URBAN ART

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PREMESSA Lo scopo di quest tesi è quello di evidenziare i meccanismi e le dinamiche che hanno portato alla definizione dei concetti di base delle nuove tendenze pubblicitarie non convenzionali. L’argomentazione di tale tesi è strutturata in modo tale da ripercorrere fenomeni e correnti come il writing e la street art, analizzate in modo critico rispetto all’obbiettivo proposto in questo lavoro. Viene inoltre messo in luce il ruolo del contesto urbano e la relazione con i fenomeni analizzati, cogliendone le invarianze e i mutamenti. In questo modo il lavoro si pone l’obbiettivo di sensibilizzare l’attenzione verso, non solo la gestione e utilizzo degli ambienti urbani, ma soprattutto verso la comprensione del valore del codice comunicativo utilizzato nel contesto artistico/pubblicitario. Luciano Maria Aiello



INDICE Le origini del Writing Le Tecniche Danneggiamento di Massa Street Art Guerrilla Marketing Glossario

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Le origini del Writing

WRITING: le origini

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Le origini del Writing

WRITING: le origini La nascita del graffitiamo (questo termine ovviamente è sempre stato rifiutato dagli artisti che lo praticano) è databile tra la fine tra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70, tra Philadelphia e New York. Artisti come Taki183,Julio 204, Cat161 e Cornbread iniziarono a dipingere i loro nomi sui muri o nelle stazioni della metropolitana di Manhattan. Intorno al 1968 i nomi passano dai muri dell’upper West Side di ManHattan ai mezzi di trasporto pubblico di NY, lungo le strade che portano al Bronx e Brooklyn. L’unico obbiettivo dei primi writer era quello di acquistare popolarità, portando in giro i loro nomi. Questi nomi non erano mai nomi di battesimo, quasi sempre soprannomi i nomi d’arte seguiti dal numero della strada. Era appena nato il fenomeno delle Tags. Nell’estate del 1971 la Subway di new york era letteralmente invasa di tags, centinaia di nomi scritti con diversi stili che aspettavano di esser letti e uscire dal loro anonimato.

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“se tu riuscissi a leggere una delle mie lettere senza essere un conoscitore del mio stile, allora io avrei commesso qualche errore, perché non dovresti essere in grado di capirlo” Il 21 Luglio del 197 si verifica quel che si può considerare la prima apparizione dei graffiti sulla scena dei media, il New york times infatti pubblica un articolo intitolato “Taki183 spawns pen pals” (Taki183 genera compagni di penna). Taki183 è un teenager di ManHattan che scrivere il suo nome e la sua strada ovunque va. Nell’intervista si legge che è una cosa che lui sente di dover fare. Taki è un tradizionale diminutivo greco per demetrius, il suo vero nome. Dice di essere stato il primo ad iniziare a porre le sue tags nel quartiere ma poi svela che ne esisteva un altro, Julio 204. Ogni volta che Julio204 scriveva il suo nome, Taki rispondeva con una nuova firma, maggiore nel tratto e nelle dimensioni, Il suo nome si doveva leggere prima, doveva essere il primo.

I vagoni della metropolitana, i treni e gli autobus avevano l’importante compito di portare i nomi a spasso per le città diffondendo la loro gloria ovunque, molto lontano dalle loro strade e dalle loro origini. Negli anni seguenti si assiste ad una rapida evoluzione, le semplici tag acquistano differenti stili, le lettere crescono di dimensioni, cambiano, modificano, si gonfiano per ricreare il preciso stile dell’artista. Lo stile diventa quindi il simbolo della riconoscibilità dell’artista, ognuno ha un modo diverso e originale di porsi di fronte al vasto pubblico e anche verso i writer “rivali”.

Gli effetti prodotti dalla diffusione dell’articolo si notarono subito e dopo brevissimo tempo il numero dei writer raddoppiò. Il writing si trasformò da attività quasi clandestina in una grande performance competitiva tra giovani teenager.

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“se tu riuscissi a leggere una delle mie lettere senza essere un conoscitore del mio stile, allora io avrei commesso qualche errore, perché non dovresti essere in grado di capirlo” spiega un writer nel volume “Style: writing from underground. ( R ) evolution and Aerosol Linguistic”. I progressi più significati nel campo dello stile sono stati fatti negli anni 70, che si parli di lettere soft, meccaniche o wild è quasi tutto frutto di questi anni. L’evoluzione che arriva sino ai giorni nostri non è nient’altro che la sinterizzazione di stili e tecniche provenienti direttamente dagli anni70. Fini dal 1972 la municipalità di NY propone le sue prime iniziative anti-graffiti, con una campagna di pulitura massiccia di tutti i vagoni della metropolitana, ma questa legge come tutte le successive leggi antigraffiti ebbero completamente effetti opposti a quelli desiderati. Infatti i vagoni e le carrozze ripuliti da tutte le tags offrivano solamente nuovi spazi per sperimentare nuovi stili senza mancare di rispetto ai precedenti writers.

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Nel 1973 la polizia di NY investe 10milioni di dollari per combattere il dilagante fenomeno, 1562 i giovani arrestati, quasi tutti sotto i 15 anni, (alcuni sono stati presi addirittura più di 20 volte). Il gusto del rischio di un eventuale scontro con le autorità fa da sempre parte della vita del writer e questo non fa altro che alimentare e dare più gusto alle scritte illegali.


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Nel frattempo emergono già i primi tentativi di sdoganare i graffiti come fenomeno strettamente artistico. Hugo Martinez, uno specialista di sociologia del City College di New York, attratto dalla novità del linguaggio del writing, contatta alcuni artisti, e assieme a loro fonda la United Graffiti Artist ( UGA ), con lo scopo di strappare gli artisti dalla strada e incanalare la loro arte in uno studio. Intanto escono nuovi articoli sui giornali, dal “Wall Street Journal” sino al “New York Times Magazine”, che nel 1973 pubblica la Graffiti Hit Parade, con le foto dei masterpieces più raffinati e più belli. Dell’anno successivo, il 1974, è la pubblicazione del volume The Faith of Graffiti, con molte fotografie a colori e un testo di Norman Mailer, che è tra i primi a metterne in luce il carattere profondamente sovversivo, dal punto di vista culturale, del fenomeno: “Si tratta di una rivolta tribale contro i mali della società capitalistica”, scrive Mailer. “ La coscienza che ha l’artista di poter affermare la propria identità solo violando la proprietà pubblica o privata non riduce poi il valore del suo lavoro ma anzi, lo aumenta notevolmente”.

Ma, contemporaneamente all’evoluzione dello stile, alla presa di coscienza e alla radicalizzazione del movimento, i settanta sono anche gli anni dell’esplosione e della parcellizzazione del fenomeno, e della sua lenta ma progressiva esportazione anche al di fuori degli Stati Uniti. Il writing diventa dunque, già a partire dalla seconda metà degli anni settanta, una cultura fortemente identitaria, con un proprio slang, una serie di regole non scritte, gruppi di riferimento ristretti e fortemente localizzati, propri codici interni e un proprio linguaggio autonomo, fortemente alternativo a quello ufficiale. La stessa progressiva evoluzione dello stile (uno dei cardini attorno a cui ruotano i riferimenti identitari dei singoli writers e dei diversi gruppi che lo praticano) con differenti modalità espressive a seconda delle zone, e, in seguito all’espansione del fenomeno in Europa, dei paesi in cui viene praticato, diventa emblematica della volontà di creare una serie di codici sempre più sofisticati di riconoscimento e di scambio di informazioni interni.

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Stile e linguaggio diventano cosi il luogo virtuale dove far confluire l’estetica individuale, la cultura del gruppo (crew) e l’identità territoriale della propria azione, tutto tra l’indifferenza e la totale incomprensione di chi non è inserito all’interno del movimento. Si può dunque ben dire che, a pochi anni dalle prime teorizzazioni situazioniste, mille anni luce lontani da queste, al di là dell’oceano, gruppi del tutto estranei alle èlite intellettuali e artistiche, per lo più appartenenti al proletariato e al sottoproletariato urbano, cominciavano però a mettere in pratica un tipo di arte differente: tutta puntata sull’attenzione a ciò che accadeva nella vita reale,all’interazione con la vita di strada e con le sue dinamiche interne, a tratti con accezioni fortemente rituali, quando non addirittura con caratteri “paratribali” ( l’ideologia del gruppo ristretto, la pratica di marcare il territorio, la non riconoscibilità dei diversi linguaggi degli stili e degli slang se non tra affiliati del medesimo gruppo ).

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Keith Haring e Jean Michel Basquiat Sin dal 1980 Keith Haring e Jean Michel Basquiat furono entrambi presenti nella scuderia di uno strano laboratorio, Fashion Moda, non tanto una vera e propria galleria ma piuttosto una collezione di scienza, tecnologia, arte e fantasia. Di qui, per diversi anni, passarono artisti come Crash, A One, Futura 2000, oltre agli stessi Haring e Basquiat, che avevano entrambi iniziato a lavorare sulla strada tra la fine degli anni settanta (Basquiat) e l’inizio degli anni ottanta ( Haring). Keith Haring arriva a New York nel 1978, in un momento di grande fermento innovativo. La città offre infatti ospitalità alle nuove correnti e attenzione al fenomeno nascente del graffitismo, tendenza che poi caratterizzerà gli anni ottanta. I graffitisti ritengono che il potere della cultura occidentale, che pure Haring aveva assorbito attraverso i suoi studi, abbia fatto del linguaggio un luogo distruzione, di morte e di rapina, e vorrebbero attraverso l’arte costruire un contropotere del linguaggio.

il valore di controcultura e di impregno politico sociale presenti nei suoi esponenti. I graffitisti, artisti integralisti, prodotto di una cultura minoritaria che appartiene all’emarginazione, paradossalmente hanno un atteggiamento da intellettuali europei, con un’identità complessa e molteplice e con un occhio rivolto alle avanguardie europee. I graffitisti di periferia hanno influenzato Haring con l’idea di un grafismo forte, il desiderio di uscire dai luoghi culturali per intervenire sul marciapiede. Nel 1978 lo stesso Haring afferma che i graffiti erano la cosa più meravigliosa che avesse mai visto, ma era solo il 1978 è la guerra ai graffiti non era ancora iniziata. Quindi all’arte era consentito sbocciare in qualcosa di stupefacente e il movimento era davvero al suo apice.

L’artista è attratto in particolar modo da questo movimento, non soltanto perché condivide i suoi precoci interessi ( il cartoon e il fumetto utilizzati in maniera alternativa), ma anche per

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Quindi all’arte era consentito sbocciare in qualcosa di stupefacente e il movimento era davvero al suo apice. Questi ragazzi, che erano ovviamente molto giovani e venivano dalla strada, possedevano un’incredibile maestria che lasciava senza fiato al punto da restare a guardare i treni passare per vedere cosa c’era sul treno successivo. E’ proprio in metropolitana che il giovanissimo Haring nota i graffiti di un giovane artista: “Quando stavo giungendo alla fine dei miei studi alla School of Visual Arts”, racconterà in un’intervista “nelle strade di New York iniziarono ad apparire diversi graffiti con la scritta SAMO. Apparvero quasi per un anno e io avevo idea di chi fosse questa persona, ma iniziai a seguire religiosamente il sul lavoro, perché apparivano nella zona in cui vivevo e lo incontravo mentre andavo e tornavo da scuola. Era la prima volta che vedevo qualcosa che si può definire come “graffito letterario”, per me era poesia condensata in grado di inchiodare i tuoi passi e farti pensare. SAMO, si scoprirà presto, altro non era che Jean-Michel Basquiat, che assieme al suo amico graffitista, Al Diaz, aveva iniziato a tracciare i suoi strani, bizzarri e spiazzanti aforismi siglati con la criptica firma SAMO, che si diceva volesse dire “Same Old Shit (sempre la solita merda).

