità italiana residente in Uruguay facendoci sentire un po’ in Italia e vivere le nostre tradizioni cristiane.

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Adriana Dal Bello - Montevideo

Carissimi amci, ... a voi che avete avuto la benevolenza di seguire ed apprezzare le nostre iniziative, sempre volte a promuovere la "visione scalabriniana" delle migrazioni, ho la gioia di comunicare che il n. 178 della nostra rivista “Studi Emigrazione” è stato consacrato a “Migrazioni e teologia. Sviluppi recenti”. In questo volume monografico, diversi e competenti studiosi scalabriniani delle varie scienze teologiche fanno il punto della situazione riguardo alla riflessione sulle migrazioni che le discipline stanno affrontando. Infatti, in società sempre più caratterizzate dal pluralismo etnico, culturale e religioso, risulta quanto mai necessario che le scienze teologiche sviluppino adeguati e competenti percorsi interpretativi della realtà. Con questa riflessione ci proponiamo di continuare l’opera del Beato Giovanni Battista Scalabrini, quando

(Per richieste: Via Dandolo, 58 00153 Roma - studiemigrazione@cser.it) Lorenzo Prencipe - Roma Italia

Caro Padre, anche a nome dei Missionari Scalabriniani della Missione Cattolica Italiana di Montevideo desidero far memoria di

invita a non scoraggiarsi mai, neanche dinanzi agli ostacoli apparentemente insormontabili. Ci preme, in effetti, ricordare che la pastorale migratoria sarà tanto più efficace quanto più sarà fondata su una solida e competente riflessione teologica sulle migrazioni e sui migranti; riflessione questa che non è più “straniera né ospite” nel variegato campo della teologia cristiana. Cordiali saluti.

Migrazioni e teologia

Italia

Tradizioni cristiane

Italia

Uruguay

Ci scrivono

Testimonianze Cari Missionari, l’intera famiglia Frattin sorelle, fratelli, nipoti e parenti tutti - vi ingrazia in modo particolare per la significativa pubblicazione, in occasione dell’anno sacerdotale, circa la vita e le opere del nostro fratello Padre Nazareno, nato a Casoni il 16 Aprile 1942 e tornato al Cielo a Casoni il 22 Agosto 1995, missionario in Australia e nelle Filippine. Ci commuovono la lettera e le parole di Padre

Grati ricordi Caro Padre, ti invio un riconoscente ricordo di P. Ugo Cavicchi, un infaticabile missionario scalabriniano che ha svolto il suo apostolato in varie parti del mondo. È uno dei sei missionari perugini. Quale unico superstite dei sei ho creduto bene rendergli omaggio presso la sua tomba di Castel Rigone, suo paese natale.

P. Giovanni Bonelli - Bassano del G.

P. Giovani Bonelli (deceduto il 30 agosto 2010) ci ha inviato il suo ricordo pochi giorni prima del suo ritorno alla Casa del Padre.


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orizzonti e ci sprona a quella carità che voi missionari praticate in seno alle comunità in disagio. Scopriamo sempre nuovo attività tra i migranti, come anche tra i marinai. Possa il buon Dio seguirvi sempre nel vostro cammino e darvi la forza necessaria

Angelo, che la accompagna. Nel ringraziarvi sentitamente, assicuriamo la nostra preghiera per la grande testimonianza che la Congregazione sta dando nel mondo e agli emigrati in modo particolare. Con affetto e a nome di tutti, la sorella. Frattin Santa - Casoni

Caro Padre, il 19 giugno 2010 i parenti e gli amici, tra cui i Missionari Scalabriniani della Missione Cattolica Italiana di Montevideo, si sono riuniti per

Una vera sfida

celebrare l’80° compleanno dell’amico e sempre presente Giovanni Costanzelli (secondo da sinistra). A lui dobiamo profonda gratitudine per l’amore profondo alla sua cara e numerosa famiglia e per il costante e tuttora vivo servizio alla comunità italiana residente in Uruguay. Un amico - Montevideo

Anna e Vanni - Bassano

Australia Brasile

Nuovi orizzonti Caro Direttore, nella sezione di Koo wee rup della Fedrazione Cattolica Italiana si continua a ricevere con piacere “Scalabriniani”. La sua lettura è abituale, ma è anche meditazione che ci fa aprire gli animi a nuovi

La mobilità umana esprime oggi la profezia della Missione. È una vera sfida. Ne facciamo un imperativo per passare dal locale al globale, per sentirci non più emigranti o immigranti, ma migranti. Per riuscire vincitori dobbiamo metterci sulla scia di Cristo, Via Verità e Vita. Bernardino Corrà - Bassano del G.

Onore alla Patria Caro Padre, ti invio un ricordo della mia partecipazione alle feste del 64° anniversario della Repubblica Italiana e del 99° anniversario di fondazione del Circolo Italiano-San Paolo. Le celebrazioni hanno avuto luogo nell’edificio Italia, la vetta di San Paolo e sede sociale del Circolo, fondato nel 1911. Abbiamo reso omaggio a quanti ci hanno preceduto e abbiamo confermato l’impegno di mantenere sempre in alto il nome d’Italia, la Patria lontana, e di onorare la Terra Brasiliana, oggi patria di tanti figli di connazionali. L’mmagine mi ritrae con il Nuovo Console Generale Mauro Marsili (da sinistra: terzo e quarto) e rappresentanti della delegazione veneta. Giorgio Cunial - San Paolo

Brasile

Inviamo quanto abbiamo raccolto nelle nostre comunità per sostenere “Scalabriniani” e le opere missionarie. P. Felice Lo Muto - Saint Etienne

All’amico Giovanni

Maria Antonietta Ventura - Dalmore Italia

Collaboratori Caro Padre, anche quest’anno vogliamo esservi vicino con l’affetto, con l’amicizia e con un pensiero per le vostre Missioni Scalabriniane. Il Signore continui ad accompagnare i missionari.

Uruguay

Ci scrivono

Il libro e la festa Cari Amici, il 25 luglio 2010 si è svolta a Serafina Correa, RS, la ricorrenza del 50mo della fondazione del municipio. Per questa ricorrenza P. Giovanni Simonetto ha presentato la pubblicazione: “La religiosità dei nostri antenati, una storia, una vita”. È scritto, come annunciato nel manifesto, “em Talian” in onore ai pionieri e fondatori di questa località, gli immigrati italiani. Dalla Provincia San Pietro Serafina Correa 5 Scalabriniani 5 - 2010


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A N DI UNITÀ D’ITALIA N DI EMIGRAZIONE I

proprio così. Sono centocinquant’anni che tutti uniti, dal nord al sud, cantiamo “Fratelli d’Italia” e sono centocinquant’anni che i fratelli d’Italia vengono dispersi in ogni angolo del mondo dall’emigrazione. Massimo d’Azeglio diceva: “Fatta l’Italia, ora bisogna fare gli italiani”, ma la realtà è andata in ben altra direzione: fatta l’Italia, ha cominciato a disfarsi la popolazione italiana, a disperdersi; è cominciata quella incontenibile emorragia di sangue italiano, che è stata temporaneamente e forzatamente tamponata solo dalle due guerre mondiali. La storia d’Italia è storia di emigrazione. Impressionano i numeri, quasi ci turbano: dal 1876 al 1976 si sono registrati poco meno di 26 milioni di espatri. Benché già prima si emigrasse, si è preso come inizio della grande emigrazione di massa il 1876 perché solo da quell’anno cominciarono le rilevazioni sistematiche degli esodi; a un secolo di distanza viene preso il 1976 come anno conclusivo, perché da quella data gli espatri annuali cominciarono a scendere sotto le 100.000 unità e ad essere sorpassati dal numero dei rimpatri, dando così

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Bruno Mioli - Italia

inizio al saldo negativo del movimento migratorio. Comunque l’emigrazione si è protratta e prosegue anche ai nostri giorni in forme non vistose e con flussi più ridotti, ma nemmeno trascurabili; non si tratta nel più dei casi della tradizionale manovalanza, inquadrata nel contesto della libera circolazione della manodopera entro i confini dell’Unione Europea; ora ad uscire dall’Italia, con progetto di migrazione di natura sua provvisorio, sono professionisti, stagisti, studenti, anche se qualcuno - è sempre stato così - tenta per conto suo altre avventure. Quanti allora i connazionali che hanno lasciato l’Italia? Certamente si oltrepassa la soglia dei trenta milioni, cifra da lievitare notevolmente se si calcolano anche gli irregolari o clandestini (non sono una novità dei nostri tempi!) che nel varcare i confini non hanno lasciato traccia di sé. Pur tenendo conto che molti connazionali, dopo un periodo più o meno lungo di permanenza all’estero sono rientrati nel nostro Paese, sociologi e demografi sono concordi nel dire che gli oriundi italiani sparsi nei cinque continenti, particolarmente in

America e in Europa, si aggirano sui 60 milioni. Attualmente i cittadini italiani con residenza all’estero sono poco meno di quattro milioni, quota press’a poco equivalente a quella degli stranieri comunitari e non comunitari residenti in Italia. Oggi più che di “italiani emigrati” si preferisce parlare di “italiani nel mondo”, molti infatti sono di seconda generazione e non hanno fatto esperienza diretta di emigrazione; anche questi però sono in senso pieno cittadini italiani, hanno passaporto italiano, possono votare nelle nostre consultazioni elettorali sia politiche che amministrative. Le migliaia di presenze nel dicembre 2008 alla Prima Conferenza Mondiale dei giovani italiani all’estero è stata una persuasiva testimonianza che “l’italianità” della seconda e terza generazione dei nostri emigrati non è una etichetta esterna, ma è sedimentata profondamente nel loro sangue. Se si tiene presente che questo imponente movimento migratorio non si è ancora esaurito e che alle migrazioni internazionali vanno aggiunte le migrazioni interne, specialmente dal sud


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al nord del Paese, migrazioni che hanno avuto il loro culmine negli anni ’60 e ’70, ma che persistono anche ai nostri giorni, non c’è esitazione nell’affermare che si tratta del più imponente e invadente fenomeno sociale che ha investito per un secolo e mezzo l’Italia diventata unica nazione. Qualche interrogativo Bastano questi schematici accenni perché un cumulo di riflessioni, di sentimenti e di interrogativi anche inquietanti investano la nostra coscienza di italiani. Non ci sembra, infatti, che questa nostra realtà di emigranti La partenza

L’arrivo

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sia lasciata abbastanza in penombra, per non dire accantonata e rimossa sia dal mondo politico e culturale che dai mass media e dai discorsi della gente comune? Non ci sembra poi di riscontrare una ingenerosa miopia in quelle Regioni del Nord che vantano sul piano sociale vistosi successi, sviluppo economico, incremento urbanistico/demografico e non valutano a sufficienza, sembrano anzi spesso squalificare l’apporto pluridecennale della migrazione dalle regioni meridionali? E ancora: non ci sembra che queste regioni siano state più penalizzate che avvantaggiate da una emigrazione che in altre regioni è stata anche fattore importante del decollo economico e lavorativo? Domande ancora più inquietanti ci si pongono quando al sud ci troviamo di fronte a un esercito di giovani, ben dotati, con la laurea o un qualificato diploma in mano che stanno in attesa per più anni di un lavoro e forse, come alternativa all’amara rassegnazione di continuare a vivere alle spalle della propria famiglia, non trovano altra soluzione che quella di ricalcare, sulle orme dei loro padri, la via dell’emigrazione. Qualche proposta

L’assistenza

Ci attendiamo che la celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia non si riduca ad effusioni retoriche ed accademiche ma susciti un rigurgito di responsabilità e di impegno eccezionale in chi ha un qualche ruolo sul piano politico e amministrativo; e allo stesso tempo ci auguriamo che si mobiliti la base, l’intera società in tutte le sue articolazioni, perché l’Italia non è solo dei politici o degli accademici, ma degli italiani. E ognuno può aggiungere: è anche mia. In particolare cosa possono fare i docenti, gli educatori verso i giovani? Fra le tante cose che passano per la mente ne elenchiamo alcune: * evidenziare in sede scolastica anche in forma interdisciplinare

la realtà migratoria, quella attuale e delle precedenti generazioni, più di quanto non facciano ordinariamente i libri di testo; * visita a qualche museo sull’emigrazione italiana; ce ne sono tanti sparsi su tutto il territorio, oltre quello a livello nazionale, allestito due anni fa negli ambienti del Vittoriano; * creazione in sede locale di un piccolo museo, con foto, cartoline, lettere ed altro che si riferisca all’emigrazione come è stata vissuta nel proprio paese; * recensione di monumenti, di edifici sacri e profani che nella propria provincia sono stati costruiti o restaurati per opera di emigrati; analoga iniziativa per le feste popolari, spostate in piena estate, per dare la possibilità di partecipazione ai concittadini che ritornano in paese per le ferie; * visita ed eventuale intervista a persone anziane, che magari vivono in solitudine, pur avendo messo al mondo una buona nidiata di figli, che però hanno fatto valigia e vivono lontano. E perché, soprattutto in ambiente parrocchiale e con l’aiuto dell’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), non ci si organizza per far pervenire un messaggio, auspicabilmente con allegata una mini-inchiesta, fra i compaesani che risiedono all’estero, così da dare l’assicurazione che quanti sono lontani dagli occhi non sono lontani dal cuore? Iniziative simili hanno avuto insperato successo. Finalmente: “Ricordati, italiano, che anche tu sei stato straniero”. Se al posto di “Ricordati, italiano” scriviamo “Ricordati, Israele”, abbiamo la citazione letterale d’un passo, anzi di diversi passi della Bibbia. Un monito dunque che viene dall’Alto e spinge a guardare con occhio nuovo e cuore nuovo tanti che ora vengono tra noi da lontano e rivivono sulla loro pelle sogni e drammi, speranze e frustrazioni che hanno segnato in profondità la vita di tanta gente di casa nostra.

