I 10 articoli più letti del blog Decrescita Felice e Rivoluzione Umana

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i 10 articoli pi첫 letti del blog Decrescita Felice e Rivoluzione Umana 2010-2013 Luca Madiai


Segue la pubblicazione dei dieci articoli pi첫 letti del blog Decrescita Felice e Rivoluzione Umana dal 2010 al 2013. Ringrazio tutti i lettori e tutti i collaboratori che mi hanno sostenuto in questo periodo. Continuate a seguirmi e a contribuire con le vostre riflessioni. Grazie Luca Madiai Maggio 2013

Blog: http://creazionedivalore.blogspot.it/ Sito web: http://www.lucamadiai.it/


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La termodinamica come fondamento: l'avevamo dimenticata 7 febbraio 2011

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La termodinamica è quel ramo della fisica che descrive le trasformazioni di un sistema in termini di materia ed energia. Non voglio addentrarmi nei dettagli, ma ritengo che la termodinamica e in particolare i due principi siano basilari e che la loro conoscenza e approfondimento sia d’obbligo anche per campi diversi da quelli tecnici. I principi della termodinamica dovrebbero essere alla base della politica, dell’economia e persino della filosofia e della religione. Dovrebbero gettare le basi teoriche di ogni azione o progetto 3


che riguarda lo sfruttamento delle risorse e dell’energia. Per di più dovrebbero essere insegnati fin dalla scuola elementare in forma semplificata, trasmettendo il loro significato profondo. Il primo principio della termodinamica non dice altro che l’energia non può essere creata o distrutta, ma solo convertita da una forma ad un’altra. È chiamato anche principio della conservazione dell’energia. Tutti lo conosciamo, ma forse mai lo abbiamo utilizzato come principio fondamentale alla base delle nostre scelte. Si tratta di un bilancio energetico che si deve mantenere invariato perché nulla può apparire o sparire d’incanto. Se questo principio fosse il fondamento del nostro progresso forse avremo meno sprechi e più attenzione per le nostre azioni. Se le nostre risorse (sia energetiche che materiali) non possono essere né create né distrutte questo significa che sono limitate, numerabili, finite. È un principio banale se vogliamo. Anche a un bambino di sette anni si può insegnare che se in un paniere ci sono 5 mele e la famiglia è composta di 5 persone non potrà mai spettare più di una mela a testa. Sarà logico, sarà scontato, ma è spesso ignorato. Il secondo principio è forse meno logico e meno popolare. Tutti sanno che l’energia non può essere né creata né distrutta, ma pochi sanno che l’energia nelle sue trasformazioni si deteriora sempre più. Questo è quello che afferma il secondo principio della termodinamica, che introduce una nuova variabile fisica: l’entropia. L’entropia è 4


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una grandezza che valuta il disordine di un sistema macroscopico, più grande è l’entropia più grande è il disordine nel sistema. Il deterioramento dell’energia è proprio dovuto all’aumento dell’entropia del sistema (considerato isolato) e cioè all’aumento del disordine. Secondo l’enunciato di KelvinPlanck, è “impossibile realizzare una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea”. Questo significa che nel passaggio da energia sottoforma di calore (calore caldaia) a lavoro (energia meccanica) il bilancio non è paritario, ma una certa quantità di calore deve essere dispersa affinché il ciclo si possa ripetere. Inoltre a causa delle irreversibilità (attriti, viscosità, anelasticità) alla fine dei conti il sistema che ha subito la trasformazione ha un’entropia maggiore del primo, quindi l’entropia a differenza dell’energia non si conserva. La perdita di qualità dell’energia è inevitabile in caso di trasformazioni reali. Infatti, un altro modo di enunciare il secondo principio è quello di affermare che l’entropia di un sistema isolato non diminuisce mai. Nell’universo, visto come ambiente onnicomprensivo, l’entropia aumenta costantemente, il disordine cresce grazie alle trasformazioni che non sono reversibili. I due principi della termodinamica pongono dei limiti fisici al nostro mondo, al nostro sviluppo, al nostro modo di pensare il futuro. L’energia che utilizziamo ogni giorno non solo è limitata ma si deteriora in continuazione. Ogni nostro movimento ha un impatto sul nostro ambiente, soltanto il 5


fatto di esistere ha di per sé un impatto con il nostro esterno. Per questo dobbiamo parlare di equilibrio e non di impatto zero. Allo stesso modo le cosiddette e celebri energie rinnovabili, pur non emettendo inquinanti nell’aria, possono avere un enorme impatto ambientale, si tratta solo di calcolarne gli effetti e i benefici e di trovare il giusto compromesso. Il vero problema è che la nostra economia e politica ha completamente ignorato le leggi della termodinamica, fermandosi alla meccanica di Newton. Il primo passo per migliorare le nostre condizioni per il futuro sarà quello di riformare le fondamenta dell’economia riconoscendo come punto di partenza i principi di conservazione dell’energia e dell’aumento dell’entropia. Guido Dalla Casa afferma: «Non si tratta di un problema di esaurimento di risorse, ma dell’impossibilità di persistenza di un sistema come quello economico di produrre-vendereconsumare all’interno della Biosfera, che è un sistema complesso che funziona in modo stazionario lontano dall’equilibrio termodinamico, cioè in sostanza si comporta come un singolo organismo vivente».

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Una vincente strategia energetica Dalle energie rinnovabili alla sobrietà 6 febbraio 2011

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«Il modo in cui la crisi energetica può essere sconfitta nei paesi ricchi è quello di fare cadere l'illusione che il benessere dipende da un consumo di energia sempre crescente» Nicola Armaroli, Vincenzo Balzani

La sfida energetica oggi è un grande tema, possiamo sentire la gente parlarne in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. In particolare, ogni giorno sentiamo alcune notizie sullo sviluppo delle energie rinnovabili, una corsa veloce verso l'espansione della green economy. Anche se questo è decisamente auspicabile, i metodi e le finalità di questa corsa frenetica non sono, a mio avviso, quelle giuste. L'obiettivo principale è solo sulla crescita annuale della capacità installata di energie rinnovabili e i profitti attesi principalmente di grandi interessi commerciali e per gli impianti di potenza altrettanto grandi. La speculazione è il vero obiettivo, i grandi profitti, non altro. L'efficienza energetica, l'utilità reale e la producibilità di tali progetti sono di secondaria importanza.