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Erano aforismi e semplici mozziconi di frasi fortemente spiazzanti, del tipo: “SAMO: fine del lavaggio del cervello religioso, della politica del niente e della falsa filosofia”, oppure “Perfettamente salvo pensa lui,SAMO”, e altre frasi del genere. In un’intervista Basquiat risponderà di essersi considerato un normale writer nei primi tempi, e dirà di aver usato i muri della metropolitana “perché volevano farmi un nome”. “In realtà”, dirà. “SAMO non nasceva come arte”.


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E’ bellissimo, e degno di essere raccontato il primo incontro inconsapevole tra Basquiat e Haring, con le parole dello stesso Haring: “Non avevo mai incontrato Jean-Michel Basquiat di persona, ne avevo solo sentito parlare. Un giorno un ragazzino mi si avvicina proprio mentre stavo entrando alla School of Visual Arts e mi chiede se posso farlo entrare con lui per fargli oltrepassare la guardia di sicurezza. Gli dico “ma certo”, ed entrammo insieme. Io mi assentai un po’ per andare ad una lezione. Quando uscii, circa un’ora dopo, mi accorsi che c’erano tutte queste poesie e queste Tag di SAMO in posti dove un’ora prima non c’erano. Mi resi subito conto che avevo fatto entrare Jean-Michel Basquiat”. A partire dal 1980, Haring comincerà anche lui a disegnare in metropolitana: come supporto, utilizzerà fogli neri che coprivano le pubblicità scadute per tracciare i suoi folli e celebri omini intrecciati l’uno all’altro. Nel giro di pochi mesi, le fermate del metrò saranno punteggiate anche dai suoi Subway Drawings. Ma il suo scopo non si fermava all’intervento urbano.

E’ il segno di un mutamento in atto nella prassi di alcuni artisti di strada; gli anni settanta stanno finendo, la radicalità ideologica comincia a essere contaminata da elementi postpop, da citazioni, da continui e ripetuti richiami ad altri linguaggi e ad altre forme culturali. La debolezza del pensiero postmoderno comincia a seminare i suoi germi nelle pieghe del movimento. Nel 1982, l’edizione di Documenta di Kassel ospitarà una rappresentanza del movimento newyorkese: a rappresentarlo sarà Fashion Moda, che per l’occasione si presenta in tutto e per tutto come una boutique, esponendo T-shirt, oggetti, poster. Nel 1986 Keith Haring aprirà a SoHo un suo negozio, il Pop Shop. Nel 1988 un’altra iniziativa lo porta a Tokyo e vendendo T-shirt, toys, poster, distintivi e calamite allarga la popolarità delle sue opere. Questa era la filosofia che stava dietro al Pop Shop.

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La parabola di Haring, come quella di Basquiat, sarà rapida e travolgente. Entrambi moriranno giovanissimi; Basquiat di overdose a 27anni il 12 agosto del 1988, mentre Haring consumato dall’AIDS all’età di 30 anni il 16 febbraio 1990. La prima fase del destino di Basquiat, a metà degli anni ottanta, fu di esser acclamato da un’industria tanto banalizzata dalla moda e accecata dal denaro da non saper distinguere uno scarabocchio da una vera opera.

La seconda fu di esser piantato in asso da quello stesso pubblico, una volta sfumata la novità del suo lavoro. La terza fu un tentativo di apoteosi a soli quattro anni dalla sua morte, con una grande retrospettiva al Whitney Museum intesa a purificare la sua breve e frenetica vita.

Qui sotto alcune delle Poesi di strada come furono definite, che richiamavano veri e propri rebus, ma al tempo stesso si presentavano come proteste contro la società contemporanea e contro le forme classiche della rappresentazione nel “fare arte” SAMO come nuova forma d’arte SAMO salva gli idioti SAMO per la cosiddetta avanguardia SAMO come alternativa al fare alrte con la setta”” radical chic” finaniata dai dollari di papà SAMO come la fine dei confini dell’arte SAMO come la fine della religione che ti lava il cervello, della politica inconcludente, della falsa filosofia.

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Come si vede, siamo ormai ben lontani dalla freschezza e dalla carica sovversiva del writing e della street art. Sembrerebbe, a leggerlo cosi, una pietra tombale per il disordine fervente e spontaneo degli artisti di strada. Eppure, mentre lo star system celebra i suoi nuovi martiri, qualcosa si continua a muovere, in tutt’altro ambito. Il Writing, esploso ormai a livello mondiale, si evolve in forme stilisticamente sempre più raffinate, e diventa presto terreno di conquista per le grandi major della moda e della pubblicità, per i manager commerciali e per il mondo della grafica e del design. Il suo linguaggio diventa insomma parte integrante dell’estetica diffusa del post-modernismo. Ma è soprattutto il paesaggio mutato delle città e l’invadenza sempre più massiccia delle immagini nella sua griglia architettonica che provocano piano piano un cambiamento di pelle della stessa pratica artistica.

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Tecniche Graffiti

WRITING: Le tecniche

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Tecniche Graffiti

TAG

Per alcuni è un semplice scarabocchio ma per il writer è una vera passione tipografica

TAG

Le Tag costituiscono la spina dorsale dei graffiti: è da loro che tutto ha avuto origine, prima ancora che alla fine degli anni ‘60 Julio e Taki tracciassero i loro nomi con la vernice spray per tutta Ney York. L’idea di piazzare il proprio nome in più posti possibili è al centro del culto della fama nella cultura dei graffiti. La Tag è la firma dell’artista o il nome della sua crew, del suo gruppo: l’idea è quella di tracciare la propria tag spesso e nel maggior numero di luoghi possibile, in modo da far conoscere e diffondere il proprio nome. E’ tramite la Tag che un writer, il graffitista, può esibire il proprio stile, creando un proprio marchio distintivo. L’idea è tracciare la tag nel minor tempo possibile, utilizzando una serie di movimenti del braccio predefiniti. Se creare una tag è semplice, non sempre è facile creare una buona tag.

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Tecniche Graffiti

Rappresenta infatti per l’artista un’occasione di dimostrare il suo talento essenziale: lo stile. Per chi non ce l’ha, le cose possono diventare difficile. La tag è al centro di gran parte delle opere calligrafiche di strada e rappresenta spesso uno spunto decisivo per i progettisti commerciali alla ricerca di un pizzico di autenticità di strada da inserire nelle loro creazioni. Personaggi come Sean Stussy, progettista di abbigliamento per lo skateboard e surf di Los Angeles, hanno costruito imperi da milioni di dollari sulla base di tag ben calibrate.

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Tecniche Graffiti

THROWUP

THROWUP

Quando la rapidità è essenziale, l’unica opzione è la “floppata”...

Quando iniziariono ad elaborare le semplici tag che erano soliti disegnare sulle pareti e sui treni della metropolitana di New York, i writer della prima generazione iniziarono a tracciare i loro nomi con più colori e con profondità come se fossero quasi in 3d. Ricalcando più volte le tag, si aggiungeva un contorno alle lettere, dando vita a lettere tipicamente rigonfie . Questo stilepiù elaborato prende il nome di THROW UP, in italiano possiamo tradurlo con “floppata”. Tipicamente molto più grandi delle tag, i throwup si costruiscono con un contorno e spesso con un diverso colore di riempimento.

Come le tag, possono essere eseguiti rapidamente ma richiedono una tecnica differente. Di solito utilizzano lettere dall’aspetto rigonfio, che richiedono da parte dell’artista una sensibilità per lo spazio e le proporzioni. Un throwup può essere traccito con rapidità.

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Tecniche Graffiti

Spesso potete trovare questa tecnica sui treni. Il throwup offre all’artista la possibilità di presentare qualcosa di più complesso di una tag in un ambiente che richede velocità di esecuzione. Pur non avendo l’impatto dei più ambiziosi pezzi, i throw up hanno un ruolo importante nella cultura dei graffiti. Alcuni dei più importanti artisti di strada li hanno utilizzati per mantenere viva la propria fama.

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Tecniche Graffiti

PEZZI

PEZZI

La nonna di tutte le tecniche dei graffiti, che tutti i writer si sforzano di perfezionare... Il termine “pezzo” , in inglese “ piece” a sua volta deriva dalla parola “masterpiece” ( capolavoro ). In queste composizioni a colori su vasta scala i graffiti cominciano ad assumere una complessita davvero maggiore. Writer come Seen, Dondi e Futura2000 sono stati tra i primi a portare l’arte dei graffiti a questo livello. Lontano anni luce dall’approccio monocromatico della tag, un pezzo contiene numerosi colori.

E’ qui che vengono messe alla prova le vere capacità dell’artista. I pezzi sono composti da molti elementi: si parte dai contorni, per poi elaborare un’immagine di grandi dimensioni e il più delle volte davvero complessa. I pezzi sono naturalmente incentrati su un nome o una parola, tracciata con una grafica fortemente stilizzata nota come “wildstyle” che la maggior parte delle persone trova illeggibile. Questa tecnica di scrittura è considerata tra le più difficili da padroneggiare per un writer. La qualità di un pezzo è importante ma può contare molto anche la sua collocazione. La creazione di un pezzo richiede molto più tempo di quella di una tag o di un throwup. E’ essenziale la precisione con la bomboletta spray: gli schizzi di vernice casuali non sono consentiti e rovinano la visione finale. Per creare un pezzo ben fatto occorre tener presente ogni elemento, dalle dimensioni al colore, fino al lettering e ai contorni, nitidi e precisi. Questo è il territorio in cui l’artista può davvero sfoggiare la sua abilità, ricorrendo anche ad effetti tridimensionali o all’uso di personaggi.

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Tecniche Graffiti

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Tecniche Graffiti

PERSONAGGI

PERSONAGGI

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... quando i personaggi hanno la stessa importanza della vernice spray ...

Di fronte al muro pieno di tag, i writer vogliono sempre mettere in evidenza la priopria. Tra i primi ad affiancare un personaggio alla sua tag ricordiamo StayHigh 149, che integrava la tua tag con una figura filiforme e stilizzata della serie tv “ il Santo”. L’introduzione dei personaggi nei graffiti è stata fortemente influenzata dalle opere del cartoonista underground Vaughn Bodè e dalla sua serie di fumetti Cheech Wizard. Dondi (che conosceva il figlio di Bodè, Mark) è stato uno tra i primi ad usare il mago dal grosso cappello e l’uomo lucertola ripresi dalla serie. L’uso dei personaggi si è quindi diffuso a macchia d’olio e gli artisti hanno iniziato a creare caricature dei personaggi Disney e di altri personaggi popolari o a inventarne di propri servendosene per integrare i loro throwup. ( In seguito, Disney ha sponsorizzato alcuni artisti permettendo loro di creare lavori autorizzati). Artisti leggendari come Seen si sono rapidamente creati una reputazione inserendo regolarmente dei personaggi nei loro pezzi sui treni della metropolitana di New York.


Tecniche Graffiti

La creazione di personaggi permette all’artista di ignorare le norme che regolano altri elementi dei graffiti, sebbene esistano alcune linee guida formali finalizzate a ridurre i tempi di esecuzione. Per mezzo dei personaggi gli artisti possono sfoggiare tutto il loro repertorio di tecnica e abilità. Artisti come Aroe hanno sperimentato l’uso di caratteri che riprendono la personalità dei personaggi.

