MICHAEL JORDAN
IL FOTOLIBRO LA SUA STORIA
“Posso accettare la sconfitta, tutti falliscono in qualcosa. Ma non posso accettare di rinunciare a provarci.”
S O MMARIO : • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •
I P RI M I ANNI L A FAM I GL I A L ANEY HI GH SCHO O L NO RTH CARO L I NA O L I M P I ADI 1 9 8 4 CHI CAG O B UL LS AI R J O RDAN 1 9 91 I L P RI M O TI TO LO 1 9 92 I L SECO ND O TI TO LO O L I M P I ADI 1 9 92 1 9 93 I L TERZO TI TO LO I L P RI M O RI TI RO I L BASEBAL L I ’M BACK 1 9 9 6 I L Q UARTO TI TO LO 1 9 97 I L Q UI NTO TI TO LO 1 9 9 8 I L SESTO TI TO LO I L SECO ND O RI TI RO WASHI NGTO N W I Z ARDS 20 0 3, L’ULTI M O AL L STAR GAM E L A FI NE DI UN M I TO CI FRE E RECO RD HAL L O F FAM E M J D O P O I L RI TI RO L’ATL ETA-LO G O J UM P M AN NI KE AI R J O RDAN M J NEL L A P UB B L I CI TÀ SPACE JAM , M J AL CI NEM A I NUM ERI DI M I CHAEL HANNO DETTO DI LUI
I PRIMI ANNI
Michael Jeffrey Jordan nasce il 17 febbraio 1963 nel quartiere di Brooklyn, a New York dove i genitori Deloris e James R. Jordan Sr. si erano appena trasferiti. Poco dopo la nascita di Michael, la famiglia si trasferisce nuovamente, questa volta a Wilmington, nella Carolina del Nord. Proprio li inizierĂ la storia del piĂš grande giocatore di basket di tutti i tempi.
Il ragazzo è molto timido, al punto che frequenta per tre anni un corso di economia domestica, dove impara a cucire, spaventato dal fatto che, crescendo, non avrebbe mai trovato una donna con cui sposarsi. Fortunatamente l'interesse per lo sport serve a incanalare tutte le sue energie: in compagnia del fratello Larry e della sorella Rasalyn pratica diverse attività sportive. Studente medio, ma già atleta eccezionale, brilla nel basket, ma anche nel football americano e nel baseball. Tutto questo però sembra insufficiente per l’allenatore di basket che decide di non sceglierlo per la squadra di quella che in America equivale alla scuola media.
LA FAMIGLIA Jordan è legatissimo alla sua famiglia, soprattutto ai genitori e al fratello maggiore Larry. Anche lui giocava a basket e fin dall’infanzia i due fratellini giocavano ore e ore di uno-contro-uno nel tipico backyard di casa, diventato immagine della ormai classica iconografia della casetta USA che prevede, nel retro, l’immancabile canestro appeso all’esterno del garage. Il padre sostiene che Michael è diventato così forte perché Larry lo batteva sempre, e lui non è mai stato uno che sapeva perdere. Ha incominciato a battere suo fratello solo quando ha iniziato a crescere per davvero. Era come se si fosse autoimposto di diventare alto.
“Siamo cresciuti a forza di uno-contro-uno. Giocavamo parecchio, ogni giorno, e normalmente lo battevo, anche se l’ultima volta che ci siamo sfidati, lui non ha fatto altro che abbassare lo sguardo sui miei piedi dicendomi: Ricordati di chi è il nome che porti scritto sulle scarpe”. Larry Jordan
LANEY HIGH SCHOOL
Jordan inizia a frequentare la Emsley A. Laney High School. Il giovane Mike non eccelle nello studio, che non lo interessa più di tanto, ma comincia a farsi notare nelle attività sportive, brillando soprattutto nel football americano giocando da quarterback e nel baseball come lanciatore. Anche nel basket il ragazzo se la cava e prova, durante il suo secondo anno di liceo, ad entrare nella squadra della scuola, venendo però escluso dopo le selezioni. Invece di perdersi d'animo, Michael si allena per un anno intero per conto proprio e giocando per la Junior Varsity del liceo (una sorta di squadra delle riserve, la prima squadra è detta varsity), della quale diventa la stella. L'annata successiva, cresciuto sia fisicamente che come giocatore, supera le selezioni e diventa in breve il miglior giocatore della squadra, viaggiando per tutto il campionato ad una media di 20 punti a gara e portando la Laney High School al titolo nazionale. Il quarto ed ultimo anno di scuola vede la Laney trionfare di nuovo ed il giovane cestista ancora una volta è tra i migliori giovani talenti dello Stato, tanto da guadagnarsi la convocazione all'All Star Game delle High School. In Estate Jordan viene reclutato dalla prestigiosa University of North Carolina di coach Dean Smith.
NORTH CAROLINA
Nel primo anno di università, Jordan si conferma giocatore spettacolare ed eccitante, ma ancora non del tutto maturo. Il suo anno da freshman termina, tuttavia, in grande stile: nella finale per il titolo NCAA del 1982, a pochi secondi dal termine Georgetown conduce 62-61 contro North Carolina; nessuno si assume la responsabilità del tiro, finchè la palla arriva al 23 che, senza palleggiare spara dalla media distanza e segna, regalando così alla sua squadra il titolo grazie a quello che nel tempo è diventato famoso come “the shot”. Jordan entra nella storia, diventando il primo a segnare un canestro vincente nella finale NCAA da freshman, ossia al primo anno di college.
Durante le sue 3 stagioni al college con North Carolina mantiene una media di 17,7 punti a partita, tirando con una percentuale dal campo del 54,0% non riuscendo tuttavia a rivincere il torneo NCAA. Dopo aver vinto diversi premi tra i quali il premio di Player of the Year, nel 1984 decide di lasciare con un anno di anticipo il college per dichiararsi eleggibile al Draft NBA 1984. Jordan tornò comunque all’università per conseguire la laurea nel 1986.
OLIMPIADI
LOS ANGELES 1984
L’estate del 1984 è quella della XXIII Olimpiade a Los Angeles e Michael Jordan viene convocato da coach Bobby Knight nella nazionale statunitense, formazione composta da soli giocatori universitari, tra i quali Ewing, A. Robertson e Mullin, tutti con un futuro da superstar NBA. A Los Angeles arriva un oro molto agevole per gli americani, aiutati anche dal boicottaggio sovietico che toglie loro l’avversario più temibile. La squadra, considerata una tra le più forti mai portate alle Olimpiadi dagli USA, sconfisse nella finale la Spagna 96-65. Jordan fu miglior marcatore del team con 17 punti di media a partita.
L’ARRIVO AI
CHICAGO BULLS
Jordan viene scelto dai Chicago Bulls come terza scelta assoluta nel primo giro del draft NBA del 1984, dietro Hakeem Olajuwon e Sam Bowie. Il fatto che Jordan non sia stato la prima scelta assoluta, col senno di poi, può apparire un incredibile errore da parte degli scout NBA. Tuttavia questa situazione non deve stupire: altri fuoriclasse, come Larry Bird o Kobe Bryant hanno avuto una sorte simile ed il draft del 1984 è generalmente considerato il più ricco di tutta la storia dell’NBA, comprendendo un numero impressionante di future stelle, fra i quali è doveroso ricordare Charles Barkley (5ª scelta assoluta) e John Stockton (16ª scelta).
