La cortina di ferro: da frontiera a nuova soglia europea

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LA CORTINA DIFERRO:

DA FRONTI ERA A NUOVA SOGLI A EUROPEA



LA CORTINA DI FERRO:

DA FRONTIERA A NUOVA SOGLIA EUROPEA LUCA SALA 794312 PAOLA SEMINATI 795046 P R O F. S S A C H I A R A T O S C A N I POLITECNICO DI MILANO S C U O L A D I A R C H I T E T T U R A E S O C I E T A’ CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’ARCHITETTURA ANNO ACCADEMICO 2014-2015



INDICE 1 La cortina di ferro, dalla fondazione alla demolizione 1.1 Inquadramento storico: brevi accenni della Guerra Fredda 1.2 La cortina di ferro

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2 Attraversare paesaggi entropici

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3 Attraversare paesaggi liminari

p. 21

4 La cortina di ferro: dalla demolizione ad oggi

p. 50

2.1 Smithson, Long e Gordon Matta-Clark: letture dei paesaggi entropici 2.2 L’entropia e l’antropologia strutturale di Levi-Strauss 2.2.1 L’entropia 2.2.2 I territori “caldi” e i territori “freddi”

3.1 Il concetto di limite: frontiera, confine e soglia 3.1.1 La definizione di limite 3.1.2 La definizione di frontiera 3.1.3 La definizione di confine 3.1.4 La definizione di soglia 3.1.5 Frontiera/confine/soglia 3.2 I confini entropici 3.2.1 Gli spazi residuali 3.2.1.1 Gli spazi preservati 3.2.1.2 Gli spazi abbandonati 3.2.1.3 Gli spazi rigenerati

4.1 I confini entropici: da spazio di divisione a nuova soglia europea 4.1.1 Modlareuth 4.1.2 Gmund e Ceske Velenice 4.1.3 Biopaco del Lago Schaal 4.1.4 Wuezenpass 4.1.5 Gorizia e Nova Gorica 4.1.6 Berlino

5 Bibliografia

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GERMANIA DELL’EST

CECOSLOVACCHIA

GERMANIA DELL’OVEST

AUSTRIA

UNGHERIA

JUGOSLAVIA

ITALIA

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1. LA CORTINA DI FERRO: DALLA FONDAZIONE ALLA DEMOLIZIONE 1.1 Inquadramento storico: brevi accenni della Guerra Fredda “Diamo il benvenuto alla Russia nel suo giusto posto tra le più grandi Nazioni del mondo. Siamo lieti di vederne la bandiera sui mari. Soprattutto, siamo lieti che abbiano luogo frequenti e sempre più intensi contatti tra il popolo russo e i nostri popoli. È tuttavia mio dovere prospettarvi determinate realtà dell’attuale situazione in Europa. Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa Centrale e Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni attorno a esse, giacciono in quella che devo chiamare sfera Sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell’altro, non solo all’influenza Sovietica ma anche a una altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo da Mosca” 5 Marzo 1946, Wiston Churchill, Westminster College di Fulton, Missouri Il discorso di Churchill viene considerato come il punto base ideologico di quella che verrà poi chiamata Guerra Fredda. Con queste parole Churchill sanciva la fine delle coalizioni antifasciste e tracciava il nuovo schieramento mondiale in cui l’Unione Sovietica diventava il nemico da combattere. La seconda guerra mondiale fu un evento di grandissime proporzioni che influenzò profondamente sull’assetto politico ed economico di ogni paese coinvolto, portando al collasso l’Europa delle grandi potenze. La Germania era stata sconfitta, Francia ed Inghilterra ne uscirono gravemente indebolite, gli Stati Uniti economicamente e militarmente superiori ad ogni altro paese e infine la Russia vincitrice ma anch’essa provata: queste ultime due nazioni ambivano alla conquista del ruolo di superpotenza mondiale. Nel 1945 con la conferenza di Yalta i sovietici accettarono le limitazioni imposte alle superpotenze in materia procedurale e successivamente i delegati di 50 nazioni stesero i 111 articoli alla conferenza delle Nazioni Unite sull’organizzazione internazionale, per garantire la pace nel mondo promuovendo il progresso economico e politico-sociale di tutti i popoli del mondo. Tuttavia, la grande alleanza tra le potenze vincitrici iniziò ad incrinarsi sempre più: gli Stati Uniti miravano senza dubbio alla ricostruzione di uno stabile ordine mondiale, godendo del primato economico; dall’altra parte l’Unione Sovietica, avendo subito gravi perdite a causa della guerra, esigeva il prezzo della vittoria in termini politici ed economici.

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Nel 1946 fu sempre più chiaro che tra Unione Sovietica e Stati Uniti si stava per aprire quella fase della politica mondiale che venne definita come “Guerra Fredda”, una guerra silente, mai combattuta con le armi, ma portata avanti quasi esclusivamente sul piano diplomatico. Lo scontrò che li contrappose affondava le sue radici nell’estrema differenza ideologica alla base dei due sistemi politico-economici: capitalismo e comunismo, che ispiravano chiaramente interessi geopolitici completamente opposti. Nel 1947 venne proclamata la dottrina Truman, il contenimento del pericolo sovietico in difesa dei diritti di libertà e autonomia dei popoli, grazie alla quale gli Stati Uniti si impegnavano concretamente inviando aiuti economici militari a quelle nazioni che per la loro fragilità interna erano particolarmente esposti alla propaganda comunista e alle mire espansionistiche di Mosca, come la Grecia e la Turchia. Nei paesi in cui l’influenza sovietica dominava come la Polonia, l’Ungheria, la Romania, l’Albania, la Jugoslavia e la Germania orientale, la struttura politico-economica venne riorganizzata sul modello di quella sovietica. La nascita di regimi controllati dai comunisti divenne un fenomeno sempre più diffuso che allarmò gli Stati Uniti. Emblematica fu la questione tedesca: dalla fine della seconda guerra mondiale, la Germania era suddivisa in quattro zone d’occupazione: quella francese a sud-ovest, quella inglese a nord-ovest, quella americana a sud e infine quella sovietica a est. La città di Berlino rimase divisa in due zone, ognuna delle quali appartenente a una delle due sfere di influenza americana e sovietica. Il teso clima politico che si formò con la Guerra Fredda rese evidente l’impossibilità di giungere ad un accordo sul futuro del paese e quella che doveva essere una situazione temporanea portò alla costituzione di un governo liberal-democratico nella parte occidentale (occupata dalle forza militari di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia) e di un regime comunista in quella orientale (occupata dall’Unione Sovietica). Nel 1949 le tre zone occidentali della Germania si unificarono e venne proclamata la Repubblica Federale Tedesca con capitale Bonn, basata su una costituzione democratico-parlamentare; nella zona orientale, invece, venne creata la Repubblica Democratica Tedesca con capitale Pankov, retta da un regime di stampo comunista. Nel 1961, per frenare il flusso continuo di tedeschi che si trasferivano in Occidente, fu ordinata la costruzione di una barriera di cemento fortificata che isolava completamente le due parti di Berlino: il muro.

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1.2 La cortina di ferro Con il termine “cortina di ferro” si indica la linea di confine che divise l’Europa in due zone distinte dalla fine della seconda guerra mondiale nel 1945, sino alla fine della Guerra Fredda nel 1991. Essa rappresentò la divisione ideologica e fisica e simboleggiò gli sforzi dell’Unione Sovietica per bloccare il contatto con l’Occidente e le aree non soggette a controllo sovietico. Questa linea attraversava l’Europa seguendo i confini politici tra Germania dell’Est, Germania dell’Ovest, Cecoslovacchia, Austria, Ungheria, Jugoslavia e Italia. La cortina di ferro servì a difendere il confine tra i paesi dell’Europa occidentale e orientale: le aree prossime alla linea erano fortemente militarizzate ed erano attraversate da doppie recinzioni, mentre nelle aree urbane la barriera era costituita da un alto muro di cemento, come a Berlino. Molti villaggi vennero rasi al suolo perché situati troppo vicini al confine. Le persone che vivevano entro i quindici chilometri dalla linea, nell’area chiamata “border-zone”, necessitavano di un permesso speciale per entrare nella zona compresa nei cinque chilometri dal confine. Nello spazio tra le due recinzioni erano presenti mine terrestri; il campo minato venne poi sostituito da un recinto elettrico e da un’altra recinzione di filo spinato con torri di guardia e una striscia di sabbia per tracciare eventuali violazioni del confine. Per impedire i tentativi di fuga le pattuglie impiegavano cani da guardia ed erano inoltre autorizzate a fare fuoco sui fuggitivi. Lo smantellamento della cortina di ferro iniziò sul confine tra Austria e Ungheria il 2 maggio del 1989 e proseguì con diverse iniziative tra cui il Picnic Paneuropeo e l’esodo di migliaia di cittadini della DDR verso ovest, il quale portò poi alla caduta del Muro di Berlino. L’abbandono di queste terre di nessuno altamente militarizzate ha portato, oggi, allo sviluppo di grandi riserve naturali e ha creato un corridoio dalla fauna selvatica in tutta Europa. Lubecca e Trieste sono gli estremi nord e sud della cortina di ferro. Percorrendo la linea da una parte all’altra dell’Europa si attraversano paesaggi molto diversi: dal grande centro urbano, passando per città di media grandezza, fino ad arrivare ad ambienti totalmente naturali. Ed è soprattutto in Germania che la linea si trova nelle vicinanze di paesi e città, in quanto precedentemente alla fine della seconda guerra mondiale il paese è sempre stato unito: paesi come Mödlareuth sono stati divisi in due dalla cortina. Andando a sud la frontiera attraversa la Foresta Nera bavarese; anche in Austria e Ungheria il confine passa

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principalmente attraverso boschi e foreste, passi di montagna e solo raramente incontra centri abitati. Infine il confine tra Jugoslavia e Italia è caratterizzato da una maggiore edificazione dei territori, in quanto il confine definito al termine del conflitto mondiale passava nelle vicinanze di importanti centri urbani, come Gorizia e Trieste. A partire dal 1989, anno in cui scoppiò la «rivoluzione improvvisa» che pose fine al sistema del socialismo realizzato, la «cortina di ferro» venne lentamente smantellata, lasciando il posto, tra i confini ormai spazzati via dalla storia e altri che invece resistono ancora oggi, ad una dorsale di parchi e di aree protette in cui l’uomo non ha più tentato di insediarsi e di costruire. È proprio questa la «cortina verde» di cui si è cominciato a parlare negli anni successivi alla Guerra Fredda: l’origine di questa striscia ecologica risiede nel fatto che l’edificazione di queste aree, bloccatasi durante la guerra, non è stata mai ripresa dopo la sua fine, portando in questi luoghi un’ambientazione di memoria e di ricordo storico che permettono a chiunque, ancora oggi, di captare l’eco autentico dei territori divisi. È in questi luoghi, che per l’uomo assumevano il significato di «terra di nessuno», che la natura ha potuto negli anni prosperare in maniera spontanea e creare da sé un corridoio ecologico in cui i serrati confronti politici, sociali, economici e culturali non arrivavano. Oggi, studiare, analizzare e capire a fondo la «cortina verde» è possibile, tuttavia è necessario costruire un itinerario, un percorso di insieme che prenda in considerazione l’intera storia del luogo, ricercandola nelle singole zone di confine e nei racconti storici delle persone e dei territori interessati. Nel reportage “Verde Cortina” l’obiettivo di Matteo Tacconi e Ignacio Maria Coccia, rispettivamente fotografo e reporter, è proprio questo: ricreare una mappatura di tipo non geografico, storico o geopolitico, ma che costruisca un percorso coerente ed emotivamente coinvolgente, ricercando nei parchi naturali, nella vita di frontiera e nei rapporti tra le cittadine dell’una e dell’altra parte l’anima della storia e di quei luoghi. Da questa esperienza, attraverso il loro itinerario e i paesaggi che hanno percorso, analizzeremo la cortina di ferro rifacendoci alla teoria antropologica di Lévi-Strauss delle società calde e fredde. La teoria fornisce uno strumento utile ai fini dell’analisi entropica di questi territori poiché considera gli aspetti derivanti dai mutamenti spaziali e temporali che l’intera frontiera ha vissuto. Gli avvenimenti storici che si sono verificati su questi luoghi hanno determinato sul confine forti contrasti spaziali, temporali e geopolitici. La nostra analisi e descrizione si propone l’obiettivo di riconoscere questi aspetti e classificare i luoghi della frontiera come caldi e freddi.