Il writer Aroe in azione ritratto in un fotogramma del film Style Wars.

Un tipico esempio di come i personaggio possono essere parte integrante di un pezzo.

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Danneggiamento di Massa

Danneggiamento Di Massa

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Danneggiamento di Massa

DANNEGGIAMENTO DI MASSA ... Assimilare il writing a mero vandalismo, com’è abitudine dei quotidiani e del codice penale risulta essere semplicistico... Il graffiti writing è certamente una delle sottoculture più complesse e controverse del nostro secolo: nasce come manifestazione spontanea tra Philly e la New York degli anni Sessanta e Settanta e provoca presto interrogativi (ancora irrisolti) su quali siano i limiti tra la libertà d’espressione e i diritti di proprietà, sulle possibili intersezioni tra ambito artistico e azione illegale. 
Il fenomeno è semplice, e nella sua semplicità quasi disarmante. Teenager, indefinibili dal punto di vista della provenienza e dell’estrazione sociale, iniziano a scrivere il proprio nome su ogni superficie che a questo scopo si presti (ma se non si presta, va bene lo stesso), ignorando bellamente le leggi e le regole del vivere civile e costumato. Si inizia con comuni pennarelli, ma sarà la commercializzazione delle vernici spray (in agile confezione a bomboletta) a consentire l’esplosione di un fenomeno che, a un trentennio dalla nascita, non accenna a scemare: come è successo per molti movimenti artistici (si pensi alla tempera in tubetto per gli impressionisti) l’innovazione tecnica consente all’autore di esprimersi nel modo più consono al proprio sentire estetico.

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Le scritte aumentano in dimensione e numero di colori, e le semplici firme si trasformano in qualcosa di più complesso, che pur mantenendo il contenuto e l’intento espressivo dei “nomi” tracciati a marker inizia ad essere esteticamente appagante, si spostano dai muri ai treni della subway e viceversa in una incontrollabile escalation che attira l’attenzione di sindaci, giornalisti e preoccupati gestori di mezzi pubblici.
Da qui in poi, il fenomeno esplode e si moltiplica, assumendo molteplici sfumature: quello che nasce come un movimento di autoaffermazione, viene interpretato (basandosi solo sul risultato, non sull’intento – se un intento c’è) come un movimento artistico. Il writing diventa graffiti art. Le gallerie annusano l’affare. Si apre (prestissimo) una scissione tra gli adepti del fenomeno nella sua forma originale, e una serie di divagazioni eterodirette, al soldo del mondo dell’arte, della pubblicità, della grafica. Quella che – con un termine di allora – potremmo chiamare mercificazione dell’atto artistico ebbe come lato positivo la diffusione del fenomeno su scala planetaria: film come Wild Style (1983) o Beat Street (1984) portarono la cultura hip hop e il writing in Europa, dove però i più avveduti avevano già iniziato a scrivere sui muri, traendo ispirazione da un viaggio a New York o subendo gli stimoli dei telefilm americani, girati nei sobborghi.


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IL CASO MILANESE Il caso di Milano, oggetto di questa trattazione, è piuttosto anomalo. Possiamo dire senza timore che a Milano i graffiti sono stati (e sono ancora oggi) un fenomeno di massa e che la maggior parte degli adolescenti milanesi ha, presto o tardi, preso in mano uno spray. I media hanno preso atto del fenomeno (già agli albori, com’era inevitabile: muri e banchine del metrò ricoperte da una – seppur timida – selva di firme facevano notizia già negli anni Ottanta) e hanno plasmato l’opinione pubblica in modo altalenante, ma nella maggior parte dei casi hanno preferito stigmatizzare il fenomeno bollandolo come semplice imbrattamento, evitando accuratamente di approfondire l’analisi di una realtà ritenuta forse troppo complessa per il lettore medio. Assimilare il writing a mero vandalismo, com’è abitudine dei quotidiani e del codice penale italiano (danneggiamento, art.635 C.P.) risulta essere semplicistico.

... Assimilare il writing a mero vandalismo, com’è abitudine dei quotidiani e del codice penale risulta essere semplicistico...

Beat Street , Wild Style e Style Wars, i tre titoli più rappresentativi della cultura Hip-Hop, ancora oggi considerati dei veri Cult.

La tendenza a rovinare, devastare, distruggere i beni altrui per puro divertimento è il più delle volte fine a se stessa, o tutt’al più finalizzata all’aggressione del proprietario della cosa vandalizzata, della finestra sfasciata, dell’auto rigata: è evidente, già a un primo esame delle cosiddette “firme”, che in questa cultura c’è ben di più. >> Prima di tutto è un fenomeno collettivo che forma una “scena” molto ampia (simile per alcuni versi alla scena hacker), in cui ognuno cerca il rispetto dei pari: raramente una firma si sovrappone a un’altra. >> In secondo luogo, è spesso possibile riconoscere la stessa firma in più punti della città: i writer cercano la fama in tutta la città, vogliono mettersi in evidenza in tutte le zone (“People see your tags in Queens, Uptown, Downtown - all over” come diceva Seen, uno dei più prolifici bomber di New York, nel documentario Style Wars). >> Terzo, le lettere molto spesso illeggibili hanno uno stile riconoscibile, sono elaborate e studiate secondo precisi principi di lettering.

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..la street fame garantita dal writing rappresenta un modo per uscire dall’anonimato (come il rap o la breakdance, o come il calcio se preferite).. Tutto questo, è evidente, non può essere ridotto a semplice vandalismo, o a malcostume, come tende a fare ancora oggi la carta stampata.
 Affrontare la riflessione sul writing a Milano con questa leggerezza è deludente e controproducente: non è servito a debellare il movimento (cosa che probabilmente non è possibile fare) né a renderlo comprensibile ai cittadini, non è servito a migliorare la qualità dei graffiti o la qualità della vita nella città, non è servito a nulla.
 È evidente che i writer hanno una direzione precisa. Hanno un motivo che li spinge ad affrontare i numerosi rischi del mestiere, a mettere a repentaglio la propria fedina penale e spesso anche la propria vita. Quale sia, questo motivo, è difficile capirlo.
 Possiamo solo limitarci a fare delle ipotesi su alcune delle cause, o cercare di capire quali sono le condizioni che hanno consentito o facilitato la nascita del writing, a Milano come altrove (nessuna delle metropoli moderne è immune al writing, da Tokyo a Città del Capo).
 La spersonalizzazione causata dallo spazio urbano, dalla metropoli-alveare, ha come ovvia contro-reazione la necessità di distinguersi, di spiccare tra una folla di individui anonimi e identici: scrivere il proprio nome è un modo forte di affermare la propria presenza e la propria personalità, in più di un modo. Ci si distingue da quelli che non scrivono, diventando parte di un’elite underground. E ci si distingue tra i propri pari, tra gli altri writer, scrivendo meglio, scrivendo di più, con dimensioni più grandi, più spesso, in punti più rischiosi, mirando alla posizione di king: i parametri di giudizio ci sono e sono inequivocabili, tutti sanno chi è il migliore. La perdita di identità individuale a Milano assomiglia a quella di New York, pur anche con lo sfasamento temporale dovuto a una urbanizzazione più tardiva: a New York il boom dei graffiti risale agli anni Settanta, da noi non si vedrà nulla fino ai primi Ottanta. Il boom della televisione e dei rotocalchi, la necessità di “fama” instillata dallo starsystem hollywoodiano in pieno effetto, il warholiano 15 minuti , il quarto d’ora di celebrità, sono concause che trasformano la fama in una necessità.

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.. Ci si distingue da quelli che non scrivono, diventando parte di un’elite underground.. La street fame garantita dal writing rappresenta una via d’uscita dall’anonimato (come il rap o la breakdance, o come il calcio se preferite), è la via d’accesso per la celebrità prima di tutto tra gli altri writer e poi presso il grande pubblico degli utenti della città, forzati a subire questa forma d’espressione (esattamente come sono costretti a pipparsi pubblicità, architettura e monumenti, meravigliosi od orrendi che siano). Se la mentalità originale è autoreferenziale ( “It’s for me and other graffiti writers, that we can read it. These other people who don’t write, they’re excluded. I don’t care about them, you know?” dice Skeme in Style Wars) presto c’è stata un’apertura verso l’esterno: gli enormi whole car di Seen, pieni di puppet, per esempio, erano certamente diretti al grande pubblico. A Milano verso la metà degli anni Novanta, alcune firme hanno iniziato a diventare di colpo leggibili da tutti, in stampatello: l’aspirazione a una fama più generalizzata doveva concretizzarsi per forza, nella città della moda e dell’advertising.È stata una piccola rivoluzione, non semplicemente stilistica. È un cambiamento di approccio, di mentalità, un’apertura al pubblico che avrebbe cambiato senza possibilità di backup tutta la storia del writing milanese. È Dumbo : se la sua firma fosse rimasta intricata e illeggibile, ora non lo conoscerebbe nessuno.
La spaccatura contrappone due stili di writing, il wildstyle di stampo New York contro lo stile più semplice, leggibile, più veloce da realizzare, di ispirazione francese. É l’unico vero conflitto stilistico e di mentalità all’interno del movimento: le origini contro la novità, l’ermetismo contro l’apertura al pubblico, la focalizzazione sulla qualità contro quella sul numero di firme e di pezzi (è un conflitto ideologico che si ripropone in termini simili tra i writer e “quegli sfigati con gli sticker e gli stencil”, stiamo aspettandone l’esito da un po, convinti che alla fine sia solo la produzione di qualità a passare l’impietoso test del tempo).

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L’ipocrisia di chi si scaglia contro i graffiti, mentre al contempo impone i propri messaggi pubblicitari in dimensione abnorme, ben esemplifica l’atteggiamento della città nei confronti del fenomeno .. La ripetizione ossessiva di un marchio leggibile è ispirata evidentemente alle tecniche di diffusione dell’advertising, alla promozione di un brand che deve rimanere nella memoria: non stupisce, in una Milano cuore della produzione pubblicitaria nazionale. Né può stupirci l’evidente egocentrismo di chi scrive il proprio nome all’infinito, mettendo se stesso al centro della propria strategia di branding e attirando, nel cuore pulsante della moda internazionale, l’attenzione con vanità ed edonismo: saccheggiando quell’attenzione che ormai è merce, per un’economia avanzata in cui ogni sguardo ha un prezzo.

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I legami tra il writing a Milano e la moda sono molteplici ed evidenti, vanno ben oltre la schizzinosa disapprovazione di Giorgio Armani: alcune crew hanno intrecciato il loro percorso creativo con gli stilisti e il writing è allo stesso tempo fonte (di idee, di stili, di trend) e mercato (si analizzi la distribuzione di certi modelli di Nike tra alcune fasce di vandali, e si vedrà).


