Il manifesto: tatuaggio della società

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Ministero Istruzione Università e della Ricerca a.f.a.m. ACCADEMIA di BELLE ARTI MACERATA

TESI FINALE

DIPLOMA ACCADEMICO CORSO TRIENNALE

“Arti Visive e Discipline dello Spettacolo” in

Graphic design

INSEGNAMENTO Teoria della percezione e psicologia della forma

TITOLO Il manifesto: tatuaggio della società. Candidato

Relatore

Lucia Togni

Prof.ssa Federica Facchini

Anno Accademico 2011/12



Ringraziamenti

Il mio ringraziamento va alle persone che mi sono state vicine nella realizzazione del progetto: la prof.ssa Facchini- che è una fonte inesauribile di idee-, Massimo -per l’otto novembre-, Chris -per la sua immensa gentilezza, Teli per marketing -e non solo-, il mio iTunes che sceglie sempre la canzone giusta al momento giusto, e alle mie muse Giulia e Elena.



“ La creatività è molto importante nella vita- ti rende diverso. Se sei creativo, sperimenti modi diversi di fare le cose. E naturalmente farai un mucchio di errori. Ma se hai il coraggio di insistere nonostante gli sbagli, troverai la risposta che cerchi.” Bill Fitzpatrick



Indice Introduzione Parte terza_ APPROFONDIMENTI

Parte prima_STORIA 1) La nascita del manifesto 1.1 Postimpressionismo 1.2 Il Novecento, Art Noveau 1.3 Jugendstill, Monaco-Berlino 1.4 Avanguardie storiche 1.5 Prima e seconda guerra mondiale 1.6 La Guerra in Vietnam 1.7 Il secondo Dopoguerra 1.8 Il Sessantotto 1.9 Op Art 1.10 Tendenze di fine secolo

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Parte seconda_ANALISI 2) Lettura del manifesto 2.1 La figura e lo sfondo 2.2 Percezione dell’immagine 2.3 Analisi del manifesto_Mele, Dudovich 2.4 Analisi del manifesto_The Glasgow Institute of the fine arts 3) Le diverse tipologie di manifesto 3.1 Affiche commerciale 3.2 Locandina cinematografica 3.3 Ideologia e propaganda 3.4 Tematiche sociali 3.5 Sport e competizioni 3.6 Turismo

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4) Artista vs designer 4.1 Autoritratto dell’artista 4.2 Comunicazione come espressione dell’identità dei nostri tempi 4.3 Un esempio di manifesto artistico: il Festival dei Due Mondi di Spoleto 5) Manifesti censurati 5.1 Campagne scandalo degli ultimi anni 5.2 Ripa di Meana e la sua pelliccia 5.3 Un caso di estrema attualità: Benetton Unhate 6) Progettazione del manifesto 6.1 La metodologia progettuale secondo Munari 6.2 La progettazione del manifesto musicale 6.3 Un caso sul territorio: le Marche (manifesto universitario Urbino-Macerata)

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Conclusioni

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Bibliografia e sitografia

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Intro

« Manifesti appunti per una immaginaria voce di storia del pensiero visuale o, più precisamente, degli artefatti a stampa noti come manifesti. [generalia- definire la materialità concreta dell’oggetto: il manifesto è un foglio di carta stampato affisso in luoghi pubblici per diffondere informazioni; dunque pigmenti inchiostri e tecniche, ma anche discutere i formati, il peso e la natura delle carte; accennare al passaggio sequenziale nel tempo, ovvero storia, tra riproducibilità testo e immagine. Sottolineare lo specifico rapporto figura/sfondo (in contesto stradale, urbano, extraurbano, ambientale e simili), nonché la “distanziale” percettiva che implica (forme nella visione e interpretazioni dello spazio, cioè rapporto con l’architettura e l’ambiente) riflettere su una forma d’arte murale a stampa, in rapporto alla tradizione parietale, sia colta che vernacolare: epigrafa, affreschi, vetrate, murales, per differenza] »1 La progettazione visuale contemporanea della “carta sul muro” in Italia ha le sue radici in una lunga tradizione e in una buona reputazione di cartellonisti, versione italica della gallica affichistes. Se volessimo approfondire gli etimi, affiche(in francese) si lega all’affissione, affliggere, latino ad-figere “at-

taccare” formato più recente –fixus invece di fictus, vedi fisso, fibbia, fitto, interessante perché evidenzia l’immobilità finale, il configgersi sul piano bidimensionale di una parete (figura verticale), rispetto ad altri artefatti di stampa, mobili e orizzontali; cartello in origine cartiglio ovvero scritta, diminutivo di carta, latino charta, greco khartes “foglio di papiro”, dunque carta scritta. L’etimologia della parola italiana manifesto è facilmente riconducibile al verbo manifestare, far conoscere, rendere noto. Nella nostra lingua, quindi, viene immediatamente riconosciuta l’efficacia del manifesto come mezzo di comunicazione pubblicitaria, di lettura immediata, di grande diffusione. In inglese,invece, come nel francese, il termine poster richiama il lavoro dell’affissione, e non tanto quello del manifestare. Stesso discorso vale per lo spagnolo (cartél e cartilla equivalgono a poster)e per il tedesco: i termini plakat e anschlag si riferiscono all’atto di esporre; Manifest, invece, è la voce utilizzata analogamente all’italiano, per definire il manifesto come dichiarazione programmatica politica, culturale, artistica. 1- Tratto da “Abecedario” di S.Polano- P.Vetta (2002) pp.11 Agli inizi del XIX secolo erano frequenti gli “uomini sandwich” per esporre i manifesti ad una platea molto vasta.


1_La nascita del manifesto

La storia del manifesto è strettamente collegata alla storia del paese che l’ha creato; una sorta di specchio per lo studio della nostra società. In questo specchio, nell’ultimo decennio dell’ottocento sono l’importanza crescente dell’impressionismo e del giapponesismo e soprattutto, dell’affermarsi della cromolitografia che ne rende possibile la realizzazione. Questo specchio inoltre riflette il contesto in cui il manifesto trova la propria patria d’elezione. La metropoli, il luogo di domanda e offerta di cultura e produzione, d’affari. E la metropoli per eccellenza del momento è Parigi; è qui che nasce, quindi, il manifesto moderno, mezzo di informazione, di comunicazione culturale o di propaganda pubblicitaria. Inizialmente è lo stesso mondo dell’arte ad utilizzare questo strumento di comunicazione; Sono gli editori, infatti, i primi a usare i manifesti per pubblicizzare i loro romanzi, presto seguiti da circhi, cabaret e teatri. Edouard Manet può essere considerato il precursore del manifesto di tipo pubblicitario. Egli comincia nelle sue opere a considerare il pubblico come spettatore, costruendo immagini secondo il suo punto di vista; è un primo passo nella considerazione dell’osservatore come fruitore finale dell’opera. Inoltre l’artista francese già celebre per aver dato avvio a quella che era chiamata “pittura della modernità” per i temi trattati, si misura con i segni del cambiamento realiz-

zando una réclame per il libro Les Chats di Champfleury. Si tratta di un’illustrazione di tipo giapponese in cui i due gatti (uno bianco e uno nero) captano l’attenzione dell’occhio tramite il contrasto formato dai due colori, e dalla linea continua e sinuosa che compone le due figure. Vi è già in questo lavoro uno dei concetti base del manifesto pubblicitario, e vale a dire la cattura dell’attenzione tramite espedienti grafici e cromatici, esaltati dell’omogeneità dei caratteri tipografici, che lasciano il posto più importante proprio all’illustrazione. È proprio nell’ultimo trentennio dell’Ottocento che Parigi consolida il proprio aspetto borghese e festoso arricchendosi di stazioni ferroviarie, teatri, musei, ristoranti, sale da ballo, casinò e soprattutto di caffè.


1_La nascita del manifesto

1.1 Postimpressionismo Jules Cherèt (1836 –1932)

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Il sottosuolo della capitale era già percorso da una delle piu grandi e efficienti metropolitane del mondo, mentre la notte veniva illuminata da lampioni a gas tecnologicamente all’avanguardia. Ovunque c’era novità e progresso. Per quanto riguarda la grafica, all’affermarsi delle teorie impressioniste, gioca un ruolo molto importante la diffusione delle stampe giapponesi. Queste si ricollegavano all’antichissima tradizione pittorica nipponica, da sempre più sensibile ai colori che ai volumi. L’uso di un disegno semplice e netto, privo di drammatizzazioni chiaroscurali, e la stesura dei colori in campionature omogenee e smaglianti, rendeva tali stampe estremamente decorative, poiché ogni soggetto veniva trasfigurato in una dimensione fiabesca. L’impegno di Chéret nel campo della grafica e del manifesto ha origini lontane. Figlio di un tipografo, inizia la sua attività come apprendista presso un litografo parigino e nel 1858 realizza già un notevole manifesto per l’“Orfeo all’inferno” di Offenbach. Durante un viaggio a Londra conosce Rimmel, un produttore di profumi, che diventa il suo mecenate; è in questo rapporto di mecenatismo tra imprenditore e grafico, che va a sostituirsi a quello classico tra uomo di stato e pittore di corte. È il segno che i tempi stanno maturando: arte e economia si avvicinano e ne traggono reciproco vantaggio.

Nel suo lavoro la tecnica delle macchine da stampa inglesi (figlie della rivoluzione industriale) sposa la creatività della pittura francese e soprattutto delle istanze rivoluzionarie dell’impressionismo e post impressionismo. Negli anni a venire,una clientela vastissima, composta da cabaret, teatri d’opera, caffè-concerto, circhi e parchi di divertimento, gallerie d’arte, ma anche giornali, grandi magazzini e ditte commerciali, affiderà al pioniere del manifesto pubblicitario moderno la produzione di affiches. A Chéret inoltre va annoverata anche la realizzazione di cartelloni di grande formato e soprattutto l’utilizzo di uno stile basato su un nuovo rapporto tra immagine e testo. La scritta, considerata sinora come un elemento estraneo all’immagine, viene ora ripensata in funzione di quest’ultima, che nel frattempo ha abbandonato la monocromia e il rigore delle illustrazioni precedenti, per assumere uno straordinario dinamismo e un forte impatto grazie all’utilizzo spregiudicato del colore e del movimento.

Exposition De Tableau Et Dessin De A. Willette (1888)


Il testo perde in parte il proprio valore descrittivo per assumere un maggior rilievo decorativo ed estetico. La descrizione del prodotto o dell’evento reclamizzato si riduce, fino a scomparire in molti casi; mentre viene amplificato l’effetto di attrazione dell’illustrazione, mediante scritte dinamiche e colorate. Un’altra fondamentale intuizione di Chéret consiste nell’associazione del prodotto pubblicizzato con la rappresentazione della donna, che ben presto caratterizzerà la maggior parte della sua produzione. La figura femminile, dai tratti post impressionisti e spesso rappresentata in movimento, ha lo scopo di far convergere l’attenzione dell’osservatore, attratto anche della vivace scelta cromatica. Per quanto riguarda la tecnica, Chèret fu un grande maestro. Portò la tecnica della cromolitografia dal livello sperimentale a quello di vera e propria forma d’arte: non si limitò semplicemente a creare versioni colorate delle classiche litografie in bianco e nero, ma per primo riuscì a piegare il procedimento ai fini della resa pittorica. Consapevole dell’enorme difficoltà che comportava realizzare manifesti di grandi dimensioni con la pressa a braccia, escogitò un proprio metodo servendosi dei più moderni macchinari dell’epoca. Particolare del manifesto Parfumerie Villa Iris (1897)


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Da sinistra a destra: Pastilles Gèraudel- Le pays des féesArt Nouveau poster palais de ice cream- Saxolèine

- figure evidenziate da contorni forti e decisi; - corpi allungati e semplificati; - freschezza delle figure (delineate da una tecnica vignettistica e di immediata lettura); - dinamismo della composizione;

- stampa decorativa (il soggetto è ritratto in una dimensione fiabesca)

- il testo perde la sua funzione didascalica e comincia ad avere funzione estetica. - le lettere vengono modellate e seguono l’andamento del disegno.


Théophile Alexandre Steinlen (1859 - 1923)

Le opere di Steinler, pittore e grafico di origine svizzera, risultano particolarmente importanti per i successivi sviluppi della grafica pubblicitaria, la quale risentirà ancora del crescente influsso dell’arte giapponese. Ne è un esempio fin troppo marcato il manifesto del 1891 per l’opera “La Reve” dove il japonisme assume il lato più esteriore di una replica puramente formale delle icone orientali. L’influsso orientale, assieme ad una passione quasi maniacale per i gatti, si ritroverà in quella che è probabilmente la sua immagine più famosa, ovvero quella creata per la compagnia teatrale “Le Chat Noir”: il manifesto composto dalla figura stilizzata e bidimensionale di un gatto nero realizzata in soli tre colori. Dal modello orientale si perdono i soggetti tipici delle stampe giapponesi e si riprendono solo le modalità compositive.

Da sinistra: Le Rève (1891), Tournée du Chat Noir (1896)

- immagine solida; - composizione rigida;

- il lettering richiama lo stile giapponese.

- il gatto è il protagonista del manifesto; l’artista è infatti un amante di questo animale.

- elementi delle stampe giapponesi (tipiche del periodo impressionista)

L’utilizzo di soli tre colori piatti da maggiore certezza e staticità al manifesto


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Henri de Toulouse- Lautrec (1864 - 1901)

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La breve e sfortunata vita del conte Henri-Marie-Raymond de Toulouse-Lautrec-Montfa si svolge tutta nell’animatissimo quartiere parigino di Montmartre. L’artista ha ben assimilato l’esperienza impressionista, ma ne rifiuta i principi e i soggetti preferiti: paesaggi, colori luminosi, mancanza di prospettiva geometrica. Fonda il suo disegno nell’indifferenza per il disegno preciso, una linea spezzata, elastica e rapida, alla quale talvolta si aggiungono toni di colore. Il “cantore” di Montmartre ha il merito di prendere nettamente le distanze dalla visione tradizionale e “borghese”, dando una salutare scossa al linguaggio grafico del suo tempo al quale conferisce nuova dignità e autonomia sottraendolo al destino di forma d’arte “minore”. Il suo interesse è riservato al mondo della notte e la luce che illumina i suoi quadri è quella delle lampade elettriche o a gas. Il taglio che dà ai suoi dipinti e ai suoi manifesti è quello fotografico, suggerito ancora una volta dalle stampe giapponesi. Questi dipinti e locandine non brillano, contrariamente a quelli degli Impressionisti, ma tendono all’opacità.

- Anche in questo caso, come nell’artista precedente, ritroviamo i colori classici delle stampe giapponesi; - il colore è steso in campionature omogenee, smaglianti; - scompare il chiaroscuro o la tridimensionalità;

Sopra: Ambassadeurs: Aristide Bruant (1892),a destra: Ambassadeurs: Aristide Bruant dans son cabaret.

Questi due manifesti sono stati realizzati per un amico di Lautrec, Aristide Bruant. quest’ultimo è rappresentato come un elegante modello, emblema della moda e dell’abbigliamento del tempo.

- viene eliminato ogni dettaglio realistico dello sfondo che spesso adesso diventa un semplice fondale a tinta unita.


- il primo piano è composto dallla mano del musicista che impugna uno strumento a corde; A - il piano del manifesto è diagonale, ed è grazie a questa inquadratura che riusciamo a leggere l’immagine;

B A

Il colore di sfondo è un monocrome, che ci permette di concentrare l’attenzione nella ballerina, colorata di arancio e giallo. Jane Avril (1893)

B - lo spazio interno è composto dalla figura centrale del manifesto: la ballerina Jane Avril.


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C B A

A - in primo piano l’ombra del proprietaio del Mouline Rouge (Charles Zidler) sembra mettere in risalto la sua ballerina, Jane Avril; B - la vedette in secondo piano è al centro dell’immagine, risalta grazie al dinamismo della sua danza e al colore a lei riservato (“La ballerina fa esplodere la sua gonna come la corolla di un fiore” Barilli); C - nel terzo piano, da cornice, troviamo la nera siluette del pubblico, ennesima citazione delle ombre cinesi.

La Goulue (1891)

L’inquadratura deriva da quella fotografica, che permette di catturare il movimento.

Con l’eliminazione delle didascalie, Toulose-Lautrec introduce un principio che trova la massima espressione nella comunicazione pubblicitaria contemporanea: comunicare il marchio, e contemporaneamente, un sentimento di appartenenza a un’élite elegante e raffinata, piuttosto che mostrare il prodotto offerto. Lautrec comprende perfettamente che le affiches devono essere visibili anche da lontano e sa che per strada i passanti difficilmente resteranno a lungo davanti le sue immagini, di conseguenza il tratto sarà più incisivo possibile, i colori decisi e le superfici estese; e ancora, le figure saranno sufficientemente grandi e l’immagine riconoscibile e comprensibile a colpo d’occhio, con qualcosa di assolutamente originale che colpisca al primo sguardo. Insomma, il massimo risultato col minimo dei mezzi.