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Europa durante la Guerra Fredda

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Europa dopo la Guerra Fredda

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Descrizione della cortina di ferro

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2. ATTRAVERSARE PAESAGGI ENTROPICI

2.1 Smithson, Long e Gordon Matta-Clark: letture dei paesaggi entropici Il viaggio intrapreso da Matteo Tacconi e Ignacio Maria Coccia rappresenta il punto di partenza di questo elaborato e del le nostre considerazioni; il loro interesse e le loro suggestioni sono stati il materiale di inizio e fonte di grande ispirazione. La loro volontà di ricercare “il senso dell’Europa” lungo la cortina ci ha spronati nell’indagare questi luoghi allo stato attuale, eredi di quella che fu una delle più grandi contrapposizioni politiche, ideologiche e militari della storia. Il reportage fotografico lungo la cortina verde può essere paragonato ai reportage che l’artista Robert Smithson effettuava nei luoghi industriali abbandonati e nei paesaggi fortemente antropizzati e riconquistati dalla natura. Entrambe le esperienze attraversano e indagano territori caldi, in cui segni dell’intervento dell’uomo marcano il paesaggio naturale. Proprio per la specificità di queste aree, le riflessioni di Smithson sono risultate molto utili per impostare un primo sguardo critico nei confronti di queste terre di nessuno. Altri due artisti che hanno fortemente contribuito ad indirizzare la nostra analisi e a cogliere le potenzialità dei luoghi di confine sono Gordon Matta-Clark, che indagò i gaps urbani, gli spazi abbandonati, e Richard Long, che pose le sue opere di land art all’interno di paesaggi naturali in cui era assente la presenza dell’uomo. Anch’essi affezionati alla tematica degli spazi vuoti e dimenticati, ripropongono questi ultimi sotto una luce differente: non più come scarti di una società ormai disinteressata e luoghi impossibilitati al riscatto, bensì paesaggi scossi da una nuova entropia e intrinsecamente positivi, territori che palesano il passaggio dello spazio e del tempo e fortemente condizionati dal loro carattere storico e culturale, dall’essere luoghi storici. Tra i luoghi indagati da Gordon Matta-Clark e la cortina di ferro si crea una analogia, dovuta al fatto che l’abbandono, il non riutilizzo sono caratteristiche comuni di entrambi. Luoghi in cui è l’intervento dell’artista sopraccitato che interrompe un lungo periodo in cui la presenza dell’uomo è stata nulla, così come per anni i territori di frontiera sono stati abbandonati ed è toccato alla natura in primis e poi anche all’uomo cogliere il valore positivo di questi spazi. Luoghi caldi, ricchi di contrasti, ma anche molte potenzialità per un futuro riuso. I paesaggi abbandonati in cui Richard Long colloca le sue opere di land art sono ambienti naturali, dove la natura governa incontrastata, territori freddi, come quelli che si trovano lungo la cortina di ferro. Rimasti abbandonati per anni questi luoghi hanno acquisito un valore positivo intrinseco proprio nella riappropriazione da parte della natura di queste aree, oggi tutelate e patrimoni riconosciuti dell’umanità, come il bioparco del lago Schaal. Gordon Matta-Clark, anziché progettare nuove strutture, scava, seziona e modifica quelle

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già esistenti per creare nuove prospettive e ridare dignità e valore a edifici abbandonati e decadenti; rimane affascinato da come lo spazio possa condizionare la vita delle persone e il suo interesse nei confronti degli spazi vuoti va al di là del semplice tentativo di suggerire alternative alla costruzione di spazi. Questo aspetto è riscontrabile anche lungo la cortina di ferro, lo spazio lasciato dallo smantellamento della barriera va a creare un vuoto all’interno del paesaggio, che inevitabilmente segna e condiziona la vita delle persone, sia dal punto di vista spaziale, sia da quello temporale. Oggetto dell’indagine dell’artista è l’inaccessibile: gli spazi fra i muri, gli spazi ambigui, i luoghi della città che vengono abbandonati per negligenza burocratica: luoghi che passano inosservati o che non possono esser visti. Il suo particolare interesse per la tipologia dell’assenza e i posti fisicamente alienati lo spingono a riconsiderarli, modificando le nozioni di proprietà e di scambio sociale, ovvero quelle forze che governano la nostra vita. Robert Smithson nel 1967 scrive The Monuments of Passaic, pubblicato lo stesso anno su Artforum; si tratta del racconto di “un’odissea suburbana” avvenuta nella sua città natale di Paissac. Lo spazio da lui percorso appare come un cantiere abbandonato, un “panorama zero” in cui sono presenti ponti, gru, vasche di sabbia, cavalletti in cemento che sostengono una banchina di un’autostrada in costruzione. Questi corrispondono ai “nuovi monumenti” della modernità industriale, su cui Smithson incentra la sua ricerca, la sua narrazione e il suo reportage fotografico. Essi sono i segni che caratterizzano un nuovo paesaggio in cui interventi massicci ed invasivi sono stati imposti alla natura e che la natura ha riassorbito e trasformato in un nuovo ordine. Questo viaggio tra i reperti di una società industriale fa nascere nell’artista una sensazione di smarrimento, provocata dal fatto che la realtà davanti a sé risultava poco comprensibile e chiara: «avevo errato in un mondo immaginario che non riuscivo neanche io bene ad immaginare». Questa frase crea un parallelo con la cortina di ferro, o meglio, con i luoghi un tempo attraversati da essa: questi territori sono poco comprensibili, sono ricchi di contrasti spaziali, temporali e geopolitici, che creano “disordine” nel senso entropico del termine. In Entropy and the New Monuments, scritto un anno prima del viaggio a Passaic, Smithson affermava che alcuni oggetti minimali celebravano quello che Flavin chiamava una “storia inattiva” e che i fisici chiamavano “entropia” o “dispersione energetica”, ovvero la misura di un’energia che viene dissipata durante un passaggio di stato. Erano oggetti, questi, che confermavano la frase di Vladimir Nabokov, secondo il quale “il futuro non è altro che l’obsoleto all’inverso”. Secondo Smithson “i nuovi monumenti, invece di provocare in noi il ricordo del passato, sembrano volerci far dimenticare il futuro”. Negli spazi vuoti e dimenticati dagli stessi abitanti riconosce quindi il più naturale territorio dell’oblio, un

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paesaggio che ha assunto il carattere di una nuova natura entropica. Nel Tour, il giudizio è esclusivamente estetico, non è mai etico nè estatico. Il discorso parte da un’accettazione della realtà per come essa si presenta, e prosegue su un piano di riflessione generale in cui Passaic diventa l’emblema della periferia del mondo occidentale, il luogo dello scarto e della produzione di un nuovo paesaggio fatto di rifiuti e di sconvolgimenti. I monumenti non sono ammonimenti, ma naturali elementi che fanno parte integrante di quel nuovo paesaggio, presenze che vivono immerse in un territorio entropico: lo creano, lo trasformano e lo disfano, sono monumenti autogenerati dal paesaggio, imposti alla natura e che la natura ha riassorbito trasformandoli, accettandoli in una nuova natura e in una nuova estetica. Il nuovo paesaggio che si rivela nella suburbia ha bisogno, secondo Smithson, di una nuova disciplina, mutata dalle recenti teorie antropologiche, capace di cogliere il significato della trasformazione e del mutamento del naturale in artificiale e viceversa: “Abitiamo in strutture definite, siamo circondati da sistemi di riferimento, ma la natura li smantella, li riporta a uno stato anteriore di non-integrità”. Richard Long, nel 1967, realizza A Line Made by Walking, una linea retta “scolpita” sul terreno semplicemente calpestando l’erba. Il risultato di questa azione è un segno che rimarrà impresso solo nella pellicola fotografica e che scomparirà al rialzarsi dell’erba. A Line Made by Walking per la sua assoluta radicalità e semplicità formale è considerata un passaggio fondamentale dell’arte contemporanea. E’ stata paragonata da Rudi Fuchs al quadrato nero di Malevič: “una fondamentale interruzione nella storia dell’arte”. Long combina così la scultura (la linea) e il camminare (l’azione), le quali sono due attività all’apparenza separate. A Line Made by Walking produce una sensazione di infinito, è una linea che si arresta agli alberi che chiudono il campo visuale, ma che potrebbe continuare al di là di questa barriera naturale. L’immagine dell’erba calpestata contiene in sé l’assenza: assenza dell’azione, assenza del corpo, assenza dell’oggetto, un qualcosa che si situa tra una scultura, una performance e una architettura del paesaggio. La base su cui si fondano le opere di Long è il camminare, lo scenario in cui si svolgono è uno spazio naturale senza tempo, un paesaggio eternamente primordiale dove la sola presenza dell’artista costruisce già in sé un atto simbolico. L’intervento di Long è privo di ogni apporto tecnologico, non incide in profondità la crosta terreste, ma ne trasforma la sola superficie e in modo reversibile. Il solo mezzo impiegato è il proprio corpo, il suo movimento, le sue braccia e le sue gambe. Claude Lévi-Strauss, come abbiamo visto, ha proposto l’elaborazione di una nuova disciplina, “l’entropologia”. James Lingwood riprendendo il brano di Smithson esplicita il riferimento alle teorie dell’antropologo francese contenute nel suo passo: «Secondo Lévi-Strauss, più l’organizzazione di una società è complessa, più è grande la quantità di en-

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tropia prodotta. Più una data struttura è elaborata, più sarà segnata dalla disintegrazione. Così le società primitive o “fredde” (il cui funzionamento, secondo Lévi-Strauss, ricorda quello di un meccanismo a pendolo), producono molta poca entropia; mentre le società calde (che assimila al motore a scoppio) ne generano una quantità enorme. Gli Stati Uniti, la più sviluppata delle macchine calde, generano dunque la maggior parte del disordine. Immerso nei suoi paesaggi in piena disgregazione, Smithson diventa l’artista-entropologo della sua epoca». Sulla base di queste affermazioni si potrebbe quindi ridefinire i luoghi antropologici descritti da Smithson e Long secondo l’opposizione lévi-straussiana tra “freddo” e “caldo”. Il paesaggio di Richard Long può essere dunque inteso come un “territorio freddo”, dal momento che i segni apportati dall’uomo appaiono armonicamente integrati con la natura incontaminata, mentre la periferia industrializzata di Paissac diventa un “territorio caldo”, in quanto l’antropizzazione è avvenuta qui in maniera invasiva e continua, generando uno stato di disordine e indifferenziazione. Il 1967 è dunque, dice Francesco Careri, l’anno del camminare: in Inghilterra e negli Stati Uniti vengono realizzati A Line Made by Walking di Richard Long e A Tour of the Monuments of Passaic, due percorsi che in modi diversi influenzeranno fortemente la generazione seguente. Long si addentra nella natura incontaminata, laddove il tempo è fermo a uno stato arcaico; attraversa i “territori freddi”, rivive una spazialità neolitica alla ricerca delle origini dell’arte e le ripercorre a ritroso, dall’erezione del menhir fino alle prime tracce del percorso. Smithson invece esplora i “territori caldi”, i paesaggi industriali, i territori sconvolti dall’uomo e dalla natura, le zone abbandonate votate all’oblio del paesaggio entropico. Un territorio in cui si percepisce il carattere transitorio della materia, del tempo e dello spazio, in cui la natura ritrova il suo aspetto selvaggio venuto a mancare, uno stato ibrido e ambiguo, antropizzato e poi sfuggito al controllo dell’uomo per essere riassorbito dalla natura.

2.2 L’entropia e l’antropologia strutturale di Levi-Strauss

2.2.1 L’entropia L’entropia (dal greco antico ἐν, “dentro”, e τροπή, “trasformazione”) in meccanica statistica è una grandezza che viene utilizzata come una misura del disordine presente in un sistema fisico, incluso, come caso limite, l’universo. Nella termodinamica classica, quando in un sistema avviene un passaggio da stato di equilibrio ordinato a disordinato, la sua entropia aumenta; questo fatto fornisce indicazioni sulla direzione in cui evolve spontaneamente un sistema. La meccanica statistica generalizza il concetto legando più strettamente l’entropia ai concetti di disordine e ordine, precisamente alle disposizioni dei livelli molecolari e quindi

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alle probabilità degli stati in cui può trovarsi macroscopicamente un sistema. Il concetto di entropia, con questa generalizzazione, è stato esteso ad ambiti non strettamente fisici, come le scienze sociali, la teoria dell’informazione, la teoria dei segnali e conoscere quindi una maggiore popolarità.

L’entropia e il disordine Viene data una spiegazione molto semplice dell’entropia, che la interpreta come il “grado di disordine” di un sistema: un aumento di entropia corrisponde ad un aumento del “disordine” di un sistema, mentre una diminuzione di entropia corrisponde ad una diminuzione del “disordine” di un sistema.

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La figura 1 è composta da tre configurazioni dello stesso sistema costituito da 24 oggetti, in cui si ha, da sinistra a destra, un aumento di disordine e quindi di entropia. E’ la rappresentazione del grado di disordine di un sistema: sistema ordinato, con basso grado di disordine e disordinato. La figura seguente rappresenta un esempio in termodinamica in cui avviene un aumento di entropia. Sono rappresentate delle molecole di due gas (si supponga ad esempio che le sfere nere siano molecole di ossigeno e le altre sfere siano molecole di azoto). E’ la rappresentazione di un sistema (costituito da due gas differenti) in cui si ha aumento di entropia.

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Inizialmente i gas sono divisi in due compartimenti stagni. Se i due compartimenti sono messi in comunicazione, i due gas si mescolano tra loro e si ha un aumento di disordine, ovvero un aumento di entropia (che in tal caso viene detta “variazione di entropia di miscelamento”). In questo esempio si assiste ad un aumento di entropia “spontaneo” (basta infatti mettere in comunicazione i due compartimenti). Questo aumento di entropia spontaneo si verifica sempre in natura, mentre non possibile che avvenga spontaneamente una diminuzione di entropia. Tale constatazione definisce che le configurazioni più probabili in natura sono quelle “disordinate” e ciò corrisponde al “Secondo principio della termodinamica”.

L’energia e l’entropia Se si assume che l’intero universo sia un sistema isolato, ossia un sistema in cui è impossibile effettuare uno scambio di materia ed energia con l’esterno - il primo ed il secondo principio della termodinamica possono essere riassunti come segue: l’energia totale dell’universo è costante e l’entropia totale è in continuo aumento, fino a raggiungere un equilibrio. Ciò significa che l’energia non si può né creare né distruggere, ma nemmeno la si può completamente trasformare da una forma in un’altra senza che una parte venga dissipata sotto forma di calore. Se per esempio si bruciasse del carbone, la sua energia si conserva e si converte, oltre che sotto forma di calore, in energia contenuta nell’anidride carbonica, nell’anidride solforosa e negli altri residui di combustione. Sebbene nel processo non si sia perduta energia, non possiamo invertire il processo di combustione e ricreare dai suoi scarti il pezzo di carbone originale. Il secondo principio della termodinamica può quindi essere così riscritto: ogni volta che una certa quantità di energia viene convertita da una forma ad un’altra si ha una degradazione di una parte dell’energia stessa in forma di calore. Questa parte non sarà utilizzabile per produrre lavoro. L’entropia caratterizza il verso di qualunque trasformazione reale come trasformazione irreversibile: infatti se si tornasse da uno stato finale a uno identico allo stato iniziale per parametri quali temperatura, volume, pressione, ci sarebbe almeno una variabile fisica differente dal punto di partenza. L’entropia (che inevitabilmente è aumentata), e questo è il motivo per cui ogni trasformazione reale è una trasformazione irreversibile.