Danneggiamento di Massa

...Una doppiezza dominata da logiche economiche, per cui lo sporco e l’occupazione dello spazio pubblico sono accettate e tollerate solo in nome del denaro ... L’ipocrisia di chi si scaglia contro i graffiti, mentre al contempo impone i propri messaggi pubblicitari in dimensione abnorme, ben esemplifica l’atteggiamento della città nei confronti del fenomeno. Una doppiezza dominata da logiche economiche, per cui lo sporco e l’occupazione dello spazio pubblico sono accettate e tollerate solo in nome del denaro, come testimoniano le innumerevoli campagne di street marketing (da Nike a TDK), che negli ultimi anni hanno lordato la città. Viene da pensare che altre logiche economiche muovano le campagne antigraffiti, per le quali ogni anno vengono spesi svariati milioni di euro, che finiscono nelle tasche più disparate: in quelle municipalizzate dell’Amsa, e in quelle ben più private dei produttori di vernici antigraffiti, dei pulitori privati, degli imbianchini, di chi pellicola i treni, delle agenzie di sorveglianza privata e dei produttori di telecamere a circuito chiuso, delle concessionarie e delle agenzie pubblicitarie che partoriscono annualmente orride pubblicità per i servizi di cancellazione.

La città di Milano ha un fabbisogno che supera Perché di pubblicità si tratta, ancorché pre- i 10.000 spray al mese (solo quelli dedicati al sentate come crociate a favore della pulizia writing), e di innumerevoli marker di ogni fog(come se l’igiene delle superfici verticali fosse gia e specie, centinaia di litri di inchiostro ed la questione più impellente a Milano): sotto ettolitri di tempera per gli sfondi solo per circoscrivere le necessità “primarie” dei writer, ma una patina di moralismo igienista si cela la promozione di un servizio di cancellazione e volendo ampliare l’osservazione vanno inclusi libri e riviste, abbigliamento specificamente ripulitura, a pagamento.
 Questo solo per citare gli interessi a valle del diretto a questo profittevole microsegmento. graffiti business: a monte, si muovono cifre E dallo “stile dei graffiti” partono innumerevoli ugualmente stupefacenti. spinoff, dalle borse di Louis Vuitton agli zainetti della Seven, che strizzano l’occhio a un ampio pubblico che simpatizza con i graffiti.

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Danneggiamento di Massa

E se la moda, la pubblicità, la grafica hanno ormai da tempo affrancato il writing da tutti i suoi connotati negativi (è un’assoluzione plenaria in nome del marketing), le amministrazioni comunali cercano di digerire e normalizzare un fenomeno che, anche nelle sue versioni più blande, è molto difficile da mettere a tacere.
 Le strategie sono due: la repressione totale o la riconduzione a forme più civili e meno vandaliche.
 Il primo caso, adottato da New York e da molte città italiane, ha fino ad ora ingenerato costi cospicui e ha dato pochissimi risultati evidenti. L’ATM lamentava già nel 1993 di dover spendere circa 600 milioni di lire all’anno per la pulizia dai graffiti, il comune di Milano arriva a destinare 3 milioni di euro per la pulizia e la prevenzione nel 2005, seguendo l’esempio della grande mela, 5 milioni di dollari depauperati ogni anno, senza riuscire a stroncare il fenomeno. D’altro canto, è dubbia l’efficacia delle strategie di “agevolazione”. Le poche realtà che hanno deciso di seguire questa linea, concedendo alcuni spazi nella speranza di creare una valvola di sfogo localizzata, riportano risultati contrastanti e fortemente influenzati dagli intenti politici dei progetti di cui si parla.
 E se da un lato la repressione aumenta il fattore rischio e il fascino dell’azione illegale, d’altro canto avere muri legali in città aumenta la diffusione del fenomeno e fornisce spunti ed esempi alle nuove generazioni che – vista la scarsità degli spazi concessi – dovranno per forza di cose dipingere come si è sempre fatto, illegalmente.

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E in più, francamente, sedare in uno zoo controllato quella che è una espressione spontanea appare, nel migliore dei casi, frustrante e riduttivo.
 Nessuna delle politiche fin qui adottate è servita quindi a ottenere una riduzione del bombing illegale.
 In particolare la strategia di cancellazione massiccia praticata dalle giunte milanesi degli ultimi anni ha avuto come unico risultato un forte impoverimento della qualità: dove c’erano hall of fame storiche ora ci sono solo muri grigi ricoperti di tag e throw up. La miopia di questa scelta apparirà evidente solo negli anni a venire, quando avremo la prima generazione di writer che si è potuta ispirare unicamente allo street bombing e non alle hall of fame storiche. Lo scopo ultimo di tutte le campagne AMSA, a giudicare dalle scelte pubblicitarie, è debellare firme e scrittacce, odiate e disprezzate perché difficili da capire, onnipresenti, non richieste, fini a se stesse


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..Perché il writing è fatto da nomi sui muri, e le tag sono nomi sui muri. Perché tutto è nato dalle firme..

Si tratta di un’opera continua di lettering, di produzione e realizzazione di nuovi caratteri, rigorosamente hand-made, e insieme una gara per la notorietà in cui lo stile non conta meno della quantità fino a che tempo, agenti atmosferici e pulitori non intervengiono, e allora si ricomincia da capo.

“Le tag non sono i graffiti”: opinioni come questa, dice Bean, uccidono il writing. Perché il writing è fatto da nomi sui muri, e le tag sono nomi sui muri. Perché tutto è nato dalle firme.
 Perché le tag sono la punta di un iceberg enorme, la parte più visibile e insieme indecifrabile di questa cultura: ne sono forse la manifestazione meno commerciabile, quella più facile da additare. E se infinite volte sì è parlato di come pulirle e scongiurarle, raramente i media e l’amministrazione pubblica si sono interrogati sul perché queste scritte esistano, o sulle loro numerose modalità di manifestazione. Perché le firme rappresentano un percorso stilistico, esprimono molte delle caratteristiche di un writer e spesso ne rispecchiano la personalità, per così dire, artistica. Per molti writer è importantissimo “scrivere” bene. Per alcuni è molto più importante scrivere tanto, e dappertutto. Spesso, all’inizio, si scrive per farsi conoscere: riempire la città di tag è la via più veloce per raggiungere la street fame. Le limitazioni date dalle lettere scelte (il proprio nome) e dall’illegalità del gesto, rendono la realizzazione di una firma qualcosa di difficoltoso, che richiede uno studio e una preparazione adeguati. Ogni nome ha uno stile, talvolta caratteristico, spesso richiama o cita lo stile di altri: la forma particolare di alcune lettere si diffonde, viene copiata, assorbita, digerita e nel tempo sfuma.

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..le lettere sono un limite forte, sono la regola del gioco, circoscrivono la comunità ed escludono il resto.. Ogni singola firma è frutto di una ricerca stilistica, è un’opera realizzata in condizioni estreme, in una frazione di minuto in cui il tempo resta sospeso e tutti i sensi sono tesi allo spasimo, in cui la tensione per la realizzazione calligrafica, il controllo del respiro e del tratto devono essere bilanciati con l’attenzione al mondo esterno. Per un attimo il mondo interno e quello esterno si paralizzano per fare spazio a qualche tratto d’inchiostro, poi si ritappa il marker e la realtà torna in play. Le firme sono i graffiti, riassumono un’intera cultura in pochi tratti di spray: la ricerca e l’azione, lo stile e il bisogno di fama, l’occupazione dello spazio pubblico, l’estetica e il vandalismo.
 È difficile trovare a Milano un ragazzo che non abbia mai preso in mano una bomboletta, almeno per una firma, almeno una volta. I quattordicenni scrivono,le rare volte in cui scrivono a mano,con un lettering da vandalo. Pennarelli e inchiostri si comprano a ogni angolo di strada anche se i writer, spesso, preferiscono fabbricarseli da soli.

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Nella lotta per l’originalità, gli strumenti giocano un ruolo importante, e hanno subito una progressiva trasformazione man mano che il mercato si è espanso, ed è stato riconosciuto come nicchia profittevole, molto profittevole. Ogni anno mezzo milione di vernici spray vengono acquistate dai writer italiani, possiamo solo immaginare quanti litri di Nero Inferno (l’inchiostro indelebile che è diventato il simbolo del writing milanese) vengano versati ogni giorno nei marker.


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.. La lotta ai graffiti e le continua cancellazione, paradossalmente, sono responsabili della maggior parte delle innovazioni tecniche introdotte dai writer.. Di certo, sappiamo che se i primi writer milanesi dipingevano con gli spray Nivolin o Marabù, oggi l’assortimento di marche di spray dedicate al graffiti writing è impressionante, ogni produttore ha addirittura diversi brand dedicati a sotto-segmenti di mercato (hall of fame vs bombing, alta vs bassa pressione) e le nuove leve possono scegliere tra qualche dozzina di tappini diversi, per ottenere un tratto che può variare da qualche esile millimetro a una ventina di centimetri. Negli anni i writer hanno utilizzato qualsiasi cosa per scrivere: la ricerca di soluzioni innovative e particolari è parte del gioco. Una bottiglietta di succo di frutta e un cancellino per la lavagna erano sufficienti, per FlyCat, per fabbricare un rudimentale marker: da allora, qualunque cosa abbia un serbatoio e una punta viene utilizzato per scrivere, dagli applicatori per il lucido da scarpe alle pistole ad acqua. La lotta ai graffiti e le continua cancellazione, paradossalmente, sono responsabili della maggior parte delle innovazioni tecniche introdotte dai writer: inchiostri personalizzati e sempre più coriacei, mole e carte vetrate per firmare i vetri, estintori caricati a vernice per scrivere in alto, acidi corrosivi.
E ogni giorno vengono escogitati nuovi metodi, benchè il mercato offra un numero quasi imbarazzante di marker diversi, flowpens, squeezers, a punta tonda o a scalpello, da uno, due, tre, cinque centimetri, a tempera e a inchiostro, con la valvola o senza.

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.. Mentre la vita in rete assorbe quote progressivamente maggiori del nostro tempo, il writing resta un’attività saldamente ancorata al reale.. Quella dei writer è una scena, un gruppo di spostati, una comunità di portinaie pettegole e litigiose: finché i treni giravano dipinti, era molto più semplice avere il polso della situazione, e capire chi stava dipingendo e chi no. Nel corso degli anni, alcuni strumenti di comunicazione hanno preso piede. Su tutti, le fanzine costituiscono sicuramente il caso più interessante: rigorosamente autoprodotte, diffuse in pochi negozi e attraverso canali underground, hanno contribuito al consolidarsi dello stile e della scena milanese, documentando costantemente il fenomeno. La più elaborata e longeva è sicuramente Tribe Magazine, ma innumerevoli altre sono nate (e spesso sparite) nel corso degli anni. Si chiamavano Trap, Writing, MSV (Messaggi suoni visioni), Impatto nitro, solo per citarne alcune: costituite spesso da una manciata di pagine fotocopiate e assemblate malamente, rappresentano una documentazione fondamentale sul writing di quegli anni.
 La diffusione dei programmi di desktop publishing ha reso la pubblicazione di una rivista alla portata di tutti e la qualità media di questi materiali è salita, la frequenza di pubblicazione è aumentata o quantomeno si è fatta più stabile e rigorosa, i contenuti sono leggermente cambiati. Le pubblicazioni sul writing, oggi, vengono distribuite in tutto il mondo, tendono ad assumere tratti caratteristici o a iperspecializzarsi: Subwaynet, solo per fare un esempio, pubblica solo foto di metropolitane.

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Se fino alla metà degli anni novanta le fanzine hanno contribuito alla cristallizzazione di uno stile “milanese”, la diffusione di internet ha ingenerato delle spinte di segno opposto, diffondendo stili e trend creati all’estero, rendendo possibili amicizie e contatti intercontinentali, aumentando a dismisura il numero di stimoli per i giovani writer e riducendo in frammenti l’idea che lo stile possa essere legato a un’area geografica. L’arena competitiva non è più Milano, è il mondo.
 Lettering e metodi si rincorrono su scala planetaria, si diffondo tra forum e fotolog, innovazioni nascono e si consumano nello spazio di un attimo, ma è sempre sulla strada e nei depositi che la battaglia viene combattuta, non su internet. Mentre la vita in rete assorbe quote progressivamente maggiori del nostro tempo, il writing resta un’attività saldamente ancorata al reale, in modo quasi doloroso. Comporta costi e rischi veri, ha conseguenze sul mondo esterno (modifica l’ambiente e la città), è un gioco con regole e penalità reali.


