Tesi di L aurea Triennale
Antonio MuĂąoz una rilettura critica
Candidato
Luca Franchi matr. 831102
Relatore
Prof. Pier Federico Mauro Caliari Correlatore
Dott.ssa Giulia Calanna
Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di laurea in Progettazione dell’Architettura Anno Accademico 2016/2017
Indice 7.
Premessa
1 La Figura 10.
1.1 Formazione e breve biografia
12.
1.2 Riferimenti Culturali e Operativi 1.3 Attività nei due mandati
15.
1.3.1 Alle dipendenze dello stato: 1909-1928
16.
1.3.2 Alle dipendenze del Governatorato: 1928-1944
2 La via Appia Antica 20.
2.1 Regina Viarum
26.
2.2 L’Antiquarium di Castello Caetani
40.
2.3 Il ninfeo della villa dei Quintilli
3 L’area sacra di Torre Argentina 46.
3.1 A, B, C, D
52.
3.2 Sistemazione museografica dell’area sacra Argentina
65.
Conclusioni
67.
Note Bibliografiche
69.
Bibliografia: scritti su Antonio Muñoz
72.
Bibliografia: scritti di Antonio Muñoz
74.
Indice delle immagini
Premessa
In questa trattazione si delinea e si approfondisce la figura di Antonio Muñoz: uomo di lettere, architetto, docente, saggista, pittore e poeta. Operò nell’amministrazione delle Antichità e Belle Arti di Roma: fu attivo nella prima metà del Novecento nell’universo che si è generato attorno alla conservazione e alla riscrittura del patrimonio storico del Regno d’Italia, e giocò un ruolo chiave. Eppure egli, il suo lavoro e il suo lascito sono stati oggetto di una sorta di damnatio memorie da parte della cultura archeologica e architettonica a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Questa tensione all’oblio non è rimasta solo sulla carta degli scritti di alcuni autori a lui avversi, ma coinvolse anche le sue realizzazioni quasi tutte rimosse, o modificate in silenzio dietro le impalcature dei restauri successivi. Il motivo di fondo è che Antonio Muñoz diresse le più importanti trasformazioni urbanistiche durante gli anni del Governatorato, e di conseguenza ne fu considerato non solo l’esecutore materiale ma anche il principale responsabile. pagina precedente _ Antonio Muñoz (fototeca Zeri)
In questa ondata denigratoria, di cui si parlerà in modo più
7
approfondito in questa trattazione, molte sono state le inter-
un percorso di rilettura dell’attività di Muñoz che ricono-
pretazioni negative sul suo operato, le quali spesso si sono
sce l’importanza e il valore del suo operato, come storico
soffermate sulla sua presunta incompetenza unita alla sua
dell’arte, come architetto, collezionista e fotografo.
presunta sete di distruzione del patrimonio storico della capitale. Il mio compito è stato quello di fornire dati utili a
Partendo da un testo di riferimento di Calogero Bellanca
una rilettura del suo lavoro, funzionale a reinterpretare il
(Antonio Muñoz e la cultura del restauro) sono stati scelti e ap-
suo operato, sottolineandone le peculiarità, e a ricostruire
profonditi tramite ricerche bibliografiche e archivistiche
pezzo per pezzo un lavoro dimenticato.
(Archivio Centrale dello Stato, Archivio Capitolino, Archi-
Nel contesto del deprezzamento della sua opera è stato di-
vio fotografico comunale, Fondo demolizioni e scavi – Pa-
menticato il suo fondamentale contributo al delineamento
lazzo Braschi) due interventi di Antonio Muñoz, lontani
della scuola romana dell’architettura e del restauro; è sta-
cronologicamente ma affini per temi: l’Antiquarium della
to dimenticato il suo lascito enorme di pubblicazioni dove
via Appia Antica e altri progetti su questa via (1909) e gli
dalle righe traspare una straordinaria sensibilità e passio-
interventi di rilettura dell’area Sacra di Torre Argentina
ne verso il patrimonio storico e le forme d’arte; sono sta-
(1929), in cui la capacità narrativa di Muñoz si manifestò in-
ti dimenticati tutti i suoi lavori, minori e non, legati alle
nanzitutto tramite l’opera di musealizzazione delle rovine
teorie del diradamento e così fedeli ai dettami delle carte
e attraverso l’esposizione in situ di reperti trovati durante
del restauro da essere considerati come exempla; sono stati
gli scavi finalizzata alla “liberazione delle potenzialità espres-
dimenticati tutti gli interventi antecedenti al suo incarico
sive offuscate da aggiunte arbitrarie” che volge ad ottenere
presso il Governatorato e la loro valenza culturale; è sta-
quella “centralità del monumento inteso come efficace e veritiero
to dimenticato, insomma, che in qualità di Soprintendente
documento di se stesso” (Muñoz).
- accusato poi di essere il “piccone del Duce” - egli seppe controllare e gestire le intenzioni del regime, nel proprio
Questi due progetti sono stati scelti in quanto hanno anche
ambito di competenza.
un’altra affinità: Capo di Bove e largo Argentina (assieme al tempio di Venere a Roma) sono restauri e realizzazioni
L’ondata di critiche verso il suo operato fu tuttavia accom-
museografiche di cui non vi è quasi più traccia. Negli anni
pagnata anche da apprezzamenti e manifestazioni di ri-
più recenti questi sono stati infatti oggetto di demolizioni,
spetto, magari non sempre verso il suo lavoro ma nei con-
forse non privi di una certa premeditazione, da parte della
fronti del suo lascito archivistico. Inoltre, solo negli ultimi
Soprintendenza Capitolina.
anni studiosi come Calogero Bellanca, Giovanni Carbona-
L’obbiettivo che mi sono posto è quello di rileggere e di ri-
ra, Pier Federico Caliari e Giulia Calanna, hanno intrapreso
scoprire un pezzo di storia dell’architettura, e del restauro,
8
che oggi non esiste piĂš, ma che merita, a mio modo di vedere, una diversa attenzione.
9
La Figura
1.1 Formazione e breve biografia Antonio Muñoz nacque a Roma il 14 Marzo del 1884 da Augusto e Angela Zeri. Pur essendo stato indubbiamente una tra le figure più rilevanti e di maggior spicco nella cultura architettonica negli anni del Governatorato, e negli anni precedenti ad esso, la sua formazione non è mai stata legata direttamente a questo campo: tra il 1902 e il 1906 ottenne a pieni voti la laurea in Lettere presso la Regia Università di Roma, dove poi seguì un corso di perfezionamento in storia dell’arte. Questi anni furono caratterizzati inoltre da numerosi viaggi studio nel continente e in oriente, e da alcune pubblicazioni di saggi sulla rivista L’Arte. Studioso scrupoloso e amante del patrimonio storico, manifesta la sua precocità ottenendo nel 1909 la libera docenza in Storia dell’Arte presso l’Università di Napoli per titoli. Fu forse la decisione della famiglia di esortarlo a rimanere a Roma che legò per sempre la sua attività di studioso e restauratore alla neo-Capitale: rifiutando l’incarico di docenza a Napoli, infatti, partecipò e vinse il concorso presso la Regia Soprintendenza ai Monumenti di Roma, Aquila e Chieti, nel quale entrò con il ruolo di ispettore.
10
Dopo aver ottenuto il trasferimento dell’attività di libera
offerta di docenza nella Regia Università di Pisa, in Storia
docenza da Napoli all’Università di Roma, il 3 agosto 1914
dell’Arte Medioevale e Moderna, e si dedicò ad alcune im-
assume la funzione di direttore dell’Ufficio di Conserva-
portanti pubblicazioni, non solo di carattere monografico,
zione dei monumenti di Roma; nello stesso anno si avvia-
sul Barocco romano, per le quali è riconosciuto da Gugliel-
[1]
. Un anno prima, tuttavia,
mo De Angelis d’Ossat come colui che ha risollevato gli stu-
la stessa commissione che lo giudicò idoneo a ricoprire la
di su quel magnifico periodo. [5] Si ricordano inoltre due
carica di direttore della Soprintendenza ai Monumenti di
conferenze molto apprezzate dal panorama intellettuale
Roma, Aquila e Chieti espose delle riserve circa “l’immatu-
tenute ad Oslo (1921) e a Praga (1922), nelle quali il tema
rità sua dal preciso punto di vista della “Conservazione dei Mo-
protagonista era appunto il barocco romano, in particolare
numenti” o, per chiarir meglio, nei riguardi della cultura architet-
quello di Borromini.
tonica che comprende anche l’apprezzamento e l’uso del materiale
Si arriva poi al fatidico 19 marzo 1921, nel quale la com-
grafico nella sua efficacia immediata, pel restauro; di cultura, per
missione composta da Manfredo Manfredi (presidente),
lo studio; e di documentazione per la Storia; =di quella sicura co-
Vittorio Spinazzola, Roberto Paribeni, Agenore Socini,
noscenza dell’anatomia degli antichi edifici senza la quale non è
Giovan Battista Giovenale e Francesco Pellati (segretario),
possibile il passo dall’analisi superficiale alla profonda e convin-
lo nomina ‘Direttore dei Monumenti di Roma’
cente penetrazione dei Monumenti; il che ritiene condizioni prime
presentò come unico candidato, in quanto la concorrenza
e indispensabili per sottrarre una così alta, delicata e complessa
molto probabilmente non reputò conveniente presentare la
missione ad un dilettantismo che nella sua ingenua semplicità
domanda.
no i contatti con Giovannoni
riuscirebbe indubbiamente funesto.”