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2.2.2 I territori “caldi” e i territori “freddi” Grazie a queste premesse scientifiche l’antropologo Levi-Strauss delineò la teoria delle società “calde” e delle società “fredde” che stanno alla base dell’antropologia strutturale e che utilizzeremo come punto di partenza e filo conduttore per l’analisi e la descrizione degli spazi e dei territori della cortina di ferro. Questi ultimi rappresentano infatti i luoghi per eccellenza frutto della geopolitica, dove spazio e tempo si dilatano e si restringono simultaneamente; protagonisti indiscussi della storia e del suo svolgimento, sono testimoni e prove reali del fatto che i processi di autodefinizione del sé e dell’altro (sia individuale che collettivo) hanno condizionato lo scorrere del mondo. I territori di confine sono luoghi antropologici in cui si esprimono dialettiche di confronto e conflitto fra diverse alterità, sono spazi fisici e simbolici di comunicazione attraverso cui si ri-definiscono differenze e possibili aggregazioni. Non rappresenta solo un’entità fisica ma anche un tempo dove due comunità stabiliscono i loro rapporti reciproci, il confine si interpone come il luogo dei compromessi tra i due fronti. Proprio per questo motivo si prestano come ottima chiave di lettura di intere società e vicende politiche che hanno condizionato i cambiamenti del mondo. L’interpretazione antropologica di questi luoghi risulta essere quindi appropriata per riflettere sul concetto di paesaggio in quanto territorio di una comunità e spazio di relazioni. Le aree di confine risultano essere così permeate e plasmate dall’agire umano da rappresentare un ottimo oggetto d’indagine per comprendere se vi siano delle potenzialità insite o se invece l’abbandono e lo stravolgimento della Guerra le abbiano annichilite per sempre o, addirittura, se nel loro essere abbandonate conservino tuttavia quella traccia storica che le renda storicamente preservabili. La teoria di Lévi-Strauss ci aiuta a tener conto dei diversi aspetti antropologici e ci permette di analizzare questi luoghi entropicamente, prendendo in considerazione la realtà storica e umana dei sistemi territoriali di confine; il sociologo rielabora infatti il concetto scientifico di entropia in campo antropologico applicandovi una matrice fortemente storica e sociale. L’uomo, tentando di capire il presente, cerca di continuo parallelismi in situazioni che si possono essere già verificate in precedenza. Così facendo indaga la storia, cioè quella serie di avvenimenti che non ha mai vissuto personalmente. Questi fatti gli pervengono perché raccontati da altri e soffrono quindi della deformazione causata dallo sguardo di altri osservatori. Per questi motivi l’analisi storica non è mai stata univoca, ma ha fatto nascere studi di volta in volta differenti. Al fine di sviluppare dei modelli sul comportamento sociale, l’analisi dei fatti non solo ha indietreggiato nel passato, attingendo cioè solo da fonti indirette di informazione sui fatti stessi, ma ha anche indagato quelle popolazioni che nel presente sembravano dimostrare comportamenti cosiddetti “primitivi”. La disciplina che si è impegnata in questa ricerca

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prende il nome di “antropologia” e ha visto, per mano di studiosi impegnati a seguire il comportamento di popolazioni indigene nei luoghi più nascosti del Mondo, l’elaborazione di diversi modelli e teorie. La sintesi che più riteniamo interessante per gli scopi che si propone il nostro elaborato è anche la sua descrizione della società: secondo Lévi-Strauss, infatti, le società si possono dividere, almeno dal punto di vista teorico e rappresentativo, in “calde” e “fredde”. Delle prime farebbe parte la nostra società ricca, mentre nelle seconde confluirebbero quelle povere, ad esempio, quelle dei nativi d’America. La teoria di Lévi-Strauss viene così riassunta da Domenico Buffarini: «Le società calde funzionano come macchine termodinamiche, in virtù delle differenze di “calore storico” esistenti fra le loro parti e del combustibile continuamente consumato: questo è costituito dall’ambiente naturale, che viene sfruttato senza riguardo dei suoi equilibri (dal che deriva la tendenza all’espansione territoriale per procurarsi risorse energetiche) e da masse umane più numerose possibile». L’antropologo dipinge perciò la nostra società come una grande pentola in ebollizione, il cui calore è fornito sfruttando continuamente la natura. Ma altre caratteristiche si possono evidenziare per questo modello: poiché l’aumento demografico è una delle condizioni per la loro tenuta, le società calde hanno un elevato tasso di natalità e dispongono di un’organizzazione politica e sociale che crea differenze di potenza o di “calore” fra i loro membri, quali la schiavitù o la divisione in classi, gerarchicamente disposte in forma piramidale, con in cima classi ristrette che creano una struttura di potere coercitivo in grado di imporre leggi economiche, giuridiche, religiose e morali alle classi sottostanti. Le differenze sociali producono continue sollecitazioni all’assetto delle società calde e una temperatura storica in continuo mutamento. A queste società “calde” si contrappongono quelle “fredde” il cui funzionamento si fonda su tre condizioni essenziali: una volontaria limitazione dei bisogni individuali e collettivi, un’organizzazione sociale basata su gruppi di parentela dotati di pari dignità e di equivalente peso, un assetto politico basato sulla partecipazione degli associati alle decisioni le quali debbono essere adottate all’unanimità. Le società fredde sono invece quelle che funzionano secondo schemi fissi, come quelli dei congegni meccanici, quelle che in mancanza di interventi esterni potrebbero funzionare indefinitamente senza subire trasformazioni di rilievo per il fatto di utilizzare solo l’energia naturale o umana fornita in partenza da processi spontanei. La loro “saggezza” consiste nel resistere ad ogni modifica delle strutture, a perseverare nel loro modo di essere e a difendere i propri caratteri distintivi, ad assumere atteggiamenti di ostinata fedeltà

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alle tradizioni e all’equilibrio. Queste società hanno scelto la giustizia e l’ordine sociale al loro interno, rinunciando al progresso tecnologico e all’espansione all’esterno di sé. Si sono adattate alla natura, optando per la stabilità rispetto al divenire, per l’ordine rispetto all’evoluzione. Così facendo i loro componenti non conoscono i piaceri della civiltà, ma rimangono estranei anche alle ansie e ai tormenti. Essi sono contenti della loro condizione e non desiderano mutarla o scambiarla con quella delle società più evolute: pensano anzi che quella sia un’esistenza folle, tumultuosa e piena di dolori. Lo stato in cui vivono e da cui non vogliono uscire risponde infatti alle loro esigenze materiali e al loro orizzonte spirituale che ruota intorno ai supremi principi della solidarietà di gruppo e di comunione con la natura. A differenza di quelle fredde, che optano per stare dalla parte della natura, le società calde si mettono dalla parte della storia: le loro vicende sono concatenazioni di improvvisi sconvolgimenti. In esse un grande quantitativo di energia si libera a discapito dell’ordine e della giustizia, puntando all’infinito. Tale risultato viene a realizzarsi tramite l’individualismo e il progresso tecnologico. Nelle società calde l’individuo è il termine unico di riferimento, il potere politico è autoritario e individualizzato: quando il monarca assoluto non è più sufficiente all’esercizio della sovranità, si crea un’entità astratta, pur sempre personalizzata, che è lo Stato. L’arte è creazione individuale e si esprime in forme antropomorfiche. La religione ruota intorno ad una divinità come persona o ente supremo trascendente, che possiede le caratteristiche dell’individuo ad un livello sublimato, le scoperte tecnologiche servono ad intensificare lo sfruttamento della natura, mentre le armi sono parte fondamentale del progresso. Le società calde sono in continua ricerca di espansione, sono aggressive e intolleranti verso gli altri, sono caratterizzate da un atteggiamento di superiorità verso chi segue leggi, abitudini, concezioni di vita e divinità difformi da quelle degli abitanti della “polis”; esse rivendicano il diritto di opprimere e di distruggere in nome della superiore civiltà i popoli giudicati inferiori. Allo stesso modo, nei rapporti fra classi, la cultura, il potere e la ricchezza dei ceti dominanti giustificano lo sfruttamento di quelli inferiori. La distinzione delle società in “calde” e “fredde” ha fatto sorgere contrapposizioni tra chi sosteneva le prime contro le seconde, anche perché l’atteggiamento di Lévi-Strauss verso i primitivi sembra tale da valorizzarli di fronte ai moderni, mettendo in discussione il concetto stesso di progresso esponendo considerazioni che sostengono come il senso di gratitudine e di umiltà, che ogni membro di una data cultura può e deve provare verso tutte le altre, sia fondabile su una sola convinzione: che le altre culture sono diverse dalla sua, nella maniera più svariata. Quando Lévi-Strauss contrappone i primitivi ai civilizzati, valorizza i primi in quanto essi sarebbero un esempio di società semplice, meccanica ed egualitaria, mentre la società occidentale appare ingiusta per le sue disuguaglianze sociali.

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I detrattori delle “società fredde” a favore di quelle “calde” sostengono invece che queste ultime rappresenterebbero la culla del benessere e della felicità, poiché è la storia che ci ha dimostrato che le “società fredde” rimangono ingabbiate senza mai evolversi provocando col tempo la loro decadenza, fino ad arrivare alla scomparsa. Quando, invece, il pensiero creativo e innovativo, che caratterizza il progredire tecnologico, viene rispettato e posto in condizioni di esprimersi e di crescere in accordo con le esigenze della società, vi è progresso, benessere e maggiore felicità, poiché ognuno può crescere e realizzare se stesso secondo la propria personalità. Le “società fredde” sono scomparse sotto l’incalzare di quelle “calde”, senza avere il tempo di evolversi da sole attraverso un aumento della propria “temperatura sociale”. Se fosse richiesto all’antropologo di presagire il futuro dell’umanità, certo egli non lo concepirebbe come un prolungamento o un superamento delle forme attuali, avendo una visione volta solo al progresso, ma piuttosto, come modello di una integrazione che unifichi man mano i caratteri tipici delle società fredde e delle società calde. E’ forse destino della storia che le “società calde” si raffreddino, riscaldando così quelle “fredde”, dando origine alla definitiva “società tiepida”. Dal punto di vista spaziale, che è l’aspetto che più interessa la nostra analisi, la teoria di Lévi-Strauss consente di catalogare i territori in “freddi” e “caldi”. “Freddi” quando i segni apportati dall’uomo appaiono armonicamente integrati con la natura incontaminata, dove il tempo si è fermato a uno stato arcaico; “caldi”, in quanto l’antropizzazione è avvenuta in maniera invasiva e continua, generando uno stato di disordine e indifferenziazione, in cui si percepisce il carattere transitorio della materia, del tempo e dello spazio. E’ importante comprende bene le due categorie perché attribuendogli un’accezione spaziale il limite tra di esse si assottiglia, facendoci cadere in possibili errori di valutazione. L’analisi antropologica di cui ci avvaliamo ha alla base un forte rispetto per la storia perché la ritiene causa primaria del susseguirsi delle società umane nel tempo e nello spazio, pertanto è da considerarsi la protagonista della nostra distinzione dei territori in “caldi” e “freddi”. Si considera “freddo” un luogo incontaminato dove il sistema è caratterizzato da un’entropia bassa perché poco produttivo o poco antropizzato: è, in poche parole, un territorio in cui la natura è padrona e dove il ruolo dell’uomo risulta essere minimo, quasi impercettibile. Similmente si può considerare “freddo” anche un luogo volto all’abbandono, uno spazio dove la mano umana è andata man mano a scomparire o laddove l’insediamento antropico è rimasto tale e quale senza provocar alcun tipo di cambiamento e di conseguenza nessun innalzamento entropico: una sorta di luogo congelato, etereo e destinato anch’esso ad un probabile abbandono. Tuttavia alcuni di questi luoghi non sono necessariamente apatici:

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in essi permane latente la storia, la memoria che rappresenta una possibile via di riscatto per far sì che da luoghi abbandonati possano diventare luoghi da preservare. Analizzando i luoghi di confine, questa matrice storica è immediata e di facile comprensione, poichè la traccia lasciata dalla cortina di ferro è il segno tangibile dell’identificazione di questi spazi, è l’indicatore di un’alta entropia che trae energia dagli avvenimenti del passato. A questo punto un luogo inizialmente considerato “freddo” viene riscoperto “caldo”. Un luogo “caldo” è infatti antropizzato e pertanto in continuo divenire, fortemente attaccato alla storia. Si delinea così un avvicinamento delle due categorie: un punto di contatto che permette un possibile interscambio reciproco o una possibile convivenza. Nell’utilizzo del termine luogo è da intendersi che non vi sono dimensioni prestabilite o moduli che aiutino a catalogare un luogo “freddo” da un luogo “caldo”, poiché in una città è possibile che coesistano entrambe le categorie. La decisione di indagare questi territori è stata dettata dalla particolarità che deriva dall’esser stati luoghi di confine, luoghi limite. La linea della cortina sancì ai tempi un segno indelebile dal punto di vista spaziale, temporale e geopolitico sui territori che attraversava: li identificò e li contrappose, provocando dei cambiamenti di enorme portata che ancora oggi si ripercuotono. Risulta tanto chiaro quanto complicato definire quali spazi siano “freddi” e quali siano “caldi”: l’ondata storica li ha inizialmente definiti per poi abbandonarli. Il fine di questa analisi dal taglio antropologico mira quindi a comprende l’eredità territoriale lasciataci dalla cortina di ferro e fino a che punto, ancora oggi, questa giochi un ruolo fondamentale nella ridefinizione di questi spazi. Prima di inoltrarci nell’analisi vera e proprio delle varie aree prese in considerazione bisogna delineare i concetti principali che entrano in gioco. La linea si pone innanzitutto come limite: luogo di grandi tensioni e cambiamenti e il suo essere passaggio, frontiera, confine lo porta ad assumere diverse valenze e pertanto la sua classificazione richiede un approfondimento del proprio significato.

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3. ATTRAVERSO PAESAGGI LIMINARI 3.1 Il concetto di limite: frontiera, confine e soglia La cortina di ferro è generata da una linea che sancisce la separazione territoriale e ideologica tra i paesi attraversati dell’Europa dell’Est e dell’Europa dell’Ovest. Questa traccia si pone innanzitutto come limite ovvero come luogo di divisione e contrapposizione, ma al contempo come luogo di passaggio e interscambio. Il concetto stesso di limite lo porta infatti ad assumere differenti declinazioni e a seconda del suo grado di apertura può essere confine, frontiera o soglia. Analogamente la cortina di ferro dal giorno della sua nascita fino ad oggi ha ricoperto ogni singola di queste tre valenze. Il suo essere campo di gioco di grandi tensioni e cambiamenti l’ha resa terreno vulnerabile e plasmabile in costante trasformazione. Nasce come frontiera: limite geopolitico, ufficialmente riconosciuto e che contrappone due realtà confinanti. Con l’abbattimento, la cortina, diverrà poi confine rappresentando un limite inviolabile, definendo gli spazi limitrofi ma rendendoli fruibili, inizierà ad aprirsi e ad essere luogo di passaggio e di confronto. Tale condizione terminerà con un’apertura maggiore evolvendosi in una linea di contatto tra le due realtà: identità e alterità si confronteranno fondendosi. Attualmente la cortina di ferro intesa come frontiera non esiste più e la sua scomparsa ha portato alla formazione di realtà disomogenee e discontinue in cui si alternano confini e soglie. Il nostro intento è quello di comprendere in quale delle due declinazioni si inseriscano i territori d’oggi, utilizzando come chiave di lettura l’analisi antropologia dei luoghi “caldi” e dei luoghi “freddi”.