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Ad ogni modo, invece di discutere ulteriormente le ragioni delle mie opinioni, preferisco, e i lettori mi perdoneranno, passare direttamente alla proposta di un’alternativa per affrontare l'attuale crisi energetica ed ambientale, mutualmente correlate con la crisi economica e sociale. La mia proposta si può riassumere in un semplice diagramma, riportato in figura 1, che si basa su quattro punti fondamentali, dalle fonti di energia al consumo di energia. Essi sono: le risorse energetiche rinnovabili, l’efficienza di conversione, la riduzione dei rifiuti e la sobrietĂ .

Figura 1 8


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Il tipo di fonte di energia alla base della nostra società è una scelta cruciale per la sua stabilità, equità e benessere, tre condizioni essenziali per un futuro di pace e felicità in tutto il nostro pianeta. La valorizzazione delle risorse rinnovabili è sicuramente una saggia decisione: non emettono inquinanti e anidride carbonica *, sono più o meno uniformemente diffuse ovunque, usano le risorse naturali e possono essere implementate in piccoli impianti collegati a livello locale per uso diretto. Qualsiasi tipo di risorsa rinnovabile** può essere sviluppata per massimizzare il suo contributo, senza dimenticare il relativo impatto ambientale. Centrali elettriche troppo grandi devono essere evitate in quanto sono principalmente operazione di speculazione, hanno un enorme impatto ambientale e sono controllate da pochi enti. Smart grid locali saranno create con l'obiettivo di scambiare energia fra i vicini di casa e raggiungere la massima efficienza attraverso sofisticati sistemi di controllo elettronici. Oltre ai costi ancora piuttosto elevati e il loro relativo impatto sull'ambiente, le energie rinnovabili hanno due problemi principali: 1) una bassa densità di energia e 2) una produzione discontinua e non del tutto prevedibile (tranne che per la biomassa e, in alcuni casi, l'energia idroelettrica). Il primo punto sarà discusso più avanti. Al fine di compensare la discontinuità, le energie rinnovabili possono essere trasformate in altri tipi di energia: un esempio è la produzione di idrogeno che può alimentare celle a combustibile, motori a combustione o addirittura potrebbero essere utilizzati, in un

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futuro non troppo lontano, per alimentare piccoli reattore a fusione nucleare fredda. Le fonti rinnovabili sono fondamentali, ma da sole non sono sufficienti a creare un sistema energetico vincente al fine di superare la triplice crisi: ambientale, crisi economica e sociale. Esse sono solo il primo passo del nostro cammino, dobbiamo andare avanti. «Il flusso sterminato di energia solare e l’ingegno umano non basteranno da soli a salvarci dalla crisi energetica, climatica e ambientale. La transizione energetica richiede un cambiamento radicale di mentalità, stili di vita e pratiche consolidate. Quello che serve è n’iniezione consistente di sobrietà, buon senso e lungimiranza»[2]. Proseguendo nel nostro diagramma, ogni trasformazione di energia comporta inevitabilmente perdite di energia di tipo diverso. L'efficienza di conversione energetica stima quanto è buona una trasformazione: le perdite possono essere diminuite ma non potranno mai essere zero, come indicato dalla seconda legge della termodinamica. Quindi, migliorare l'efficienza energetica è il secondo passo. La tecnologia moderna ed avanzata permette di ridurre le perdite e di progettare nuovi sistemi molto più efficienti e rispettosi dell'ambiente, mentre continua a garantire gli stessi risultati se non migliori. Un esempio sono le lampade a basso consumo che illuminano meglio consumando molto meno. Le trasformazioni di energia consentono alle fonti di energia naturale di essere convertite in energia utilizzabile dall’uomo

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(calore, energia elettrica, combustibili ...) e la riduzione dell’energia disponibile in ingresso a quella utile è descritta dall'efficienza di conversione energetica. Ci sono principalmente due limitazioni al miglioramento dell'efficienza energetica di conversione. Uno ha ragioni empiriche, poiché è sostenuto dalle leggi della termodinamica. Le leggi della termodinamica sono di straordinaria importanza. «Dovrebbero essere una parte fondamentale del nostro background culturale, come l'alfabeto, le tabelline, la Costituzione e la Divina Commedia», come affermato da Armaroli e Balzani [2], dovrebbe essere insegnate dalla scuola primaria e persino nelle facoltà umanistiche. La prima legge dice che in un sistema isolato non può essere creata l'energia: l'energia di un sistema isolato è sempre la stessa. Se consideriamo l’Universo, l'energia può essere solo trasformata. Ciò significa che l'energia dell'Universo, anche se enorme, è una quantità limitata. La seconda legge afferma che l'energia nella sua continua trasformazione si deteriora inesorabilmente. Questo è il motivo per cui ogni trasformazione è sempre in relazione con una dissipazione termica di energia, con una crescita di disordine (entropia) e perché l'efficienza di conversione non potrà mai essere la migliore. Pertanto, l'energia nelle sue trasformazioni conserva la sua quantità, ma non la sua qualità. L'altro limite al miglioramento dell'efficienza di conversione è il paradosso di Jevons, secondo cui una maggiore efficienza