Al momento del suo arrivo, la squadra dei Bulls è una delle peggiori della NBA, avendo disputato diverse stagioni letteralmente disastrose. Sarà proprio intorno a Michael Jordan che si formerà, a poco a poco, una nuova squadra, che arriverà poi a essere la dinastia che ha dominato la lega statunitense negli anni novanta. Il talento e gli sforzi di Jordan vengono premiati con la convocazione per la partita delle stelle nel mese di febbraio, l’NBA All-Star Game, e dopo pochi mesi viene premiato come matricola dell’anno.
La seconda stagione con i Bulls non la inizia nemmeno: il 25 ottobre 1985 si infortuna alla caviglia durante una partita di preseason. Per Jordan sono cinque mesi di stop. Rientra sul parquet nel marzo 1986 con 18 partite di regular season ancora da disputare. Dopo tutte le aspettative accese nel pubblico l’anno precedente, Jordan smania dal desiderio di dimostrare le sue capacità ancora una volta e con un finale di stagione regolare trascina i Bulls ai play-off.
Nella post-season ottiene un risultato incredibile, un record tuttora imbattuto che da solo vale la stagione: segna 63 punti contro i Boston Celtics di Larry Bird, che a fine partita esclamerà: “Penso sia Dio travestito da Michael Jordan!”. Resterà la miglior prestazione di sempre in una gara di play-off.
L’estate del 1986 è l’inizio del nuovo corso dei Chicago Bulls, e la nuova squadra inizia a prendere forma attorno a Jordan, sempre più leader. Il terzo campionato NBA è quello della conferma per Jordan, che per la prima volta vince la classifica marcatori, con 37,1 punti di media a partita. Il ruolino di marcia di Jordan è assolutamente incredibile: nelle 82 partite della stagione regolare, 77 volte Jordan è il miglior realizzatore della sua squadra, per due volte segna 61 punti, per otto volte supera i 50, per addirittura trentasette volte ne mette 40 o più. Supera la soglia dei tremila punti in una sola stagione (3041), segnando il 35% dei punti totali della squadra. Tutto questo, però, non deve distogliere l’attenzione dalla grandissima applicazione in difesa, spesso trascurata. È il primo giocatore della storia a concludere un campionato con almeno 200 palle recuperate e 100 stoppate. Queste saranno le cifre che faranno ottenere a Jordan il titolo di NBA Defensive Player of the Year Award, per il 1988.
AIR JORDAN
Durante le edizioni del 1987 e del 1988 dell’NBA All-Star Game vince alla grande lo Slam Dunk Contest, la gara delle schiacciate, e viene consacrato con il soprannome “Air” per la sua grandiosa capacità di volare a canestro e restare in aria, suggellata da una storica schiacciata staccando dalla linea del tiro libero.
1991
IL PRIMO TITOLO
La vera consacrazione di Michael come dominatore assoluto del basket mondiale, arriva all’inizio degli anni novanta, quando i Bulls raggiungono un livello di gioco che coniuga un mix esplosivo di talento, creatività e spettacolo uniti al sacrificio e alla dedizione verso la fase difensiva del gioco, illuminati da Jordan che gioca
una pallacanestro a livelli ineguagliabili, rasente il limite della perfezione mai vista prima e mai più rivista da nessun giocatore dopo di lui. Michael, inoltre, vince nel 1991 il primo di tre cosecutivi premi di MVP dell’anno.
Nuovamente affrontata in Finale di Conference, Chicago surclassa Detroit con un cappotto (4-0) che spingerà i Pistons ad abbandonare il campo qualche secondo prima della fine di gara-4 per non poter sopportare una tale umiliazione. Ad Ovest c’è Portland con il miglior record in regular season, ma è battuta nella Finale della Western Conference dagli esperti Los Angeles Lakers: la finalissima sarà Michael contro Magic, il meglio che questo sport potesse offrire. Pagato lo scotto dell’inesperienza in gara-1, vinta all’ultimo secondo dai Lakers, in gara-2 i Bulls, capitanati da Jordan, esprimono tutto il loro potenziale e travolgono i Lakers con il maggiore distacco in una Finale NBA.
1992
IL SECONDO TITOLO
Nel 1992 molti sono gli scettici riguardo ad una riconferma dei Bulls come squadra al vertice. Ma già dall’inizio la stagione regolare è dominata dai Bulls, più carichi e motivati che mai e con il solito rendimento mostruoso di Jordan; all’arrivo dei playoff si pensa che sia difficile strappargli anche una sola partita. Gli unici che possono pensare ad insidiarli sono i Portland Trailblazers di Clyde Drexler, considerato il diretto rivale di Jordan perché ritenuto il miglior giocatore della Lega professionistica al di fuori di lui. Tuttavia sulla strada dei Bulls c’è un ostacolo imprevisto: al secondo turno dei playoff ad Est arriva una squadra emergente, i New York Knicks del nuovo allenatore Pat Riley. Si tratta di una squadra che vede la presenza di un solo grande giocatore, il centro Patrick Ewing. Michael e i suoi sono costretti a giocarsi tutto in gara-7. In questa partita varrà scritta un pezzo di storia di questo sport. Jordan segnerà 42 punti in 42 minuti e i Bulls vinceranno senza troppe difficoltà. D’ora in poi non avranno grossi ostacoli verso la conquista del loro secondo titolo consecutivo, spazzando via Portland in Finale.
Il suo scontro diretto con Drexler viene deciso fin dalle prime battute: nella gara-1 delle Finali andrà a riposo nell’intervallo del primo tempo con l’incredibile score personale di 35 punti, cui contribuisce una entusiasmante serie di sei canestri consecutivi da 3 punti, conditi da altre giocate mozzafiato. A seguito dell’ennesimo canestro da tre, rimane famosa un’occhiata di Jordan che alza le spalle come a dire “che ci posso fare? Entrano tutte...”. Il pubblico del Chicago Stadium è in delirio.
OLIMPIADI
BARCELLONA 1992
Nell’estate 1992, Jordan, dopo aver vinto il suo secondo titolo, partecipa ai Giochi olimpici estivi di Barcellona 1992, dove si tiene la prima apparizione di giocatori professionisti della NBA ai Giochi Olimpici. Jordan viene incaricato del ruolo di capitano della squadra insieme a Magic Johnson e Larry Bird. Jordan è una delle stelle del Dream Team originale, quella che è considerata da tutti gli esperti come la squadra di pallacanestro più forte di tutti i tempi; accanto a Michael vi sono, infatti, altri grandissimi campioni: il suo compagno di squadra Scottie Pippen, Magic Johnson, Larry Bird, Charles Barkley, Clyde Drexler, Patrick Ewing, Karl Malone, David Robinson, John Stockton, Chris Mullin e l’universitario Christian Laettner, guidati dal coach Chuck Daly. È il secondo oro olimpico per MJ, che si dimostra protagonista assoluto della squadra statunitense, risultando il secondo miglior marcatore della squadra, secondo solo a Charles Barkley.