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Le firme o i bombing non sono il fine: sono un mezzo, sono una scatola che contiene un messaggio o un insieme di messaggi, un mix di motivazioni.. E se qualcuno si fosse chiesto il perché, il perché delle firme, dei throw up e dei pezzi, la risposta è semplice. Il perché non c’è. O almeno, non ce n’è soltanto uno: qualcuno ha stilato una lista (incompleta, sicuramente) di quasi 700 nomi che si contano sui muri di Milano e, per ognuno di quei nomi, c’è un motivo diverso. Le firme o i bombing non sono il fine: sono un mezzo, sono una scatola che contiene un messaggio o un insieme di messaggi, un mix di motivazioni. Non possiamo e non ci sembra utile compilare un elenco di motivi (che vanno dal bisogno di sentirsi diversi a quello di omogeneizzarsi al gruppo dei writer, dal bisogno di riscossa al marketing di se stessi). Le cause finali sono diverse, come lo sono i writer, che occupano l’intero spettro che va dal puro vandalismo alla pura arte.

Se qualcosa li accomuna, è solo la scelta delle lettere come veicolo per esprimere il proprio messaggio, qualunque esso sia: le lettere sono un limite forte, sono la regola del gioco, circoscrivono la comunità ed escludono il resto. Rendono il risultato in qualche modo omogeneo, comparabile, settano un parametro di giudizio: vanno bene le sfumature, le colorazioni, gli sfondi e i personaggi, ma le lettere? È sulla qualità del lettering che si viene giudicati. Rocks dice “Nel writing conta l’arrosto, non il fumo”. Il giudizio dei pari è impietoso, non è possibile bluffare. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
 La competizione è forte ed è positiva, ed è tutto un enorme guerra per lo stile .

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Street Art

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STREET ART LA STREET ART è indomabile. Non ha confini predefiniti, provoca con sensualità e altera le superfici con cui viene a contatto. Colpisce e dilaga come un virus che fa della strada il proprio media e del graffio il proprio strumento di propaganda. é la risposta artistica al cannibalismo consumistico e al bombardamento mediatico di fine secolo. Riempie le citta con valanghe di adesivi, stencil e manifesti che ricoprono muri, pali e palazzi, trasformando situazioni urbane in opere di arte contemporanea pubblicamente fruibili.Quello che mi ha sempre affascinato della street art è la sua anima “punk” Quell’anima che ritroviamo sui muri di NewYork, città tempio della cultura moderna, dove Futura2000, Haring e Taki183 facevano del contorno urbano la propria galleria a cielo aperto, lasciandosi guidare unicamente da una pulsione interna che come una bomba esplodeva in fuochi e colori. E’ molto difficile trovare la stessa energia in altre espressioni artistiche perchè l’arte, da Duchamp in poi, si è chiusa in se stessa alimentata da un circolo vizioso di gallerie e musei che ne hanno soffocato l’istinto. La vera potenza della STREET ART è la sua genuinità. Perchè chi dipinge, chi crea stencil o chi semplicemente

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progetta e attacca adesivi per la città lo fa solo per il bisogno di far arte, per il bisogno di conquistare spazi che gli vengono negati, per dare il suo contributo al prossimo. Per stupirlo, per incuriosirlo, per donargli una parte di sè. Un’opera di street art non può essere venduta, non segue direttive esterne da chi la produce. E’ estranea a qualsiasi dinamica corrosiva, annulla qualsiasi intermediario e riporta l’arte a parlare con il proprio pubblico. Perchè la street art più che un movimento è un mezzo di espressione applicabile a qualsiasi declinazione artistica. La Street Art scuote la dialettica artista-fruitore in un’iterazione mobile e avvolgente. Sorprende. Crea Significato. Non è uno stile ma una necessità di comunicare. L’assalto poetico di Ivan, gli scarafaggi urbani di Pus, i puppets rockstar di Tvboy o i pinguini metropolitani di Pao per citare alcuni artisti italiani , sono tutti metonimie di una grande corrente che scorre dentro la città generando fermento e caos sotto gli occhi di tutti.


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... l’artista non vuole imporre il suo nome, ma intende creare un’opera d ’arte che si contestualizzi nello spazio che la circonda... STREET ART La Street Art è la definizione comunemente utilizzata per inquadrare tutte le manifestazioni artistiche compiute in spazi pubblici. A differenza del Graffiti-Writing l’artista non vuole imporre il suo nome, ma intende creare un’opera d ’arte che si contestualizzi nello spazio che la circonda, crando un impatto e interagendo con un pubblico diversificato, che peraltro non ha scelto di visionare l’opera. Il concetto è facilmente riconducibile all’idea di performance nata negli anni settanta, con l’aggiunta del tentativo di proporre un’opera duratura, che non sia ufficiale né richiesta.

Nonostante una maggiore eterogeneità e differenze sostanziali di tecniche in gioco, la Street-Art ha maturato nel corso degli ultimi anni una connotazione Culturale propria. Le tecniche utilizzate, oltre allo spray, comprendono: poster, sticker, stencil, installazioni, performance.

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IL POST-GRAFFITI Trattasi di tendenze stilistiche che affondano le radici nella cultura del GraffitiWriting e della Street-Art e che si manifestano in molteplici discipline, quali Pittura, Scultura, Grafica, Computer grafica, Design, Illustrazione, Moda, Fotografia, Architettura, Videoarte, Calligrafia. La differenza fondamentale fra Street-Art\Graffiti-Writing e tendenze Post-Graffiti si esplicita nei campi di applicazione delle produzioni dell’Artista. Lo Street-Artist o il Graffiti-Writer crea un’opera che si colloca in spazi pubblici seguendo un percorso creativo strutturato e finalizzato spesso alla notorietà, in concorrenza con artisti che vengono da esperienze comuni e si esprimono con un codice simile al loro; un Artista Post-Graffiti si cimenta invece in discipline “convenzionali”, se non nelle Arti Maggiori, confrontandosi con creativi che non hanno una formazione e impostazione apertamente legata al gusto dei Graffiti o della Street-Art. È comunque evidente come gli stilemi proposti abbiano permeato in maniera quasi subdola qualsiasi produzione rivolta ai giovani, dimostrando la forza d’impatto e la persistenza di questo genere di espressione artistica.

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...La sostanziale differenza tra la Street Art e i Graffiti è la libertà totale di espressione artistica, non per forza vincolata ad un nome o ad un messaggio preciso.... Quindi la Street Art è un’arte che si manifesta nei luoghi pubblici (dall’inglese ‘Arte di strada’), spesso illegalmente, nelle tecniche più disparate: spray, sticker art, stencil, proiezioni video, sculture ecc. La sostanziale differenza tra la Street Art e i Graffiti è la libertà totale di espressione artistica, non per forza vincolata ad un nome o ad un messaggio preciso. Ogni artista che pratica Street Art ha le proprie motivazioni personali, che possono essere molto varie. Alcuni la praticano come forma di sovversione, di critica o come tentativo di abolire la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze; altri più semplicemente vedono le città come un posto in cui poter esporre le proprie creazioni e in cui esprimere la propria arte. La Street Art offre infatti la possibilità di avere un pubblico vastissimo, spesso molto maggiore di quello di una tradizionale galleria d’arte.

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STICKER ART La sticker art, (dall’inglese sticker, adesivo) è una forma di street art in cui il messaggio o l’immagine sono veicolati da un adesivo. È consueto trovare esempi di sticker art in grandi centri urbani in posti molto trafficati. Gli adesivi possono spesso contenere messaggi politici o sociali, con l’intento di arrivare al maggior pubblico possibile grazie al tappezzamento di vaste zone urbane, promuovendo così una maggiore sensibilizzazione verso un problema. Gli adesivi sono inoltre stati recentemente protagonisti di numerose campagne d’arte d’avanguardia (This is a heavy product, Obey Giant). Un altro uso degli sticker nell’ambito della street art è quello di contenere la firma dell’artista (tag), in alternativa alla firma con spray o pennarello. Questi adesivi sono spesso caratterizzati da un colore di sfondo uniforme e dalla firma scritta a mano con pennarello. Famosi quelli della serie “my name is”.

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...Lo stencil è diventato uno strumento fondamentale della street art, in cui è fondamentale la velocità di esecuzione ... STENCIL Lo stencil è una maschera che permette di riprodurre le stesse forme, simboli o lettere in serie. La maschera è realizzata tramite il taglio di alcune sezioni della superficie del materiale (ad esempio un foglio di cartoncino) per formare un negativo fisico dell’immagine che si vuole creare. Applicando della vernice o del pigmento sulla maschera, la forma ritagliata verrà impressionata sulla superficie retrostante lo stencil, in quanto il colore passerà solo attraverso le sezioni asportate. Il principale limite dello stencil è il fatto che non permette la creazione di figure isolate all’interno dell’immagine. L’espediente a cui si deve ricorrere è l’uso di ponti che collegano la figura isolata al resto della maschera. Ogni stencil permette di creare una forma di un unico colore, quindi per creare immagini a più colori è necessario creare una maschera appositamente realizzata per ogni colore che si vuole utilizzare, applicandole in fasi successive sulla stessa superficie. Questa tecnica di stampa con stencil è chiamata ciclostile.

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La tecnica dello stencil, essendo molto economica e veloce, è largamente usata a scopo industriale e militare per identificare e catalogare oggetti, veicoli ecc. Lo stencil è utilizzato inoltre come decorazione, per esempio per decorare il muro di un’abitazione. Lo stencil è diventato inoltre uno strumento fondamentale della street art, in cui è fondamentale la velocità di esecuzione (essendo spesso questa pratica illegale) e soprattutto la possibilità di riproduzione pressoché illimitata.

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Addentriamoci un po’ meglio in questo mondo analizzando alcuni dei principali artisti e le loro opere più conosciute. JULIAN BEEVER Julian Beever è un artista capace di fare bellisime oppere con il gesseto sul pavimento. Se vai per strada mentre lui sta lavorando, non te ne accorgi. Ma è visto dall’occhio di una camera che le immagini hanno senso. Perche lui disegna in modo molto specifico e l’immagine prende una prospettiva 3D solo da alcuni angoli precisi. Adesso si trova a Madrid, per fare una publicità di Herbal Essences. Pare si sia fatto conoscere tramite cattene di emails dal 2004 e adesso è freelance e fa publiccità per chi lo contrata. E fantastico vedere come cambia la stessa immagine da differenti punti di osservazione.

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SPACE INVADERS Come è saputo, Space Invaders è un videogioco arcade del 1978, fu il primo gioco elettronico a scatenare il “boom degli arcade” ed è tuttora fra i più clonati della storia datto che al inizio uscì senza copyright. Adesso c’è un movimento a livello mondiale che prova di fare invasione dei personaggi di questo gioco alle grandi città del mondo. Il sito internet è sempre aggiornatissimo e una mappa viene sovente aggiornata con le immagini degli avvistamenti dei personaggi in nuove città.

