Professore...presente

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Luciano Romano Conti

Professore… presente!

In memoria di Domenico Vircillo, professore di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Messina


Stampato in proprio marzo 2005 Luciano Romano Conti Via Adriatica, 102 66023 – Francavilla al Mare (CH)


“Il lettore è molto importante, perché il libro è una cosa morta finché non viene aperto e letto. Un libro è una cosa fra le cose. Quando lo apri e lo leggi, se tu sei il lettore giusto e il suo autore è lo scrittore giusto, allora ecco che tutto prende vita, il libro arriva dove occorre” Jorges Luis Borges



A mia madre

Araldo della vita è la madre. La mia, insegna l’onestà e la sincerità, come un angelo, lontano e vicino. Mi nutre come la terra, compenso della mia responsabilità. Bellezza e fascino di una giovinezza assegnata ad un solo uomo, da più di mezzo secolo, prima di me, donata, così da non perderla mai, né la verde età, né la grazia. Un messaggero che si chiama mamma,

che la mia sensibile

creatività può proferire: delle sue labbra e del suo naso, come lei, del resto, parlo e sento, poiché ho un tatuaggio nel cuore, il solo disegno che ho inciso… la sua sostanza.


Professore‌ presente!

Prefazione

Prefazione di Giuseppe Millemaci

L'emozione di trovarmi nell'uno e nell'altro, nei luoghi e nel vento. L’emozione nei ricordi Tuoi che si mescolano ai miei. Gli oggetti che accomunano ricordi, non gli stessi, lo zufolo, il vento, il manto rosso, il canarino e non la gabbia, la giornata da trascorrere tra montagna e mare: anche qui è possibile. La certezza che, il Tuo ricordare Domenico, lo liberi, nella Tua coscienza, dandogli ancora e ancora vita, quella che ti emoziona, quella che, tra postulati e castagne, colma la mancanza di sempre. Ti manca, non Ti manca: un fiore da sfogliare all'infinito, caro Professore "presente".

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Professore… presente!

Prefazione

L'ho letto e lo rileggo perché non può essere la semplice lettura a farmi comprendere. Sei Luciano e Domenico, Luciano o Domenico, ma forse sei tutto, compreso il vento…

Vivo In un continuo Avvento La mia vita E so che così sarà finché la Tua memoria Me la darà Vivo in Te Simbioticamente Immortale Vivo come sono come Tu ogni volta Mi ricrei.

… perché abbiamo lo stesso Padre, quello che accomuna tutti, ma li rende unici.

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Prefazione

Un “testamento” che traccia una strada da te già percorsa, ma da affinare con il cuore ed il giudizio, per essere porta con amore. Lo stesso padre, essendo tu padre e figlio di te stesso, pronto a sorreggere, con la consapevolezza che la strada potrebbe non essere unica, ma pronta a sviare il percorso: come il binario protettivo che ti guida, ti avvolge, ma che, nonostante tutto, propone o nasconde, all’improvviso, strade appetibili o meno. Sei tu, consapevolmente, padre dei tuoi pensieri e li indirizzi con amore a colui che rispecchia le tue intenzioni di figlio. Un “testamento” di sollecitudini, di forze, di spinte, di colori, di suoni e di paure, forse, che rappresentano il tuo saper essere figlio e quindi padre. Lo stesso padre e non il “medesimo padre”, quello che, con garbo e senza interferire, guida e coccola e frusta e rimbrotta ed è invisibilmente presente ad ogni necessario istante. Cercare la verità, “LA PROPRIA”, quella che ci darà lo stesso Padre, il Padre che tutti abbiamo intorno e dentro.

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Professore… presente!

Prefazione

Bravo. Mi sento anch’io un po’ figlio, quello che non sono stato capace di mostrare, per questo, inopinabilmente padre: il timore di incontrarsi e riconoscersi fa un brutto effetto. Di dicotomie mentali mi avvolgo da sempre il cuore e mi rendo conto che, in fondo, non sono bello dentro. Solo consapevolmente a tratti.

Frammenti di vita Enucleati Paradossali istanti In esistere Omologhi Uno dell’altro Ma non che eco Di paradossali umori Questo sono oggi.

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A Adriano, il discepolo piÚ fedele, l’amico piÚ sincero, il figlio prediletto.



Professore… presente!

Prologo

Prologo

Abbiamo e avremo lo stesso Padre. Lo credo, lo spero, riccioli d’oro. Aneli l’impronta che ho, da tempo, nell’anima e che nessuno ravvisa. Lo speri, lo credi, quando guardi lontano, diviso, disgiunto, quando cerchi con gli occhi e mi trovi col cuore. Tu sai che ci sono e la paura svanisce. Come in riva a quel mare, in una spiaggia affollata, dove si gioca e non si cerca nessuno. Tranquillo, abbiamo lo stesso Padre. Come farai a perdermi? In piedi! Continua a giocare. Lo so che verrai a prendermi per le gambe, ti metterai in prigione e, con tanta bramosia di emancipazione, ti metterai in viaggio fino alla libertà, oltre ogni intreccio, oltre me.

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Prologo

E’ ciò che cerco da quando non sei mio figlio, da quando decisi di guardare in cielo e regalarti le stelle. Forse per considerare il medesimo destino di chi pensa in maniera creativa. Noi valiamo. C’è una via di liberazione per sentire il respiro. Dio si nasconde nel cuore dell’uomo perché è eternamente creativo. Solo cambiando mente e vita, diremo di sì e saremo felici. Nel frattempo, prenditi cura di te e ascolta il silenzio. Con amorevolezza, intaglia il verde legno della giovinezza e osa. Modifica le prospettive dei pugni chiusi che tirano giù, apri loro i palmi, con prudenza e speranza, affinché, tu, ne possa rinvenire giovamento nelle capriole esistenziali e nei tuoi salti di adolescente. Respira. Riempi i polmoni come fossi un gorilla e fai scorta di aria. L’ ho vista la foto di quando fai lo sbruffone. I muscoli si allenano, verranno con l’esercizio. Come

gli ideali. Questi e quelli possono svanire. Ma il

sogno non muore. Mai!

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Prologo

Come non muore il coraggio di lasciare e di perdere. Sogna! Sogna di essere l’amore, di dare vita, con garbo, a un mondo nuovo, e, spensierato come un bimbo, fantastica di aprir bocca con chi, ora, è muto. Disegna, per me, questa nuova ricerca. Colora, per tutti, questo ennesimo confronto. Tra camici scherzosi e camicie bagnate di tensione, hai aperto i tuoi verdi occhi e, tuttora, risuona, la tua viola risata, nel pianto. Mi imploravano di farti ridere, quando perdevi il fiato. Ci riuscivo, come adesso, quando, in apnea, perdi ogni fiducia e cerchi un alito per mostrar gioia, un recente fischio che ti renda sereno. Continuiamo ad esistere. Ridiamo, vuoi? Restituiamo al tempo gli stupidi capricci e i desideri irragionevoli di trascorse età. La tua voce cambia tono ormai, si approssima alla mia. Uomini si diventa.

