Ventuno poesie da Somiglianze
Milo De Angelis
Gallo Stampino
esemplare fuori commercio marzo 2016
Ringraziamo Enrico Casaccia e Lucio Maria Morra e la cura affettuosa che hanno dedicato a questo libro.
Ventuno poesie da Somiglianze
Milo De Angelis
Gallo Stampino
« T. S. »
Ognuno di voi avrà sentito il morbido sonno, il vortice dolcissimo che si adagia sul letto e poi l’albero, la scorza, l’alga gli occhi non resistono e i flaconi non sono più minacciosi nella luce chiaroscura del pomeriggio mentre mille animali circondano la lettiga, frenano gli infermieri il disastro del respiro sempre più assopito nei vetri zigrinati dell’autoambulanza, appare il davanzale di un piano, il tempo che sprigiona i vivi e li fa correre con la corrente nelle pupille, l’attimo dell’offerta, per scintillarle. E improvvisa, la quiete della vigna e del pozzo, con la pietra levigata dividendo la carne una calma sprofondata dentro il grano mentre la donna sul prato partorisce sempre più lentamente, finché il figlio ritorna nella fecondazione e prima ancora, nel bacio e nel chiarore di una camera, il grande specchio, il desiderio che nasce, il gesto.
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La luce sulle tempie
Che strano sorriso vive per esserci e non per avere ragione in questa piazza chi confida e chi consola di colpo tacciono è giugno, in pieno sole, l’abbraccio nasce non domani, subito il pomeriggio, i riflessi sui tavoli del ristorante non danno spiegazioni vicino alle unghie rosse coincidono con le frasi questa è la carezza che dimentica e dedica mentre guarda dentro la tazzina le gocce rimaste e pensa al tempo e alla sua unica parola d’amore: « adesso ».
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La lentezza
« Volevo che tutti si fermassero » dice con la sciarpa stretta mentre attraversiamo le pozzanghere « non volevo diventare diversa » e sono confuse le parole, tra i passi, oggi, ai bordi del marciapiede « Jiskova è lontana e non so mai degli altri » e intanto inizia questa campagna, in fondo al viale l’odore dei cortili dopo gli ultimi tram « ... quale gioia ... di cosa parli ... ti basta questo ... ... questo amore pieno di doveri ... dove al massimo si è perdonati ... quelli che possono ... ... ti accontenti di questo ... » ma c’è troppo vento, e parole piene di consonanti per dire che finisce e sillabiamo « nerozumím, nerozumím » nel mattino come nel biondo pallido una cosa imprendibile che scivola sull’asfalto, una volta sola « ... ma ora la prova è per noi ... noi che non possiamo vedere ... » i camion passano lentamente, carichi, in fondo alla curva e i muri di queste case, l’odore di cucina « dove sei » mi chiede, in una lingua indimostrabile, e non parla. 7
I sassi nel fango tiepido
Ridere una volta, quando il vento di sera porta una meraviglia che non si vede, ma riprende nel profilo delle ombre e profana il patto e vede la mela selvatica, il pioppeto uccelli di cui non si conosce il senso né la necessità di rinascere ma scavano nell’aria una direzione giusta, la corrente che liberava, nell’oceano, la stessa che ora vince il momento querce e pioppeti della guerriera che sta dormendo nel tepore di una lode più densa verso la fine: già la mosca impigliata si libera in volo melodia dell’acqua e della conchiglia che un gesto muterà in esperienza, dentro un intero fatto, all’improvviso dopo essere fuggiti tra i rami ecco la strada polverosa, il campo la salvezza che nuota verso una calma luminosa riparo per le lepri stanche, dopo millenni, di agguati e il temporale, la schiarita tutto è così solo che può diventare ogni cosa. 8
Due nelle forze
Non lo sa, lui, il momento, lui che aspetta ora, lui che le chiede con lo sguardo mentre i campi di neve oltre la strada li contengono tutti e due e forse deve decidere l’aria fredda, senza presunzione, suggerire l’attimo, il passo per toccarle il paletò a sud, a est dei suoi capelli. Ecco. Il vento si avvicina. Forse è ora, è quasi ora. La guarda, chiude gli occhi, sbaglia.