[2]
[6]
: egli si
Nonostante questi pri-
A questi anni, che corrispondono al suo incarico come fun-
mi giudizi negativi, che si rivelarono in parte infondati da
zionario statale, si ricordano numerosissimi lavori, che ver-
un’attenta analisi dei suoi lavori, a seguito di ulteriori ap-
ranno elencati più avanti.
profondimenti la commissione giudicò così “pregevoli” le
Un secondo momento fondamentale nella sua carriera giun-
sue qualità che, confidando speranzosa nel perfezionamen-
ge il 18 marzo 1929. Se prima di questo giorno tutto il suo
to della sua formazione, gli conferì la carica – anche alla
lavoro e la sua ricerca furono condotti con una meticolosità
luce della inadeguatezza delle domande dei concorrenti
che poteva avvalersi anche di un certo grado di libertà, con
Angelo Pantaleo e Ladadeo Testi
[3] - .
L’incarico, che pur era
la nomina a capo della Ripartizione delle Antichità e Belle
temporaneo, si protrasse per 7 anni con continue proroghe,
Arti presso il Governatorato di Roma si ebbero dei cambia-
e fu giudicato annualmente estremamente positivo.
[4]
menti che segnarono Antonio Muñoz nel suo modus operandi. Trovandosi a dover svolgere incarichi in brevissimi
Nel frattempo rifiutò, nel novembre del 1916, una seconda
lassi di tempo, celerità legata alle scadenze date dal Regi-
11
me (Ojetti, 1930), Muñoz dovette coniugare la frettolosità
Ad ogni intervento poi, succedeva una sua meticolosa re-
alla sua solita minuziosità esecutiva. Come asserì Antonio
lazione dei lavori svolti, accompagnata da fotografie e ca-
Maria Colini, egli “fu preso nel vortice delle opere promosse dal
talogazioni; ha sempre cercato di trasmettere conoscenze e
fascismo e non ebbe più tempo di coltivare i suoi studi preferiti”.
cultura, sia con la qualità dei suoi interventi sia con la sua testimonianza scritta.
Due quindi sono i periodi nei quali si può suddividere l’attività di architetto e restauratore di Antonio Muñoz: il periodo come dipendente Statale, e quello come dipendente
1.2 Riferimenti Culturali e Operativi
Comunale. Il filo rosso che collega gli interventi realizzati in questi decenni è il metodo: chiara e diretta manifestazio[7]
Pur trovandoci a delineare una attività che si innesta in un
Egli
panorama pienamente novecentesco (prima in età giolittia-
conserva il suo ruolo di instancabile studioso, concentrato
na e poi durante il Governatorato), gli stimoli e le riflessio-
sulla tutela e sulla conservazione delle preesistenze: mira-
ni che hanno caratterizzato la seconda metà dell’Ottocen-
bili sono le sue realizzazioni, che non solo manifestano la
to hanno un eco ancora profondo nell’ambito nel quale si
sua straordinaria sensibilità storica e la sua abilità proget-
trova a intervenire Antonio Muñoz: quello del restauro dei
tuale, ma che in alcuni casi anticipano di anni alcuni con-
monumenti.
ne dei concetti del restauro filologico / scientifico.
cetti chiave della cultura museografica e archeologica. Ponendo come superati i paradigmi ottocenteschi della Infine è utile rammentare la poliedricità degli interessi di
scuola francese di Viollet Le Duc, le cui tendenze di ripristi-
Muñoz: oltre ad aver lavorato in veste di architetto e restau-
no a uno “stato che può non essere mai esistito in un determinato
ratore per le due amministrazioni, egli fu anche docente,
momento” [8] furono pure condannate da Muñoz nei primi
saggista, pittore e poeta. Immenso è il lascito dei suoi scrit-
decenni del secolo, si è poi delineata, spinta dalla rivolu-
ti: tra il 1903 e il 1960 conosciamo 580 pubblicazioni, del-
zione risorgimentale e dalla incipiente industrializzazione,
le quali 70 riguardano nello specifico il tema del restauro,
una scuola di pensiero tutta italiana che vede un variegato
mentre la stragrande maggioranza delle altre concerne la
numero di protagonisti.
storia dell’arte e l’architettura. Nella veste di storico egli fu sempre attento alle fonti documentarie, ma seppe privile-
Di seguito sono riportati tutti quei momenti e tutte quel-
giare l’approccio diretto coi soggetti studiati: rilievi, studi
le impalcature ideologiche sulle quali o contro le quali si
dal vero, fotografie furono alcuni degli strumenti che per
innesta il lavoro di Muñoz, in particolare: il Congresso di
anni lo accompagnarono nella fase conoscitiva.
Milano del 1872, le direttive formulate dal Congresso degli
12
Ingegneri e degli Architetti Italiani del 1883 che si tradu-
– considerate di pari importanza alle altre manifestazioni
cono nelle “massime” di Camillo Boito, i lavori di Corrado
d’arte - introduce forse per la prima volta nel contesto na-
Ricci nel contesto ravennate, la teoria del diradamento di Gu-
zionale appena formatosi un’idea embrionale di musealiz-
stavo Giovannoni.
zazione del patrimonio artistico. E’ chiaro come questa linea culturale si accosti alle prime elaborazioni della Scuola
Nel Congresso di Milano in particolare due sono i momenti
di Vienna, di cui Alois Riegl e Max Dvořák sono i massimi
fondamentali: il primo afferma che i “mezzi più atti a rag-
esponenti.
giungere lo scopo della conservazione dei capi d’Arte” sono raccoglierli “in luoghi sicuri, sempre accessibili al pubblico e dove
Un passaggio fondamentale è quello che corrisponde alle
non siano esposti al pericolo di deturpazione col pretesto di ri-
elaborazioni di Camillo Boito, a cui si deve lo spostamen-
stauro”, mentre il secondo dichiara di “…invigilare sulla con-
to dell’asse dottrinale dalle tendenze ripristinatorie dei mo-
servazione non solo dei quadri e delle statue, ma sì anche delle
numenti a quelle scientifico-filologiche. Questo pensiero è
fabbriche e dei monumenti di ogni genere...”. [9] Questa sezione,
chiaramente sintetizzato nelle sue “massime” o “direttive”
oltre a caratterizzarsi come passaggio importante ponen-
derivate dal Congresso degli Ingegneri e degli Architetti
do l’attenzione della conservazione anche delle fabbriche
Italiani del 1883 [10] :
13
I monumenti architettonici (…) devono venire piuttosto
In particolar modo Muñoz adotterà e arricchirà con la sua
consolidati che riparati, piuttosto riparati che restaurati, e ad ogni
personalità questi orientamenti, prendendo quindi distan-
modo si devono con ogni studio scansare le aggiunte o le rinno-
za e ponendosi a un livello differente rispetto agli altri ar-
vazioni;
chitetti del periodo di Pio IX.