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Prologo

Non sei solo in questi brividi di eternità, dammi retta. Non siamo soli neppure da soli, quando siamo discosti. E’ il pregio della mente che mi fa raccontare di te, una prerogativa del pensiero, del cuore. E’ tale qualità dell’anima che mi consente di esplorare tutti i punti dell’universo, mai vinto dalla lontananza, dal demone che separa tutto. Lo abbiamo incontrato diverse volte quest’essere, questa creatura anomala che è la partenza. Lo osservavi dal balcone, quel mostro, appoggiato alla ringhiera che, oggi, domini con la tua statura. Lo esperivo fino all’ultima curva del mio cammino, quel fenomeno abnorme chiamato distacco. Non ci faceva paura vero? Ma faceva piangere entrambi. Ricordi? Un tempo, affrontavamo il commiato per divenire consapevoli, per crescere, in modo assolutamente funzionale alla

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Prologo

nostra sopravvivenza. Al momento, è tutto più semplice, più automatico, pur sempre intenso. E’ desiderio di farsi grandi, crescere il più rapidamente possibile e verificare cosa avviene alle nostre emozioni tenute a freno. Scrutiamo i presenti che ci divorano con gli occhi mentre ci salutiamo: scorgeranno una tenerezza, un batticuore che diventa mollezza o il recondito affetto che ci accomuna? Su, via, quando mai abbiamo desiderato esprimere i sentimenti migliori? Ai parenti, poi… i nostri palpiti? Questo mai! Solo le nostre incandescenti reazioni appaiono, per divenire colpevoli, chissà per cosa. Quelle sì che le abbiamo ostentate! Volevamo scrollarci di dosso le nostre prigioni, aprire un varco al mutamento e fare carezze alla rabbia, alla tua impetuosa indignazione nei confronti di una frustrata identificazione con l’autorità, vanificata ogni giorno, per colpa di nessuno. Dichiarare guerra agli schemi. Questa, l’alternativa che rimaneva sul tavolo delle trattative, ma una volta attivati, questi

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Prologo

meccanismi, non si controllano più, ti sovrastano. Come un treno che sfreccia in galleria, dove la galleria sei tu… ed anche il treno. Allora non resta che buttarsi, con energia, nelle braccia forti di tua madre: lo sai bene, sono di ferro, come le rotaie. E tu da esse ti lasci cullare. Le chiedi scusa e continui il tuo viaggio, dirigendo la sinfonia della vita senza nozioni di musica. Come da bambino, quando, la matita che stringevi, lasciava cicatrici sul viso. Oggi, con essa, avvii le coordinate per il futuro, tracciando linee su progetti di rivalsa alle note mai suonate. Corri! Senza niente in mano. I segni li indicherà il tempo. Lasciati custodire, adesso, dal ritmo e dai musici che hai dentro. Imparerai che è necessario affinare le attitudini per il saggio finale, dopo approfondimenti senza fine.

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Prologo

Avrai al tuo fianco la compagnia che meriti, le mostrerai, con la dolcezza, le sfumature dei tuoi colori e, con amorevolezza, le tinte vivaci ed esuberanti dei tuoi eccessi. Sarete felici ad ammirare il quadro che insieme affrescherete con premurosità e finezza. Credi in te e fallo in prima persona, poiché nessun altro lo farebbe meglio e riponi negli altri la tua fiducia, perché qualcuno è vigile in questa fede. Consapevole, quindi, della tua condizione e del tuo mondo, sii cosciente di quello che sei e vali, con l’attenzione e la critica dovuta, in ogni istante. Entra

nella

profondità

dell’essere,

come

fanno

gli

intelligenti, ed evita i momenti stupidi e noiosi, affinché non debba perdere l’orientamento delle tue ben educate inclinazioni. Acuiscile e affinale, invece, forgiale, come fa un vero artista che evita il banale e l’insulso con la propria indifferenza verso tutto ciò che rende ottuse e stolte le esistenze degli uomini.

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Prologo

Vivi con coraggio i nostri tempi difficili, con forza d’animo, entusiasmo e passione. L’ottimismo è come il denaro, va via facilmente e si spende volentieri per acquistare istanti di gioia, ma anche… mera euforia. Disponiti con costante frequenza alla serenità, questo equilibrio instabile di dicotome radici. Essa muta con l’avanzare degli anni e gli anni passano per tutti. Fai buon utilizzo, quindi, di questi celati talenti e scorgili nelle tue buie esitazioni: le insicurezze aiutano solo a familiarizzare con il dubbio e a vedere il mondo in varie prospettive, addolorano il presente e disorientano per anni. Sì, alla meraviglia, che, insieme allo stupore, vanno, con slancio, perseguiti, perché tesori rari. Non ti augurerò mai di confidare con le stupefacenti situazioni di sballo, in quanto, sempre, generano dissolutezze ed inganno, ottenebrando lo sguardo di chiunque.

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Prologo

In costante metanoia, la corruzione dei vizi, lasci il passo all’edificazione delle virtù, trasformando vita e mente in una sperata integrità morale. Custodisci gelosamente tale dono, partecipandolo a chi lo sa apprezzare, a sigillo della tua dignitosa distinzione. Le scelte sono sempre ardue e fondamentali e tu lo sai. Lo stai imparando sulla tua pelle. Dopo tanti ragionamenti e discorsi, ti sei iscritto, da poco, all’Università. Mi sono venute le vertigini, nel cercare di intuire i tuoi progetti. Andare a studiare fuori e imparare a crescere in autonomia: faceva girare un po’ la testa, vero? Per un ragazzo amato e coccolato, è senz’altro una scelta allettante quella di allontanarsi un po’ da casa. Molto impegnativo, nello stesso tempo. Ed alla fine hai ceduto. Si cresce ugualmente, hai considerato. Con le proprie agiatezze e con le proprie abitudini. Ogni tanto si può procrastinare ed indugiare prima di divenire saggi, forti e coraggiosi. Grazie a Dio. C’è sempre tempo per chi è giovane.

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Prologo

Sai, ho riposto da tempo la mia fiducia in ciò che fai e sono certo che non sarai un mediocre. Non mi deluderai. I limiti si superano con oculatezza e pazienza. Avrai, sicuramente, ponderato, con discernimento, anche questo aspetto. E’ lusinghiero, per me, ritenere che sarai giudizioso e previdente nelle tue pianificazioni. Sono convinto che le aspettative creino sofferenza in chi le annuncia, ma solo per la paura che vengano disattese. Questa contraddizione di fondo è mia da sempre e di tutti coloro i quali amano con le viscere. E quando la speranza diviene certezza, la paura si dissolve, per trasformarsi in fede, in quell’amore in cui credo, nell’essere per l’altro che non lascia soli e che chiede, con semplicità, di restare per sempre insieme. Come si fa ad essere insensibili a questo miracolo di comunione? Come sarà possibile rimanere indifferenti a questa luce?

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Prologo

Porgi l’orecchio, dunque e ascolta il cuore. Vai oltre il suono e scorgerai il mare, dove il vento non scombina, né la superficie, né il fondo: è lo Spirito di Dio che aleggia in quelle acque, sin dal principio di tutto. E’ di quell’acqua che ha sete l’esistenza in autentica, di quel luogo - non luogo, di quel paradossale destino, della sua purezza e della sua innocenza. Come schegge impazzite, ne portiamo l’impronta nei nostri meravigliosi incanti e nelle nostre meraviglie. Quali atri cercherai di dischiudere dopo tali consapevolezze? Scoprirai, allora, qualcuno che crederà nel tuo essere, nel tuo modo di vivere e di pensare. E piangerai per questo. Ma le lacrime di quel pianto, saranno le gocce del mare che, adesso, intravedo e che, semmai farà sorridere, ciò accadrà, soltanto, qualora non se ne ravvisi la chiarezza, per miopia o superbia.