3.1.1 La definizione di limite Il limite rimanda innanzitutto al concetto di spazio: il termine deriva infatti dal latino limes, che indica una linea tracciata trasversalmente attraverso una qualsiasi superficie e soprattutto attraverso il terreno, con la precisa funzione di escludere e circoscrivere. E’ riconducibile poi ad un secondo termine latino, limen, che significa soglia. Nel linguaggio moderno utilizziamo continuamente termini come divisione, fronte, soglia, passaggio, confine e frontiera a testimonianza che il concetto di limite ricopre una parte importante del nostro vivere quotidiano. I territori che viviamo sono risolti infatti da un sistema di limiti che includono sia i piccoli confini di proprietà che le delimitazione delle aree di giurisdizione comunale, regionale, nazionale, ma allo stesso tempo sottintendono una svariata quantità di confini ancora più fragili e intimi, senza tener conto delle diverse accezioni astratte che la nozione di termine include.

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3.1.2 La definizione di frontiera La frontiera nasce come atto geopolitico, è per sua natura temporale e storica poiché è sottomessa alle azione delle diverse identità che la producono e alle relazioni internazionali che vi partecipano. La matrice politica la definisce e la ufficializza, la rende limite invalicabile riducendo al minimo l’interazione tra le due parti. Viene allestita da un tracciato scelto in base alla natura morfologica dei territori e da delle semplici linee geometriche e, nonostante lo spazio fisico sia fondamentale nella sua definizione, non ne troveremo mai una naturale perché generata unicamente da delle volontà sociali e politiche. Al suo interno si applicano le istituzioni giuridiche degli Stati coinvolti e acquisisce funzioni legali, ideologiche e militari delimitando uno spazio da proteggere. Altro aspetto importante è l’azione che compie tra i territori che divide, influenzandone i flussi fino a bloccarli per questo motivo, nelle sue vicinanze, si possono ritrovare discontinuità spaziali e amministrative che sfociano alla ridefinizione di luoghi disomogenei. Karahasan nel suo saggio Elogio della frontiera la definisce come un luogo teatralmente drammatico, un luogo dove convergono tensioni e dove si incontrano le due identità. Qui l’identità si incontra con l’alterità, definendo l’identità ma costituendo allo stesso modo quell’altra identità che da lì inizia. Può essere considerata costituita da innumerevoli punti sui quali un movimento strutturale è giunto ad arrestarsi sia per la reazione di una forza contraria, sia per il non volere andare oltre. Il fronte è quindi il luogo dove forze avverse si confrontano, altre volte si incontrano, entrando comunque in crisi. Questi punti non disegnano una linea, ma definiscono una fascia, una zona sfrangiata, più o meno larga in funzione dei rapporti che corrono tra una parte e l’altra. La Cecla nel suo saggio Il Malinteso sostiene che le frontiere dovrebbero essere il luogo dove il confronto va a sostituire lo scontro, dove la relazione può essere appagata nell’indifferenza della terra di nessuno o nella differenza delle demarcazioni oltre le quali si trova l’altro, lo straniero e noi. In questo modo diviene filtro e separazione e perché sia terra di incontro dove si attestano due identità occorre che non sia netta, ma che vi sia quel terrain-vague (terra di nessuno). La frontiera, pertanto, è un terrain-vague, poiché non è altro che il percorso temporale di una conoscenza, è il malinteso risolvibile solo con la temporalità, un capire con più tempo, un comprendere che richiede del tempo.

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3.1.3 La definizione di confine I confini muoiono risorgono, si spostano, si cancellano e riappaiono inaspettati. Segnano lo spazio dell’abitare, la politica con la sua spesso assurda cartografia, l’io con la pluralità dei suoi frammenti e le loro faticose ricomposizioni, la società con le sue divisioni, l’economia con le sue invasioni e le sue ritirate, il pensiero con le sue mappe dell’ordine. (C. Magris, Come i pesci il mare… in Frontiere, supplemento a Nuovi Argomenti, 1991, n.38 p 12)

Il termine confine significa: limite, delimitazione, demarcazione, termine, frontiera. E’ la linea costruita artificialmente o naturalmente a delimitare un territorio o un terreno da un altro. Il confine definisce lo spazio e pertanto dà un senso all’insediamento, alla lingua e alla cultura: ha, per il gruppo sociale, un’importanza molto simile a quella che questo ultimo ha per un’opera d’arte. Esercita le due funzioni che sono i due aspetti di un’unica funzione, ovvero circoscrive l’opera d’arte rispetto al mondo adiacente e al contempo la chiude in se stessa. Fin dalla sua prima apparizione, il confine mostra quello che sembra essere il suo carattere fondamentale: segnalare il luogo di una differenza. Dal punto di vista spaziale il limite che consideriamo come confine è fortemente radicato nella terra, simboleggia la traccia che delimita per la prima volta uno spazio, togliendolo dal nulla, dall’infinito e attribuendogli una dimensione. Man mano non limita più solo un campo, ma territori sempre più grandi, regioni intere. Il confine è un mezzo operativo con cui accogliere e gestire i flussi e di cui è possibile identificarne il tracciato attraverso la scelta di alcuni siti naturalmente predisposti come corsi d’acqua, laghi o linee di cresta, ma anche tracciando sulla carta geografica linee geometriche completamente indipendenti dalla natura topografica dei luoghi. Decisi i margini spaziali, subentra la delimitazione dello spazio e successivamente la demarcazione, ovvero la complessa opera di evidenziazione del confine attraverso muri, cartelli, segnali e quant’altro.

3.1.4 La definizione di soglia Il limite viene inteso come soglia, figura liminare, spazio della transizione e luogo di discrimine. “Espressione emblematica del limite non è il punto dove una cosa finisce ma da dove partire, da dove una cosa inizia la propria essenza” (M. Heidegger, Saggi e discorsi, Milano 1954): rappresenta l’intervallo conteso tra fronti opposti e coincide con entrambi non corrispondendo nel contempo a nessuno di essi.

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Nell’ambito dell’agire urbano e dell’ordine architettonico la soglia delinea un luogo simbolo dell’espansione singolare dell’insediamento contemporaneo, della frammentazione delle azioni sociali e della dissipazione delle attività produttive. Nel saggio Figure architettoniche: soglia, Sergio Crotti definisce la soglia come un contorno della forma tra sfondo e figura, ma anche tra soggetto e insieme degli oggetti costituenti il mondo fisico, arrivando a ricoprire varie nozioni anche sul versante dell’architettura e del disegno urbano. In questo ultimo bisogna distinguere il significato tra il concetto di limite come proiezione astratta e la figurazione concreta della soglia nel suolo. La soglia rappresenta il limite concettuale dell’ingresso e dell’uscita, è la linea di contatto dell’incidere umano. Nei molteplici atti dell’edificare la soglia si mostra fragile, incerta, ogni volta variabile e nel momento in cui diviene il solco tracciato nel suolo, il segno posto sul terreno, determina punti, linee e superfici che insieme congiungono e dividono così da delimitare il luogo. La soglia non è qualcosa di stabile, ma è anzi un elemento dinamico e variabile, rappresentando nei rituali di fondazione e di appropriamento degli spazi la partizione di luoghi inclusi, abitabili, domestici rispetto ad altri esclusi, inabitati e selvaggi. Una soglia è da considerarsi come qualcosa che si pone entro due situazioni ed in quanto tale equivalente ad uno spazio di passaggio e allo stesso tempo di demarcazione e differenziazione. Diversamente, nell’idea di frontiera non è necessariamente compreso un passaggio o una comunicazione con ciò che sta oltre quello che include: la soglia mette in comunicazione due luoghi ed è sia confine che passaggio. La soglia non si manifesta solamente tra unità distinte, ma è riconoscibile anche tra entità omogenee, può essere di natura fisica naturale come i corsi dei fiumi o le linee costiere, ma anche di origine antropica come le grandi infrastrutture viarie. In tutti e due i casi assume una duplice valenza: da una parte ordina lo spazio dall’altra parte forma bordi e rafforza le unità. Nella progettazione della città contemporanea assistiamo alla dinamizzazione della soglia: profondi cambiamenti metropolitani in cui le delimitazioni geografiche, sociali e funzionali si indeboliscono. La soglia si disarticola, diviene discontinua nelle strutture insediative complesse e si insinua negli intervalli di labilità dei processi di variazione degli assetti dell’abitato, si mostra come momentaneo luogo di quiete nella perturbazione e riconosce i fenomeni stabili dagli instabili.

3.1.5 Frontiera/confine/soglia La frontiera si presenta come spazio ufficiale di separazione di territori e ideologie differenti, non solo li divide, ma vi si oppone. Tale opposizione cessa quando l’elemento politico ter-

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mina di esserci, nel nostro caso con la fine della Guerra Fredda e lo smantellamento della cortina, da questo preciso istante la frontiera non ha più alcuna valenza ufficiale. Il controllo militare termina e l’impermeabilità della linea cede il basso alla permeabilità convertendola in qualcosa d’altro. I territori della cortina di ferro diventano luoghi di passaggio e valicarli porta un individuo verso l’altro, verso l’alterità: significa includere invece di escludere, sperimentare l’ignoto, arricchire la propria esperienza. A seconda del grado di accessibilità, di accettazione e di interazione tra i due lati si possono riconoscere frontiere divenute confine e frontiere divenute soglia. Da una parte Il confine rappresenta infatti il limite inviolabile, la separazione tra due spazi limitrofi, ma soprattutto stabilisce che le proprietà sugli spazi coinvolti sono fruibili. Demarca il territorio, ma permette alle due parti di influenzarsi e di interagire reciprocamente. Sottintende la traccia della frontiera perché esso stesso rappresenta la linea di demarcazione presente nel territorio, ne è il testimone diretto. Si pone infatti come proiezione storica degli avvenimenti modificando l’interazione dei luoghi limitrofi con l’uomo e contribuendo a mantenerne le peculiarità. Passando da frontiera a confine, il riscatto è limitato (non so se sia il termine più appropriato) poiché si tratta di un cambiamento puramente basato sul passato, si identificano luoghi eterei schiavi volontari o involontari delle precedenti differenziazioni. Dall’altra parte la soglia è cortina frangibile tra decifrabilità e indecifrabilità dei valori,

Limite

Frontiera

Confine

Soglia

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dei contenuti, dei significati decretando stati diversi dei luoghi. Ritroviamo qui il grado di apertura maggiore perché interpreta il concetto di limite nel segno di demarcazione tra lo spazio incluso e lo spazio escluso, tra luoghi abitati e distese inabitate. E’ il nocciolo creatore di trasformazioni: in primis assume una configurazione coincidente con il concetto di limite, successivamente appare come intervallo tra parti: un meccanismo separatore. La soglia divide ed unisce, mentre al contempo è sia separazione che ricongiungimento e riceve riconoscibilità dal discontinuo. Il concetto di soglia e anche quello di non-luogo diventano i motori per una nuova ricerca architettonica volta a decifrare la città del frammento e a realizzare politiche che possano ridarle un’identità. Lungo le sezioni di avvicinamento e allontanamento, attraverso le variazioni di quantità e qualità le soglie danno luogo a caratteristici punti di attesa, dove massime si rivelano le potenzialità latenti. A conclusione di queste riflessioni, la soglia diviene il punto di indifferenza tra dentro e fuori, quel punto dello spazio in cui lo spazio stesso non trova limite: questi luoghi si presentano come manifesto del ricordo e del tempo che fugge e che trasforma, luoghi da preservare, luoghi che siano testimonianza della storia, che siano traccia della storia e dell’agire umano.

3.2 I confini entropici 3.2.1 Gli spazi residuali Con lo smantellamento della cortina di ferro il concetto di limite si ripropone, poichè nello spazio questo si allarga e assume una superficie diventando poroso e mutevole. La linea si sviluppa passando ad un grado superiore: si piega, si spezza, genera spazi d’ombra, spessori abitabili e pieghe. Si relaziona all’intorno e vi si fonde diventando margine urbano, che rappresenta il luogo dove la linea si ispessisce, si simbolizza, diviene luogo di transito e di transizione delle fasce che giacciono sui suoi bordi: è lo spazio vuoto su cui poter lavorare e al contempo è la fascia di transizione che mette in relazione uno stato all’altro. Non sempre la condizione marginale di un luogo è sancita dalla sua posizione geografica, tuttavia rimanda d’obbligo ad un senso di esclusione rispetto ad un punto centrale di riferimento, non mostrandosi più come qualcosa che si colloca in posizione periferica, ma come qualcosa che è nella condizione di periferia. Il riproporsi di questi spazi marginali e allo stesso tempo residuali delinea spazi potenzialmente privilegiati, che possono aspirare e partecipare alla riqualificazione della città o in sfera più ampia del territorio stesso. Kevin Lynch delinea le peculiarità degli spazi residuali in questo modo: “In queste riflessioni

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scopriamo, forse con sorpresa, che alcune di queste cose hanno un futuro plausibile. Impariamo che le strutture che guardano al futuro possiedono caratteri particolari: una scala modesta, bassa densità e altezza, abbondante spazio aperto interno ed esterno, parti separabili, costruzione “rappezzabile”, estesi e connessi reticoli. Le autostrade, gli aeroporti e perfino le ferrovie sotterranee riportano un buon punteggio; i garage da parcheggi e i grattacieli sembrano piuttosto dei disastri” (K. Lynch, Deperire. Rifiuti e spreco nella vita di uomini e città, Cuen, Napoli 1992.) Ed è proprio il passaggio da limite, inteso come frontiera, a confine o soglia a dare inizio alla ridefinizione di questi territori ed ad una loro categorizzazione. Attualmente lungo la ex cortina di ferro si presentano differenti tipologie di spazi: alle vaste aree verdi, volte alla conservazione della linea attraverso la Green Belt, si alternano aree abitate dove l’antropizzazione è avvenuta in maniera per lo più invasiva e continua generando un maggior stato di disordine e indifferenziazione. Analizzando tali spazi si delineano tre principali macrocategorie che, interagendo tra loro, implicano differenti declinazioni.