1993 1993
IL TERZO TITOLO IL PRIMO THREE-PEAT
Le finali del 1993 presentano una variante sul tema: esplode il fenomeno Charles Barkley che, passato in estate da Philadelphia 76ers ai Phoenix Suns per ambire ai massimi traguardi, disputa una stagione eccezionale conducendo il suo team al miglior record nella stagione regolare, superando anche i Bulls che sembrano leggermente appagati. La critica elegge Barkley MVP, miglior giocatore della regular season, osando “ignorare” Jordan che comunque si mantiene ai suoi livelli; nonostante l’eccezionale performance di Barkley, per molti suona come un tentativo di contrastare il domino assoluto in tutti i campi, anche mediatico, di Jordan e dei suoi Bulls. La resa dei conti sarà nella Finalissima, in cui giungono entrambe le squadre e che risulterà la più equilibrata tra quelle del primo three-peat.
Con i Bulls in vantaggio 3-2, si ritorna in Arizona per le sfide decisive: gara-6 sarà al solito molto combattuta e si arriva all’ultimo possesso con i Bulls palla in mano e sotto di 2 punti. Un eventuale gara-7 li vedrà giocarsi il titolo in una partita secca giocata fuori casa. Jordan è stato l’autore di tutti i 9 punti finora effettuati dai Bulls nel 4º quarto ma, contro abitudine, non si incarica del tiro; raddoppiato dalla difesa di Phoenix trova la lucidità, l’umiltà e la fiducia di affidare la palla a John Paxson, appostato sull’arco da 3 punti, per il tiro che varrà non solo il pareggio ma la vittoria della partita e della serie: è il 3º titolo consecutivo.
LA MORTE DEL PADRE,
IL PRIMO RITIRO
Il padre di Jordan, James, venne assassinato nel 1993 durante il furto della sua Lexus, che gli era stata regalata proprio da Michael. Il 6 ottobre 1993, in una conferenza stampa sovraffollata di giornalisti, Michael comunica alla Lega e al mondo la sofferta decisione di lasciare la pallacanestro. Le sue parole sono: “Ho perso ogni motivazione. Nel gioco del basket non ho più nulla da dimostrare: è il momento migliore per me per smettere. Ho vinto tutto quello che si poteva vincere. Tornare? Forse, ma ora penso alla famiglia.” Insieme alla perdita degli stimoli, è la morte del padre ad incidere sulla difficile decisione presa da Michael. James Jordan era stato un grande appoggio per il figlio, anche se avrebbe preferito vederlo giocare a baseball, il suo sport preferito.
Il 9 settembre 1994, un anno dopo il suo ritiro, gioca un'ultima volta al Chicago Stadium, prossimo alla demolizione, in una partita di beneficenza organizzata dallo storico compagno di squadra e grande amico Scottie Pippen. Nel nuovo impianto, lo United Center, viene tenuta qualche giorno dopo la cerimonia ufficiale d'addio del giocatore, con il ritiro della maglia numero 23. Davanti al nuovo stadio della "città del vento" viene posta una grande statua di Jordan impegnato nella sua classica schiacciata. “Il migliore che ci sia mai stato, il migliore che mai ci sarà”
LA CARRIERA NEL
BASEBALL
“Voglio dimostrare di poter primeggiare anche in un’altra disciplina”. Con queste parole, e per la devozione verso il defunto padre, Jordan tenta la carriera nel baseball professionistico, sognata fin da ragazzo. L’amore del padre appena scomparso per questo sport fu probabilmente la motivazione più forte che spinse Jordan a ritirarsi dalla pallacanestro per dedicarsi alla sua nuova carriera. Nel febbraio 1994 firma un contratto da free agent con i Chicago White Sox; il 31 marzo viene ingaggiato dai Birmingham Barons, seconda squadra dei Chicago White Sox impegnata nelle Minor League.
Nonostante la grande aspettativa del pubblico nei confronti del campione, Jordan ottiene risultati abbastanza modesti. Con i Barons disputa 127 partite ed ottiene una media di battuta di 20,2% con 3 home run, 51 punti battuti a casa, 30 basi rubate (quinto nella Southern League a pari merito) e 11 errori. I risultati modesti fecero salire la pressione di giornalisti e tifosi che, aspettandosi qualcosa in più dall’ex-superstar NBA, iniziarono a criticare Jordan, ipotizzando anche che il suo ingaggio fosse più dovuto ad un fattore pubblicitario che ad altro. Tra il settembre ed il novembre 1994 gioca 35 incontri con gli Scottsdale Scorpions in Arizona Fall League; continua poi ad allenarsi con i Chicago White Sox fino al marzo 1995. I risultati non soddisfano l’orgoglio del campione, che dopo circa un anno e mezzo dichiara conclusa la sua carriera di giocatore di baseball.
I’M BACK IL RITORNO
Milioni di tifosi in tutto il mondo iniziano a sperare concretamente in un suo ritorno quando viene diffusa la notizia che Jordan si è allenato per due giorni consecutivi con i Bulls. La ESPN, la più importante rete televisiva sportiva statunitense, interrompe tutti i programmi per dare la notizia di un suo possibile ritorno. La Nike, sponsor storico di Jordan, invia 40 paia di scarpe targate Air Jordan ai Bulls. È il 18 marzo 1995 quando, alle 11:40, viene diramato un breve comunicato: “Michael Jordan ha informato i Bulls di aver interrotto il suo volontario ritiro di 17 mesi. Esordirà domenica a Indianapolis contro gli Indiana Pacers”.
Bastano queste poche parole per scatenare un delirio tra i tifosi, non solo quelli di Chicago. Il giorno dopo Michael Jordan si presenta ad una conferenza stampa, ancora una volta superaffollata, con poche ma efficaci parole: “I’m back”. Come segno di cambiamento, Michael sceglie di usare al posto del mitico numero 23 sulla maglia il 45, numero che aveva quando giocava a baseball da piccolo, e suo reale numero preferito anche perchè legato al fratello a cui lui era legatissimo. Ritornerà solo in seguito a usare il numero 23, inizialmente non utilizzato perché ritirato dalla squadra di Chicago.
Inizia un nuovo ciclo per i Chicago Bulls, che nei due anni senza Jordan avevano raggiunto risultati deludenti, arrivando comunque ai play-off. Con alcuni giocatori della vecchia squadra, come Scottie Pippen e alcuni nuovi innesti, tra i quali spiccano il croato Toni Kukoc e soprattutto Dennis “The Worm” Rodman, sempre sotto la guida di coach Phil Jackson. La squadra riprende la sua “routine” di vittorie nella stagione successiva a quella del ritorno di MJ. La stagione del ritorno dimostra che Michael ha risentito solo in parte dello stop di circa un anno e mezzo; i Bulls però non riescono a raggiungere le finali, venendo eliminati ai play-off dagli Orlando Magic. Proprio in una gara di play-off contro Orlando, Jordan commette alcuni errori decisivi; il giocatore dei Magic Nick Anderson, in un’intervista, parla del numero 45 dei Bulls come di un giocatore forte ma non quanto il 23, che era paragonabile a Superman. Stuzzicato dal rivale, MJ dalla partita successiva in poi tornerà ad indossare la maglia numero 23 (che non abbandonerà più per il resto della carriera) pagando una multa per ogni partita di play-off giocata con quel numero (nella NBA infatti è proibito cambiare numero di maglia a stagione in corso senza l’autorizzazione).