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Prologo

I comportamenti, certo, non rappresentano il tuo essere e il suo valore. Essi vanno e vengono, imparati e disimparati all’occorrenza. Solo il tuo io, immodificabile da sempre, non muterà e ti condurrà, se vorrai, alla consapevolezza, la quale consisterà, proprio, nel riconoscere la sostanziale differenza tra il tuo te stesso ed il tuo vero io, sottraendone le sovrastrutture insignificanti, che possono omologare e ottundere le potenzialità illuminanti proprie della ricerca del vero. E’ giusto ricordarsi, sempre, che la reale felicità sta nel intendersi fino in fondo, riconoscendosi, senza voler mutare, e accettando persino la sofferenza transitoria, propria di un fuggevole e precario momento di dormiveglia, connaturale alla nostra immanente fisicità. Ecco il motivo del mio silenzio, la causa del mio lasciarti essere come sei, della fiducia che nutro nei tuoi confronti.

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Prologo

Personalmente, non sempre è stato semplice trattenere l’impulso di farti dipendere da me e non cedere, così, alle seduzioni di uno pseudo potere che l’autorità promette e mai mantiene. Ho imparato, lentamente, a tacere, per non mutare la realtà, per lasciarla così come mi si presenta, osservandola e rispettandola, assaporandola, a volte. Lasciandola che sia. E’ così che ti osservo, a distanza, nel tuo divenire uomo. C’è una moltitudine di forze che mi muove, a mia insaputa, ed è fondamentale realizzare che, in verità, non posso fare niente. Conoscere, così, il mio posto nel mondo ed agire in armonia con tutto. Conoscerti e riconoscere che tutto è così faticoso e spesso doloroso. Non accontentarti di ascoltare ciò che dico. Questo lo fanno in tanti. Mettiti in cammino, col tuo motore che potrebbe cambiare, totalmente, la tua esistenza e farla vibrare, permettendoti di sentire te stesso in sintonia con la natura e con il mondo.

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Professore‌ presente!

Prologo

Cerca la tua veritĂ . Quella vera. Non la mia. La tua. Tanto, avremo lo stesso Padre. Credici.

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Introduzione

Introduzione

Questo volumetto, per ricordare un mio maestro di vita, un amico che mi ha insegnato la Filosofia, un uomo, dall’ingegno raffinato, scomparso prematuramente, che continua ad insegnarmi il senso della vita. La mia speranza è di suscitare, nel lettore, le emozioni che ho esperito nello scrivere queste pagine, una semplice, lieve, carezza nell’anima, che esprima la valenza del presente. Dare un senso nuovo a chi ama la vita e una nuova vita a chi non ha un presente. Il presente è anche un dono ed è questo regalo che desidero offrire al mio lettore: una filosofia che non concede niente alla mediocrità e all’ipocrisia, niente ai miraggi, che rompono con tutte le filosofie e che non azzardano la possibilità di un movimento assolutamente creatore. Il senso nuovo che vorrei donare, è un mistero intravisto che diviene evidenza, mai dogma o norma. Un soffio di vento, che rimanda

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Introduzione

al sovrannaturale, guardando oltre la natura, una filosofia che preferisce occuparsi di facoltà creative. Mi distacco, così, dal tangibile, per spingermi nel ricordo, sino all’Acumem Amoris, amore assoluto e originario, contrario al proprio interesse. Tutto ciò, mi ha motivato a parlare di un maestro con sentimenti forti, i quali, andavano al di là d’ogni deterministica necessità. Cosi, per mezzo della memoria, sono stato chiamato a palpare l’impalpabile e ad esprimere l’inesprimibile, cercando di resistere al tempo, dischiuso, che ha reso possibile questa profonda comunione, come una sorta di rivelazione del mistero d’amore o dell’essere l’uno per l’altro.

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Luciano R. Conti

Professore… presente! Presente all’appello, alla chiamata. L’appello, adesso, è nuovo, senza forzature, né burocrazie, caro amico, come piace a noi, come piace a Voi, Professore! Mi sono sempre chiesto cosa significasse il Voi in una relazione amicale. Ora, mi è più chiaro. Presente, é il tu che userò in questo libro, per dire di te attraverso me. E’ forse questa un’alterità per amore? Termine spesso adoperato da Michele Federico Sciacca…: che piccolo, di fronte ai giganti del pensiero filosofico, piccoli, come piacciono a te, che cercavi l’essere delle cose nelle piccole cose, la verità, lontano dall’ingannevole e seducente idea del grande, della moltitudine, apparentemente enormi e, quindi, più visibili, ma non necessariamente veri, reali, universali ed eterni. Presente, come un tempo, per il tempo trascorso, insieme e non, il nostro tempo utile, il nostro tempo massimo, il nostro poco tempo.

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Luciano R. Conti

Presente il bene che mi volevi e che mi vuoi. Tolleravi anche il fumo delle mie sigarette, stupide e fini, che servivano solo a toglierti, per un po’, quel sereno sorriso e a procurare in me vergogna e rossore. Come un rubino e come il vino nuovo, invece, il tuo viso. Non hai mai dato un senso ai fumosi pensieri di chi era in prima linea, di chi, legato all’effimero, non lascia traccia di sé. Tu, invece, presente nell’istante presente, dove, la verità di ciò che rimane, riconduce all’eterno istante senza tempo, apparente di prospettive apparenti e relativo a ciò che siamo in realtà. Forse, ancor ora, porti a cavalcioni il tuo filosofare, nello stesso modo in cui conducevi i tuoi bellissimi figli, lungo la via principale della nostra città. Già allora, la morale eteronoma non era importante. E quando mai significherà per noi qualcosa. Come si può dare significato a ciò che si ferma all’apparente osservazione della realtà, senza coglierne la vera essenza?

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Luciano R. Conti

L’insignificanza dell’insignificante, che non significherà mai. Tanto, la gente non pensava male: l’estetica addomestica! Tutto scorre, “panta rei”, e… sul Corso Garibaldi, mentre mi parlavi e ti parlavo, solo poche soste. Il tempo di fermarti e di fermarmi. E mi veniva da ridere. E mi viene da ridere! Non mi mancherai! Mi mancherà, certamente, la tua casa luminosa e mattiniera: che paesaggio dall’ampia vetrata! Quei vetri trasparenti, come la carta velina che usavi per scrivere i tuoi libri, sparsi un po’ ovunque, vicino alle calze non stirate, sulle sedie rosse. Non mi mancherai! Perché abbarbicarsi alle persone che ami? Sei dentro i miei respiri, le mie risate, la mia gioia. Non mi mancherai!

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Luciano R. Conti

Mi mancheranno, certamente, le tue grandi castagne, che mi donasti in un pugno, marroni, semplici. Un piccolo gesto, un gesto grande. Rivivo la meraviglia dello stupore che provai in quel momento…poche castagne, molta gratitudine. Il palmo, aperto, della mia mano inesperta, chiusa dalla tua, in fretta, senza mezzi termini. La via di mezzo, i mezzi termini, solo i greci, dicevi, li avevano. E per i greci, niente di più possente della necessità. Non erano necessarie le castagne in quel momento. Ma che gesto sublime! Ho imparato la carità da quel gesto. Ho imparato a donare le cose. E… le cose, da allora, hanno avuto un odore, un nuovo sapore. Come quel panino, consumato e gustato sul ponte della nave. Il cielo azzurro, l’ora quella giusta, quella del pranzo, una pausa dai nostri discorsi, dalle nostre speculazioni. Il gusto non ha età: accomuna, ovunque ti trovi. E noi, nel posto giusto, al momento giusto. Uno scenario irripetibile… anche i

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Luciano R. Conti

gabbiani erano d’accordo sulla quantità di ketchup che farciva il nostro pranzo a base di wrHstel. Un appetito subito gratificato. Poi, di nuovo, a sostenere che gli dei stanno in cucina e che, in paradiso, si pranza e si cena. Un luogo - non luogo, come affermava il compare Lisi, tuo compare, tuo amico, titolare della cattedra di Pedagogia all’Università di Messina. Tornavamo dalla lezione di un lunedì in facoltà. Un tuo seminario su Socrate, Confucio e Gesù. Mi parlavi spesso di Gesù, ma senza nominarlo, Lui, era sempre in mezzo. Lo chiamavi Emanuele, che significa, Dio con noi. A volte, credevo parlassi di tuo compare, quando pronunciavi quel nome: che confusione facevo! Il compare, guarda caso, si chiama così, Emanuele. Anche lui era spesso nei nostri discorsi e, a volte, cenavamo insieme. Quanto bene al compare Lisi! Poca prosopopea in te. Non era necessaria. Le gabbie non le guardavi. I tuoi occhi grandi… solo per il contenuto.