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C’è tutta una storia, una cultura ed una civiltà portata dai primi colonizzatori britannici. Questi, purtroppo, hanno Tipico letteralmente australiano soppiantato, a tradizionalista volte in modo molto sbrigativo, un’altra storia, un’altra cultura ed un’altra civiltà, molto meno conosciuta ed apprezzata. Fin dall’inizio della scoperta/conquista di questo immenso territorio, i colonizzatori inglesi hanno applicato il principio “terra nullius” ed hanno issato la bandiera inglese su un territorio che era stato occupato da più di sessantamila anni dagli abitanti originari: gli Aborigeni. Le sopraffazioni, da parte dei primi coloni e di gaelotti sbarcati in Australia, hanno avuto come conseguenza il confinamento degli aborigeni in territori sempre più lontani dalle zone costiere, le più fertili, soffocando ed emarginalizzando una cultura ed una civiltà che si erano sviluppate liberamente nel corso di tanti millenni, senza la minima contaminazione esterna.

a pubblicazione del rapporto governativo “Lost Generation” (La generazione perduta) ha portato alla luce un comportamento perverso, nonostante sia stato giudicato secondo i parametri dei colonizzatori britannici. Durante vari decenni, poliziotti ed agenti governativi sono penetrati negli accampamenti aborigeni e, con il pretesto di offrire una educazione migliore a bambini e bambine al minimo se-

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Australia:

Storia conosciuta e… sconosciuta Apporto delle migrazioni

Crocevia di culture

gno di abbandono o trascuratezza da parte delle loro famiglie, li prelevavano per periodi di tempo indefinito. Alcuni di loro vennero allontanati per sempre dalle loro famiglie per essere custoditi ed educati dai colonizzatori! Migliaia di adolescenti sono stati forzatamente allontanati e, nonostante le famiglie ospitanti fossero genuinamente interessate ad educarli secondo i parametri di una civiltà così diversa dalla loro, non hanno potuto limitare i danni di un simile strappo innaturale vissuto traumaticamente. Può sembrare inutile aggiungere che le rivendicazioni attuali hanno una radice storica e sono il frutto di innumerevoli soprusi e sfruttamenti sofferti da generazioni diverse. Un vero e proprio genocidio morale! Due culture: dominante (anglosassone) e subalterna (irlandese) Fin dagli inizi della colonizzazione, gelosamente pilotata dagli anglosassoni, un buon numero di galeotti inglesi e irlandesi sono stati sbarcati sulle coste del continente australiano. Per circa cinquant’anni costituirono l’ossatura demografica del giovane continente. Gli Irlandesi, “rivoluzionari e teste calde”, erano cattolici dalla pelle dura. Ma non fu facile far valere i propri diritti religiosi. Dopo circa vent’anni di sbarchi di galeotti cattolici e non e di incessanti richieste per “riavere la Messa cattolica”, il primo sa-

Antonio Paganoni

cerdote, scelto dal governatore della colonia penale e allineato con la politica inglese, fu subito messo in disparte. Temendo una insurrezione, l’allora governatore inglese concesse ai galeotti irlandesi un loro sacerdote e, dopo circa trent’anni di vita cattolica senza un sacerdote, la vita religiosa dei numerosi galeotti irlandesi e dei loro discendenti acquistò, con il passare del tempo, una certa normalità. Accanto ad un assetto economico, civile e legale di tipo britannico si svilupparono le comunità cattoliche ad opera dei primi galeotti, che si erano insediati fin dagli inizi, e di successive ondate di emigranti irlandesi (una delle cause di emigrazione, ricordiamo, fu la carestia delle patate in Irlanda verso la metà del secolo XIX). Sul territorio della Confederazione Australiana prese piede lentamente un tipo di cattolicesimo refrattario ad influenze esterne ed estremamente vigile di fronte al pericolo protestante rappresentato dai colonizzatori. Il ghetto irlandese cattolico era sostenuto ed alimentato dai numerosi sacerdoti e vescovi irlandesi che continuamente attraversavano gli oceani per raggiungere l’Australia, al fine di dare man forte ai loro connazionali nello sforzo di mantenere una identità che univa indissolubil-


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mente il binomio fede e patria. Il primo Arcivescovo di Sydney e primate dell’Australia, Mons. Bede Polding (1794 -1887) un benedettino inglese, scrivendo a Roma lamentava l’influenza irlandese che metteva a repentaglio la formazione di un cattolicesimo tipicamente australiano. Nel 1901, l’87% dei sacerdoti nella diocesi di Sydney, per esempio, era nato in Irlanda. Dopo la prima guerra mondiale con la costruzione di seminari nelle diocesi più importanti ha inizio un processo di indigenizzazione del clero. Per oltre un secolo la Chiesa cattolica australiana è rimasta ancorata ad un modello unico e, sull’onda di una sua coesione interna molto affermata, ha saputo realizzare una rete enorme di strutture parrocchiali e scolastiche (queste volute appositamente per salvaguardare la fede delle giovani generazioni!), nonché di numerosi ospedali e opere caritative.

dal 20% a circa il 27% della popolazione totale, ma si arricchisce di nuove identità e culture. Un arricchimento che incontra subito l’ostacolo del pregiudizio, in parte sollevato da un modello fisso di cattolicesimo (una pratica religiosa che trovava le sue massime espressioni, coerentemente vissute, nei valori della partecipazione alla Messa domenicale, del contributo finanziario regolare alle necessità della Chiesa e del sostegno alla gestione e sviluppo delle scuole cattoliche), messo accanto a modelli diversi e (pensiamo alla religiosità popolare italiana, specialmente quella proveniente dal Sud Italia) senza dubbio più agili e flessibili almeno per quanto riguarda la pratica religiosa. L’incontro, confronto e scontro fra i diversi mondi religiosi è stato vissuto con sentimenti di allarmismo e, a volte, di reciproco sospetto. Non è stato facile il

un senso molto tenue di appartenenza alla Chiesa cattolica. Si ripropone, di conseguenza, una maggiore valorizzazione delle culture minoritarie. Queste, nonostante previsioni catastrofiche, nelle loro espressioni popolari mantengono una loro freschezza e vitalità. Soprattutto quel mondo di religiosità popolare, vissuto a livello domestico, che rappresenta il dono silenzioso di intere generazioni di credenti che attende una riscoperta e una ricostruzione morale. Anche le culture, specialmente se minoritarie e poco valorizzate, hanno bisogno di un terreno fertile su cui possa germogliare il senso di gioiosa sostenibilità.

Negli anni sessanta la pratica religiosa, a livello nazionale, registrava una percentuale di circa il 60%. Percentuale che ora è scesa a circa il 13% con un impatto pauroso sull’assetto organizzativo ed amministrativo di questa giovane chiesa e soprattutto sul morale di tante comunità cattoliche australiane.

cammino di accettazione delle culture minoritarie. È tuttora in atto il ripensamento penoso e problematico da parte della cultura cattolica irlandese traumatizzata dal crollo tragico di un suo mondo (senso di appartenenza e coesione morale) costruito con tanti sacrifici e sudore. Al momento attuale, gli studiosi cattolici in genere vedono la Chiesa Cattolica Australiana incamminata sul viale di una emarginazione quasi completa a livello pubblico. Le strutture cattoliche, soprattutto le scuole, non generano, come in passato, cattolici temprati, ma una gioventù in preda a molteplici problemi, il più evidente dei quali è

Conclusione È grazie all’apporto di emigranti cattolici che la Chiesa australiana è divenuta l’istituzione più multiculturale di qualsiasi altra in Australia. Gli emigranti cattolici (è bene sottolineare il contributo sostanziale e provvidenziale dell’emigrazione italiana), dopo essersi creati notorietà e spazi notevoli nel tessuto economico-sociale e civile dell’Australia, attendono una primavera cattolica che abbia a raccogliere le loro preziose eredità, per diventare un laboratorio dove gli emigranti di ieri e di oggi avvicinino l’intera comunità cattolica al dono inestimabile della diversità pentecostale.

Emigranti Europei e politica multiculturale Con l’insediamento di un folto gruppo di emigranti europei cattolici (il più numeroso quello italiano - intorno alle 350.000 unità - ed emigrato in Australia dal 1950 al 1970), la Chiesa cattolica australiana non solo passa

L’apporto dei migranti per la primavera dell’unità nella diversità P. Dante Orsi, pioniere scalabriniano in Australia

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A Nardò (Lecce) un Centro di accoglienza per gli immigrati stagionali che cerca di coniugare “diritti sociali” e “diritti al lavoro”. Antonio Grasso Italia

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ro in vacanze da qualche giorno, quando mi è capitato di vedere al TG Regionale un servizio sul nuovo Centro di accoglienza per immigrati stagionali allestito nella zona industriale di Nardò, nella Provincia di Lecce. Ormai per noi salentini è una realtà nota: centinaia di immigrati per lo più africani si radunano nelle nostre campagne d’estate per la raccolta dell’anguria e del pomodoro. Il fenomeno in questi ultimi anni è esploso, facendo ricordare, per chi li ha vissuti, gli anni ’90 di Borgo Mezzanone (Fg), con l’emergenza accoglienza e i primi passi di una lunga storia di tentativi di assistenza, accoglienza, integrazione, dialogo (e scontri), tra immigrati (africani prima e dall’Est Europa poi) e popolazione locale. A gestire il Centro di accoglienza di Nardò è l’Associazione Finis Terrae Onlus, con il suo responsabile Gianluca Nigro, operatore sociale che dal 2001 collabora con questa Onlus, ma che da vari anni segue la realtà migratoria pugliese, soprattutto per quanto riguarda i richiedenti asilo. Ad aiutarlo a gestire il Centro ci sono i volontari della Brigata di Solidarietà Attiva, un gruppo di giovani costituitosi in occasione delle operazioni di soccorso

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La civiltà del lavoro dopo il terremoto in Abruzzo. Il Centro, allestito in una masseria grazie alla collaborazione con l’amministrazione comunale, ospita circa 300 immigrati africani, 200 dei quali hanno a disposizione i posti letto, mentre gli altri sono ospitati nelle tende allestite attorno al casolare. Gli immigrati, provenienti prevalentemente dal Senegal, dalla Tunisia e dal Sudan, rientrano verso sera, dopo una giornata di lavoro sotto il sole cocente del Sud. Com’è norma da queste parti, la giornata inizia presto, alle 5 bisogna essere già nei campi, perché col passar delle ore il sole scotta sempre di più. Verso le 11 bisogna fermarsi. Qualcuno rientra nel Centro, gli altri si accampano dove possono, in attesa di riprendere il lavoro nel pomeriggio verso le 15 e proseguire fino al tramonto. In una giornata lavorativa nella raccolta delle angurie si guadagnano circa 80 Euro. Al rientro nel Centro li aspet-

tano i volontari della Brigata, ma non solo. Grazie alla rete di collaborazione creata col territorio, è stato istituito un servizio di assistenza medica e legale per aiutare gli immigrati nei loro bisogni primari. C’è da dire che quasi tutti gli immigrati hanno un regolare permesso di soggiorno, per questo, come mi ha ripetuto varie volte Gianluca Nigro, il coordinatore del Centro, l’obiettivo principale non è caritativo, ma di aiutare gli immigrati nella presa di coscienza dei loro diritti. Molti non sanno che possono usufruire delle strutture sanitarie locali, e soprattutto non sanno che hanno diritto ad un normale contratto di lavoro. Questi immigrati, più che considerarli “stagionali”, occorre considerarli “stanziali”, cioè braccianti agricoli stabilmente inseriti nel nostro sistema lavorativo. Dopo i due mesi nel Salento, infatti, si sposteranno nella provincia di Foggia o verso Caserta, per la raccolta del pomodoro. Per alcuni di essi la presenza delle loro famiglie è un motivo in più per restare vincolati al territorio. Il binomio “immigrazione e agricoltura”, dunque, è sempre più in aumento, tanto che lentamente i lavoratori immigrati stanno sostituendo stabilmente i braccianti locali. È per questo che il modello su cui il Centro sta puntando è quello che coniuga i diritti sociali (avere un posto letto, l’assistenza medica e legale, la


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possibilità di farsi una doccia) con i diritti del lavoro (avere un regolare contratto). Non è quindi questione di farsi voce degli immigrati presso i datori di lavoro e di mediare perché ottengano il riconoscimento dei loro diritti, ma di “coscientizzarli” perché siano loro stessi a richiedere i loro diritti. L’emersione dal lavoro nero e l’acquisizione di un normale contratto lavorativo sono i “campi di battaglia” della Finis Terrae. Si può già considerare come un successo l’essere passati da 2 contratti di lavoro dello scorso anno ai 120 di quest’anno. Si sa che il lavoro nero o sottopagato è una della grosse pia-

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ghe del Meridione, e gli immigrati sono travolti da questo sistema corrotto. Questo modello di accoglienza sperimentato a Nardò punta nel non “creare” dei bisogni, ma nel dare risposte ai bisogni. In questo senso è stato deciso di non distribuire i pasti, ma di lasciare che siano gli stessi immigrati ad organizzarsi. È stata messa a disposizione anche una stanza per la preghiera dei musulmani, ma solo dopo che ne è stata fatta richiesta da parte degli stessi. Tra i prossimi obiettivi che l’Associazione Finis Terrae vuole raggiungere c’è quello di gestire “domanda e offerta” lavorativa,

intensificando la rete di collaborazione con gli enti territoriali (come Confagricoltura). Questo farebbe in modo di eliminare per esempio il fenomeno del “caporalato” (il mediatore tra il datore di lavoro e gli operai). I caporali sono gente corrotta! Spesso sono immigrati della stessa nazione dei lavoratori, che trattengono per sé (rubano!) una percentuale sulla giornata lavorativa dei singoli immigrati. Per evitare tutto ciò, ha detto Gianluca Nigro, occorre insistere sempre di più sulla “comunicazione degli obiettivi”, cioè coinvolgere in questo processo gli stessi immigrati e creare lentamente una “civiltà del lavoro”. Ci auguriamo che lentamente questi segnali positivi si consolidino sempre di più in un territorio che non è nuovo all’accoglienza, ma che a volte fa fatica a strutturarla, e che coinvolgano maggiormente la gente del posto, per ora solo spettatrice soddisfatta, perché grazie a questa iniziativa è diminuita la pressione sociale degli immigrati che fino allo scorso anno vagavano per le piazze del paese. Guardo anche con molto interesse a questo modello d’accoglienza su cui l’Associazione Finis Terrae sta puntando, perché mi sembra che segni un passo in avanti rispetto ai modelli di accoglienza che noi Scalabriniani abbiamo adottato in alcune nostre passate esperienze.