1-
Nel caso che le dette aggiunte o rinnovazioni tornino in-
Nel Congresso di dieci anni dopo si introduce poi l’impor-
dispensabili (…) e nel caso riguardino parti mai esistite, o non
tante differenziazione tra le definizioni di restauro, “lavori
più esistenti, delle quali manchi la conoscenza sicura della forma
occorrenti per restituirgli le parti mancanti, deteriorate o altera-
primitiva, le aggiunte o le rinnovazioni si devono compiere nella
te”, e di conservazione, “sole opere necessarie a mantenerlo o
maniera nostra contemporanea avvertendo che non urtino troppo
rimetterlo in buono stato di solidità”; nella pubblicazione dove
con l’aspetto del vecchio edificio;
appaiono questi enunciati [11] vi si trovano chiare anticipa-
2-
3-
Conci aggiunti o rinnovati siano di materiale evidente-
zioni al concetto di monumento vivo/morto codificato in seguito da Louis Cloquet. [12]
mente diverso (…) piani semplici, solidi geometrici con abbozzo; 4-
Le opere di consolidamento non dovranno schermare
possibilmente in nulla codeste ragioni intrinseche ed estrinseche
Passando poi all’eredità degli interventi che Corrado Ricci
di allettamento artistico;
operò a Ravenna nei primi del secolo su edifici monumen-
Aggiunte o modificazioni in differenti epoche trattate
tali, tre sono i punti nevralgici: il trattamento della quota
come parte del monumento a meno che abbiano importanza arti-
del piano di calpestio, l’isolamento e la conservazione dei
stica e storica minore: in tal caso possono essere rimosse;
monumenti, la riapertura delle antiche finestrature per il
5-
6-
recupero dei valori luministici “originari”. [13] Anche se può
Necessaria documentazione fotografica pre e post inter-
vento; 7-
sembrare riduttivo limitare l’influenza e il lavoro di CorImportante l’affissione di una lapide con data del restau-
rado Ricci a questi pochi punti, in realtà è chiaro come la
ro.
stragrande maggioranza dell’operato di Muñoz durante l’attività di Soprintendente Statale, per quanto complessa e
Queste proposizioni costituiranno le fondamenta delle
articolata, si rifaccia a questi temi che concernono la “puli-
azioni della Soprintendenza, e dalle quali attingerà Gio-
zia” dalle aggiunte e il ripristino di alcune condizioni che
vannoni per l’elaborazione delle sue teorie del 1903. E’ im-
corrispondono a una prima fase di vita del monumento.
portante precisare che questa elaborazione teorica italiana risulta autonoma rispetto al resto dell’Europa, e per le sue
Temi e riflessioni fondativi di interventi che se da un lato
caratteristiche posizioni verrà chiamata dallo stesso Gio-
hanno la pretesa di riportare l’edificio a uno stato primiti-
vannoni “teoria intermedia”.
vo, “vero”, eliminando le “superfetazioni”, hanno lo scopo
14
di comunicare e di far esperire un luogo e un monumen-
una giusta distanza da adulazioni o denigrazioni, si è di-
to così come si pensava che fosse in un’altra epoca, il tutto
mostrato fedele a attendibile: tutti i lavori citati infatti han-
giustificato dalla chiara necessità di custodire un patrimo-
no avuto un riscontro sia nelle ricerche svolte e pubblicate
nio che si rendeva necessario per garantire una continuità
da Calogero Bellanca, sia in quelle che ho potuto svolgere
identitaria e un sentimento dei luoghi.
presso gli archivi romani.
Così, anche le argomentazioni di Giovannoni, e la sua convinzione che i monumenti debbano essere liberati da tut-
“Antonio Muñoz
to il loro opprimente intorno di edifici i quali rischiano di
[...] L’opera sua si è rivolta fin dal principio nel riordinamento
soffocare la loro grandezza costituiscono la base delle di-
dell’ufficio e nella divisione del lavoro secondo le attitudini tra i
rettive Mussoliniane durante il periodo del Governatorato,
funzionari che lo seguono […]. Sono da segnalare i servizi impor-
e dell’azione di Muñoz che si volge verso quella “centralità
tanti resi in resascire del terremoto della Marsica (13 gennaio
del monumento inteso come efficace e veritiero documento di se
1915, colpì l’area della Marsica in Abruzzo e parte del Lazio
stesso”.
[14]
meridionale, ndr), durante il quale, sui luoghi colpiti rimanendo per più mesi tra i disegni provvide a mettere in salvo non solo i
Assieme a lui, a Fasolo e a De Angelis D’Ossat, Muñoz è
monumenti, ma anche gli oggetti d’arte.
stata la figura che ha costituito quel gruppo iniziale della
Ha riorganizzato i servizi di pulizia dei monumenti che viene fatta
scuola romana della Storia dell’Architettura e del Restauro.
direttamente dalla Sovrintendenza […]. Ha stabilito come programma di eseguire anno per anno un lavoro paziente di piccoli restauri, ripulitura, consolidamento delle chiese
1.3 Attività nei due mandati
di Roma che sono più frequentate dai visitatori. Sono stati comple-
1.3.1 Alle dipendenze dello stato: 1909-1928
tamente riveduti in questo modo negli anni scorsi. Il Pantheon
Da un manoscritto non firmato risalente al 1924 custodito
La chiesa di Minerva
nella cartella personale di Muñoz presso l’Archivio Centra-
“ “ di S. Maria del Popolo
le dello Stato – che verosimilmente si tratta di una sorta
“ “ di S. Maria della Pace
di Curriculum vitae scritto dalla mano dello stesso Muñoz
“ “ di S. Maria degli Angeli
- si ha una chiara e sintetica riorganizzazione dei lavori
“ “ di S. Agostino
svolti da Antonio nel suo primo periodo di attività come
“ “ di S. Pietro in Vincoli
dipendente statale. Si è deciso di riportare per intero que-
Nel 1911-12 ebbe l’incarico di trasportare nella nuova sede, rior-
sto documento, in quanto, oltre ad essere stato scritto con
dinandolo completamente, il Museo Civico di Viterbo, del quale
15
pubblicò poi un’illustrazione.
- Restauro completo della Villa d’Este in Tivoli.
Nel 1911 provvide allo scoprimento e alla sistemazione della Tom-
- Ha fornito per l’Amministrazione del Fondo Culto il disegno del
ba di Raffaello nel Pantheon, dando il disegno del nuovo altare.
nuovo pavimento della chiesa di S. Raffaele.
Nel 1912-14 ideò e diresse personalmente il grande restauro della
- Restauro -in corso di esecuzione- della chiesa di S. Giorgio in
chiesa e del convento dei Santi Quattro Coronati, che ci ha resti-
Velabro.
tuito il prezioso chiostro del Duecento.
- Ha compilato personalmente il nuovo piano regolatore dell’A-
Nel 1919 compì il grande lavoro di restauro della basilica di S.
ventino, che ha salvato quella parte così pittoresca della città.
Sabina, restituendo la chiesa nella forma che aveva nel V secolo. Il
- Ha compilato il piano regolatore colle zone di rispetto intorno
lavoro è stato portato dai Cultori di Architettura come un modello
alla via Appia Antica e alla via Latina.
del sistema da adottare nei restauri, per la scrupolosa conservazio-
- Appartiene a tutte le competenti Commissioni municipali per
ne di tutti gli elementi antichi.
l’edilizia in modo da sorvegliare tutto l’andamento delle nuove co-
Ora sta per compiere l’isolamento e il restauro del tempio della
struzioni in Roma.
Fortuna Virile, lavoro vagheggiato fin dal tempo napoleonico, e
[…]
mai eseguito per le grandi difficoltà che presentava. Così è stato restituito a Roma uno dei più bei monumenti dell’età repubblicana. Altri restauri importanti:
1.3.2 Alle dipendenze del Governatorato: 1928-1944
- Il castello medioevale a Cecilia Metella. - Lavoro di rafforzamento di tutti i monumenti della via Appia.
Come è già stato accennato in precedenza, con l’avvento del
- Creazione del museo antico e medioevale presso Cecilia Metella.
regime cambiarono i ritmi e i fini ultimi degli interventi di
- Grande lavoro di protezione di tutte le volte della Domus Aurea
Muñoz. Due sono i momenti nei quali Mussolini delineò
per metterla al sicuro dalle infiltrazioni d’acqua.
le linee guida da adottare per quanto concerne gli inter-
- Ripristino della cattedrale di Viterbo, in cui tutta la navata sini-
venti sul patrimonio. Nel 1924 egli evidenziò come fosse
stra ha ripreso l’antico aspetto.
necessario coniugare i problemi “della necessità e quelli della
- Restauro del salone nel palazzo papale di Viterbo.
grandezza”, in una Roma che doveva dunque tornare ad es-
- Scoprimento del fianco della cattedrale di Anagni e restauro della
sere il simbolo del potere e della sovranità sul regno italico
facciata.
non dimenticandosi degli aspetti funzionali che doveva-
- Grande restauro del prospetto del palazzo comunale di Anagni.
no caratterizzare la città moderna. Esortò poi a liberare la
- Grande restauro del palazzo di Bonifacio VIII in Anagni -in cor-
Roma Antica da tutte quelle “deturpazioni mediocri” che si
so di esecuzione.-
accalcarono sui monumenti; celebre è la sua proposizione
- Scavo e consolidamento della chiesa di S. Cristoforo.