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può portare ad un uso crescente delle risorse, invece di una loro diminuzione. Ciò è dovuto in parte alla riduzione dei costi e in parte ad una terribile cultura di non-limiti alle nostre esigenze materiali. Questi limiti al miglioramento della conversione di energia non deve scoraggiare la ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e soluzioni, ma deve renderci consapevoli che la scienza e la tecnologia non possono risolvere tutti i problemi che abbiamo creato e che un ulteriore passo in avanti sia strettamente necessario. Questi primi due punti, le energie rinnovabili e l'efficienza di conversione, sono sicuramente importanti, ma gli ultimi due lo sono decisamente di più. Anche se riuscissimo a utilizzare 100% energie rinnovabili per soddisfare i nostri bisogni energetici e l'efficienza di conversione fosse molto alto, non potremmo comunque affermare di aver superato l’attuale sfida energetica e ambientale. Questi ultimi punti sono fondamentali, e purtroppo oggi sono quasi completamente ignorati. Andando avanti nel nostro cammino dopo aver ottenuto energia utile abbiamo due scelte possibili: una è usare l’energia, l’altra è sprecarla. Spreco si riferisce all’energia che fa un lavoro effettivo, ma che non è utile a nessuno. Per chiarire meglio con un semplice esempio, è una stanza vuota con la luce accesa. Naturalmente nessuno può beneficiare della luce, quindi l'energia utile per l'illuminazione di questa 12


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stanza è completamente sprecata. So che può essere ovvio e banale, ma dato che in pratica questo non viene mai preso in considerazione, ho buone ragioni per credere che non è così ovvio e banale affatto. In ogni caso, è una conseguenza evidente che ridurre o addirittura eliminare lo spreco di energia non diminuisce o compromettere i nostri benefici, non c'è alcuna influenza sul comfort né sul benessere, è sufficiente un sapiente uso di energia, questo è tutto. Al fine di ridurre lo spreco di energia si può agire sia tecnicamente che culturalmente, con un forte sostegno di riforme politiche. Un grande insieme di tecnologie vecchie e nuove, semplici e sofisticate, economiche e costose possono essere applicate per risparmiare energia eliminando gli sprechi in diversi settori: edilizia, distribuzione di energia, trasporti, illuminazione pubblica e privata, i processi industriali, l'agricoltura e così via. D'altra parte, agendo per il cambiamento culturale della gente molto lavoro può essere fatto nella direzione della riduzione dei rifiuti: l'educazione e la consapevolezza delle persone del ruolo dell'energia nella nostra vita, la sua importanza e l'impatto sulla società dovrebbero essere uno dei primi punti in tutti i programmi culturali ed educativi, oltre all'insegnamento delle leggi della termodinamica e della loro filosofia. Tornando al nostro diagramma (figura 1), ci rendiamo conto che anche l'energia utile che viene effettivamente utilizzata può essere utilizzata in due modi principali: consciamente o

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inconsciamente. Non è solo una questione di inquinamento che è strettamente connesso alle conversioni di energia oppure dell’instabilità politica internazionale legata alla fornitura di risorse energetiche primarie sempre più scarse e alle problematiche economiche che ne conseguono. E' stato mostrato in differenti occasioni che il consumo di energia pro capite non è un parametro affidabile per valutare la qualità della vita in un paese affluente. «Diversi studi dimostrano che le persone che vivono in paesi con elevato consumo di energia sono spesso meno felici rispetto alle persone che vivono in paesi con utilizzo di energia inferiore» [1]. Ciò significa che c'è un limite, più o meno definito, oltre il quale non ci sono miglioramenti sostanziali sulla qualità della vita: surplus di energia e di ricchezza portano a disagi sempre più gravi nonché a infelicità diffusa e disgregazione sociale. Dovremmo liberarci dall'illusione che “più” e “nuovo” è sempre meglio, che i limiti nella nostra vita terrena non esistano e che il nostro benessere e la nostra felicità siano legati solo al soddisfacimento dei nostri bisogni materiali. In una parola, dobbiamo prendere confidenza con una vecchia parola oggi, non molto di moda: la sobrietà. La sobrietà come stile di vita, la sobrietà come filosofia di vita e sobrietà come nuovo paradigma dello sviluppo umano e della ricerca della felicità. La sobrietà è lo slogan che include la consapevolezza individuale che l'eccesso è fisicamente e socialmente dannoso, mentre la giusta quantità ha a che fare con la saggezza, l'autocontrollo e il rispetto, non con la rinuncia o i sacrifici.

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Quando prendiamo l'auto per fare pochi metri in città, non stiamo usando l'energia consapevolmente. Lo stesso quando si consuma acqua in bottiglie di plastica, o quando teniamo la nostra casa molto calda in inverno e fredda in estate. In ognuno di questi casi, non siamo consapevoli dell'impatto delle nostre azioni quotidiane e non ci rendiamo conto di come l'energia sia preziosa. Dopo tutto, la sobrietà è il rispetto dei limiti, significa pensare la vita a misura d'uomo, perseguendo la dose corretta, non l'eccesso, né la scarsità, ma il giusto equilibrio, la via di mezzo. Significa scegliere di prendere le scale piuttosto che prendere l'ascensore. Significa scegliere di andare in bicicletta invece che in moto o prendere un tram invece dell'auto. In ultima analisi, significa evitare l'uso di molti degli schiavi energetici che assistono le nostre vite, e che non sempre rendono migliori. Al fine di avere un nuovo indicatore per valutare la gestione dell'energia, dalla fonte primaria all'uso finale, si può definire un nuovo parametro denominato coefficiente di sobrietà energetica ESC. Tale parametro è definito come il rapporto tra l'energia primaria disponibile in un sistema e l'energia corrispondente utilizzata consapevolmente come indicato in figura 1:

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Il coefficiente di sobrietà energetica è definita come un coefficiente di efficienza, poiché descrive come una risorsa energetica viene utilizzata. Si tratta di un rapporto tra la produzione e la quantità di input, esso rappresenta lo spreco di energia durante l'intero processo. L'efficienza di conversione energetica non potrà mai essere massimizzata come abbiamo visto in precedenza, avremo sempre una perdita di energia. In ogni caso questo approccio cerca di massimizzare un altro importante parametro: l'efficacia, che misura la capacità di un sistema di raggiungere un obiettivo o di soddisfare un bisogno. E' calcolato come rapporto tra il risultato effettivo e l’obiettivo che si voleva raggiungere. Dal momento che cerchiamo di evitare ogni spreco di energia e la usiamo solo in modo consapevole riusciamo a massimizzare l'efficacia, poiché soddisfiamo il nostro bisogno completamente. Abbiamo già detto che uno dei maggiori svantaggi delle energie rinnovabili è la loro bassa densità energetica in termini di superficie occupata. L'unico modo davvero soddisfacente per compensare tale svantaggio è quello di adottare una politica di sobrietà energetica insieme ad un mutamento di stile di vita e un profondo cambiamento del 16


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modo di pensare la vita stessa. A mio parere, queste scelte potrebbero seriamente condurre la nostra società a raggiungere l'obiettivo agognato del 100% di energia rinnovabile per la produzione di energia elettrica. Tale obiettivo potrebbe essere raggiunto in un tempo relativamente breve. L'importanza di questi temi è unica e sta crescendo con l’intensificazione della triplice crisi negli ultimi anni. Oltre alla sfida energetica, un'altra sfida imminente è sicuramente legati all'economia globale. Ora dovrebbe essere evidente a tutti che una economia basata sul consumismo e la crescita illimitata in un mondo sensibile e limitato non ha nulla a che fare con la saggezza e la coscienza. Tale sistema è destinato a crollare su se stesso. Dobbiamo affrettarci a sostituirlo con un'alternativa sostenibile. Poiché l'energia è la base di tutte le attività umane e naturali, una strategia energetica vincente è strettamente necessaria. * Tranne che per la biomassa che emette inquinanti e CO 2. In ogni caso il CO2 non è di origine fossile e può essere assorbito dalle piante, senza compromettere l'equilibrio dell'atmosfera terrestre ** E 'importante sottolineare che il recupero di energia dalla combustione dei rifiuti inorganici, non deve essere considerato una fonte di energia rinnovabile. Le fonti di energia che seguono possono essere classificati come

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rinnovabili: sole, vento, geotermia, biomassa, idroelettrica, marina. [1] Armaroli, Balzani – Energy for a sustainable world – Wiley [2] Armaroli, Balzani – Energia per l’astronave Terra – Zanichelli

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Fine del mondo nel 2011 o 2012 ? o 20...? 8 gennaio 2011

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Apprendo adesso che Gesù tornerà sulla Terra il 21 maggio del 2011. Tutti a discuterne, tutti a parlare della tanto celebre apocalisse e del cosiddetto giorno del giudizio. Non solo la Bibbia, ma anche il calendario Maya parla di catastrofi e fine del mondo, addirittura vengono fornite date precise e la gente pare esserne tanto affascinata. Fanno piacere forse delle "verità scoop", perché i media così ci hanno tirato su. Ma dov'é la verità? Quella "vera". La verità é che a nessuno interessa "la vera verità". La verità é che la fine del mondo, o meglio la fine della nostra vita come 19


esseri umani su questo pianeta, la nostra esistenza serena, la nostra sopravvivenza come specie vivente e quella di tante altre specie, é ormai a rischio da decenni. Si può infatti far partire dagli anni sessanta circa la devastazione del pianeta e il degrado umano dovuti a un intenso sfruttamento delle risorse naturali senza alcun criterio di limitazione o di controllo, a una terrificante fiducia ossessiva nel potere del progresso scientifico e tecnologico di dominare la vita e rendere migliore la nostra esistenza, all'agghiacciante macchina del capitalismo e della globalizzazione che livella ogni differenza per l'avanzata della crescita e del denaro. L'umanità guarda questo fenomeno complesso, dal Nord opulento e grasso al Sud malconcio e inaridito, due parti di una macchina divoratrice di vite, di stabilità, di felicità, di solidarietà. Invece di fantasticare e di ammaliare milioni di persone con storielle leggendarie dovremmo aprire gli occhi su questa cruda realtà e alzarci da soli come singoli individui, come singole entità fondamentali di un vasto universo in continua evoluzione. Quello di cui abbiamo bisogno é riscoprire la nostra umanità ripartendo dalle cose piú semplici che esistano in questo mondo, resettando i nostri cervelli plagiati, andando all'origine, alla radice profonda del nostro "essere" umani, la nostra stessa umanità, la nostra stessa vita come interrelazione con il nostro ambiente vitale.

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Se dovessi fare una premonizione "fantascientifica" allora io direi che tra qualche anno (e se volete una data direi il 21 ottobre del 2020) le persone di tutto il mondo si risveglieranno per la prima volta nella loro vita e si renderanno conto del senso della loro esistenza e del loro immenso potenziale in quanto parte di un'unica immensa entità vitale che flussa dall'infinito passato. Tutti assieme lo stesso giorno si alzeranno e realizzeranno così il migliore dei mondi possibili, un mondo in cui tutti siano a loro agio, in cui la gioia e la compassione trapelino da ogni cosa e la dignità della vita sia preservata in eterno. Non sarei forse tanto fantascientifico quanto gli altri premonitori?? Non avverrà oggi, non avverrà domani, non avverrà neanche in una data precisa tra vent'anni o più, ma sono profondamente convinto che una rivoluzione dell'umanità (una rivoluzione umana appunto) é inevitabile quanto auspicabile. Avverrà perché lo vorremo, avverrà perché lo abbiamo già deciso, avverrà perché l'abbiamo già iniziata.