1996 1998
IL QUARTO TITOLO LA SQUADRA IMBATTIBILE
Scottato dalla sconfitta nella precedente serie di playoff, Jordan passa l’estate a prepararsi duramente in vista della nuova stagione. In quella che seguirà, la stagione 1995-1996, Jordan è di nuovo protagonista assoluto e i Chicago Bulls ottengono un’altra stagione superlativa. La squadra fa segnare un record assoluto nella NBA: sono la prima formazione nella storia della NBA a superare la soglia delle 70 vittorie nella regular season, vincendo ben 72 partite su 82, un risultato senza precedenti. Con una line-up composta da Jordan, Ron Harper, Scottie Pippen, Dennis Rodman e Luc Longley, nonché probabilmente la miglior panchina della Lega, soprattutto grazie a Steve Kerr e Toni Kukoc, i Bulls migliorarono tantissimo rispetto alla stagione precedente. Jordan vinse il suo ottavo titolo di marcatore e Rodman il suo quinto consecutivo da rimbalzista, mentre Kerr guidò la Lega nel tiro da tre punti.
Jordan ottenne la cosiddetta Triple Crown, la prestigiosa e quasi impossibile impresa dei tre premi come MVP: infatti in questa stessa stagione Michael è MVP dell’All Star Game, MVP della stagione regolare e MVP delle finali, vinte contro i Seattle SuperSonics. Il manager Jerry Krause fu eletto Dirigente dell’anno, Jackson vinse il suo primo premio come Allenatore dell’anno e Kukoc fu il Sesto Uomo dell’anno. Sia Scottie Pippen che Michael Jordan furono parte dell’All-NBA First Team e gli stessi due insieme a Dennis Rodman fecero parte anche dell’AllDefensive First Team. La squadra trionfò contro Gary Payton, Shawn Kemp e i loro Seattle SuperSonics vincendo il quarto titolo.
1997
IL QUINTO TITOLO
Per molti critici della pallacanestro si tratta della più forte squadra nella storia NBA; nasce l’idea di un campione e di una squadra invincibili che scatena un fenomeno mediatico senza precedenti. La stagione 1996-1997 è ancora una stagione-record: i Bulls ottengono un record di vittorie-sconfitte di 69-13. Ancora una volta, i play-off vedono i “tori” di Chicago protagonisti, e nelle finali arriva il quinto titolo dopo la vittoria in finale contro gli Utah Jazz di Karl Malone e John Stockton.
Indimenticabile quello che accadde in occasione di gara-5, rinominata anche “The Flu Game”. MJ fu colpito da una forte intossicazione alimentare nelle ore prima del match, dovuta presumibilmente a una pizza ordinata nel cuore della notte. Nonostante questo Jordan chiuderà la partita con 38 punti, 7 rimbalzi, 5 assist e 3 palle rubate. Soprattutto realizzò la tripla del +3 a 25 secondi dal termine che diete la vittoria ai Bulls. Poi si lasciò cadere stremato tra le braccia del compagno-amico Scottie Pippen.
1998 1998
IL SESTO TITOLO IL SECONDO THREE-PEAT
Air Jordan guida la squadra anche durante la stagione 1997-1998. Dopo una regular season non all’altezza delle due precedenti, i Chicago Bulls ritrovano lo smalto quando conta e nei play-off raggiungono nuovamente le finali, dove incontrano gli Utah Jazz per il secondo anno consecutivo, uscenti da un’agevole finale di Conference vinta con un secco 4-0 contro i Los Angeles Lakers. Arriva così il sesto titolo per Jordan, suggellato da una palla rubata dalle mani di Karl Malone e dallo splendido canestro proprio di MJ a 5,2 secondi dalla fine della sesta gara delle finali, giocata a Salt Lake City, entrato di diritto nella storia della pallacanestro: è il secondo three-peat per Michael e i Chicago Bulls.
Chicago Bulls stagione 1996/97
L’ULTIMA CON I BULLS
IL SECONDO RITIRO
La vittoria contro Utah è il suo saluto di congedo dalla NBA, anche se nessuno ancora lo sa. Poco tempo dopo la finale annuncia il suo secondo, e a detta di tutti definitivo, ritiro. Michael ora si dedicherà al suo secondo sport preferito, il golf, ed alla gestione dei Washington Wizards, di cui è diventato azionista. Il gioco del basket perde per la seconda volta il più grande giocatore di tutti i tempi, anche se lui stesso nel febbraio del 1999 dichiara: “Sono in pensione al 99,9%. Naturalmente, resta sempre quello 0,1%...”. Una dichiarazione che per tutti gli amanti della pallacanestro è qualcosa più di una semplice speranza.
IL SECONDO RITORNO
I WASHINGTON WIZARDS Nel 2001 i tifosi di tutto il mondo vengono colti di sorpresa quando si comincia a diffondere l’ipotesi di un secondo ritorno di Air. Jordan decide così di fare un passo in più, e da proprietario dei Washington Wizards torna ad essere giocatore. Dichiare di tornare unicamente “for the love of the game”, ovvero “per amore del gioco”. Incredibile è l’interesse mediatico che si produce intorno al suo ritorno sul campo, i Wizards diventano in un lampo una delle squadre più seguite dell’intera NBA. Durante le due stagioni nella nuova squadra, Jordan percepisce un compenso simbolico di un milione di dollari, devoluto interamente in beneficenza alle famiglie delle vittime degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.
2003
L’ULTIMO ASG
Nonostante l’età, 38 anni, ed un infortunio che lo tiene fuori per parte della stagione 2001-2002, partecipa naturalmente al suo 14º All-Star Game, a Filadelfia, dove riesce come sempre a creare spettacolo, con la sua classe e il suo talento. La sua prima stagione come Wizards finisce comunque con una media di 22,9 punti a partita. Nella stagione 20022003 ottiene una media di 20 punti a partita e partecipa ancora una volta, l’ultima, all’All-Star Game, ad Atlanta, dove l’intera manifestazione viene organizzata per essere un tributo a MJ. Le divise della partita delle stelle furono fatte a copia delle divise dell’All-Star Game del 1988 di Chicago, nel quale Michael fu eletto per la prima volta MVP, e nell’intervallo il tributo al più grande di sempre, si realizzò sulle note di Hero, cantate da Mariah Carey, vestita per l’occasione con un abito che rappresentava insieme la maglia n°23 dei Washington Wizards e quella dei Chicago Bulls.
MJ 23
ALL STAR
L’ULTIMO RITIRO
LA FINE DI UN MITO Nel corso della stagione, Jordan diventa il giocatore più anziano (38 anni) dell’NBA a segnare più di 40 punti in una partita, mettendone a segno 51 contro gli Charlotte Hornets il 29 dicembre 2001 e 45 contro i New Jersey Nets il 31 dicembre 2001. Nonostante i suoi sforzi, però, Jordan non riesce a coinvolgere fino in fondo i compagni per formare un gruppo valido, né nella stagione 2001/02 né in quella seguente, non riuscendo a portare i Washington Wizards ai play-off. Il 21 febbraio 2003 realizza 43 punti contro i New Jersey Nets, divenendo l’unico giocatore con più di 40 anni ad aver realizzato più di 40 punti in un incontro NBA. Verso la fine della stagione 2002-03 Jordan viene addirittura isolato da alcuni compagni i quali cominciano a trovare opprimenti i suoi metodi di allenamento e gestione della squadra. Queste stesse motivazioni saranno alla base del suo licenziamento in qualità di presidente da parte del proprietario dei Wizards.
