Sistema Casa e Territorio: un dialogo attraverso il progetto.
Politecnico di Torino Dottorato in Sistemi di Produzione e Design Industriale XXVI Ciclo / a.a.2011-2013 Tutor: Prof. Arch. Luigi Bistagnino
Candidato: Ludovico Allasio
Sistema Casa e Territorio: un dialogo attraverso il progetto.
Politecnico di Torino Dottorato in Sistemi di Produzione e Design Industriale XXVI Ciclo | a.a.2011-2013 Tutor: Prof. Arch. Luigi Bistagnino Candidato: Ludovico Allasio
Sistema Casa e Territorio: un dialogo attraverso il progetto.
0. Introduzione
Indice generale Sezione 0
0.1
Il progetto tesi
Sezione 1
1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 1.9 1.10 1.11 1.12 1.13 1.14 1.15 1.16 1.18 1.17 1.19 1.20 1.21
4
Introduzione
12
Il territorio
L’insediamento Il Territorio Fattori che caratterizzano la forma della comunità contemporanea rispetto a territorio ed identità La deterritorializzazione Deterritorializzazione strutturale La telematica e lo spazio del territorio Il degrado dell’identità del territorio Il futuro del rapporto tra insediamento e territorio La relazione tra le nuove povertà e il territorio Il degrado dell’identità del territorio Come trattare il territorio L’Approccio Funzionalista o dell’ecocompatibilità della crescita economica L’Approccio Ambientalista o biocentrico L’ Approccio Territorialista L’identità del territorio La comunità locale e il soggetto La visione locale del territorio Le valenze della sostenibilità Valore di esistenza e valor d’uso Progetto locale e localismo L’idea dell’auto
16 17 20 22 24 26 28 29 31 33 34 36 38 43 50 51 52 58 60 61 62
0. Introduzione
1.22 1.23 1.24 1.25
I protagonisti del cambiamento La comunità La coscienza di luogo Le premesse per un approccio sistemico
Sezione 2
2. 1 2. 2 2. 3 2. 4 2. 5 2.6
3. 1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 3.9 3.10 3.11 3.12 3.13 3.14 3.15 3.16 3.17 3.18 3.19 3.20 3.21 3.22 3.23
Il modello di consumo
Crescita e consumo: un nuovo modello di consumo per un’ economia della sostenibilità Raggiungere la prosperità senza crescere Indici di benessere Il comportamento d’acquisto del consumatore Il riconoscimento dei bisogni va oltre la società dei consumi Il problema della produzione
Sezione 3
64 65 66 67
86 88 91 96 100 102
L’Open Culture
Open Design La condivisione contestualizzabile Quel progetto non può rimanere esclusivo Condivisione, partecipazione, pluralità Verso il campo del design L’open design, radici, risultati e ricadute Sfera amatoriale VS. sfera professionale Il contributo di Internet Una produzione leggera Il progettista dirige un’orchestra di contributi Ripensando il design, confronti e problematiche Openness Le dimensioni dell’Open Desing L’unicità della condivisione e la sua dimensione etica Il contesto dell’Open Design I livelli dell’Open Design La struttura generativa per la progettazione Open Design e modello di business Autori e proprietari Le licenze Creative Commons L’ho fatto con le mie mani Il gap tra hardware e software Il Fabbing
110 112 112 114 115 116 117 119 119 120 122 124 124 126 128 130 132 133 135 137 138 140 142
5
0. Introduzione
3.24 3.25 3.26 3.27
Come librerie Progettista e soggetto: coinvolgimento paritario Il controllo del mercato Ambito progettuale: confronto tra modello tradizionale e co-creazione
Sezione 4
4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7
5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7 5.8
6
156 159 168 168 174 184 188
Dispositivo per il trattamento dei rifiuti
Il percorso progettuale ha inizio Smontaggio e studio dei componenti Le relazioni del dispositivo con altri ambiti domestici I concept La definizione del processo Le scelte tecnologiche La definizione del concept La conclusione del percorso progettuale
Sezione 6
6.1 6.2 6.3 6.4
Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Funzione e territorio CriticitĂ attuali Il Sistema Casa Analisi preliminare La contestualizzazione nel Sistema Territorio Il Dialogo Il progetto
Sezione 5
144 146 148 149
198 201 213 213 217 217 220 225
Dispositivo per il monitoraggio della conservazione alternativa del cibo
La conservazione alternativa del cibo Il concept Il prototipo Test prototipo. Kefir
236 242 245 247
0. Introduzione
Sezione 7
7.1
Rubrica dei casi studio
Sezione 8
8.1 8.2 8.3
Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
258
Epilogo
Conclusioni Riferimenti Ringraziamenti
316 317 325
7
Il progetto Tesi
0. Introduzione
0
Introduzione In questa sezione introduttiva vengono esplicitate per il lettore alcune considerazioni preliminari ritenute importanti per intraprendere il percorso di lettura. La tesi di ricerca è stata affrontata con un atteggiamento molto influenzato dall’ottica del progettista, essendo lo scopo di questo lavoro quello di offrire nuovi spunti apprezzabili proprio dal punto di vista di una nuova metodologia progettuale che tenga in conto delle sue ricadute. Da qui il “Progetto Tesi”.
Dialogo; Sistema Casa, Sistema Territorio, Approccio Sistemico, Progettazione per Componenti, Contaminazione, Metodologia, Percorso Progettuale.