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A Città del Capo

dopo i mondiali P. Mario Tessarotto

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Mondiali di calcio, dove purtroppo l’Italia ha fatto una figura meschina, hanno avuto il grande merito di focalizzare l’opinione pubblica sugli enormi problemi che affliggono ancora l’Africa d’oggi. La Congregazione Scalabriniana da una ventina d’anni occupa una posizione privilegiata, come posto di osservazione, proprio a Città del Capo, dove alcuni suoi missionari hanno intrapreso varie opere di mirata assistenza, soprattutto per gli immigrati e i rifugiati. Sembra strano ma proprio il Sud Africa, povera di industrie e con un’agricoltura ancora molto primitiva per i nostri tempi, è stata considerata la terra promessa per una moltitudine di immigrati e rifugiati provenienti da Congo, Ruanda, Uganda, Burundi e Angola. Dal 1906 ad oggi si è passati da 500 “refugées” alla cifra esorbitante di 50.000. Se desideriamo trovare una spiegazione di questa invasione, dobbiamo ripensare alla storia della nostra emigrazione, quando milioni di emigrati italiani si riversarono nelle Americhe, sollecitati dalla propaganda dei cosiddetti agenti di emigrazione, che il Beato Scalabrini meglio definì come “mercanti di carne umana”. Si promettevano ai partenti mari e monti, quasi che trovassero i dollari appesi alle piante; e in-

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estratto da Avvenire (11-7-2010)

- G. S. Sud Africa

vece, anziché dollari vi trovavano dolori, e solo con enormi e diuturni sacrifìci riuscivano dopo diversi anni a dare una qualche sistemazione alla propria famiglia. Allora si poteva ascoltare la patetica canzone: “Merica, Merica, còssa saràla sta Merica? Oh, l’è una grande illusion!”. Ma in Sud Africa e a Cape Town, dove non c’era la minima ragionevole possibilità di un lavoro gratificante, l’illusione diveniva un dramma, che non lasciava alcuno spiraglio per una soluzione . Non si prospettava dunque facile la missione dei Missionari Scalabriniani. Ma seppero fare miracoli. In particolare, come coordinatore, si trasmetteva di bocca in bocca il nome di Padre Mario

Tessarotto, originario di Maerne di Venezia . Quando leggiamo la storia sacra ci vien fatto di incontrarci con un certo Giuseppe Ebreo, che in un periodo di grave carestia in Egitto, dove era stato deportato e imprigionato, riuscì a saziare la fame di quella povera gente . Si diceva “Andate da Giuseppe” e Giuseppe provvedeva. Ora a Città del Capo il ritornello veniva indirizzato a Padre Mario e Padre Mario, con gli altri missionari scalabriniani, provvedeva. Avevano ristrutturato un Centro di accoglienza e di assistenza proprio davanti al Parlamento, un edificio di quattro piani, dove per prima cosa si curava l’istruzione, nella lotta serrata all’analfabetismo.


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P. Tessarotto con un gruppo di rifugiate (a lato) La falegnameria (pag. prec.) il Centro di accoglienza (sotto)

Nelle scuole private, che solo ben pochi potevano permettersi, bisognava pagare circa 400 euro a settimana; Padre Mario, con soli 50 euro ogni tre mesi, garantiva un corso di informatica e di riparazione dei computer. Poi offriva gratis un corso di inglese, uno di cucito e una scuola di musica con insegnanti concertisti e professionisti. La gente però aveva fame e non poteva mangiare i testi di scuola. I Missionari riuscirono ad assicurare un pasto giornaliero a più di 800 bisognosi con l’8 per mille, che le persone intelligenti e caritatevoli in Italia versavano alla Chiesa cattolica. P. Mario si spinse anche nel Mozambico, dove 1500 bambini del villaggio di Maratane lo chiamarono “mokoko”, cioè nonno. In Mozambico, i Missionari hanno portato anche il calcio. Le maglie arrivarono dall’Italia. Un apprezzabile aiuto l’ha offerto il Milan. E così hanno organizzato campionati tra le formazioni, composte da giocatori delle miriadi di tribù mozambicane. Su un campo di calcio sono riusciti a farli convivere e sentire una cosa sola. Ora tutti, quando

si incontrano, invece di dirsi “bongiorno” si salutano con “amarti”, che in lingua swahili vuo dire “pace”. E quella pace miracolosa di Maratane (Mozambico) Padre Mario spera che regni sovrana anche in Sud Africa, una volta spenti i riflettori sul Mondiale. “L’apartheid è finita, ma si presenta come un pioppo che viene tirato da ogni parte e che non riesce più a mantenersi ritto”. Il duro compito delle nuove generazioni sarà proprio quello di mantenerlo in piedi, ma devono farlo in fretta, perché il tempo urge, e rimandare è pericoloso. Il pericolo imminente è che domani tutto torni come prima, e forse anche peggio di prima. Quasi tutte le persone impiegate per i Mondiali perderanno il lavoro, che li gratificava e i segnali di una ripresa dello scontro xenofobo, si cominciano già a intravvedere. Dice ancora Padre Mario: “Vorrei ricreare la scuola professionale, che in pratica è

stata smantellata con la fine dell’apartheid, perché adesso vogliono solo dottori e ingegneri col risultato che è difficile trovare chi sappia piantare un chiodo. Occorrono finanziamenti, specie per acquistare una macchina che produca almeno 1500 mattoni al giorno. Con quella potrei insegnare a costruirsi le case con le proprie mani, così da pensare finalmente un futuro non più da prigionieri, dentro a una miserabile baracca di lamiera”. Tutte queste preoccupazioni materiali non hanno fatto dimenticare a Padre Mario e ai Missionari che sono sacerdoti e il loro primo dovere è l’evangelizzazione dei fedeli e anche degli infedeli, che non mancano neppure a Cape Town, dove la Holy Crosss, la chiesa affidata loro, è rimasta in piedi. “Quando sono arrivato nel 1994 c’erano solo un tavolo e sei sedie. Non si poteva neanche celebrare la Messa, nonostante il 10% della popolazione locale sia da sempre di religione cattolica”. La chiesa conserva ancora i “seven steps”, le pietre sulle quali venivano esposti i corpi giustiziati delle spie che collaboravano con il movimento pro-apartheid. Ma la chiesa oggi è il luogo che affratella nel senso più vero tutte le etnie: qui tutti veramente si sentono un’unica vera grande famiglia, figli di uno stesso Padre, che sta nei Cieli e che nella Messa, mano nella mano, pregano in unione con il sacerdote: “Benedetto il tuo nome, venga il tuo regno... Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

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Giovani italiani oltre la Manica

Renato Zilio Inghilterra

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a questa è un’invasione!” mi fa un impiegato inglese solitamente così serio e rituale allo sportello della vicina banca Barclays. Parla dell’arrembaggio dei nostri giovani italiani a Londra da un certo tempo in qua... Evidentemente, nella città più popolosa e multiculturale d’Europa essi arrivano e scompaiono facilmente, mentre il loro accento si polverizza tra le 300 lingue che qui si parlano. Tuttavia il fenomeno si è ingrossato ultimamente e si rende visibile. È un cattivo sintomo per il nostro Paese, commenta qualcuno. La nostra è diventata per moltissimi giovani una terra senza speranza, senza prospettive e dalle rare opportunità. Per il nostro popolo - da sempre ottimista e ambizioso - è questo, in fondo, un vero handicap. Sono giovani laureati o diplomati, ragazze forse più dei ragazzi, ventenni e più... Sbarcano, si propongono di rimanere qualche mese, qualche anno, senza precise scadenze. L’attrazione prima è la lingua, vero passaporto per il mondo. Poi, in realtà, si agita sempre quel “sogno di Londra” così attraente anni fa come un’illusione

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collettiva per un modus vivendi più funzionale, con meno burocrazia, il clima di una società aperta e liberale, la complicità con tanti altri giovani. E, infine - aspetto nuovo in loro - la disponibilità ad ogni tipo di lavoro: la psicologa si fa baby sitter, il laureato cameriere... e spesso seguono contemporaneamente qualche corso all’università. Si parte dal basso. Quasi riscoprendo dei geni ereditari della cultura italiana: una straordinaria capacità di adattamento, un grande senso di universalità e apertura al mondo. Naturalmente, quando il campanile paesano non prende il sopravvento! E così vanno all’estero - go abroad - letteralmente, vanno al largo, come si esprime una lingua che sa di mare come quella inglese. È la stessa logica che accompagnava qui i primi migranti italiani di fine ‘700, grandi viaggiatori, artisti o commercianti: il senso del cosmopolitismo. Rispolverato oggi, semmai, con il valore europeistico e quel curioso timbro di estraneità che si respira appena si passa la Manica. Le difficoltà, tuttavia, non

mancano. È la solitudine di una metropoli, la dispersione, i ritmi a volte duri di lavoro, la difficoltà abitativa, la droga, la perdita di punti di riferimento. Ciononostante, il vivere in una società pragmatica e funzionale, dove non c’è tabù comportamentale o vestimentario, dà la percezione di crescere al senso del mondo. Attraverso la lingua, lo stile di vita, la vivace dimensione multiculturale, insieme a stimoli culturali di ogni genere, nasce la precisa sensazione di essere usciti dal nido. Si vive, allora, quel senso di provare e di provarsi. È il senso di una vita da combattere, uscendo dal contesto abituale, dal clima affettivo ristretto e vissuto in Italia. Si affronta il mondo. I modelli di vita ereditati di consumo e di riuscita si confrontano con la ristrettezza di mezzi economici, con la scuola della concretezza e del vivere in mezzo alla complessità. Come migliaia di migranti italiani venuti nell’ultimo secolo i giovani imparano che l’emigrazione è una lotta e una danza, qualcosa di duro e di bello insieme da vivere. La fede si fa, allora, ricerca di


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Portogallo

Migranti a Fatima

senso religioso più profondo, spesso avvertito più fortemente che in Italia. Si impone come necessità di essere positivi, nonostante le disillusioni e le tante sconfitte. La fede si fa impegno nel mettercela tutta di fronte alle difficoltà e diventa spesso un motore. La vita, così, è challenge, una sfida da giocare a fondo. È una lezione vera che stanno imparando. Educarsi alla mobilità, a uscire dai ghetti e dalle sicurezze circoscritte, che non permettono di respirare l’inter-

culturalità e la diversità sociale di oggi. Evitare, allora, il rischio di diventare autoreferenziali, per aprirsi a una società di tutte le razze e culture dove la diversità non fa più paura, ma è contesto quotidiano. Così, alla fine della loro parabola all’estero, Sandro e Anna, due giovani architetti, rientrano in Italia per sposarsi e restarvi. Sono passati quattro anni intensamente vissuti a Londra, lavorando con un architetto coreano, un indiano, un inglese e un ultimo pakistano: un team internazionale investito in grandi progetti in India. Esperienza formidabile, ti dicono entusiasti mentre brilla loro lo sguardo, ma sarà presa in conto? Difficile immaginarsi il loro futuro in Italia. Capisci, allora, che i giovani si attendono un’altra Italia: aperta, dinamica, tollerante e partecipativa. Sarà quella di domani?

Dal 9 al 15 agosto a F atima ha a vuto luogo la 38ma Settimana Nazionale della Mobilità Umana. Il momento più importante è stato il pellegrinaggio degli emig rati por toghesi dell’Europa, presieduto da Mons . Claude Schockert, presidente della Commissione dei Vescovi fr ancesi per le Mig razioni. Il tema è stato: “Con Francesco e Giacinta accogliere Cr isto nei Mig ranti e nei Rifugiati Minorenni”. Lo scalabriniano P. Rui P edro ha preso par te in r appresentanza della Cong regazione. Dal 12 al 13 dello stesso mese hanno partecipato allo stesso i gio vani e laici che precedentemente avevano preso parte alle giornate di f ormazione e spir itualità. Erano accompagnati da P. Antonio Grasso e P. Carlos Caetano, che hanno animato alcuni momenti di preghier a della v eglia notturna.

Confini

Italia

Dal 26 al 31 luglio, nella Casa di accoglienza scalabr iniana di Loreto (Ancona), si è svolto un Corso Estivo su mobilità umana e giustizia globale. Il programma, pensato nel contesto delle celebr azioni in onore di P. Matteo Ricci, è stato gestito dall’Univ ersità Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con l’Agenzia Scalabrini per la Cooper azione e lo Sviluppo (ASCS) di Milano, lo Scalabr ini Inter national Mig ration Institute (SIMI) di Roma e altre entità locali della regione Marche . In questa pr ima edizione , dedicata ai Confini, sono stati discussi i processi di inclusione ed esclusione all’inter no dei confini nazionali, le pr atiche eticamente discutibili di “esternalizzazione” dei confini e le n uove prospettiv e per il dialogo interreligioso.

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Querida Mamita

Héctor Orozco Argentina

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a “Mamita” è la Madonna della Candelora che troneggia sull’altare maggiore del santuario che si eleva nella cittadina di Copacabana. È la patrona della Bolivia, Ogni boliviano, in qualsiasi parte del mondo dove si incontri, la chiama e la invoca così, con molto affetto e altrettanto rispetto. È la patrona e la “signora” di ogni focolare. Ma è anche colei che ha accompagnato e tuttora è presente nelle numerose comunità di boliviani, ovunque essi si trovino nella geografia delle migrazioni. Copacabana, dal termine eso-

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Il Pellegrinaggio annuale della comunità boliviana al Santuario N. S. di Luján (Buenos Aires)

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tico Copacahuana che significa semplicemente vista sul lago, è una vivace città, a 3.800 metri dell’altipiano andino, sulla sponda meridionale del lago Titicaca. Per secoli, fin dal tempo degli Incas, è stata e lo è tuttora meta di pellegrinaggi. A raggiungere Copacabana, per i poveri, ci vuole un coraggio indescrivibile: a piedi, con auto sgangherate che obbligano ad abili manovre o autobus dai quali spesso bisogna scendere per dare una spintarella (come accadde a chi ha l’onore di tradurre l’articolo dell’amico Héctor).