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La teoria del valore 16 maggio 2011

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Spesso diciamo che la nostra società ha perso i valori fondamentali, o che si basa su valori fittizi, materiali, come il denaro, la fama, il potere, il riconoscimento sociale. Nessuno insegna più quale sia il senso e lo scopo della nostra vita su questa Terra. L’imperativo predominante è quello di creare ricchezza monetaria, crearsi una posizione di prestigio nella comunità, acquistare importanza, e sempre più frequente tutti i mezzi per raggiungere questi scopi diventano leciti. Nessuno crede più di poter conciliare le proprie ambizioni con quelle

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degli altri e la legge del più forte stabilisce chi ha ragione e chi ha torto. Tuttavia esistono altre vie per realizzare la propria vita, sebbene non siano insegnate in nessuna scuola. Esiste la cosiddetta Teoria del valore [3] dell’educatore giapponese Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), la quale afferma che lo scopo della nostra esistenza sta nella creazione del valore, per noi e per la società intera. Il concetto di creazione di valore comprende il termine creare, ovvero un’azione attiva e creativa, e il termine valore che consiste di tre elementi: bellezza bene e guadagno. Secondo Makiguchi la realtà (o verità), se pure possa essere osservata sotto infiniti punti di vista, è unica e non può essere creata né cambiata dall’azione dell’uomo, la realtà e ciò che è. Il valore invece può essere creato allo scopo di modificare la relazione tra l’oggetto esterno e l’uomo, in quanto connota un rapporto soggetto-oggetto. Il modo per creare valore è quello di interagire con la natura e con la realtà in modo da creare un ordine nuovo che produce un beneficio sostanziale per la società intera.  La bellezza si riferisce alla risposta sensoriale del singolo individuo all’ambiente esterno e riguarda solo una parte della sua vita.  Il guadagno invece è riferito alla totalità della vita dell’individuo e consiste nella relazione tra l’individuo e 23


l’oggetto. Tale relazione contribuisce allo sviluppo e al mantenimento della sua vita.  Il bene è un valore sociale, una relazione tra soggettooggetto che arreca sostegno e beneficio alla società intera. In opposizione a bellezza, guadagno e bene ci sono bruttezza, perdita e male e sono indicativi di ogni relazione considerata nociva al mantenimento della vita (la creazione di disvalore). Makiguchi crede che lo scopo dell’educazione sia quella di insegnare la distinzione tra valore e verità e tra bellezza, guadagno e bene in modo da armonizzare queste componenti nelle relazioni (pensieri, parole e azioni) che creiamo nella nostra vita. Questa teoria del valore, include il concetto di felicità e benessere che andavamo cercando, e non soltanto parla della felicità del singolo, ma comprende, e ne fa condizione necessaria, anche l’impegno e il desiderio per la felicità altrui. Tutto questo è visto in un’ottica del singolo individuo che si attiva, che prende coscienza e agisce per il proprio e l’altrui bene. «La vera felicità viene unicamente dal condividere gioie e dolori con gli altri e con la nostra comunità. È essenziale dunque che il vero concetto di felicità racchiuda in sé il senso di una partecipazione attiva alla vita sociale» (Makiguchi, Educazione per una vita creativa, Rivista Duemilauno n. 28).

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Elogio della Bicicletta 9 marzo 2011

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Amo la bicicletta perché scorre silenziosa e mi accompagna nei pensieri Amo la bicicletta perché l’aria fresca a contatto con la pelle mi ricorda che sto viaggiando Amo la bicicletta perché sono io che la muovo 25


Amo la bicicletta perché necessita di poco spazio e non ho costi da sostenere Amo la bicicletta perché nell’andare per le strade posso soffermarmi a guardare attorno Amo la bicicletta perché la sua velocità è sostenuta ma non eccessiva Amo la bicicletta perché saluto le persone che incontro Amo la bicicletta perché non uccido con gas tossici e incidenti pericolosi Amo la bicicletta perché mi mantengo in forma fisica Amo la bicicletta perché non distrugge la vita ma la sostiene

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Che cos'è la sobrietà? 8 febbraio 2012

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«Non potrai mai avere abbastanza di ciò che non serve per essere felice» Eric Hoffer La sobrietà nasce dalla consapevolezza che la nostra felicità, la nostra realizzazione come individui e il nostro benessere non dipendono esclusivamente dalle condizioni esterne né dalle conquiste materiali, che esistono limiti fisici che dobbiamo riconoscere e che dobbiamo utilizzare per vivere serenamente e in armonia con noi stessi, gli altri e l’ambiente. La sobrietà poggia quindi su due principali consapevolezze: il senso del limite e il senso della possibilità.

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I limiti fisici della nostra vita sono evidenti e inevitabili. Il primo fra tutti è la durata stessa della vita e perciò la morte. Altri limiti palesi si possono individuare osservando tutti gli eccessi della società dell’abbondanza: l’obesità, il traffico, l’inquinamento, l’alcolismo, lo spreco, i divari sociali e oltre. Da ciò, la nostra felicità e il nostro benessere ad esempio non crescono all’infinito con l’aumento del consumo di energia (e quindi con il crescere degli schiavi energetici al nostro servizio). Esistono limiti più o meno delineabili (Armaroli e Balzani suggeriscono 100 GJ/anno procapite* [1]) e certamente non rigidi, superati i quali la nostra felicità e il nostro benessere non crescono più, piuttosto cominciano a diminuire. Lo stesso vale per il reddito: esiste un limite oltrepassato il quale non si hanno più ulteriori benefici, e si arriva a un punto in cui i benefici vengono superati dai disagi. Il senso del limite è bilanciato, in supporto e non in contrasto, dal senso della possibilità che invece si riferisce alla potenzialità umana (questa volta veramente illimitata) di creare un’alternativa, un’occasione, in altre parole di creare valore nella propria vita. Il potenziale umano riflette il potere racchiuso nella vita universale, quell’energia che permea l’intero universo e si manifesta in ogni fenomeno. Schiudere questo potenziale significa aprire la propria vita, attraverso una riforma interiore, che chiamiamo rivoluzione umana, e rivelare la propria natura originaria pura e illuminata, eterna. Questo processo, che è attivato individualmente, si concretizza servendosi di tre canali relazionali: il canale

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spirituale, quindi la relazione con se stessi, il canale delle relazioni propriamente dette, quindi le relazioni umane, e il canale delle relazioni con il proprio ambiente fisico. Per creare valore nella propria vita si devono mettere cause (pensieri, parole e azioni) allo scopo di armonizzare e curare queste tre relazioni fondamentali. Le relazioni diventano bisogni primari da soddisfare per realizzare appieno la propria felicità e il proprio benessere e condurre la società intera verso la stabilità, la libertà e la pace.