10
0. Introduzione
INDICE DELLA SEZIONE
12
0.1
Il progetto Tesi
11
0. Introduzione
0.1 Il progetto tesi
L
a tesi si sviluppa su un percorso di ricerca i cui passaggi possono essere considerati consequenziali. Questo percorso comincia con tre sezioni in cui vengono elaborati concetti direttamente derivanti dallo stato dell’arte attuale e trattati rispettivamente nelle aree di interesse: 1_ il Territorio. 2_ il Modello di Consumo. 3_ l’ Open Culture. Nella prima vengono presi in considerazione i modi con cui è possibile relazionarsi al territorio, come sia possibile agevolare un suo processo di ricostruzione o distruzione e come comprendere le ricadute di queste azioni a livello di sostenibilità ambientale. Nella seconda sezione viene indagato l’attuale modello di consumo, riconoscibile nei paesi considerati “a nord del mondo”, attraverso la vasta letteratura esistente sull’argomento oppure ricorrendo all’ analisi critica di aspetti comportamentali concreti e delle loro ricadute. Nella terza parte si cerca di capire come funziona e come opera la corrente dell’ Open Culture: vengono presi in considerazione gli aspetti distintivi di questo modo di pensare, si ricercano quali sono le linee guida per produrre innovazione attraverso la libera condivisione e quali pratiche tipiche dell’Open Design possono considerarsi utili per agevolare un cambiamento nell’attuale modello produttivo. Queste tre sezioni se da un lato possono coincidere con lo stato dell’arte attuale, dall’altro servono a prendere in considerazione una serie di informazioni ritenute utili come bagaglio culturale per affrontare il percorso di ricerca; esse fungeranno poi da base su cui costruire i ragionamenti che hanno portato alla sezione successiva, la quarta, dedicata al Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio. È stato indispensabile investigare in questi campi per poter concepire la quarta sezione della tesi, relativa all’identificazione di un percorso progettuale
12
considerabile efficace per intervenire in questo Dialogo. Gli strumenti utilizzati per definire i passaggi di questa quarta sezione derivano principalmente da due metodologie progettuali: l’Approccio Sistemico e la Progettazione per Componenti. A proposito delle metodologie è importante sottolineare che fin dalla fase embrionale della tesi, in cui è stato possibile progettare il suo futuro sviluppo, è emerso l’interessante aspetto per il quale le due metodologie tendono a contaminarsi reciprocamente avvicinandosi a risultati congiunti. Questa influenza spontanea è stata agevolata volutamente. Una volta resi forti i principi su cui è stato definito il percorso progettuale per intervenire sul Dialogo è stato fatto un passo indietro, prendendo in analisi una serie di casi studio. Cronologicamente contestualizzabili nell’ultima decade, questi casi studio sono stati analizzati con il fine di far emergere analogie e criticità rispetto ai principi appena citati. Inoltre hanno confermato la tendenza attuale della progettazione a comprendere la necessità e l’importanza di evolvere le nostre pratiche comportamentali verso orizzonti che ci consentano di risolvere la crisi di sistema che stiamo vivendo, articolata in ambito ecologico, sociale e finanziario. L’aspetto comune preso in considerazione nella scelta dei casi studio è l’influenza sul comportamento del Soggetto e la sua consapevolezza coltivata attraverso l’uso di un prodotto che presenti aspetti didattici e agevoli comportamenti tendenzialmente virtuosi. La conclusione della ricerca si concretizza invece in due progetti distinti per raggiungere così un risultato apprezzabile prima di tutto dal punto di vista pragmatico: _ il dispositivo per il trattamento dei rifiuti domestici _ il dispositivo per la conservazione alternativa dei cibi tramite azione batterica, focalizzato sul processo della fermentazione. Sebbene i due progetti possano far riferimento ad ambiti distinti dello stesso Sistema Casa sono frutto di
0. Introduzione
del Politecnico di Torino, prende forma basandosi esclusivamente sugli aspetti evinti da questa ricerca perché attualmente non esiste nulla di simile. Il percorso progettuale ha conferito più importanza al rapporto col territorio e con le sue tradizioni sfruttando sia l’Approccio Sistemico che la Progettazione per Componenti. In questo caso il prototipo è stato reso funzionante grazie alla programmazione della scheda di controllo Arduino, quindi aderendo ad un confronto con le pratiche provenienti dall’ambito dell’Open Culture.
rit r e lT
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re
Il Modello di Consumo
IL DIALOGO TRA SISTEMA CASA E SISTEMA TERRITORIO
Sez 4
L’Op e n C
u l tu
Se z 3
Sez 2
I
1 z Se orio
DISP TRA OSITIV O RIFIU TTAME NTO TI
percorsi progettuali sostanzialmente differenti: il primo, nato da una collaborazione con l’azienda Indesit Company, parte dallo studio di dispositivi analoghi attualmente esistenti, procede con l’analisi dei loro componenti e si concretizza con una Progettazione per Componenti finalizzata soprattutto a rendere il prodotto finale “contestualizzabile” in territori differenti a seconda dei metodi e delle tecnologie utilizzabili per la sua produzione. Il secondo, concepito grazie ad uno sforzo condiviso all’interno del Dipartimento di Architettura e Design
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Il territorio
1. Il Territorio
1
Il territorio La prima sezione dedicata al territorio cerca di mettere in luce svariati aspetti considerati prioritari per teorizzare il rapporto con il proprio Sistema Territoriale di riferimento. Queste considerazioni, ritenute fondamentali nell’approccio al progetto che si delinea in questo percorso, vengono elaborate sulla base di vari atteggiamenti provenienti dall’attuale stato dell’arte riguardante la gestione del patrimonio territoriale.