Ma lassù, ad ogni costo bisogna arrivare. Penso siano pochi i devoti boliviani che non abbiano avuto questo sacrosanto ardire. In compenso, l’incontro con la “Mamita” è sempre un incontro paradisiaco e la sua immagine, acquistata nelle numerose bancherelle che si trovano nel piazzale antistante il Santuario, per i migranti ne è divenuta il sacro tesoro portato per le vie del mondo, come lo dimostrano le innumerevoli feste celebrate dalle comunità boliviane emigrate. “Taqpachan mayakïpxpan / Tukuypis ujlla kachun” (Assieme a Maria, perché tutti siamo uno)


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Giovani boliviani vestiti a festa e il Santuario di Copacabana

è stato il tema del 54mo pellegrinaggio della comunità boliviana residente in Argentina al Santuario N. S. di Luján (Buenos Aires). È un appuntamento annuale, attesissimo. Vi hanno partecipato intere famiglie e comunità, di tutte le età, danzatori e orchestranti: processionalmente, accompagnati dalle melodie andine che uscivano come per incanto dagli strumenti tipici della tradizione popolare (il charango, la quena, la zampogna, la tarka, ecc.); vestendo a festa e ostentando indumenti bizzarri, vivaci, coloratissimi e finemente ornati, A ogni passo troneggiava la “Querida Mamita”, implorata dal profondo del cuore e benedicente ad ogni passo cadenzato. L’annuale incontro, realizzato il 1° agosto, era stato preparato con numerosi incontri di preghiera e di catechesi delle diverse comunità residenti nel Paese, in vari dei quali anche con la presenza di Mons. Gonzalo Del Castillo, ordinario militare giunto appositamente dalla Bolivia. Altrettanto significativa è stata la visita che il vescovo e P. Héctor, responsabile della pastorale boliviana in Argentina, abbiamo realizzato alla città di Rosario, a varie parrocchie e comunità di boliviani sparse nel territorio dedite soprattutto all’agri-

coltura e alla costruzione di mattoni. Ovunque fummo ricevuti sempre con entusiasmo e gratitudine. Abbiamo così potuto portare loro una parola di speranza e di sollievo. Hanno presieduto la processione e la solenne Eucaristia, oltre che il vescovo e P. Héctor, altri sacerdoti, tra cui P. Mario Videla, direttore del Dipartimento delle Migrazioni di Buenos Aires. In coincidenza con il pellegrinaggio e mentre tutta la comunità esultava e cantava alla patrona boliviana, veniva trasmesso per televisione la Messa registrata la settimana precedente nella parrocchia S. Idelfonso della Capitale Federale. Nell’omelia il vescovo, oltre a portare il saluto della chiesa che è in Bolivia, ha esortato i partecipanti a non venir meno alla loro fede, alle sacre tradizioni, a cercare sempre e ovunque l’unità, soprattutto del nucleo familiare. L’annuale appuntamento a Luján si è prolungato fino a tardo pomeriggio, tra balli e canti andini, con sapore tipico “aymará” e “kolla”. Non sono mancate la “cueca” la danza nazionale derivata da quella cilena, la “chapaqueada”, un tipico ballo per le feste religiose, la popolare “diablada”, la tipica danza che rappre-

senta la lotta tra il bene e il male, detta anche la “danza dei diavoli”. La sacra immagine era sempre lì, vigile, a ricordare che anche in questi momenti di gioia, di incontro fraterno e di danze, a volte sfrenate e con il pericolo che qualcuno passi oltre con qualche bicchiere di “chicha” (bevanda popolare spesso alcolica ricavata dal grano fermentato). I responsabili della pastorale boliviana, uniti a quanti hanno collaborato e collaborano, non solo con motivo del pellegrinaggio annuale ma anche nelle numerose attività svolte lungo l’anno, sono veramente riconoscenti al vescovo che ha fatto loro visita e ha condiviso con tutti momenti così importanti. Soprattutto gli immigrati boliviani, spesso così provati dalle fatiche quotidiane e da molti lavori che altri oggi disdegnano perché troppo pesanti o poco rimunerati, vedono nella Chiesa e nei Missionari Scalabriniani impegnati nella loro assistenza religiosa e sociale, un punto di riferimento e di rinnovata speranza per un futuro più sereno nella realizzazione di tanti sogni per cui hanno intrapreso la via dell’emigrazione.

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Scala r ock un evento che unisce i popoli

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lega la musica che è in te” è lo slogan che ha guidato la quinta edizione di Scalarock, l’evento estivo che unisce culture, lingue e tradizioni dei popoli del mondo. Il pentagramma musicale ha consentito di scrivere una gioiosa pagina di condivisione, mediante l’uso del linguaggio musicale. Giovani e adulti uniti per lanciare un messaggio di pace e solidarietà, condivisione e fratellanza sulle ali del messaggio evangelico che ispirò il Beato Scalabrini: “i popoli uniti in una sola famiglia!”. La comunità del Centro Missionario “Scalabrini” di Bassano del Grappa, domenica 27 giugno 2010, ha ospitato per il quinto anno consecutivo la manifestazione che ha visto la partecipazione di gruppi giovanili e di associazioni di volontariato, tutti impegnati nella promozione sociale e nella diffusione dell’ideale missionario, nella cittadina veneta. I portici della casa scalabriniana erano affollati; ovunque si respirava clima di cordialità e fraternità. Non è stato facile avvicinare i protagonisti di questa semplice conversazione a più voci. Abbiamo “strappato” alcune impressioni a caldo che sicuramente meriteranno un’ulteriore ed interessante analisi. “Una comunità missionaria che si apre al territorio per creare ponti di collaborazione e solidarietà: è questo l’obiettivo che ci siamo prefissati. Scalarock vuole essere uno degli eventi più significativi dell’anno pastorale che serve a promuovere le nostre attività a Bassano e dintorni”. Que-

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sto è l’aspetto più importante che P. Bernardo Zonta, superiore locale, ha voluto sottolineare. Gli fanno eco, anche, le “dichiarazioni” di P. Mauro Lazzarato, che sin dal mattino ha seguito le attività dei gruppi etnici presenti alla celebrazione eucaristica (comunità filippina, ghanese, ucraina, ecc..), soddisfatto per la fattiva collaborazione dei numerosi laici scalabriniani e di un affiatato gruppo di giovani, che lo ha sostenuto ed incoraggiato durante tutto il percorso di preparazione dell’evento. “Scalarock è un evento che propone alla comunità italiana e non italiana di Bassano e della diocesi di Vicenza di vivere una giornata insieme per condividere i doni e le ricchezze che caratterizzano le nostre comunità. In particolare, attraverso la condivisione dei valori religiosi e culturali (canti, balli, cibo, gioco), si vuole camminare insieme per creare una cultura dell’accoglienza”, così P. Lazzarato. E ha aggiunto: “Se in questi mesi, nella Diocesi di Vicenza, abbiamo parlato e scritto di buo-

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ne pratiche per l’integrazione interculturale, sicuramente anche Scalarock potrà essere annoverato, negli anni a venire, tra queste ultime come strumento di comunione e condivisione”. La domenica mattina è iniziata con l’accoglienza dei gruppi etnici ed è proseguita con la Messa, in più lingue. “Sulla mensa eucaristica insieme al pane ed al vino offriamo la nostra vita; tante culture, tante lingue, tante tradi-

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zioni differenti sembrano separarci, ma intorno all’altare la nostra comunione è vera comunione, perché figli dello stesso Padre, dobbiamo impegnarci a vivere questa comunione anche nella società in cui viviamo”, ha proseguito P. Mauro. Al termine della celebrazione, come ormai consuetudine degli “scalabriniani bassanesi”, i presenti hanno consumato un frizzante aperitivo e condiviso l’agape fraterna. Nel pomeriggio si è svolto il torneo di calcetto a cinque. Ai più è sembrato di vivere intensi momenti di sportività legati ad un mini-campionato del mondo. Giovani calciatori, di nazionalità differenti, si sono affrontati sportivamente e quest’anno ha meritato il posto più alto del podio la “locale” squadra formata dal gruppo Extra-che? (ragazzi cresciuti “all’ombra” del progetto del quale portavano il nome,

ideato dall’associazione Casa a Colori). Nel tardo pomeriggio si è dato avvio alla chermes musicale. L’evento è stato presentato da Enrico Selleri, conduttore di SAT2000, e da Anita, una giovane ghanese del gruppo scalabriniano bassanese. Al presentatore, Enrico, abbiamo chiesto un’opinione sull’iniziativa: “Negli ultimi dieci anni mi sono trovato a visitare decine di missioni e missionari scalabriniani, in giro per il mondo. Anche se lontane migliaia di km tra di loro tutte queste realtà erano legate ai miei occhi dal sentimento scalabrinianamente informale dell’accoglienza, dapprima nei miei confronti e poi nell’opera pastorale sul territorio da parte dei missionari e dei laici. Un’ulteriore conferma l’ho avuta in occasione di Scalarock 2010, un evento “musical-conviviale” semplice e al tempo stesso efficace, scevro da facili proclami politici. Una manifestazione dagli ingredienti che riescono a mettere in relazione le persone al di là della lingua e dell’estrazione culturale: sto parlando della fede religiosa, del cibo e della musica”. Enrico, sorride contento per l’esito positivo dell’iniziativa, e non ha dubbi quando afferma che Scalarok è: “Un mix vincente che riesce sempre a far emergere gli aspetti positivi di ogni comunità etnica, compresa quella ospitante! Anche da eventi come questo continuano a partire cammini di conoscenza quotidiani che allentano disumane tensioni sociali. È l’intuizione del Beato Scalabrini che si rinnova e attualizza”. È impossibile trasmettere la gioia e l’allegria che traspariva dai volti dei partecipanti alla manifestazione; così come è impossibile comunicare i ritmi scatenanti dei balli e delle canzoni, ma non sarà difficile ai lettori, però, interpretare le bellissime immagini che corredano l’intervista e che rendono più di ogni nostro commento.

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Una comunità tutt H

anno tutti una buona età, se hanno passato in missione almeno cinquant’anni della loro vita. E tutti sono ritornati nella “Casa” della Madre con una valigia piena di ricordi, che snocciolano ai confratelli attenti e curiosi. Hanno svolto il loro apostolato in Europa i Padri Alessi Giovanni, Corrà Bernardino, Cuman Pierino, Gheza Flaminio, Lorenzato Emilio, Lovatin Valentino, Saraggi Giovanni, Seppi Ernesto, Stefani Mario, Agugiaro Ferruccio. Tutti concordano che la loro missione particolare era quella di avvicinare personalmente le famiglie degli emigrati italiani, che soffrivano particolarmente per la solitudine, soprattutto nei primi anni del loro esilio, quando venivano considerati come degli stranieri e sfruttati spesso nel loro lavoro. Da sinistra a destra:

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Padri Ferruccio Agugiaro, Giovanni Alessi, Ignazio Battaglia, Giovanni Bonelli, Florindo Ciman, Bernardino Corrà, Giuseppe Corradin, Pierino Cuman, Giuseppe Duchini, Ugo Fent, Fratel Matteo Gheno, Flaminio Gheza, Emilio Lorenzato, Valentino Lovatin, Giuseppe Molon, Mario Pegorin, Pietro Paolo Polo, Ettore Rubin, Giovanni Saraggi, Ernesto Seppi Leo Silvestri, Mario Stefani, Mario Volpato

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Dall’America del Nord, Stati Uniti e Canada, dobbiamo elencare i Padri Battaglia Ignazio, Bonelli Giovanni, Polo Pietro Paolo e Duchini Giuseppe. Questi hanno fondato le parrocchie nazionali italiane, dove veniva conservata e consolidatala fede, che gli emigrati avevano ricevuto in Patria, mentre essi, a spese di enormi sacrifici, vedevano, giorno dopo giorno, consolidarsi anche economicamente le loro famiglie, nel rispetto ammirato degli americani. Scendiamo nell’America del Sud, Argentina, Brasile, Cile, Venezuela e ci incontriamo con i Padri Corradin Giuseppe, Fent Ugo, Pegorin Mario, Ciman Florindo, Rubin Ettore e fratel Gheno Matteo. Incredibile! Nelle loro missioni e parrocchie avevano l’impressione di vivere in una parrocchia italiana, meglio dire veneta, perché talvolta trovavano più opportuno tenere le loro omelie in dialetto veneto, alla distanza di più di diecimila chilometri! Qui ci tengono compagnia

anche i reduci dall’Australia, i Padri Molon Giuseppe, Volpato Mario e Silvestri Leo. Alla domanda quale fosse la caratteristica delle loro missioni, sorridono: noi avevamo diversificate modalità di ministero, secondo la situazione in cui si venivano a trovare i nostri emigrati. C’erano i tagliatori delle canne da zucchero, i commercianti, gli agricoltori. Per tutti avevamo una parola di conforto e di speranza. Questi nostri Padri sono stati dappertutto le colonne portanti e fondanti della nostra Congregazione, che ha beneficiato ovunque della stima delle Autorità ecclesiastiche e dei confratelli diocesani, per lo zelo, lo spirito di sacrificio e l’intraprendenza intelligente. Ora sono qui per il meritato riposo. Dire che godono ottima salute, spirati gli ottant’anni, è un eufemismo che fa sorridere. Ma sono sereni oltre ogni aspettativa, anche se alcuni si possono muovere soltanto in carrozzella. I tre meno giovani, Padre Mario Pegorin, Padre Giuseppe Corra-


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tta missionaria din e fratel Matteo Gheno, hanno fatto un bell’inchino, quando hanno visto passare, accanto a loro, i novant’anni, senza neppur toccarli. E non dicono ancora basta, ma ringraziano l’eterno Signore. Anzi, anzi... Padre Corradin, quando c’è qualche Confratello che è ricoverato all’ospedale, che dista cinque chilometri dalla nostra residenza San Raffaele, si prende le gambe in spalla e a piedi va ogni mattina a tenergli un po’ di compagnia. Chiederete: e come passano la giornata a Bassano i nostri eroi missionari? Allora vi dirò che ricordano le parole del Signore “Senza di me non potete far niente”. E ancora il detto: “L’uomo si agita, ma Dio lo conduce”. Essi hanno la convinzione di non essere missionari di un tempo passato, ma con la preghiera, l’adorazione e il sacrificio, offerto in unione a quello di Cristo, sostengono e fanno fruttificare l’apostolato dei loro Confratelli lontani. Però non vedeteli sempre in-

ginocchiati davanti a un altare. Passano qualche ora in lieta compagnia ogni giorno. Al mattino, in due turni, concelebrano la Santa Messa; al pomeriggio, dopo la recita del Vespro, si radunano attorno a un tavolo per discutere serenamente dei loro problemi, o delle esperienze vissute in passato, o leggono e commentano la Sacra Scrittura, per preparare la liturgia dei giorni festivi. Prima di cena la Cappella li accoglie tutti per la recita del santo Rosario. A turno essi annunciano le intenzioni dei misteri e, quando lo Spirito spira, ognuno può inserirvi una riflessione personale. Queste sono le pratiche comuni, cui si aggiungono le devozioni particolari dei singoli Padri alla Vergine, o a qualche Santo o Santa, che essi si illudono di nascondere, ma che brillano come la luce del sole. Bisogna riconoscere e ringraziare la Congregazione, che umanamente ha fatto l’impossibile per assicurare loro ogni migliore assistenza spirituale, me-

P. Ampelio Bortolato Il padre dei missionari

dica e anche materiale. Però un problema era sorto fin dall’inizio Chi doveva essere visitato dal medico specialista, chi dal dentista, chi dall’oculista, chi era ricoverato all’ospedale. Era indispensabile trovare la persona adatta che fosse a completa disposizione di questi Confratelli giorno e notte, che potesse ricevere le loro confidenze e indovinare i loro bisogni. E ci fu un uomo mandato da Dio, chiamato Padre Ampelio. Non posso fargli il panegirico, perché verrebbe a strapparmi il foglio, ma dico: grazie, Signore, per il dono che ci hai fatto! P. Giovanni Saraggi

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Quando l’ospitalità diventa missione Tony Paganoni - Australia

Ancor prima che gli Scalabriniani mettessero piede ad Adelaide, nello stato del Sud Australia… ancor prima che una decisione formale venisse presa di inviare i Missionari Bianchini e Nazzani in un alloggio temporaneo al nord della città (essi furono poi trasferiti, dopo alcuni mesi, in una parrocchia situata su un pezzo di terreno incoltivato dove era stata eretta una baracca di lamiera, rifugio e riposo per cavalli da traino, che servì poi per molti anni alla celebrazione della Messa domenicale per la popolazione locale)… prima ancora che il sobborgo di Seaton iniziasse il proprio sviluppo edilizio lasciandosi alle spalle le coltivazioni intensive di ortaggi, lavorate soprattutto da italiani e bulgari… na sera, verso le cinque racconta Gianna Gallina che già risiedeva nella casa dove tuttora vive, lungo la Grange Rd. a Seaton - sentii bussare alla porta. Andai ad aprire e mi trovai di fronte un sacerdote con tanto di fascia e di crocifisso che si portavano allora. Questi, senza dire nulla, mi consegnò una lettera scritta da mia sorella che abitava nella

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parrocchia di tutti i Santi a Melbourne”. La parrocchia era gestita dai Padri Scalabriniani e, con molta probabilità, la sorella di Gianna, Bianca Parolin, aveva consegnato un messaggio scritto a P. Corrado Martellozzo, che a quel tempo era Superiore Provinciale del piccolo drappello di Missionari Scalabriniani sparpagliati un po’ ovunque in Australia. “Padre Corrado - continua Gianna - faceva finta di essere muto, forse a causa della gran fame che aveva dopo il viaggio piuttosto estenuante fatto da Melbourne in una piccola auto.