Le ultime partite di Air in giro per le arene della NBA diventano momenti per i fan avversari di dare un ultimo grande saluto al Jordan giocatore, prima passando dalla sua Chicago, per l’ultima partita nel “suo” United Center, per arrivare a Philadelfia, da Allen Iverson, alla 82a partita di stagione regolare, dove si potrà assistere all’ultima sua schiacciata e all’ultimo tiro della sua carriera: un tiro libero che gli farà raggiungere i 20 punti di media in stagione. Uscendo dalla partita a poco più di un minuto dal termine, avviene una memorabile standing ovation di tifosi, giocatori e addetti ai lavori, che costringe a fermare la partita per diversi minuti, mentre dal pubblico avversario si alza il coro “We Want Mike!”. Ma purtroppo è veramente finita. È l’ultima apparizione su un parquet di Michael Jordan che, visibilmente emozionato, dopo aver salutato i giocatori avversari e gli amici presenti, si avvia verso gli spogliatoi.
Al termine della stagione 2002/2003, si ritira per la terza ed ultima volta. Jordan conclude la sua carriera NBA con una media punti per partita di 30,12 nella stagione regolare, la più alta in tutta la storia dell’NBA, superiore di pochi centesimi alla media punti del grande Wilt Chamberlain.
16 / 4 / 2003 “The Game will never be the same”
“Il basket è stato la mia vita, il mio compagno più fedele. Ma anche dalle persone care ci si deve separare. Stavolta però è finita sul serio, non vestirò più altre maglie. Il basket mi ha dato tantissimo, anche in termini di rispetto e di fatica e ovviamente anche molte cose materiali. Resterà per sempre nella mia mente e nulla potrá cancellare quello che ho ottenuto grazie a lui”
HALL OF FAME
Nel 2009 Michael Jordan è stato inserito ufficialmente nel Naismith Memorial Basketball Hall of Fame. Nella conferenza stampa, visibilmente commosso, ha dichiarato: “La gente dice che io sono stato il più grande giocatore, io rabbrividisco un po’. Io non ho mai giocato contro Jerry West, Elgin Baylor o Wilt Chamberlain. Mi sarebbe piaciuto farlo, ma dire che sono meglio di quella gente non sta a me deciderlo”. Inevitabile anche un paragone con le attuali stelle della Nba. Pur riscontrando qualche somiglianza con giocatori come LeBron James e Kobe Bryant, l’ex campione ha però aggiunto: “Non abbiate fretta di trovare un altro Michael Jordan. Non ce ne sarà un altro”.
CIFRE E RECORD Michael Jordan passò l’intera carriera, dall’anno in cui era Rookie a quello dell’ultimo ritiro a Washington, a battere record NBA. Proprio nel 2002 MJ scrisse diversi record: il 21 Febbraio, tre giorni dopo il suo compleanno, mise a segno 43 punti contro i Nets e diventò cosi l’unico giocatore nella storia della NBA ad aver segnato almeno 40 punti a 40 anni d’età; quell’anno il suo high-score fu di 45 punti contro New Orleans e superò così Chamberlain diventando il terzo miglior realizzatore di tutti i tempi con 31.420 punti in carriera. Nel dicembre 2014 Kobe Bryant ha superato MJ diventando lui il terzo marcatore all-time dell’NBA, ma con una media sensibilmente più bassa (25.3 punti). Le sue medie, in 15 anni di carriera (1072 partite disputate), parlano di: 30.1 punti (49.7% dal campo), 6.2 rimbalzi, 5.3 assists e 2.35 palle rubate. Per quanto riguarda la post-seson ha disputato un totale di 179 incontri (41.8 minuti di media) di playoffs realizzando: 33.4 punti (48.7% dal campo), 6.4 rimbalzi, 5.7 assists e 2.1 palle rubate. Jordan detiene anche il record per la media punti più alta tenuta da un giocatore durante l’All Star Game: in 13 partite delle Stelle (29.4 minuti di utilizzo) ha fatto registrare 20.2 punti (47.2% dal campo), 4.7 rimbalzi, 4.2 assist e 2.85 recuperi.
Ecco un elenco di tutti i record battuti e di tutti i premi (di squadra e individuali) vinti in carriera da Michael Jordan: • Vincitore di sei titoli NBA: 1991, 1992, 1993, 1996, 1997,1998 • Membro della Nazionale degli Stati Uniti che vinse l’oro alle • Olimpiadi del 1984 • Membro della Nazionale degli Stati Uniti (Dream Team) che vinse l’oro •alle Olimpiadi del 1992 • Rookie of The Year 1984-85 • 5 volte MVP della stagione: 1987/88, 1990/91, 1991/92, 1995/96, 1997/98 • 6 volte MVP delle Finali: 1991, 1992, 1993, 1996, 1997, 1998 • Convocato per 14 volte al All Star Game: dal 1985 al 1993, dal 1996 al 1998, • nel 2001 e nel 2002 • 3 volte MVP dell’All Star Game: 1988, 1996, 1998 • 2 volte Slam Dunk Champion dell’All Star Game: 1987, 1988 • 10 volte miglior marcatore della NBA (record assoluto): 1987, 1988, 1989, • 1990, 1991, 1992, 1993, 1996, 1997, 1998 • Miglior marcatore della NBA per 7 stagioni consecutive (record assoluto • condiviso con Wilt Chamberlain): dal 1987 al 1993 • Difensore dell’anno: 1988 • Inserito nell’All Rookie Team: 1984/85 • 10 volte inserito nell’All Nba Team: dal 1986/87 al 1992/93 • e dal 1995/96 al 1997/98 • 9 volte inserito nell’All-Defensive Nba Team: dal 1987/88 al 1992/93 • e dal 1995/96 al 1997/98 • 3 volte giocatore con la più alta media di palle rubate: 1987/88 (3.16), • 1989/90 (2.77), 1992/93 (2.83) • Punti realizzati: 32.352 (quarta posizione assoluta) • Punti segnati in una partita di regular season: 69 (contro i Cleveland • Cavaliers il 28 marzo 1990) • Più alta media punti nella storia della NBA: 30.12 • Più alta media punti a partita nei play-off: 33.4 • Più alta media punti in una serie di finale: 41 • (contro i Phoenix Suns nel 1993) • Partite consecutive a segno in doppia cifra: 842
• Punti totali segnati nei play-off: 5987 • Punti totali segnati all’NBA All-Star Game: 262 • Punti segnati in un tempo di una finale: 35 • (contro i Portland Trail Blazers nel 1992) • Punti segnati in una gara di play-off: 63, nel 1986 contro i Boston Celtics • Giocatore più anziano ad aver realizzato più di 50 punti in una partita: 51 • (contro gli Charlotte Hornets) a 38 anni • Primo giocatore ultraquarantenne ad aver segnato più di 40 punti in una • partita: 43 (contro i New Jersey Nets, stagione 2002/2003) • Primo giocatore a realizzare una “tripla doppia” all’All-Star Game nel 1997 • Record di maggior numero di tiri liberi realizzati (20) e tentati (23) in un • tempo di una partita (contro i Miami Heat il 30 dicembre 1992) • Tiri tentati in un tempo di gara di play-off: 25 • Tiri da 3 segnati in un tempo di gara di play-off: 6 (Record battuto nelle • NBA Finals 2010 da Ray Allen con 7 triple) • Tiri decisivi in carriera: 29 • Canestri fatti in un tempo di gara di play-off: 24 • Minor numero di partite per realizzare 31.000 punti: 1011 partite • (risultato raggiunto contro i Portland Trail Blazers il 10 dicembre 2002) • Minor numero di partite per realizzare 32.000 punti: 1059 partite • (risultato raggiunto in casa dei Golden State Warriors il 23 marzo 2003) • Record (con Karl Malone) per aver segnato piu di 2000 punti a stagione • per 11 volte • Record di punti segnati in una singola partita di playoffs: 63 (contro i • Boston Celtics il 20 maggio 1986) • Record per maggior numero di partite con più di 10 punti segnati: 840 • Detiene il record per miglior media punti in una serie di Finali: • 41.0 ppg nel 1993 • Ha fatto registrare la prima tripla doppia all’All Star Game: • 14 pt / 11 as / 11 rb • Inserito dalla NBA nella lista dei 50 giocatori più forti di tutti i tempi
MJ DOPO IL RITIRO
LA CARRIERA FUORI DAL PARQUET
Nonostante alcune voci circolate negli USA ed in tutto il mondo durante l’estate del 2004, Jordan ha annunciato di non voler tornare sul parquet come giocatore professionista. Jordan ha però espresso la volontà di restare nel mondo NBA come proprietario di un team. Nel 2006 il desiderio di Michael di dirigere una franchigia NBA si avvera. Infatti durante le Finali NBA, arriva l’annuncio che Jordan sarà il nuovo general manager dei giovani Charlotte Bobcats, franchigia della “sua” Carolina del Nord. A dicembre 2007 MJ torna sul parquet disputando un allenamento con i Bobcats allo scopo di risollevare il morale della squadra dopo 10 sconfitte in 12 partite. Jordan ha poi comunque escluso categoricamente la possibilità di un suo ennesimo ritorno in campo. Nel marzo del 2010 Michael Jordan acquista il club dei Charlotte Bobcats (con la partecipazione dell’amico rapper Nelly) per 275 milioni di dollari e ne diventa il nuovo proprietario. A partire dalla stagione 2014/2015 i Charlotte riprenderanno il loro nome storico e torneranno a chiamarsi Hornets.