*«che rappresentano meno della metà dell’attuale consumo medio nel mondo occidentale» [1] Energia per l’astronave Terra – Armaroli, Balzani – Zanichelli editore

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La "decrescita" fa paura ?! Proviamo a conoscerla 7 gennaio 2013

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Si comincia a parlare sempre più di decrescita, o meglio dei temi che la riguardano, spesso inconsapevolmente. Sì, perché il solo proferire la parole decrescita incute terrore, mette tristezza, ci fa cadere in depressione, perciò preferiamo evitarla e difficilmente associamo a questo termine connotati positivi, quanto meno di miglioramento. Si può parlare di critica al consumismo, di risparmio energetico, di efficienza energetica, di abbattimento degli sprechi, di orti urbani, di riciclaggio e di rifiuti zero, di ritorno alla campagna, di agricoltura biologica, di cibi salutari e a chilometro zero, di relazioni umane, di cohousing, di recupero della tradizione e del saper fare, di artigianato e di ritorno al piccolo e al locale, ma davvero difficilmente ci rendiamo conto che tutto questo 30


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fa parte di un cambiamento epocale che stravolgerà il nostro modo di vedere la vita. Ebbene allora, se in fondo in fondo i contenuti sono questi, perché attaccarsi tanto alle parole ? perché non trovare un altro termine, magari più allegro e ottimista per descrivere questo fenomeno ? Forse qualcosa del tipo sviluppo sostenibile o equo-solidale potrebbe fare all’occasione ? O magari usare termini come bio o green che vanno tanto in voga adesso ? Indubbiamente non c’è alcun bisogno di attaccarsi alle parole, tanto meno ai significanti, qualunque siano. Ad ogni modo, credo che ad oggi l’uso del termine decrescita sia fondamentale, per non osar dire indispensabile; ed occorre inoltre aggiungere una precisazione. Il Movimento per la Decrescita Felice ha aggiunto allo sventurato termine decrescita l’aggettivo felice, e a una prima e rapida valutazione, a cui siamo tutti abituati oggi, pare che il “felice” sia stato aggiunto intelligentemente, con una gran mossa di prestigioso marketing, proprio per risollevare la sciagurata “decrescita”, tanto che viene da chiedersi se effettivamente non si tratti di una figura retorica tipo ossimoro, che abbina due termini in contrapposizione tra loro. Come può la decrescita essere felice, viene da chiedersi immediatamente. Ecco allora l’importanza cruciale dell’uso di questa espressione: non semplicemente decrescita, ma decrescita felice, ed i motivi sono sostanzialmente due.

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Il primo motivo è proprio intrinseco al termine stesso: decrescita. Il cambiamento epocale che abbiamo davanti richiede una profonda rivoluzione culturale, uno stravolgimento del nostro modo di pensare, della nostra visione del mondo, dei valori in cui crediamo fermamente. Prendere confidenza col termine decrescita, fino ad arrivare a farci amicizia e a farlo proprio, significa comprendere profondamente le ragioni di questo cambiamento, significa farle proprie, significa manifestare la consapevolezza interiore necessaria a realizzare un mondo realmente sostenibile, sotto tutti i punti di vista, che si tratti di economia, di ambiente o di società. Comprendere la decrescita è il primo passo per liberarsi dalla folle rincorsa alla crescita eterna, al progresso senza limiti che degrada l’ambiente e l’uomo, alla crudele logica del profitto e della mercificazione della vita. La semplice parola decrescita ci aiuta a decolonizzare il nostro immaginario, perché ci costringe semanticamente a ragionare in modo diverso, in un modo in cui non siamo mai stati abituati, a mettere in discussione tutto ciò su cui abbiamo creduto finora, per poter riuscire a costruire una nuova cultura: una cultura della Via di Mezzo, una cultura del buon senso, una cultura del sostegno alla vita. Se volessimo intraprendere una nuova strada, in parte lo stiamo già facendo soprattutto perché spinti da forze esterne, lo potremmo certamente fare senza aggrapparci alla parola decrescita, ma credo che facendo così rischieremmo di non compiere quel cambiamento culturale che è strettamente necessario, ancor

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più dell’effettivo cambiamento nei comportamenti e nelle azioni. La decrescita, questa parola così triste e così scomoda per la nostra mentalità, ha una forza dilaniante proprio perché mina le basi culturali che hanno creato il degrado ambientale e umano che stiamo attraversando negli ultimi decenni di enorme sviluppo economico. Costruire una nuova società senza prendere in considerazione questo, significa creare un cambiamento illusorio che potrebbe portare a peggiorare le cose anziché a migliorarle. Il secondo motivo riguarda proprio l’aggettivo felice, che non è, come è facile pensare, una mera decorazione che ha lo scopo di rendere meno triste la parola decrescita. Tutt’altro, è un aggettivo essenziale alla corretta interpretazione del concetto racchiuso nell’espressione decrescita felice. La decrescita infatti non solo è un fenomeno che accade in natura spontaneamente, ma come tutte le cose di questo mondo può avere delle accezioni con connotati più positivi e altre con connotati più negativi. La decrescita può essere, di fatto, sia felice che infelice e questo è bene sottolinearlo con vigore. In termini economici una decrescita infelice può essere considerata una recessione che provoca sofferenza e disagi per un gran numero di persone, come ad esempio, la nostra crisi attuale – quella di un sistema che pur volendo crescere, di fatto decresce – ma la decrescita potrebbe essere anche felice se ciò che decresce induce benefici e benessere per tutti: una decrescita saggia perché intenzionale. Perciò parlare di decrescita non basta, occorre anche specificare che

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si tratta di una decrescita felice, proprio perché cambiando il nostro modo di vedere il mondo, non più offuscato dalla crescita a tutti i costi, la società ne risulterà migliorata nel suo insieme. Perciò, non ci spaventiamo davanti al termine decrescita, non ci rattristiamo nemmeno. Prendiamoci confidenza, proviamo a farci amicizia e scopriremo che esiste un nuovo mondo da creare che ci sta aspettando, e che è possibile crederci già adesso.