La signora Gianna con il marito Angelo e i nipoti e P. Corrado Martellozzo (1911 + 1992)

Aveva viaggiato in compagnia di un altro sacerdote, la cui identità sfortunatamente rimane ignota. Il secondo sacerdote era piccolo di statura, molto probabilmente diocesano, di origine francese e parlava solo l’inglese. Invitai il sacerdote in casa e solo quando entrò in cucina, nell’atto di togliersi la fascia ed il crocifisso, aprì finalmente la bocca per

dire: ‘aspetta che mi levo il sottopancia!’. “Questa affermazione fece una certa impressione ai miei suoceri, Elisabetta ed Augusto


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Gallina - aggiunge sorridendo Gianna - Più tardi essi mi confidarono, non senza una certa preoccupazione, di aver dubitato che fosse veramente un sacerdote!”. Ai due sacerdoti fu offerta una cena sostanziosa durante la quale Padre Corrado accennò più volte ai tanti amici e benefattori che aveva lasciato negli Stati Uniti con tanto rammarico. Si era messo in viaggio da Melbourne, dopo che gli era pervenuto l’invito dell’allora Mons. Matthew Beovich, Arcivescovo di Adelaide, di sondare la possibilità di dare inizio ad una presenza scalabriniana nella città di Adelaide. “In casa, oltre ai miei suoceri, era presente anche mio marito, che mi ha lasciato alcuni anni or sono dopo una lunga malattia. Fortunatamente, poi, sono arrivati i nipotini a colmare il vuoto”. Non è stato possibile mettere una data a questo primo incontro, certamente provvidenziale, sempre su suggerimento della sorella di Gianna che abitava in una delle strade lateriali alla Chiesa di Tutti i Santi a Fitzroy (Melbourne), dove esisteva già una comunità scalabriniana. Anche Angelo e Gianna si erano sposati nella parrocchia limitrofa, centro tradizionale degli Italiani a Melbourne, la St. Georgès a Carlton, per poi trasferirsi subito dopo ad Adelaide, nella loro casa sulla Grange Road. Il resto è tutta storia (quante macine da mulino sono state consumate!) sia per gli Scalabriniani che per la famiglia Gallina. A sua insaputa, forse, essa ha spontaneamente offerto ospitalità premurosa al primo missionario scalabriniano che si era avventurato nel Sud Australia, con molta probabilità durante i mesi di agosto o settembre del 1960. A quei tempi gli Scalabriniani erano ancora alla ricerca di una collocazione necessaria perché la nuova fondazione potesse essere avviata anche in Adelaide. Da allora sono trascorsi 50 anni.

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Occhi sul mondo delle migrazioni

Realtà missionaria

Messico

Dal 3 al 30 luglio, presso il Seminario Scalabrini di Città del Messico, ha avuto luogo il 16° mese di formazione scalabriniana permanente. Hanno preso parte 19 Missionari provenienti da più parti della geografia scalabriniana. Il denso programma del mese ha per messo ai par tecipanti la scoper ta del Messico non solo stor ica, culturale e sociale, ma anche religiosa, in par ticolare la grande religiosità popolare. Il corso ha permesso soprattutto di vivere la vera fraternità, facilitando una reciproca e forte conoscenza personale e della realtà delle r ispettive missioni, a vere una visione più approf ondita e globale della realtà missionar ia della Cong regazione, del suo g raduale sviluppo nelle div erse aree , car atterizzate da molteplici e div ersificate iniziative migratorie. Il profetico carisma del Beato Fondatore ha ispirato e stimolato i par tecipanti a un impegno maggiore e di aper tura creativa nel ser vizio specifico ed ecclesiale con i mig ranti. La Congregazione oggi sta viv endo un profondo cambiamento ed una f orte apertura missionaria, tenendo par ticolarmente conto della varietà di provenienza dei candidati alla stessa vita missionaria.

Volontari di frontiera

Si sono incontr ati nel mese di giugno a Città del Messico , presso il Seminario Scalabr ini. Vari si conosce vano, altr i scopr irono che non erano i soli ad a ver svolto la difficile ma altrettanto r icca esperienza missionaria alla frontiera Messico – Stati Uniti presso le Case del Migrante. Erano 15, tutti volontari e desideravano, durante l’incontro, intercambiare esper ienze e r iprendere nuove energie per r itornare là dove oggi, come si sa e come loro stessi hanno constatato, ha luogo una delle schiavitù del secolo XXI e dove quotidianamente si attenta alla vita, ai suoi diritti, alla sua libertà e integrità dei migranti.

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Riflessioni di un vescovo missionario

Il mio viaggio Piero Tessaro Stati Uniti

S

critto in un inglese chiaro e facile, il libro racconta in modo spigliato e spassoso la storia di un figlio di emigrati toscani nato a Chicago nel 1930, educato a New York e Roma, professore di Teologia e Diritto Canonico, Parroco e Vescovo Ausiliare a Vancouver, che, a 52 anni, il Papa manda come Vescovo Missionario a Kamloops, nell’interno del British Columbia, Canadà. Dopo 17 anni di intenso e fruttuoso apostolato in una diocesi che comprende 35 riserve indiane sparse in un territorio vasto come mezza Italia, Mons. Sabatini, alla vigilia del suo settantesimo anno, chiede e riceve il permesso di ritornare alla sua amata Chicago dove accetta la posizione di parroco. Le 250 pagine dell’elegante volume, corredato da più di 80 fotografie, sono piene di fatti, persone, eventi e luoghi che coprono il vasto arco di tempo che va dagli anni trenta del secolo scorso ai nostri giorni. Tutto è raccontato con disinvoltura, onestà e serenità. L’autore evita il vizio di tanti prelati che ogni volta che aprono bocca vorrebbero far capire che essi sono sempre, giorno e notte, oracoli infallibili del cielo. Mons. Sabatini cosparge la narrativa delle sue vicende, specialmente quelle di vescovo, con frequenti riflessioni sobrie e sagge, talvolta autoironiche, e lo fa sottovoce senza dare l’impressione di far la predica. Alla fine viene la voglia di dire: “Bravo Renzo - così l’ha sempre chiamato la mamma - hai composto il tuo bel magnificat della vita feriale del sincero cristiano”. “My Journey” è veramente un gran bel viaggio che si fa leggere con profitto e diletto.

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Immagini dell’attività pastorale e missionaria di Mons. Sabatini


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Sacerdoti da

60 anni

Dee Why - Australia

Sono sacerdoti – missionari da 60 anni: Davide Angeli, (da destra) Onorio Benacchio, Bernardo Lambrini, Silvio Pedrollo, Basso Beniamino, Carlo Galli, Giuseppe Bizzotto. Altri 11 compagni sono tornati alla Casa del Padre. La riflessione ci è giunta in occasione della celebrazione del 60° anniversario di Ordinazione Sacerdotale (1950 – 30 giugno – 2010). È rivolta a P. Bernardo, ma la dedichiamo a ciascuno, con profonda gratitudine e l’augurio di tanta gioia sacerdotale ancora per molti anni. Padre Ber nardo, Missionario Scalabriniano, è prete da sessant’anni, da quando , cioè ha r icevuto l’ordinazione presbiter ale, a Roma, per le mani di Sua Eminenza il Cardinale Adeodato Piazza. Quel mattino del 30 giugno 1950 si è tro vato prete. Non per f orza, beninteso, né accompagnato da un rosar io di piagnistei e di lamentazioni, bensì di liber a volontà o meglio chiamato da Colui che disse ad uno sparuto gruppo di pescatori: “Venite, vi farò pescatori di uomini”. P. Bernardo non ha la pazienza di pescare nel mare, nei laghi e nei fiumi, ma ha a vuto la pazienza di pescare da 60 anni nel cuore degli uomini. È stato alla porta e ha bussato, è stato nella chiesa, nelle case e ha cercato di r innovare la forza della Voce di Colui che disse: “Io sono la via, la v erità e la vita!” Poi, tornato al suo la voro (docente di matematica, fisica e scienz e naturali), non si è sentito altro che un minuscolo anello di una lunghissima catena che è arrivata fino a noi e che supererà l’arco della nostr a vita. Essere prete! Dentro le mura di un paese come di una città; essere prete nelle aule scolastiche, essere prete in Italia o seguendo le or me di quanti, per la voro o per altre necessità, sono costretti ad emigrare. Essere prete ovunque è un imperativo risuonato il 30 giugno 1950 per P adre Bernardo. E si è fatto terra con la terra, dove lo sporcarsi le mani acquista la forma di una fila incisiva di attività. Padre Bernardo ha pesato e dosato le parole per fare emergere la P arola. Ha guardato il mondo o anche una strada, un cortile con gli occhi propri degli altri per evocare immagini, fonte di Giustizia. Non si è fatto un personaggio “perché uno solo è il Maestro: Cristo”. Ma essere prete e fare il prete è cosa difficile e non solo da ora… per quella tensione v erso l’Alto, verso il perfetto, verso l’infinito che dovrebbe esserci nelle pieghe della vita.Rintrona sempre la Parola di Gesù:“Siate perfetti come è perfetto il Padre mio che è nei cieli”. Essere prete è difficile. Ci si sente come schiacciati dalla Grazia di cui si è depositari e distributori umani.

La chiesa di Dee Why, domenica 4 luglio 2010, si è arricchita di un nuovo organo, alla cui inaugurazione e benedizione hanno preso parte numerosi fedeli, cantori e musicisti. Ha aperto il concerto la professoressa Godelieve Chavala, a cui sono seguiti l’esecuzione di brani di Clerambault, Buxtehude, Scarlatti, Puccini, Faure e Grieg’s Peer Gynt, con la flautista Tamaryn Harris. Il tenore Lorenzo Rositano e il coro della parrocchia St. Kevin, a cui faceva eco l’assemblea dei fedeli, hanno eseguito vari canti classici religiosi. La Chiesa, in Oaks Ave di Dee Why, anche se è stata descritta dai critici come una “tenda araba” o una “costruzione con i coni da gelato in cima”, è un’opera di tutto rispetto e imponente, da sempre ben custodita e ordinata dai Missionari Scalabriniani, grazie alla ge-

Festa per il nuovo organo

nerosa collaborazione dei fedeli, che hanno creato una vera comunità di fede e di credenti. Alle celebrazioni è seguito un rinfresco, durante il quale, il parroco, P. Vittorio Basso, ha ringraziato non solo i partecipanti ma anche tutti i collaboratori che hanno reso possibile il raggiungimento di questa nuova e importante tappa parrocchiale.

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Scalabriniano di nascita francescano di adozione

Formazione Laici

In riva al Brenta

Portogallo Dal 9 al 12 agosto , ad Amor a, hanno avuto luogo le giornate di formazione e spir itualità per gio vani e laici, organizzate da P . Antonio Grasso e l’équipe di animazione giovanile delle missioni scalabr iniane europee . Il tema dell’incontro: “Ho incontr ato il Messia” (Gv 1,41) Con Maria, testimoni credibili nell’incontro tra i popoli”. Argentina L’équipe coordinatr ice del Mo vimento Laicale Scalabr iniano della Provincia Religiosa San Giuseppe si è incontr ato il 14-15 agosto a Mendoza. È stato guidato da P. Flavio Laur ia, in qualità di consigliere spirituale. Uno dei punti in programma è la par tecipazione dei Laici al corso di f ormazione per manente di area in prog ramma per la prossima metà di settembre. Paraguay Dal 6 all’8 agosto si è sv olto a Santa Rosa de Monda y, Paraguay, l’Incontro Inter nazionale della Gioventù Scalabriniana, organizzato da P. Paulo Rogerio Caovila. Brasile • Il 31 luglio e 1 agosto, si sono riuniti a Guaporé i delegati dell’équipe coordinatrice del Mo vimento dei Laici della Provincia San Pietro, animati da P. Luigi Mansi nella sua funzione di consigliere spirituale.

Piergiorgio Andreola

l 26 luglio 2010 all’età di soli 63 anni concludeva la sua esperienza terrena P. Piergiorgio Andreola, religioso e sacerdote dei francescani minori conventuali. Un male incurabile contro il quale aveva lottato fino alla fine lo ha strappato da questo mondo. La sua vita e la sua figura di sacerdote ci appaiono oggi più luminose che mai anche alla luce delle tante prove e vicende che ha attraversato nella sua pur breve esistenza. Nato a Montebelluna (TV), fin da giovane aveva coltivato l’idea di diventare missionario. Per questo era entrato nel seminario scalabriniano di Bassano del Grappa nei lontani anni sessanta. Qui completò gli studi medi e in parte ginnasiali. Poi il suo padre spirituale, ritenendolo non idoneo alla vita religiosa, gli sconsigliò di proseguire. Così Piergiorgio lasciò il seminario per entrare nel mondo del lavoro dove si distinse, prima come semplice operaio, successivamente come dirigente calzaturiero ed infine come imprenditore capo di una media azienda del settore. La sua vocazione tuttavia, maturata negli anni di seminario a Bassano dai Missionari Scalabriniani, non accennava

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mai a spegnersi. I progetti di Dio si sa - non sono i progetti degli uomini. Avvenne che, passati ormai i quarant’anni, decise di lasciare tutto, cedette l’attività imprenditoriale al fratello e venne accolto nel noviziato francescano di Padova. Completati gli studi teologici e superati i cinquant’anni, viene ordinato sacerdote “operaio dell’ultima ora”, come osava definirsi. Lo ritroveremo così vice parroco a Treviso, maestro di novizi a Padova e infine a Pedavena dove lo colse “sorella morte” a soli pochi mesi dalla scomparsa dell’anziana madre. “La mia vocazione, ebbe a dire pochi giorni prima della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta il 13 maggio del 2000, è maturata in riva al Brenta a Bassano del Grappa e non si è mai spenta”. Per questo motivo si è sempre ritenuto uno scalabriniano di nascita e un francescano di adozione . Oggi familiari e confratelli della grande famiglia francescana e scalabriniana, nell’esprimere il cordoglio per la prematura scomparsa, riconoscenti, lo vogliono ricordare con profonda gratitudine. Sergio Andreazza ex-allievo scalabriniano e compagno di scuola

• Dal 30 agosto al 3 settembre, nella casa delle Suore Cabr iniane a S. Paulo, ha a vuto luogo il 3° Incontro Ecumenico, guidato da P . Antonio García Peres e il cui tema particolare è stato “Gioventù Migrante: sfide e prospettiv e”, tr atto da quello più generale: “Origine e Destino dei Migranti Stagionali Agricoli”. Italia La comunità di Siponto, religiosi e laici, ha organizzato un campo di lavoro tr a i mig ranti stagionali impiegati nell’agricoltura del Sud dell’Italia (Capitanata, F oggia). I gio vani partecipanti hanno sper imentato un nuovo tipo di ferie missionarie e volontariato in sintonia con il car isma scalabriniano. Svizzera • Dal 4 al 9 agosto si è sv olto il corso estate 2010 “Giovani e Mig ranti” al Centro Inter nazionale di Spiritualità di Soluthur n, guidato dalle Missionarie Secolari Scalabriniane. • Lo stesso Centro ha organizzato dal 13 al 17 agosto per i gio vani il “Ferragosto alternativo sulle montagne Svizzere per esplorare assieme le orme di Dio”. È stata una vera avventura per i giovani partecipanti.