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Luciano R. Conti

Il canarino, che svolazzava felice in casa, avvertiva questa tua prerogativa. Anche le rigogliose piante, delle quali avevi cura, ne avevano sensibilità. Il quid, il substrato, come diceva Aristotele, tu, cercavi questo, il perché delle cose, l’arché. Volevi dire, e io ascoltavo. Ascoltavo ed imparavo. “Mi lasci dire?”. ”Mi stai a sentire?” A chi deviava, dalla via maestra, il discorso. Lo dicevi con quella leggera cadenza della tua terra di montagna. La montagna che hai sempre avuto nel cuore. La Sila, l’Aspromonte, i funghi porcini, quelli che abbiamo raccolto insieme, parlando di Sapienza e di sovra natura, in piedi, all’alba, già pronti per partire, su per i sentieri che ti conoscevano e riconoscevano lo zufolo che, una volta, suonasti per diletto. Lì, lungo i sentieri ombrosi. La musica… una recondita passione che ci accomuna. La studiasti da autodidatta, così come il greco. Ecco come si dovrebbe studiare, come facevi tu, di primo mattino, alle due e trenta, sin dai primi anni, con quella sete di

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sapere, di conoscere, a Soveria Mannelli, nella tua casa paterna. Una casa che hai lasciato solo per i libri, quella casa che ho visto da solo, senza di te, l’ultima volta che ti ho salutato. Tu eri andato già via, con i Salmi sul cuore, a tracciare altri sentieri. Non hai retto alla prigione del corpo, amico mio. Il mito della caverna di Platone lo hai lasciato in eredità. Li conoscevi tutti i miti, quelli greci in primis. Quante volte mi sono ripromesso di occuparmene, per la mia formazione di insegnante. Ma poi, questa affascinante e preziosa perla, è rimasta in qualche scrigno del mio potere desiderante. Li volevo imparare da te quei miti, oppure, è solo pigrizia la mia? Per un professore di storia e filosofia, conoscere i miti é d’obbligo. Intanto, insegno l’ontologia e l’axiologia. L’essere e il suo valore. Non è poco. Non è sempre facile. La società, il mondo di cui faccio ancora parte, non ne parla spesso. Guarda l’apparenza, preferisce l’avere ed il possesso, la volontà di potenza e il look. Il mio compito, quello di remare contro, quello di svegliare le coscienze alle differenze, lontano dalle fusioni

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che confondono il cammino verso la liberazione, sulla via della libertà. Libertà dalle simbiosi, per una libertà ablativa. E avverto la tua comunanza, nei momenti di minore vigore teoretico. Non è vincente, in questa generazione, la convinzione del valore dell’essere umano. La meravigliosa via, che si apre dopo lo scacco ontologico, appare, sempre più, come una promessa che non sarà mantenuta, una favola per romantici, una mera illusione. Non per noi, che dal tutto amore ci nutriamo: Agapos, fons et origo della Sapienza a principio, che é Ordine, Logos e Verbo. E’ la Divina Carità che, uscendo dalla sua intima dimora, si dona, si espande sul mondo intero e s’infonde nel cuore degli uomini, per elevarli a creature degne a rientrare in Paradiso. Amore creativo, che fa nuove tutte le cose, amore che libera dal male, che fa il cuore puro, poiché dona, per l’appunto, la purezza del cuore: amore che purifica, giustifica e santifica.

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Adesso, cerco la consapevolezza, in me e negli altri, oltre la coscienza. Ho abbandonato il porto sicuro delle mie certezze e, mi sono avviato, da poco, lungo il percorso del mio quinto decennio. Indietro non si torna. Quanto timore ho esperito durante questi anni, lontano dai miei amici d’infanzia, lontano dai miei genitori, dai miei affetti più cari… insieme al mio mantello rosso. Questo il nome che hai attribuito alla donna della mia vita. “Tu, hai chi ti protegge”, mi dicevi, “Hai il tuo mantello rosso”, riferendoti al cappotto scarlatto, con un cappuccio, che lei indossava, con eleganza. Tu ne ammiravi la grazia e la sua nobiltà d’animo. Lei, vive nel mio pensiero e la conosci come conosci me. Ci hai frequentato insieme, perché insieme siamo sempre stati, durante il nostro tempo. Hai visto con lungimiranza e con intuito. Lei ed io, ricordiamo spesso quel mantello rosso. E non solo quando c’è freddo. Il mantello mi proteggerà sempre.

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Un uomo ha sempre bisogno di protezione, di amore e i desideri dello spirito portano alla vita. Tu, hai vissuto per tanti giorni con Lina, fino alla sua dipartita. Lina, tua prima moglie e mamma dei vostri quattro figli, ti completava. Un male incurabile ha detto basta a troppe cose: alla pace familiare, alle vere attenzioni femminili, alla tua coniugalità. Il tuo secondo matrimonio…una ricerca spasmodica di una perduta alchimia luminosa e di quell’energia che non volevi abbandonare. Angela hai sposato, in quella giornata d’inverno, perché di angeli volevi circondarti. Ma gli angeli non hanno sesso e gli uomini non lo intendono ancora. Quanto sarebbe durata la tua sfida emotiva, sapendo di non poter dire la responsabilità del passato, nonostante la tua disponibilità? Quanto abuso nelle nuove relazioni? Quanto prede e quanto predatori, nella notte che non passa mai? Ma tu, senza trascorrere il tempo a rimpiangere il passato, la vita la mettevi in gioco, continuando a vivere, cercando la pratica dell’essere.

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Tra il dire e il fare c’è di mezzo…, teoresi e prassi. Non chi dice: “Signore, Signore!”. Ma chi fa la volontà di Dio. Questa la frattura che logorava la tua forza. Il due dovrà divenire uno, come afferma un vangelo apocrifo. Mettersi dalla parte giusta della barricata? Non faceva per te. Mettersi in questione, sempre e dovunque, era il tuo si. Oltre la ragione, finita, e secondo necessità, a volte, incontravi il sentimento. Ma non era sufficiente. Cercavi lo spirito, quello separato dal mondo, assoluto, sciolto da ogni legame col relativo, pur non mettendo in secondo piano la relazione. L’io e l’altro non erano messi tra parentesi, come nella vita inautentica, nell’epochè esistenziale. Questa è fede, non il credere di credere, la credenza degli uomini superficiali ed ingenui, ma l’essere pronti a tutto, a pensare, avendo il coraggio di farlo. Con tutto l’essere, non solo con la logica, rispettando l’intero della propria medesimezza, della propria ipseità.