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Essere incompresi nell’era dell’abbondanza 21 maggio 2012

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Molti dei miei amici che mi vedono andare in bicicletta tutti i giorni pensano che lo faccia puramente per un fattore ecologico, altri pensano che io sia un gran spilorcio che vuole risparmiare su qualsiasi cosa faccia, o che sia una sorta di santone che auspica un ritorno all’età della pietra, alla clausura e all’austerità monastica. Credo che addirittura alcuni pensino che uso la bicicletta perché le mie condizioni economiche non possano permettermi di meglio. La bicicletta è comunque vista come qualcosa di arretrato e inferiore, soltanto perché è tecnologicamente più semplice e antecedente dei mezzi motorizzati, ma non per questo è meno efficiente ed efficace, anzi. Pochissimi riescono a capire cosa c’è dietro all’atto innocente di usare la bicicletta per i propri spostamenti giornalieri. Vedere esclusivamente l’aspetto

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ecologico o economico è riduttivo. Alle spalle di tale scelta vi è un entroterra culturale molto vasto. Allo stesso modo, quando scelgo volontariamente di fare a meno di qualche schiavo energetico (auto, ascensore, climatizzatore …) la maggior parte delle persone pensa che lo faccia perché ho pochi soldi oppure perché sono taccagno. Tante persone mi vedono fare le scale e mi dicono subito: “c’è l’ascensore, non l’hai visto?”, si sbalordiscono sempre se scelgo di fare le scale quando c’è la possibilità di prendere un mezzo meccanico che fa tutto al posto tuo. Mi capita spesso che le persone hanno la mania di accompagnarmi in auto, quando io vorrei fare due passi perché mi fa piacere, e non credo lo facciano soltanto per buona educazione, ma soprattutto perché ritengono che usare i piedi quando non è necessario sia inopportuno, non ragionevole. Una cosa è andare in palestra o a correre nel parco, quello sì che ha una logica: smaltire il grasso in eccesso, tenersi in forma, mostrarsi in pubblico atletici e vigorosi. Ma se durante le nostre normali funzioni giornaliere rinunciamo a uno schiavo energetico siamo semplicemente dei tirchi, dei poveracci o abbiamo perso la testa. Non c’è altra spiegazione. È soprattutto per questi motivi che spesso mi sento isolato e incompreso. Io stesso che sono figlio di questa cultura dell’abbondanza da cui voglio uscire sto facendo sforzi. Se non ci alleniamo tutti quanti a pensare diversamente e a fare

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esercizi di alternative di pensiero, non potremmo mai uscire dal senso comune diffuso.

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Il lavoro non manca, ce n'è pure troppo 13 marzo 2013

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Il lavoro non manca, ce n'è pure troppo. Quello che manca è il profitto monetario. Il lavoro, infatti, visto solo come opera o attività a cui corrisponde una somma di denaro è un grosso limite dell'attuale sistema economico. Siamo abituati, per deformazione culturale, a pensare la vita in termini monetari e perciò facciamo del lavoro il mezzo divino attraverso cui creare profitto. Se il lavoro sia utile, efficace ed efficiente non ha poi molta importanza, perché la domanda di fondo è sempre comunque la stessa: quanti soldi riesco a guadagnare? Ci sono tanti tipi di lavori e di prestazioni che non possono essere monetizzati, ci sono lavori che vengono da noi svolti gratuitamente tutti i giorni ma non sono ritenuti tali e non sono elogiati proprio perché non corrispondono a un ritorno monetario. Finché l'unico metro di giudizio resterà il profitto

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non usciremo mai da questa logica, sebbene con qualche pallido e smilzo tentativo. La società attuale, in piena crisi occupazionale, è di fatto stracolma di potenziali lavori utilissimi che nessuno si permette di fare perché giustamente ritenuti antieconomici. I lavori più saggi e urgentemente richiesti dalla società sono, guarda caso, quelli a più bassa densità di profitto. Mi riferisco naturalmente ai lavori che riguardano la cultura, non solo dal punto di vista di preservazione del patrimonio artistico e storico o quello di creazione artistica e culturale, quanto piuttosto quello che riguarda lo sviluppo di nuovi modi di pensare, di educare, di comunicare e di vedere le cose. Mi riferisco a progetti concreti che vadano oltre la tradizionale impresa basata sul mercato, come riferimento supremo e imprescindibile, a piccole imprese artigianali, di recupero delle tradizioni e delle conoscenze locali. Mi riferisco a tutti i lavori che, uscendo dalla mentalità del profitto ad ogni costo, forniscono servizi indirizzati al miglioramento effettivo del benessere delle persone e dell'ambiente. In sostanza, il lavoro oggi manca non perché non ci sia, ma perché in un sistema globale basato esclusivamente sulla ricerca di profitti sempre crescenti non c'è spazio, se non molto limitato, per tipologie di lavoro che vadano invece nella direzione della creazione di valore.

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Sinonimi pericolosi 7 marzo 2012

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«Non dovremmo aver paura di cambiare mentalità, di vedere le cose da un altro punto di vista. Non ci dovremmo affezionare a concetti comodi, o a verità consolidate dal tempo. Tutto è in evoluzione. Noi esseri umani stiamo evolvendo nel nostro cammino su questo pianeta, stiamo crescendo giorno dopo giorno, non abbiamo mai smesso di farlo. L’unica differenza è che fino ad oggi abbiamo rivolto lo sguardo solo al di fuori di noi stessi. Adesso è arrivato il momento di crescere dentro» Luca Madiai Le parole che usiamo racchiudono vasti concetti, costrutti mentali, un vero e proprio entroterra culturale che noi abbiamo creato nel tempo e che è in continuo mutamento.