1.2 Il Novecento- Art Noveau

Nella seconda metà del XIX secolo le città europee e americane conobbero un tumultuoso sviluppo. Londra nel 1801 contava circa un milione di abitanti, verso la fine del secolo ne censì sei milioni e mezzo; nello stesso periodo Parigi passò da cinquecentomila a tre milioni di abitanti, New York da trentatremila a tre milioni e mezzo, Milano toccò i seicentomila. Questo sviluppo, dovuto alla crescente industrializzazione e alla concentrazione delle fabbriche intorno ai principali centri urbani, con conseguente incremento del settore dei trasporti, dei servizi e delle telecomunicazioni, modificò radicalmente il volto della società occidentale. Alla trasformazione dei rapporti di lavoro corrispose il mutamento delle relazioni familiari e sociali, dei modelli abitativi, delle abitudini al consumo. L’immagine della città si arricchì in quel periodo di nuove rappresentazioni, che diedero immediatamente il senso di un’inarrestabile modernità.

Nello stesso tempo, la vertiginosa crescita della produzione industriale dilatò sempre di più i mercati, provocando una crescita dei consumi che, nella dinamica della concorrenza rinnovò la moda, gli ambienti domestici, la forma degli oggetti e delle immagini. Le vetrine dei negozi si infittirono dovunque, e nelle grandi città aprirono i primi grandi magazzini. “Con il sorgere dei grandi magazzini”, ha scritto Walter Benjamin, “per la prima volta nella storia i consumatori cominciano a sentirsi massa […] visiva di massa, nella quale la pubblicità trovò uno spazio crescente e il manifesto giocò un ruolo primario”. La massificazione della produzione industriale negli ultimi decenni del XIX secolo interessa tutti i settori: dalla falegnameria alla vetreria, dalla ceramica alla siderurgia leggera, dalla tessitura fino alla grafica. Gli oggetti sfornati dall’industria, tutti rigorosamente uguali e rispondenti a precisi standard, perdono però qualsiasi personalità. Dare dignità artistica al prodotto industriale, dunque, significa rispondere a due esigenze; la prima e più urgente è di ordine economico: l’innalzamento del livello estetico dei prodotti ha per immediata conseguenza l’apertura di un mercato nuovo, quello della piccola e media borghesia. Particolare del manifesto Mene di Dudovich


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La seconda esigenza, poi, consiste nel porre le basi per un’arte diversa e moderna, in linea con il progresso dei tempi e con le nuove aspettative dell’uomo, ma al tempo stesso capace di recuperare quei valori ideali e fantastici che l’eccessivo ottimismo positivista aveva finito per cancellare. Già a partire dagli ultimi anni dell’800 la strada è il principale luogo d’elezione della pubblicità. Nascono manifesti pubblicitari di grandi dimensioni, realizzati anche abbandonando il tradizionale formato verticale per privilegiare quello orizzontale, più facile da collocare, ben visibile, in posizioni strategiche. La tecnica, invece, registra la diffusione della stampa offset, che rende più semplice e veloce stampare grosse tirature di manifesti rispetto alla cromolitografia; in questo modo gli artisti possono diffondere le proprie opere che, pur essendo prive di valore commerciale in quanto non originali, svolgono comunque un’importantissima funzione di educazione al gusto e di diffusione di nuove idee.

All’inizio del secolo, in Francia, sotto il profilo delle tecniche di comunicazione si assiste, invece, alla diffusione dello slogan: una frase memorabile usata in un contesto commerciale o politico, come espressione facilmente memorizzabile e associabile al prodotto o ad un pensiero. L’affermazione dello slogan, che in Italia approda solo attorno agli anni ’30, è una diretta conseguenza dell’abbandono del testo in funzione referenziale e descrittiva nei manifesti. L’immagine diventata talmente forte e facilmente identificabile con il prodotto o servizio reclamizzato, da ren-

dere superflua ogni descrizione e da poter essere facilmente compresa anche da un pubblico analfabeta. La parola, ora, piuttosto che essere completamente bandita dal manifesto, poteva essere proficuamente utilizzata a sostegno della riconoscibilità del marchio, in una frase ad effetto da ricordare. Il terreno sul quale la grafica liberty- ma più in generale, tutta la grafica moderna- fece le sue più significative prove fu proprio quello del manifesto. Prodotto tipico della nuova società di massa e diretta espressione della cultura urbana, il manifesto si impose subito come mezzo di comunicazione in grado di trasmettere messaggi immediati e sintetici, tali da essere recepiti da una folla in frenetico movimento lungo le strade della città. La diffusione dell’Art Nouveau inizia ben presto ad influenzare la grafica dei manifesti, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra testo e immagine. Il testo diventa sempre più parte integrante dell’immagine, fino a condensarsi con questa.


Un esempio significativo della tendenza dell’Art Nouveau è il manifesto Tropon, creato nel 1899 dal belga Henry Van de Velde, vera e propria pietra miliare nello sviluppo della cartellonistica pubblicitaria. Nel manifesto le figure umane sono, per la prima volta, assenti e vengono sostituite da un disegno astratto di cui è parte integrante il nome del prodotto reclamizzato. I nuovi artisti tendono verso una rappresentazione più simbolica, distaccata dalla realtà.

Tropon (1898)

Marcello Dudovich (1878 - 1962)

Dudovich ha vissuto, in circa sessant’anni di carriera, tutte le stagioni del cartellonismo, lasciando una traccia indelebile e originale, pur attraverso vari cambiamenti e influssi stilistici: dal periodo Liberty al Decò, fino alle aperture “novecentiste” e all’accentuazione delle tendenze volumetriche. Il manifesto “Marca Zenit” è una bombetta nera appoggiata su una poltroncina Settecento in una cornice dorata di sfarzo nulla: tendaggi chiari quasi impercettibili sullo sfondo, pavimento uniforme in tonalità lievemente più scura e niente più. Con questo manifesto di disarmante semplicità, ma anche estrema raffinatezza ed eleganza che Dudovich vince nel 1911 il concorso diretto dalla Borsalino (la famosa ditta di cappelli). L’affiche, autentico punto fermo nella storia della cartellonistica italiana, è interamente costruita in funzione dell’oggetto, fulcro visivo e tonale di tutta la composizione. Il proprietario della bombetta, un qualunque gentiluomo, è presente solo attraverso un paio di dettagli: i guanti e un bastone di passaggio. La scelta dell’oro declinato in tutte le gamme, come co-

lore dominante dà al soggetto (unica macchia scura in un tripudio di giallo) un risalto eccezionale.

Marca Zenit (1911)

Henri Van de Velde (1863 - 1962)


1_La nascita del manifesto

Leonetto Cappiello (1875 - 1942)

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“Ogni pubblicità ha il suo compito. Il manifesto ha quello di gridare alto un nome, e attraverso la chiarezza e il piacere della forma, la sorpresa e la novità dell’arabesco, l’intensità dei colori, diventare indimenticabile”. Erede del cromatismo di Chéret, esasperato in seguito nei suoi lavori più maturi, Cappiello inventò uno stile inconfondibile, in cui evidenzia l’idea pubblicitaria, ma anche una vera e propria formula di messaggio pubblicitario con lui l’oggetto da reclamizzare veniva personalizzato fino a venire associato al nome del suo produttore. Il manifesto per il cioccolato Klaus segna una vera e propria rivoluzione nella storia dell’affiche commerciale: l’idea così originale e la figura nel suo insieme così accattivante s’insinueranno a tal punto nella mente del passante che, da questo momento, il consumatore non chiederà più il cioccolato Klaus, ma “il cioccolato del cavallo rosso”.

- la composizione è simmetrica; - la prospettiva è centrale (il punto di vista leggermente basso per far si che la figura volasse); - lo sfondo è astratto e impalpabile, il fono nero rende più incisivo il disegno; - l’amazzone e il cavallo rosso sono antirealisti;

- i colori sono forti, senza mezzatoni.

Chocolat Klauss (1903)


Cognac Monnet

Maurin Quina

Campari l’aperitif

- manifesti composti da una sola figura (sintetismo dell’idea pubblicitaria che abbandona la parentesi illustrativa); - creazione di personaggi- icone (protagonisti emblematici)

- i carattero ben equilibrati e dimensionati danno allo spettatore un forte impatto; - i colori sono timprici, senza mezzi toni e su fondo nero (per esaltarli);

- dal personaggio si sprigiona un movimento improvviso e sorprendente che pare trascinare il passante nel mondo fantastico e irreale dell’affiche.

Cirio


1_La nascita del manifesto

1.3 Jugendstill, Monaco-Berlino

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Lo Judestil, nome e declinazione particolarissima assunta dall’Art Nouveau in Germania, dà la possibilità ai grafici tedeschi di seguire finalmente un percorso originale, esclusivamente tedesco, lontano dalle imitazioni della grafica francese e inglese che avevano caratterizzato gli albori della cartellonistica teutonica. La storia del manifesto tedesco si alimenta in quegli anni nel profondo contrasto culturale tra Monaco e Berlino. Monaco, una città piccola-borghese, è ancora sospettosa nei confronti delle rapide conquiste della tecnica, prele quindi in essa uno stile popolare e molto legato alle tradizioni; Berlino, invece, internazionale e cosmopolita, vede affermarsi una grafica in cui predomina il ritmo, l’energia e la fede nel progresso. T.T.Heine, è uno dei piu importanti esponenti della grafica bavarese, famoso per la copertina col bulldog, simbolo dell’aggressiva satira della rivista Simplicissimus, in cui, si riconosce il carattere di un “classico” poiché concentra tutti gli elementi d’una specifica arte “da manifesto”: intensa

concentrazione del contenuto, forza di richiamo visivo, essenzialità del disegno, impiego di superfici semplici e cromaticamente attraenti. Simplicissimus (1897)

A Berlino, invece, il punto di riferimento nell’arte del manifesto fu sicuramente Lucian Bernhard, inventore, a detta dei critici di un genere del tutto particolare detto “Sachplakat” ovvero “manifesto dell’oggetto”. La definizione vuole sottolineare la collocazione, da parte dell’artista, dell’oggetto pubblicizzato al centro della composizione. Questa concentrazione su un’unica immagine è essenziale per riuscire ad imporsi all’occhio dell’osservatore, stordito dal caotico ritmo metropolitano. Il testo rientra in quella logica di economia di tempi legata al vivere metropolitano, per cui spesso si riduce al solo nome della ditta con l’effetto di fondersi all’oggetto in un’unica immagine, fissata nella memoria dell’osservatore. Nel cartellone realizzato peri binocoli Oigee, quelli di Bernhard sono veri e propri ritratti di oggetti: semplici, incisivi, monumentali, liberati ora ogni annotazione superflua. Sono ritratti di oggetti nuovi, funzionali e pronti per essere venduti. I suoi lavori s’impongono per un sorprendente uso del colore,

che nelle prime prove è saturo, brillante, mentre in quelle più mature assume sofisticate sfumature, tendenti nei torni morbidi del verde e del grigio. Oigee Binocoli (1912)


1.4 Avanguardie storiche

Cubismo_ Cassandre (1901 - 1968)

La necessità di conquistare nuovi mercati e di ridisegnare i confini europei, in funzione delle mutante esigenze economiche e politiche, crea le premesse per la Prima guerra mondiale (1914-1918), che, per la prima volta, al prezzo di quasi dieci milioni di morti, sancirà definitivamente la fine della belle èpoque, e l’affacciarsi dell’America nella scena internazionale. Le esperienze artistiche dei primi del Novecento, dunque, maturano in un contesto generale più che mai ricco di incertezze e contraddizioni. Poiché i nuovi orizzonti della medicina, della scienza, e del pensiero filosofico fanno intravedere infinite altre attività parallele a quelle che, fino ad ora, si presumeva essere unica e assoluta, anche il settore dell’arte si apre a un universo di ricerche e di sperimentazione mai prima tentate. Èd è dunque in questo contesto che nacquero le cosiddette Avanguardie storiche.

- scomposizione cubista; -rigore purista; -gemetrizzazione costruttivista; - la struttura è asciutta fino all’essenziale; - appiattimento bidimensionale; - disegno pulito e stilizzato.

Grand Sport (1925)

Unico elemento realista dell’affiche è la “casquette” pubblicizzata, le cui caratteristiche risaltano con vigore su questa figura d’uomo simile a un manichino, che proietta sullo sfondo un’ombra grande, sfumata e leggermente inquietante. All’interno di un’area rettangolare e orizzontale, i fili di un telegrafo partono da un’estremità e convergono prospetticamente nell’orecchio della testa di un uomo raffigurata in silhouette. Il logotipo dell’Intransigeant (1925) è posto in diagonale sulla fronte dell’uomo ed esce al di fuori dell’area visiva del poster.

Il manifesto è creato utilizzando solo varianti del colore giallo; il nero ha lo scopo di esaltare il soggetto.


Metafisica_ G. Riccobaldi del Bava (1887 - 1976)

1_La nascita del manifesto

Dadaismo_ Tristan Tzara (1896 - 1963)

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Le rappresentazioni teatrali, come pure i manifesti e le dichiarazioni programmatiche mirano sostanzialmente a turbare il pubblico, cercando di spingerlo a una riflessione sui canoni estetici comunemente accettati. La rivolta contro i canoni comuni si basa sull’affermazione, di derivanti romantiche, dell’originaria bontà dell’umanità successivamente corrotta dalla società. Nel manifesto troviamo parole in orizzontale, verticale, diagonale; a caratteri minuscoli o monumentali, uniformi o irregolari, ordinati o deformati. L’anarchia verbale, il prendersi gioco del lessico convenzionale (lo stesso termine “dada” non ha significato), il rifiuto di ogni regola tipografica, la costruzione libera, dinamica e rivoluzionaria della pagina riassumono tutto il pensiero dada, basato su una libertà di espressione senza confini e sul valore estetico della casualità.

Manifesto per il Teatro Michel di Parigi (1923)

La metafisica predilige uno spazio rigidamente geometrico, una prospettiva schematica e ordinatrice, un colore terso e omogeneo, una solida volumetria degli oggetti e infine un segno netto, deciso e sicuro. Nel manifesto del 1928 un corte di grandi berline a fari accesi percorre lento una salita a stretti tornanti. Quest’ultima è una citazione quasi letterale della celebre rampa di stabilimento del Lingotto di Torino, progettata per consentire alle vetture Fiat di raggiungere l’area della pista di collaudo che destò, addirittura, l’ammirazione del grande architetto Le Corbusier: “Uno degli spettacoli più impressionanti forniti dall’industria”. Questo manifesto, capolavoro di Giuseppe Riccobaldi del Bava, è considerato tra i più affascinanti dell’intera storia Fiat. Il movimento ellittico e la sintesi dei volumi raggiungono una straordinaria forza plastica e visiva e il nome della casa automobilistica torinese, ripetuto numerose volte a lettere

Fiat (1928)

monumentali, sembra aver una precisa funzione architettonica: quella di sostegno della rampa stessa.


Futurismo_ Fortunato Depero (1892 - 1960)

I messaggi lanciati dai poster di Depero sono di nuda efficacia, senza abbandonarsi a nessuna concessione narrativa o decorativa. Degli esponenti del primo futurismo, Fortunato Depero è quello che si dedica con maggior successo all’arte commerciale. Egli realizza il manifesto per “il nuovo teatro futurista” nel 1924. Per Marinetti e compagni, il teatro è il modello di ogni sperimentazione possibile in vista della “ricostruzione futurista dell’universo” e nel corso della sua carriera, Depero si dedica moltissimo al teatro; sperimenta soluzioni particolarmente innovative sia per quanto riguarda le scenografie che per i costumi. È lui, in nome di un nuovo dinamismo, ad inventare le marionette meccaniche in sostituzione dell’attore. E proprio una di queste, con le sue forme geometriche e astratte, è la protagonista assoluta dell’affiche. Dalla bocca, simile a un fischietto, fuoriescono suoni anch’essi metallici.

- struttura del manifesto diagonale crea dinamicità; - immagine fortemente futurista; - i colori-luce sono uno strumento di comunicazione emozionale fantastica.

Teatro G

oldoni

(1924)


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Unica

Bitter Campari. L’aperitivo

Magnesia San Pellegrino

Bitter Campari

Depero denuncia la radicale trasformazione introdotta dall’industria e dalla macchina nell’esistenza quotidiana.

La meccanizzazione, secondo l’artista, avrebbe portato l’uomo ad identificarsi in un motore.

Questa critica è fortemente visibile nei manifesti che crea.

I personaggi, inoltre, sono spesso pupazzi del mondo teatrale.