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

Noi siamo unici ed irripetibili, dicevi, e ne sono convinto. Come la storia e gli infiniti universi, unici ed irripetibili, senza eterni ritorni dell’uguale, senza corsi e ricorsi, senza aggiustamenti. Per questo motivo, rispettavi tutto e tutti, anche chi non la pensava così, chi credeva solo nella materia e nella verità scientifica, fino al parossismo, chi idolatrava la conoscenza e i suoi “ismi”: i razionalismi, gli psicologismi, gli storicismi. Ricordo la dialettica che scaturiva dallo scambio di opinioni con chi non la pensava come te, ma ti cercavano per il confronto delle idee e, adesso, ti ricordano con affetto. Ti ricorda Francesco, tuo amico e mio cognato, studioso di fisica nucleare, che poneva questioni dell’infinitamente piccolo. Per niente impaurito dalla difficoltà della problematica, della materia e dell’antimateria, la tua allegria dichiarava aperti nuovi orizzonti, per un altro infinito. Il transfinito ontologico, il trascendente, tutto ciò che gli occhi della carne non riescono ad intravedere, sono stati e sono gli

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

ambiti degni di essere significati, indicati, pensieri comuni, che, spesso, riempivano le nostre conversazioni, durante i nostri incontri. Il verbo essere, in tutti i suoi tempi, il nostro preferito fra tutti i verbi. Anche quel tempo che, nella lingua italiana, non esiste, ma che i latini conoscevano bene quale il futurum esse. Tradotto in italiano potremmo dire “essere per essere”. Si sa che, nella lingua italiana, esiste il futuro nella sua forma semplice ed anteriore. Esso pone il tempo in una dinamica orizzontale, successiva, puntuale, cronologica e a due dimensioni, quella del non essere ancora e quella che prima o poi sarà. L’essere per essere del futurum indica, senz’altro, un ulteriore orizzonte temporale, che i teologi denominano Avvento, ciò che accadrà in un nuovo futuro, quando le cose diverranno nuove, come in principio, nella pienezza dei tempi e dopo la loro fine. Nuova terra e nuovi cieli che le nostre anime prefiguravano nei nostri dialoghi, non sempre per i non addetti ai lavori. Un mistero

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

che si svelava sotto i nostri occhi, come un velo di Maya, dal fascino estetico. Filosofia allo stato puro, potremmo dire, come amore per la Sapienza, che dalla Sapienza ha origine, al di là del soggetto e oggetto della conoscenza e del sapere, fonte inesauribile, sin dal primo mattino del mondo: speculazione teoretica, inframmezzata dalle cose che tu preparavi con maestria, nella tua cucina, nei momenti di una mai annoiata solitudine, come, ad esempio, manufatti sott’olio, in tutti i sapori, liquori e marmellate. Un liquore, in special modo, gradivo, a base di fragoline di bosco, quando, la tua delicata insistenza, infine, non sortiva altri esiti. In pratica, la fisicità non veniva di certo sacrificata, a discapito di astratti o vaghi voli pindarici. E chi l’ ha detto che il corpo non può beneficiare della luce dello Spirito?

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

Ma che voli si possono fare nello spazio-tempo, senza dover usare altra navicella che il proprio ingegno, amicizia e rispetto della dignità della sostanza uomo? Un ingegno raffinato e sensibile il tuo, a detta di tutti, studenti, colleghi, amici, uomini e donne comuni, che hanno avuto la fortuna di incontrarti e scambiare anche solo poche battute con te. Vorrei avere il tempo ed il modo di rincontrare i nostri amici comuni, per intervistarli e ricordarti con loro. Se sarà possibile, lo farò. Incontrare, di nuovo, ad esempio, dopo tanto tempo, quel simpatico ricercatore dall’enigmatico sorriso, assistente del Professor Filippo Bartolone. Vorrei proprio sentire anche le loro testimonianze e vedere i loro sguardi, mentre parlano di te. I miei amici diventavano subito tuoi, con una facilità e semplicità incredibile. Questi dovrebbero essere i veri legami, per edificare il genere umano.

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Spesso, il tempo è impaziente e cancella, in fretta, uomini e cose, legami e relazioni, come in una performance senza possibilità di bis, senza appendici o repliche. Così, in pochi mesi, non ho potuto neppure salutare il tuo amico del cuore, Carere, finanziere in pensione, uomo corretto, di encomiabile educazione e vero eroe dell’amicizia. Non poteva, certo, trovare altra sostituzione alla vostra empatia e confidenza, alla vostra equanime compassione: dopo appena quattro giorni dalla prima messa in tuo suffragio, è deceduto, senza apparente motivo. E’ salito da te. Strano! “Strano come siamo colpiti quando un amico si allontana, e lascia dietro di sé solo silenzio”.

(P. Brown)

Anche in vita, quell’uomo, forte come la roccia e dal cuore di carne. abitava al piano di sotto, nel tuo stesso condominio.

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

Ha ritenuto continuare le sue abituali e gradite visite... su per altra scala. Misteri di vera amicizia! Dove si fonda, infatti, la provvisoria esistenza del senso se non sull’amicizia, disponibilità a vedere la stessa visione? Il presente trova consistenza in se stesso, poiché non rimanda al suo contrario, è senza catena. L’amicizia, quella vera, come il presente, ha la forza di sopravvivere a se stessa, in un ideale raggiungibile, libera…, libera di essere, senza oppressione o vincoli. Ogni momento della vostra amicizia era un momento di liberazione e diveniva vera quando, nel presente, toccava l’infinito, una realtà interiore che non simulerà giammai. La simulazione dell’apparire è il non senso in assoluto: non basta che ci sia un amico, occorre che egli esprima un senso, esprima la valenza del presente. Occorre che l’essere valga ad essere, in un rapporto di fedeltà, una fedeltà che non dimentica, non tradisce, non rinnega, non smentisce e non disdice.

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“La vera amicizia si riduce a questo: nel volere o nel non volere, in pieno accordo, la stessa cosa”. (Sallustio) Questi misteri sondavi nei tuoi studi, per rivelarne, gratuitamente, le conquiste. Una, in modo particolare, ne vorrei indicare, la conquista alla quale mi hai condotto il giorno prima del mio esame di logica. Innumerevoli tabelle di verità da memorizzare. L’esame, l’indomani, un vero successo, ma quel pomeriggio non lo avevo, di certo, dedicato alle noiose tabelle e spigolose tautologie. Mi nutrivo, esclusivamente, delle tue parole. In quel frangente, mentre tu parlavi, lo ammetto, provavo la caratteristica apprensione che accompagna uno studente che si appresta a sostenere una prova importante e ritenevo che le argomentazioni, di quel pomeriggio, non fossero inerenti al mio programma da portare all’esame. Fuori, un forte vento agitava i rami degli alberi e, il loro caratteristico rumore, creava uno strano sottofondo alla tua voce di maestro.

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Adesso, sicuramente, avrei difficoltà a ricordare l’esame di logica e ciò che avevo studiato per superarlo, ma, mai dimenticherò quella straordinaria lezione sul vento! Parlavi della nascita giovannea, quella dello Spirito, indispensabile per la vita eterna. “Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore. Ma non sai né donde viene, né dove va”. Era importante vivere il presente, senza pensare al domani. Il vento, solo il vento e il suo rumore, era il nostro presente. La prova, il mio presente dell’indomani, arrivò senza ansie distruttive, mentre godevo di vita nuova, pregna di filosofia. Da ciò ho imparato che, nel sapere, esistono varie modalità di cognizione e così nello studio. Abbandonando in fretta il nozionismo e i vani ragionamenti degli stolti, ho acquisito la capacità a concentrarmi su ciò che mi circonda, perché tu, quel pomeriggio, in quella lezione propedeutica al mio esame… mi hai insegnato ad udire il vento.