3.2.1.1 Gli spazi preservati Vi sono spazi preservati caratterizzati da una forte monumentalità e un profondo attaccamento al passato, in questo caso la frontiera diviene un confine ben marcato, seppur permeabile. Il mantenimento sostanziale dello stato di divisione conserva buona parte degli aspetti morfologici e culturali, riducendo al minimo le interazioni tra le due parti. Tali condizioni sono pertanto interessate da un grado di entropia basso: lo scambio infatti è minimo e i territori presentano una disomogeneità di fondo fortemente radicata nella storia. La motivazione principale di questa condizione risiede nella volontà dei cittadini di non accettare il cambiamento portato dalla demolizione della cortina di ferro. Un chiaro esempio è il paesino di Modlareuth (foto 2) dove i marcatori che segnalavano la divisione sono ancor oggi presenti attivi e pure l’amministrazione ha due referenze: quella Est e quella Ovest.

Nel dicembre 1989, un mese dopo la caduta del muro di Berlino, più di 300 ambientalisti della Repubblica democratica tedesca e della Repubblica federale tedesca avviarono i primi progetti di salvaguardia della cortina che diventarono successivamente un interesse a livello europeo. Tale percorso conservativo culminò nell’European Green Belt, ovvero un movimento popolare volto alla manutenzione della natura e allo sviluppo sostenibile delle zone della ex cortina di ferro e patrocinato dall’Unione Internazionale per la Conservazione

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della Natura. Questa nuova restituzione degli spazi verdi ha portato alla definizione di una soglia il cui alto grado di apertura tra le due parti ha permesso un’interazione completa, sancita dal permeare inesorabile della vegetazione che ha conformato i due versanti, ricomprendo le lunghe recinzioni che per anni divisero l’Europa. Il flusso entropico che attraversa questi territori è continuo proprio perché sono territori in perenne trasformazione, plasmati dalla natura e dal tempo ma che preservano il fatto di essere stati luoghi di divisione. Osservando la foto 4, il tracciato dell’ex cortina di ferro è ben visibile. La nuova cintura verde si pone infatti come suo alter ego pacifico senza cancellarlo e senza dimenticarlo ma valorizzandone il ricordo. E’ un preservare cosciente, frutto di una volontà collettiva europea che ne integra il nuovo utilizzo con la memoria. Per meglio comprendere questa declinazione spaziale, prendiamo come esempio il Lago Schaal (foto 5). In questo caso siamo di fronte ad un’area preservata, ma sottoposta ad una modifica antropologicamente invisibile. Durante il conflitto la cortina passava esattamente nel mezzo del lago vietando il passaggio delle rotte navali da una riva all’altra, con il suo abbattimento l’amministrazione locale decise di modificarne le rotte mettendo in comunicazione i due lati. Il paesaggio si è quindi conservato subendo tuttavia un cambiamento importante anche se implicito.

3.2.1.2 Spazi abbandonati I luoghi di confine politico e militare sono rappresentati dagli ampi spazi che accolgono le infrastrutture doganali presenti lungo la linea di valico, dove ormai gli edifici di frontiera sono abbandonati e in fase di degrado per il venir meno della cortina di ferro. Questi rappresentano prodotti isolati che facevano parte di sistemi politico-amministrativi, residui di un’organizzazione obsoleta che non ha più ragione di esistere; i varchi di frontiera risultano ormai privi di ruolo, si presentano come l’insieme di fabbricati minori ed eterogenei che delineano un luogo svuotato dalle proprie originarie funzioni. Il limite si ripropone come soglia, il preservare di questi luoghi abbandonati non ha una volontà sociale ma semplicemente una mancanza di gestione amministrativa. In questa nuova condizione si definiscono come dei monumenti che fanno ormai parte di un nuovo paesaggio, inglobati nella natura e riconsegnati in una diversa realtà. Il livello entropico è stabilito dal permeare incessabile del tempo che indifferentemente li plasma in nuovi spazi. A Priwall (foto 3), in Germania, la spiaggia, all’epoca area di controllo, è oggi in completo stato d’abbandono, come la torre di controllo che la sovrasta. Completamente privata del proprio ruolo militare, la costruzione appare quasi fuori luogo in questo attuale contesto naturale testimoniando, tuttavia, il ricordo dell’ex cortina di ferro.

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3.2.1.3 Gli spazi rigenerati La volontà di ricordare è un chiaro intento degli spazi museali, porzioni di territorio dove la cortina è totalmente conservata in ricordo della frontiera che divise l’Europa in due. In questo caso la realtà in cui sono inseriti non è obbligatoriamente una realtà “congelata”, restia al mutamento e all’integrazione: semplicemente certi tratti ed edifici militari sono stati preservati per non dimenticare, in quanto cimeli di una storia ingombrante che per sempre inciderà sulla storia del paese. Un caso interessante è il Checkpoint Alpha (foto 7), il più grande valico della frontiera tedesca, che attualmente si presenta allo stato originario ed ospita al suo interno un museo. Sono territori artificiali caratterizzati da un’entropia elevata, poichè l’aspetto esteriore è rimasto lo stesso, ma il luogo non è più un luogo di divisione quanto di integrazione e di memoria. Per via di questi presupposti si tratta di spazi interconnessi generati non più da una frontiera ma da una soglia.

La riconversione dei territori militarizzati ha manifestato l’origine residuale di questi luoghi di confine che si palesano come spazi interclusi da rigenerare oppure vuoti da preservare per tener viva la memoria. Nel capitoli precedenti abbiamo spiegato che, a seguito dello smantellamento della cortina di ferro, la frontiera è divenuta confine o soglia definendo differenti livelli di modificazione che sottintendendo differenti gradi di entropia. L’essere luoghi limite di due parti per tempo divise li pone, infatti, come spazi entropici di interazione determinandone diverse modalità di restituzione. Lungo la cortina si incontrano spazi in cui la frontiera si è convertita in soglia, l’ampia apertura tra i due lati ha permesso un confluire reciproco stabilendo nuovi assetti territoriali. Tali presupposti hanno reso possibile cambiamenti parziali o totali dei luoghi interessanti che si sono resi protagonisti indiscussi di questa nuova restituzione senza, tuttavia, dimenticare o cancellare la portata storica ma integrandola, come parte fondamentale, nella loro rifondazione. In questi casi il continuo flusso da una parte all’altra e la profonda omologazione tra i due fronti caratterizza una propensione al cambiamento segno di un’alta entropia. L’esempio emblema di questa sottocategoria è senz’altro Berlino (foto 14), attualmente la città ha cancellato gran parte delle differenze tra le due e ha mantenuto porzioni di muro a testimonianza del della cortina di ferro che la squarciò durante la Guerra Fredda.

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1. SPAZIO PRESERVATO Gmünd e České Velenice sono due città divise dal confine tra Austria e Repubblica Ceca. La divisione durante la Guerra Fredda ha portato a una forte diversificazione dei due comuni: Gmünd è una città di turismo, grazie al suo centro storico del borgo e alle famose terme, mentre České Velenice è una cittadina povera che sopravvive grazie ad attività a basso rendimento.

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SPAZIO PRESERVATO

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2. SPAZIO PRESERVATO Mödlareuth (Germania), un paese diviso per oltre trent’anni, allo stato attuale presenta due scuole, due chiese, due CAP, due targhe.

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3. SPAZIO ABBANDONATO Priwall (Germania). La spiaggia di questa città durante la guerra fredda era controllata militarmente tramite torretta e recinzioni per evitare gli sbarchi via mare dei fuggitivi che arrivavano dalla Germania dell’est. Oggi la spiaggia viene utilizzata pochissimo, anche per il clima difficile, e le rovine delle costruzioni militari sono rimaste intatte.

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4. SPAZIO PRESERVATO Buona parte della cortina di ferro è stata oggi inglobata e trasformata dalla vegetazione, dando vita ad ampie aree naturali. Molti di questi territori rimangono intoccati dall’uomo, alcuni addirittura tutelati così come si sono trasformati spontaneamente.

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5. SPAZIO PRESERVATO Il Lago Schaal (Germania), dove il paesaggio è rimasto il medesimo, ma l’uomo ha modificato le rotte navali che ora vanno da sponda a sponda (durante la guerra arrivavano fino alla linea di confine che giaceva alla metà del lago), il cambiamento non è tangibile ma è presente.

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6. SPAZIO RIGENERATO Schlagsdorf (Germania). Nel periodo comunista Schlagsdorf era nel mezzo della zona riservata e poteva esser raggiungo solo grazie a dei permessi speciali. Alcune aree sono state conservare in ricordo della frontiera che divise la cittadina.

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7. SPAZIO RIGENERATO Il confine Helmstedt-Marienborn – Checkpoint Alpha (Germania). E’ stato il più grande valico della frontiera Germania Est – Germania Ovest. Attualmente è divenuto un memoriale con mostre e visite guidate mentre gli edifici della Germania Ovest vicino a Helmstedt sono stati demoliti o riutilizzati.

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8. SPAZIO RIGENERATO Il valico di Wurzenpass (Austria-Slovenia) conserva attualmente un ex caserma militare e la dogana.

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9. SPAZIO RIGENERATO Confine tra Zicherie e Böckwitz (Germania). Sono due paesi contigui in mezzo ai quali, durante la Guerra Fredda, passò la cortina di ferro. Ad oggi parte della recinzione è rimasta e la vita delle due cittadine è ordinaria.

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10. SPAZIO RIGENERATO Chvalovice (Repubblica Ceca). Excalibur City, un parco divertimenti, sorge a poche centinaia di metri dal confine tra Repubblica Ceca e Austria. Durante il conflitto questa area era controllata militarmente e nelle vicinanze la pianura era attraversata dalla barriera della cortina.

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11. SPAZIO RIGENERATO Sopron è una città dell’Ungheria nord-occidentale. Essa crea un enclave del territorio ungherese all’interno di quello austriaco. Per questa caratteristica durante la Guerra Fredda la città ne era svantaggiata dal punto di vista economico, poiché era un punto fortemente militarizzato e controllato, in cui l’economia difficilmente poteva svilupparsi. Il 19 agosto del 1989 presso la città ebbe luogo il “Picnic Paneuropeo”: circa 600 cittadini della Repubblica Democratica Tedesca fuggirono in Austria attraverso il confine. La fortuna di questa città sta nei prezzi molto competitivi dettati dalla politica economica Ungherese, inoltre la sua posizione attira molti austriaci.

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12. SPAZIO RIGENERATO

PRIMA

Steinstücken rappresentava un’exclave di Berlino Ovest, ovvero un settore di occupazione americano nel territorio della Germania Est. Dopo che la RDT nel 1951 tentò di annetterla al suo territorio di influenza, gli Stati Uniti decisero di vietare l’accesso degli abitanti della Germania orientale circostante. L’unico ingresso era possibile attraverso due posti di blocco e una strada lunga circa 1 km diretta a Berlino Ovest. Per le loro attività quotidiane i cittadini dovevano passare attraverso questi controlli tutti i santi giorni fino alla caduta del Muro. Dal 1961 Steinstücken divenne il centro di numerosi fughe fino a quando il regime comu

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SPAZIO RIGENERATO DOPO nista costruÏ un muro attorno alla cittadina per evitarle. Nel 1989 con la fine della divisione, le fortificazioni di confine vennero rimosse; ad oggi Steinstßcken e la strada rimangono parte di Berlino e nel frattempo la vita si è normalizzata ristabilendo i rapporti anche con la parte appartenente alla Germania Est.

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13. SPAZIO RIGENERATO

PRIMA

Il confine italo-slavo divide le due città di Gorizia (Italia) e Nova Gorica (Slovenia). E’ ancora presente la recinzione, eccetto che nella piazza transalpina: piazza in comune tra le due città, un tempo anch’essa divisa dalla barriera. Oggi il passaggio da una città all’altra è libero.

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SPAZIO RIGENERATO

DOPO

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14. SPAZIO RIGENERATO

PRIMA

Berlino, città simbolo della caduta della cortina. Ad oggi è una città internazionale e le due parti si sono unite. I segni della divisione storica sono indicanti dalla presenza di alcuni tratti del famoso muro. Possiamo vedere come la città sia cambiata lungo quella che era la linea de muro: dai tempo di J. F. Kennedy ad oggi; da quando il muro passava affianco alla Porta di Brandeburgo ai giorni nostri.

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SPAZIO RIGENERATO

DOPO

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SPAZIO RIGENERATO

PRIMA

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SPAZIO RIGENERATO

DOPO

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4. LA CORTINA DI FERRO: DALLA DEMOLIZIONE AD OGGI Sono passati ormai 25 anni dalla dismissione delle aree militari e dall’apertura dei due fronti; nonostante ciò il paese di Mödlareuth, oggi, presenta ancora molte differenze amministrative e locali: due CAP, prefissi differenti, gli abitanti votano separati ed i bambini vanno in scuole diverse. Nella parte turingia ci si saluta con la frase “Guten Tag”, nel parte bavarese con “Grüß Gott”. Questa convivenza tra alterità comporta un coinvolgimento storico maggiore: la linea di confine diventa senz’altro una traccia storica, ma al contempo svolge ancora una funzione separatrice nelle menti dei cittadini innalzandone l’entropia sociale del luogo. La linea incisa nella terra, che segna tutta la cortina di ferro, ha un profondo valore storico, è la traccia che permette di ricordare e che col tempo ha trasformato interi territori e interi paesi. Le vicende di questi spazi sono connessioni indefinite di fattori rari e di imprevisti disordini. Essi sono governati da un continuo desiderio di mutamento che comporta un’incontrollabile dispersione di energia portando ad un disordine e quindi ad un aumento d’entropia. Nel caso di Mödlareuth, la linea di frontiera è ancor oggi ricordata, per volontà dei cittadini, dalla salvaguardia di un tratto della barriera che campeggiava al centro di un prato. Inoltre, altro monumento alla memoria pervenuto è la torretta di guardia da cui veniva controllata la situazione attorno al confine. I luoghi di confine e di margine della “cortina di ferro” hanno ognuno un’origine, una storia e uno sviluppo proprio. È importante notare come i maggiori cambiamenti, al termine della guerra, avvengono sì nelle grandi città come Berlino, dove il muro viene riqualificato e rigenerato, ma anche e soprattutto nelle piccole cittadine lungo il confine, dove questi cambiamenti sono da ricercare non tanto nella natura fisica e formale del luogo, quanto più nella modalità in cui gli abitanti vivono il luogo, l’ambiente circostante e il linguaggio entropico che si genera tra uomo e natura.