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Viene la prima
« Oh se tu capissi: chi soffre chi soffre non è profondo. » Sobborghi di Torino. Estate. Ormai c’è poca acqua nel fiume, l’edicola è chiusa. « Cambia, non aspettare più. » Vicino al muro c’è solo qualche macchina. Non passa nessuno. Restiamo seduti sopra il parapetto « Forse puoi ancora diventare solo, puoi ancora sentire senza pagare, puoi entrare in una profondità che non commemora: non aspettare nessuno non aspettarmi, se soffro, non aspettarmi. » E fissiamo l’acqua scura, questo poco vento che la muove e le dà piccole venature, come un legno. Mi tocca il viso. « Quando uscirai, quando non avrai alternative? Non aggrapparti, accetta accetta di perdere qualcosa. »
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La finestra
Nella camera d’albergo, dietro le tende che fanno vedere per la prima volta una piazza tenera « vorrei soltanto ripetere, capisci, nient’altro » questo pomeriggio è impersonale, non si rivolge a qualcuno non lo sceglie, è già una terra piena di ospiti, che compiono in un altro la sua opera incominciata come quel ponte rimane là è calmo, non è più ciò che unisce due rive.
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« Solo compenso a questa perdita, non ti sia dato conoscere i limiti precisi di ciò che hai perso »
« Sta zitto. Tu parli solo per dimenticare. » Ma non c’erano muri e le frasi scomparivano insieme al vento. « Lo sai, il mio nome significa: io sono cambiata » e poi non c’è silenzio, dice, se uno si accorge, non c’è amore alla fine di un ricordo. È scomparsa l’ombra delle case in questo esterno di autocarri e di calce e lo spazio è troppo perché le parole siano lì. « Non l’hai inventata tu, la gioia, non sei abbastanza intelligente ... tu che ti disperi perché ciò che fai diventa ... » E questi alberi, sempre più radi le grandi strade a nord della città la nebbia che sta coprendo tutto, i passi « ma così non potrai a lungo ... » e le mani sono umide, come l’erba, oltre la strada e ferme, non si toccano, non saranno mai sentimentali. « Non hai fatto che perdere tempo. Parti, una volta tanto, da quello che ti resta. »
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Esterno
(e poi il mondo si rivolge a qualcuno che non c’entra e chiede a lui col suo timore di essere cercato proprio a lui ...) e poi la paura di cominciare con uno sbaglio e non si può dirlo a nessuno o gettarsi indietro, fino alle aste e ai puntini, al grembo, quando mi amavano senza chiamarmi. Martedì sera: sembra di tutti questa piazza ma è terribile, è mia.
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La somiglianza
Era nelle borgate, camminando in fretta quell’assolutamente oltre che dai libri usciva nella storia radendo le bancarelle, d’estate. Domanderemo perdono per avere tentato, nello stadio, chiedendogli di lanciare un giavellotto perché ritornasse l’infanzia. Non si poteva ma la somiglianza era noi nell’immagine di un altro, ravvicinato, nel sole volevamo trattenere il nostro senso verso lui in un gesto da rivivere: chi poteva sancire che tutto fosse al di qua? Prese la rincorsa, tese il braccio ...
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Le sentinelle
Compiendo il gesto dove il fiume è profondo nemmeno così, con i sonniferi e il panico, si potrà far vedere qualcosa a quelli che non l’hanno mai vista durante la loro, lontana, e questa notte che stanno guardando in una lingua imprestata, senza un solo atto imperativo, si tengono in disparte con parole, simboli di seconda mano, parlano ma senza svelare l’inizio hanno fatto dell’altrove un tempio abitabile nella penombra lungo i burroni si ritraggono dalla morte per scortarla.