1.5 Prima e seconda guerra mondiale

Nel periodo intorno alle Guerre Mondiali il manifesto perde momentaneamente e parzialmente la sua funzione pubblicitaria per assumere quella, assai più tragica, di strumento di propaganda: la nazione nemica deve essere piegata col terrore, si debbono radere al suolo anche le città per mettere in ginocchio l’esercito nemico. I manifesti non nascondono la crudeltà e la violenza di quegli avvenimenti; al contrario, mostrarli, diventa simbolo di forza. Lo stato, sostituendosi alle aziende, diventa così il nuovo committente di manifesti, i quali, assieme ai giornali, costituiscono il principale mezzo d’informazione. È lo stesso stato, inoltre, a rappresentarsi come una figura pronta a stigmatizzare chi si sottrae al dovere. Il tipo di messaggio trasmesso è simile in tutti i paesi e può essere sintetizzato nel tentativo di coinvolgere l’intera popolazione chiedendo forti sacrifici, richiamando alla devozione e al senso di dovere. Per quanto riguarda la tecnica di stampa, negli anni venti e trenta avvengono cambiamenti importantissimi, che influenzeranno inevitabilmente anche l’aspetto estetico dei lavori. Anche in Italia si abbandonano la litografia e la cromolitografia per passare alla stampa offset, e soprattutto alla fotomeccanica, in cui anche i colori pieni vengono ottenuti con la sovrapposizione di più retini.

Nella pagina accanto, a destra: James Montgomery Flagg, I want you for us Army (1917); A sinistra: Achille Luciano Mauzan, Fate tutti il vostro dovere (1917)


1_La nascita del manifesto 29

- mancanza di ordine estetico; - le immagini occupano tutto il manifesto; - il testo è ridotto al minimo, la struttura verbale e tipografica cercano la massima sintesi; - netta separazione tra testo e immagine;

- i messaggi da trasmettere sono pochi ed uguali ovunque; - la novità consiste nella rappresentazione dell’uomo a figura intera, che sembra impastato con la stessa materia terrosa della trincea;

- gli sfondi molto approssimati; - si ricorre spesso all’uso del discorso diretto (ne costringe la trasmissione all’interno di un dialogo fortemente personalizzato); - esaltazione dei valori nazionali; - esasperazioni grottesche e caricaturiali delle

immagini del nemico; - gli elementi tecnologici del conflitto (come aerei e navi) vengono rappresentati in modo costante per dimostrare la potenza del proprio armamento.


Gino Boccasile (1901 - 1952)

Emblematico è il manifesto di Boccasile del 1944, in cui si mostra una Londra totalmente avvolta dalle fiamme ad una mano col pollice verso il basso ad auspicarne la distruzione. La mano gigantesca col pollice verso grava su Londra come un imperatore romano che ha deciso cosa fare dei suoi gladiatori. La capitale britannica è distrutta: nessuno slogan; solo il nome scritto a lettere a fuoco. Lo stesso fuoco che ha ridotto a un cumulo di macerie fumanti i simboli stessi del regno: il Ponte di Londra, visibile in primo piano e arretrata, Westminster Abbey. Avvolti da dense spirali di fumo che si levano nere verso il cielo, bruciano i monumenti e le case. Il manifesto di Boccasile è un grido di vittoria in seguito al bombardamento che ha messo in ginocchio la città sul Tamigi, ma è anche un’immagine che porta con sé un’inquietante consapevolezza: ormai la guerra è totale, che non ci sono più trincee, nessun luogo deputato alla lotta. Questo conflitto è davvero globale perché il campo di battaglia si è esteso fino a comprendere il mondo intero. A partire da questo momento nessuno, da nessuna parte sarà più sicuro.

Londra (1940); nei manifesti a destra: manifesto di arruolamento per l’artiglieria, Vostro amico?, Perfida Inghilterra e Per l’ordine per la vita


1_La nascita del manifesto

Ben Shahn (1898 - 1969)

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Dal punto di vista prettamente tecnico in questi anni in Europa non si assistono a grandi novità. Più interessante, sotto questo aspetto è invece, la grafica statunitense ed in particolare l’esperienza di Ben Shahn. Egli in questi anni si dedica attivamente allo studio dei manifesti, elaborando un linguaggio fortemente intriso di quella lucida visione propria della cultura della “nuova oggettività”. Questo manifesto, “This is Nazi brutality”, è la risposta all’indomani dell’eccidio di Lidice del 6 novembre 1942, deciso come punizione esemplare per l’uccisione a Praga di Heydrich, capo della polizia nazista.

Il grande pittore realista Ben Shahn raffigura un uomo coperto da un cappuccio, con i polsi ammanettati: è un individuo senza volto, privato non solo dell’identità, ma anche della dignità. Intorno a lui un muro altissimo, invalicabile, che lo limita in ogni lato; lo squarcio di cielo azzurro rappresenta la libertà che gli è stata negata mentre l’immagine è accompagnata da una scritta: “Questa è la brutalità nazista”, e da un lungo testo che riporta la notizia di Radio Berlino. “È stato ufficialmente annunciato: tutti gli uomini di Lidice –Cecoslovacchia- sono stati uccisi: le donne deportate in campo di concentramento: i bambini inviati in centri speciali. Il nome del villaggio è stato immediatamente cancellato”. Ogni altro commento è, ovviamente, superfluo.

This is Nazy brutality (1943)


1.6 La guerra in Vietnam

Tomi Ungerer (1931)

Tomi Ungerer scuote l’opinione pubblica e la stessa coscienza statunitense con la tecnica del “pugno allo stomaco”. Nel manifesto a destra, “Mangia” è l’imperativo imposto al Vietnam dalla prepotenza militare degli States. Il manifesto è una variazione sul tema della presenza americana nella penisola indocinese. La statua della Libertà diventa un cibo sgradito e indigesto, che viene fatto ingoiare al popolo vietnamita con brutale durezza da un braccio che tanto assomiglia a un candelotto di dinamite. L’immagine si ritaglia dallo sfondo con un segno netto, leggibile e incisivo. Il messaggio è semplice e brutale. In questo caso il

poster non ha la funzione di spiegare (è scontato che lo spettatore sappia già tutto), bensì di denunciare. Nell’America degli anni Sessanta la grafica politica ha potuto esprimere liberamente il proprio dissenso; la guerra in Vietnam è il primo caso clamoroso di una società che, proprio attraverso i mezzi di comunicazione di massa, si è messa collettivamente in discussione.

A sinistra: Kiss for peace (1967), a destra Eat(1967).


Erberto Carboni (1899 - 1984)

1_La nascita del manifesto

1.7 Il Secondo Dopoguerra

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Siamo nei primi anni Sessanta, in Italia si assiste all’inizio del boom economico. Un piccolo segnale del nuovo benessere è rappresentato anche dai biscotti, che s’impongono su tutte le tavole come alternativa più golosa e più “ricca” rispetto al rustico pane. Il manifesto invita le famiglie al consumo: non c’è un momento particolare per mangiare i Pavesini, ma “è sempre l’ora”, come recita il fortunatissimo slogan, entrato nel linguaggio stesso degli italiani. Carboni visualizza il messaggio con un’immagine influenzata dal linguaggio della pop art, un orologio, un grosso cipollone con tanto di lancette, dove al posto delle ore non ci sono i numeri bensì biscotti Pavesini, la cui confezione compare sotto la scritta, dai caratteri grandi, semplici e nitidi. Il tondo in trasparenza al centro dell’affiche è una citazione e un omaggio alle ricerche astratte contemporanee.

È sempre ora dei Pavesini (1963)


Milton Glaser (1929)

Milton Glaser è forse il primo, nella storia della grafica pubblicitaria, ad essere andato oltre le convenzioni grafico-visive del manifesto tradizionale. Ci ha giocato, ne ha oltrepassato i limiti fisici e, soprattutto, ha infranto la regola ormai consolidata – e per molti immutabile- della forma rettangolare e rettilinea; questo cartellone circolare lo dimostra in maniera esemplare. Realizzato quando la musica aveva ancora la dimensione del vinile, pubblicizza proprio attraverso la

forma di un disco le produzioni di una casa discografica battezzata Utopia. Affidandosi alle sole suggestioni del colore, l’etichetta tende ad evocare le atmosfere del mondo irregolare di Utopia (dal greco, il luogo che non esiste): un paesaggio dagli evanescenti colori pastello che risponde agli ideali pacifisti degli hippies. Negli anni a seguire, il manifesto non rettangolare non ha avuto altro seguito.

Utopia (1973)


1.8 Il Sessantotto

Nel 1964 l’università di Barkeley, in California, viene occupata dagli studenti. Inizia così una mobilitazione che presto si sarebbe estesa in tutto l’Occidente industrializzato, raggiungendo il suo apice nel 1968. Si tratta di quella grande ondata di contestazione giovanile, nota appunto con il nome di Sessantotto. Fra i temi dibattuti dalla contestazione, occorre ricordare la questione femminile: ciò che le donne rivendicano è la loro autonomia. Di fondamentale importanza era, infatti, la ricerca di un lavoro, per dare basi materiali, oltre che sociali e psicologiche alla propria autonomia. Il conflitto progettuale che sul finire degli anni Sessanta agitò il mondo della grafica si espresse con particolare evidenza nel settore del manifesto. Questo antico mezzo di comunicazione visiva di massa iniziava però, proprio in quegli anni, il suo lento declino. Superato dal cinema, dalla televisione, vanificato dalla fruizione sempre più veloce delle strade urbane ed extraurbane, tese gradualmente a concentrarsi in abiti ben delimitati, a privilegiare l’informazione culturale e sociale, a prediligere gli spazi di aggregazionestazioni ferroviarie o metropolitane-, senza rinunciare ai modelli linguistici sui quali si era costruita la propria illustre tradizione, ma anzi affrontando con energia le sfide dei tempi nuovi. La grafica moderna riuscì ancora ad opporre su questo terreno un sapiente “distillato” di

maestria tecnica e di fervida creatività a una comunicazione visiva sempre più estrosa e attenta ai linguaggi delle nuove culture che si sviluppò a partire dagli anni Settanta. Negli anni Settanta del XX secolo un peso di non secondaria importanza ebbe, soprattutto sulla grafica americana, la visione cosiddetta psichedelica. L’idea che l’uso di droghe favorisse la creatività, grazie alle allucinazioni da esse prodotte, era allora alquanto diffusa e indusse alcuni artisti e letterati a saggiare la possibilità di nuovi universi visivi. La visione psichedelica, nella quale si tendeva a liberare le energie psichiche più profonde, rappresentò così un terreno di sperimentazione che interessò inevitabilmente anche la produzione grafica. Wes Wilson, il noto grafico americano, arrivò ad affermare che la sua scelta dei colori era direttamente legata alle immagini suscitate dall’LSD.


Grafica psichedelica

Wes Wilson (1937)

Nel periodo della hippy generation si assiste a una vasta produzione di manifesti destinati a un bel preciso circuito underground, quello dei concerti rock. Un esempio è costituito da questo poster (1966), in cui l’effetto psichedelico non è affidato ai colori, bensì al lettering. Il testo, incorniciato nella sezione destra del foglio, è scritto con caratteri ondeggianti e fiammeggianti, deformati al punto da alterare la percezione sensoriale e risultare quasi illeggibili; invece di un’informazione pubblicitaria , assomiglia a un messaggio per iniziati. L’immagine, dominata da questo personaggio senza espressione, incastonato in un delirio di elementi decorativi, combina varie fondi d’ispirazione: l’antico Egitto, la secessione Viennese, l’art noveau.

Captain Beefhart at the Fillmore (1966)


1_La nascita del manifesto

Peter Max (1937)

Be all you can be. Read (1969)

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Montagne incatenate, arcobaleni, accensioni floreali, fate, astri, pianeti: ecco il mondo fantastico generato dalla sola apertura della pagina di un libro. Secondo il manifesto sinistra, leggere è un viaggio magico e avventuroso nelle distanze siderali del pensiero e il libro è un contenitore di infinite esperienze, possibilità, emozioni del cuore e della mente. Lo slogan enfatizza lo straordinario potere della lettura “Sii tutto ciò che puoi essere. Leggi”. L’affiche è esemplare nel suo stile “cosmico” (così viene battezzato), uno stile di enorme successo che in una dimensione onirica permeata da un’esplosione di colori incandescenti , mescola elementi dei linguaggi hippy, pop e psichedelico.


Milton Glaser (1929)

La bocca corrucciata, il naso a becco e la folta, disordinata capigliatura a ricci: ecco le caratteristiche inconfondibili del volto di un mostro sacro della musica a stelle e strisce: Bob Dylan. Nel manifesto Milton Glaser ne accentua la silhouette definendola in nero su fondo neutro e accende i capelli con volute di mille colori fluorescenti. L’opera è un’icona dello stile psichedelico, il movimento nato negli anni Sessanta nell’America dei figli dei fiori, caratterizzato da immagini coloratissime (e dai contorni spesso deformati fino quasi all’astrazione) ispirate alla dilatazione del pensiero e alle sensazioni fisiologiche provocate dall’uso di droghe allucinogene.


1_La nascita del manifesto

Giancarlo Iliprandi (1925)

Oliviero Toscani (1945)

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Nell’Italia degli ultimi anni Sessanta una delle problematiche più scottanti è quella legata alla politica di controllo delle nascite. Nel 1967 (quando la pubblicità degli anticoncezionali è ancora vietata) l’AIED, associazione per l’educazione demografica, affida a Iliprandi la realizzazione di un’immagine propagandistica a favore della pillola, dove una singola compressa si contrappone a un piccolo esercito di bambolotti che sembra marciare contro lo spettatore. Quarantasei pupazzi su quattro file parallele, nella cui ripetizione seriale si avverte la lezione della pop art. Sopra di loro, una scritta a caratteri marcati “Basta” allo sviluppo incontrollato delle nascite. Sotto, lo slogan si completa con “Basta una pillola”: una semplice pastiglia, dello stesso colore delle bambole, è sufficiente ad evitare concepimenti indesiderati. L’immagine appare sulla rivista “Pareti” e diventa manifesto solo sette anni più tardi, nel 1974.

Basta una pillola (1967)

Sinonimo di libertà, emblema della ribellione, portabandiera della contestazione giovanile, tra il Sessanta e i Settanta i jeans sono stati oggetto di campagne pubblicitarie impostate su un mix bollente ed esplosivo di sesso e ideologia. Una per tutte, quella ad alto tasso provocatorio ideato da Oliviero Toscani per il marchio italiano Jesus, così battezzato sull’onda del successo del musical americano Jesus Christ Superstar. In questo poster impregnato di messaggi erotico - evangelici, tutto giocato sull’ambiguità e il doppio senso, domina un irresistibile fondoschiena femminile dove spicca a grandi lettere la scritta “Chi mi ama mi segua”. In un altro manifesto per la stessa campagna, lo slogan “non avrai altro jeans all’infuori di me” si accompagna alla foto di un paio di jeans con la cerniera maliziosamente aperta sul pube. La loro apparizione fa scandalo. Quest’ultima viene posta sotto sequestro con immediato processo.

Jesus jeans (1970)


1.9 Op Art

Franco Grignani (1908 - 1999)

Negli anni Sessanta, in Italia e in altre parti del mondo, ha preso avvio una ricerca visivo-cinetica sulle quali si è fondata l’Optical Art; questo genere artistico, a sua volta ha intensificato sia la speculazione dei fenomeni percettivi sia la sperimentazione di nuovi linguaggi; così la ricerca artistica “non finalizzata” ha potuto offrire importanti contributi ai settori della comunicazione visiva. È sorprendente constatare come in campo artistico abbia trovato spazio e suscitato interesse una tendenza basata sulla ricerca ottico-visuale e logicomatematica, in un periodo storico in cui si esaurisce l’arte informale ed esplode la più modaiola e “disimpegnata” della Pop Art. L’arte cinetica e programmata, poi denominata Optical Art o Op Art (per contrapporla proprio alla Pop Art), prende avvio da esperienze del tutto opposte; ad esempio, certe acquisizioni scientifiche della teoria della Gestalt, tra psicologia e filosofia. È un’arte allineata anche con le ricerche linguistiche, fino ad orientamenti tecnologici, non sgradita, tra l’altro anche al progetto tecno-industriale. Franco Grignani, operatore italiano che ha indagato in modo approfondito il campo gestaltico-dinamico, introduce in campo grafico-pubblicitario le sue personali ricerche gestaltiche esclusivamente bidimensionali, indagini sviluppate intorno alla dinamica della visione e ai limiti della rottura percettiva.