4.1 I confini entropici: da spazio di divisione a nuova soglia europea Le sei sezioni prese in analisi sono tutte accomunate dal passaggio nei loro ambienti della cortina di ferro, ma ciascuna di esse si differenzia a volte anche solo per piccoli particolari, che le rendono per forza di cose uniche nel loro genere. Le diverse tipologie di paesaggio riscontrate vanno dalla grande città di Berlino, passando per città di media grandezza come Gorizia o vie di mezzo tra cittadine e paesi come Mödlareuth e Gmünd e České Velenice, fino ad arrivare ad ambienti totalmente naturali come il lago Shaal o il Wurzenpass. Questa profonda diversità morfologica e tipologica intrinseca nei luoghi analizzati permette sia di studiare in modo più completo la storia e la memoria dei luoghi della cortina di ferro,

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ma anche di valutare l’analisi entropica come una tipologia di indagine che consente di comprendere in modo approfondito numerose varietà di paesaggio e relazionare queste indagini al limite: soglia o confine. I paesaggi più intatti, come quelli del lago Schaal, nella loro dimensione hanno comunque subito una modifica, come quella apportata alle rotte di navigazione, che in seguito alla Guerra Fredda sono cambiate rispetto a quelle storiche utilizzate precedentemente il conflitto. Lungo la cortina di ferro i territori sono quasi mai completamente freddi entropicamente, ma riservano caratteristiche e modifiche che li rendono, in alcuni casi, più caldi. Così il limite si trasforma, da confine non permeabile nella sua interezza, salvo qualche eccezione, a soglia, permeabile, in cui scambi avvengono in quanto elementi spaziali, geopolitici e temporali sono le impronte che la cortina di ferro ha lasciato sul territorio e che lo rende caldo, in cui il disordine aumenta, in cui c’è spontaneo scambio attraverso la soglia. Nelle successive schede descrittive abbiamo raggruppato i differenti aspetti in tre macrocategorie: ELEMENTI SPAZIALI: consistenza della cortina spazio costruito spazio aperto infrastrutture ELEMENTI GEOPOLITICI: aspetti sociali e politici lingua religione valuta educazione - cultura economia ELEMENTI DELLA MEMORIA: muro (parti ancora intatte della barriera) e strutture militari musei e monumenti

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4.1.1 Mödlareuth Mödlareuth è un paese con circa 50 abitanti sul confine tra la Baviera e la Turingia che ha una particolarità: è diviso da più di quattrocento anni in una parte bavarese ed in una parte turingia. Quando l’Europa venne spaccata in due dalla Guerra Fredda la parte bavarese rientrò nella Germania ovest mentre quella turingiana nella Germania est. Il confine della “cortina di ferro” attraversò il paese per quarantuno anni, alla fine dei quali i due paesi concessero agli abitanti dell’uno e dell’altro il passaggio dall’altra parte, senza però mai perdere la propria identità, che si era consolidata da molto più tempo rispetto a quanto fosse stato possibile in altre città e centri urbani divisi dalla cortina. Il paese, quindi, pur mantenendo formalmente la libertà di transito da una parte all’altra, vede nei suoi abitanti il maggior ostacolo alla riunificazione: l’abitudine e il consolidamento delle usanze fanno sì che la popolazione sia sempre stata dotata di due chiese, due scuole, due CAP, due prefissi telefonici e due tipologie di targhe automobilistiche. Un tratto della barriera di confine è ancora oggi rimasto intatto per il volere della popolazione: questo sottolinea ancora di più come la storia di quegli anni non abbia fatto che aumentare la convinzione del distaccamento e delle innumerevoli possibilità di vita che possono nascere all’interno di un unico centro urbano originario.

ELEMENTO SPAZIALE

ELEMENTO GEOPOLITICO ELEMENTO DI MEMORIA

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STATO PRECEDENTE: Dal 1952 la Repubblica Democratica Tedesca cominciò a costruire sbarramenti lungo il suo confine per ostacolare le fughe dei propri cittadini. Nel 1966 venne innalzato un muro in blocchi di calcestruzzo, le autorità della Repubblica Democratica Tedesca decisero infatti di rafforzare il confine, precedentemente segnato solo da filo spinato. STATO ATTUALE: La cittadina è attualmente posizionata in area prevalentemente rurale e non è stata soggetta ad una grande espansione senza andare ad occupare e sfruttare grandi porzioni di territorio naturale. Oggi buona parte del turismo è dovuto all’incremento delle attività all’aperto: le piste ciclabili, i boschi e i sentieri attraggono molti villeggianti. DA SPAZIO DI DIVISIONE A NUOVA SOGLIA: I marcatori che segnalano quella fu che la divisione spaziale del paese sono presenti ed arrivi ancora oggi: le due scuole e le due chiese, una per il ramo bavarese e l’altra per quello turingiano. Geopoliticamente, l’attuale suddivisone amministrativa del paese è segnalata dalla presenza di due CAP, due prefissi telefonici e due targhe per le auto. Ad oggi un tratto della barriera di confine è rimasto intatto per volere degli abitanti delle due Mödlareuth, in ricordo della lunga e dolorosa scissione. Vicino vi è pure la torre di guardia dove le guardie tedesco-orientali

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controllavano il confine. Il paese rappresenta uno spazio pressoché preservato, contraddistinto da una forte attaccamento al passato e dalla mancanza di volontà di cambiamento. In questo caso è ancora troppo presto per parlare di soglia, la cortina non c’è più ma al suo posto vi è un confine mentale ben radicato nei cittadini che si riflette in un confine spaziale.

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ELEMETI SPAZIALI

prima

dopo

LA CONSISTENZA DELLA CORTINA La cortina viene quasi del tutto demolita e non è più una barriera fisica

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prima

dopo

SPAZIO COSTRUITO Il costruito non cambia in seguito alla demolizione della cortina

SPAZIO APERTO La morfologia dello spazio aperto non cambia in seguito alla demolizione della cortina

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prima

dopo

INFRASTRUTTURE Gli spazi di relazione, interrotti durante il conflitto, sono stati connessi

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ELEMENTI GEOPOLITICI

prima

dopo

ELEMENTO SOCIALE Nonostante la demolizione della cortina l’interazione tra le due parti è minima

LINGUA La lingua di stato è sempre stata il Tedesco; nelle due parti si sono sviluppati due dialetti differenti che rimangono ancora oggi

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prima

dopo

RELIGIONE Durante la guerra fredda la professione di una religione cristiana in Germania dell’Est non era ben vista; oggi invece non c’è più questa discriminazione

VALUTA Durante la divisione della Germania venivano usate due monete differenti (Marco tedesco e Marco della DDR); ad oggi la moneta è unica e comune alle due parti (Euro)

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prima

dopo

EDUCAZIONE - CULTURA In seguito alla divisione sono state costruite due scuole differenti; ancora oggi i bambini continuano a frequentare la rispettiva scuola in base alla residenza

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ELEMETI DELLA MEMORIA

prima

dopo

MURO - STRUTTURE MILITARI Dopo la demolizione della cortina rimangono come elementi di memoria la torretta e la porzione intatta di muro

MUSEI - MONUMENTI In seguito alla caduta della cortina è stato istituito un museo per far visitare i luoghi della guerra e della divisione

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4.1.2 Gmünd e České Velenice Gmünd è una città di 5.376 abitanti della Bassa Austria mentre České Velenice è una città della Repubblica Ceca facente parte del distretto di Jindřichův Hradec, nella regione della Boemia meridionale. Una vicenda particolare lega questi due centri urbani. Inizialmente parte di un unico centro urbano della Boemia meridionale, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, quando la mappa europea fu completamente ridisegnata, la parte nord-occidentale di Gmünd passò al nuovo stato della Cecoslovacchia, modificando il nome e la nazionalità dei suoi abitanti. La divisione che avvenne con la costruzione della “cortina” vede le sue conseguenze anche nella contemporaneità, poiché i due centri urbani tuttora esistenti sono caratterizzati da differenze non solo morfologiche, ma anche politiche, culturali e sociali: infatti, all’immagine della città turistica di Gmünd, con le terme, il centro storico e il vicino parco naturale del Blockheide, si contrappone un indefinito mosaico fatto di piccoli casinò, palazzine di epoca comunista, locali a luci rosse e altre attività a basso rendimento.

ELEMENTO SPAZIALE

STATO PRECEDENTE: Inizialmente esisteva un unico centro urbano, ma in seguito alla redistribuzione dei territori dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, la parte nord-occidentale di Gmünd, quella che oggi è České Velenice, passò alla neonata Cecoslovacchia.

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STATO ATTUALE: Oggi le due città sono divise dalla frontiera tra Austria e Repubblica Ceca. Gmünd è una città di turismo, grazie al suo centro storico del borgo e alle famose terme; České Velenice è una cittadina povera che sopravvive grazie ad attività a basso rendimento. DA SPAZIO DI DIVISIONE A NUOVA SOGLIA: Lo stacco tra i due lati del confine è drastico, persino violento. La divisione del centro urbano ha portato a una diversificazione della morfologia dei due lati del confine. All’immagine di Gmünd, con le terme, il centro storico e il vicino parco naturale del Blockheide, si contrappone un indefinito mosaico fatto di piccoli casinò, palazzine di epoca comunista, baracche, pompe di benzina che praticano tariffe economiche, chioschi che vendono sigarette. Dal punto di vista geopolitico, la differenza sta nella tipologia di attività nate in queste due cittadine. Se Gmünd attrae i cechi con i servizi termali e il suo centro storico, České Velenice mette sul piatto casinò, locali a luci rosse e piccole botteghe. Unica eccezione è Access, l’area industriale transfrontaliera da 83 ettari che sorge a cavallo tra le due città e tra i due stati. La condizione di queste due cittadine è molto simili a quella di Mödlareuth, la poca volontà di rigenerarsi e il confine (Austria–Repubblica Ceca) hanno rafforzato il mantenimento della divisione. I due fronti mostrano ancora oggi molte diversità, con-

ELEMENTO SPAZIALE

ELEMENTO GEOPOLITICO

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servando lo spirito degli anni della Guerra Fredda e mantenendo cosÏ anche le differenze economiche tra le due città . In questo caso la frontiera si è ridefinita confine.

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ELEMETI SPAZIALI

prima

dopo

LA CONSISTENZA DELLA CORTINA La cortina viene del tutto demolita; non c’è più la barriera fisica

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prima

dopo

SPAZIO COSTRUITO Il costruito non cambia in seguito alla demolizione della cortina

SPAZIO APERTO Durante la guerra fredda si è formato un piccolo bosco dal lato ceco, che ora divide le due città ; inoltre alcuni terreni austriaci sono stati coltivati in seguito alla caduta della cortina

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prima

dopo

INFRASTRUTTURE Gli spazi di relazione rimangono gli stessi esistenti ai tempi della cortina

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ELEMENTI GEOPOLITICI

prima

dopo

ELEMENTO SOCIALE Nonostante la demolizione della cortina l’interazione tra le due parti è minima

LINGUA Le lingue parlate nei due stati erano e sono tuttora differenti (Tedesco e Ceco)

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prima

dopo

RELIGIONE Non c’è stato un cambiamento riguardante le religioni praticate, l’Austria è maggiormente cattolica, la Rep. Ceca è soprattutto non professante

VALUTA Durante la divisione venivano usate due monete differenti (Scellino austriaco e Corona cecoslovacca); ancora oggi vengono usate monete differenti (Euro e Corona ceca)

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prima

dopo

EDUCAZIONE - CULTURA Educazione e cultura erano e sono tuttora differenti

ECONOMIA Durante la guerra fredda gli scambi erano vietati, ad oggi, le differenze economiche tra i due comuni sono le stesse, ma c’è libera circolazione di merci

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ELEMETI DELLA MEMORIA

prima

dopo

MURO - STRUTTURE MILITARI Dopo la demolizione della cortina non sono rimasti elementi della memoria eccetto una torretta dalla parte austriaca del confine

MONUMENTI Dopo la caduta della cortina è rimasta soltanto una torretta a testimonianza della guerra fredda

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4.1.3 Bioparco del lago Schaal Il lago Schaal è un lago tedesco situato nella parte settentrionale della Germania, tra i Bundesländer di Schleswig-Holstein e Meclemburgo-Pomerania Anteriore, nel mezzo della vasta area triangolare situata tra Amburgo, Lubecca e Schwerin. Una destino diverso è spettato ai luoghi intorno al Lago Schaal, situato nel triangolo tedesco tra Amburgo, Lubecca e Schwerin. La “cortina di ferro” era stata posizionata proprio al centro di questo bacino, impedendo il trasbordo delle imbarcazioni da una riva all’altra del lago e modificando quindi le rotte navali e gli scambi commerciali che avvenivano in partenza in quella zona. L’azione dell’uomo sembra quasi che si sia interrotta improvvisamente dopo la costruzione della cortina, così che il luogo ha potuto mutare le sue sembianze e cominciare a creare un habitat del tutto eterogeneo che, successivamente alla caduta della cortina, nel 2000 è stato dichiarato dall’UNESCO riserva della biosfera. Tutt’oggi l’uomo ha deciso di non ritornare alle abitudini precedenti alla Guerra Fredda, sono state istituite nuove rotte per la navigazione che connettono le due sponde, tornando a un collegamento che è mancato durante il conflitto.