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Bisognava
Non c’erano tram e si tornava tacendo: ecco, sorrisi si ripetono alla stazione e il tempo ritorna ed è sottratto. Poi come credersi autori? non ero tutto lì discorrendo, eppure ero assolutamente lì: è difficile un gesto sentimentale vedi, odia se stessa la coscienza infelice ma guai se in un ciclo nascita e morte si congiungessero confutato l’occidente. Perciò tutto è povero, dandosi a metà tra azioni piccole, distruzioni piccole e comiche, in un paesino di pietra visitato dalle crociate e ancora cattolico ogni cosa è sottratta, ogni cosa eppure con ideologia viene difesa pensavi: baciami (tanto non potrai vivere senza secondi fini) baciami il grande oggettivo è cinico come il grande io. Rischia. Ma un’ultima cosa non mettere lo strano dove non c’è ma ancora, senti, un’ultima cosa: non toglierlo se c’è: prova adesso e con 16
dolcezza, prova prova, amore, prova. Fari, strade del porto, sentimenti ingarbugliati perchÊ non detti ma tu prova. Vedi, questa sera cede alla conclusione, all’indugio e all’insistenza di esserci: bisognava gridarlo a voce alta il male per vincerlo: invece noi ...
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Ogni metafora
Lo stesso cielo basso di ambulanze e di pioggia, nel turbamento e le mani sull’inguine, chiamate dal corpo per opporre uno stupore minimo alle cose mentre fuori, tra i semafori, l’europa che ha inventato il finito resiste lontana dall’animale, difende concetti reali e irrilevanti lungo le autostrade, nel tempo lineare verso un punto e gli occhi non si chiudono contro le cose, fermi dove un millennio oggi ha esitato tra cedere e non cedere perdendosi sempre tardi, e con intelligenza.
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Un perdente
Fuori c’è la storia, le classi che lottano. Cosa fare dunque una volta per tutte rifiutando il mondo accettandolo al mattino (« Era vero, sai, era profondo il litigio con lei. Ma c’era un solo letto e prevalsero i corpi »). C’erano i confini biologici e le grandi leggi del profitto. Perciò inventò gli dei e l’interiore. Alla sera, durante l’erezione pretese anche un destino (« dove sei stata per tutta la mia vita? »).
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L’isola sarà guardata nella sua bellezza
Anche la faccia, al risveglio ogni volta, panico e ansia di diventare diversa: un secolo intero scorreva nei suoi movimenti perché era l’unicità. Eppure qualcuno, già salvo, sfidando i suicidi vicino al letto e le pastiglie che cadono dalle mani qualcuno sta dicendo: l’isola sarà guardata nella sua bellezza non importa se da noi o da altri.
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Ora
Non arriverà alla guancia, interrotta vicino, questa carezza desiderata, chiacchiera che non ha verità: meglio il gesto nazista che schiaccia la sua mente, la mia. Non compreso comprenderà tutto con la lotta nella stanza, lo sguardo che supplica e poi: stammi a sentire è un aiuto. Il giorno fuggiva nel giorno dopo per dimenticare. Adesso in poche goffe lacrime ti è messo davanti: tu sei contemporaneo.
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Soltanto
Soltanto questo crescere indifferente allo sguardo e pieno di ciò che ha visto era possibile: se ci sono due barche non contava il loro punto d’incontro, ma la bellezza del cammino dentro l’acqua: solo così, solo adesso, non spiegare. Ed è atroce ma bisogna dire di no alla sua fronte che piange e non capisce, e ama come per millenni si è amato, promettendo in una terrazza buia, accarezzandosi tra le foglie minacciose.
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L’idea centrale
È venuta in mente (ma per caso, per l’odore di alcool e le bende) questo darsi da fare premuroso nonostante. E ancora, davanti a tutti, si sceglieva tra le azioni e il loro senso. Ma per caso. Esseri dispotici regalavano il centro distrattamente, con una radiografia, e in sogno padroni minacciosi sibilanti: « se ti togliamo ciò che non è tuo non ti rimane niente ».