Modello di sviluppo. Sfruttamento del territorio. Polarizzazione sociale. Territorio come supporto tecnico-funzionale. Benessere effimero. Obsolescenza dello sviluppo. Sviluppo non sostenibile. Coevoluzione di lunga durata. Stratificazione dei cicli di civilizzazione. Territorio come organismo vivente ad alta complessità. Risorse. Saper fare. Cultura materiale. Cicli slegati dal territorio. Frammenti di sviluppo. Luogo. Spazio. Omologazione. Ipertrofia. Vincoli spaziali. Gerarchie territoriali. Riproducibilità delle risorse. Deterritorializzazione. City user. Perifericità. Topofagia. Marginalizzazione. Mercificazione del territorio. Reti globali. Identità locali. Gerarchizzazione. Povertà estetica. Carattere autopoietico. Decontestualizzazione. Urbanizzazione selvaggia. Artificializzazione. Omologazione. Marginalizzazione. Crescita illimitata. Equilibrio ecosistemico. Politica correttiva. Approccio funzionalista. Approccio ambientalista. Approccio territorialista. Carryng capacity. Modello insediativo. Leggi autoregolative. Interazione. Capitale naturale. Relazioni virtuose. Ambiente naturale. Ambiente antropico. Ambiente costruito. Milieu. Degrado ambientale. Equilibrio dinamico durevole. Relazioni sinergiche. Simbiosi. Dialogo. Formazione del territorio. Soggetto consapevole. Capacità autorganizzativa. Bioregione. Collaborazione. Risanamento ambientale. Qualità funzionale. Progetto integrato. Relazioni non gerarchiche. Glocale. Valorizzazione delle peculiarità. Autosestenibilità. Relazioni. Complessità. Localismo. Decentralizzazione. Carattere dinamico. Strutture territoriali. Aspetti strutturali. Valori patrimoniali. Sviluppo locale.
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1. Il Territorio
INDICE DELLA SEZIONE
16 17 20 22 24 26 28 29 31 33 34 36 38 43 50 51 52 58 60 61 62 64 65 66 67
1.1 L’insediamento 1.2 Il Territorio 1.3 Fattori che caratterizzano la forma della comunità contemporanea rispetto a territorio ed identità 1.4 La deterritorializzazione 1.5 Deterritorializzazione strutturale 1.6 La telematica e lo spazio del territorio 1.7 Il degrado dell’identità del territorio 1.8 Il futuro del rapporto tra insediamento e territorio 1.9 La relazione tra le nuove povertà e il territorio 1.10 Il degrado dell’identità del territorio 1.11 Come trattare il territorio 1.12 L’Approccio Funzionalista o dell’ecocompatibilità della crescita economica 1.13 L’Approccio Ambientalista o biocentrico 1.14 L’ Approccio Territorialista 1.15 L’identità del territorio 1.16 La comunità locale e il soggetto 1.17 Le valenze della sostenibilità 1.18 La visione locale del territorio 1.19 Valore di esistenza e valor d’uso 1.20 Progetto locale e localismo 1.21 L’idea dell’auto 1.22 I protagonisti del cambiamento 1.23 La comunità 1.24 La coscienza di luogo 1.25 Le premesse per un approccio sistemico
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1. Il Territorio
1.1 L’insediamento.
L 1. Latouche, 1992
2. Magnaghi, 1989
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e teorie tradizionali dello sviluppo interpretano la metropoli occidentale contemporanea come il compimento evolutivo dell’insediamento umano e specchio sociale del nostro modello di
footprints delle grandi aree metropolitane sono solo alcuni macro esempi che si stanno rivelando come chiare concause della crisi di sistema su scala locale come planetaria.
sviluppo. L’evoluzione dell’insediamento procede in un percorso lineare partendo dalle prime civiltà nomadi per approdare all’insediamento tribale e proseguire con il villaggio, la polis, la città romana, medievale, rinascimentale, barocca, moderna e giunge fino ad un’espansione di scala ben più dirompente nel contesto della globalizzazione intesa come “occidentalizzazione del mondo”1. In questo percorso il ruolo di cui è investito il territorio ospitante perde di importanza e diviene sempre più marginale col passare dei secoli fino ad essere completamente sopravvalicato nella versione attuale, frutto dell’accelerazione senza eguali degli ultimi decenni.
Analizzare in modo critico le caratteristiche che identificano la forma dell’insediamento urbano, che da sempre rispecchia in modo tangibile il nostro modello di sviluppo, rappresenta un passaggio necessario per affrontare l’obbiettivo principale: come avanzare nuove ipotesi che regolino dal punto di vista progettuale e produttivo il nostro modello affinché comunità e territorio contribuiscano all’avvio di un nuovo sviluppo sostenibile per l’ambiente, eticamente fruibile e in grado di auto-sostenersi nel tempo evitando crisi sistematiche. La necessità di intraprendere una nuova strada è paventata fin dal secondo dopo guerra, ma oggi si manifesta in forma così diretta e problematica proprio con la crisi globale a partire dal 2008. Questa crisi non pone le sue radici semplicemente in campo finanziario o ambientale, sebbene queste due siano influenze molto determinanti, ma piuttosto è identificabile come sintomo evidente di un meccanismo che si è logorato a livelli più alti: risulta una crisi di sistema che mette in discussione il nostro modello comportamentale (sviluppo, produzione, consumo... ecc) nella sua complessità.