“i monumenti millenari della nostra storia devono giganteggiare
16
nella necessaria solitudine” (1925). E’ evidente come questa as-
Castello Caetani – primo intervento che verrà approfondi-
serzione si rifaccia alle teorie del diradamento di Gustavo
to in seguito - non erano solo un pretesto per proteggere
Giovannoni.
lacerti di tombe o steli epigrafiche, ma si ponevano lo sco-
Liberandosi da pregiudizi circa l‘operato del regime –
po di essere “al servizio degli studiosi”. Col regime lo scopo
Muñoz aderì al fascismo in modo convinto - e spostando
ultimo non era affidato alla sensibilità di Muñoz, o di altre
la chiave interpretativa su un altro piano, è chiaro come la
professionalità che operarono in quegli anni, ma era detta-
differenza sostanziale tra il lavoro di Muñoz pre Governa-
to da una volontà che univa quella propagandistica a quella
torato e quello di questi anni è sostanzialmente di matrice
celebrativa dell’identità nazionale: i monumenti venivano
ideologica, perlomeno per quanto riguarda i fini ultimi dei
liberati non per essere semplicemente disvelati, ma per in-
suoi interventi. Prima le liberazioni delle superfetazioni,
carnare dei valori - quelli della Roma imperiale – coi quali
gli scavi, gli antiqua erano interventi di conservazione uni-
il fruitore doveva instaurare un rapporto di empatia. E’ il
ti a restauri che avevano lo scopo di mostrare e narrare la
caso per esempio dell’Area sacra di Torre Argentina: quat-
storia di un monumento messo in ombra dalle aggiunte dei
tro templi di impianto repubblicano che vennero alla luce a
secoli, e che veniva restituito alla comunità spogliato dalle
seguito della demolizione dell’isolato di S. Nicola ai Cesari-
aggiunte “arbitrarie”. Anche i musei in situ, come quello di
ni, e che a seguito di scavi e liberazioni diventarono parte
17
di quel patrimonio che aveva lo scopo di simboleggiare la grandezza di una Roma che andava presa come riferimento morale e ideologico. Nonostante la differenza di obbiettivi, Muñoz tentò di applicare gli stessi criteri del restauro scientifico anche in questa fase nei vari lavori di scavo e reintegrazione, nel progetto di aree verdi, nell’isolamento dei monumenti e relativo restauro, nelle opere sulle residenze medioevali e rinascimentali e, non per ultimo, nell’istituzione di musei. Tra i lavori più significativi di questi sedici anni si ricordano: l’isolamento del Campidoglio e gli interventi sul colle capitolino, il restauro del tempio di Venere a Roma, la realizzazione di via dei Fori Imperiali, l’isolamento del Mausoleo di Augusto, la sistemazione del tempio di Apollo Sosiano presso il teatro di Marcello, la sistemazione dell’area Sacra di Torre Argentina, la sistemazione del portico degli Dei Cosenti.
p. 10 _ Antonio Muñoz, 1935 p. 13 _ Antonio Muñoz e re Vittotio Emanuele III, 1926 (romasparita.eu) p. 17 _ Mussolini, accompagnato da Antonio Muñoz, dal governatore di Roma Boncompagni Ludovisi, da gerarchi e personalità, visita l’area del foro Boario con l’arco di Giano, 28 ottobre 1930 (http://senato.archivioluce.it) p. successiva _ Antonio Muñoz (a destra) e altre personalità durante la scoperta dell’acrolito, area sacra di Torre Argentina, 1929
18
19
La via Appia Antica
1.1 Regina viarum La strada protagonista dell’intervento venne creata nel 312 a.C. per volere del Censore Appio Claudio Cieco, e collegava Roma – da Porta Capena, nei pressi del Circo Massimo - e Capua per permettere alle truppe romane di raggiungere velocemente il sud Italia durante la seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) grazie a un percorso lineare e senza alcuna interruzione se non quella del canale decennovium
In alto _ Oswald Achenbach Via Appia mit dem Grabmal der Caecilia Metella, 1886
che costeggiava la strada nei pressi di Terracina, attraver-
20
sabile con chiatte; sotto Traiano la zona venne bonificata
niche: quelle del pensionnaire Auguste-Gabriel Ancelet, il
e lastricata. Venne poi prolungata fino al porto di Brin-
quale propose come soggetto del suo envoi del 1856 propri
disi, dal quale quindi le truppe poterono spostarsi anche
la regina viarum. Allo stesso modo di Piranesi, ma con una
via mare. Tale asse fu di importanza strategica anche per
tecnica diversa, ovvero quella dell’acquerello e della china,
i commerci e i viaggi, tanto che la via diventò presto una
egli rappresentò un rilievo dello stato di fatto del V miglio
tra le più importanti del mondo romano, così da prendere
della via, al quale accompagnò una sua restituzione in par-
il nome di regina viarum (Stazio, Silvae, 2, 2, 12, I sec d.C.).
te d’invenzione e in parte filologica, che gli permisero di
Altra peculiarità della strada erano le dimensioni: larga mt
ricostruire il profilo monumentale della via basandosi sul
4.10 permetteva la circolazione agevole in entrambi i sensi,
rilievo delle vestigia esistenti.
ed era affiancata da marciapiedi laterali mediamente larghi mt 3.10. Ai lati della strada i viaggiatori potevano ammi-
In particolare i lavori di Antonio Muñoz riguardarono il
rare uno straordinario susseguirsi di monumenti funebri,
Terzo e il Quinto Miglio della via. Nel Terzo è collocato il
che adornavano l’asse viario e che incorniciavano le cam-
celebre Mausoleo di Cecilia Metella, una nobildonna spo-
pagne circostanti, le quali erano popolate dalla tarda età
sa del figlio del triumviro Marco Licinio Crasso nel 60 a.C.
repubblicana da ville patrizie. Grande ruolo giocò l’ammi-
A tale mausoleo è annesso il medioevale Castello Caetani.
nistrazione dei curatores, i preposti incaricati di garantire la
Lungo il Quinto Miglio, invece, si trova la villa dei Quintili.
continuità degli spostamenti da Roma verso le province, i quali organizzarono un sistema di servizi per i viaggiatori come osterie, alberghi, piccoli impianti termali e stazioni di posta.[15] La via Appia Antica è sempre stata caratterizzata da un fascino intrinseco, che ha portato numerosi disegnatori e poeti dai secoli più lontani ad oggi a sceglierla come protagonista delle loro opere. Tra queste, utili e significative sono le rappresentazioni dell’architetto e incisore Giovan Battista Piranesi, il quale non solo rappresenta nelle sue incisioni lo stato di fatto della via nella sua epoca, ma ne restituisce un’immagine visionaria ed esoterica di rara pregnanza figurativa. Si ricordano poi altre rappresentazioni diacro-
21
22
p. precedente _ in alto: Giovanni Battista Piranesi, mausoleo di Cecilia Metella, da Le Antichità Romane, tomo III tav. LI, 175053, in basso: a sinistra Giovanni Battista Piranesi, vedute della via Appia Antica, da Le Antichità Romane, tomo II tav. II, a destra tomo III tav. VIII, 1756 In alto _ Giovanni Battista Piranesi, mausoleo di Cecilia Metella, da Le Antichità Romane, tomo III tav. LI, 1750-53, a sinistra: Giovanni Battista Piranesi, vedute della via Appia Antica, da Le Antichità Romane, tomo II tav. II, a destra tomo III tav. L, 1756 p. 24 e 25 _ envoi di A. G. Ancelet, 1856
23
24
25
2.2 L’Antiquarium della via Appia
Maria Nova e in alcuni loggiati di questo [17] egli si accosta a questa esperienza nascente che introduce la concezione
“Io son Dafne, la tua greca sorella,
di museo in situ. Questo nuovo modo di riorganizzazione di
Che Vergin, bionda su’l Peneo fuggia
reperti, frutto di scavi mirati o di scoperte fortuite, permet-
E verdeggiai pur ieri arboree snella
te al visitatore di ammirare e studiare pezzi di un mondo Per l’Appia via.
passato in una esperienza del tutto nuova, nella quale gli
Tra i cippi e i negri ruderi soletta
oggetti esposti hanno come sfondo l’edificio al quale appar-
Sotto il ciel triste io memore sognava
tenevano, o al quale erano formalmente legati.
D’un tumulto ignorato in su la vetta.
In sintesi, il suo lavoro sulla via Appia riguardò tre aspetE riguardava
ti: l’istituzione di un Antiquarium nel Castello Caetani, la
Guardava i colli ceruli del Lazio,
sistemazione del verde e la sistemazione del ninfeo della
E a l’aura che da Tivoli traea
villa dei Quintili.