Franco Grignani, nasce come architetto ma decide di dedicarsi alla grafica, attività che continuerà poi per tutta la vita. Ad attirarlo furono i modelli teorici e scientifici della comunicazione e della percezione visiva.Tutto il suo lavoro si è concentrato sulla ricerca di nuovi parametri visivi, di nuovi modelli di visione prodotti sottoponendo l’immagine a tensioni, torsioni, compenetrazioni, che hanno dato vita, negli ultimi anni, a una serie di “psicostrutture modulari”, di “psicosomatiche”, di “campi” scalari o reticolari, di “periodiche”, in cui le configurazioni lineari e planari si compongono in complessi rapporti spaziali. Il rigore del bianco e nero accompagna questa ricerca sul filo di frequenti paradossi visivi. Grignani si è sviluppato intorno ai temi centrali della sintesi visiva e della efficacia comunicativa, di cui resta un esempio insuperato il marchio della Pura Lana Vergine disegnato nel 1963. Il lavoro di Grignani si richiama, pure indirettamente, alla corrente dell’Optical Art, che si è variamente interessata ai fenomeni cinetici e della percezione visiva. L’Op Art fu incline a studiare soprattutto gli effetti del colore sulla percezione visiva e il rapporto tra la forma del campo e la sua struttura cromatica.

Alfieri e Lacroix (1964)


Eduardo Terrazas-Wyman (1937)

Quella realizzata per le Olimpiadi di Città del Messico del 1968 è indubbiamente una delle affiche più originali nella storia della grafica olimpica. Il manifesto non ha soggetto, se non il suo stesso slogan. I due autori, Terrazas e Wyman, enfatizzano la linea dei caratteri ingrandendoli progressivamente fino a occupare l’intera superficie del foglio; la scritta diventa allora disegno, motivo strutturale e insieme decorativo. L’effetto che si viene a creare è quello di un movimento centrifugo che

gioca anche a rendere difficoltosa la lettura. Vengono in aiuto, però, i cinque cerchi del logo olimpionico, sovrapposto al numero “68”, unica nota di colore in un manifesto tutto in bianco e nero. L’affiche costituisce un notevole esempio di optical art, che lavora sulla percezione visiva, sulle modificazione spaziali e sulle visualizzazioni cinetiche.

Mexico 1968


Sul finire del XX secolo la rivoluzione digitale ha definitivamente allineato, sul piano tecnologico, tutti gli operatori grafici, giovani o meno, nella realizzazione al computer di ogni tipo di artefatto comunicativo. Per quanto riguarda gli orientamenti formali e le tendenze stilistiche, si possono fare alcune considerazioni intorno ai media espressivi, cioè sull’utilizzo della tipografia, della fotografia, del disegno. Indubbiamente, nell’uso innovativo del carattere tipografico esiste una continuità nell’elaborazione di quanto è stato prodotto dagli anni Ottanta in poi, nella scia di quei designer che si sono imposti prepotentemente in vari settori; con tutte quelle caratteristiche di complessità nelle composizioni, di percezione spinta all’estremo nella leggibilità, fino alla rottura percettiva e alla decostruzione della pagina, e con qualche inevitabile rimando e citazione alle esperienze delle avanguardie storiche, soprattutto del Futurismo italiano. Se ci riferiamo all’uso dell’immagine, possiamo notare che, pur nella generale affermazione del concetto di “artisticità”in particolare nell’ambito del manifesto, a discapito della metodologia di progetto, il disegno e l’illustrazione più tradizionali risultano di scarso utilizzo nella grafica degli ultimi anni del secolo, a differenza di quello che era avvenuto negli anni Settanta e in quelli successivi dell’espansione postmoderna.

United Colors of Benetton (1991)

1.10 Tendenze di fine secolo


1_La nascita del manifesto

Oliviero Toscani (1945)

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La presenza dell’immagine nella grafica più recente è dunque prevalentemente fotografica, sia pure con un utilizzo iconografico molto differente rispetto al passato. I mezzi cinetici –cinema e televisione- hanno fortemente influenzato la superficie bidimensionale della pagina stampata; l’introduzione del processo digitale anche in campo fotografico ha modificato la ricerca dell’immagine fissa; spesso, infatti, si tratta di un “fermo-immagine” estrapolato da una sequenza filmica, oppure di uno di numerosi scatti ravvicinati. Nella composizione grafica del manifesto, testi e immagini si compenetrano in una formula in cui tutto si trasforma in immagine;vi è una tendenza, dunque, a portare la sensazione del movimento, dell’effetto dinamico anche sulla pagina stampata. La disciplina del design grafico, che nell’arco di mezzo secolo è passata da un’attività d’élite, un po’ aristocratica, a una professione di massa, si forma nelle grandi scuole di ogni parte del mondo. Nel momento del suo declino, il manifesto ha comunque convogliato nuove ricerche verso altri settori della comunicazione visiva, pur preservandone la centralità nel settore culturale e sociale. Il suo sviluppo estremo, che ne segna anche, in un certo modo, il superamento, può essere indicato nella intensa attività pubblicitaria di Oliviero Toscani per l’azienda Benetton di Treviso. Toscani, pur ponendosi si al di fuori di una rigorosa

logica progettuale, ha puntato su immagini del tutto estranee alla natura del messaggio, che da esse viene però fissato nella memoria grazie al loro drammatico, spettacolare, e non di rado violento impatto sull’immaginazione dell’osservatore. Questo accorgimento si richiama direttamente ai precetti dell’antica mnemotecnica che, da Cicerone in poi, ha fatto delle “immagini” altrettanti segnali allusivi –e non direttamente descrittivi- dei contenuti da ricordare; e proprio all’arte della memoria, la comunicazione visiva di massa contemporanea si è spesso- più o meno consapevolmente- ispirata per ottenere i suoi risultati migliori. Nel 1982 la Benetton affida la promozione della propria immagine al grande fotografo Oliviero Toscani che in

vent’anni, grazie ad una serie di manifesti tra i più discussi nell’intera storia della pubblicità, ne fa una delle marche d’abbigliamento più conosciute al mondo. Giocando sullo slogan “United Colors Of Benetton” (Colori uniti di Benetton) realizza immagini che, al di là di precisi obiettivi di mercato, affrontano problematiche sociali mai toccate prima d’ora dal mondo della pubblicità commerciale. Le sue affiche affrontano temi più svariati: dal razzismo, all’ecologia, al sesso, all’Aids (memorabili, in proposito, due scatti: quello con la composizione di preservativi colorati sistemati come tanti spermatozoi e quello con il malato terminale che ha le sembianze di Cristo). In questi anni Toscani perfeziona un linguaggio che ha fatto della provocazione un’arte; attraverso


lo scandalo, lo shock, il disorientamento generato dai suoi lavori ha voluto colpire con dura forza il castello di pregiudizi, ipocrisia, perbenismo, malafede ideologica, convenzioni comportamentali –e visuali- dentro al quale è saldamente barricata gran parte dell’opinione pubblica. Il manifesto dove i protagonisti sono la suora e il prete , tutto orchestrato sul contrasto bianco-nero, coglie un bacio casto ma vibrante di innegabile passione, tra i due; nell’interpretazione dell’autore, i soggetti, prima ancora che religiosi sono innanzi tutto un uomo e una donna. Anche quando sembra che nell’immagine non ci sia alcun riferimento al prodotto, come in questo caso, esiste sempre una corrispondenza cromatica e simbolica con lo slogan, secondo il quale la gioia del colore abbatte ogni barriera, da quella della pelle a quella della divisa. Per le campagne Benetton, Toscani ha ricevuto alcuni tra i più prestigiosi riconoscimenti del settore.


1_La nascita del manifesto

Massimo Dolcini (1945 - 2005 )

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I manifesti attuali sono dei “bombardamenti” che hanno come scopo quello di trasformarci in consumatori passivi ed acritici. L’arte comunicativa di Dolcini, invece, rifiuta un approccio esclusivamente reclamistico ed estetico al messaggio che il “committente” intende trasferire e parte, piuttosto, dalla necessità di farne comprendere il contenuto vero e profondo. Questa finalità è ancora più evidente nella sua produzione pubblica che trova la sua massima espressione nell’intensa e reciprocamente costruttiva collaborazione con il comune di Pesaro. Il suo approccio alla vita dell’ente locale mai neutro o neutrale, è ispirato fin dall’inizio da una partecipazione consapevole e condivisa al farsi dell’azione amministrativa, da una necessità che non è la semplice comunicazione istituzionale. Dolcini non è un advertiser, come si usa dire oggi. L’advertiser è la “rèclame”, “to advertise” significa reclamizzare, fare della pubblicità e Dolcini non crede in una grafica che vuole sedurre, convincere, che vuole far consumare; crede e lavora su una grafica che comunica e informa. Nei suoi manifesti il layout originale viene trattato con tecniche fotografiche trasformando l’immagine a tinte piatte, ritoccandola su pellicola e colorandola con acrilici per simulare i colori di stampa. Il bozzetto viene poi stampato in serigrafia in numeri abbastanza contenuti, di formato 70x100.

Sopra: Rock rock rockodé rock in Italy; a destra: Città Pulita


2_Lettura del manifesto

Il manifesto ha un’importanza culturale tale che ha incrementato la ricerca in ambito artistico, storico, sociologico, semiologico, psicologico e della comunicazione. Il manifesto sintetizza, spesso pure distorcendola, la realtà sociale, ne raccoglie gli umori, le situazioni storiche, di costume e delle tendenze di un’epoca. Fin dal suo primo apparire, il manifesto ha parlato, informato, ha fatto pensare e sognare. Studi psicologici sul manifesto soprattutto quello pubblicitario e sulla comunicazione hanno dimostrato che la decodifica del messaggio non è automatica; il fruitore è chiamato a mettere in moto la propria intelligenza, il proprio intuito e soprattutto il proprio background cognitivo - culturale, quindi il suo ruolo non è senz’altro passivo, come era spesso stato considerato. Quanti quadri intitolati “Compianto del Cristo Morto” ci ricorda l’immagine a destra: la perizia compositiva nel dirigere lo sguardo dello spettatore e la conoscenza della storia dell’arte stanno dietro alla forza espressiva della campagna.

In alto a sinistra: Mantegna, Lamento sul Cristo morto (1975-78); a destra: Giotto, Il compianto del Cristo morto (1303-05); Sotto a sinistra: Correggio, Compianto su Cristo morto (1524); infine United Colors of Benetton di Toscani (foto di David Kirby).


2_Lettura del manifesto 47

La pubblicità è onnivora: divora e digerisce il passato, il presente e il futuro, la storia della’arte, l’arte contemporanea, la fotografia, il cinema, i fatti di cronaca, il costume. Il creativo deve essere attento a quello che accade intorno a lui, cogliere le atmosfere del momento, i gusti e le mode del pubblico e trasformarle nel manifesto pubblicitario. In questa pagina possiamo notare chiari riferimenti alla celebre opera di Delacroix, simbolo di intraprendenza e volontà di agire difonte a un problema.

Eugène Delacroix, Liberty Leading the People (1830)


Nella metà degli anni venti la rappresentazione visiva si diffonde enormemente e si stabilisce complementarietà tra testo e immagine; è proprio la semiologia che studia il ruolo dei segni come parte della vita sociale. Un segno può essere una parola, un suono, un’immagine. Saussure distingue tra “significato” e “significante”: il significato è ciò che il segno esprime; il significante è il mezzo utilizzato per esprimere il significato. Ma la relazione tra il significato e il significante è arbitraria e convenzionale: i segni possono significare qualcosa che stabiliamo noi e pertanto uno stesso segno può significare cose diverse in contesti diversi. Questo è un punto fondamentale per “leggere” i manifesti. Pierce categorizza i segni in: icone, simboli e indici. Le icone sono rappresentazioni fedeli dell’oggetto; I simboli rappresentano un oggetto in maniera arbitraria e convenzionale (il ramoscello d’ulivo nella nostra cultura significa pace); Gli indici, invece, sono solo indizi che associano eventi naturali (ad esempio il fumo, associato al fuoco). Nella comunicazione visiva vengono utilizzati tutti questi tipi di segni. Questo processo implica un’accurata costruzione del messaggio e presuppone la condivisione dei codici sia da parte dell’emittente che da quella del ricevente. La decodifica non corrisponde al semplice riconoscimento e alla comprensione del

messaggio, ma anche all’interpretazione del suo significato. Il linguaggio visivo ha una propria indipendenza di funzionamento rispetto al linguaggio verbale. Per quanto ci si sforzi nessuna spiegazione verbale dell’immagine potrà rendere pienamente conto di ciò che essa contiene, poiché l’equivalente dell’immagine rimane l’immagine stessa. L’immagine contiene significati che, spesso, i grafici preferiscono non esplicare verbalmente. Gli studi di carattere psicologico sul manifesto hanno modificato le convenzioni sul ruolo passivo del consumatore di fronte alla percezione delle immagini pubblicitarie. È solo il “passante” che sceglie su quali immagini soffermarsi e dalle quali lasciarsi convincere. La percezione è un processo celebrale di elaborazione delle informazioni provenienti dal mondo esterno. La percezione porta alla codifica del mondo circostante in icone, di conseguenza tutto il sistema percettivo è già in se un linguaggio e l’atto di percepire coinvolge inevitabilmente i codici.

Campagna Perlana 2006


2_Lettura del manifesto

2.1 La figura e lo sfondo

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Quando abbiamo di fronte a noi una via con il suo traffico vediamo uno scenario fisso, il cielo, la strada, le case e degli oggetti in movimento, i passanti, le auto: ogni cosa è illuminata dal sole e proietta ombre che si spostano insieme agli oggetti. Tutto questo genera una miriade si stimoli visivi che si sovrappongono. Infatti, il mondo della visione è complesso e la mente dell’uomo ha elaborato delle strategie per distinguere le cose importanti nella confusione che ci circonda; per la soluzione dei problemi di caos visivo la mente applica la regola del passaggio dal complesso al semplice. Quando guardiamo un’immagine tendiamo ad isolare la forma dominante da tutto ciò che il nostro interesse relega sullo sfondo. Fabris osserva che questo fenomeno può essere prezioso per chi struttura la pubblicità: si propongono situazioni problematiche e successivamente si propone il prodotto “risolutivo”, oppure si induce nel campo psichico la sensazione della mancanza di tale prodotto e al momento in cui lo si rappresenta è come se colmasse perfettamente il vuoto.

La pubblicità di questi vestiti e’ stata ambientata in un mondo sommerso dalle acque, la muraglia cinese e’ coperta di sabbia, Parigi e’ invasa dalla giungla. Ma possiamo stare tranquilli, perchè abbiamo sempre la possibilità di entrare in un negozio (con aria condizionata) e comprare vestiti Diesel. In questo caso lo sfondo non ci crea confusione nella lettura del manifesto, ansi, nonostante sia “drammatico” nel suo significato, il nostro sguardo è catturato dai protagonisti della foto.


2.2 Percezione dell’immagine Disposizioni spaziali

Ogni testo visivo opera sia sul livello figurativo che plastico. Nella lettura di tali livelli si congiungono in una visione organica, determinando una risposta immediata in chi guarda. Il livello figurativo è quello attraverso il quale si riconoscono gli oggetti o persone appartenenti al mondo reale. In questo caso il destinatario è come se guardasse una scena reale, più l’astrazione aumenta maggiore sarà il bisogno del destinatario dell’aver imparato un codice. Il livello plastico si riferisce all’impatto visivo di forme e colori di particolari configurazioni e disposizioni nello spazio totalmente indipendenti da ciò che sono chiamate a rappresentare. Il livello plastico può essere di tre tipologie: - Topologico (in base alla disposizione spaziale); - Eidetico (a seconda alla forma degli oggetti: appuntiti, arrotondati ecc…); - Cromatico (relativo all’individuazione di aree attraverso la percezione dei colori). Durante la lettura dell’immagine il livello plastico e quello figurativo si congiungono, anche se quello plastico rimane spesso più completo e importante. Il livello plastico viene, infatti, ancor prima delle figure e rimane anche dopo tale riconoscimento.

Lo spazio dell’immagine prevede già un’organizzazione virtuale che tende ad orientare il percorso di lettura ancor prima delle forme e dei colori. Questo percorso di lettura può essere: - a struttura sequenziale, ed è quello che agevola la ricezione da parte del destinatario assecondando le sue abitudini di lettura, proponendogli una struttura geometrica familiare e rassicurante procedendo quindi dall’angolo superiore a sinistra a quello inferiore a destra del manifesto, seguendo un percorso di lettura a Z;

Carboni per Barilla


2_Lettura del manifesto 51

- a struttura assiale, invece, pone il soggetto al centro e ben visibile. Per dare maggior risalto a qualche particolare elemento accade che i grafici strutturino lo spazio con espedienti grafici che incanalano la lettura lungo un percorso inconsueto. I gestaltisti hanno rilevato che l’interesse visivo passa dagli oggetti piÚ grandi a quelli piÚ piccoli e da quelli a forma irregolare a quelli regolari terminando il suo percorso sul testo verbale.