Molti approcci critici a queste teorie tradizionali interpretano la forma metropoli contemporanea come mera espressione materiale dell’animo imperialistico occidentale, della società capitalistico-industriale e della sua evoluzione. Questo percorso infatti non viene visto come il più conveniente ma piuttosto come uno tra i più irresponsabili. Molti aspetti ne denotano la fragilità e la caducità in quanto ultima tappa di un percorso di sviluppo che si sta rivelando da tempo inesportabile, insostenibile e dal punto di vista ambientale addirittura catastrofico. La voracità energetica, la concentrazione di pratiche inquinanti con i relativi materiali, il consumo irresponsabile di risorse non rinnovabili, l’occupazione non ponderata del territorio e il suo sfruttamento illimitato, la polarizzazione sociale nelle metropoli del Nord del mondo con la conseguente riproduzione allargata di povertà nel Sud, le enormi ecological
Un modello globale interamente generato dalle leggi della crescita economica; a carattere f o r t e m e n t e dissipativo ed entropico; senza confini né limiti alla crescita; squilibrante e fortemente gerarchizzante; omologante e deturpante il territorio che occupa; ecocatastrofica; svalorizzante le peculiarità individuali dei luoghi; priva di qualità etica; riduttiva nei modelli di sviluppo. 2
1. Il Territorio
1.2 Il Territorio.
La perdita d’importanza che ha investito il rapporto tra il territorio e il modello comportamentale della società odierna, ha accompagnato il delinearsi di questa situazione ben prima che si manifestassero i primi sintomi. Il territorio da cui ci si è progressivamente liberati (grazie soprattutto allo sviluppo tecnologico che ha migliorato così tanto il nostro benessere) è stato rappresentato, utilizzato e sfruttato come mero supporto tecnico di attività e funzioni economiche, che spesso non hanno alcuna relazione con esso ma dipendono da dinamiche in scala ben più ampia che arrivano fino a quella planetaria con la globalizzazione. Un territorio viene scelto rispetto a dinamiche commerciali, economiche e finanziarie mentre le attività su di esso vengono innestate in base a scelte prettamente tecniche o socioeconomiche, sempre più indipendenti dalle peculiarità ambientali, culturali ed identitarie del luogo quindi non intrapprendendo alcun tipo di relazione adeguata con esso se non l’apparenza di un benessere ora considerabile effimero. Questa liberazione dal territorio, avvenuta nella presunzione della costruzione di una “seconda natura artificiale”, ha prodotto una crescita della ricchezza e del benessere di natura effimera, accumulando nel tempo in modo esponenziale il degrado ambientale e sociale che ha prodotto l’insostenibilità dello sviluppo e l’obsolescenza del concetto di sviluppo stesso. 3 Secondo una visione più responsabile il territorio è identificato come: Prodotto storico dei processi di coevoluzione di lunga durata fra insediamento umano e ambiente, natura e cultura e, quindi, come esito della trasformazione dell’ambiente ad opera di successivi e stratificati cicli di civilizzazione. 4 In relazione a questa definizione il territorio (che non esiste in natura: infatti non va confuso con il significato di terra o di spazio) è trattato come: Un organismo vivente ad alta complessità, un neoecosistema in continua trasformazione, prodotto dall’incontro tra eventi culturali e natura, composto da luoghi dotati di identità, storia, carattere, struttura di lungo periodo, che formano i tipi e le individualità territoriali e anche urbane. 5
Andando più nel dettaglio, ciò che caratterizza un Contesto Territoriale e che ne determina dimensione, attività e vitalità, coincide con la lenta stratificazione storica di varie Reti, sinteticamente riducibili a tre insiemi: -Rete delle “Risorse”: su un territorio, per sua natura, sono presenti da sempre delle risorse naturali. Questa rete rappresenta il primo livello della stratificazione; le risorse più o meno numerose, più o meno fruibili, sono presenti su un territorio dal primo momento che lo consideriamo tale e rappresentano tutto ciò di cui l’individuo ha bisogno da poter sfruttare a favore del proprio benessere. Qui si racchiude quanto disponibile per l’uomo indipendentemente e precedentemente dalla sua presenza o attività. -Rete del “Saper fare”: con il passare del tempo, la comunità insediata su quel determinato territorio ha sviluppato un particolare know-how migliorando le proprie capacità di relazionarsi con ciò che le sta attorno e di sfruttare le risorse messe a disposizione. Questa Rete racchiude le attitudini dell’uomo a relazionarsi con la Rete precedente per rendere possibile la sua esistenza e sopravvivenza. -Rete della “Cultura materiale”: dal punto di vista storico questi tipi di attività e le relative capacità hanno fatto nascere un’identità del luogo identificabile come il sedimentarsi nel tempo del Saper fare. La comunità ha prodotto ricchezza, processi, metodi e strumenti che ne hanno influenzato e determinato il carattere e le peculiarità. Questa Rete racchiude tutto ciò che l’uomo ha creato di tangibile e intangibile nella storia mettendo in pratica il suo Saper fare per poter utilizzare le Risorse a sua disposizione e vivere su un determinato Territorio. Sovrapponendo queste tre Reti si ottiene una “Caratterizzazione territoriale” che sarà ben definita nelle sue dimensioni ma non avrà confini nel relazionarsi con le Caratterizzazioni territoriali limitrofe. Queste avranno caratteristiche distinte perchè saranno il risultato della sovrapposizione di altre Reti, nate da altre relazioni con il territorio su cui si trovano. Proprio come una lingua dialettale (considerabile strumento di comunicazione appartenente alla Rete della Cultura materiale) due Caratterizzazioni territoriali limitrofe
3. W. Sachs, 1992
4. Turco, 1984; Vallega, 1984 Dematteis, 1985; Raffestin, 1984
5. Magnaghi, 1990
17
Rete delle RISORSE Rete del SAPER FARE Rete dellA CULTURA MATERIALE
Caratterizzazione Territoriale 1
Stratificazione nel TEMPO
Stratificazione nel TEMPO
1. Il Territorio
Caratterizzazione Territoriale 2 Cultura
Civilizzazione Insediamento
Cultura Civilizzazione
Identità
Insediamento
MODELLO DI SVILUPPO
MODELLO DI SVILUPPO
Rapporto con l’ambiente
Rapporto con l’ambiente
Utilizzo
Cura Sostenibilità
Figura 1. La Caratterizzazione Territoriale. Stratificazione nel tempo.