Dopo la terribile stagione 2011/2012 dove gli allora Charlotte Bobcats scrivono il triste record di maggior numero di sconfitte in una stagione (7v e 59p, stagione breve a causa del lockout), e la stagione 2012/2013 dove le cose non vanno molto meglio (solo 21 vittorie in stagione), per la franchigia di Jordan le cose sono andate migliorando, nella stagione 2013/2014 è arrivata anche la conquista di un posto ai play-off. I giocatori di punta degli Hornets erano Lance Stephenson, Michael Kidd-Gilchrist e Kemba Walker.
JORDAN, L’ATLETA-LOGO
La simbiosi tra il più grande giocatore di tutti i tempi e l’azienda che, anche grazie a lui, diventerà la più famosa del mondo sneakers.
E pensare che prima del suo ingresso in NBA nel 1984, Michael Jordan puntava ad ottenere un contratto pubblicitario con Adidas... Ebbene si, l’uomo che fece diventare la Nike quello che è diventata, grazie a un rapporto di simbiosi praticamente perfetto, l’uomo diventato Logo con il celeberrimo JumpMan, e il Logo diventato Uomo nel giocatore record per eccellenza, avrebbe preferito un contratto con l’Adidas. Senza contare il fatto che prima di diventare un giocatore NBA Jordan poteva indossare solamente Converse, perché i Tar Hells di North Carolina, con i quali aveva appena vinto il titolo NCAA da freshman grazie al suo famosissimo jumper decisivo a pochi secondi dalla fine, avevano un contratto esclusivo con la Converse. Malgrado tutto, la terza scelta dei Chicago Bulls nel draft del 1984 avrebbe preferito un contratto con la multinazionale tedesca Adidas, la sua marca preferita, con la quale era cresciuto.
La Nike fu comunque il primo brand a riunirsi con Jordan per discutere un possibile contratto, offrendo al giocatore la possibilità di influire come mai nessuno nel processo di creazione della scarpa, incluso il design. Jordan comunque decise di vedere prima gli executives di Adidas, per vedere se volessero almeno pareggiare l’offerta fatta da Nike, ma i tedeschi declinarono, valutando come eccessive le pretese di Jordan, riguardo una scarpa totalmente personalizzata che già avrebbe avuto il suo nome e il suo logo stampato. Jordan scelse quindi Nike, e le conseguenze, a grandi linee, le conoscono tutti: grazie al contratto con il nuovo giocatore dei Bulls la multinazionale guidata da Phil Knight divenne enorme, conoscendo un successo senza precedenti.
JUMPMAN Il binomio Jordan-scarpa ha segnato da allora un netto prima e dopo nel marketing, con milioni di Air Jordan vendute in tutto il mondo perché erano le scarpe indossate dal campione dei Chicago Bulls e perché forse davvero “ti facevano diventare un giocatore migliore”. Una rivoluzione dell’immaginario collettivo che fece decollare Nike e rese multimilionario il giocatore di Brooklyn. Michael, che divenne il più grande rimpianto ed errore di Adidas. Nacque quindi Jumpman: uno dei loghi più famosi di sempre, un’icona, una delle immagini più rappresentative di sempre. Un atleta che diventa Logo, e viceversa. L’idea del logo venne al team design di Nike dopo aver visto una delle foto presenti nello speciale Olimpiadi della rivista Life nell’estate 1984, nella quale si vedeva un Jordan in controluce che saltava con le gambe quasi in spaccata, pallone nella mano sinistra, volando a schiacciare verso un canestro esageratamente alto. L’immagine venne praticamente replicata per il logo, anche se lo sfondo divenne quello dello skyline di Chicago, sempre in controluce. Inizialmente l’immagine in questione era prevista come semplice etichetta per le prime Air Jordan messe in vendita nel 1985.
Solo tre anni dopo l’immagine divenne il logo e il logo divenne l’uomo. Nel 1988 infatti il contratto di Michael con Nike stava per scadere e Phil Knight, era preoccupatissimo per la possibile perdita del giocatore. Alla fine, in poche settimane i designer crearono le Air Max Jordan III (che sono ancora oggi l’articolo Nike di maggior successo di sempre), incorporando il logo con il jumpman stilizzato in rosso sulla linguetta delle scarpe. Michael si disse entusiasta e finalmente Jumpman divenne “Il Logo”, l’icona che ha portato la Nike a dominare il mondo e a cambiare l’immaginario collettivo, legata indissolubilmente a uno dei giocatori di basket più vincenti e più forti della storia.
Air Max Jordan III, White Cement (1988)
Nike Air Jordan III
Lo sfondo nero di una palestra qualsiasi, con il solo canestro illuminato insieme ai due protagonisti, ha acceso le fantasie dei ragazzini, che si sono riversati nei negozi alla ricerca di quel modello di scarpe. I meriti del brand dell’Oregon stanno anche nell’aver colto al volo l’aria hip-hop che si respirava in quel periodo attorno alla NBA e ad aver messo sotto contratto il campione più vendibile nella storia dello sport mondiale.