Inchinandomi i fulgidi d’Orazio Carmi dicea”
Dallo spoglio archivistico, sono state ritrovate quattro relazioni che Antonio Muñoz ispettore inviò al Soprintendente dei Monumenti delle province di Roma ed Aquila inerente
Giosuè Carducci, Rime Nuove
i lavori che andarono a dare forma e vita al Museo della via Appia. [18] Nella prima di queste, risalente al 1 dicembre 1909, Muñoz
Antonio Muñoz fu legato sin dalla giovane età alla via Ap-
pone l’attenzione sui numerosi reperti (“grande numero di
pia Antica, “innamorato”, com’egli afferma in un articolo
frammenti di marmi, iscrizioni, rilievi, sarcofagi, statue, urne se-
pubblicato nel 1937 sulla rivista L’Urbe
[16]
; forse in modo
polcrali, cinerarii ecc. ecc.”) rinchiusi dentro due magazzini
fortuito, nel 1909 in qualità di ispettore si trovò a progettare
nella via Appia, e accatastati nelle varie epoche. Il suo sug-
e a coordinare il suo primo lavoro proprio su questa via,
gerimento è quello di spostare tutto questo materiale nel
in particolare nel Castello Caetani, annesso al mausoleo di
recinto del Castello Caetani a Capo di Bove e di “disporlo
Cecilia Metella.
in modo da formare un piccolo Museo della via Appia”: inoltre propone di trasportare in questo museo tutti i futuri ri-
Ispirato dal museo forense di Giacomo Boni, realizzato
trovamenti appartenenti alla via Appia. La meticolosità di
pochi anni prima in alcuni locali attigui al chiostro di S.
Muñoz traspare dall’ultima proposta: quella di catalogare e
26
27
28
p. 27 _ in alto: planimetria di Castello Caetani e del mausoleo di Cecilia Metella (http://archeoroma.beniculturali.it), in basso: vista aerea dell’area (Bing Maps, 2017) p. precedente _ Mausoleo di Cecilia Metella ad inizio novecento In alto e pagine successive _ sistemazioni museografiche nei cortili di Castello Caetani (fondo GFN, IC-CD, diritti riservati) numerare i reperti, onde evitare furti o smarrimenti.
Muñoz: una volta riconosciute le iscrizioni come provenienti dalla zona del Forte Appio al III miglio, egli andò
La seconda relazione risalente al 31 dicembre 1909, solo 30
personalmente sul sito e ritrovò tre ulteriori cippi in tra-
giorni dopo la prima, riporta che dopo l’avvenuta autoriz-
vertino – delle quali era data notizia anche dal Lanciani
zazione al trasporto dei materiali, e alla loro catalogazione,
– aventi le seguenti iscrizioni:
Antonio Muñoz riconobbe che gran parte delle iscrizioni risalivano agli scavi condotti al III miglio della via Appia
VI
negli anni 1877-78 per la costruzione del forte militare. In
M.PAPINIVS
quell’occasione vennero alla luce le iscrizioni di un sepol-
Q.M.L. ZIBAX
creto che si estendeva per quaranta metri lungo la campa-
LOCUM.SIBEI.ET
gna, e la notizia fu riportata dal Fiorelli nelle “Notizie degli
SVEIS LIBERTIS .CON
Scavi del 1877 e 1878” e da Rodolfo Lanciani nel “Bullettino
LEIBERTEIS CONLIBER
archeologico comunale, 1878 pag. 108-119”.
TABVS.DAT.IN.FRONTE
La terza relazione risalente al 18 gennaio 1910 riporta un
P.XII.IX.AGR.P.XII
ulteriore stato di avanzamento delle ricerche di Antonio
29
si è ora in grado di leggere l’iscrizione:
-
D
M. PAPINIVS
M
Q.M.L.ZIBAX
AVR’ eliae maca
LOCUM SIBEI
RIANETI CONIVGI
ET SVEIS LIBERTEIS
DULCISSIMAE
CONLEIBERTEIS CONLI
QVAE. VIXIT.ANNIS
BERTABVS DAT IN FRON
XXVIII M.VI DIEB.XVIII
P.XII IN AGR.P.XII
HORAS VI INACHVS CONIVGI BENEMERENTI
-
MACARIANE DULCIS P.CORNELIVS P.L.ANTIOCHI
Al Castello Caetani è stato trasportato un altro ritrovamen-
TURARI
to: un’ara marmorea con la patera e il prefericolo scolpiti ai lati e recante un’incisione nella parte frontale:
IN FRON.P.XI IN AGRVM.P.X
ET SALVIANO Una volta avuto il permesso, Antonio Muñoz fece rimuove-
AVG.LIBER
re i cippi e li fece trasportare nell’Antiquarium: come sotto-
TO CONVGI BEN
linea nella relazione, fece ciò “data l’importanza delle iscrizio-
EMERITI.ET.FIL
ni, e il pericolo che i cippi potevano correre per la nessuna cura che
IS CALLISTE.ET AELI
essi si ha dai soldati del Forte”.
AE IVCVNDAE ET SALVIANO LIBER
Nella quarta relazione, inviata a soli due giorni di distanza
TIS LIBERTABVSQV
dalla terza, Muñoz riporta i risultati ottenuti dalla classifi-
E POSTERISQVE EO RVM
cazione del materiale: fu infatti in grado di ricostruire con sei pezzi la parte centrale di un sarcofago “trovato e descritto
L’ultima relazione del 26 marzo 1910 è stata redatta per
dal Canina ( Via Appia, p.225, N.25 )” i cui frammenti erano
mano del soprintendente Marchetti, e consiste in un’ac-
sparsi tra i due magazzini. Dal riassemblamento di questi
curata sintesi del lavoro. Viene precisato come tutti i vari
30
frammenti siano stati “collocati e fissati con grappe di rame
alla piantagione di piante di alloro, di cento pini e di tre-
lungo le pareti del Castello Medioevale” in maniera da “renderli
cento cipressi disposti “non regolarmente a filari, ma a gruppi”.
visibili agli studiosi, e da decorare al tempo stesso quei grandi cor-
Anche se a livello embrionale, questo è il primo dei molti
tili”. In questo documento si citano delle fotografie allegate
casi in cui Muñoz utilizzò essenze arboree nelle sue realiz-
alle relazioni, le quali sono pure menzionate nell’inventario
zazioni, collocate in modo da dialogare con gli interventi
dell’Archivio Centrale di Stato come appartenenti al fasci-
architettonici: il più celebre esempio è quello del viridarium
colo da me consultato: esse tuttavia si trovano archiviate
Veneris et Romae, ovvero il giardino architettonico (Caliari,
presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documenta-
2014) che egli realizzò in occasione del restauro del tem-
zione, con sede a Roma.
pio di Venere a Roma nel 1934. In questo caso particolare della via Appia, egli collocò paratatticamente gli alberi in
Come è stato già ampiamente spiegato precedentemente, il
modo da “coprire le fabbriche incontro al Castello Caetani e il
lavoro di Muñoz andava oltre al progetto e alle relazioni
Forte Appio”, lasciando però immutata la lunga vista verso
fatte in parallelo ai cantieri: egli era solito pubblicare a lavo-
i colli Albani.
ro compiuto una relazione finale nella quale egli univa agli aspetti tecnici le sue considerazioni e le sue aspirazioni.
Nell’articolo egli fornisce inoltre una accurata descrizione
Nell’articolo redatto da Muñoz nel 1913 dal titolo “Restau-
dei cippi di travertino e peperino trasportati poi nel museo
ri e nuove indagini su alcuni monumenti della via Appia”
della via Appia: di forma rettangolare (dai 70 ai 90 cm di
pubblicato nel Bullettino della Commissione archeologica
altezza per 40 o 45 cm in larghezza) essi erano centinati
di Roma (pp. 3-21) viene infatti spiegato, passo dopo passo,
in alto, e portavano tutti un foro nella parte inferiore che
il suo intervento, dal momento conoscitivo a quello della
accoglieva un tronco attraverso il quale venivano fissati
realizzazione.
stabilmente al terreno. Inoltre, come è stato già accennato nelle relazioni inviate alla soprintendenza, furono collocati
“In occasione dei restauri non ho trascurato di compiere tutte
all’interno dei recinti del castello “pezzi di fregi, architravi, an-
quelle indagini che potessero servire a meglio rilevare il carattere e
tefisse, mensole, basi, capitelli, lastre di rivestimento, un numero
la struttura dei varii monumenti, in modo che non pochi dati nuo-
rilevantissimo di frammenti di statue, circa sessanta teste, tutte
vi, interessanti in special modo la storia dell’architettura antica,
di epoca imperiale e molte di buona fattura, alcuni torsi, pezzi di
ne sono risultati.”
panneggio, braccia ecc.”. Spiega poi di aver coperto una delle
La sensibilità di Muñoz, che si lega alla sua affezione verso
torri che guardano il lato del Castello sulla campagna per
la storica via, lo portò a non trascurare quel “lato pittoresco”
collocavi un coperchio di sarcofago riportante la storia di
che tanto lo affascinò: per tale ragione egli provvide anche
Ati e di Adastro (notizie di questo si trovano anche in Ca-
31
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33
34
35
36
37
38
nina, La via Appia, Roma, 1858, II, tav. XIX.1) in modo da
dal primo piano del Castello accedeva al Mausoleo (all’epo-
proteggerlo dalle intemperie e dal gelo.
ca fu tagliato il pesante rivestimento) e la scala che seguiva la curvatura interna della tomba. Vi era poi la volontà
Scorrendo le pagine dell’articolo si può incontrare uno stu-
di creare ex novo un sistema per accedere alla piattafor-
dio sull’ingresso alla tomba di Cecilia Metella: lo studio
ma superiore, ma di questo non si hanno ulteriori notizie.
dal vero attraverso il rilievo unito a quella che può esse-
Leggendo tra le righe, questo suo intervento manifesta una
re definita un’analisi stratigrafica lo portarono a confuta-
chiara adesione ai dettami del restauro filologico-scientifi-
re teorie ricostruttive dello stato originario della tomba.
co.