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...Una delle caratteristiche che ha reso famoso Banksy è la sua abilità di entrare nei musei più importanti del mondo e appendere delle sue opere tra le altre già presenti. Spesso passano giorni prima che qualcuno si accorga dell’intrusione..... BANKSY Banksy è lo pseudonimo di un autore di graffiti e di opere di Street Art, molto probabilmente di Robert Banks, nato nel 1974. Si crede sia di Yate, vicino Bristol. È uno dei maggiori esponenti del genere, anzi si può dire che abbia addirittura creato una categoria a se, un suo genere. Le sue opere sono spesso a sfondo satirico e riguardano argomenti come la politica, la cultura e l’etica. I suoi graffiti, fatti con una tecnica di disegno distintiva e particolare, sono apparsi a Londra e in molte città del mondo.

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Banksy iniziò la sua carriera di artista alla fine degli anni ottanta nella crew “Bristol’s DryBreadZ” (DBZ), spesso con l’assistenza dei writer Kato e Tes. Nel 1998 organizzò l’enorme raduno di graffitari Walls On Fire, insieme all’amico di Bristol. Il lungo weekend di eventi, richiamò artisti da tutto il Regno Unito e da tutt’Europa, e quest’organizzazione dell’evento pose il suo nome nello starsystem dei graffiti europeo. Dal 2000 passò all’arte dello stencil dopo aver capito quanto poco tempo è necessario a completare un disegno intero con questa tecnica. Gli stencil di Banksy sono caratterizzati da immagini singolari ed umoristiche, a volte accompagnate da slogan. Il messaggio di solito e contro la guerra, anti-capitalistico, anti-istituzionale e a favore della pace. I soggetti sono animali come scimmie e ratti, poliziotti, soldati, bambini e anziani. Fa anche adesivi e sculture, come la famosa “cabina telefonica assassinata” di cui parleremo più avanti.

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Una delle caratteristiche che ha reso famoso Banksy è la sua abilità di entrare nei musei più importanti del mondo e appendere delle sue opere tra le altre già presenti.Storiche restano le incursioni in quattro grandi musei newyorkesi, il MoMA, il Met, il Brooklyn Museum e l’American Museum of Natural History nel marzo 2005. Qui l’artista, camuffato con impermeabile, barba posticcia e cappello, aveva piazzato le sue tele in mezzo alle opere della collezione, scansando la sorveglianza. I quadri clandestini si mimetizzavano col contesto, per temi e stile. A parte alcuni improbabili dettagli: una finta latta di zuppa warholiana, una dama d’altri tempi con maschera antigas sul viso, un nobiluomo del ‘700 con bomboletta spray in mano, un coleottero mutante travestitoda bombardiere. Tre i blitz museali in territorio londinese. Nel 2003 Banksy colloca in una sala della Tate Britain un paesaggio campestre a olio “impreziosito” dai sigilli bianchi e blu della polizia; l’anno dopo si infila al Natural History Museum e mette in vetrina, tra gli altri esemplari zoologici, un topolino imbalsamato bardato con zaino, occhiali da sole e microfono nella zampa. Nel 2005, introduce al British Museum uno strano reperto archeologico, un pezzo di roccia su cui era inciso un omino stilizzato alle prese col carrello della spesa. Grazie a lui ora Londra è piena di stencil di topi, i famosi “rats”. Uno dei suoi più famosi murales, quello con gli attori di pulp fiction che stringono banane anziché pistole, è stato recentemente rimosso: il suo valore stimato si aggirava intorno ai 400 mila euro. Nel settembre 2006 Banksy fa circolare in 48 negozi sparsi in tutto il Regno Unito, delle copie parodia dell’album Paris di Paris Hilton.

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L’azione ludica e dissacratoria del bad boy mascherato svela un chiaro atteggiamento critico nei confronti dell’istituzione museale, simbolo del sistema socio-economico che vuole l’opera uno status symbol per pochi privilegiati danarosi. E allora eccoli i guizzi vandalici di Banksy, le sue false tele che per pochi giorni si mischiano a quelle vere, innescando un buffo cortocircuito dentro i barricatissimi templi dell’arte ufficiale. Innumerevoli, poi, le opere en plein air : segni in libertà con cui comporre un grande testo visivo, percorribile secondo traiettorie random attraverso pareti, angoli, soglie, fulcri, snodi del paesaggio urbano. Oltre ai graffiti, indimenticabili restano alcune sculture, come la leggendaria cabina telefonica britannica riprodotta da Banksy in una inedita versione collocata a Soho. Trafitta da un piccone, accasciata per terra e accartocciata, la rossa phone box perdeva sangue come creatura moribonda e sofferente. Una efficace metafora della globalizzazione che inghiotte culture e tradizioni locali, nonché una critica sottile a quel processo di privatizzazione dilagante che interessò, per mano della Iron Lady Tatcher, anche la British Telecom. E ancora destò scalpore nel 2005 la massiccia statua bronzea installata -abusivamente- a Clerkenwell Green, Londra. L’opera, un ardito mix tra la Statua della Libertà e la Statua della Giustizia dell’Old Bailey, con tanto di libra e spada, aveva le fattezze di una volgare passeggiatrice seminuda: stivaloni di latex neri, giarrettiera reggi-dollari, slip in bella vista.

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Come non sorridere di fronte all’oltraggioso monumento (dal titolo Trust no-one), dedicato ai corruttibili sistemi giudiziari delle grandi democrazie occidentali? Eppure qualcuno si arrabbiò e l’opera finì con l’essere vandalizzata. La bilancia dorata, sottratta poche ore dopo la cerimonia inaugurale, fu ritrovata a sorpresa nei locali del Fabric, dove si stava tenendo il party per la première del film I, Robot con Will Smith. Ma è in Palestina che l’artista ha dato vita forse alla sua opera più incisiva. Sulla mastodontica muraglia che il governo israeliano ha issato intorno ai territori palestinesi occupati, Banksy ha realizzato un grande murales, un varco di colore su una delle più drammatiche barriere edificate all’alba XXI scolo. La sua denuncia ha i tratti leggeri, giocosi, candidi di un’arte che invoca il sogno contro la guerra. Su questo confine di cemento che “trasforma la Palestina nella più grande prigione a cielo aperto” - come dichiarato dallo stesso Banksy -, egli apre finti squarci con effetto tromp l’oeil, al di là dei quali s’affacciano cieli nitidi, distese verdeggianti e scorci d’oceano. Una bambina appesa a un bouquet di palloncini prova a spiccare il volo, altri bimbi giocano sorridenti attorno alle macerie del muro sbrecciato, mentre una scala bianca dipinta pare suggerire una possibilità di fuga, di disobbedienza.

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È recente la notizia del passaggio di Banksy nel magico mondo di Disneyland. Lo scintillante, plastificato regno della fantasia di massa è stato “disturbato” da un ospite silenzioso, un’inquietante statua notata dopo novanta minuti e subito rimossa. Non si trattava di un supereroe né del protagonista di una favola, bensì di un detenuto della base di Guantanamo. Incappucciato, i polsi ammanettati e indosso una tuta arancione, questo fantasma dell’orrore, detournato nell’eden californiano per famiglie felici, portava con sé l’insopportabile eco delle menzogne, delle violenze, degli abusi perpetrati dai poteri di Stato. A ben guardare, questo folle acrobata dell’arte dissidente assomiglia a un altro straordinario personaggio. Stessa abilità comunicativa, stesso spirito da eterno ragazzino, stessa voglia di mettere l’autorità a testa in giù, con

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FLOWERGUY Michael De Feo, aka Flowerguy, ha iniziato a creare i suoi lavori e attaccarli per le strade di Manhattan sin dai primi anni novanta. Ha iniziato a vedere le strade quasi in un’ottica infantile, disegnando i suoi fiori proprio come fanno i bambini. Flowerguy ha prodotto centinaia dei suoi fiorni in più di dieci anni di attività varcando anche i confini e arrivando in Europa e in città come Parigi e Londra. I suoi fiori hanno avuto successo perchè sono un simbolo positivo e semplice e aiutano a rendere il contesto urbano meno triste, quasi più solare,leggero,giocoso.

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THE DECAPITATOR Si fanno chiamare cultural jammers, rispondono ai messaggi pubblicitari che ogni giorno invadono le nostre città, lo fanno perchè non tutti hanno la possibilità di difendersi ma tutti hanno il diritto di farlo. Deturpano i cartelloni pubblicitari e non solo, alterandone il messaggio in modo drastico. The Decapitator, così si fa chiamare questo nuovo sabotatore culturale, fa della decapitazione la sua forma artistica e la usa per rovesciare le immagini pubblicitarie e le locandine cinematografiche più diffuse, queste sono alcune delle sue azioni.

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DON’T COPY ME Don’t Copy Me è un progetto nato a Pau, in Francia, e lanciato grazie ad una community di Ekosystem.org, uno dei siti francesi più affermati riguardante StreetArt, Sticket Art... Il tema “Don’t Copy Me” è ispirato a Dolly, la famosa pecora clonata, e vuole essere una simpatica protesta contro chi non rispetta il “copyright” della street art e dei graffiti e ne trae idee e profitto per campagne pubblicitarie. E’ un progetto indipendente ma internazionale che si diffonde in modo simultaneo in tutto i mondo.

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PAO Milano Ha iniziato a dipingere per strada nel 2000, realizzando i primi pinguini su paracarro stradale. Come spesso succede, le idee nascono da associazioni di idee stravaganti. In quel periodo Pao stava disegnando un fumetto il cui protagonista era tozzo e goffo. Un giorno camminando notò un paracarro sporcato di colore, subito pensò che assomigliasse al suo fumetto e che avrebbe potuto trasformare il “panettone” in una creatura viva. Quasi per gioco decide di provare e in qualche notte realizzò i primi pinguini urbani. Fin da subito si accorse che i suoi segni non passavano inosservati, ma venivano apprezzati dai passanti. Prese piano piano consapevolezza del gesto compiuto cosi decise di migliorare e di realizzare un intervento su larga scala su tutto il territorio cittadino. La reazione dei cittadini fu subito positiva, ricevette molti ringraziamenti perchè contribuiva a rendere questa città meno grigia e per portare un po’ di colore in una metropoli che spesso sacrifica i suoi stessi abitanti. Pao cerca di decontestualizzare elementi preesistenti, cerca di creare un effetto di straniamento nel passante, la realtà assume caratteri magici.

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IVAN Milano Nel suo manifesto poetico afferma che “ovunque e da sempre, una pagina bianca è una poesia nascosta”. I suoi assalti poetici in giro per le strade di Milano, Amsterdam, Torino, Parigi, San Cristobal etc... hanno un aspetto militante simile all’antica poesia futurista. In realtà però hanno uno spirito ottimistico, proponendo un’alternativa al grigiore delle città. Luogo, poesia e vernice sono per Ivan strettamente legati. E’ nella relazione tra l’artista e il sociale che si strutturano le sue tematiche : la sua poesia richiama situazioni comuni, eventi fondanti della nostra memoria collettiva, l’esclusione sociale e la condizione dei migranti. Inoltre non ricerca la costruzione grafica della parola, si concentra di più sulla forza di senso e sul luogo dove interviene alla luce del giorno.

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Guerrilla Marketing

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GUERRILLA MARKETING ... La guerrilla non colpisce la massa ma sempre il singolo, invertendo il meccanismo di generazione di notorietà...