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Identità
avranno aspetti che non differiscono molto, queste differenze aumenteranno all’aumentare della distanza proprio come un dialetto dell’Italia meridionale sarà molto diverso da uno settentrionale ma resterà comprensibile da un abitante di un luogo a pochi chilometri. In questo modo siamo in grado di identificare più accuratamente ciò che succede durante l’urbanizzazione contemporanea, prendendo proprio questo processo come specchio del nostro modello
Utilizzo
Cura Sostenibilità
vita. Gli insediamenti che creiamo, in particolare quelli urbani, prendono forma in maniera più o meno organizzata seguendo le funzioni e le attività svolte su di essi; a questo proposito possiamo citare Choay e la definizione di Urbanitè: “l’adeguamento reciproco di una forma di tessuto urbano e di una forma di convivialità”. L’urbanizzazione contemporanea si distingue da quella avvenuta storicamente nella città moderna
1. Il Territorio
fino al XIX secolo proprio per il processo di distacco dalle regole costitutive dell’entità di un luogo, preferendo a questo la sovrapposizione di una rete insediativa astratta, il cui valore risiede interamente nel rapporto uomo - tecnologia - produzione - funzioni economiche a discapito da ciò che si era verificato fino ad allora racchiuso nel rapporto uomo - ambiente - natura. Da molto tempo quindi non edifichiamo più città. Dopo la loro esplosione elettrica, energetica, tayloristica, telematica, informatica disarticoliamo sul territorio funzioni di carattere economico finanziario appartenenti a cicli slegati dal territorio e successivamente, per conseguenza, depositiamo di queste funzioni grandi quantità di frammenti di sviluppo collegati tra loro con reti connettive che a lungo andare tendono a seppellire gli insediamenti razionali e i tessuti territoriali. L’organizzazione metropolitana contemporanea, che raggiunge in Europa la sua maturità nella seconda metà del XX secolo, è la prima nella storia che opera questo tendenziale sganciamento dai contesti e una radicale autonomizzazione dell’organizzazione spaziale della società dai luoghi su cui insiste, trattandoli come semplice sfondo di supporto. Il luogo viene interpretato unicamente come vincolo spaziale, ostacolo da superare, risorsa da sfruttare anche nelle sue peculiarità e nei suoi differenziali (ambientali, salariali, culturali), supporto tecnico per il realizzarsi del territorio artificiale del sistema industriale e postindustriale e della sua economia.
La crescita illimitata, la dissoluzione della diversità, delle differenze, di ogni ambivalenza di senso sono immanenti alla costruzione dell’urbanizzazione contemporanea. Non esiste una metropoli che non tenda all’ipertrofia. La forma limite è Cosmopoli: un’unica forma ripetuta, pervasiva, omologante, iterata nel territorio mondiale; una distesa di oggetti di serie che ripercorre e occulta tutti i significati incompatibili con la razionalità dello sviluppo economico; una forma che nega relazioni con altro diverso da sé fino a divenire una tautologia, la monotona ripetizione di un segno che si autorappresenta all’insegna di un “pensiero unico”. 7
7. Magnaghi, 2010
Come sottolinea Edward Casey, il concetto di luogo viene nei secoli progressivamente escluso proprio per il suo eccessivo carico di significati sostantivi che vanno ben oltre il mero significato di luogo. Esclusione che avviene in favore del concetto di spazio e quindi della sua illimitata estensibilità. La sola traccia del concetto di luogo che sopravvive nell’uso corrente a partire dall’età moderna è quella di sito, inteso come luogo dove reperire e sfruttare risorse: L’unica traccia di luogo che rimane dopo essere stato incorporato nello spazio è il concetto di sito che, con la semplificazione operata da Leibniz, è divenuto il modulo spaziale dominante dell’età moderna: architettura e medicina, scuole e prigioni, per non menzionare lo stesso pensiero filosofico. Neoclassicismo e Illuminismo del XVIII secolo riflettono il dominio di sito-spazio interpretato come “globale relativo”. Il conseguente esaurimento della spazialità qualitativa, delle proprietà del luogo che vanno oltre i parametri di distanza e posizione, e quindi di semplice reazione, prepara il terreno per il trionfo della centralità della dimensione temporale nel XIX secolo. 6
6. Casey, 1997
19
1. Il Territorio
1.3 Fattori che caratterizzano la forma della comunità contemporanea rispetto a territorio ed identità. È possibile identificare con precisione alcune linee giuda che hanno accompagnato quest’evoluzione della forma dell’insediamento contemporaneo. 1. Allontanamento dai vincoli di luogo e di dimensione del territorio. Possiamo riconoscere nella morfogenesi dell’ urbanizzazione contemporanea una progressiva liberazione dai vincoli spaziali indotti dalla localizzazione delle fonti energetiche; dalle gerarchie territoriali definite nei tempi di trasporto delle merci, dell’energia, delle risorse, delle informazioni e delle persone; dai limiti dimensionali dei centri abitati stabiliti dalla riproducibilità delle risorse ambientali locali necessarie alla sussistenza (alimentazione, approvvigionamento idrico, smaltimento rifiuti..); dai fattori fisici indicati da particolari convenienze offerte dalla conformazione del territorio (pendenza, irraggiamento, esposizione..); dai limiti funzionali al governo diretto del centro abitato. Attraverso il progresso tecnico e le sue protesi tecnologiche ci si è liberati dai vincoli territoriali e si può localizzare in piena libertà, ovunque, tutto, sempre. Questa liberazione dai vincoli territoriali, che inizialmente ha consentito imponenti processi di mobilitazione e valorizzazione di risorse sia ambientali che umane, ha poi prodotto nel lungo periodo dipendenza e fragilità perchè in questo modo il nostro modello è in grado di svilupparsi crescendo libero da qualsiasi vincolo, ignorando e annullando la capacità di riprodursi del proprio ambiente. Così facendo l’insediamento e il suo modello di consumo rinnegano i limiti inerenti alla loro qualità