Inoltre trovò dei frammenti di stucchi ornati di palmette e colorati di rosso e turchino (anch’essi conservati all’interno dell’Antiquarium) che lo portarono a dedurre che la volta dell’ambiente inferiore fosse in origine decorata, appunto, a stucco. Altro elemento tipico della sua prassi futura è la ricerca degli elementi che possono suggerire come era organizzata l’illuminazione nell’impostazione originaria del monumento: egli infatti identificò una finestra ellittica murata e modificata posteriormente, posta nella parete di accesso alla cella. Più facile fu per Muñoz la “ricostruzione” ideale del Castello Caetani, in quanto conserva ancora intatto il suo schema principale. Dopo una descrizione formale dell’impianto architettonico, nella quale traspare una grande competenza anche dal punto di vista della storia dell’architettura, Muñoz spiega come egli si appresta a ristabilire l’ingresso principale del nucleo del castello addossato alla tomba di Cecilia Metella. Tale porta fu chiusa ai tempi del Canina, ma verrà poi rispristinata appunto dalla Soprintendenza su suo disegno in modo che “la fronte del castello riacquisterà
p. precedente _ in alto: Mausoleo di Cecilia Metella e castrum Caetani ad oggi, in basso: cortili del Castrum Caetani ad oggi
il suo antico aspetto”. Fece inoltre ripristinare una porta che
39
grande quantità di macerie e di terra provenienti dagli scavi del
2.3 Il ninfeo della villa dei Quintili
Torlonia del 1827-29”. Cogliendo l’occasione data dal cantiere che si stava apprestando a rialzare il ciglio della strada,
Notizie di questo intervento sono state trovate solo nella [19]
e riguardano il restauro diretto da
Muñoz fece sgomberare i cumuli di detriti liberando l’emi-
Muñoz di un altro edificio presente nei pressi del V miglio
ciclo anteriore e scoprendo materiali medioevali che sug-
della via Appia. Questo complesso monumentale consi-
gerivano l’esistenza di una costruzione, abbattuta secondo
ste nei resti di una villa di proprietà di due ricchi fratelli,
Muñoz agli inizi del XIX secolo, che fece ricostruire. Come
i senatori Sesto Quintiliano Condiano e Sesto Quintiliano
fece per il Castello Caetani, dopo restauri, rafforzamenti e
Valeriano Massimo, entrambi consoli nel 151 d.C. sotto
liberazioni, Muñoz rilevò colonne e basi del ninfeo. Questi
l’imperatore Antonio Pio; la villa fu poi confiscata e restau-
dati gli permisero di ricostruire, idealmente, la fisionomia
rata dall’imperatore Commodo nel 182. Si possono quindi
del monumento, confutando tesi già avanzate precedente-
osservare due differenti fasi costruttive: la prima caratte-
mente da Ashby. [21] Dopo tali studi, egli ritenne opportuno
rizzata dall’opera laterizia, e la seconda dall’opera listata.
abbattere parte di un muro medioevale che poggiava sulla
[20]
All’epoca di Muñoz il ninfeo della villa dei Quintili ver-
base di una colonna che venne poi innalzata per anastilosi
sava in “pessime condizioni di conservazione e ingombro da una
per permettere l’accesso al ninfeo. Si arriva poi al tratta-
relazione sopracitata
40
pagina precedente _ vista aerea della villa dei Quintili (Bing maps, 2017) In alto _ planimetria della villa dei Quintili (http://archeoroma.beniculturali.it)
41
42
pagina precedente _ ninfeo visto dalla via Appia ad inizio novecento In alto _ ninfeo visto dalla via Appia ad oggi
43
mento di un altro tema molto caro a Muñoz e comune nel-
marmo.
la sua prassi futura: il disvelamento della pavimentazione originaria. Come descrive nella relazione, fu in grado di
“Oggi al pregevole monumento viene restituito con i lavori sopra
riportare alla luce il piano di calpestio originale dell’atrio
descritti, almeno in parte, l’antico splendore”.
del complesso tramite lo sbancamento di grossi cumuli di terra: questo era costituito nella parte centrale da un lastricato di peperino per una larghezza di mt 11.60, mentre ai lati di questo si può ammirare un mosaico di grosse tessere bianche. Ulteriore attenzione nei confronti della riconoscibilità del complesso manufatto è offerta dall’anastilosi di una delle colonne dell’estremità sinistra del ninfeo in modo da “restituire almeno parzialmente la sua primitiva decorazione”.
In alto _ ninfeo durante e dopo il restauro (Antonio Munoz, Reastauri e nuove indagini su alcuni monumenti della via Appia, in Bullettino della Commissione archeologica di Roma, 1913, p. 21) p. successiva _ ninfeo della villa dei Quintili ad oggi (http://diversiorum.org)
Successive liberazioni hanno permesso di mettere in luce la parte inferiore delle murature del ninfeo, prima interrate, nelle quali sono ancora presenti le lastre di rivestimento in
44
45
L’area sacra di Torre Argentina
3.1 A, B, C, D La scoperta dell’area Sacra di Torre Argentina, ovvero di quattro templi di impianto repubblicano, si riconduce nell’ambito dei progetti di trasformazione partiti dalla fine dell’Ottocento dell’area compresa tra Corso Vittorio, via San Nicola ai Cesarini, via Florida e via di torre Argentina. In particolare nel piano del 1909 si prevedeva la demolizione dell’isolato di San Nicola ai Cesarini, con la sua relativa ricostruzione ottimizzata per il volume di traffico che si era
In alto _ ricostruzione assonometrica pre sventramento (L. Messa, 1995)
andato a generare dopo l’apertura di Corso Vittorio e di via-
46
In alto _ tempio A rilevato da Antonio da Sangallo le del Re. [22] Le figure professionali che entrarono in gioco
Galassi nel 1914, durante le prime fasi dei lavori, si rivolse
nel processo ebbero diversi ruoli e interessi, e tra di loro
alla Soprintendenza alle Antichità e Belle Arti, in quanto
ne ricordiamo alcuni: l’assessore Filippo Galassi, che nel
le demolizioni presentavano urgenze monumentali quali:
1909 progettò l’impianto stradale approvato otto anni più
la medioevale torre del Papito, 4 o 5 colonne in tufo appar-
tardi; l’archeologo Giuseppe Marchetti Longhi, che seguì
tenenti a un tempio rotondo (tempio A) che si trovavano
e controllò tutti i lavori di scavo fino al 18 novembre 1942;
all’interno del cortile del convento dei padri Somaschi, e
gli architetti Felice Nori e Ghino Venturi, che furono inca-
il basamento di un tempio rettangolare (tempio B) – già
ricati di definire le caratteristiche degli edifici che avreb-
scoperto durante un saggio di scavo nel 1904 -. Tuttavia,
bero dovuto prendere il posto dell’isolato raso al suolo; il
successivamente a un sopralluogo, i lavori vennero ufficia-
Governatore Spada Potenziani e il ministro della Pubblica
lizzati nel 1917. La voce dell’archeologo Giuseppe Marchetti
Istruzione Belluzzo, che si occuparono dell’aspetto politico
Longhi si fece sentire nel 1913, quando segnalò la scoper-
e burocratico; e infine l’architetto Antonio Muñoz, che fu
ta di altri resti antichi e conseguentemente sconsigliò le
incaricato del progetto di restauro dei resti rinvenuti.
trasformazioni in atto. Dopo la stasi dei lavori dovuta alle vicende relative alla Prima Guerra Mondiale, il Governatorato diede l’ordine di continuare coi lavori di demolizione:
Entrando nel vivo delle vicende, si ricorda come l’assessore
47
gli architetti Nori e Venturi avrebbero progettato i nuovi
pio D);
edifici, e i resti dei due templi si sarebbero confinati all’interno di un cortile ricavato nel complesso, caratterizzato da uno stile ecclettico.