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Curare le parole che usiamo, e ancor di più il loro senso culturale profondo, è fondamentale per uscire dalla triplice crisi attraverso un cambiamento di prospettiva desiderabile. Senza alcun dubbio, ci sono parole che oggi vengono abusate, strumentalizzate, schiavizzate all’insegna della crescita senza tregua. Tra queste svettano sicuramente termini come: ecologico, green, ecosostenibile, biologico e via discorrendo. Questi termini sono molto pericolosi, perché difficilmente vanno ad associarsi con qualcosa che abbia davvero a che fare con relazioni armoniose e sostenibili con l’ambiente, piuttosto sono stratagemmi di marketing per trovare nuovi spazi sul mercato. Sebbene siano belle parole e con connotati di buon costume e buone intenzioni, spesso sono usate impropriamente o sfruttate per il loro fascino ammaliante e per il loro essere così in voga. Perciò, con tutto il rispetto che si può avere per queste belle parole, è bene comunque stare molto all’erta e non cadere in facili tranelli. Alcuni termini oggi sono pericolosi perché sono usati come sinonimi e spesso confusi, come se una loro relazione, anche se non stretta e dipendente, sia sufficiente a identificarle l’una nell’altra, di modo che richiamando l’una subito associamo automaticamente l’altra. Ciò è tra le cose più tossiche della nostra crisi culturale: è la perdita del discernimento, della direzione che vogliamo intraprendere, è il non rendersi conto che esiste sempre un’alternativa. Alcuni esempi di questi binomi oggi erroneamente considerati sinonimi sono: ricchezza-abbondanza, sobrietà-povertà,

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semplice-arretrato, contentarsi-insoddisfazione, sviluppocrescita, economico-conveniente, nuovo-migliore, vecchiosuperato, progresso-modernità, limite-ostacolo, bene-merce, concorrenza-competizione, ecc. È ovvio che confondere tali termini deriva da un impoverimento culturale sostenuto dai media e dal consumo di massa e rinforzato da credenze distorte basate su verità illusorie. Tra queste detiene una posizione di rilievo l’illusione che la ricchezza sia un accumulo materiale senza limiti e quindi legata al concetto di abbondanza, ovvero di eccesso, come condizione indispensabile per la felicità e il benessere. Tale concezione non solo non prevede il senso del limite, ma lo ritiene dannoso e ostile allo sviluppo della vita stessa. L’abbondanza richiama all’eccesso e al sovrappiù, quindi ci esorta a eccedere, a non tenere in considerazione le risorse primarie, la loro propria natura, e a non rispettare la loro fragilità e finitezza. La ricchezza vista come abbondanza è una visione distorta della realtà perché tiene in considerazione solo l’aspetto quantitativo, non qualitativo, e riguarda principalmente l’aspetto materiale, delegando ad esso quello spirituale, visto più che altro come una condizione interiore di appagamento esteriore. Invece la visione della ricchezza come il livello di varietà, di diversità (come è definita in biologia), acquisisce oltre che valori quantitativi e materiali, senz’altro importanti, anche valori qualitativi, morali e spirituali: un vero e proprio valore aggiunto non visibile che accompagna e

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arricchisce, nel senso più vero della parola, l’uomo di una condizione interiore elevata. Detto ciò, se pensiamo al binomio limite-ostacolo possiamo fare tantissimi esempi nella vita di tutti i giorni per capire tale ricorrente accostamento. Mai più di oggi il limite viene visto come ostacolo. Nell’antichità i limiti erano temuti, rispettati per pavidità, e solo pochi temerari e superbi osavano valicarli, come Ulisse le colonne d’Ercole. Oggigiorno invece i limiti non sono più temuti, anzi, sono considerati dei veri e propri ostacoli da valicare per far strada al progresso inarrestabile dell’Uomo, della sua illimitata capacità di dominare e controllare il suo ambiente. Tutti i limiti vengono messi in discussione, alcuni addirittura ignorati perché scomodi a tale visione positivista. Il limite per antonomasia, la morte, diventa una cosa dalla quale rifuggire, dalla quale si può e si deve tentare di allontanarsi o che si deve dominare e sconfiggere. I limiti stessi del nostro pianeta sono ostacoli, quindi barriere che si possono e si devono superare, con cieco ottimismo e forzato coraggio. La differenza tra sobrietà e povertà o indigenza è notevole e spesso ignorata. Sobrietà non è associabile con la rinuncia, con il sacrificio o con l’autolimitazione, invero è riferita alla consapevolezza dei limiti fisici esistenti e della incapacità, superata una certa soglia, di trovare soddisfazione nell’appagamento dei soli bisogni materiali o nell’accumulo di oggetti come mezzo per realizzare se stessi e raggiungere felicità e benessere. È la consapevolezza che dentro di noi

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esistono illimitate potenzialità per godere di una vita piena e appagante, che oltre ai bisogni primari è necessario soddisfare e curare anche i bisogni relazionali dai quali, in ultima analisi, il nostro sostentamento dipende. In ultima analisi la sobrietà è la consapevolezza che tutto è interconnesso, che non c’è fenomeno isolato. Pensare alla sobrietà come a un ritorno alle fatiche, alle privazioni, alla scarsità di risorse significa avere una visione distorta, significa non concepire alternative, significa aver limitato il proprio senso della possibilità. Mentre la povertà è legata intimamente con lo sfruttamento, con la violenza, con il contrasto, con l’avidità, con l’ignoranza, con l’odio, la sobrietà è piuttosto relativa alla compassione, alla consapevolezza, al buon senso, all’equilibrio, all’armonia, alla saggezza.

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