Le Nike Air Jordan III vennero commercializzate dal 1988, con una serie di commercial che hanno fatto la storia della pubblicità sportiva, ovvero la saga “Mars and Mike”, con protagonisti ovviamente MJ e Spike Lee nella parte di Mars Blackmon, il protagonista del film Lola Darling. Il contrasto tra il campione che non parla quasi mai e Mars che invece lo tempesta di frasi, con le Nike in primo piano, è diventato subito un cult.
NIKE
Poster Air Jordan
NIKE AIR JORDAN
Ecco una carrellata di tutte le scarpe indossate in carriera da Micheal Jordan, ovviamente tutte prodotte da Nike. A partire dalla prima storica Jordan I, la scarpa degli esordi con i Chicago Bulls; passando per la Jordan III, la prima con il logo Jumpman. Poi ancora tantissimi modelli ancora attuali come le mitiche Jordan IV, V, VI e VII; le indimenticabili Jordan XI e XII, scarpe che resteranno per sempre nell’immaginario di ogni amante del basket; concludendo poi con la Jordan XVIII, l’ultima indossata da MJ nella sua ultima partita con i Washington Wizards.
Air Jordan I
Air Jordan II
Air Jordan III
Air Jordan IV
Air Jordan V
Air Jordan VI
Air Jordan VII
Air Jordan VIII
Air Jordan IX
Air Jordan X
Air Jordan XI
Air Jordan XII
Air Jordan XIII
Air Jordan XIV
Air Jordan XV
Air Jordan XVI
Air Jordan XVII
Air Jordan XVIII
La linea di scarpe Air Jordan è diventata una controllata di Nike nel 1997 ed ha subito arruolato giocatori NBA come Ray Allen, Vin Baker, Michael Finley e Eddie Jones per indossare le sue scarpe. Secondo Forbes, in quegli anni il brand Jordan aveva già un fatturato annuo di più di 1 miliardo di dollari, e la sua quota di mercato del mercato delle calzature da basket degli Stati Uniti era del 71%. Il resto della Nike deteneva il 22%, mentre Adidas e Reebok rappresentavano rispettivamente solo il 3% e il 2%.
Inizialmente, la Nike diede vita al brand producendo solamente le scarpe, creando un modello nuovo ogni anno, indossato dal giocatore nel corso della stagione, già dal suo primo anno da professionista. L’enorme successo globale ed il richiamo generato dall’ex-giocatore dei Chicago Bulls ha portato nel tempo la Nike ad espandere la linea anche a magliette, felpe, pantaloncini, anche non solo prettamente per il basket, ma anche per la vita di tutti i giorni. La linea ed il suo successo proseguono tuttora, anche dopo il ritiro di MJ. Egli stesso ha voluto che diventassero testimonial del Jordan Brand tantissimi campioni dello sport. Attualmente in NBA i testimonial del marchio Jordan sono: Carmelo Anthony, Dwyane Wade, Ray Allen, Chris Paul, Blake Griffin, Russell Westbrook, Kawhi Leonard, Jabari Parker e LaMarcus Aldridge.
Campagna pubblicitaria Pearl Pack. Nike e Jordan celebrano i 30 anni dall’arrivo di Micheal Jordan in NBA (1985-2015). Quello che era iniziato con un solo paio di scarpe si è evoluto in un franchising celebrato a livello mondiale.
MJ NELLA PUBBLICITÀ: ICONA INFINITA La NBA, dalla fine degli anni ‘80 in poi è stata sempre terreno fertile per tutti i marchi in cerca di visibilità, grazie alle mosse operate dall’allora Commissioner David Stern. Se prima la Lega era considerata come un “parcheggio” di persone rissose e uno spettacolo con adatto alle famiglie, con il crescente interesse dei media, soprattutto oltre i confini degli Stati Uniti, gli sponsor hanno cominciato a interessarsi di quegli atleti in canotta e calzoncini corti, intravedendo un grande potenziale. Senza dubbio il nome che ha attirato più sponsor è stato quello di Michael Jordan, un vero tornado in quanto a mediaticità e capacità di attirare sponsor. Infatti His Airness ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo della pubblicità nella NBA negli anni ‘80.
Michael Jordan è considerato il più grande giocatore di basket di tutti i tempi, una fama, la sua, che gli ha dato la possbilità di accumulare delle ingenti ricchezze. Jordan è uno degli sportivi che ha ricevuto maggiori sponsorizzazioni. Solo per citarne alcune: Nike, Coca-Cola, Chevrolet, Ball Park Franks, Rayovac, Ball Park Franks, Wheaties, Hanes e MC. Jordan è anche apparso in alcune campagne dei celebri fast food McDonald’s e anche in un popolare spot della Gatorade dei primi anni novanta, con in sottofondo il jingle “Be Like Mike”.
SPACE JAM, MJ AL CINEMA Space Jam, uscito nel 1996, fonde in un'unica immagine il film classico con attori in carne e ossa con personaggi dell'animazione. I personaggi della Warner Bros, i Looney Tunes, si trovano a dividere lo schermo con grandi campioni della NBA, primo tra tutti Michael Jordan. Gli altri giocatori presenti nel film sono: Larry Bird, Charles Barkley, Patrick Ewing, Muggsy Bogues, Larry Johnson, Shawn Bradley, Vlade Divac, Cedric Ceballos, Alonzo Mourning, A.C. Green, Pervis Ellison, Charles Oakley, Derek Harper e Anthony Miller.
Nell'immaginario mondo dei cartoni animati, in un pianeta alieno e posto a distanza abissale dalla Terra, Swackhammer, il proprietario di un Luna Park in declino, è costretto a cercare nuove attrazioni per richiamare il pubblico. Apprende che sulla Terra esistono i Looney Tunes, sicura fonte di spettacolo e godimento per grandi e piccini. Decide allora di inviare un gruppo di alieni per costringere i Looney a lavorare nel suo parco divertimenti.
Quando Bugs Bunny e soci si accorgono delle reali intenzioni del gruppo alieno, per salvarsi e convinti di poter sfruttare a loro vantaggio la bassa statura dei loro avversari, li sfidano ad una partita di pallacanestro. Gli alieni vengono però a conoscenza che lì, in America, giocano i migliori professionisti di tutto il mondo. Si impadroniscono così del talento dei migliori giocatori della NBA e si presentano per la sfida trasformati nelle dimensioni e muscolosissimi. L'unica speranza di vittoria per Bugs Bunny e gli altri personaggi Looney Tunes è quella di "arruolare" tra loro il più grande giocatore di ogni tempo, Michael Jordan. Egli si è però ritirato dalle gare di basket e inizialmente rifiuta ma, quando viene punto sull'orgoglio, accetta di giocare con i personaggi animati. La squadra di Jordan e Looney Tunes gioca male la partita contro i muscolosissimi di Swackhammer, ma alla fine riuscirà a vincerla con un canestro a fil di sirena di Jordan.
I NUMERI DI MICHAEL Michael Jordan ha indossato cinque diversi numeri di maglia nella sua intera carriera: il mitico 23, il 45 al ritorno dal suo primo ritiro, il 9 con la nazionale degli Stati Uniti alle Olimpiadi del 1984 e del 1992, il 5 sempre con la nazionale ai Giochi Panamericani di Caracas, ed il 12, il 14 febbraio 1990, come maglia di emergenza, poiché in una gara contro gli Orlando Magic, ad Orlando, un tifoso si intrufolò negli spogliatoi e rubò la maglia di Jordan. La maglia era del compagno di squadra Sam Vincent, ed essendo una maglia da allenamento era priva di cognome stampato sul retro. Jordan segnò 49 punti nella sconfitta contro i Magic. La maglia numero 23 di Jordan è stata ritirata dai Chicago Bulls e dai Miami Heat, anche se Michael non ha mai giocato per questa squadra. Fu desiderio del coach degli Heat, Pat Riley, fare un tributo a Jordan nella sua ultima gara a Miami nella stagione 2002-2003, innalzando al soffitto un banner raffigurante per metà la maglia dei Bulls e metà la maglia dei Wizards.