A fronte di questi ritrovamenti – documentati da lettere in-
[23]
dirizzate all’Ufficio Antichità e Belle Arti del Governatorato - in data 25 giugno 1927 il Comitato di Storia ed Arte del
Nell’estate del 1926 l’Istituto Romano dei Beni Stabili diede
Governatorato dichiarò che vi era una chiara necessità di
il via alle demolizioni, che continuarono sotto la supervi-
procedere con uno sterro generale “per lo studio degli impor-
sione di Longhi, incaricato di “seguire e controllare i lavori
tanti resti esistenti e per una valutazione esatta di quelli tra essi
di demolizione e scavo della zona Argentina per segnalare al Go-
che fossero degni di essere conservati” (verbale della riunione
vernatorato tutte le eventuali scoperte archeologiche per le quali
del 25 giugno 1927). La scoperta di questi quattro santuari,
necessitasse l’intervento dell’amministrazione”.
[24]
Il metodo e i
di cui non si conosceva l’esatta nomenclatura, motivo per
criteri con cui vennero svolti i lavori provocarono un certo
cui vennero chiamati con le prime lettere dell’alfabeto, pose
disagio in Longhi, il quale accusava la mancanza di saggi
un chiaro ostacolo alla realizzazione del progetto così come
preliminari agli scavi e l’assenza di rilievi su ciò che veni-
era stato ideato.
va scoperto, come è documentato dalla fitta corrispondenza tra l’archeologo e le autorità politiche, amministrative e
Tra le varie ipotesi progettuali avanzate sull’area – conser-
culturali. A seguito vengono riportate le scoperte relative
vare l’area, rinchiudere i resti nello scantinato delle nuove
agli scavi degli anni 1927-28:
costruzioni, rilevare e seppellire i resti
[25]
– il 15 ottobre
6 gennaio 1927: riportate alla luce le colonne del
1928 Benito Mussolini, sollecitato da Corrado Ricci, stabilì
tempio rettangolare (tempio A) che erano precedentemente
di conservare integralmente l’area archeologica: azione,
inglobate nella parete della chiesa di san Nicola;
questa, che ben si adattava al suo programma politico e
-
-
ideologico. [26] L’incarico fu affidato ad Antonio Muñoz, e il
20 gennaio 1927: rinvenimento dell’altare della
chiesa di San Nicola del Calcario e di un’altra colonna; -
progetto durò soli sei mesi. L’ ”area sacra” venne inaugura-
7 marzo 1927: liberazione del lato meridionale dei
ta alla presenza del Duce il 21 aprile 1929.
portici del teatro di Pompeo; -
21 novembre 1927: resti di un portichetto medioe-
vale inglobato nel cortile annesso alla chiesa; -
Primavera del 1928: scoperta di un terzo santuario
(tempio C); -
23 agosto 1928: scoperta di un quarto templio (tem-
48
49
Foriche
Curia Pompeia
edificio in laterizio interposto
templio D
templio C
VIA FLORIDA
templio B
muri repubblicani muri imperiali
p. precedente _ in alto: estratto della Forma Urbis di Lanciani, con le conoscenze precedenti alle fasi di scavo, in basso: plastici dell’area sacra In alto _ planimetria dell’area sacra di Largo Torre Argentina con nomenclatura dei quattro templi (ridisegno di Luca Franchi sulla base di una pianta di Marchetti Longhi)
muri medioevali
Portico frontale VIA SAN NICOLA DE' CESARINI
VIA SAN NICOLA DE' CESARINI
50
VIA DI TORRE ARGENTINA
Sottoportico dell’ Hecatostilon
edificio in laterizio interposto
templio A Sottoportico dell’ Hecatostilon
LARGO DI TORRE ARGENTINA
Foriche
Propileo di accesso all’Area
N
Portico frontale 0
VIA SAN NICOLA DE’ CESARINI
51
mt. 10
progetto, pubblicata sul quarto numero edito nel 1929 del-
3.2 Sistemazione museografica dell’area sacra Argentina
la rivista Capitolium, la situazione dell’area al momento È tutto un soffio di eroica poesia che risorge da questo luogo
dell’assegnazione dell’incarico era quanto mai indecorosa.
venerando.
Sparsi senza alcun rigore e logica all’interno del sito si potevano trovare i frammenti e i resti degli scavi: le epoche si
Sebbene il progetto fu ideato e ultimato in tempi brevissi-
mescolavano, e resti medioevali si confondevano con quelli
mi, motivo che ha portato alcuni a ritenere “Largo Argentina
di epoca romana. Antonio Muñoz si impose dunque di ri-
una occasione perduta” (L. Messa, 1995), Muñoz seppe rileg-
ordinare tutto ciò che fino ad allora era tornato alla luce,
gere e reinterpretare l’area con la sua usuale sensibilità: la
catalogandolo e studiando le loro primitive collocazioni. Il
liberazione dei santuari, la progettazione di percorsi e l’uso
secondo passo fu quello di distruggere tutte le aggiunte di
del verde andarono a delineare la prima sistemazione mu-
epoca tarda, di modo che “i vetusti edifici riacquistavano il
seografica a carattere stratigrafico di un sito archeologico
loro respiro”; è interessante riportare l’interpretazione del
(P. F. Caliari, 2014).
sito avanzata da Marchetti Longhi sul primo numero della stessa rivista, sempre nel 1929: attraverso un paragone
Come lo stesso Muñoz riporta nella relazione finale del
tra evoluzione della natura e forma urbana, egli si soffer-
52
53
54
p. 46 _ planimetria del progetto di Nori-Venturi p. 47 _ in alto: planimetria del progetto di Antonio Munoz, 1929 (Capitolium n.4, 1929, p.171), in basso: fotografia a lavori ultimati, 1929 (archivio fotografico comunale) p. 48 e 49 _ fotografie del cantiere diretto da Antonio Munoz, 1929 (archivio fotografico comunale)
55
56
3 2 1
p. precedente _ fotografia dei lavori sul tempio B, 1929 (archivio fotografico comunale) In alto _ sezione schematica con individuazione delle tre quote del piano di calpestio: 1) III sec a.C., 2) sotto Traiano: 111-101 a.C., 3) sotto Domiziano: 80 a.C.; la differenza di quote è dovuta alle continue esondazioni del Tevere, che portavano detriti nel Campo Marzio p. 52 e 53 _ Antonio Muñoz posa accanto agli absidi medioevali della chiesa di San Nicola, 1929 (archivio fotografico comunale) ma sull’importanza di conservare i resti medioevali della
andavano a completare l’impianto. Inoltre, il restauro della
Chiesa di San Nicola, dando valore quindi a delle aggiunte
chiesa medioevale di San Nicola del Calcario (sovrapposta
postere sul patrimonio monumentale, che non per forza do-
al tempio A) comportò poi ampie ricostruzioni dell’abside
vevano presentare un valore artistico. Un pensiero, forse, al
e della cripta: gli affreschi presenti, ora a cielo aperto, ven-
quale la cultura del restauro non era ancora pronta.
nero coperti da una tettoia, che tuttavia non seppe preservarli dal deterioramento. Lungo il perimetro di tutta l’area,
Ma il progetto vero e proprio di Muñoz fu la ricostruzione
ovvero il perimetro degli scavi, venne eretto un muro di
dei frammenti e la loro riorganizzazione, fedele ai dettami
sostegno su progetto degli ingegneri Salatino e Maccari,
della riconoscibilità dell’intervento di restauro: i resti delle
in quanto ci si trovava a una quota di calpestio inferiore a
scalee dei templi A e C vennero ricostituiti utilizzando il
quella della strada.
laterizio; le colonne del tempio A vennero erette e ricostru-
La peculiarità dell’intervento va di pari passo con il ca-
ite attraverso l’integrazione di mattoni e pietra, e una di
rattere dell’area: all’interno di un recinto sacro convivono
queste fu eretta per intero col suo capitello corinzio in tufo.
quattro santuarii, non coevi, ma realizzati tra il V e il I
“Una corona di pini, cipressi e allori” – le medesime essenze
secolo avanti Cristo. Antonio Muñoz seppe gestire questa
arboree utilizzate nel progetto di restauro della via Appia –
diacronia attraverso la progettazione del piano di calpestio
57
58
59
e il disegno di percorsi ipogei: la differenza di quota tra
poi a creare un senso di straniamento: il fruitore, dopo aver
i piani calpestabili, corrispondente a un metro e mezzo,
goduto di una visuale d’insieme, riconosce la mano di chi
non va considerata come una banale differenza altimetrica.