ELEMENTO SPAZIALE

STATO PRECEDENTE: Durante la Guerra Fredda queste aree sono rimaste quasi del tutto abbandonate e poco frequentate dalla popolazione limitrofa; la

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natura è cresciuta incontrollata nella gran parte del territorio. STATO ATTUALE: Si è formata una vegetazione che ora caratterizza il bioparco, dal 2000 riserva dell’UNESCO, attirando turisti e riattivando la zona circostante il lago, precedentemente abbandonata a causa della guerra. DA SPAZIO DI DIVISIONE A NUOVA SOGLIA: L’intero bioparco e le rive del lago Schaal sono caratterizzate dalla presenza di una vegetazione spontanea. Per anni, durante Guerra Fredda, in questa area gli spostamenti in acqua e a terra sono molto diminuiti e ciò ha favorito la crescita di una vegetazione folta e poco controllata che oggi è invece curata e al tempo stesso tutelata nella sua bellezza. Segno geopolitico sul territorio è il cambiamento delle rotte navali del lago: dopo la fine della Guerra Fredda le rotte non sono state ripristinate a quelle precedenti il conflitto, ma sono cambiate nuovamente. Il fatto che non ci siano più queste rotte storiche è segno entropico rimasto ancora oggi, riscontrabile sia navigando che sulle carte navali del lago. La possibilità di raggiungere la sponda opposta grazie alle nuove rotte navali ha reso possibile una maggior apertura dell’ex confine, che si ripropone come soglia e punto di contatto tra le due parti. Il paesaggio si è preservato nella sua naturalità, le modificazioni avvenute negli anni non sono tangibili.

ELEMENTO SPAZIALE

ELEMENTO GEOPOLITICO

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ELEMETI SPAZIALI

prima

dopo

LA CONSISTENZA DELLA CORTINA La cortina viene quasi del tutto demolita e non è più una barriera fisica

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prima

dopo

SPAZIO COSTRUITO Il costruito non cambia in seguito alla demolizione della cortina, per il fatto che l’intera area ad oggi è riserva dell’UNESCO e non è più stato possibile costruirci

SPAZIO APERTO Dopo la caduta della cortina alcuni terreni sono stati coltivati e lungo la costa la natura è cresciuta incontrollata

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prima

dopo

INFRASTRUTTURE Gli spazi di relazione non sono cambiati in seguito alla demolizione della cortina, ma sono cambiate le rotte del lago permettendo l’attraversamento da sponda a sponda

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ELEMENTI GEOPOLITICI

prima

dopo

ELEMENTO SOCIALE In seguito alla demolizione della cortina l’interazione tra le due parti è aumentata radicalmente

LINGUA La lingua di stato è sempre stata il Tedesco

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prima

dopo

VALUTA Durante la divisione della Germania venivano usate due monete differenti (Marco tedesco e Marco della DDR); ad oggi la moneta è unica e comune alle due parti (Euro)

ECONOMIA Durante la divisione della Germania i collegamenti navali tra le due sponde sono stati interrotti; in seguito alla fine del conflitto sono state tracciate nuove rotte di collegamento

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ELEMETI DELLA MEMORIA

prima

dopo

MURO - STRUTTURE MILITARI Dopo la demolizione della cortina non sono rimasti elementi di memoria

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4.1.4 Wurzenpass Il Wurzenpass è uno dei passi più importanti della catena montuosa della Caravanche, collegamento tra l’Austria e la Slovenia, a pochi confini dal confine italo-sloveno. Durante la Guerra Fredda, questo luogo era considerato un punto strategico di sosta militare nonché zona di divisione e di passaggio della cortina. STATO PRECEDENTE: Ai tempi della Guerra Fredda questo passo di montagna, posto a poco più di mille metri d’altezza, era considerato un punto strategico, tanto che sul lato austriaco era stata posta una caserma dell’esercito. STATO ATTUALE: Oggi l’ex caserma ospita un museo. A poche spanne dal confine si può trovare un carro armato, sulla cui corazza si trovano tre scritte, una in lingua slava (Dragana volim te, Dragana ti amo), una in tedesco (Frank aus Cottbus war hier, Frank da Cottbus è stato qui) e un’altra nella nostra lingua (Viva Italia), a significare che il luogo si trovava al confine tra Austria, Slovenia e Italia DA SPAZIO DI DIVISIONE A NUOVA SOGLIA: Nelle immediate vicinanze del Wurzenpass si trova una ex caserma militare, ora adibita a museo. E’ ancora presente la struttura della dogana, precedentemente militarizza-

ELEMENTO DI MEMORIA

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ta. L’ex caserma e il carro armato abbandonato rimangono segni della divisione lungo quel passo. In questo caso la volontà di ricordare è ben visibile, gli spazi sono preservati come fossero monumenti, ma siamo di fronte ad un luogo non più di divisione ma di condivisione dove il ricordo viene integrato alla sua riconversione da frontiera a soglia. La caserma non svolge più il suo ruolo militare, al contrario attualmente è sede museale e riscontro di questo desiderio di conservazione unito al desiderio di trasformazione.

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ELEMETI SPAZIALI

prima

dopo

LA CONSISTENZA DELLA CORTINA La cortina viene del tutto demolita e non è più una barriera fisica; ora rimane solamente la dogana moderna

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prima

dopo

SPAZIO COSTRUITO Il costruito aumenta in piccola misura in seguito alla demolizione della cortina

SPAZIO APERTO La morfologia dello spazio aperto non cambia in seguito alla demolizione della cortina

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prima

dopo

INFRASTRUTTURE Gli spazi di relazione, interrotti durante il conflitto, sono stati connessi

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ELEMENTI GEOPOLITICI

prima

dopo

ELEMENTO SOCIALE In seguito alla demolizione della cortina l’interazione tra le due parti è aumentata; l’interazione tra le due parti non è elevata

LINGUA Le lingue parlate nei due stati erano e sono tuttora differenti (Tedesco e Slavo)

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prima

dopo

VALUTA Durante la divisione venivano usate due monete differenti (Scellino austriaco e Dinaro); ad oggi la moneta è uguale dalle due parti (Euro)

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ELEMETI DELLA MEMORIA

prima

dopo

MURO - STRUTTURE MILITARI Dopo la demolizione della cortina rimangono come elementi di memoria i bunker a nord del confine e un carro armato abbandonato

MUSEI - MONUMENTI In seguito alla caduta della cortina è stato istituito un museo nei bunker militari per far visitare i luoghi della guerra e della divisione

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4.1.5 Gorizia e Nova Gorica

ELEMENTO GEOPOLITICO

ELEMENTO SPAZIALE

Gorizia è un comune italiano di 35 114 abitanti, capoluogo dell’omonima provincia nel Friuli-Venezia Giulia. Per la sua posizione e per la sua storia, la città è uno dei punti di congiunzione fra il mondo latino, slavo e germanico. Nova Gorica (letteralmente “Nuova Gorizia”) è una città della Slovenia occidentale di 31 992 abitanti, controparte slovena di Gorizia. Il muro di Gorizia è una recinzione costituita da una base in calcestruzzo di 50 centimetri sormontata da una ringhiera di un metro e mezzo costruita nel 1947 e collocata lungo il confine italo-jugoslavo passante all’interno della città di Gorizia. Questo atto ebbe la conseguenza non solo di dividere la città in due, come era successo nella capitale tedesca, ma addirittura di portare alla fondazione di una seconda città, Nova Gorica, che doveva essere il simbolo della contrapposizione del differente progresso del mondo comunista e di quello capitalista. Attualmente, le due città si trovano in due stati differenti, accomunate ormai solamente dalla piazza Transalpina, divenuto uno dei simboli più importanti della separazione politica e ideologica tra l’Europa occidentale e l’Europa orientale. È interessante come questo luogo, nato come punto di arrivo e stazione passante della ferrovia, nodo nevralgico dello scambio e del contatto tra i popoli, abbia deciso, dopo la fine della guerra, di reinventarsi come piazza, simbolo di nascita e rinascita, culla della civiltà e inizio del legame tra i due popoli, a sottolineare come le culture

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differenti separate ai tempi della Guerra Fredda possano ora ricongiungersi e rimescolarsi mantenendo le loro identità particolari. Questo è possibile grazie alla collaborazione tra Italia e Slovenia, che hanno consentito il passaggio libero da una parte all’altra della piazza. STATO PRECEDENTE: Durante la Guerra Fredda, nel 1947 è stato innalzato il muro che passava in mezzo alla città di Gorizia, lungo il confine italo-jugoslavo. Sorse poi la città di Nova Gorica in contrapposizione alla città già esistente facente parte dell’Europa dell’Ovest. I passaggi da una parte all’altra del confine erano controllati da forze armate e ogni tentativo di fuga fermato e punito. STATO ATTUALE: Le città di Gorizia e Nova Gorica si trovano in due stati differenti, Italia e Slovenia. A separarle è il confine italo-slavo, ancora presente sotto forma di recinzione, fatta eccezione per la piazza transalpina, in cui la recinzione è stata rimossa; il passaggio da una parte all’altra è libero, grazie anche all’adesione, nel 2007, della Slovenia all’area Schengen. DA SPAZIO DI DIVISIONE A NUOVA SOGLIA: Segno spaziale importante della divisione di Gorizia da Nova Gorica è la piazza della Transalpina, che divenne uno dei simboli della separazione politico-ideologica tra

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ELEMENTO DI MEMORIA

l’Europa occidentale e quella orientale durante gli anni della Guerra Fredda. Anche la ferrovia accanto al quale passa il confine e passava rimane segno spaziale che indica il limite. La divisione in due comuni (Gorizia e Nova Gorica) e la nascita di Nova Gorica successivamente alla divisione attuata rimane un segno nel territorio, non solo dal punto di vista morfologico, con la presenza del confine italo-jugoslavo, ma anche dal punto di vista geopolitico, con una divisione di una città in due, con cittadinanze e nazionalità differenti che prima si ritrovavano mischiate. La parte ancora intatta di muro e la piazza Transalpina sono i segni territoriali che portano alla memoria dei turisti e degli abitanti delle due città gli avvenimenti riguardanti la separazione e la divisione imposta alla cittadinanza di Gorizia, che come quella di Berlino si è trovata divisa da un muro. Ad un primo sguardo potremmo considerarle due città ancora divise e aggrappate alla storia scritta dall’ex cortina di ferro, al contrario l’importanza attribuita alla piazza Transalpina, simbolo di unione e rinascita, sancisce la svolta e l’apertura tra i due fronti. La frontiera è ora soglia e stabilisce il riscatto verso una collaborazione che coinvolge due Stati: l’Italia da una parte e la Slovenia dall’altra.

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ELEMETI SPAZIALI

prima

dopo

LA CONSISTENZA DELLA CORTINA La barriera fisica viene mantenuta lungo il confine sotto forma di recinzione, ma viene demolita nella piazza Transalpina, divenuta monumento comune alle due cittĂ

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prima

dopo

SPAZIO COSTRUITO Il costruito non cambia in seguito alla demolizione della cortina

SPAZIO APERTO La morfologia dello spazio aperto non cambia in seguito alla demolizione della cortina

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prima

dopo

INFRASTRUTTURE Gli spazi di relazione, interrotti durante il conflitto, sono stati connessi

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ELEMENTI GEOPOLITICI

prima

dopo

ELEMENTO SOCIALE In seguito alla demolizione della cortina l’interazione tra le due parti è molto aumentata

LINGUA Le due lingue di stato erano differenti (Italiano e Slavo), in seguito alla demolizione della cortina a Nova Gorica si è diffuso l’italiano

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prima

dopo

RELIGIONE Durante la guerra fredda la professione di una religione cristiana in Europa dell’Est non era ben vista; oggi invece non c’è più questa discriminazione

VALUTA Durante la divisione venivano usate due monete differenti (Lira e Dinaro); ad oggi la moneta è uguale dalle due parti (Euro)

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prima

dopo

EDUCAZIONE - CULTURA Educazione e cultura rimangono separate, ma le due città organizzano manifestazioni culturali comuni

ECONOMIA Durante la guerra fredda gli scambi erano vietati, ad oggi, le differenze economiche tra i due comuni sono diminuite,; ad oggi c’è libera circolazione di merci

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ELEMETI DELLA MEMORIA

prima

dopo

MURO - STRUTTURE MILITARI Dopo la demolizione della cortina rimangono come elementi di memoria a piazza Transalpina e parti di recinzione intatte

MONUMENTI In seguito alla divisione è stata ricostruita la piazza Transalpina, monumento comune alle due cittĂ

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4.1.5 Berlino

ELEMENTO SPAZIALE

ELEMENTO DI MEMORIA

Berlino è la maggiore città e nel contempo un Bundesland della Germania, quindi una città-stato. Capitale federale della Repubblica Federale di Germania e sede del suo governo, è uno dei più importanti centri politici, culturali, scientifici, fieristici e mediatici d’Europa e, dopo Londra, il secondo comune più popoloso dell’Unione europea, con 3.562.166 abitanti. L’area metropolitana ha una superficie complessiva di 2.851 km² con 4.462.166 abitanti, mentre la regione metropolitana Berlino/Brandeburgo ha una superficie di 30.370 km² ed una popolazione di 6.024.000 abitanti (2012). Il muro divise in due la città di Berlino per 28 anni, dal 13 agosto del 1961 fino al 9 novembre 1989, giorno in cui il governo tedesco-orientale decretò l’apertura delle frontiere con la Repubblica Federale. Tra Berlino Ovest e Berlino Est la frontiera era fortificata da due muri paralleli di cemento armato, separati da una cosiddetta “striscia della morte” larga alcune decine di metri. La caduta del muro di Berlino aprì la strada per la riunificazione tedesca che fu formalmente conclusa il 3 ottobre 1990. A Berlino, un’importante parte del muro di Berlino, rimasto in posizione originale e non abbattuto per un tracciato complessivo di circa un chilometro, va a costituire il museo di arte contemporanea all’aperto dell’East Side Gallery: il museo è diventato in breve tempo un simbolo di libertà e di espressione artistica legato alla memoria storica della nazione, dell’Europa e del mondo.