A sinistra: Albe Stainer, Con i comunisti LibertĂ (1966); a destra Erberto Carboni, Grand Hotel e Kursal Cattolica (1932).


All’interno di un manifesto la disposizione dell’immagine a livello spaziale ha una determinata valenza metaforica: - disposizione sopra-sotto: se la composizione dell’immagine va dal sopra al sotto di un manifesto, il sopra è associato al più, al buono, felice, controllato, il sotto invece al meno, al cattivo, patologico, sottomesso. La relazione tra chi è sta sopra e chi sta sotto indica una valutazione della loro relazione. In una ricerca del 1979 si è dimostrato che le figure maschili tendono ad essere collocate più in alto di quelle femminili quali riflette simbolicamente il ruolo delle donne dell’epoca rispetto a quello degli uomini. Nell’immagine strutturata verticalmente si realizza quindi una specie di opposizione tra ideale e reale, tra il come potresti essere e il come, in effetti, sei.

disposizione sopra-sotto


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- disposizione destra-sinistra: la disposizione destra piuttosto a quella sinistra corrisponde ad un prima e ad un dopo: a sinistra vi sono elementi familiari e noti, quindi la lettura verso destra rappresenta il nuovo che può generare attenzione, sorpresa, riflessione o rifiuto. - disposizione centro-periferia: se il manifesto è spazialmente strutturato secondo un centro dominante circondato da una periferia, al centro troveremo il nucleo informativo e tutti gli altri elementi saranno da considerare subalterni, dipendenti ed ausiliari ad esso. Ciò si ricollega alla distinzione fatta dai gesta listi tra figura e sfondo. Di fronte ad un’immagine visiva dobbiamo separare la forma dominante da tutto il resto relegato allo fondo; nelle immagini visive la figura tende a collocarsi nella posizione centrale.

disposizione destra-sinistra

disposizione centro-periferia


Il lettering

Se consideriamo il carattere Peignot (1937), creato dall’illustratore Cassandre, troviamo esemplare come il font è una trasposizione dello stile usato dalle sue immagini.

Osservare e riconoscere il disegno di un carattere è quindi di primaria importanza. Naturalmente i caratteri disegnati nelle varie epoche storiche sono numerosissimi e la loro creazione continua tutt’oggi. Vari sono i metodi per cercare di classificarli e raggrupparli secondo caratteristiche comuni.

Cassandre, L’antique

La conoscenza delle regole che governano la scrittura, sta alla base del progetto per la comunicazione visiva. È fondamentale quindi approfondire la morfologia delle lettere nelle sue forme, di pieni e di vuoti, geometricamente costruite di quel complesso codice chiamato: alfabeto. L’utilizzo di questo codice, che ci accompagna nelle sue forme attuali da più di cinque secoli fa parte della comunicativa umana. Ogni epoca storica genera i propri caratteri. Il carattere anzi sintetizza magistralmente con il proprio disegno lo stile di un intero periodo.


2_Lettura del manifesto 55

Possiamo limitarci ad individuare quattro famiglie: - Romani: la cui asta possiede nella parte terminale un’estremità appuntita; - Egizi: nei quali questa estremità appare troncata; - Bastoni: caratteri lineari privi di grazie; - Scritti: simulano la scrittura calligrafica.

ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVXYZ abcdefghijklmnopqrstuvxyz 123456789 ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVXYZ abcdefghijklmnopqrstuvxyz 123456789 ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVXYZ abcdefghijklmnopqrstuvxyz 123456789 ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVXYZ abcdefghijklmnopqrstuvxyz 123456789

Un carattere può essere classificato, inoltre, in base alle sue caratteristiche. Per poter classificare i caratteri esiste una terminologia che ne descrive gli elementi: - roman: è la forma grafica di base, l’aspetto delle lettere è stato copiato dalle iscrizioni trovate sui reperti romani. - light: è una versione più leggera del roman. - boldface: ha uno spessore maggiore delle lettere rispetto al roman. - italic: è la versione in corsivo del roman. - condensed: versione condensata del roman. - extended: versione estesa del roman. Non sempre un determinato carattere ha tutte queste versioni. Ogni designer ha una sua teoria sull’utilizzo migliore dei caratteri, la soluzione migliore è comunque quella di lasciarsi guidare dalla propria sensibilità valutando di volta in volta il singolo effetto nella composizione. La forma del carattere, inoltre, delinea il valore delle parole perché vi sono caratteri delicati e potenti, maschili e femminili, eleganti e rigidi, gravi, seri. Sono questi accorgimenti che sovente danno alla stampa un potere che altrimenti non avrebbe quindi la grandezza e lo spessore di un carattere, considerati come tono e suono di voce, possono costituire di per se elementi di espressione.

Ciò che agevola l’espressione tipografica di uno stato d’animo è anche la disposizione e non solo la forma del carattere che, qualora sia eccentrica, a scapito della leggibilità.

Roman Light Italic Condensed


Il colore

La scienza ci insegna che il colore non è altro che un’elaborazione visiva generata dai segnali nervosi che i fotorecettori della retina inviano al cervello. La percezione visiva è quindi a tutti gli effetti creata dal nostro cervello e, come tale, è capace di provocare risposte emotive ed atteggiamenti psicologici diversi. Lo studio di questo fenomeno, che a molto a che vedere con la neurofisiologia, prende il nome di “psicologia del colore”. Il colore è una sensazione che viene recepita dal cervello e che ha quindi effetti sul nostro organismo e soprattutto sul nostro atteggiamento psicologico. La nostra “tavolozza cromatica personale” dipende cioè dal nostro modo di percepire i colori esterni e da quali concetti emozionali gli associamo inconsciamente, sia sulla base del nostro vissuto personale, sia sulla base del contesto culturale in cui viviamo che ci influenza più o meno indirettamente. Sinestesie cromatiche: Rosso: forza, eccitamento. Blu: introspezione, serietà, riservatezza,pace, quiete. Verde: sicurezza, soddisfazione, rilassamento, conservazione, equilibrio. Giallo: spensieratezza, esagerazione, liberazione, distacco, eccitazione. Arancione: godimento, piacere, gioia, distensione.


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2_Lettura del manifesto


2.3 Analisi del manifesto_Mele, Dudovich

COMPOSIZIONE_ La composizione ha un carattere statico, grazie al “peso” del triangolo formato dalla figura appoggiata con leggiadria sulla sua base e spostata sulla destra quel tanto che serve a bilanciare il peso della scritta “Mele”; il manifesto si sviluppa su tre componenti: quello realistico e descrittivo del paesaggio sullo sfondo, quello geometrico della panchina e quello floreale della donna in primo piano, la cui massa ampia e ariosa è definita come volume dall’effetto “optical” prodotto dal disegno della veste e dai rapporti tra i colori. SEGNO_ La linea di contorno è ricavata per astrazione sfruttando i contrasti del segno-colore, distribuito in aree dall’andamento misto, ora rigido ora modulato. COLORE_ Netta prevalenza di tonalità chiare e luminose (rosa, bianco, verde, con pochi dettagli in rosso e in nero), a stesura piatta senza tratti delimitati. I colori hanno il compito primario di evidenziare l’oggetto pubblicizzato, l’abito, e quello secondario di creare una certa profondità prospettica degradante verso il chiaro e vuoto. LETTERING_ Uso di due caratteri diversi, uno morbido e decorativo, in accordo cromatico con il suo referente imme-

diato (cioè l’abito), l’altro più razionale e semplificato, in contrasto cromatico con il resto del manifesto. Ciò corrisponde alla volontà di differenziare il marchio dal messaggio pubblicitario vero e proprio. RAPPORTO TESTO-IMMAGINE_ Le scritte si sovrappongono al disegno inserendosi negli spazi liberi (in alto) o segnando il profilo (in basso) delle masse principali della composizione. In tal modo il testo entra a far parte dell’immagine. Il manifesto di Dudovich, nella sua apparente semplicità, è il risultato di una commistione di forme e di tipologie lineari che si esprimono in un fitto tessuto di rapporti e contrasti cromatici.La massa morbida e decorativa dell’abito è ottenuta mediante un reticolo geometrico di riquadri verdi e bianchi, mosso però da una linea ondulata o a serpentina. L’uso della forma geometrica come mezzo per segmentare lo spazio e per articolare i volumi deriva dalle ricerche secessioniste di Moser e di Klimt, ma la sua convivenza con modi floreali pone il manifesto di D. in un ambito di eclettismo formale. La schematizzazione della panchina, a linee bianche parallele di diversi spessori, conclude la parte propriamente informativa della comunicazione pubblicitaria e apre uno spazio narrativo, d’ambiente, reso in uno stile pittorico ma con una stesura piatta dei colori.


2.4 Analisi del manifesto_ The Glasgow Institute of the fine arts

La sobria descrizione di un giardino alla giapponese trasmette un messaggio psicologico di tranquillità, raffinatezza, eleganza delle forme che si riflette sulle qualità del prodotto. Il contrasto non violento dei colori si regge sull’alternanza ripetuta del bianco e del verde, che segna il passaggio tra i vari elementi della scena. In questo contesto la scritta informativa nera, in qualità del prodotto. Il contrasto non violento dei colori si regge sull’alternanza ripetuta del bianco e del verde, che segna il passaggio tra i vari elementi della scena. In questo contesto la scritta informativa nera, in basso, diviene la sola nota stridente e ha perciò allo stesso tempo una percezione più immediata. COMPOSIZIONE_ Assolutamente statica, caratterizzata da una distribuzione simmetrica delle masse rispetto all’asse verticale mediano. La figura umana, allungata e geometrizzante, si apre come un fiore verso l’alto, ed è bilanciata in basso dalla scritta, vera e propria “radice” e base su cui erge la figura. SEGNO_ Sottile, uniforme e continuo, delimita sistematicamente tutte le aree del disegno esaltando il carattere bidimensionale. Si sviluppa su linee verticali rette o appena

incurvate, bruscamente risolte in alto da decise impennate orizzontali, smussate oppure aggrovigliate e contratte. Le linee curve non sono mai archi di cerchio, ma sempre segmenti di elissi o di parabole. COLORE_ Piatto e uniforme, viene impiegato come “riempitivo” della linea di contorno. Niente sfumature nè effetti di modellato. vengono usate solo tre tonalità contrastanti: ocra, rosa e bianco, esaltati dal fondo nero. LETTERING_ Le lettere subiscono lo stesso processo di design dell’intera pagina, queste infatti sono studiate secondo una struttura razionale ma allo stesso tempo decorativa tipica dello stile di fine Ottocento. RAPPORTO TESTO-IMMAGINE_ Il testo è confinato in basso e assume sia la funzione di etichetta ma anche di piedestallo dell’immagine. Il design delle lettere, il colore utilizzato e la linea di confine dell’area di testo sono elementi sufficienti per integrarlo pienamente con il resto della composizione, dando al tutto un risultato di omogeneità.


3_Le diverse tipologie di manifesto 3.1 Affiche commerciale

“Il grafico di fronte al pubblico ha una grande responsabilità. Il grafico che si rispetti deve ritirarsi quando capisce che il prodotto è scadente. Può influire negativamente sullo sviluppo di un bambino per esempio, o sullo sviluppo culturale della gente. Il progettista grafico non è un venditore di fumo.” Albe Steiner, Il mestiere del grafico “Disegnare manifesti prima dell’avvento della televisione era davvero un compito affascinante, il cartellone era la più forte forma di pubblicità visiva e proprio per questo si doveva riuscire a formare un’immagine capace di distinguersi da tutte le altre e andare a collocarsi nella memoria del pubblico; uno sforzo non solo rivolto alla ricerca di un’idea, ma anche robustezza pittorica e ad un equilibrio di proporzioni.Nei miei manifesti, nei miei messaggi pubblicitari ho sempre cercato la sintesi, l’impatto espressivo, invidiando talvolta alla cosiddetta arte pura proprio la possibilità di giocare sull’ambiguo, sul non definito. Proprio per questo, nei lavori grafici non strettamente pubblicitari, mi sono concesso qualche volta di portare sulla complicità dei segni, sull’equivoco dell’immagine, divertendomi ad interpretare liberamente quegli stessi prodotti che quotidianamente vanno esaltati dall’advertising.In pubblicità si può cogliere immediatamente la bontà e la validità di un’idea creativa.” Armando Testa


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3_Tipologie di manifesto


3.2 Locandina cinematografica

A B C

A - Rughe sul viso e la barba incolta per trasformare Costner in un vero duro; capelli lunghi e poco curati insieme alla fronte lucida, sudata. L’americano che mette sul viso i segni indiani di battaglia significa dare allo spettatore una sintesi perfetta del film: il soldato che diventa Sioux. B - La mano di Costner che sbuca quasi dal nulla è una forzatura ma funziona per spiegare il film.

Il blu notte si lega benissimo agli occhi del protagonista e alla sua divisa da ufficiale. L’alone azzurro intorno alla figura serve per farla emergere rispetto allo sfondo. Il rosso e il bianco sono utilizzati per attirare l’attenzione.

C -Data la sua importanza nel film, la sequenza della caccia al bisonte ha uno spazio nel manifesto, senza mettere però in secondo piano il protagonista.

Anche in questo caso, come nel precedente, il manifesto è diviso in due piani: quello superiore dove troviamo la presentazione dei protagonisti del film, bilanciati perfettamente per importanza; e quello inferiore che riporta una scena di battaglia del fim con -in fondo a destrale sirene -nuovi personaggi inseriti nel quarto film della saga.

Il verde è un colore predominante nel manifesto- ma anche nel film e rappresenta la vita selvaggia dei pirati. A dare contrasto nel manifesto sono le esplosioni delle guerre tra le navi, caratteristiche del film d’avventura. Infine il rosso, della fascia di Johnny Deep, fa cadere l’attenzione sul protagonista stesso.


3_Tipologie di manifesto 63

i colori utilizzati nella locandina sono quelli della natura, luogo in cui si svolge quasi interamente il film.

Nel film “Into the wild” l’attenzione è interamente dedicata all’attore protagonista e così anche nel manifesto. È un film molto riflessivo che lascia pensare allo spettatore se veramente la società in cui viviamo, piena di confort e benessere, è ciò che ci rende vivi.

La locandina di Inception, film d’azione che si svolge tra sogno e realtà, è composta da una serie di tensioni tra gli edifici e i personaggi che creano uno stato di confusione e smarrimanto. Il colore principale è il blu notte, in cui esplode il titolo in rosso, creando una forte attrazione proprio sull’attore principale.


3.3 Ideologia e propaganda

Numerose tecniche vengono usate per creare messaggi falsi ma persuasivi. In molte di queste tecniche si possono trovare anche falle logiche, in quanto i propagandisti usano argomenti che, anche se a volte convincenti, non sono necessariamente validi. Del tempo è stato speso per analizzare i mezzi con cui vengono trasmessi i messaggi propagandistici, e questo lavoro è importante, ma è chiaro che le strategie di disseminazione dell’informazione diventano strategie di diffusione della propaganda solo quando sono accoppiate a messaggi propagandistici. Identificare questi messaggi è un prerequisito necessario per studiare i metodi con cui questi vengono diffusi. TECNICHE PRODUZIONE DI PROPAGANDA_ - Ricorso alla paura che cerca di costruire il supporto instillando terrore nella popolazione. - Ricorso all’autorità citando prominenti figure per supportare una posizione, idea, argomento o corso d’azione. - Effetto gregge o l’appello alla “vittoria inevitabile” cercano di persuadere il pubblico a prendere una certa strada perché “tutti gli altri lo stanno facendo”, “unisciti alla massa”. Questa tecnica rafforza il naturale desiderio della gente di essere dalla parte dei vincitori. Viene usata per convincere il pubblico che un programma è espressione di un irresistibile movimento di massa e che è nel loro interesse unirsi.

La “vittoria inevitabile” invita quelli non ancora nel gregge a unirsi a quelli che sono già sulla strada di una vittoria certa. Coloro che sono già (o lo sono parzialmente) nel gregge sono rassicurati che restarci è la cosa migliore da farsi. - Ottenere disapprovazione per portare il pubblico a criticare un’azione o un’idea suggerendo che questa sia popolare in gruppi odiati, temuti o tenuti in scarsa considerazione dal pubblico di riferimento. - Banalità scintillanti, parole con un’intensa carica emotiva, così strettamente

associate a concetti o credenze di alto valore, che portano convinzione senza supportare informazione o ragionamento. Esse richiamano emozioni come l’amore per la patria, la casa, il desiderio di pace, la libertà, la gloria, l’onore, ecc. Chiedono approvazione senza esaminare la ragione. - Parole virtuose appartenenti al sistema di valori del pubblico, che tendono a produrre un’immagine positiva quando riferite a una persona o a un soggetto (Pace, sicurezza, guida saggia, libertà).