ha reso possibile la sua esperienza. Questa sistemazione, il
Essa corrisponde al trascorrere dei secoli. In questo modo
cui significato purtroppo fu ignorato da molti contempora-
Muñoz riuscì ad equilibrare i quattro templi, e a renderli
nei - compreso l’archeologo Longhi - anticipa di trent’anni
leggibili: la pavimentazione in travertino accompagnava il
le teorie del restauro e della musealizzazione di carattere
visitatore, il quale poteva non solo osservare i monumenti
stratigrafico, che ha come esempio principe il museo di Ca-
parzialmente reintegrati immaginando la loro forma origi-
stelvecchio di Carlo Scarpa (1958).
naria, ma anche leggere il divenire della storia. Offrendo una percezione dei templi del tutto nuova, Muñoz riuscì a
In conclusione, è sembrato opportuno riportare uno stralcio
rimontare, letteralmente, epoche differenti, evidenziando
dell’articolo sopracitato pubblicato sulla rivista Capitolium,
al contempo le singolarità e le individualità: infatti nel caso
in quanto è preziosa testimonianza del legame tra Muñoz,
del tempio A, per esempio, Antonio Muñoz seppe indivi-
la sua opera e la storia dell’area sacra.
duare e rendere visibili le differenti fasi costruttive. Le rein“Se l’uomo di oggi che corre rapido per i suoi affari, pei suoi com-
tegrazioni studiate in modo da essere riconoscibili aiutano
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merci, lungo le strade che fiancheggiano il nuovo foro, si arresterà un istante, dimentico delle sue cure, per riposare lo sguardo su questi sacri resti, sentirà salire da essi un alito di refrigerante poesia, una solenne voce ammonitrice. Anche anonimi come ora sono, anche se tali dovranno rimanere, e non riuscirà ai dotti di penetrare il mistero che li circonda, quei ruderi gloriosi parlano nel grande linguaggio della storia; ci riportano alle origini della nostra città, ai secoli in cui vissero uomini generosi, austeri e semplici che preparavano le generazioni future dei conquistatori del mondo. Non la Roma Imperiale dei trionfi, dei festini, dei baccanali, ma la città primitiva racchiusa entro la sua cerchia antica, abitata da uomini di cui era proverbiale la frugalità, la severità dei costumi, la dedizione alla Patria, ci è rievocata da questi templi che con le loro robuste sagome sembrano rappresentarci i forti lineamenti morali dei nostri antichi padri”.
p. precedente _ a sinistra: fotografia dei locali ipogei, 1929 (archivio fotografico comunale), a destra: Antonio Muñoz, Benito Mussolini e re Vittorio Emanuele III presenziano all’inaugurazione dell’area sacra di Largo Torre Argentina, 1929 (lavoragineinsigne.wordpress.com) p. 56 e 57 _ stato dell’area ad oggi (upload.wikimedia.org)
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Conclusioni
Come si evince da questa trattazione, gli studi sulla figura professionale di Antonio Muñoz sono ancora in fase embrionale. Tuttavia va segnalato come, grazie allo sforzo di alcuni enti, si stia mano a mano riordinando il suo immenso lascito: vanno a tal proposito ricordati i due fondi fotografici di Antonio Muñoz a Palazzo Braschi (sede del museo di Roma) e presso la fototeca di Federico Zeri (Università di Bologna), consultati per questa mia ricerca. Ciononostante, il lavoro di studio e di ricerca archivistica sono ancora lungi dall’avere risultato esaustivo: non solo, infatti, manca un approfondimento sull’effettivo ruolo che Muñoz ebbe nei lavori da lui diretti, ma mancano anche notizie sulle altre sue attività di docente, saggista, poeta e pittore. Inoltre, in relazione ai progetti demoliti, è di fondamentale importanza a livello storico e culturale essere in possesso di rilievi o disegni eseguiti prima dei restauri successivi. Avendo ora a disposizione solamente fotografie storiche e ben pochi disegni, è chiaro come solo uno sforzo congiunto di figure professionali e amministrative può salvare il prezioso lavoro di Antonio Muñoz dall’oblio, e in tal modo avviare una operazione di rilettura dei suoi progetti volta ad attribuirne il giusto valore; operazione, questa, che richiederà la totale estraneità delle implicazioni politiche.
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Note bibliografiche [1]
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Indice delle immagini p. 6 _ Antonio Muñoz (fototeca Zeri) p. 10 _ Antonio Muñoz, 1935 p. 13 _ Antonio Muñoz e re Vittotio Emanuele III, 1926 (romasparita.eu) p. 17 _ Mussolini, accompagnato da Antonio Muñoz, dal governatore di Roma Boncompagni Ludovisi, da gerarchi e personalità, visita l’area del foro Boario con l’arco di Giano, 28 ottobre 1930 (http://senato.archivioluce.it) p. 19 _ Antonio Muñoz (a destra) e altre personalità durante la scoperta dell’acrolito, area sacra di Torre Argentina, 1929 p. 20 _ Oswald Achenbach Via Appia mit dem Grabmal der Caecilia Metella, 1886 p. 22 _ in alto: Giovanni Battista Piranesi, mausoleo di Cecilia Metella, da Le Antichità Romane, tomo III tav. LI, 1750-53, in basso: a sinistra Giovanni Battista Piranesi, vedute della via Appia Antica, da Le Antichità Romane, tomo II tav. II, a destra tomo III tav. VIII, 1756 p. 23 _ Giovanni Battista Piranesi, mausoleo di Cecilia Metella, da Le Antichità Romane, tomo III tav. LI, 1750-53, a sinistra: Giovanni Battista Piranesi, vedute della via Appia Antica, da Le Antichità Romane, tomo II tav. II, a destra tomo III tav. L, 1756 p. 24 e 25 _ envoi di A. G. Ancelet, 1856 p. 27 _ in alto: planimetria di Castello Caetani e del mausoleo di Cecilia Metella (http://archeoroma.beniculturali.it), in basso: vista aerea dell’area (Bing Maps, 2017) p. 28 _ Mausoleo di Cecilia Metella ad inizio novecento p. 29 e da p.31 a 38 _ sistemazioni museografiche nei cortili di Castello Caetani (fondo GFN, IC-CD, diritti riservati) p. 32 _ in alto: Mausoleo di Cecilia Metella e castrum Caetani ad oggi, in basso: cortili del Castrum Caetani ad oggi p. 34 _ vista aerea della villa dei Quintili (Bing maps, 2017) p. 35 _ planimetria della villa dei Quintili (http://archeoroma.beniculturali.it) p. 36 _ ninfeo visto dalla via Appia ad inizio novecento p. 37 _ ninfeo visto dalla via Appia ad oggi p. 38 _ ninfeo durante e dopo il restauro (Antonio Munoz, Reastauri e nuove indagini su alcuni monumenti della via Appia, in Bullettino della Commissione archeologica di Roma, 1913, p. 21) p. 39 _ ninfeo della villa dei Quintili ad oggi (http://diversiorum.org) p. 40 _ ricostruzione assonometrica pre sventramento (L. Messa, 1995) p. 41 _ tempio A rilevato da Antonio da Sangallo p. 43_ in alto: estratto della Forma Urbis di Lanciani, con le conoscenze precedenti alle fasi di scavo, in basso: plastici dell’area sacra p. 44 e 45 _ planimetria dell’area sacra di Largo Torre Argentina con nomenclatura dei quattro templi (ridisegno di Luca Franchi sulla base di una pianta di Marchetti Longhi) p. 46 _ pianta dell’area sacra con evidenziate le diverse fasi costruttive p. 47 _ in alto: planimetria del progetto di Antonio Munoz, 1929 (Capitolium n.4, 1929, p.171), in basso: fotografia a lavori
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ultimati, 1929 (archivio fotografico comunale) p. 48 e 49 _ fotografie del cantiere diretto da Antonio Munoz, 1929 (archivio fotografico comunale) p. 50 _ fotografia dei lavori sul tempio B, 1929 (archivio fotografico comunale) p. 51 _ sezione schematica con individuazione delle tre quote del piano di calpestio: 1) III sec a.C., 2) sotto Traiano: 111-101 a.C., 3) sotto Domiziano: 80 a.C.; la differenza di quote è dovuta alle continue esondazioni del Tevere, che portavano detriti nel Campo Marzio p. 52 e 53 _ Antonio Muñoz posa accanto agli absidi medioevali della chiesa di San Nicola, 1929 (archivio fotografico comunale) p. 54 _ a sinistra: fotografia dei locali ipogei, 1929 (archivio fotografico comunale), a destra: Antonio Muñoz, Benito Mussolini e re Vittorio Emanuele III presenziano all’inaugurazione dell’area sacra di Largo Torre Argentina, 1929 (lavoragineinsigne.wordpress.com) p. 56 e 57 _ stato dell’area ad oggi (upload.wikimedia.org)
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