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Saper ascoltare é un’abilità che tutti dovrebbero ricercare e che, presto, ho sviluppato. Non sempre, nel frastuono, riesco ad individuare la sostanza e differenziarla, così, dall’apparenza. Le cose mi appaiono, quindi, in realtà, non sempre come, in effetti, sono. Spesso, i sensi si saturano di stimoli, del tutto inutili alla mia edificazione.

Costruisco

vere

e

proprie

barriere.

Esse,

inevitabilmente, ostacoleranno l’adesione al vero, per ritrovarmi solo ed impaurito nel mare magnum delle ottuse percezioni e dei miraggi incantatori. Purtroppo, a volte, inseguo la via dell’adattamento a tutti i costi, per appartenere al gruppo, prima di essere me stesso. Vivere, fino in fondo, la divina immagine della misteriosa sostanza umana, diviene, innanzi tutto, piena convinzione di non dover cercare l’unicum e la mia identità, fuori di me. Così, entro in me stesso e metto in questione tutto, senza cadere nello scetticismo, con l’atteggiamento di apertura che contraddistingue chi non ha stupide certezze. Lo sforzo umano, è quello di indicare il senso soprannaturale e, pertanto, incondizionato

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dell’amore agapico, all’interno e nell’orizzonte della stessa filosofia. Filosofia dell’amore assoluto, profondamente agostiniana, ma, anche,

radicalmente

greca,

inscritta

nell’orizzonte

dell’eros

platonico, inteso come movimento ascensionale verso la verità dell’amore. Da qui, il tema della purezza del movimento amativo, a partire dal cominciamento del movimento d’amore che è Dio. Quindi, non solo il tema antico della ricerca conoscitiva, legata, senz’altro, alla volontà di sperimentare Dio, ma, anche e soprattutto, il tema religioso ed escatologico: soggetto della Grazia e della Verità del figlio dell’uomo come figlio di Dio. Cuore,

esaminato

nelle

sue

valenze

religiose

e

sovrannaturali, da intendersi, anche dal punto di vista profano, come animus e mens, in prospettiva di liberazione e di Grazia salvifica. Cuore, come lo intendevamo noi, al di là della naturalità, della finitezza, nel vigore della forza irradiante dell’amore, movimento qualitativo dell’essere totale, nucleo dischiuso dall’inizio

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del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Logos”, ossia Verbo e Parola. La tua spiritualità vissuta, costituiva la sorgente cui si alimentava la mia speculazione e la stessa filosofia, che non si lascia irretire da nessun schematismo di scuola. Pensiero speculativo, con vertici di geniale penetrazione del mistero. Una trasformazione di vita e di mente che significa conversione alla felicità, vocazione e origine di ogni cosa. In principio, infatti, prima che il mondo fosse, era quella che tu chiamavi “alterità per amore”, semplicemente, il Padre che genera il Figlio e lo ama in eterno: insondabile mistero della Santissima Trinità. Poi, tutte le buone creature e l’uomo, alterità senza alterazione, di infinito valore, diapason della sinfonia del creato. Da ciò, muovevi i tuoi obiettivi sapienziali, scrutando, dolcemente, il sacrificio salvifico del Cristo, orizzonte della filosofia,

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Professore… presente!

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fonte della nostra ricerca e della nostra amicizia. Essere per l’altro, dal Totalmente Altro, che è Dio. Carità e Sapienza, Amore e Filosofia, ragioni di vita, tue e mie. Seguo, con l’umiltà del discepolo e con gratitudine, questi elementi di grazia. Non mi mancherai! Sei presente, Professore. Presente come un tempo, profondamente presente e benedetto. Ricordato da tutti quelli che hanno imparato ad amare, quando si conosce un vero filosofo, uno studioso che, sicuramente, meritava vette accademiche ben più rilevanti. Sarebbe stato più giusto! La società, però, non sempre, dà meriti a chi ha merito. Per tanto tempo, hai insistito a rincorrere il tuo posto legittimo, un posto di ordinario, una cattedra universitaria che, vari pupilli, non hanno veramente sudato. La tua natura, semplice e

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onesta, non poteva considerare i compromessi necessari ad accedere a quell’ambìto posto. Un cruccio emotivamente mal tollerato. Latente, il senso di ingiustizia che avvertivi in alcuni frangenti, il quale, provocava un forte senso di frustrazione e di rabbia. L’Università voleva essere la tua dimora. Ma l’ideale non è il reale, e, la tua sensibilità troppo spiccata, non adeguata per quel mondo non del tutto sano. Ricordo, con un pò di sofferenza, un episodio che ci ha visto, nuovamente insieme. Una mattina, lungo i corridoi, insolitamente non affollati della facoltà: una crisi emotiva di ribellione e di dolore. La tua ragione, indomita, si riaffacciava, brevemente, soltanto quando il tuo pianto rabbioso si placava, sia per aver raggiunto il limite, sia per quell’opportuno sedativo che il medico ti somministrava. Che paura!

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Che senso di inadeguatezza mi assaliva, nel tentativo di attenuare il tuo impeto, a lungo rimosso, ed espresso solo a parole. Non ti andava proprio giù, costatare, l’insolente negligenza di chi disertava le lezioni, in quella giornata calda di fine anno accademico. Soffrivi tanto, ed io con te, entrambi chiusi in un’ambulanza che ti conduceva in ospedale. Capivo, e forse solo io, ciò che provavi. E con amorevole dignità, percorrevamo, in quella troppo calda giornata, altri corridoi, purtroppo più frequentati, di una clinica psichiatrica. Non descrivo le sensazioni che provavo, nel desiderio che tutto quel dolore svanisse al più presto, come per miracolo. Eri solo, disteso sul letto, abbandonato da tutti, studenti e colleghi. In un attimo, abbiamo visto la nuda verità di un Ateneo: una superba istituzione che non conosce il nostro Dio, un luogo, spesse volte, abitato da grandi che spendono la propria vita nel corteggiare l’applauso, cercando quelle vuote cose chiamate prestigio e fama, umiliando e distruggendo i piccoli.

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E’, certamente, fuorviante tentare di risolvere il contrasto creato dall’opposizione e dalla differenza tra i piccoli e i grandi, ma, ciò, rappresenta il tragico della contraddizione. Purtroppo, tali contrari sono posti nella società retta dai giganti del potere, coloro che detengono l’arbitrio e la cattiva volontà di impastare la realtà, rendendola, così, inautentica ed adulterata, impura fin dal principio. I piccoli si confondono in questo grande oceano di mescolanza totale. Un mancato equilibrio, che non ha nulla a che vedere con l’estrema umiltà di colui che, nell’abnegazione, accetta regole ingiuste e ottenebrate. L’amore è più forte del male e il male più forte dell’amore, così all’infinito. I piccoli, le vittime sacrificate a questo assurdo gioco che si perpetua da sempre. Ma “ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio”. Quindi, guai a toccare i piccoli, in quanto amici suoi. Tale contraddizione e mancato rispetto per la giustizia, durerà fino alla fine del mondo. Dopo, i piccoli, vedranno il regno del vero e del giusto, ove l’immane volontà di potenza, imposta dalla

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prepotenza dei grandi, non avrà più disposizione di mezzi. I piccoli, ridotti all’impotenza, avranno, nella possibilità del bene, quella di prendere le distanze dall’ipocrisia e dalla prevaricazione. Ti sei ripreso in fretta da quella crisi, ma, mai, dalla tua insoddisfazione per il mancato coronamento del tuo sogno antico, legato, a doppio filo, con la tua unica debolezza: servire due padroni, le tue aspettative legittime e la nostra filosofia. “Non si possono portare due meloni, sotto lo stesso braccio”, afferma un antico proverbio persiano. Spesso, lo dimentichiamo e ne paghiamo lo scotto. Ignoriamo, inconsapevolmente, la nostra doppia natura, trascinati da una forza che ci porta ad agire senza pensare, a creare un filtro deformante alla libertà. Certo, è duro e faticoso rinunciare all’interesse proprio, per perdonare l’interesse collettivo, ma, tutto ciò, fa parte della giustizia e dell’amore. E la rabbia arde sotto le ceneri, senza fondere mai il ghiaccio della nostra rigidità mentale.