- Slogan cioè una breve frase a effetto che può includere la sierotipizzazione o l’etichettatura.


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Fairey è riuscito a raccogliere parte del senso innovativo del messaggio di Obama in una serie di manifesti pop dai colori brillanti, con richiami agli stilemi di certa street art, e riferimenti criptomnemonici ai faccioni di propaganda vecchio stile. Sono manifesti propagandistici

che della propaganda fanno ironia: prodotti iconoclastici che, per suprema ironia, sono diventati icone a loro volta. I colori utilizzati dall’artista sono quelli della bandiera americana.

Shepard Fairey, Obama


3.4 Tematiche sociali

Tra tutte le tipologie di manifesto, quella sociale è quella che descrive meglio la società, analizzandone le crisi sociali e le conseguenti reazioni della coscienza collettiva. Tante sono state in passato le campagne che hanno infiammato l’opinione pubblica mondiale, dalle lotte sindacali a quelle antirazziali, dalle battaglie contro l’Aids a quelle a favore della pillola, del divorzio o dell’aborto, fino ai movimenti di sensibilizzazione a proposito di cause quali l’ecologia, l’energia nucleare, la sicurezza stradale, la dame nel mondo, i diritti umani. Il linguaggio utilizza gli strumenti più diversi, dall’evocazione, alla provocazione, dall’ironia alla poesia. La qualità del manifesto a fianco (Chi ha paura del lupo cattivo?, Andrea Rauch, 1991) risiede nel rapporto dialettico, un continuo rimando reciproco tra testo e immagine. In questo manifesto Andrea Rauch ha trasformato la parola stessa in immagine. Ha combinato la simbologia della fiaba con il linguaggio essenziale e minimalista del design. Il risultato è un vero e proprio racconto in cui il protagonista è un lupo costituito dalle lettere della parola “aids”. Ma è un lupo che,sebbene faccia di tutto per apparire malvagio, non riesce a farci paura. Anzi, è proprio questa paura-spiega la lunga didascalia- il vero lupo cattivo. A uccidere non è la malattia ma il timore della malattia. L’Aids è un lupo che si addomestica.

Andrea Rauch per l’Aids


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“Siamo tutti affetti di AIDS”. Così cita la campagna contro la malattia più temuta del mondo. La malattia può cogliere chiunque, senza preavviso,e nessuno può impedirlo né sconfiggere questo male che si insinua nel nostro corpo in modo così subdolo. Nemmeno Wonderwoman. Vedere un personaggio in-

vincibile ridotto così male ci rende davvero tristi e rassegnati di fronte ad un male che non conosce ostacoli e che è destinato ad averla sempre vinta.

Il 6 agosto 1945 l’aviazione statunitense sgancia su Hiroshima la prima atomica. È l’olocausto nucleare. Nel momento della massima intensità, la temperatura al suolo raggiunge quella del sole. La maggior parte delle vittime muore arsa viva, carbonizzata. Esattamente come queste farfalle, che non sembrano precipitare ma danzare nel vuoto, simili a coriandoli, a faville di un fuoco d’artificio. Sembra una dolce morta la loro, invece è una morte atroce. Lontano dal crudo realismo di tante immagini del repertorio utilizzate per manifesti pacifisti e antinucleari, Kamekura crea un poster straordinario, di leggero e poetico orrore, coniugando nell’immagine dalle ali in fiamma la forza dei contrari.

Yasaku Kameku ra, Hiroshim a appea ls (1983

)


3.5 Sport e competizioni

Nel 1900 si celebra l’avvento di una nuova estetica, di una nuova bellezza: quella della macchina. La febbre della velocità contagia anche l’arte del manifesto, che applica all’affiche i principi formali della nuova corrente basata sull’illusione dinamica, sulla rappresentazione del movimento di un corpo nello spazio. Nei manifesti viene tradotto perfettamente il brivido della velocità e le deformazioni ottico-cinetiche che l’illusione del movimento imprime all’immagine.

In basso: Plinio Codognato, Circuito di Cremona (1924); a destra: Federico Seneca, IV Coppa della Perugina (1927)


3_Tipologie di manifesto

3.6 Turismo

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Piu degli altri tipi di manifesto, quello turistico è in grado di farci leggere in filigrana la storia del costume attraverso i cambiamenti della moda, dello stile di vita e l’adozione di nuove abitudini. I manifesti registrano il declino del mondo raffinato, cosmopolita ed esclusivo riservato un tempo, solo ad un certo ceto sociale, che diventa possibile anche per la massa. Nei vecchi manifesti, sono le donne, belle e felici ad essere protagoniste. Nel manifesto per Madonna di Campiglio, la donna semplicemente perfetta rappresenta il fiore all’occhiello delle Dolomiti. Assoluta l’identità, il suo atletismo, sinonimo di gioiosa esplosione di vitalità, benessere, bellezza -che si paragona in modo inconscio nello spettatore- al luogo di vacanza. Il suo saluto è un invito irresistibile a frequentare Campiglio. Il cielo sereno trasmette allo spettatore un senso di gioiosa serenità. Nelle pubblicità moderne, invece, sono il benessere e la voglia di relax ad attirare il turista. Vittime della società che ci richiede sempre il massimo della nostra forma fisica, una vacanza in Trentino ha solamente lo scopo di darci tranquillità e farci rilassare.

In alto a sinistra: Ente Nazionale Italiano per il Turismo, Cortina d’ Ampezzo; a destra Franz Lenhart, Madonna di Campiglio


4_Artista vs Designer fantasia vs creatività

« Mai come in questi tempi sono avvenuti cambiamenti nel mondo dell’arte: gli artisti, o “operatori visuali” come si dice oggi, stanno continuamente modificando le loro tecniche, le materie e i mezzi tradizionali dell’arte visiva sono messi in dubbio, materie e mezzi nuovi vengono sperimentati per conoscerne le possibilità d’uso e,mentre ancora una moltitudine di artisti opera con mezzi tradizionali, altri cercano nuove vie di conoscenza e di comunicazione. Nasce un nuovo tipo di operatore che lavora in gruppo, a contatto con le materie e le tecniche del mondo industriale. Prendiamo in esempio i due poli in questione: quello dell’arte pura e quello del design. Troviamo, infatti, ad un’estremità del problema l’artista puro di tipo romantico, con idee soggettive di tipo assoluto e indiscutibile; e dall’altra parte il designer oggettivo e razionale esageratamente logico che vuole giustificare tutto quello che fa con ragioni a volte forzate. Fantasia e creatività_ L’artista opera con fantasia, mentre il designer usa la creatività. La fantasia è una facoltà dello spirito capace di inventare immagini mentali diverse dalla realtà nei particolari o nell’insieme; immagini che possono anche essere irrealizzabili praticamente. La creatività è una capacità produttiva dove fantasia e

ragione sono collegate per cui il risultati che si ottiene è sempre realizzabile praticamente. Con la fantasia l’artista vede quello che pensa, vede l’opera finita se vuole. In certi casi l’artista vede tutto prima, e poi lo dipinge o lo scolpisce o lo scrive ecc. L’artista opera con la fantasia in uno stato d’animo in cui la ragione è assente, l’ambiente non è percepito. Con la creatività il designer, dopo aver analizzato il problema da risolvere, cerca una sintesi tra i dati ricavati dalle varie componenti per trovare una soluzione ottimale inedita, dove ogni singola soluzione sia fusa con le altre secondo il modo che si ritiene migliore per giungere ad un equilibrio totale. Prima mazzi e poi maestri_ Quando l’artista opera nel suo mondo di arte pura, non si preoccupa del pubblico che osserverà la sua opera. Tutto preso dalla forza realizzativa in cui cerca di non perdere niente dell’idea pura che lo ha spinto ad operare, non può preoccuparsi del fatto di essere capito o meno dal pubblico; la sua unica preoccupazione è

di dar forma alla sua idea artistica. Il pubblico capirà più tardi, quando avrà abbandonato i suoi preconcetti scolastici. Gli esempi di artisti capiti e museificati dopo la loro morte e disprezzati in vita, addirittura considerati come pazzi, sono numerosi. E, guarda caso, fra loro troviamo tutti i capiscuola, tutti quelli che vengono in seguito considerati come maestri. Il designer invece si preoccupa di essere capito subito dal pubblico, il suo messaggio visivo deve esser ricevuto e capito addirittura senza possibilità di false interpretazioni. La scienza delle comunicazioni visive lo aiuta nella scelta di quelle

Simboli delle varie sezioni sportive alle olimpiadi di Tokyo del 1964. Questi simboli dovevano comunicare, a gente di tutte le lingue, un messaggio visivo preciso e inequivocabile. Graphic design di Yoshiro Yamashita, Art director Masaru Katzumie.


4_Artista vs designer

4.1 Autoritratto dell’artista

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forme, di quei colori, di quei movimenti, che oggettivamente portano certi messaggi e non altri. Inoltre l’artista è portato in un certo senso a disprezzare questo pubblico che non lo capisce; mentre il designer è portato ad operare nel rispetto del pubblico e anzi cerca di aiutarlo a capire. L’artista, d’altra parte, sarà sempre fuori dalla mentalità comune e quindi non sarò capito subito perché la cattiva educazione scolastica avrà creato nel pubblico quelle cristallizzazioni di formule artistiche per cui il pubblico non riconosce come arte ciò che fa un artista innovatore e lo considera pazzo. Di qui il disprezzo reciproco. Quando invece il designer progetta un oggetto con funzione estetica, lo fa in modo che il principio formatore sia chiaro allo spettatore e lo spettatore stesso scopra attraverso questo, tutta una serie di situazioni estetiche che vanno ad arricchire le sue possibilità di conoscenza dei fenomeni. »1

1- Tratto dal volume “Artista e designer” di Bruno Munari (1971) pp. 30-39 Da sinistra, autoritratto di Chagall, Picasso e Van Gogh

L’autoritratto è la rappresentazione che l’artista fa di se stesso. Nel realizzare il «ritratto di sé stesso» l’artista conferisce alla sua immagine caratteristiche di verosimiglianza (anche nel caso che la figura sia resa in modo innaturale) tali per cui chi osserva l’opera possa riconoscervi l’artefice. In realtà il ritratto non è mai una mera riproduzione meccanica dell’aspetto (come una maschera di cera modellata su un volto o una qualsiasi impressione fotografica), ma vi entra comunque in gioco, per definirsi tale, la sensibilità dell’artista, che interpreta le fattezze secondo il suo gusto e secondo le caratteristiche dell’arte del tempo in cui opera.


4.2 Comunicazione come espressione dell’identità dei nostri tempi

Il marchio è una parola, un nome, un simbolo, un emblema, o una combinazione di questi, usato nel commercio e registrato che contraddistingue e identifica un’azienda, un prodotto, un servizio. Se in passato l’artista per rappresentare se stesso si avvaleva del ritratto, ai giorni nostri il designer per comunicare un’idea o un concetto -per esprimersi appuntosi avvale del marchio. Questo è il più importante componente dell’identità visiva di un’azienda o di un ente. Secondo una definizione di Chermayeff Geismar “ Un marchio è allo stesso tempo forma e sostanza, immagine e idea”. Dal punto di vista dei contenuti espressivi il marchio deve: - essere unico e inconfondibile; - trasmettere un’emozione; - rappresentare con efficacia l’identità di un prodotto o di un’azienda; - essere frutto di una scelta motivata sia delle forme che dei colori. Nel marchio Nike vi sono racchiuse tantissime emozioni, idee, pensieri.


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4_Artista vs designer


4.3 Un esempio di manifesto artistico: il Festival dei Due Mondi di Spoleto

1965

1968

Il Festival dei Due Mondi, conosciuto anche col nome di Spoleto Festival, è una manifestazione internazionale di musica, arte, cultura e spettacolo che si svolge annualmente nella città di Spoleto. La manifestazione per molti anni è rimasta nel suo genere l’unica in Italia e ad oggi, a livello nazionale ed europeo, rappresenta uno dei più importanti eventi culturali. Caratteristica della manifestazione è l’originalità, l’inusualità e talvolta l’esclusività degli spettacoli proposti. Il Festival di Spoleto, infatti, da sempre ha cercato di proporre novità e spettacoli all’avanguardia ma anche

1971

1974

di rispettare la tradizione classica. I manifesti ideati per l’occasione sono una testimonianza del fervore intellettuale creato dall’occasione. Sono manifesti che hanno un qualcosa di “artistico” non solo perché creati da artisti, ma anche perché il festival è profondamente legato alle arti visive, al teatro, alla danza, all’opera ecc.

1976

1989


4_Artista vs designer 75

2004

2006

2007

2010

2011


5_Manifesti censurati 5.1 Campagne scandalo degli ultimi anni

Il mondo pubblicitario si è imposto nella nostra società e ha modificato i nostri modelli culturali. Secondo McLuhan (sociologo canadese): “La moderna Cappuccetto Rosso, allevata a suon di spot pubblicitari, non ha nulla in contrario a lasciarsi mangiare dal lupo”, questo è il volto più oscuro e, talvolta, esplicito della pubblicità stessa. Essa, per raggiungere il suo scopo, è pronta anche a scavalcare qualsiasi norma etico-morale. Proprio per questo è nato lo Iap (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria), l’organo di autoregolamentazione della pubblicità in Italia che opera sulla base di un codice etico della comunicazione pubblicitaria. In sostanza vigila, su segnalazione di una parte, sulla correttezza del messaggio pubblicitario e sulla sua rispondenza a una serie di principi etici stabiliti. La principale attività dello Iap riguarda quindi interventi di sospensione di campagne a stampa e televisive – è questa la “pena” che può essere inflitta – che diffondano false promesse, messaggi ingannevoli, comunicazioni omissive o fraudolente. Come recita l’articolo 1 del Codice di Autodisciplina “la pubblicità deve essere onesta, veritiera e corretta”, ma sappiamo che il compito dei pubblicitari, nella continua competizione di alzare la posta della “promessa”, è di testare sempre il confine tra lecito e illecito. Così come la ricerca di immagini capaci di attrarre attenzione spinge spesso alla realizzazione di

campagne, più o meno giustificatamente, scioccanti. Ed è qui un secondo importante livello di intervento dello Iap, quello a tutela (art. 8) delle “convinzioni morali, civili e religiose dei cittadini”. Una definizione, come quella di “morale pubblica” si presta facilmente a interpretazioni quanto mai discutibili ed, infatti, non sono mancati esempi di proibizioni di spot e campagne. esauriscono il ruolo della donna ad esclusivo strumento di benessere erotico".

Manifesti pubblicitari Sisley (2010), censurati perchè esauriscono il ruolo della donna ad esclusivo strumento di benessere erotico.


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L’Ultima Cena, Leonardo da Vinci (1494-1498)

L’ultima cena tutta al femminile Campagna Marithe & Francois Girbaud (2006)

Questa pubblicità fu censurata perchè ritenuta offensiva nei confronti del sentimento religioso. Ci sono diversi aspetti curiosi interessanti da sottolineare: 1) L’affresco di Leonardo ha praticamente creato un modello universale di come deve essere rappresentata l’Ultima Cena: i dipinti che raffigurano questo episodio dei Vangeli sono centinaia, ma quando qualcuno deve riproporre un’immagine sceglie inevitabilmente quella di Leonardo;

2) Nella fotografia ci sono diversi particolari anomali: una mano sotto il tavolo sulla quale è posata una colomba, una delle “apostole” con tre gambe, e più in generale non tutte le gambe sotto al tavolo sono riconducibili a qualcuno; 3) Il traditore, Giuda, è un uomo a differenza di tutte le altre.


Questa pubblicità Calvin Klein è stata censurata in Australia a causa delle immagini troppo spinte. I quattro protagonisti della campagna sono in abiti discinti, e solo due dei ragazzi rivolgono palesemente la loro attenzione sul corpo della donna. Non ci sono nudi integrali, nè gesti particolarmente espliciti, ma a quanto pare l’allusività di questa immagine suggerirebbe e promuoverebbe l’idea dello stupro.

Calvin Klein colpisce la sensibilità il senso del pudore americano. In questo caso la donna (elemento centrale del manifesto)è vista esclusivamente in relazione al suo aspetto fisico e al suo sex-appeal. Non è propriamente una donna-oggetto (in quanto si offre volontariamente e attivamente), ma lancia all’uomo espliciti richiami sessuali perché ha bisogno che lui la desideri, dandole così conferme del suo valore.


5_Manifesti censurati 79

I protagonisti del manifesto pubblicitario Dolce & Gabbana sono un uomo a petto nudo che tiene bloccata a terra una ragazza con le gambe scoperte, in una posa che a molti è sembrata quasi un’istantanea scattata pochi secondi prima di uno stupro. Alla scena poi assistono con sguardo indifferente altri quattro ragazzi con ben pochi vestiti indosso. La foto che risale a 2007 fu censurata in Spagna.