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Stop a una legge ingiusta

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na sentenza del tr ibunale f ederale di Phoenix ha b loccato alcune delle misure più polemiche della legge SB 1070 contro l'immig razione illegale nello Stato nordamer icano. La legge prevedeva inf atti se vere misure contro l’immigrazione illegale con effetti negativi per gli stessi legali.

anche chiesto che le frontiere internazionali siano più sicure , dove sono par ticolarmente diffusi il narcotraffico, il traffico di armi e di persone e la violenza. È, infatti, sullo sfondo nero di questa miseria che fiorisce il contrabbando degli uomini, esercitato con guadagni astronomici da

Colombia

Per una convivenza pacifica

Dal 1 al 3 settembre 2010, a Bogotà, Colombia, organizzato dallo Scalabrini Inter national Migration Network SIMN) di Cong regazione, ufficio di r appresentanza di New York, ha a vuto luogo II F oro Inter nazionale di Mig razioni e P ace. Il tema centr ale è stato: “Migrazione, con vivenza pacifica e indipendenza. Verso nuove prospettive di cittadinanza e democrazia”, motivato dal bicentenar io di indipendenza di diverse nazioni latinoamer icane. Hanno partecipato v arie personalità di spicco inter nazionale. È stato allestito anche un sito WEB apposito per l’e vento. Il tema del r apporto tr a Mig razione e Pace è n uovo nel panorama socio-politico , ma molto sentito sopr attutto nell’ambito delle mig razioni nel continente americano.

Australia

Aria di elezioni

Proteste oltre le frontiere (lato Stati Uniti) contro le leggi ingiuste e la preghiera per le vittime (lato Messico)

Molti, infatti, a causa di questa legge, vivevano con ansia e paura per le loro f amiglie e la loro unione. I vescovi hanno segnalato che la situazione di queste famiglie era a rischio, soprattutto di quelle dove un genitore sia già cittadino e l'altro non ancora riconosciuto come residente legale o che alcuni figli siano cittadini e altr i non abbiano i documenti necessar i per ottenere la residenza legale. I v escovi, pur r iconoscendo che l’illegalità non è un bene per il P aese, sugger iscono un programma per f acilitare l’immig razione legale dei lavoratori nel pieno r ispetto dei loro dir itti. Hanno

“coyotes” e “polleros”: un traffico che, secondo le v alutazioni degli esperti in mater ia, fr utta v ari miliardi di dollar i l’anno e si colloca quindi al secondo posto , dopo il narcotraffico, nella lista dei profitti illeciti. Lo scalabr iniano P adre Florenzo Rigoni, direttore della Casa del Mig rante di Tapachula, alla frontiera con Guatemala, ha seguito il cammino dei co yotes fin nella “rotta della mor te” (100 km di deserto). Ha osservato, amaramente: “Ci sono coyotes in guanti bianchi, c’è l’industr ia or mai, il coyotismo s’è trasformato in industria”.

In A ustralia si respira aria di elezioni a livello nazionale. E come sempre succede, il tema dell’immigrazione prende nuovi r isvolti e attenzione particolare. In una r ara posizione politica i due par titi (Conservatori e Liber ali) concordano in una r iduzione dell’immigrazione da 300,000 unità a 170,000. La Conferenza Episcopale, per mezz o del suo r appresentante P. Maurizio Pettenà e i Missionari Scalabriniani, con la v oce del Superiore Pro vinciale, P. Savino Bernardi, hanno preso posizione con ar ticoli pub blicati in diversi gior nali, dif endendo la liberalità e la positività di una politica mig ratoria aper ta ai migranti e r ifugiati per il bene della nazione australiana e del suo prestigio umanitar io nel mondo.

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figlio dell’emigrato, missionario dei due mondi

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Padre

Ugo

Fent

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ove mi chiamò l ’obbedienza mi prodigai sempre senza risparmio nel mio ministero sacerdotale, ma non sentivo la stanchezza e la fatica.

a cura di P. Giovanni Saraggi

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acqui, con altri cinque miei fratelli, a Mugnai di Feltre, in una famiglia più povera di quella di Nazareth. Mio padre era emigrato in Argentina e mia madre faceva la balia a Torino. Da quando ebbi l’uso di ragione fui un assiduo chierichetto e un po’ più tardi un modello di Aspirante di Azione Cattolica, che in un concorso diocesano sulla figura di Papa Pio IX vinsi il primo premio. Da ciò il mio parroco ritenne di ravvisare in me i germi della vocazione al sacerdozio, e, dopo la quinta elementare, mi iscrisse come esterno al Seminario diocesano di Feltre, dove frequentai la prima ginnasiale. Ma in Seminario, se pur modesta, c’era una retta da pagare e la mia famiglia guazzava nella miseria. Il mio parroco, nativo di Fonzaso, conosceva diversi missionari scalabriniani nativi di quella parrocchia, e allora mi dirottò verso il Seminario Scalabrini di Bassano del Grappa, dove la retta che si esigeva era la buona volontà e la retta intenzione. Della mia formazione nei vari seminari scalabriniani non ho ricordi particolari da sottolineare; non ho mai trovato difficoltà negli studi, non ero infastidito dalla disciplina, ho fatto tranquillamente il mio Noviziato, dove il Maestro, Padre Fiscarelli, mi aveva preso in predilezione e mi aveva affidato un incarico di fiducia (non dico quale, per non farvi ridere...); feci la prima e la terza teologia a Bassano del Grappa, come prefetto di disciplina dei giovani seminaristi; nella seconda teologia a Piacenza la guerra ci costrinse a tirar la cinghia; in refettorio avevo accanto a me un confratello sempre affamato, al quale di nascosto passavo parte del mio pane. Finalmente giunse l’atteso

P. Ugo, motorizzzato, durante i primi anni della sua missione in Brasile

29 giugno 1949 quando il Patriarca di Venezia, il Cardinale Adeodato Piazza, mi impose le mani e mi consacrò sacerdote per l’eternità. Lo stesso anno cominciai la mia avventura missionaria in terra brasiliana. Qui vissi per 22 anni e incontrai le più belle soddisfazioni della mia vita, punteggiate da qualche traversia. Nelle varie parrocchie dove mi chiamò l’obbedienza mi prodigai sempre senza risparmio nel mio ministero sacerdotale, ma non sentivo la stanchezza e la fatica; anzi mi sosteneva un certo orgoglio, che ogni mattina, all’alba, quando mi alzavo, mi faceva ringraziare il Signore per il dono ricevuto del sacerdozio e, dappertutto fra i miei italiani, mi sentivo come in una famiglia, a casa mia. C’era un’ansia per arrivare dappertutto ed era spesso un’impresa perché ogni parrocchia aveva diverse Cappelle distanti chilometri e chilometri dalla matrice. Cominciai la mia esperienza a Santo André, dove il parroco P. Primo Bernardi, era indaffarato a costruire la nuova Chiesa dedicata a Sant’Andrea; e, per non essere da meno, col materiale della vecchia chiesa demolita, io costruii una Cappella a Villa Humanitá . Primo parroco di Santo André era stato P. Luigi Capra, la cui memoria era in venerazione pres-


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P. Ugo (primo da sinistra) con i genitori e il parroco di Mugnai A P. Ugo nel 60° di Ordinazione sacerdotale

so la gente, che adornava ogni giorno la sua tomba di fiori freschi, A Rugde Ramos c’era una Cappella, ma i nostri emigrati chiedevano al Vescovo di farla parrocchia, con un proprio sacerdote. Siccome il Vescovo nicchiava, i fedeli promossero uno sciopero dalle funzioni religiose e così il Vescovo mi promosse parroco di Rudge Ramos, dove risiedetti per tre anni, ricostruendo anche una nuova canonica, perché la vecchia era crollata per le intemperie della pioggia. A Rudge Ramos, mi capitò di scontrarmi con un impresario brasiliano, generoso fin che si vuole, ma che agiva come padrone della parrocchia e si ritenne offeso perché io non accettai le sue offerte in una manifestazione religiosa. Costui approfittò di una mia vacanza in Italia, per ricattare il mio Superiore provinciale: avrebbe costruito la Chiesa gratuitamente, a condizione che io fossi allontanato dalla parrocchia e anche dalla Provincia, Così, al ritorno dalle vacanze, ricevetti l’obbedienza di andare a Curitiba, nel Paraná, senza alcun incarico specifico. Qui resistetti due anni e poi mi ammalai e fui condotto all’ospedale. Il primario volle incontrare il mio superiore, al quale disse: “Date al Padre un incarico molto difficile e si riprenderà subito in salute”. Fui mandato a Londrina, nel

nord del Paraná, dove esisteva una cappella in legno. Mi misi subito all’opera, coadiuvato da una generosa corrispondenza dei fedeli, e in due anni costruii una Chiesa superba, che dedicammo a N. S. Aparecida. Restai a Londrina per sei anni e fui eletto anche Consigliere Provinciale. Nel 1971 il Superiore Generale mi destinò a fondare una missione ad Amora in Portogallo. Vi andai con grande entusiasmo e trovai subito molta comprensione e collaborazione nel clero e anche nel popolo. Qualche mese dopo mi raggiunsero, i Confratelli P. Magrin e P. Benetti. Vissi in Portogallo per dieci anni, prima nel ministero parrocchiale e poi anche come economo nel Seminario Scalabrini, a cui si era dato inizio per accogliere i giovanetti desiderosi di donarsi all’assistenza degli emigrati. Devo confessare la verità: furono gli anni più penosi della mia vita. Eravamo in diversi Padri, uno più volonteroso dell’altro, impegnati dall’alba al tramonto, ma ognuno vedeva la realtà con occhi diversi... Non mi dispiacque quindi la destinazione che ebbi per l’assistenza dei portoghesi emigrati in Lussemburgo e in Francia. Un apostolato tutto particolare, che non si esauriva con le funzioni sacre che assicuravamo nelle nostre Cappelle, alle quali gli emi-

grati assistevano, se non più numerosi, più convinti di quando vivevano in patria; quanto piuttosto col contatto personale nelle singole famiglie, dove il missionario veniva accolto come un amico, come un consigliere, come un padre, a cui si confidavano i propri problemi, le difficoltà, le sofferenze, sicuri di trovare un aiuto discreto e premuroso. Un apostolato quanto mai prezioso, ma sfibrante per un missionario che avesse perseverato in esso. E io non mi accorsi che anno dopo anno le forze fisiche si andavano esaurendo; e quando, dopo quindici anni, venni in Italia, per celebrare il cinquantesimo di sacerdozio, i Superiori ritennero chiusa la mia giornata missionaria. Ma io non riuscivo ad arrendermi e chiesi e ottenni di esercitare come potevo il ministero sacerdotale nella mia diocesi di origine. Qui spesi per quasi sei anni le mie ultime gocce di sudore missionario, finché dovetti accettare, sia pure a malincuore, la generosa ospitalità nella Residenza Scalabrini a Bassano del Grappa. Se devo manifestare un auspicio per l’avvenire della mia Congregazione è quello di rendere sereno il più possibile il tramonto dei suoi missionari, che l’hanno amata e servita per tutta la vita.

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Un anno per ringraziare Le Missionarie Secolari Scalabriniane, terzo Istituto della Famiglia Scalabriniana, celebrano i primi 50 anni della loro storia, che ha preso il via a Solothurn, nella Svizzera tedesca, il 25 luglio 1961.

N

ella Svizzera degli anni ’60, in pieno boom economico, erano molti gli immigrati stranieri dai paesi dell’Europa mediterranea. Tra questi, gli italiani stagionali rappresentavano quasi il 50%. La Missione Cattolica Italiana

di Solothurn si stava organizzando per una presenza efficace tra di loro, nell’attenzione ai numerosi e diversi bisogni. Varie erano le iniziative, e tra queste una scuola italiana che il direttore della Missione, P. Livio Zancan, aveva progettato per i bambini, e per la quale era necessaria un’insegnante. La proposta arrivò ad una giovane maestra di Piacenza, Adelia Firetti, che si rese disponibile a partire già dall’estate di quell’anno, e giunse a Solothurn il 22 luglio 1961. Così Adelia ricorda: “Quel sabato quando, verso sera, arrivai a Solothurn, portavo nella valigia un bagaglio di piccolezza insieme al desiderio di un’esperienza nuova. […]Mi accompagnava la ricerca di vivere la mia fede e l’amore di Dio in un servizio agli altri. L’occasio-

e

ne mi venne da una proposta dei Missionari… Questa esperienza mi appariva significativa anche per la mia ricerca di vita“. La Missione utilizzava per le sue attività il vecchio Hotel Adler, che nei suoi tre piani ospitava una mensa, un asilo, un pensionato per ragazze operaie e uffici di prima accoglienza. Qui avrebbe dovuto trovare spazio la scuola, ma l’imprevista opposizione delle istituzioni consolari non permise la realizzazione del progetto. “Da parte mia – continua Adelia - allora dovevo scegliere: o ritornare a casa o fermarmi alla Missione di Solothurn dove c’era da fare per i piccoli e per i grandi”. La realtà dura della prima emigrazione richiedeva infatti una molteplicità di servizi e di interventi, cui i Missionari Scalabriniani, con instancabiMissionari a cui le Missionarie Secolari devono gratitudine: (da sinistra) Padri Cesare Zanconato, Giovanni Battista Sacchetti, Antonio Perotti, Mons. Velasio De Paolis e Gabriele Bortolomai