Il Guerrilla Marketing è una filosofia più che una strategia. Ovvero una strategia basata sulla filosofia radicale riguardo ai principi dei rapporti tra comunicazione e realtà. Un marketing sensazionalista che ha l’obbiettivo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Ormai diffusissimo ha quasi conquistato il pianeta. Nel suo Dna troviamo: massima visibilità e notiziabilità, espressività sensazionale, posizionamento dell’immagine, significativo contagio e coinvolgimento del pubblico, forte motivazione, alta memorabilità. Strumenti multimediali e iniziative on the road a basso costo e, al tempo stesso, stupire con effetti sorpresa e con novià creative (linguaggi simboli, azioni) per attrarre l’attenzione, per farsi riconoscere e apprezzare, per relazionare e fidelizzare. Il Guerrilla Marketing utilizza armi non convenzionali. Attacchi mordi e fuggi, senza farsi riconoscere. Almeno inizialmente. Un insieme di tecniche di marketing che punta a generare grande visibilità in poco tempo e con pochi investimenti nei confronti del potenziale cliente.

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Non a caso l’origine e il significato della parola Guerrilla è esaustivo di questo mondo del marketing. Il riferimento va alla resistenza spagnola durante l’occupazione napoleonica. I guerriglieri, inferiori per armi, mezzi e uomini, combatterono sfruttando e massimizzando le risorse di cui disponevano: la conoscenza del territorio, il naturale legame con la popolazione e la possibiltà di contare su uomini motivati. Questo ci fa capire come i consumatori siano cambiati, quanto siano cambiati i loro profili: le diverse fasce d’età si differenziano sempre più come gusti e preferenze. Il consumatore vuole che i suoi desideri siano riconosciuti e che abbiano la meritata risposta. Vuole essere informato perchè è esperto, conosce i propri diritti e decide a che assegnare le proprie preferenze. Chiede un contatto diretto con il brand, un’esperienza ravvicinata, attiva e positiva con il prodotto. La parola d’ordine è innovazione: di qui la necessità di una comunicazione e un marketing diversi, definiti non convenzionali. Strumenti capaci di far fronte alla grande crisi dei mezzi di comunicazione di massa con il calo dell’audience ma, soprattutto, elemento fondamentale, alla sua frammentazione spinta agli estremi, che ha fatto in modo che intere fasce di target molto appetibili per le aziende siano divenute assolutamente impermeabili ai messaggi pubblicitari. La guerrilla è uno di questi strumenti, perchè raggiunge il consumatore nei momenti e nei luoghi in cui non è attiva la sua “advertising consciousness”, quando cioè le sue difese nei confronti dei messaggi pubblicitari sono abbassate. La guerrilla incuriosisce, intriga e coinvolge, ma sa anche far rifletttere.

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“ La guerrilla non colpisce la massa ma sempre il singolo, invertendo il meccanismo di generazione di notorietà. Gli attacchi di guerrilla, infatti, generano spiazzamento, lo spiazzamento produce passaparola, il passaparola si diffonde in maniera virale nella popolazione. E la diffusione virale garantisce notorietà al prodotto. “

MANIFESTO Possiamo ora riassumere il Guerrilla Marketing in 5 punti, riportando quello che è un po’ il manifesto di questo “movimento” 1. Guerriglia Marketing è un insieme di tecniche di comunicazione non convenzionale che consente di ottenere il massimo della visibilità con il minimo degli investimenti 2. Guerriglia Marketing concorre allo sviluppo delle strategie di mercato attraverso la messa in scena di pseudo-eventi concepiti in integrazione all'immagine dell'azienda 3. Guerriglia Marketing sfrutta il bisogno di novità dei mezzi comunicazione e la permeabilità dei suoi meccanismi per promuovere idee, marchi o prodotti 4. Guerriglia Marketing programma e inocula nel sistema media virus memetici in grado di autoreplicarsi nelle menti dei consumatori 5. Guerriglia Marketing è un processo di dissipazione della fiducia che il consumatore ancora ripone nell'economia nel suo complesso a vantaggio del successo di una singola impresa: la tua

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Comunicare nel modo della guerrilla marketing significa utilizzare una o più tecniche non convenzionali per generare “word of mouth”, l'esercizio vocale che spinge a parlare di qualcosa con un altro. Tutto questo trova conferme se rapporrtato alla diffusione del nuovo modo di fare web ( web 2.0 )dove non è più sufficiente basare una campagna pubblicitaria sul classico banner e sperare che gli utenti clickino. Oggi più che mai, anche in questo nuovo campo, il marketing non convenzionale è la strategia più adeguata; distinguiamo perciò vari tipi di marketing: - viral marketing: inocularsi all’interno di determinati collettori di persone per diffondere informazioni ed opinioni che essi trasmettranno l'un l'altro come un virus; stimolare questo contagio con precisi obiettivi di marketing senza mai però scadere nella presa in giro di un consumatore tutt'altro che sprovveduto. - buzz marketing: la creazione di una rete umana che diffonda consapevolmente un messaggio e un'opinione. Molto simile al risultato che più o meno tutte le azioni di guerrilla vogliono raggiungere, ha come caratteristica la premeditazione e la gestione strategica di tutti i passaggi dell'operazione. - digital proximity marketing: si basa sulla diffusione di contenuti digitali su reti wi-fi e bluetooth. L’utente si trova in un determinato luogo e viene irradiato con messaggi pubblicitari geo-localizzati. Esempio: ci troviamo in un centro commerciale e il nostro dispositivo bluetooth riceve richiesta di accesso su rete certificata. Accettando questa connessione, riceveremo in tempo reale tutte le offerte del giorno e potremo godere anche di particolari sconti. - street marketing: quando l'ambiente urbano viene trasformato ad uso e consumo della comunicazione. Installazioni, performance, stickers, book crossing, flash mob, reality spot per citare alcune possibilità. - stealth marketing: poteva essere inserito sotto un insieme di tecniche ambientali come lo street, ma le potenzialità dello stealth sono talmente elevate che merita una parte a sé. Come il famoso aereo da guerra si rende invisibile ai radar, con lo stealth marketing il messaggio c'è ma non si vede, i filtri del consumatore non lo vedono ma il cervello lo assorbe.

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- news making: l'arte di creare e confezionare la notizia, così che i media svolgano la funzione di cassa di risonanza per amplificare il messaggio. - fake news making: confezionare notizie false ma altrettanto credibili per suscitare interesse intorno ad un determinato argomento dietro il quale si cela il prodotto o il servizio che si vuol vendere o promuovere. - mmorpg marketing: Massive(ly) Multiplayer Online Role-Playing Game. Significa introdursi (vivere) nei più frequentati mondi virtuali per pubblicizzare, più o meno velatamente e con un sottoinsieme di tecniche, marche o prodotti. Una volta dentro, si individuano le comunità interessanti (per lingua o zona geografica) e si inocula il messaggio.

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“...la guerrilla incuriosisce, intriga e coinvolge, ma sa anche far rifletttere...” Passiamo ora ad esaminare alcuni esempi per spiegar ancor meglio la filosofia della Guerrilla Marketing. FINECO - SMAU di Milano 7 - 20 ottobre 2007 Fineco ritorna sul marketing non convenzionale, questa volta ispirandosi al momento della nascita ed alla fase di cura del bambino: nelle ecografie però la banca on-line presenta un portafoglio, il simbolo delle risorse. L'invito è quello rivolto a tutti, clienti e non: Aiutalo a crescere. Per quanto riguarda la distribuzione interna allo SMAU, sono state arruolate due ragazze in gravidanza. Gli sticker utilizzati per le ecografie in realtà sticker non sono, in quanto non hanno colla, ma sono elettrostatici. Un'altra prima volta dunque per Fineco, dato che in Italia questo materiale ancora non si era visto: non sporca, non rovina e non lascia tracce.

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SANPELLEGRINO CHINO’ “Cannucce” Tutto il mese di luglio 2007 in varie città italiane Geniale Sanpellegrino con l’idea di queste cannucce giganti posizionate in diversi punti delle grandi città: a copertura di pali, all’interno di alcune fontane, su magneti, sulle antenne. G-Com ci ha messo tutta la pianificazione e la produzione delle installazioni, che hanno così toccato Bologna, Torino, Milano, Perugia, Napoli, Roma e Riccione. Non che il prodotto di Sanpellegrino avesse bisogno di acquistare fama: chi non conosce lo storico Chinò? E’ però stato interessante il coraggio e l’apertura di Sanpellegrino nel portare il claim “Bevi fuori dal coro” in situazioni di marketing non convenzionale. Ci auguriamo che sia la prima di una lunga serie di dirompenti azioni di guerrilla per la nota bibita!

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KENWOOD “Burned car” Settembre e ottobre 2006, aprile 2007 Lo scopo era la promozione di un nuovo impianto di fascia media prodotto da Kenwood, descrivendone in maniera forte le caratteristiche di robustezza, qualità audio, potenza e tecnologia. Un prodotto così, hanno pensato lo si può trovare anche su un’auto distrutta, fatta a pezzi o...carbonizzata. Così hanno bruciato completamente (a Milano) un’Audi 80 (di loro proprietà per l’occasione ), l’hanno ripulita e ci hanno montato il sistema audio Kenwood oggetto della promozione, alimentabile grazie ad un generatore di corrente. Poi hanno portato in giro per l’Italia l’installazione, aggiungendovi un pò di fumo artificiale e due ragazze in abiti bruciati nelle vicinanze, intente a distribuire sticker/schede prodotto dal claim “Can’t stop me”. VeryWeb ha svolto per questa azione l’importante fase di accounting e copywriting.

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GRANAROLO “Fedi nuziali” Dal 29 marzo al 26 aprile 2007 Esprimere il concetto di lunga durata. Invogliare le persone a visitare il sito web che permette di giocare con uno spot tv on-air. Questi gli obiettivi della nuova azione di g-com realizzata in collaborazione con DMC/FullSix per Granarolo e il prodotto ‘Latte Più Giorni’. Sono stati realizzati 16.000 anelli identici alle fedi nuziali, incisi all’interno con l’indirizzo web del sito e completati con cartellini adesivi: “Scegli le cose che durano di più...” è il claim. Il gadget, usato per scherzare, per giocare o da conservare, viene ritrovato nell’ambiente urbano, per strada, appoggiato su un qualche supporto, come se fosse stato perso. Lunga vita a Granarolo, al suo Latte Più Giorni.

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2002 Come si fa a rendere una campagna memorabile e lungimirante, bisognerebbe chiederlo alla Leo Burnett di Francoforte che è riuscita a realizzare un’azione di guerrilla che dopo 5 anni riesce ancora a far parlare di sè. Un’immagine che si è velocemente trasformata in un’icona del marketing non convenzionale e che ogni volta si arricchisce di nuovi valori e significati. Nel 2002, l’agenzia di Amnesty International ha posizionato delle mani di cera nei tombini delle zone di aggregazione della cittadina

tedesca. Grande reazione da parte dei passanti, che quasi atterriti, o comunque spaventati, si sono avvicinati ai tombini per accertarsi che non ci fossero essere umani appesi ed hanno potuto leggere le scritte tatuate sulle mani, diverse a seconda dell’installazione: “wrong opinion - wrong faith wrong colour”.