di soggetto vivente usando le risorse territoriali come se fossero illimitate. Questo passaggio ha conseguenze ancora più gravi perchè, distruggendo le proprie risorse riproduttive, quando il nostro modello è costretto ad immettere input nel suo sistema per vivere deve cercarli altrove attuando così un’economia di “rapina” di tipo imperiale, come nei casi dell’approvvigionamento dei combustibili fossili, dello smaltimento dei rifiuti, dell’approvvigionamento idrico, energetico, dei territori su cui far estendere le proprie periferie. In questo modo l’urbanizzazione contemporanea e il suo modello di consumo producono crescente entropia, si allontanano sempre di più dagli equilibri naturali autopoietici e si alimentano con risorse assorbite da territori sempre più lontani. Questo meccanismo ha ovviamente gravi ricadute a livello morfologico per l’intero sistema globale determinando una rigida gerarchia territoriale con crescente povertà
20
e dipendenza della periferia del mondo dove vengono scaricate senza preoccupazione le funzioni meno nobili come sfruttamento di risorse o smaltimento di rifiuti. Dal punto di vista sociale invece la deterritorializzazione ha generato nel tempo una crescente ignoranza a proposito delle relazioni tra insediamento umano e ambiente circostante, relazioni che rafforzavano il loro rapporto con rispetto, stima e dipendenza. Nella storia queste relazioni hanno generato l’identità dei luoghi, unica, irripetibile e sempre riconoscibile. La distruzione della memoria di un territorio ci permette di vivere in un sito indifferente, ridotto a supporto di funzioni di una società effimera e istantanea che ha interrotto ogni relazione con la storia del luogo. A lungo termine questo significa che la liberazione dal territorio consiste nel non instaurare più un rapporto duraturo col territorio attuando una sinergia tra società insediata e ambiente, ma piuttosto prevedere una ricerca costante delle migliori possibilità di sfruttamento e rapporto temporaneo. Recidere così il rapporto con le proprie radici ha delle conseguenze negative sulla riproducibilità e l’identità della comunità. 2. L’esclusiva delle funzioni economiche sull’organizzazione dello spazio. A questo punto il territorio diventa una quantità, un numero, un dato oggettivo; come sottolinea Alberto Magnaghi nel Progetto Locale il territorio è “oggettivato” nelle sue peculiarità di produzione, circolazione, riproduzione e consumo. La produzione industriale di merci segue razionalità insediative riferite all’organizzazione e mai ai bisogni del territorio, si basa sulle esigenze del ciclo produttivo, dei mercati, delle differenze salariali, politiche e di qualificazione della forza lavoro. La conurbazione metropolitana deposita le sue funzioni (decentrate o diffuse) come meteoriti che seppelliscono a caso ciò che c’era: il territorio dei luoghi, la comunità insediata con la propria identità, la cultura, la lingua locale, gli stili di vita e i modelli socioculturali. Si determina un fenomeno di “Topofagia” in cui la città di grandi di mensioni inghiotte i luoghi. All’oblio di tutto ciò contribuisce un’immediata e vistosa ricaduta che si manifesta subito successivamente al fenomeno: l’immane mobilitazione di forza lavoro che fa dello sradicamento geografico e sociale la condizione prevalente del “Residente” non più “Abitante”. La condizione di straniero, di immigrato, di
1. Il Territorio
nomade, di city user, di massificato diventa prevalente nel modello insediativo metropolitano e predispone la scena per una graduale rottura delle relazioni tra etnia, linguaggio, identità e territorio. I cittadini diventano residenti di un’unica grande periferia e sono dislocati in modo indipendente dal luogo e dalla storia. Questa condizione di “Perifericità” diventa la condizione dominante del popolo dell’urbanizzazione contemporanea e l’infinita periferia della metropoli assottiglia fino ad annullare la qualità dell’abitare il territorio. Questo processo è inesorabile: la mancanza di identità porta all’abbassamento della volontà e dell’attività che si manifesta in povertà delle decisioni, di informazioni, di relazioni comunitarie e di qualità dei servizi. 3. La dissoluzione dello spazio pubblico. La riduzione in funzioni specifiche dello spazio urbano non prevede la tutela dei luoghi dove si può manifestare l’identità comunitaria atti alla comunicazione sociale del territorio e ciò comporta la marginalizzazione dello spazio pubblico. Lo spazio da vivere in pubblico con gli altri soggetti della comunità non esiste più, è stato sostituito da luoghi adibiti ad attività specifiche relazionate alla vita della metropoli; in questi luoghi non ci si può fermare, non vengono pervasi dall’identità di chi li vive ma si possono solo attraversare o consumare. L’abitante è dissolto e frammentato spazialmente nei siti che scandiscono la sua giornata quotidiana, quelli adibiti al lavoro, al consumo, alla cura, alla riproduzione e via dicendo. Egli non ha più luoghi da abitare nei quali integrare e socializzare queste funzioni, non ha più una relazione di scambio e identificazione con il proprio ambiente di vita che gli appare invaso da funzioni e oggetti estranei. Qui la sparizione fisica dello spazio pubblico corrisponde chiaramente alla progressiva perdita di potere sulla cosa pubblica da parte della comunità locale. Invece sul piano spaziale le ricadute sono differenti: la mobilità individuale si è accresciuta in sintonia con la progressiva sparizione dello spazio pubblico, imploso nella specializzazione degli spazi funzionali e nelle loro reti connettive materiali ed immateriali. In questo modo lo spazio aperto, inteso come spazio pubblico, non è più progettato e sentito ma è ridotto a luogo connettivo di funzioni. Questa scomparsa di senso, soprattutto per la socialità è stata risolta molto spesso con il suo trasferimento su nuove reti immateriali ricreando così attraverso l’erranza metropolitana una nuova socialità nella piazza telematica, nella comunità di rete e nel villaggio globale, in un’estetica del nomadismo e dell’attraversamento.