La donna presente nel messaggio pubblicitario viene spesso annullata in quanto persona; si attua infatti un processo attraverso cui la modella passa da soggetto ad oggetto, prendendo così il posto dell’oggetto che pubblicizza, e allo stesso tempo il prodotto reclamizzato viene “umanizzato”.

Un altro aspetto che caratterizza la donna è lo sguardo che solitamente è rivolto verso lo spettatoree, con il fine non sono li creare un coinvolgimento ed un legame ma anche con quello di sedurre. Al centro Eva Mendes per Calvin Klein censurata nel 2008 perchè ritenuta troppo erotica; a destra “No Anorexia” di Toscani del 2007; l’autore ha provato a rendere noto un problema che sembra non essere preso in considerazione dalla nostra società.


5.2 Ripa di Meana e la sua pelliccia

Nel manifesto del 1996, Marina Ripa di Meana, ambasciatrice dell’ Ifaw in Italia, recita: “L’ unica pelliccia che non mi vergogno di indossare”. Un esplicito riferimento al vello del suo pube. L’artista ha commentato così la pubblicità: “Offro la mia immagine nuda per difendere e proteggere tutti gli animali, esseri viventi e senzienti, dalle torture e crudelta’ per sole ragioni di moda e vanita’”.


5.3 Un caso di estrema attualità Benetton Unhate

La campagna Unhate nasce da una profonda e umana idea di tolleraza con l’obiettivo di contrastare la cultura dell’odio promuovendo la vicinanza tra popoli, fedeli, culture e la pacifica comprensione delle ragioni altrui. Tema centrale dei manifesti è il bacio, il più riconosciuto simbolo di amore, tra leader politici e religiosi mondiali. Si tratta di immagini simboliche di riconciliazione -con un tocco di speranza ironica e forte provocazioneper sollecitare una riflessione su come la politica, la fede, le idee, anche se diverse e contrapposte, devono comunque portare al dialogo e alla meditazione. Questa comunicazione lavora su più livelli di lettura: - inizialmente rimango scioccato dall’immagine del bacio; - riconosco successivamente chi sono i protagonisti della campagna; - lo choc aumenta quando realizzo cosa rappresentano i protagonisti del manifesto; - infine il testo delinea il messaggio della campagna: il non odio. Difficile non riconoscere in questa campagna il vecchio manifesto di Oliviero Toscani del 1991 con la suora e il prete che si baciano. Anche quel manfiesto fu censurato ma non per questo ce ne siamo dimenticati, anzi!


6_Progettazione del manifesto 6.1 La metodologia progettuale secondo Munari

« Progettare è facile quando si sa come si fa. Tutto diventa più facile quando si conosce il modo di procedere per giungere alla soluzione di qualche problema, e i problemi che si presentano nella vita sono infiniti: problemi semplici che sembrano difficili perché non si conoscono e problemi che sembrano impossibili da risolvere. Se si impara ad affrontare piccoli problemi si può pensare anche di risolvere poi problemi più grandi. Il metodo progettuale non cambia molto, cambiano solo le competenze: invece di risolvere il problema da solo, nel caso di un grande progetto occorrerà aumentare il numero dei competenti e dei collaboratori; a adattare il metodo alla nuova situazione. Riso verde: 1) Tritate insieme, generosamente, prosciutto grasso e cipolla. 2) Mettete al fuoco con un filo d’olio, lasciate rosolare. 3) Lavate bene gli spinaci, strizzateli e tagliateli molto finemente. 4) Lessateli in tanta acqua. 5) Uniteli al prosciutto e alla cipolla rosolati. 6) Versate nel tutto un poco di brodo e condite con sale e pepe. 7) Lasciate consumare ancora. 8) Unite il riso e continuate la cottura aggiungendo man mano un filo di brodo. 9) Togliete dal fuoco quando il riso è al dente.

In qualunque libro di cucina si trova ogni indicazione necessaria per preparare un certo cibo. Queste indicazioni sono talvolta sommarie, per le persone addette ai lavori; oppure particolareggiate nelle spiegazioni delle singole operazioni, per chi non è tanto pratico. A volte, oltre a indicare la serie delle operazioni necessarie e il loro ordine logico, arrivano addirittura a consigliare il tipo di sorgente di calore da utilizzare. Il metodo progettuale non è altro che una serie di operazioni necessarie, disposte in un ordine logico dettato dall’esperienza. Il suo scopo è quello di giungere al massimo risultato col minimo sforzo. Progettare un risotto verde o una pentola per cuocere lo stesso riso, richiede l’uso di un metodo che aiuterà a risolvere il problema. L’importante è, nei due casi accennati, che le operazioni necessarie siano fatte seguendo l’ordine dettato dall’esperienza. Non si può dire, nel caso del risotto, mettere il riso nella pentola senza aver messo prima l’acqua; oppure rosolare prosciutto e cipolla


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dopo aver cotto il riso, oppure cuocere il riso, cipolla e spinaci tutto assieme. Il progetto del riso verde in questo caso fallirà e bisognerà buttar via tutto. Anche nel campo del design non è bene progettare senza metodo, pensare in modo artistico cercando subito un’idea senza prima aver fatto una ricerca per documentarsi su ciò che è già stato fatto di simile a quello che si deve progettare; senza sapere con quali materiali costruire la cosa, senza precisarne bene l’esatta funzione. Ci sono persone che di fronte al fatto di dover osservare delle regole per fare un progetto, si sentono bloccate nella loro creatività. Dove va a finire la personalità? Si domandano. Stiamo diventando tutti matti? Tutti dei robot? Tutti livellati, tutti uguali? E ricominciano da zero a rifarsi l’esperienza necessaria per progettare bene. Faranno molti sforzi per capire che certe cose vanno fatte prima e certe altre dopo. Sprecheranno molto tempo per correggere quegli errori che non avrebbero fatto se avessero seguito un metodo progettuale già sperimentato. Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo: in questo modo si fa solo della confusione e si illudono i giovani a sentirsi artisti liberi e indipendenti. La serie di operazioni del metodo progettuale è fatta di valori oggettivi che diventano strumenti operativi nelle

mani di progettisti creativi. Come si riconoscono i valori oggettivi? Sono valori riconosciuti da tutti come tali. Per esempio se io affermo che mescolando il color giallo limone con il blu turchese, si ottiene un verde, sia che si usino colori a tempera, a olio o acrilici, oppure pennarelli, e pastelli, io affermo un valore oggettivo. Non si può dire: per me il verde si ottiene mescolando il rosso col marrone. In questo caso vien fuori un rosso sporco, ma in certi casi, un ostinato dirà che per lui quello è un verde, ma lo sarà solo per lui e non per tutti gli altri. Il metodo progettuale per il designer non è qualcosa di assoluto e di definitivo; è qualcosa di modificabile se si trovano altri valori oggettivi che migliorino il processo. E questo fatto è legato alla creatività del progettista che, nell’applicare il metodo può scoprire qualcosa per migliorarlo. Quindi le regole del metodo non bloccano la personalità del progettista ma, anzi, lo stimolano a scoprire qualcosa che, eventualmente, potrà essere utile anche agli altri. »1 1- Tratto dal volume “Da cosa nasce cosa” di Bruno Munari (1981) pp. 16-17

legenda schema a destra: P=problema; DP=definizione problema; CP=componenti problema; RD=raccolta dati; AD=analisi dati raccolti; C=creatività; MT=materiali e tecniche; SP=sperimentazione; M=modelli; V=verifica; S=soluzione.


6.2 La progettazione del manifesto musicale

Max Huber, manifesto per conferenza sul jazz (1985)

Musica Jazz

Max Huber fu uno dei grandi protagonisti della grafica del secondo 900 e l’impatto visivo di questo manifesto ne è certamente un esempio significativo. Il manifesto fu realizzato nel 1985 in occasione di una settimana di conferenze sul Jazz in Italia. Potremmo dire in prima analisi che il manifesto si struttura in quattro parti: - lo spazio di forma rettangolare percepito verticalmente; - una fotigrafia tagliata (posizionata nella parte inferiore); - testi di dimensioni omogenee (in alto, in modo obliquo alla pagina seguendo direzioni diverse imprimendo un generale senso di movimento alla composizione); - alcuni puri elementi grafici (rettangoli colorati di spessore diverso posizionati sotto il testo, a volte contrastandolo con una direzione contraria). Entriamo sempre più nel dettaglio: i caratteri usati sono due e posseggono un disegno piuttosto diverso. Il font dominante è graziato (inoltre possiamo osservare un forte contrasto tra le aste), mentre quello che appare in secondo piano è un carattere geometrico lineare, normalmente definito bastone. La fotografia è ridotta a un livello di contrasto piuttosto alto, con un’eliminazione quasi netta dei mezzi toni. È inoltre trattata con un solo colore, quello del fondo, con cui sembra fondersi o da cui sembra emergere. Le fasce gialle arancio sembrano inoltre possedere un

valore coprente, trasformandosi in elementi quasi neri sul blu dello sfondo, mentre cambiano colore diventano una sorta di gelatina trasparente quando si sovrappongono al carattere. Ma qual è la relazione tra le scelte grafico-compositive che Huber adotta in questo manifesto e l’adeguatezza della composizione che si propone? In primo luogo, dobbiamo calarci nell’esperienza di chi ascolta un concerto di musica jazz. Proviamo a descrivere questa esperienza. Non siamo esperti di musica, usiamo parole semplici per raccontare quello che sentiamo. La musica jazz consiste di improvvisazione. Ogni strumento suona seguendo una base armonica ma su questa base esegue infinite variazioni. I suoni che stiamo ascoltando sono fraseggi veloci in cui ogni strumento sembra sovrapporsi agli altri con un proprio discorso autonomo; i suoni si intrecciano, si incrociano, si inseguono, le note sembrano apparire e scomparire con estrema velocità, iniziano percorsi che subito si interrompono, ricominciano cambiano direzione. È un’alternarsi di suoni acuti e bassi, di scale musicali che salgono e poi subito ridiscendono. Adesso guardiamoci intorno. L’ambiente è quasi nell’oscurità, dominato da una luce soffusa, i musicisti sono figure rarefatte che sembrano emergere dal buio


6_Progettazione del manifesto 85

del palco; i fari li illuminano in modo radente e gli ottoni riflettono la luce con bagliori improvvisi.Questa descrizione, apparentemente un po’ letteraria, simula abbastanza bene l’esperienza di chi ascolta un concerto di musica jazz.Inoltre questa semplice descrizione è carica di indizi visivi. Proviamo a lasciarci trasportare dalle connessioni immaginative. Proviamo a visualizzare con semplici linee di spessore e lunghezza diversa l’intreccio, la sovrapposizione, l’inseguimento, l’interruzione, il movimento rapido, suoni acuti e suoni bassi, il salire e il scendere. La luce radente contrasta l’immagine, elimina le sfumature, brucia i mezzitoni; le ombre sono nette, secche. La luce si forma alla superficie del volume, non ci restituisce la sua tridimensionalità nello spazio. Gli ottoni sono gialli e riflettono luce gialla e bianca, il riflesso è una linea, una fascia, non li illumina ma getta colpi di luce improvvisi sugli oggetti. Dopo aver provato a visualizzare semplicemente con linee e colori questi concetti proviamo a riguardare il manifesto di Huber e seguiamo la schematizzazione qui a seguire. Verifichiamo una similitudine tra le linee tracciate e la logica della composizione del manifesto.


Musica contemporanea

Musica francese

La linea con la sua lunghezza e il suo spessore identifica sempre la rappresentazione più semplice del suono, ma qui la musica è diversa. È musica classica contemporanea, non possiede la vivacità e il movimento del Jazz. Più che l’intreccio la composizione evidenzia la profondità, gli intervalli, le pause, i silenzi, l’alternarsi di note che si contrappongono più che intrecciarsi. Le linee non vanno in direzioni diverse, come tanti discorsi separati, ma piuttosto sembrano allontanarsi e avvicinarsi con un movimento verso la profondità. Chiunque abbia fatto l’esperienza dell’ascolto della musica contemporanea ritrova immediatamente in questa composizione una traduzione visiva della sua esperienza. Josef Muller-Brockmann, manifesto per concerto (1954)

Il manifesto è stato realizzato per un concerto di Debussy. La musica di Debussy è stata definita spesso impressionista. È fatta di sonorità rarefatte, immediate, balenanti, brevi, è priva di pomposità e monumentalità, non punta alla definizione ma piuttosto alla ricchezza di sensazioni. È anche nella composizione grafica i colori non appaiono definitivi, i contorni non sono netti, ogni elemento sembra fondersi con quello successivo. La composizione non vuole definire una struttura ma piuttosto restituire una sensazione di indefinitezza.

Joseph Muller-Brockmann, manifesto per concerto (1960)


UniversitĂ di Urbino e Macerata a confronto A.A. 2011/12

6_Progettazione del manifesto

6.3 Un caso sul terrotorio: le Marche

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Urbino A.A. 2011/12

L’università di Urbino per l’anno accademico 2011/12 ha creato un manifesto-“revival” di un famoso quadro “La ragazza col turbante” di Jan Vermeer. Il quadro raffigura una fanciulla volta di tre quarti che colpisce in particolar modo l’espressione estatica, assolutamente languida ed ammaliante (secondo alcuni carica anche di un innocente erotismo), dello sguardo della giovane modella: sembra sia stato lo stesso Vermeer a chiedere alla ragazza, posta di fronte alla grande finestra illuminata dalla luce naturale del suo atelier, di voltare il capo più volte lentamente, tenendo socchiuse le labbra per produrre questo effetto. Il dipinto sembra addirittura ricavato da un’immagine fotografica:è proprio per questo che, nonostante i diversi livelli di conoscenza che ogni individuo ha del famoso dipinto, risulta facile riconoscere nella campagna pubblicitaria dell’università il quadro di Vermeer. Tuttavia lo sfondo chiaro della fotografia del manifesto lo rende più attuale, rispetto al nero del dipinto. Altro elemento di attualità è la kefiah della ragazza di Urbino, contrapposta al turbante del famoso dipinto. Per il resto, l’immagine ricreata dall’università ha la stessa inquadratura, lo stesso sguardo e intensità di quella del quadro. Il manifesto, alleggerito da un font senza grazie, contornato da un rettangolo giallo (stesso colore del logo


6_Progettazione del manifesto 89

dell’Università, riportato in alto a destra), mantiene comunque un’ idea di storicità e miticità. Oltre al sito internet nel manifesto viene riportato un numero verde, che probabilmente non è la miglior forma di modernità, soprattutto se rivolto ad un pubblico giovane come quello degli studenti. Quello che l’Università di Urbino vuole comunicarci è tradizione e alti valori culturali, una grande formazione radicata nel passato e parallelamente una forte connotazione di attualità, con uno sguardo al futuro.


Macerata A.A. 2011/12


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L’università di Macerata si contrappone all’ateneo di Urbino tramite un tipo di comunicazione molto diversa, concentrata su tre simboli tecnologici entrati prepotentemente nella nostra vita di tutti i giorni. La campagna è firmata al 100% dagli studenti e dall’Ufficio comunicazione dell’Ateneo. Un gruppo ha ideato immagini e slogan: “Collega la mente”, “Connetti le idee”, “Accendi il pensiero” dove il tramite sono “innovazione, forma mentis, messaggio, motivazione”, perché l’umanesimo innova tanto quanto la tecnologia. “Umanesimo che innova” è stato proprio il brief di partenza intorno al quale è stata impostata l’intera campagna pubblcitaria. Nei manifesti alcune parti dei simboli sono state rimpiazzate da parole che facilitano la leggibilità delle icone. Infatti, tali parole, completano in modo esplicito il significato del simbolo permettendo una maggiore comprensione; infine l’utilizzo di colori molto forti aumenta la forza del messaggio che ha già di per sé un’impronta molto giovane e leggera. Nella barra delle informazioni del manifesto troviamo i più popolari strumenti sociali della rete: Facebook, Twitter e YouTube.

USB (Universal Serial Bus) è uno standard di comunicazione seriale che consente di collegare diverse periferiche ad un computer. Ha la caratteristica di essere la più veloce tra tutte le porte, e quindi essere il più veloce sistema di trasmissione dati tra periferiche; inoltre è capace di collegare tra loro più periferiche e portarle in ingresso alla stessa porta. Il simbolo sulla spina usb dovrebbe rappresentare proprio le due caratteristiche di questa porta: velocità e multifunzione. ll Qr code (abbreviazione inglese di “quick response code”) è un moderno codice a barre che, tramite appositi software scaricabili gratuitamente, viene letto se inquadrato con l’obbiettivo di cellulari o smartphone collegati ad internet. Una volta lanciato il software e catturata l’immagine con il telefono collegato a internet, si potrà accedere direttamente al sito web. Tramite Qr code si può inoltre accedere, sempre direttamente, ai principali social network.