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Adelia in una “favela” in Brasile ( a lato) Missionari Scalabriniani davanti alla Missione Cattolica Italiana di Solothurn: (da sinistra in alto) i Padri Pietro Rubin, Lorenzo, Zanellato, Luigi Tacconi, Gabriele Bortolomai; in basso: Ferruccio Agugiaro, Livio Zancan, Giulivo Tessarolo, Rino Frigo

Ispirazione Scalabriniana “Fin dall’inizio, insieme al dono di condividere la vita dei migranti, ci siamo sentite attratte a vivere la comunione tra le diversità, trovando ispir azione nella testimonianza del beato G.B. Scalabrini. Nella speranza viva, racchiusa nel mistero stesso della P asqua, imparavamo a non separ are la preghier a dalla missione, la contemplazione dall’azione , la f ede dalla vita. Sulle strade dell’esodo, si facevano sempre più preziose le perle che scoprivamo nella vita del beato G. B. Scalabrini: la centralità appassionante di Gesù crocifisso e risorto, centro focale di verità-carità-unità; l’amore all’Eucaristia e alla Chiesa, prolungamento del Verbo incarnato che, estendendosi nell’uomo, gli rendeva prossimo il mondo; il dialogo con tutti, fondato sulla realtà della comunione trinitaria in cui abitiamo. In particolare, ci siamo ispir ate al car isma della totalità di G.B . Scalabrini, attraverso cui egli v edeva nel fenomeno dell’emigrazione una via di unificazione della f amiglia umana in Cr isto. Nella sua oper a instancabile egli sapeva farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a Cr isto (cfr. 1 Cor 9,19.22). (Adelia) La comunità delle Missionarie Secolari Scalabriniane ha ricevuto una prima approvazione il 14 maggio 1967, gior no di Pentecoste e la definitiv a erezione ad Istituto Secolare a Pasqua 1990.

le impegno, cercavano di rispondere. Di loro dice: “Povertà, sacrificio e solidarietà erano il passaporto per superare frontiere di ogni tipo. Mi erano di grande testimonianza. Pur non potendo fare la scuola, decisi di rimanere a Solothurn, offrendo la mia disponibilità in diversi ambiti e servizi. Affidandomi al nuovo che mi veniva incontro, l’esperienza dell’emigrazione che io stessa facevo, mi conquistava quasi per gli stessi contrasti sofferti, che mi mettevano in esodo. Separazione, estraneità e dolore diventavano spazio per una più grande speranza, per l’impegno della

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vita e soprattutto per una vita di mio punto di riferimento e la sui passi dei migranti ci ha pormia speranza: càpiti quel che tato da Solothurn in altre città comunione. Oggi vedo che Qualcuno fa- càpiti, poteva capitarmi tutto, d’Europa: a Stoccarda, a Milano, ceva la mia storia e mi portava, ero consegnata a Dio e per sem- a Basilea, a Roma, e oltreoceano: attraverso tunnel più o meno pre. Questa luce era la mia for- a São Paulo in Brasile e a Città lunghi, in una terra nuova che za, mi ero messa nelle sue mani del Messico, dove viviamo in picnon era solo geografica. So- e sperimentavo che la gioia cre- cole comunità internazionali. La stessa emigrazione ci ha lothurn per me voleva dire mis- sceva in me e che la potevo cosione, spirito scalabriniano, municare nella condivisione a condotto verso frontiere sempre quanti incontravo, semplice- nuove: da una presenza tra gli emigrazione. italiani in Europa ai migranti inTutto questo mi pare chiaro mente. Quella gioia non mi lasciò terni e agli indocumentados latiora. Ma da dove mi veniva la forza di non tornare indietro? Ri- neanche quando la storia si fece no-americani in Brasile; dai turcordo che appena arrivata, pro- più difficile e complessa. Le cose chi musulmani in Germania, ai prio di fronte ad un futuro che si in effetti stavano diventando lavoratori migranti europei (per chiudeva alle mie aspettative, molto più grandi di quello che es. portoghesi) offerti ad un intuivo che la scelta che dovevo avrei potuto immaginare. Si an- mercato del lavoro sempre più fare era quella di radicarmi in dava formando una comunità mobile e precario, agli immigraun rapporto più profondo di fede missionaria, un cammino che ti e rifugiati in Italia, agli irregocon Dio, dal quale attendere procedeva anche in collabora- lari e richiedenti asilo in attesa quel futuro per cui volevo spen- zione con i Missionari Scalabri- di espulsione a Città del Messico così come in Svizzera, alle minoniani e con la Chiesa locale. dere la mia vita. Nel cammino non mancaro- ranze cristiane in fuga dalle perUn martedì a pochi giorni dal mio arrivo, prima di entrare nel- no anche forti opposizioni ed secuzioni. “Nella gratitudine per le rala mensa per il servizio del mez- ostacoli, che sembravano talora zogiorno, mi avviai rapidamente interrompere la strada, ma la dici che hanno alimentato la nella chiesetta dello Spirito San- speranza non cadeva e, di fatto, nostra storia di Missionarie Seto, a due passi dal vecchio Hotel provvidenzialmente la comu- colari Scalabriniane, in Europa nità si sviluppava con l’arrivo di come in America Latina, allora Adler. Era il 25 luglio. Un insieme altre Missionarie prima italiane: come oggi, la consacrazione sedi sentimenti, tra la paura e la Pasqualina, Maria Grazia e An- colare ci porta nei deserti sociafiducia, mi attraversavano. Dio na, e in seguito di diverse prove- li e umani delle migrazioni, per entrarvi con un servizio concreche mi aveva portata fin lì mi fa- nienze e nazionalità. Il dono dello Spirito del Ri- to di amore, gettando le reti sulceva cogliere, nella mia stessa esperienza, la sua fedeltà e il suo sorto, che si è fatto presente sui la parola di Gesù stesso: ‘Ero amore di misericordia attraver- nostri passi, non ha mai lascia- straniero e mi avete accolto… lo so il suo Figlio crocifisso e risor- to che si spezzasse il filo rosso avete fatto a me’ (cfr. Mt 25,31to. In quel momento di preghie- della nostra storia, grazie al suo 46). Mescolate all’esodo dei migranti e dei giovani, sia che essi ra gli dissi il mio sì, consegnan- amore e alla sua fedeltà”. Nonostante la nostra picco- popolino le favelas o le periferie dogli totalmente la vita. Il mio piccolo sì senza chia- lezza, il cammino missionario geografiche e umane delle nostre metropoli e sorezza di futuro trovava cietà, sia che non abuna possibilità unica e biano una zolla su cui nuova in una dimenSecolarità è un ter mine che indica un par ticolare potersi fermare o un sione eucaristica: là rapporto Chiesa-mondo. Quando esso è attr ibuito ad futuro in cui sperare, dove non c’è sbocco, un Istituto Secolare, dice il dono di una totale consaintravediamo in essi non c’è speranza, non crazione a Dio attraverso i voti, che fanno spazio alla vita di Gesù povero, vergine e obbediente, vissuta nei l’invito di Dio preanc’è futuro e le persone più diversi ambienti e contesti ordinar i, come sale e nunciato nel mistero diventano numeri, oglievito. della Pasqua: contrigetti, cose... Gesù riSi tratta di un dono, di un car isma che non si espr ibuire alla creazione di sponde facendosi ‘come in opere proprie stabili né in una forma di vita speciale che si distingue ester namente dagli altr i. Il cariuna umanità nuova in sa’, Eucaristia, per farsma della secolarità - con un supplemento di preghiecui ogni terra stranieci con Lui persone cui ra, di contemplazione, di comunione eucaristica - vuora è patria e ogni panon è più precluso nesle agire attraverso la persona e le sue relazioni dall’intria è terra straniera” sun futuro in Lui e nel terno delle situazioni e vicende ordinar ie come lievito che può per meare ogni realtà con la testimonianza mondo. (Adelia). del Vangelo e così f ar crescere il Cor po di Cr isto nel da: “Sulle strade dell’esodo”, Il mio sì, questo vomondo. periodico delle Missionarie to segreto, divenne il Secolari Scalabriniane.

Secolarità

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I ragazzi di Payatas

Payatas è l’immondezzaio di Manila, che nel luglio 2000 ha provocato stragi e morti. Chiamato dai disperati “terra promessa”, tuttora è l’unica fonte di guadagno per i poveri. Bambini, giovani e adulti vi frugano alla ricerca di rifiuti rivendibili. Eufrocina Sumampong - Filippine

L’

apostolato, iniziato nel gennaio di quest’anno tra i bambini e gli adolescenti dei migranti, è una grande sfida. Esso richiede che visitiamo spesso Payatas, 10.000 famiglie, e che parliamo con i ragazzi e con i genitori, spiegando loro le motivazioni di vita e di azione delle missionarie scalabriniane. Facciamo volentieri tutto questo, anche perché dalle loro manifestazioni di riconoscenza ci rendiamo conto che il nostro apostolato è apprezzato. Stando con loro, si ha la netta sensazione che questa buona gente semplice sente gratitudine per l’interessamento che mostriamo nei confronti dei loro figli, che si sentono sicuri sotto la nostra guida. Venendo a contatto con una situazione difficile come quella di Payatas, dove il cattivo odore delle immondizie appesta l’aria, rimaniamo sempre molto colpite e scosse. Si comprende presto, infatti, che, a parte la loro lotta per poter sopperire ai bisogni primari, questa povera gente continua a crescere numericamente e lottare per poter far fronte all’ambiente tanto malsano. In questa cornice drammatica, come possono coltivare e mantenere

la fede e dare al loro ambiente familiare un’impronta cristiana? Di fatto, essendo così ardua la sopravvivenza, tutto si focalizza intorno alla ricerca di un po’ di denaro per rispondere alle minime necessità, per procurare il cibo che garantisca l’esistenza, nonché per fornire ai bambini le cure necessarie in caso di malattia e assicurare loro un minimo di formazione scolastica. I giovani di Payatas sono poi

chiamati ad un’ulteriore prova: mantenersi puri e vivere onestamente in un’atmosfera familiare intrisa di valori diametralmente opposti. Infatti è difficile mantenere la propria dignità quando ‘l’indegnità’ circonda. Siamo state colpite da tutto questo e siamo state ispirate a dare vita allo ‘Scalabrinian Youth Club’, che si propone soprattutto di aiutare le famiglie ad allevare cristianamente i loro figli. La nostra missione va al di là della ricerca di candidati alla vita missionaria, estendendosi a piantare i semi dei valori evangelici nell’ambiente familiare dei poveri migranti. In questo modo, come scalabriniane, intendiamo aprire a Dio le menti e i cuori. Fra le attività di gruppo realizziamo un ritiro spirituale mensile, cui partecipano un buon numero di ragazzi e ragazze con i quali possiamo intraprendere insieme un cammino di crescita. Programmiamo anche delle attività per aiutare i ragazzi materialmente a concorrere alle misere risorse familiari. Ciò può sembrare poca cosa e siamo coscienti che molto di più può essere fatto, spinte dal monito del Beato Scalabrini: “L’amore non si adatta all’indifferenza”.

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Comune spirito missionario Mons. Scalabrini e Madre Cabrini

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P. G i o v a n n i Te r r a g n i

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Nel 1850, 160 anni fa, nasceva a Codogno Francesca Saverio Cabrini, la cui vita si intreccerà costantemente con quella di Mons. Scalabrini, tanto da salire entrambi agli onor i degli altari e ed essere proclamati “patroni degli emigranti”. Alla vigilia della beatificazione della Cabr ini, 12 no vembre 1938, il Card. Raffaele Rossi, allora Super iore Gener ale dei Missionari Scalabr iniani, in un articolo dal titolo “La Beata Cabrini e il Ser vo di Dio Mons . Scalabrini”, scr iveva sull’Osservatore Romano: “Accanto all’Istituto delle Missionar ie del S. Cuore della Madre Cabr ini, altri Istituti sorsero o si rinnovarono per lo z elo pastor ale di Mons. Scalabrini e uno di essi si dedica esclusiv amente alla cura degli italiani emig rati, ma rimane sempre che la pr ima religiosa la quale intese e comprese l’ansia del pio Vescovo di Piacenza per la salute delle anime degli immig rati e che coadiuvò negli inizi i di lui missionari di S . Carlo, fu la Ser va di Dio F rancesca Sa verio Cabrini. Lo scambio di relazioni fra Lei, F ondatrice delle Missionarie, e il Vescovo, Fondatore dei Missionar i, contin uò sempre santamente cordiale e improntata a reciproca stima e fiducia, fino alla morte di Mons. Scalabrini.” Tra lo Scalabrini e la Cabrini era una prof onda consonanza spirituale di f ondo: il com une spirito missionario.

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calabrini, ancora giovane prete, intendeva farsi missionario per gli infedeli. Poco dopo la sua ordinazione, avvenuta il 30 maggio 1863, Scalabrini si presenta a Mons. Marinoni, Direttore del seminario lombardo per le missioni estere (l’attuale PIME) per farsi missionario tra gli infedeli. Il Vescovo di Como, Mons. Marzorati non gli concede l’autorizzazione. Nel giugno 1884, vent’anni dopo, Scalabrini, già vescovo di Piacenza, scriveva: “Mi parve proprio tale dover essere il mio destino, secondo la divina volontà. Ma certe circostanze impreviste sorsero, non so se per punizione dei miei peccati, o per altri ascosi disegni di Dio; e la croce di legno del missionario mi si cambiò in questa d’oro che porto al petto, la quale mi fa spesso erompere in lamenti con il mio Signore, perché mi abbia voluto dare questa al posto di quella”. Nel 1884 a Mons. Marinoni che gli chiedeva dei Missionari, per il suo Istituto, Scalabrini risponderà: “Ella è padrone della mia diocesi: venga, entri nei seminari, esorti, si porti via chi vuole, io le sarò sempre sommesso come antico aggregato a San Calogero”. Allorché Scalabrini, nel gennaio del 1876, venne preconizzato vescovo, non mancò di sottolineare lo spirito missionario che lo animava domandando a Pio IX di essere consacrato Vescovo nella Cappella del Collegio Urbano di Propaganda Fide a Roma. È pure noto che Scalabrini si interessò nella primavera del 1888 alla creazione di un seminario internazionale europeo a Clairefontaine sulla frontiera belgo-lussemburghese, che doveva considerarsi come una filiale di-

pendente dalla Casa di Piacenza per la preparazione di sacerdoti “per l’evangelizzazione degli immigrati europei”. Del progetto che non ebbe poi concretizzazione si interessarono con Scalabrini i Vescovi di Namur e di Lussemburgo. Nel 1904, un anno prima della sua morte Scalabrini, in visita ai suoi missionari nel Paranà (Brasile) aveva incontrato alcuni Indios per i quali chiese a Pio X che venisse affidata ai suoi missionari la catechesi e per i quali aprì di fatto una missione a Tibagy. È del tutto significativo, inoltre, che Scalabrini concepisse la sua opera per gli emigrati come “opera di evangelizzazione”. Nel giugno 1887 nella lettera di accompagnamento con la quale inviava a Leone XIII alcune copie del suo primo opuscolo sull’emigrazione italiana in America, Scalabrini sottolinea di averlo scritto “per meglio disporre gli animi a favore del disegno di evangelizzazione da me presentato per espresso desiderio di Vostra Santità alla Sacra Congregazione di Propaganda”. Nello stesso senso Scalabrini scriveva a Mons. Corrigan, arcivescovo di New York, il 18 agosto 1887, affermando che sperava di vedere sorgere in Piacenza “una casa dove accogliere, istruire e preparare i sacerdoti che intendono dedicarsi all’evangelizzazione dei loro connazionali in America”.