4. L’Applicazione delle tecnologie industriali e uso di materiali standardizzati per la costruzione della città e del territorio. Le tecnologie industriali liberano la città dalla natura (clima, geomorfologia, materiali da costruzione...). Questo svincolo è positivo solo ad una prima analisi, che comprende il miglioramento della facilità di vita, comporta invece progressivamente un allontanamento dal territorio e soprattutto la perdita della capacità di sapersi rapportare ad esso per sopravvivere, per vivere, per migliorare la qualità di vita. L’industrializzazione, l’omologazione, e la riduzione della complessità del paesaggio agrario inducono gradualmente la perdita di sapienza ambientale. In questo modo la riproduzione del luogo è affidata ai grandi sistemi tecnologici e funzionali che però non hanno intrinsecamente nessun interesse nel salvaguardare il territorio che li ospita. 5. Il territorio della crescita metropolitana come merce. La mercificazione del territorio costruito diventa una regola costitutiva dell’organizzazione territoriale. La subordinazione alle leggi della produzione , del mercato, e del capitale finanziario nel processo di edificazione del territorio contrae la cultura dell’abitare e la riduce a modesti standard riproduttivi, funzionali alla dilatazione della città dell’economia.
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1.4 La deterritorializzazione.
Seguendo queste regole insediative, la società industriale nella sua fase matura ha organizzato siti ai quali è stata attribuita una funzione. Tali siti funzionali collegati insieme non fanno però un centro abitato, ma un sistema economico-produttivo localizzato nello spazio e suddiviso per funzioni. Queste parti funzionali però, non facendo parte di un “Sistema città”, non si autoriproducono: un quartiere residenziale definito “autosufficiente” non lo è affatto, piuttosto, esso ha le sue ragioni di localizzazione altrove e rappresenta un intervento esogeno rispetto al territorio particolare con il quale non ha nessuna relazione. Secondo la definizione di Choay “l’espace de connexion” questi segmenti di funzioni metropolitane non solo seppelliscono il territorio sottostante, ma muoiono essi stessi se non sono sostenuti dalla logica e dalle protesi della macchina produttiva che li ha generati. 8. Marson, 2008
9. Cattaneo, 1972
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Questa macchina insediata su un territorio non è la città. La città è un “evento” che dura nei secoli, complesso, culturale, dotato di identità storica, che risiede in atti costitutivi non esclusivamente economici, ma piuttosto nel mito, nel progetto sociale, negli eventi simbolici, nell’identità, negli archetipi e nella costruzione dello spazio pubblico da vivere. 8 Le nostre periferie sono stampate a macchina in serie. Le differenze funzionali e morfologiche sono demandate al particolare crocevia di funzioni delle reti globali che si insediano in un singolo luogo. Cattaneo nel 1972 mette a fuoco molto bene questo concetto è sottolinea che l’urbanizzazione contemporanea si è posta in rottura progressiva e radicale con tutte le forme di insediamento precedenti: queste forme erano prodotte da lunghi processi di urbanizzazione e territorializzazione del pianeta, forme che, pur nella loro eterogeneità, sono tutte caratterizzate da un intreccio inestricabile, sinergico, sia simbolico che materiale, fra società insediata e luogo, per cui “la città forma col suo territorio un corpo inseparabile”. 9 In particolare in Italia, nel contesto della nuova divisione internazionale del lavoro del secondo dopoguerra, si è verificato un processo di “fordizzazione” accelerata. Il processo di deterritorializzazione è stato imponente proprio per le condizioni storico-geografiche che erano presenti: esodo dai sistemi urbani pedemontani e vallivi alpini, abbandono dell’osso appenninico,
marginalizzazione dell’armatura urbana storica delle piccole e medie città, esodo dal sud, costruzione delle aree metropolitane della pianura padana come esito del processo di massificazione del lavoro. Il territorio, nella sua accezione di costrutto storico viene quindi destrutturato, gli spazi aperti vengono smembrati in: 1_Spazi usati per l’urbanizzazione delle periferie industriali metropolitane: spazi aperti del territorio diventano un suolo edificabile. L’ambiente antropico viene ricondotto a modelli e culture di produzione, di consumo di massa, che annullano ed omologano le ricche e molteplici culture territoriali, i piccoli borghi, i tessuti rurali. 2_Spazi, prevalentemente di pianura, più adatti alla meccanizzazione, sono rasi al suolo per l’industria verde, cioè per un’agricoltura industrializzata. Spazi di paesaggio rurale una volta molto ricco e complesso si sono trasformati in un deserto meccanico chimico del sistema monoculturale. Alla sostituzione del paesaggio agrario con uno spazio omogeneo di supporto a produzioni intensive di tipo industriale corrisponde una riduzione di complessità genetica, di connettività ecologica, destinata ad accelerare il degrado da inquinamento e della sua insostenibilità. 3_Spazi costieri funzionali al tempo libero del consumatore massificato. L’industria delle vacanze ha uniformato tutti gli spazi costieri occludendo e impoverendo i paesaggi collinari dell’entroterra. 4_Paesaggi di collina e di montagna. Le valli si semplificano, tutto il complesso reticolo di centri di crinale, di mezzacosta si contrae sul fondo. Si compie quindi un modello di civilizzazione che svuota la montagna, rende marginale la collina, tranne dove questi territori sono in grado di produrre profitto: attraverso colture pregiate, qualità del paesaggio eccellente e attrattività turistica. In questo modo queste aree sono in grado di mantenere un proprio ruolo attivo in economia, senza diventare vittima dell’esodo. In sostanza il territorio, nella sua accezione complessa e integrata di ambiente fisico, ambiente costruito e ambiente antropico, viene semplicemente sepolto, ridotto allo spazio astratto, atemporale
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dell’economia. Il locale scompare perché scompaiono i luoghi e le identità locali come valori utilizzabili nel modello di sviluppo economico e nella modernizzazione. L’interruzione del processo storico di costruzione di luoghi avviene quando uno dei cicli di civilizzazione
(quello contemporaneo) si autonomizza da tutti quelli precedenti: il territorio è trattato come un foglio bianco, un mero supporto su cui disegnare insediamenti secondo regole astratte dalla natura, dalla qualità, dall’identità dei luoghi.