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La mente, non è né l’anima, né, tanto meno, lo spirito. La liberazione è possibile. Oltre i limiti di una ragione finita, oltre la fisica, al di là della dialettica, lungo la via che è Verità e Vita. Una vita di liberazione, che dura una vita e che si può trasformare in un canto d’amore. Amore abnegativo, fino al sacrificio di sé, per amore dell’altro, di là della virtù e dell’eroismo. Si scrive tanto sull’amore, anche se, sull’amore, sarebbe meglio non scrivere. Esso è indicibile, inesprimibile ed ineffabile, perché non ha misura. Solo nell’imponderabile tangente di un istante, dell’Eterno che si innerva nel tempo, si può esperire la presenzialità del Tutto Amore, che ama senza misura. Non ci sono attimi che fuggono, in questa prospettiva, ma istanti di verità, presenti nella storia dell’uomo e nell’uomo della storia, dentro il cuore e non fuori di esso.

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L’amore è eterno presente di se stesso, prima, durante e dopo il tempo. Solo questo posso dire dell’amore, sapendo di aver detto tutto e niente, o forse solo una parte, la parte visibile ai miei occhi parziali, occhi che scorgono segni di un linguaggio, confutabile anche dal mio stesso pensiero, per connaturali principi di contraddizione. Ciò, per cui, altresì, una cosa è, invece di non essere quella cosa, corrispondente al principio di identità, semplifica la comprensione di ciò che, altrimenti, sarebbe incomprensibile. Solo lo Spirito, ci condurrà in tutta la verità, priva di false immagini e specchi. E finalmente, potremo dire! Come dice Aristotele, quando ritiene che, l’intelligenza del dire, è la capacità di cogliere i primi principi di tutte le scienze, primi principi che, appunto, come tali, non cadono nell’ambito delle scienze stesse. Come direbbe Pascal, quando rileva uno spirito intuitivo, che non si lascia guidare se non dal sentimento e dal gusto, cioè dal

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cuore: riconoscimento di una verità più grande di quella scientifica e psicologica, una verità di puro dominio del cuore e del sentimento, perché, di là della scienza, c’è, sempre, il dominio della verità eterna, illuminata dalla luce divina che penetra nell’uomo. Intanto, procedo lungo il percorso dell’errante, cercando luce, come le farfalle nella notte, cercando di non scambiare le lucciole per le lanterne, nel labirinto inestricabile delle mie rappresentazioni. La consapevolezza, il mio orizzonte, con l’umiltà della colomba e la prudenza del serpente, nel rispetto della piena coscienza e della massima attenzione. Eri d’accordo con Sant’Agostino quando affermavi: “Non uscire da te, ritorna in te stesso, nell’interno dell’uomo abita la verità; e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso.”

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E con Pascal quando affermava che “Spesso gli uomini scambiano la loro immaginazione col loro cuore, e credono di essere convertiti quando cominciano a pensare a convertirsi”. “Attento a non idolatrare né la coscienza, né, tanto meno, l’attenzione”, mi ripetevi, e “stretta la via che si allontana dal mondo della volontà e dei desideri”. Me lo ricordavi sempre, ogni qual volta che, tronfio e trionfante, m’inorgoglivo delle mie conquiste filosofiche. Non il dubbio iperbolico o scettico, che dir si voglia, ma la cauta ed umile certezza, quindi, di verità che non si possiede, vita natural durante, lungo il cammino dell’esodo, dal paradiso perduto. La messa in questione di sé, mi suggerivi, vera metanoia, scacco ontologico, conversione e opzione fondamentale: contrizione del sé che sceglie il vero. Dopo, senz’altro, la consolazione di non esser più soli! Rinnovati nella storia, in una storia che non si rinnova da sé, da ieri sino a domani, aspettando il giorno nuovo e non un nuovo

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Professore… presente!

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giorno, oltre l’attendismo per l’eternità, oltre l’ansietà del tempo che aspettiamo, perché “ad ogni giorno basta la sua pena” e non vale la pena penare per ciò che non ci appartiene. L’appartenenza attiene al possesso, all’avere, mentre, noi, abbiamo la vocazione all’essere. Siamo chiamati a lasciare per prendere, perdere per la vittoria e per la restituzione finale. Per questo non mi mancherai! Mi mancheranno i nostri perché, cercati senza i come, nella comune erranza di una condivisa nostalgia, la nostalgia di uno stato d’essere, ove posare il capo. Si, perché l’uomo, nella vita degli affanni, non sa dove posare il capo, senza riposo eterno. “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo, i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Mt. 8.20

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Professore… presente!

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Mi mancheranno le cose, gli eventi trascorsi, i luoghi e gli ambiti, i sentieri e le tracce: testimonianza e vestigio di ciò che di pregiato accenno. Un accenno, vorrei fare, ad una giornata, trascorsa all’insegna dell’armonia, un mio compleanno in tua compagnia. Il desiderio di trascorrere un giorno diverso e particolare. La sera prima, i frettolosi accordi, insieme al gruppo di amici: domani si va in montagna e al mare! La nostra città lo permette: Gambarie e Bagnara. Si può vivere pienamente anche un solo giorno, lo abbiamo sperimentato, non solo quel giorno: Beatrice, Francesco e Patrizia, tu con i tuoi giovani figli Antonio, Giulio, Gino e Lorenzo, gruppo, così spontaneamente composto, con la volontà di darmi affetto, nel giorno a me dedicato. Si partì presto, il nove d’agosto, prima che l’aria afosa velasse il cielo reggino, con la consueta, estiva cappa.

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

Destinazione: il ricercato refrigerio montano, lontano da un luogo con la medesima latitudine di Seul. Chi vive, d’estate, a Reggio Calabria, sa di queste esigenze e noi, quella giornata, volevamo trascorrerla in ottimale condizione di temperatura. E potevamo farlo! Respirare! C’è qualcosa di più semplice? Già alle 10.30 avevamo appetito. Cosa c’è di meglio del riso ai

funghi

del

professore,

preparato

negli

indimenticabili

scaldavivande? Migliore spuntino per goderci, in serenità, la gioiosa ricerca dei primi porcini stagionali? Poi, il pranzo rustico ed il riposo. Non saprei, in quei frangenti, cosa fosse più piacevole da assaporare, se la compagnia, l’aria pura, la prelibatezza del cibo, la passeggiata, le battute scherzose o le scivolate sull’umido dei sentieri, per nulla pericolosi, se attraversati insieme con un’allegra, ma attenta guida.

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Professore… presente!

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Senza alcun problema digestivo, con tutto il tempo per condividere un buon caffè e… quasi per incanto, in spiaggia, dopo una buona dose di curve in macchina e con una temperatura, sicuramente, diversa, correndo a piedi nudi, pensando, forse, di avere tutti la medesima età, con la spensieratezza dei bravi ragazzi e l’innocenza di chi non aveva ricordato… di portare il costume, per l’imperdibile bagno pomeridiano, in un’acqua d’indescrivibile bellezza. Tutti in costume bianco, quindi, e… senza marca. Che valore abbia la griffe in paradiso, ancora, questo non l’ ho capito! Quanta vita da vivere quel giorno. La torta gelato a casa mia, seduti in balcone, con il sempre gradito venticello dello Stretto, mi riportava alla mente che avevo un anno in più… ma come amo ricordare quel compleanno! Seduto, sulla sedia a dondolo, raccontavi la giornata trascorsa, a chi, della mia famiglia, era rimasto a casa.