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AMNESTY INTERNATIONAL Francoforte 2006 Stavolta la campagna di sensibilizzazione contro il maltrattamento dei prigionieri si è spostata all’interno delle banche. Luoghi più che mai rappresentativi di quelle lobby di potere la cui ombra è presente ovunque. L’agenzia che ne ha curato la realizzazione è la Publicis Frankfurt. Nel comune armadietto porta oggetti troviamo questi prigionieri (semplici sticker) vittime non solo di maltrattamenti fisici, ma di una vera e propria campagna di annientamento della loro dignità umana. Nel momento in cui noi ci accingiamo a depositare i nostri piccoli averi, quasi ci prende un colpo nel vedere quella piccola ombra, che solo strizzando meglio gli occhi si mostra chiara e nitida e l’unica che loro hanno è la disperazione. Quindi la sensazione che potremmo provare è di ribrezzo verso i nostri soldi, che probabilmente pur avendoli guadagnati onestamente e con il sudore, ci rendiamo conto che forse non li stiamo investendo nel modo migliore.. Certo è una campagna molto forte, che forse vuole agire un po’ sui sensi di colpa della gente, però forse solo così si riescono in qualche modo a mobilitare le coscienze.

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UNICEF “journal Clothes” Belgio La catena di negozi di abbigliamento C&A ha dato vita ad una bella campagna di guerrilla marketing a supporto dei bambini rimasti senza tetto dopo il terribile terromoto in Pakistan dello scorso ottobre.Una serie di abiti fatti con la carta di giornale di quotidiani pakistani sono stati appesi sugli espositori nei negozi C&A, con il messaggio: “E’ questa l’unica cosa che i bambini del Pakistan indosseranno questo inverno? Lascia un regalo per loro alla cassa”. I soldi raccolti vanno in beneficienza all’Unicef.

GIORNATA MONDIALE ACQUA Belgio / Mexico Una conferenza in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua. In Belgio e Messico, per promuovere l’iniziativa si sono dati da fare creando una campagna di sensibilizzazione al problema in stile guerrilla. Il testo dice: “It Takes you 1 second to get drinking water. He has to walk 20 km.”

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TORONTO CRIME STOPPERS Toronto - Canada La Toronto Crime Stoppers è un’organizzazione nata dalla partnership tra la polizia, i media locali e la stessa popolazione. E’ basata su un programma proattivo, all’interno del quale sono i media e gli stessi cittadini ad assistere la polizia nel risolvere i crimini, contribuendo così a migliorare la qualità della vita e ricevendo in cambio una ricompensa, una sorta di ritorno al farwest, quando nei vilalggi circolava il cartello Wanted. L’azione di stickering realizzata dalla DDB nella città canadese, ha interessato i finestrini delle automobili e i portoni dei palazzi, che sono stati “colpiti” da adesivi di finti buchi di proiettile.

AIDS Parigi - Copenaghen - Rio Il primo Dicembre è stata la giornata mondiale della lotta all’AIDS, abbiamo già visto come due azioni di matrice non convenzionale abbiano trattato questo argomento, una volta ci trovavamo a Parigi, dove i sellini di alcune biciclette sono state ricoperte da una guaina rosa, un’altra volta ci trovavamo a Copenaghen, con una palla gigante che mentre rotava trascinava con sè una miriade di significati. Passiamo dall’altra parte dell’oceano, in un paese che storicamente ha una grande tradizione con il marketing e la pubblicità, il Brasile. Un poster che riproduce la scritta AIDS costituita da 500 preservativi è stato lasciato nel bel mezzo della piazza principale di Rio Grande del Sol. Circa 8.000 visitatori, sono stati invitati a prendere un preservativo per aiutare l’Health Secretariat nella lotta all’AIDS.

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DON’T DRINK AND DRIVE London - UK Nuova campagna tesa a sensibilizzare la popolazione londinese sul problema dell’alcol. Questo che vedete sotto una pinta gigante di vetro è Matt. Ecco cosa gli ha procurato questa ennesima birra: Ha perso la patente e di conseguenza la sua indipendenza. Ha perso il lavoro. Ha litigato con la ragazza. Ha deluso la sua famiglia. E’ rimasto senza un pound. Si è rovinato il Natale. Don’t drink and drive.

SINGAPORE CANCER SOCIETY “Designated Smokers Area” Singapore A Singapore, le rituali zone per fumatori, sono state ”leggermente” modificate, quel tanto che basta per far si che le linee gialle che ne delimitano l’area hanno preso la forma di una bara, con la scritta al centro che diventa improvvisamente molto poco rassicurante. L’idea è della Dentsu Young & Rubicam, che è stata sviluppata per la Singapore Cancer Society.

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MADD Mothers Against Drunk Driving Mothers Against Drunk Drivins sino dal 1980 si fa promotrice di campagne di sensibilizzazione contro l’uso di alcool prima della guida mirata allla prevenzione degli incidenti. Questa è chiara e diretta, e sicuramente di grande effetto. Quel che ci vuole per catturar l’attenzione su argomenti cosi importanti.

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TIGER CROSSING ADVERTISING “More than zebras. Salzburg Zoo” Salisburg Tornano le strisce pedonali nel panorama del marketing non convenzionale, dopo aver visto quanto successo in Italia, a Cava de’ Tirreni, stavolta ci spostiamo in Austria e precisamente a Salisburgo, dove in occasione dell’inaugurazione del nuovo zoo, le classiche zebra crossing sono state trasformate in tiger crossing. Le strisce pedonali sono state accompagnate dalla scritta “More than zebras. Salzburg Zoo”

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K2r France A volte ci vuole veramente poco per comunicare in modo efficace un beneficio tangibile. Questa semplice azione di guerrilla è stata realizzata in Francia per il detersivo più famoso del paese, il K2r. Ancora più semplice l’idea di lasciare una sola scritta sotto ogni singola sagoma, due parole: try K2r.

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ZEBRA CROSSING “settimana dell’Architettura e Design” Cava dei Tirreni ( Sa ) ITALY Strisce pedonali come mezzo di promozione. Questa l’ultima sfida della MTN Company, agenzia di comunicazione integrata di Cava dei Tirreni (Sa). L’occasione era stimolante e degna di essere valorizzata al meglio: “Le settimane dell’Architettura e del Design”. Organizzate dal Consorzio Ceramisti Cavesi in collaborazione con il Comune di Cava de’Tirreni, “Le settimane dell’Architettura e del Design”, il cui sviluppo è pianificato nell’arco di due anni, comprenderanno workshop, congressi, mostre ed eventi culturali. Gli eventi sono concepiti per offrire uno spunto al confronto e sono volti alla valorizzazione di espressioni di arte e design.

Design e architettura, sviluppo e valorizzazione del territorio, ma soprattutto promozione dell’evento: questo il fine plurimo dell’attività di guerrilla marketing ideata dalla MTN Company. Le strisce pedonali di Cava de’Tirreni sono state, così, personalizzate dalle aziende aderenti al Consorzio Ceramisti Cavesi. Otto diversi decori floreali e astratti hanno “ravvivato” le strisce pedonali cittadine comunicando l’evento e la tematica dell’incontro.

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GOOGLE “Transit” Vancouver - CANADA Google Transit è un servizio che permette di pianificare i propri spostamenti all’interno di una città attraverso l’utilizzo dei mezzi pubblici. Indicando l’indirizzo di partenza e quello di arrivo, Google ci mostra una mappa con l’itinerario desiderato, con tanto di numero e fermata dell’autobus da prendere. Il servizio esiste dall’inizio del 2006, e dopo aver attraversato una lunga fase in beta version, inizia ad estendersi a più paesi. In Italia, per il momento ne beneficiano solamente le città di Firenze e Torino. Per promuovere il servizio a Vancouver, in Canada, la Grey ha sparso per la città dei puntatori di colore verde, uguali a quelli visualizzabili sulla mappa di Google, lasciando sotto questo messaggio: “Google.com/transit is here“.

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GOOGLE “Google Maps” San Paolo - Brasile Il lancio di Google Maps in Brasile, a San Paolo, è avvenuto attraverso una mongolfiera rossa che riproduce l’icona del noto programma di Google. Appunto Google Maps.

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GLOSSARIO TAG: La Tag è la firma dell’artista o il nome della sua crew, del suo gruppo: l’idea è quella di tracciare la propria tag spesso e nel maggior numero di luoghi possibile, in modo da far conoscere e diffondere il proprio nome. E’ tramite la Tag che un writer, il graffitista, può esibire il proprio stile, creando un proprio marchio distintivo. Avviene tutto in un movimento rapido e veloce. THROW-UP: Ricalcando ������������������������������������������������������������������������������������ più volte le tag, si aggiunge un contorno alle lettere, dando vita a let� tere tipicamente rigonfie . Questo stile più elaborato prende il nome di Throw-up , in italiano possiamo tradurlo con “floppata”. PIECES: Graffito di grandi dimensioni,si parte dai contorni, per poi elaborare un’immagine molto grande e il più delle volte davvero complessa. I pezzi sono naturalmente incentrati su un nome o una parola, tracciata con una grafica fortemente stilizzata nota come wildstyle che la maggior parte delle persone trova illeggibile. CREW: Letteralmente significa “ciurma” , insieme di persone che appartengono allo stesso gruppo e con coi condividono la passione per il writing nella cultura Hip-Hop. BOMBING: Serie di pezzi tutti identici e di facile struttura.Poco dettagliato e perciò rapido da realizzare. MASTERPIECE: Capolavoro, il pezzo più bello mai realizzato da un writer. STREET OF FAME: Il luogo dove ci sono i Masterpieces dei writers più bravi e stimati , e dove tutti cercano arrivare per guadagnarsi un posto e il rispetto degli altri. LETTERINIG: Il lettering è lo studio di nuovi caratteri (lettere, numeri, punteggiatura), con una particolare forma. Nel writing è importantissimo per l’evoluzione del proprio stile. CULTURAL JAMMING: Pratica sviluppatasi in seguito alla crescente invasività delle moder� ne tecniche di branding, che consiste nella parodia degli annunci pubblicitari e deturpare i cartelloni per alterarne drasticamente il messaggio.


Bibliografia BOOKS Street Art / Sweet Art, dalla cultura HipHop alla cultura Pop up , Alessandro Riva, 2007 Street Logos, Tristan Manco, 2004 Stencil Graffiti, Tristan Manco, 2004 Subway Art, Martha Cooper, Thames&Hudson, 1984 Keith Haring: Subway Drawing e la New York Street, Mazzotta, 1997 The Dictionary of Visual Language, Philip Thompson, 1980 Marketing non covenzionale, Guerrilla Marketing, Il sole 24 ore, 2004, Computer Arts, mese novembre 2007,

WEBSITES www.streetlogos.com www.ekosystem.org www.urban-art.info www.urbanartofficial.co.uk www.banksy.co.uk www.ninjamarketing.it www.bloguerrilla.it www.fumadaestrategica.com www.lodown.com www.stickit.nl


Ringraziamenti Desidero ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine durante il percorso di studi e durante questo lavoro di tesi. In particolar modo desidero ringraziare i miei genitori, Enzo e Gelsomina, mio fratello Nicolò e tutta la famiglia per avermi dato la possibilità di rendere tutto ciò realtà e non solo un semplice traguardo irraggiungibile. Desidero inoltre ringraziare il professor Franco Mello, relatore di questa tesi, per avermi indi� rizzato sempre verso la strada giusta da intraprendere. Un grandissimo ringraziamento va a Francesca, per essermi stata sempre vicina in questi anni e per avermi sopportato e sostenuto nei momenti di gran difficoltà. Ringrazio Dafne e Claudio, Cristina, “ActionMan” , Marianna e la Fam.Nigra, Vittorio, Alberto, Melo, Alessandra, Letizia e tutti gli amici di Giaveno, Lalla, Corinne, Mousc, Marghe, Erika, Lyndsey, Daria lil star e tutti coloro che continuano a credere in me.


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