Jordan indossò il numero 23 poiché, quando era giovane, ammirava molto il fratello maggiore Larry, che giocava alla Laney High School, ed indossava il 45. Il 23 è la metà del 45 arrotondata per eccesso, poiché Michael sperava di diventare bravo a giocare, almeno la metà di quanto lo era suo fratello. Qui vediamo le prime maglie di Michael: quella della High School di Laney, quella NCAA di North Carolina e le storiche prima, seconda e terza divisa dei Chicago Bulls, con l’inconfondibile 23 indossato da MJ in quasi tutte le sue partite NBA.
Jordan indossò la maglia n° 45 per un breve periodo nel 1995, al momento del suo primo ritorno al basket giocato. Michael sceglie di usare sulla maglia, al posto del mitico numero 23, il 45, numero che aveva quando giocava a baseball da piccolo, già utilizzato da suo padre, e suo reale numero preferito. Dichiarò alla stampa, inoltre, di non voler più utilizzare il 23 perché era il numero con cui il padre lo aveva visto giocare la sua ultima partita, prima di essere ucciso. Ma proprio quell’anno, in una gara di play-off contro Orlando, Jordan commette alcuni errori decisivi; il giocatore dei Magic Nick Anderson, in un’intervista, parla del numero 45 dei Bulls come di un giocatore forte, ma non quanto il 23, che era paragonabile a Superman. Stuzzicato dal rivale, MJ dalla partita successiva in poi tornerà ad indossare la maglia numero 23 (che non abbandonerà più per il resto della carriera), pagando una multa per ogni partita di play-off giocata con quel numero (nella NBA infatti è proibito cambiare numero di maglia a stagione in corso senza richiederne preventivamente l’autorizzazione).
14 febbraio 1990, quando Jordan indossò l’insolito numero 12, a causa del furto della sua divisa nel prepartita.
La canotta dei Washington Wizards, l’ultima indossata da Jordan negli anni del suo ultimo ritorno. Ma perché tornare ora, a 38 anni? “Per amore del gioco. Nient’altro”, aveva risposto sorridendo il numero 23.
Le divise della Nazionale degli USA che MJ ha indossato per tutta la sua carriera, iniziando addirittura prima di arrivare in NBA, alle Olimpiadi di Los Angeles 1984.
Alcune delle divise degli All Star Game a cui ha preso parte Jordan. Edizioni del 1989, 1991, 1993 e 1996.
HANNO DETTO DI LUI... “È il numero uno. Quando Michael va su dice ‘Forse resto sospeso qui in aria per un po’, potete star seduti intanto’. Poi all’improvviso dice ‘Forse faccio un 360°. No, ho cambiato idea, vado su dall’altro lato’. Semplicemente incredibile.”
MAGIC JOHNSON Ex giocatore NBA
“Io, nella posizione che occupo, non dovrei mai pregare nessuno, ma questa volta lo faccio. Mi metto in ginocchio e dico: ‘Michael Jordan per favore non ci lasciare.”
DAVID STERN
dal 1984 al 2014 Commissioner dell’Nba, dopo il secondo ritiro di Jordan nel 1998
“Quando hai la fortuna di avere un giocatore così non devi fare altro che lasciarlo giocare.”
PHIL JACKSON
Coach Chicago Bulls dal 1989 al 1998
“Un giocatore vincente lo noti dall’intensità del suo sguardo e gli occhi di Jordan lanciano lampi.”
CLYDE DREXLER Ex giocatore NBA
“La sera prima di gara 5 della finale, Michael Jordan mangiò una pizza e si beccò una intossicazione alimentare. Volle scendere ugualmente in campo e segnò 40 punti. È questo il doping del campione vero: la voglia di giocare.”
SPIKE LEE
Attore, regista, produttore cinematografico. Grandissimo appasionato di pallacanestro e partner di Jordan in diversi sport Nike.
“Jordan è tornato, allora per dormire dovrò cominciare a prendere i sonniferi.”
JOHN STARKS
Ex giocatore NBA
“È Dio travestito da Michael Jordan.”
LARRY BIRD
Ex giocatore NBA dopo il record di 63 punti segnati contro i Boston Celtics nei Playoff
“Michael è il miglior giocatore del nostro sport, con lui tutti guadagnano in popolarità.”
DAVID ROBINSON Ex giocatore NBA
“Mi ricordo quando lo vedevo giocare anni fa e di quando l’ho visto in carne e ossa sul parquet in cui c’ero anch’io. Tutte quelle cose che faceva in TV le riproduceva li vicino a me, cose da pazzi.”
SHAQUILLE O’NEAL Ex giocatore NBA
“Ti sembra di poterlo controllare, ma un attimo dopo è troppo lontano perché tu possa fare qualcosa. Le sue finte sono sempre micidiali. Non gli importa un accidente dell'età. Quando ti sta addosso, ti manca il respiro.”
LATRELL SPREWELL Ex giocatore NBA
“Quando tutti tornano a terra, lui è ancora là in alto. Non avevo mai visto un giocatore come lui.”
VLADE DIVAC
Ex giocatore NBA
“Uno in grado di attaccare anche la forza di gravità. Un’atleta con un fisico straordinario, una tecnica unica e, soprattutto, una capacità assoluta di vincere dove gli altri perdevano la testa.”
VALERIO BIANCHINI Ex allenatore
“Impossibile fermarlo. Secondo me è stato l’unico giocatore di uno sport a squadre in grado di vincere da solo una partita. Io la perfezione l’ho vista da vicino. Era lui”
VINCENZO ESPOSITO
Ex giocatore, secondo italiano in NBA
Il 17 febbraio 2013 Micheal Jordan ha compiuto 50 anni. è stata quella l’ennesima occasione che gli appassionati di basket e sportivi in genere hanno avuto per tributargli quella sorta di “devozione” che il mondo dello sport ha verso colui che ha fatto la storia del basket e dello sport in generale.
MICHAEL JORDAN IL FOTOLIBRO LA SUA STORIA
Progetto grafico e ricerca iconografica: Luca Marini _ freelance graphic designer www.lucamarinigrafica.it info@lucamarinigrafica.it
I testi sono provenienti quasi interamente dalla rete; in parte da www.wikipedia.org, in parte dalle innumerevoli pagine internet contenenti articoli riguardanti Michael Jordan. Parte dei testi è edita da me stesso. Le immagini sono state interamente reperite dalla rete. Non è stato possibile contattare i detentori dei diritti d’autore del materiale incluso nel presente volume, spesso proprio per mancanza di informazioni relative al copyright delle foto stesse. Prodotto non destinato alla vendita con fini di lucro.
“Nella mia vita avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi alla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di novemila tiri. Ho perso quasi trecento partite. Trentasei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Nella vita ho fallito molte volte... Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.”