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Considerata la più lunga galleria d’arte del mondo, la East Side Gallery era, ai tempi della Guerra Fredda, la parte di muro rivolta verso Berlino est che correva lungo il corso del fiume Sprea: proprio per questo in quel punto la barriera confinaria di supporto al muro risultava inutile, poiché il luogo era già munito di una barriera naturale e difficilmente valicabile. Per questo motivo l’attuale galleria d’arte rimase una delle poche parti di muro costruita e, alla fine della guerra, era anche l’unica porzione ad essere rimasta intatta e in ordine, motivo per cui la città di Berlino decise di mantenerla e di rigenerarla sotto forma di museo all’aperto. STATO PRECEDENTE: L’inizio della Guerra Fredda fu il Blocco di Berlino dal 24 giugno 1948 all’11 maggio 1949, efficacemente contrastato dal cosiddetto Ponte Aereo, il più grande trasporto umanitario della storia, messo in atto principalmente dagli Stati Uniti d’America e dalla Gran Bretagna. Il 13 agosto 1961 il governo della Germania Est – ottenuto il permesso da Mosca – innalzò il Muro di Berlino, per fermare la fuga in occidente dei propri cittadini. La ricostruzione edilizia e i piani di riassetto urbanistico sono pertanto pensati in funzione di questa barriera, prima soltanto ideologica, poi anche fisica, che sembrava non dover essere mai più rimossa. Per quarant’anni si sviluppano così due Berlino totalmente distinte, ognuna delle quali tende a costituirsi come rappresentativa del sistema politico-sociale di riferimento: a Est la capitale del socialismo reale nel cuore

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dell’Europa, a Ovest la vetrina del mondo occidentale in pieno blocco sovietico. La “caduta del Muro” nella tarda serata del 9 novembre 1989 rese possibile la Wiedervereinigung (riunificazione tedesca), con la quale Berlino è tornata ad essere la capitale della Germania unita. STATO ATTUALE: Berlino ad oggi è la maggiore città della Germania. Attualmente i segni della divisione storica sono le permanenze dei tratti di muro che un tempo dividevano la città, e che ora sono attrazioni turistiche e monumenti alla memoria storica di quegli avvenimenti. La capitale è una meta turistica molto ambita, con notevole incremento dei pernottamenti negli anni successivi alla riunificazione della città e in particolare dall’inizio del nuovo millennio. All’interesse internazionale per Berlino contribuiscono anche le nuove ed avveniristiche strutture architettoniche. DA SPAZIO DI DIVISIONE A NUOVA SOGLIA:

ELEMENTO SPAZIALE

Il muro è stato fisicamente distrutto quasi ovunque, ad eccezione di alcuni punti, più visitati dai turisti, che sono: una sezione di 80 metri vicino a Potsdamer Platz, una seconda, la più lunga, sulla riva della Sprea, vicino all’Oberbaumbrücke (L’East Side Gallery) ed una terza a nord in Bernauer Straße, che è stata trasformata in un memoriale nel 1999. Rimane ancora il Checkpoint Charlie in Friedrichstraße.

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ELEMENTO GEOPOLITICO

ELEMENTO GEOPOLITICO

mappa S-Bahn Berlino Est 1984

Attualmente la città di Berlino ha appianato gran parte di quelle che erano le differenze presenti tra le due parti ai tempi della Guerra Fredda, soprattutto grazie alla libertà di spostamento dei suoi cittadini da una parte all’altra del vecchio limite.. Il muro divideva 192 strade (97 tra le due parti della città e 95 tra Berlino Ovest e la DDR), 32 linee di tram, 8 linee di metropolitana di superficie (S-Bahn), 3 linee di metropolitana sotterranea (U-Bahn), 3 autostrade e numerosi fiumi e laghi. La caduta del muro cambiò considerevolmente i flussi di traffico della città. Adesso la città può essere percorsa liberamente da un estremo all’altro senza incontrare barriere o impedimenti. La popolazione è unica, non esistono più differenze, anzi negli anni c’è stato un grande sforzo da parte dei cittadini proprio per eliminarle. I segni del tempo e dell’agire umano che sono rimasti non solo i murales presenti sul muro ad opera di grandi artisti, ma anche interventi a scala maggiore come tutta Potsdamer Platz, costruita dove un tempo era presente il muro di confine. E’ ancora possibile vedere il famoso Checkpoint Charlie, nella stessa posizione in cui si trovava durante il conflitto. Interventi di questo tipo sono presenti in tutta la città e sono segni di quello che è l’agire dell’uomo, che non cancella la storia o la memoria del passato, ma le mantiene pur dando nuovo volto alla capitale.

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I GRANDI INTERVENTI DOPO IL 1989

ELEMENTO DI MEMORIA

mappa trasporti Berlino unita 1990

I grandi interventi dopo la caduta del muro sono aspetti che hanno cambiato enormemente la capitale dal punto di vista spaziale. Potsdamer Platz, situata a Ovest di Friedrichstadt è diventata nei primi anni del Novecento crocevia di comunicazioni. E’ stata caratterizzata da ospitare celebri caffè, ristoranti e alberghi sempre affollati da turisti e viaggiatori. In seguito ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale gli edifici della piazza e delle vicinanze ne sono rimasti gravemente danneggiati, alcune case completamente distrutte. La situazione è aggravata dalla particolare posizione del luogo, al confine fra le zone di occupazione sovietica e statunitense; la sua ricostruzione, in queste condizioni, è improponibile e il destino della piazza sarà anzi la sua totale cancellazione. Nel 1961, infatti, la costruzione del muro la divide in due e gli edifici ancora superstiti sono demoliti. Quando invece, alla fine degli anni Ottanta, il muro cade, sorge il problema su come ridare continuità, mediante l’architettura, alle aree corrispondenti al vuoto del muro. Fra le numerose proposte avanzate prevale quella della ricucitura puntuale del tessuto edilizio, mediante interventi che si riallacciano alla tradizione storica della città europea, fatta di isolati chiusi, alta densità insediativa ed edificazione continua lungo le strade. L’architetto italiano Renzo Piano (1937) viene scelto nel 1992 come vincitore del concorso internazionale per la ricostruzione di Potsdamer Platz e dell’area

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adiacente al Kulturforum. Il complesso accoglie funzioni diverse, da quella residenziale a quella culturale e commerciale; i blocchi edilizi sono disposti lungo le strade in modo da generare spazi che riprendono una tipologia di quartiere tradizionale. A Nord del complesso di Piano, negli stessi anni è stato costruito dall’architetto tedesco Helmut Jahn, il Sony Center, un centro commerciale che ripropone le superfici vitree del curtain wall e ha il suo centro in una piazza ovale coperta. I due complessi sono stilisticamente differenti, entrambi si affacciano sul nuovo asse che conduce alla Philarmonie e si concludono, a Est, su Potsdamer Platz con tre alte torri, progettate da Renzo Piano, Hans Kollhoff e Helmut Jahn. Il sistema urbanistico di Potsdamer Platz-Sony Center rappresenta forse il più importante tentativo di rifondazione totale di un polo culturale e commerciale nel cuore di una città europea. La Museuminsel è l’isola dei cinque musei (l’Altes Museum di Schinkel, il Neues Museum e l’Alte Nationalgalerie di Stüler, il Pergamon Museum e il Bode Museum), i quali, durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, avevano subito ingenti danni, anche se le opere d’arte erano state evacuate per tempo in luoghi diversi, in parte all’Est e in parte all’Ovest. Negli anni Sessanta il governo della RDT decide di restaurare parzialmente i musei e di riaprirli al pubblico con le collezioni rimaste in suo possesso. In seguito alla caduta del muro, il complesso dei musei diviene il tema di un concorso internazionale: gli obiettivi sono

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la ricostruzione del Neues Museum (il più danneggiato dai bombardamenti e mai riaperto), la creazione di un sistema di collegamenti tra i vari musei e la ricollocazione secondo nuovi criteri espositivi di tutte le collezioni finalmente riunificate. Il primo premio al concorso di primo grado va all’italiano Giorgio Grassi, che propone l’utilizzo di un materiale povero (il mattone a vista) per la ricostruzione dell’ala distrutta del Neues Museum e per un nuovo edificio di collegamento posto davanti a questo. La proposta di Frank O. Gehry è di diversa natura: colloca davanti ai musei ottecenteschi una serie di padiglioni dalle forme organiche. I materiali di rivestimento sono vari, mentre le gallerie di collegamento sono in vetro. Un grande cubo di vetro scuro svolge la funzione di accoglienza, mentre un altro padiglione penetra letteralmente nel fianco l’Altes Museum. Nonostante numerosi apprezzamenti, questo progetto si classifica solo quarto. David Chipperfield vince il concorso di secondo grado; il suo progetto comprende un percorso, in parte sotterraneo, che collega fra loro tutti i musei a eccezione della Alte Nationalgalerie, e un nuovo padiglione vetrato, da realizzare davanti al Neues Museum, in cui si concentrano i servizi del complesso. Pone inoltre un padiglione vetrato dalle forme geometriche di fronte al Pergamon Museum. Il delicato intervento sui resti del Neues Museum consiste nel restauro delle strutture superstiti e nella ricostruzione delle parti distrutte, in forme moderne ma in assonanza con l’edificio originario.

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Già dal 1949, con la fondazione della RDT, si era discusso sulle sorti della Schloßplatz e del Castello di Berlino, rimasto danneggiato dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Nel 1951 viene presa la decisione di demolire il castello, sia per motivi ideologici, poiché considerato «simbolo decadente del passato militarista prussiano, sia per evitare un impegnativo lavoro di restauro. Al suo posto viene costruito, in forme “moderne”, l’imponente Palazzo della Repubblica, sede del Parlamento della RDT: è un intervento traumatico, che rende irriconoscibile il Lustgarten così attentamente progettato da Schinkel. Alla caduta del Muro, il Palast der Republik perde rapidamente la sua importanza di centro culturale e di divertimento, non riuscendo a reggere la concorrenza di Berlino Ovest, ora liberamente raggiungibile. Il Palast continua tuttavia ad ospitare le sedute della Volkskammer. L’amministrazione di Berlino si trova nella situazione, per motivi ideologici opposti, di dover decidere cosa fare di questo edificio simbolo del regime comunista. Il palazzo necessita di un immediato restauro dovuto alla presenza di grandi quantità di amianto; il suo futuro è comunque precario, dal momento che il Parlamento della nuova Germania si è espresso, quasi all’unanimità, per la sua demolizione. Nel 2004, dopo qualche anno in cui è rimasto svuotato, l’edificio ospita alcune mostre e si riaccende così il dibattito sul destino di questo edificio, interrotto tuttavia da un nuovo voto del parlamento federale, che, incurante delle manifestazioni di protesta, il 19 gennaio 2006, decise l’immediato inizio

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della demolizione. A sostituire il palazzo si è deciso di erigere un nuovo polo chiamato Humboldtforum la cui inaugurazione è prevista nel 2019. I cambiamenti avvenuti a partire dal 1989 hanno cambiato radicalmente la città, non solo dal punto di vista morfologico, ma anche in profondità. Berlino ha cambiato volto dal punto di vista sociale, politico, spaziale e morfologico, rispetto a quella che prima era una città caratterizzata da un limite (nel senso di frontiera) che la attraversava e da una barriera non solo fisica, ma anche ideologica. Ad oggi non c’è più divisione tra Est e Ovest, la città si attraversa senza quasi accorgersi della barriera che ha caratterizzato la città per anni, salvo rare eccezioni, come le parti di muro ancora intatte e divenute monumenti cittadini. Quella che prima era una frontiera, ora è soglia, c’è un continuo scambio tra i due lati della città, che avviene spontaneamente e con grande facilità. E’ una soglia che presenta una completa interazione tra le due parti della città, ciò è dovuto all’altro grado di apertura della linea, che tramite le demolizioni, il rifacimento della città, l’apertura di nuove vie infrastrutture, lo spostamento di cittadini da un lato all’altro e l’omogeneità sociale, culturale che si è formata nella popolazione dalla caduta del muro ad oggi. Il territorio è quindi caratterizzato da un flusso entropico continuo, provocato dalla perenne trasformazione che ha caratterizzato per anni questa città e che prosegue ancora oggi; inoltre, i cambiamenti parziali o totali di questi luoghi, non dimenticano

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nè cancellano la storia, ma la integrano nel loro mutamento, come nel caso della nuova Potsdamer Platz o della East Side Gallery, due luoghi radicalmente modificati rispetto agli anni del conflitto, ma che conservano monumenti e direttrici spaziali a testimonianza della storia di questi spazi. E’ un paesaggio urbano in continuo mutamento, sia da un punto di vista morfologico, sia da un punto di vista sociale, che ha rigenerato il volto di quelli che un tempo erano luoghi di divisione.

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ELEMETI SPAZIALI

prima

dopo

LA CONSISTENZA DELLA CORTINA La cortina viene quasi del tutto demolita e non è più una barriera fisica; le parti rimaste intatte sono elementi della memoria

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prima

dopo

SPAZIO COSTRUITO Il costruito in seguito alla demolizione della cortina è aumentato lungo la linea di confine

SPAZIO APERTO La morfologia dello spazio aperto non cambia molto in seguito alla demolizione del muro

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prima

dopo

INFRASTRUTTURE Gli spazi di relazione, interrotti durante il conflitto, sono stati connessi; le infrastrutture sono in generale aumentate in seguito alla caduta del muro

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ELEMENTI GEOPOLITICI

prima

dopo

ELEMENTO SOCIALE In seguito alla caduta del muro l’interazione tra le due parti è aumentata radicalmente

LINGUA La lingua di stato è sempre stata il Tedesco da entrambe le parti del muro;

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prima

dopo

RELIGIONE Durante la guerra fredda la professione di una religione cristiana in Germania dell’Est non era ben vista; oggi invece non c’è più questa discriminazione

VALUTA Durante la divisione della Germania venivano usate due monete differenti (Marco tedesco e Marco della DDR); ad oggi la moneta è unica e comune alle due parti (Euro)

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prima

dopo

EDUCAZIONE - CULTURA In seguito alla divisione gli aspetti culturali ed educativi sono stati separati e differenziati; successivamente si sono conformati

ECONOMIA Durante la divione non era possibile effettuare scambi commerciali e le due economia avevano impronte differenti; dopo la caduta si sono conformate e sono ripresi gli scambi

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ELEMETI DELLA MEMORIA

prima

dopo

MURO - STRUTTURE MILITARI Dopo la demolizione del muro ne rimangono intatte 8 parti e il checkpoint Charlie

MUSEI - MONUMENTI Porzioni di muro rimaste intatte, il checkpoint Charlie e musei della divisione sono elementi della memoria presenti in Berlino

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