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Mio padre ti rifocillava con il bis del gelato e scherzava con te chiedendoti, nel frattempo, numi filosofici sulla realtà e sulla vita in generale. Un po’ come suole fare con me, quando ci incontriamo: mi rifocilla e mi chiede di Dio. Oltre la generazione e di là della concatenazione delle nascite e delle morti, sta il significato della dignità dell’amore a principio. Nella relazione parentale, soltanto l’immagine di quella dignità. Certamente, andando oltre l’ancestrale rapporto padre-figlio, si scorge la scintilla dell’amore paterno ab origine. Che grazia sublime, tuttavia, poter parlare di Dio col padre! Mario, ti chiama Domenico, mio padre, quando ti ricorda, perché Mario ti chiamava chi ti conosceva da lunga data, o forse, lui, semplicemente, per… non fare confusione col proprio nome. Eravate vicini di casa, quando ero bambino. E ben presto amici. L’amicizia più grande, quella della giovinezza, una bella giovinezza, per l’amicizia più bella. E la felice amicizia è come un

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detto parafrasato più volte, svegliarsi presto, per ammirare il tramonto. Non importa, se il sole che si nasconde, si aspetta da soli: l’animo del filosofo non teme la solitudine, poiché la contempla e ne comprende il senso, educarsi fino a morire, per il farsi umano dell’esistenza e morire da soli, come un chicco di grano nella terra. Questa la pedagogia che insegnavi, del morire e del vivere: educazione alla morte per la vita. Oltre ogni solitudine. Lo capivo, quando cercavi compagnia in quel negozietto semplice di articoli di carta, una cartoleria in centro, dove amavi intrattenerti con persone rispettose ed amiche, della tua solitudine e del tuo cuore generoso, del tuo dire e del tuo fare. Senza alcuna difformità, tra la tua e la nostra esperienza e cultura, tra i tuoi e i nostri pezzi di carta. Numerosi fogli di carta velina e un’invecchiata macchina per scrivere, strumenti, oltre il tuo ingegno, per produrre saggi di filosofia: quanto hai sognato il nuovo computer, rimasto ancora imballato, che, con entusiasmo, avevi acquistato per le tue opere. Mai usato, poi rivenduto. Probabilmente, ciascuno ha i propri

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Professore… presente!

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momenti e il tempo non si acquista certo in emporio, né in contanti, né a rate. Il destino ha voluto che ti si ricordasse più per come insegnavi, che per ciò che dovevi ancora dire per iscritto. Ricordo quel tuo ex alunno, incontrato una sera in un bar, ove, per incanto, si respirava aria di riconoscenza e cortese ossequio. Mi presentavi, giustamente compiaciuto, un uomo alto, non più ragazzo, emozionato e felice di rivederti. Sarebbe rimasto volentieri a lungo, insieme al suo ben amato professore, per esprimere tutta la sua gratitudine per ciò che rappresentavi nella sua vita e ciò che avevi fatto per la sua formazione. Si leggeva nei suoi occhi vispi e lucidi. Intesa non del tutto espressa a parole, inefficaci a comunicare tutta la necessaria venerazione e deferenza che ti spettava e meriti. Non tutti hanno la fortuna di avere una guida, per sondare l’animo, per essere veri e agire in armonia col mondo. E’ più facile vedere gli altri che se stessi, cercarli per non trovarsi mai, ma quando

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

l’aiuto, necessario a trovare la via, lo incontri realmente, allora, sai che non perderai mai più la giusta direzione. I buoni propositi, gli entusiasmi, servono a poco! Se poi, tutto ciò, è un amico a dartelo, la fortuna è un dono. In ebraico, amico, significa “dono di Dio al mondo”. E se l’amico, infine, è anche filosofo, allora, questo dono diventa strumento di grazia, amore della Sapienza che si cela nel fondo del cuore. L’uomo, parafrasando Hegel, mediante l’indicata alterità, esce dalla prigione del proprio “io” e incontra “l’altro”. Lo ama come se stesso. Da soli, o isolati, infatti, direbbe Pirandello, non si è nemmeno uomini, ma “io” chiusi e mai “sé” comunicanti. Grazie a te, ho imparato a non lasciarmi sedurre dai sofismi e dai paralogismi dei lestofanti e degli allocchi, dall’intelletto stordito. Essi tentano di confondere e turbare la mente di chi, con prudenza, ritiene il “tutto lecito, ma non tutto utile”, anche nelle idee.

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

Tutti, dentro, abbiamo le nostre canzoni, anche chi, il più delle volte, appare freddo e distaccato. Abilmente, per paura, sottrae, alla vista, i propri angeli e il proprio tesoro. Ma non alla tua sensibilità, alla quale non sfuggiva, di certo, quanto amore ci possa essere in chi, spesso, viene giudicato gelido. E lo facevi notare. Come quella mattina, alla nostra solita e, quasi peripatetica, passeggiata all’aria aperta, quando Silvana, mia suocera, in apparenza distolta da ciò che dicevi, stringeva una talea tra le dita, amorevolmente protetta, in segreto. Con saggia discrezione e abile riflessione, osservavi la scena, mentre, con me, riferivi di intelligenza e di finezza. Prontamente hai annunciato il significato a chi era presente e, tuttavia, non attento a quel germoglio di vita. Offrivi,

in

tali

frangenti,

idee

semplici,

in

sagge

dichiarazioni, messaggi di esistenza presente, del qui e dell’adesso, o… del mai più! Nella possibile impossibilità del non ritorno al nostro tempo.

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

Soffio vitale allo stato nascente erano le tue parole… e di infinita potenzialità. Ecco ciò che accade ad ogni istante, per noi, dall’inizio alla fine di questo tempo. Si svela una realtà per chi ha acume d’intelligenza, una realtà, ove la stupidità si ferma e resta fuori, distante o isolata, per vie più estese. Un regno dove si possono vedere, anche solo per un istante, le finzioni del mondo, con lo stupore del filosofo e dell’Eterno presente dell’essere, che esiste per trascendersi. Come la nostra alterità, corrispondenza di amicizia e dignitosa stima, che racconta l’amore per la filosofia, rivoluzionaria, della tua presenza e della tua assenza. Un vago presentimento che viene a conformarsi: un non so che, che nell’istante presente, in un’apparizione sparente, mi induce a desiderare la tua resurrezione, in questo ineffabile mistero del presente, dal sapore di malinteso e di controvertibilità, alibi di amor proprio o autentico amore.

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Professore… presente!

Luciano R. Conti

Un moto dell’anima mi prende, genuino e sincero, spontaneo ed improvviso, che elimina questa antitesi irriducibile, questa insopportabile aporia. Sei presente, in questa triste assenza, nel dire che non mi mancherai. A te, dedico questo mio movimento, a te che, adesso, in verità… mi manchi. Mi manca la tua presenza… professore. Per sempre.

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Bibliografia di Domenico Vircillo Filosofia e sociologia della cultura. Studi su Ernst Cassirer e Karl Mannheim. Socrate e la filosofia. Umanesimo e filosofia politica. PossibilitĂ e orizzonte della filosofia. Sant'Agostino.

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Indice

7

Prefazione

13

Prologo

27

Professore‌ presente!

73

29

Introduzione

31

Professore‌ presente!

Bibliografia di Domenico Vircillo

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- 76 -


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