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È questa l’espressione più frequentemente utilizzata nella corrispondenza alla Santa Sede e all’Episcopato americano. Se da un lato Scalabrini, all’origine, aveva ideato il suo Istituto Missionario come “quasi un’appendice di Propaganda Fide”, da un altro lato, Scalabrini ha operato per dare un’apertura missionaria originale non solo alla Congregazione di Propaganda Fide ma a tutta la chiesa esprimendo l’idea, che riaffiora spesso nei suoi scritti, che l’avvenire della chiesa si giocava più sul fronte della mobilità umana, le migrazioni, che sulle frontiere missionarie di Propaganda Fide. L’approccio missionario dello Scalabrini nella concezione del suo Istituto, risulta anche dalla figura del “missionario volante” che egli avrebbe voluto associare - come risulta dal primo progetto di regolamento del 16 febbraio 1887 - ai missionari stabili. Due categorie di sacerdoti, precisava Scalabrini: i missionari stabili, fissi in posti loro designati e i secondi che girano “missionando”. “A conservare poi il frutto delle Missioni, - scriveva Scalabrini si dovrebbe in ogni gruppo di Italiani, che non hanno prete, raccomandare che non solo si attengano ogni giorno in casa alle pratiche dei buoni cristiani, ma che nei dì festivi si riunissero nella Chiesa, o cappella, a pregare in comune, cantarvi le lodi del Signore, a farsi il Catechismo ai fanciulli, a leggervi il Vangelo delle domeniche; a compiere quegli esercizi religiosi che da laici possono eseguirsi. È in tal guisa che nel Madagascar durante l’assenza dei Missionari per più anni, si conservò non solo la fede, ma anche il fervore religioso”. Sull’idea dell’apertura di una casa di missionari “ambulanti”, Scalabrini tornerà più volte anche in seguito: “È questo un mio antico desiderio, scriveva nel 1893 al Delegato Apostolico negli Stati Uniti, Mons. Satolli, un desiderio espressomi anche dal Santo Padre”. Sulla vocazione missionaria di

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madre Cabrini nella sua adolescenza e gioventù e all’inizio della sua vita religiosa mettono l’accento tutti i suoi biografi. Risulta, anzi, che il suo sogno missionario di indirizzare le sue religiose verso la Cina e l’Oriente fosse appunto uno degli ostacoli, sebbene non il solo nè il più decisivo, all’accettazione della proposta fattale da Scalabrini nel 1888 di inviare alcune delle sue religiose a New York a coadiuvare i primi Missionari Scalabriniani in quella metropoli nella loro prima missione tra gli italiani emigrati. Pare che alla prima proposta di Scalabrini essa abbia risposto in tono piuttosto scherzoso: “No, no, è troppo piccolo il mondo perché dobbiamo limitarci a quel solo punto. Io vorrei abbracciarlo tutto, e giungere dappertutto...”. Sappiamo che fu solo la parola decisiva del Papa Leone XIII, durante l’udienza dell’inizio di marzo 1889, che determinò la Cabrini ad accogliere la proposta dello Scalabrini. In quell’incontro, Leone XIII, come leggiamo in una biografia della Santa, disse a Madre Cabrini: “Non all’Oriente, ma all’Occidente. L’Istituto è ancora giovane, ha bisogno di mezzi; andate negli Stati Uniti, ne troverete e, con essi, un grande campo di lavoro”. Il riconoscimento esplicito da parte della Cabrini della spinta iniziale verso gli emigrati italiani in America ricevuta da Scalabrini appare in più lettere della Cabrini e viene confermata più volte dal vescovo stesso. Da New York, la Santa scriveva allo Scalabrini il 10 dicembre 1898: “Voglia V. E. benedire anche le nostre Missioni: ella ha lor dato il primo impulso, è dunque tenuto ad assicurarci un pochino con la sua preghiera, non le pare? Di più, ora sarebbe il momento di raccomandarci alla Propaganda per farci avere un buon assegnamento. Come vede, io ricorro a V. E. con tutta confidenza di figlia, e mi sento sicura che nella grande bontà del suo cuore farà di tutto per farcelo ottenere”. “Se nel mio giro attraverso le nostre Missionarie, - scriveva an-

cora la Cabrini da New York il 16 giugno 1899, - ho trovato di che rallegrarmi non ho potuto a meno di riportare il mio pensiero a Lei, che mi ha dato la prima spinta, e che quindi ha il primo merito di quel poco di bene che si fa. Continui ad assisterci con la sua benedizione, e colle sue orazioni, come noi l’abbiamo sempre presente nelle nostre”. Lo spirito missionario della Cabrini lo ritroviamo fin dall’inizio nella destinazione delle sue religiose al servizio dei bisogni religiosi e sociali degli emigrati negli Stati Uniti, quasi come “centri di missione”. Può essere un dettaglio significativo da sottolineare il fatto che tanto Scalabrini che la Cabrini (e quest’ultima più di Scalabrini) dovettero resistere all’inizio delle loro rispettive fondazioni contro il parere di coloro che volevano togliere l’appellativo di “Missionario” dal titolo delle loro Istituzioni. Soprattutto per l’istituzione della Cabrini quel nome di “Missionarie del Sacro Cuore” ritenuto dal decreto diocesano di approvazione del 1880, inedito e singolare per una congregazione religiosa femminile, aveva suscitato un vespaio di commenti e di reazioni. D’altra parte per certi Vescovi e sacerdoti americani, il titolo di “missionari”, specialmente negli Stati Uniti in quell’epoca ancora dipendenti dalla Congregazione di Propaganda Fide, suonava male, quasi si volesse assimilare il contesto nord-americano di origine europea alle terre infedeli. Una espressione della comune vocazione missionaria tra Scalabrini e Cabrini era l’attrattiva di entrambi verso l’istruzione catechetica e religiosa nel servizio ai migranti. A questo riguardo c’è da chiedersi se la profonda stima della Cabrini, già maestra e catechista a Codogno non fosse anche legata allo Scalabrini come “l’Apostolo del catechismo”. Mons. Scalabrini e Madre Cabrini hanno voluto caratterizzare la loro fondazione con il timbro della missionarietà.

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Beato SCALABRINI

Ordinazioni Sacerdotali

Immagini della memoria La casa natale a Fino Mornasco (CO)

P. José Pepe Plascencia (primo da destra), della Comunità Teologica di Bogotà, ordinato il 17 luglio 2010 nella chiesa di San Gio vanni Battista di P achuca (Messico) da Mons. Juan Pedro Juárez, vescovo di Tula. P. Rubens Sylvain (secondo da sinistra), della Comunità Teologica di Bogotà, ordinato il 25 luglio 2010 nella parocchia Sainte Mar the a Mar melade (Haiti) da Mons. Yves-Marie Péan, vescovo di Les Gonaïves. La parrocchia di Fino Mornasco (CO) Battesimo

Parrocchia di Sant’Abbondio di Como Seminarista Professore Rettore

P. Valentin Mendoza (terzo da destra), della Comunità Teologica di Bogotà, ordinato il 7 agosto 2010 a Atzitzintla (Messico) da Mons . Francisco Moreno Barrón, vescovo di Tlaxcala. P. Jorge Armando Guerra, della Comunità Teologica di Roma, ordinato il 14 agosto 2010 nella chiesa parrocchiale di San F elipe (Messico) da Mons. José Mar tín Rábago, vescovo di León. P. Francesco D’Agostino , della Comunità Teologica di Chicago , ordinato il 28 agosto 2010 nella chiesa Santa Mar ia Addolorata di Chicago da Mons . Lawrence Sabatini, v escovo emer ito di Kamloops.

Spiritualità Spiritualità missionaria missionaria

Parrocchia di San Bartolomeo di Como Parroco fino alla consacrazione episcopale

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I luoghi del Beato Scalabrini dove nacque, crebbe, si formò e maturò la sua vocazione missionaria

Il dono dello Spirito dato a Scalabrini continua vivo in quanti il Signore chiama a par teciparne. La f edeltà creativa a questo dono ha portato allo sviluppo di una spiritualità c he affonda le sue radici in Scalabrini e nel carisma che il Signore ha donato tramite lui alla Chiesa per il mondo della mobilità. Oggi sono molti coloro c he, confrontati con la realtà migratoria, trovano nella spiritualità scalabriniana un tesor o cui atting ere per vivere in pienezza la lor o vita cristiana.


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Hanno detto

Beato Giovanni Battista Scalabrini

Tutti uniti

“...Vi scongiuro ... di non disg regare le v ostre forze impiegandole ciascuno per conto propr io e senz’altra guida che la propria volontà: ma di essere tutti uniti e come una cosa sola”. Venerabile Massimo Rinaldi

Anima missionaria

“Questo pover’uomo l’hanno voluto far vescovo per f orza! Ho sempre sospir ato il mio Br asile! Ci sarei rimasto tanto volentieri”. Servo di Dio P. Giuseppe Marchetti

Martire della carità

“Eccomi qua pronto a mor ire; ho desider ato tante volte il mar tirio; se invece del mar tirio di sangue ho il bene di trovare il martirio nelle fatiche apostoliche, mi stimerò felice”. P. Leone Valente

Il mio altare “Sacerdote all’altare , al conf essionale, tr a la gioventù, tr a gli ammalati.Or a il mio altare è questa stanza, questo letto , questa casa: santifica tutto perché tutto è grazia”. Servo di Dio P. Tarcisio Rubin

La ricchezza dei poveri “La mia vita po vera con i po veri f a gustare sempre più che i poveri sono il Vangelo. Hanno fame di Dio oltre che f ame di pane , di medicine. Che la luce di Gesù bambino ci com unichi la ricchezza dei poveri”. P. Elias Bordignon

Il mio ultimo desiderio “Non ho mai a vuto difficoltà nella con vivenza con i confratelli. In questa mia età... se mi è lecito manif estare un desier io: mi piacereb be dedicarmi ai malati...” P. Renato Bolzoni

Sono pronto

Al confr atello che gli chiede va: “Il Signore sembra cha la v oglia con sé in P aradiso”, r ispondeva: “Soffro molto: che il Signore f accia presto: sono pronto”. P. Luigi Favero

Il vino del perdono “Dobbiamo lasciarci riconciliare da Cristo, perché sia lui a r iorganizzare la nostr a vita e le nostre relazioni, rendendo nuovo il nostro cuore affinché sappia assaporare il vino nuovo del suo perdono”. Mons. Marco Caliaro

Affidiamo alla bontà del Padre P. Elói S. Dalla Vecchia Putinga, RG (Brasile), 02 - 09 - 1934 Jundiaí, SP (Brasile), 03 - 08 - 2010 P. Elói nacque a Putinga, Rio Grande do Sul (Brasile) il 25 settembre 1934. Compì gli studi nei seminar i scalabr iniani del Brasile. Emise la pr ima Professione religiosa l’11 febbraio 1955, la Perpetua l’11 febbraio 1958, ordinato sacerdote il 4 febbraio 1962. Nella sua vita missionaria e sacerdotale, P. Elói assunse diversi incarichi in differenti località: fu assistente a Santos; vicario a Umbarà; assistente a Curitiba; nel 1966 passò come assistente a Santa F elicidade, poi ad Astorga, do ve, dal 1969 al 1972, fu rettore del seminar io scalabr iniano. Dal 1974 al 1983 fu pr ima vicario e in seguito parroco a Londrina; dal 1983 al 1985 parroco a Cuiabá e dal 1985 al 1986 economo provinciale. Dal 1987 fu parroco a Curitiba, dal 1996 a J undiaí, Rio de J aneiro e di n uovo a J undiaí nella parrocchia Sacro Cuore di Gesù, do ve il Signore lo chiamò al Regno dei Cieli. P. Eloi fu un sacerdote di f ede, di preghier a, par ticolarmente attento , ser vizievole e gioviale con i confratelli e con il popolo a lui affidato.

P. Giovanni Bonelli Passignano sul T. (PG), 17-06-1921 Bassano del Grappa (VI), 30-08-2010 P. Giovanni nacque a Putignano sul Trasimeno (P erugia) il 17 giugno 1921. Compì gli studi nei seminari scalabriniani d’Italia. Emise la pr ima Prof essione religiosa il 4 settembre 1941, la P erpetua il 7 ottobre 1944 e fu ordinato Sacerdote l’8 settembre 1947. L’anno seguente iniziò la sua lunga vita missionaria e sacerdotale in varie parrocchie degli Stati Uniti d’America e in Canada. Fu assistente e parroco a Chicago e a Melrose Park (USA) e altrettanto a Windsor, Burnaby, Vancouver e in più per iodi a Edmonton (Canada), missione quest’ultima che r icordava sempre con nostalgia e affetto verso i suoi fedeli. Da qualche anno si era ritirato nella residenza del Centro Missionar io Scalabr ini di Bassano del Gr appa. Fu un sacerdote di f ede, di preghiera, dedito alla missione e ai compiti che gli v enivano affidati, gioviale cn tutti. Coltivava la liturgia e le tr asmissioni della Parola di Dio via Radio. Anche negli ultimi anni, nonostante l’età avanzata, era sempre pronto a tanti servizi verso i confratelli bisognosi. La mamma di P. Luigi Piran Due fratelli di P. Egidio Battocchio Il fratello di P. Vito Pegolo, di P. João Lorenzato e dei PP. Sergio e Bruno Morottti Mons. Edward Moretti , già membro della Pro vincia Scalabriniana San Carlo Borromeo , cappellano militare in Vietnam e quindi, incardinato nella diocesi diVenice (Florida - USA), Vicario generale della stessa.

Il sogno missionario Ai suoi compagni che tor navano dalle missioni diceva: “Quanto sarei felice di fare la vostra vita! Magari in Brasile, in Argentina...”, P. Luigi Lovatin

Senza mai lamentarsi “Mi auguro di mantenere la car ità con i miei Superiori e confr atelli e di stare sempre nei luoghi assegnatimi, senza mai lamentarmi”.

Ultimo sabato del mese

SANTA MESSA

per i defunti e per i benefattori delle opere missionarie

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(Raccomandiamo di indicare la causale)

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Stemma Episcopale del Beato Scalabrini, con la scala di Giacobbe e la leggenda: “Video Dominum innixum scalae� (Foto di P. Pietro Paolo Polo)

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