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Le vendette incerte
(Oppure pensava: apparsi nel tempo ci siamo visti prima di annullarci. Nient’altro. Ripetilo in ginocchio) (pensava: servendomi delle parole ti ho distrutto più volte. Ed era questo che volevo, risolvendo in un dolore piccolo uno essenziale) Dopo le attese hai ascoltato: quando la vita cessa, all’uomo subentra il cadavere. Eppure sei diventata madre, nel sogno, commossa. Ma tu passi, non c’è compenso, aggiustamento, smettila: questa verità è qui, non opporre. E guarda i pennelli: distruggili. Gli asciugamani, le bende. Distruggi la mia faccia: ormai è la generazione seguente che penserà la morte attraverso la nostra. (Perché pensava: è mostruosa compassione di te per terra, che cerchi delle ragioni e le pronunci, in preghiera) 24
(ma vendicarsi, con la vernice: in mezzo a chi resta senza scuse, risurrezioni tu hai creduto) (pensava: perchĂŠ, senti, nella vita senti, soffri nella mia compassione: non si potrĂ piĂš esistere)
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Le terre
Sono molti e vivono un destino pagato ma qualcuno di loro dovrà essere povero ma non proletario. Sarà l’ultimo cucchiaio d’oro, un mobile antico pieno di sedani. Guardingo, nella miseria nascosta il bel signore dai pantaloni molli si unisce a noi due fratelli separati dai ricchi. « I ricchi » ci siamo detti un giorno tra i quadri dei morti quando basta trovare l’attimo e si entra nei giardini, in viali di anfore. Qualcuno deve tentare legare il cervello alla vena del polso, per un’accoglienza alla pari nella pelliccia venduta devotamente. Ottantenni e ragazzi in agonia, che difendono gli stemmi fedeli al mattino in chiesa quando un prete li cantava incrollabili: fanno coro per confortare chi è mischiato con il mondo. E devono tornare, rendere innocente l’invidia o ingentilirla nei pranzi: una lode perché il nome si conservi, e una puntigliosa grandezza 26
per gli adolescenti della stirpe. Troppo spesso dall’uva, dal verderame sciolto nei catini prendono scatto e poi spariscono e la nostra è una rivincita misera a grandi balzi, lungo i campi. Si apre un cancello. Nelle cucine i cani invecchiano franano nella preluce: ancora un millesimo di inesistenza tra i ricchi. Sto crollando sfinito in mia madre.
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Latitudine
Appena sciolgono nel bicchiere le pastiglie gli atleti iniziano la corsa. Ma uno senza più forze, guardato da tutti nello stadio, implora di morire e a quelli che lo doppiano chiede di spiegargli i mondi e le esclusioni, la leggerezza che vince, le loro scarpette chiodate mentre sfuggono vicine e spiegare la sera, quando si getta tra le zolle per essere amato, ma una sola volta perché pesa troppo il giuramento all’infanzia. È la penitenza, grande, nei corpi che la nudità ingrandiva, la ruggine: volevano solo invecchiare in un tempo uguale, per guardarsi, nel tremore che l’erba custodisce: ma falliranno, e le sue gambe ferite tornano nel buio. Una sbarra è caduta. Fa’ che la pioggia ...
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Copertina della prima edizione (Guanda, 1976)
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Nota di Giovanni Raboni
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Copertina della seconda edizione (Guanda, 1990)
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Nota di Giuseppe Conte
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Indice
« T. S. » La luce sulle tempie La lentezza I sassi nel fango tiepido Due nelle forze Viene la prima La finestra « Solo compenso a questa perdita, non ti sia dato conoscere i limiti precisi di ciò che hai perso » Esterno La somiglianza Le sentinelle Bisognava Ogni metafora Un perdente L’isola sarà guardata nella sua bellezza Ora Soltanto L’idea centrale Le vendette incerte Le terre Latitudine
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Copertina della prima edizione Nota di Giovanni Raboni Copertina della seconda edizione Nota di Giuseppe Conte
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Finito di stampare nel mese di marzo 2016
Sono passati quarant’anni dall’uscita di Somiglianze (Guanda, 1976) e abbiamo pensato di proporre una scelta di poesie fatta dall’autore, mantenendo lo stesso formato, lo stesso carattere di stampa e la stessa copertina originale, che troverete riprodotta alla fine di questa piccola antologia, insieme a quella della successiva ristampa del 1990.