La campagna è stata creata seguendo lo slogan “umanesimo che innova”. Tuttavia, tale slogan è stato successivamente modificato dal movimento studentesco in “UniMC, l’umanesimo che ti rovina”. Ai «collega la mente», «accendi il pensiero» e «connetti le idee» il movimento risponde con «non hai i soldi? attaccati», «aumenta le tasse», «spegni il futuro». Per l’anno accademico 2011/2012 è previsto, infatti, un aumento delle tasse che varia dai 30 ai 300 euro, e incide specialmente sulle fasce di reddito medio-basse. Tuttavia, a tutto ciò non corrisponde un miglioramento dei servizi offerti, bensì una diminuzione:ad esempio dall’offerta didattica che subirà diversi tagli.


6_Progettazione del manifesto

Case History: Università di Macerata Come comunicare

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2004/05

2005/06

IDENTIFICARE IL PUBBLICO_ Una buona comunicazione parte, prima della scelta grafica, con la definizione del target. Il pubblico può essere l’utente corrente o quello potenziale; quello che fa la decisione di acquisto o quello che ne è solo influenzato. Il target di riferimento condizionerà in maniera incisiva la decisione del comunicatore su cosa, come, quando, dove e a chi comunicare. Nel caso delle università il pubblico che interessa colpire è quello potenziale, solitamente giovane. DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI_ Ciò che induce una università a pubblicizzare i propri servizi è la possibilità di aumentare le vendite e i profitti, se non già nel breve termine, almeno nel lungo termine. In linea generale, gli obiettivi di vendita vengono formulati sulla base di come la pubblicità induce una risposta da parte del cliente. Tre sono gli stadi principali nel passaggio da un livello di risposta scarso a elevato: - Risposta di livello più basso, stadio cognitivo, che consiste nel pensare al servizio offerto senza associare nessuna connotazione o sensazione. In questa fase i clienti -nel nostro caso gli studenti potenziali- acquisiscono una consapevolezza del prodotto e sviluppano una conoscenza dei suoi attributi e benefici; - Il livello successivo viene definito stadio affettivo.

A questo stadio il cliente ha superato la semplice conoscenza del servizio e ha iniziato a sviluppare delle preferenze e probabilmente degli interessi relativi al prodotto -tali emozioni possono essere sia positive che negative-. - L’ultimo livello è lo stadio comportamentale. Nello specifico, per comportamento si intende l’iscrizione all’anno accademico o anche altre iniziative quali la visita presso l’ateneo per assistere a una dimostrazione o richiedere ulteriori informazioni sul piano di studi. Grazie a questi modelli gerarchici è possibile identificare gli obiettivi della pubblicità: - Quando si ha a che fare con una nuova categoria di servizio, l’obiettivo principale consiste nel presentare ai clienti le caratteristiche del servizio; - Nello stadio di crescita del ciclo di vita del servizio si presenta un aumento della concorrenza, e di conseguenza nasce il bisogno di porre l’accento sulle differenze del proprio servizio rispetto all’offerta della concorrenza; - Infine, nella fase di maturità, la concor-


2007/08

2008/09

renza è intensa e i prodotti presentano caratteristiche affini. In questa fase l’immagine -obiettivo affettivoavrà un’importanza notevole. STRATEGIA DEL MESSAGGIO_ Una volta definito il target, si deve costruire un messaggio efficace. Idealmente il messaggio deve raggiungere quattro obiettivi: - catturare l’attenzione; - produrre interesse; - creare desiderio; - conseguire un comportamento: conoscenza, consapevolezza, acquisto, riacquisto… Una volta decisi i mezzi di comunicazione più indicati per raggiungere gli obiettivi generali e come comunicare in modo convincente il valore offerto dal bene ai mercati, sarà l’agenzia pubblicitaria a eseguire ciò che i media vedranno. In alcuni casi la pubblicità si concentra sugli attributi del prodotto, altre invece quasi esclusivamente sui simboli e sull’immagine. RICHIAMO INFORMATICO DELLA PUBBLICITÀ_ Il contenuto informativo punta sugli aspetti funzionali o pratici del prodotto o servizio. L’intento è convincere il pubblico che l’università in questione soddisfa un determinato bisogno meglio della concorrenza.

RICHIAMO EMOZIONALE E MORALE DELLA PUBBLICITÀ_ Così come si può evincere dalla stessa parola, i richiami emozionali mirano a stimolare l’aspetto psicologico -amore, gioia, umore, paura- e quelli morali a incoraggiare quelli che riguardano gli aspetti del giusto e dell’etico -ambientalismo, associazioni no profit- nascosti nelle decisioni d’acquisto del consumatore. Ad esempio molte pubblicità per raggiungere i propri obiettivi ricorrono all’umorismo, alla paura, alla sensualità. Queste emozioni aiutano a far ricordare una pubblicità, e con tutta probabilità anche l’ente che la crea. Nel caso delle pubblicità per l’università di Macerata, nnel manifesto non è essenziale creare un richiamo informatico, ma piuttosto puntare su quello emozionale.


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2009/10

2010/11

LA SCELTA DEL MEZZO PUBBLICITARIO_ La scelta del mezzo prevede tre aspetti fondamentali: - Selezione del mezzo più adatto alla campagna pubblicitaria; - Selezione dei veicoli d’informazione specifici all’interno di ciascun mezzo; - Programmazione della campagna pubblicitaria. Inoltre è utile valutare la scelta di una pubblicità personale o impersonale. Per pubblicità personale si intende quella tra due o più persone che comunicano tra loro direttamente tramite telefono, posta, mail o una qualsiasi chat informatica. La comunicazione diretta è utile perché permette di vedere subito la reazione del pubblico. La comunicazione tramite canali impersonali crea un’atmosfera tale da spingere l’acquirente verso l’acquisto di un prodotto. Ad esempio i manifesti sono un mezzo efficace per la pubblicità basata sull’immagine, per conservare l’idea del prodotto sempre nella mente del cliente. Tuttavia questi possono essere visti solo di sfuggita e non si presentano ovviamente a dei messaggi dettagliati. L’ORIGINE DEL MESSAGGIO_ In ogni manifesto, l’impatto sul target è anche influenzato dalla percezione del pubblico rispetto a chi comunica il messaggio. Se il messaggio è emesso da una fonte molto credibile, è più persuasivo.

È per questo che molte azienda di cibo sono promosse da professionisti che raccomandano i loro prodotti ai pazienti. Comunque le compagnie devono prestare particolare attenzione nella scelta delle celebrità che andranno a presentare le loro marche, in quanto scegliendo la persona sbagliata, possono risultare imbarazzanti e rovinano l’immagine della marca. Nel caso dell’università di Macerata sono proprio gli studenti a comunicare il messaggio: chi, meglio di un universitario saprebbe consigliare ad uno studente potenziale come funziona l’ateneo?


Struttura del format

A

B

C

Il format è il vero valore aggiunto di questa campagna; è stato ciò che ha permesso all’UniMc di costruire una forte identità e di conseguenza la capacità di “muoversi” nel tempo e nelle mille declinazioni tematiche senza perdere riconoscibilità. Avere una struttura fissa (format) di riferimento per la costruzione di ogni prodotto della comunicazione, permette di non tradire o perdere quelli che sono i segni e i tratti distintivi del soggetto, rafforzandone l’immaginario. Difficilmente si riscontra nella comunicazione di altre realtà universitarie se non successive all’esperienza pilota dell’agenzia “Iceberg” di Macerata. ELEMENTI DEL FORMAT_ L’identita dell’UniMc si avvale: A - cartiglio (contiene il logotipo, vera e propria intestazione); B - visual (dell’uso dell’immagine è preferibile in bianco e nero se fotografico -per restituire della foto un contenuto più concettuale che descrittivo- ma ancora più spesso vettoriale in sostituzione alla foto-avvalora ancora di più il concetto espresso prima immagine come concetto e non come descrizione-; C - contenuti testuali.


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Tutti questi elementi vengono posizionati e regolamentati anche per dimensione. L’impaginato presenta una gabbia editoriale a cinque colonne, la prima viene adibita alla collocazione del sigillo e/o di alcune specifiche di intestazione (ente che patrocinia, piuttosto che ministero, ecc..), le restanti organizzano tutti i contenuti testuali e l’intero ingombro del visual. La palette cromatica (a meno che non si usi un’immagine fotografica in quadricromia) lavora quasi sempre in bicromia: il nero o scala di grigio e un colore tematico. Se ad esempio è una facoltà in particolare a comunicare, il colore scelto è quello a lei attribuito istituzionalmente (ad esempio arancio per economia). Infine, la font scelta è il frutiger.

Successivamente, questi manifesti hanno subito un restyling: elementi sono gli stessi, ma è diverso l’ordine d’impaginazione, questo per conferire un appeal maggiore e un impatto più pubblicitario e meno editoriale. l’enunciato testuale è minore per quantità ed importanza. A - Il sigillo viene posizionato a chiusura come firma, viaggia sempre associato al logotipo che acquista una valenza grafica maggiore (mentre prima era il cartiglio l’elemento grafico che sosteneva la dicitura); B - l’intestazione si alleggerisce e diventa traccia anzichè forma piena come il rettangolo.

B A


Lettura di alcuni manifesti campagna orientamento / manifesti / 2008

Secondo Magritte, la pittura non ha a che fare con la realtà ma con il pensiero per questo le immagini possono tradire le nostre aspettative percettive. Ci troviamo di fronte a tre segni. Il primo è iconico, quello dell’immagine posta su un luogo bidimensionale che vede la presenza del secondo codice, quello linguistico; Il terzo, invece, è quello dell’intenzione di Magritte di presentare insieme la parola e l’immagine,

che sono in contrapposizione tra loro. Rappresentare insieme la parola e l’immagine, che non sono la pipa vera e propria -ma la contengono in sé in quanto rappresentazione linguistica e illustrata dell’oggetto in rapporto arbitrario- ci rimanda alla pipa stessa.

In questa campagna pubblicitaria gli elementi grafici usati sono simboli noti e di interpretazione univoca che vengono tuttavia messi in discussione. Il messaggio indotto è proprio quello di ‘pensare diversamente’ nonostante i simboli semplici e con un unico significato. Il grigio di sfondo esalta i colori forti dei simboli, i quali si collocano prepotentemente per tre quarti del manifesto. Essendo un visual iconico che da solo non si spiega, la frase sotto riportata –dello stesso colore- ha proprio la funzione di tradurre ciò che il simbolo non è in grado di fare da solo. Il punto è semplicemente un punto ma, portato a delle dimensioni così notevoli, ha lo scopo di porsi in conflitto con la sua immagine tradizionale. Il manifesto ha un richiamo storico: si riferisce all’opera di Magritte “L’uso della parola” (1928).


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Per questa campagna pubblicitaria si è ricorso all’utilizzo dell’illustrazione di Mauro Cicarè, come alternativa alla fotografia, proprio per ricercare quelle possibilità espressive e stilistiche altrimenti negate dal mezzo fotografico. L’illustrazione non deve rappresentare ma piuttosto interpretare il contenuto dell’immagine. Tale interpretazione avviene attraverso soluzioni tecnico-stilistiche che non si limitano al disegno realistico ma contribuiscono con la loro varietà espressiva, a volte ironica, grottesca o surreale, a veicolare il messaggio della comunicazione. Il motto questa volta è ‘UniMc: una scelta a pieni voti’. Sono di nuovo gli studenti i soggetti dei manifesti, anche se sottoforma di illustrazione. La serenità del primo volto va leggermente diminuendo fino ad arrivare alla riflessività dell’ultimo. I colori sono sempre forti e decisi. L’immagine non si impone prepotentemente ma va di pari passo con il testo informativo. La modernità di questi manifesti è data proprio dall’utilizzo dell’illustrazione, che porta lo spettatore in uno stato di astrazione.


Conclusioni

Proprio come il leone libero nella savana, appena alzati al mattino pensiamo a come riempirci lo stomaco. Crediamo davvero che quello che stiamo facendo è mangiare il nostro pane e Nutella con caffè ma in realtà stiamo cominciando a divorare immagini. wUna componente che in questi ultimi anni, specie nel mondo occidentale, è andata ad intrecciarsi strettamente a fattori connessi a questa necessità primaria, è quella del prodotto pubblicizzato, reclamizzato, dell’imma gine commerciale rifilata attraverso una moltitudine di canali, quelli dei media, che vanno dalla tv, alla carta patinata, alla radio, fino ad arrivare ad internet e a ricaduta su strumenti quali smartphone o tablet, diventati vere e proprie “estensioni elettroniche” del nostro corpo. Fino a trasformarci in veri e propri “divoratori” di immagini senza averne, a volte, neppure la reale consapevolezza dei vantaggi o degli svantaggi di cui siamo vittime, più o meno inconsapevoli. Purtroppo non ne siamo nemmeno consapevoli, ma quello che facciamo tutto il giorno mentre gui-

diamo, navighiamo su internet, siamo al bagno e sfogliamo il giornale, guardiamo la TV la sera, aspettiamo il pullman o camminiamo per strada è mangiare; proprio come il cavallo libero nel prato mangia l’erba, o il leone insegue all’alba la gazzella –che ormai avrà catturatonoi siamo diventati divoratori di immagini. Siamo veri e propri “divoratori” di immagini senza averne, a volte, neppure la reale consapevolezza dei vantaggi o degli svantaggi di cui siamo vittime, più o meno inconsapevoli. Non sempre ci accorgiamo di essere dentro una sorta di meccanismo incantatorio che mira con decisione e freddezza all’obiettivo di omologarci, di livellare le nostre menti, i nostri comportamenti ed abitudini. Oggi i vorticosi ritmi di vita ci rendono talmente occupati da non riuscire più a trovare il tempo per pensare a certe dinamiche che ci rapiscono in maniera sottile e silenziosa, a volte anche subdola. Puntualmente, con regolari intervalli ciclici, legati alle mode o alle tendenze in atto, si decidono, ad esempio, i canoni esteti-

ci che decretano la bellezza femminile o maschile a cui si uniforma, via via il gusto di uomini e donne. Un principio diffuso che regna nell’attuale società, vuole che la donna che vediamo in tv, nei manifesti enormi che campeggiano sulle facciate dei palazzi delle grandi città, nei giornali di moda, risulti più attraente e seducente che mai se svestita. L’uomo dal canto suo, per rispettare i dettami impostigli dall’imperativo modaiolo del momento dovrebbe passare giornate intere in palestra ad aumentare il tono muscolare, frequentare centri estetici per affilare il sopracciglio e acquisire il tanto amato colore ambrato della pelle, da poter sfoggiare nelle occasioni mondane. Non è colpa nostra se la società ci richiede questi standard; se passeggiando per il centro di una metropoli ci si imbatte in gigantografie di seni, sederi, fisici scultorei e vestiti costosi, se guardando la tv siamo costantemente ed implicitamente martellati da certi messaggi da non riuscire più nemmeno ad analizzarli con il necessario approccio critico.


Conclusioni 101

Trascinati come da una corrente impetuosa, non abbiamo tempo di chiederci se veramente avere un seno aumentato chirurgicamente o pesare cinquanta chili sia veramente uno scopo importante nella vita! Oramai siamo talmente abituati a questa bulimia di cibo visivo da non riuscire più a capire che stiamo solo cercando di riempire un vuoto lasciatoci da una “madre” che non sa curarci intellettualmente ma che ci lascia “mangiare” solo ciò che lei sceglie per noi. Abbiamo paura di andare controcorrente, di essere autonomi e decisi nelle scelte, per finire ad abbandonarsi alle decisioni di chi si deve arricchire a discapito altrui. Nell’attuale società dei consumi, così ben organizzata, stereotipata e coesa, i media, la comunicazione e la tecnologia fagocitano gli utenti che invece dovrebbero servire. Sarebbe ora che ci svegliassimo da questo torpore, da questo film così finto in cui ci troviamo a recitare ogni giorno, senza mai esserne i protagonisti. Come scrive Oliviero Toscani “La creatività è sempre sovversiva”1 ed

è proprio al creativo, all’artista, al grafico che spetta il compito di poter liberare tutti noi dalle nostre paure: mettere in discussione le idee, infrangere le regole, distruggere i preconcetti e il conformismo che ci governano e condizionano. Saremmo capaci di scambiarci idee, valori e quindi di non ingurgitare tutto ciò che ci viene proposto, ma di scegliere. Scegliere se essere attivi o passivi all’interno del nostro mondo e se vivere di paure o d’amore.

1- Tratto da “Un brand umano” di Oliviero Toscani (introduzione del volume SocialDesignZine vol.1, 2005)



Sitografia

Bibliografia e sitografia

Bibliografia

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