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1.5 Deterritorializzazione strutturale.
10. Raffestin, 1984
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Qui la deterritorializzazione non si configura come nel passato come una fase di transizione a una nuova territorialità (ovvero una nuova evoluzione fra l’insediamento umano e ambiente ) ma piuttosto è determinata da un sistema socio-economico per sua natura deterritorializzato, organizzato in uno spazio astratto, atemporale, sempre più artificiale, destrutturante per la costruzione storica delle ragioni, di luoghi e di loro tipi territoriali. Questa interruzione del ciclo “territorializzazionedeterritorializzazione-riterritorializzazione” si fonda soprattutto sulla fiducia tecnologica nella possibilità di liberarsi definitivamente della natura e del territorio attraverso la costruzione di un ambiente totalmente artificiale in grado di sanare, con l’innovazione tecnica, le crisi crescenti dei sistemi ambientali, territoriali e sociali.
La deterritorializzazione contemporanea è dunque la prima nella storia a essere tendenzialmente strutturale, senza via di ritorno. 10 Nel processo di costruzione appartenente al nostro modello di consumo si attua una prima separazione delle relazioni fra società insediata e ambiente, una liberazione dal territorio che riguarda le fonti di energia, i trasporti, la modalità di insediamento. Quella città di energia organizzata in base a una razionalità che induce un’organizzazione lineare è istantanea. Anche le funzioni della giornata lavorativa sono organizzate in grandi gruppi temporalmente sequenziali, il tempo è sezionato e artificializzato nello spazio lineare delle funzioni produttive. Queste funzioni non hanno più nessuna relazione con la struttura territoriale che le precedeva.
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1.6 La telematica e lo spazio del territorio.
L’era telematica della città dell’informazione prosegue il processo di deterritorializzazione, anzi lo accentua, ma lungo linee evolutive diverse. Con la diffusione delle pratiche telematiche, il modello produttivo riconosce forme di comando per la produzione completamente slegate dallo spazio, dal tempo. Il modello insediativo, inteso come occupazione da parte di funzioni economiche del territorio (inteso come spazio astratto), si prolunga ben oltre il modello di concezione tayloristica per investire il territorio indifferenziato dell’intero pianeta attraverso fabbriche virtuali e globalizzazione. A livello regionale, come su scala anche più ampia, questo processo innesca una perdita dei valori di spazio e tempo in favore di una forte “libertà di gerarchizzazione” accentrando in una maniera ancora
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più evidente il comando dei cicli produttivi diffusi e periferici nel centro della città fabbrica, ovunque essa sia. Secondo Benedikt la concentrazione di molte attività umane nel web (in particolare con la nascita dello Web 2.0) invita l’individuo ad un ulteriore allontanamento dal concetto di luogo. È oggi possibile portare a termine in rete attività di qualsiasi tipo, si può spaziare da quelle produttive a quelle di consumo, di fruizione estetica, di socializzazione, fino al sesso. Il concetto di luogo è obsoleto, non è più necessario avere cura di esso dal momento che lo spazio materiale risulta sempre più un’appendice, povera di segni e significati, rispetto alla densità crescente di informazioni attribuite allo spazio virtuale. Questa percezione plurale di spazi in simultanea rende
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possibile un progressivo trasferimento delle relazioni umane in un dominio aspaziale. La realtà fisica ordinaria diventa un fenomeno superficiale, residuale: la sfera sociale non risiede più nello spazio urbano della piazza ma da qualche parte nell’etere senza una collocazione vera e propria dove ogni gesto è spogliato delle proprie responsabilità verso ciò che ci circonda. La metropoli contemporanea perde progressivamente i connotati di rappresentazione sociale, attraverso il processo di estrazione di molti aspetti della vita relazionale dallo spazio concreto, viene a mancare la funzione simbolica e sociale della città. L’immaginario trasmigra nel computer, nella virtual commuity. L’uomo, che una volta abitava nella ex città fabbrica in uno squallido panorama periferico, oggi può stare nel suo cottage telematico e aprire la sua navigazione in un mondo di libertà, di relazioni, emozioni che fanno da contrappeso alla povertà estetica, di relazioni e di vita sociale dello spazio materiale in cui vive. Questo modello, esportato nel sud del mondo, fa intravvedere lo scenario di un futuro di baraccopoli dotate di computer. La piazza storica e concreta non
serve più a comunicare messaggi sociali o interazioni, queste sono trasferite nella piazza telematica, e quella storica diventa un parcheggio o un museo. Questo processo di deterritorializzazione che cresce passando dalla civiltà delle macchine a quella telematica ha delle ricadute ben precise sul paesaggio, sull’ambiente, sulle relazioni sociali. Il termine decontestualizzazione evidenzia la distruzione dell’identità del paesaggio partendo proprio dalla rottura delle relazioni fra i nuovi insediamenti e i luoghi che li ospitano. In questo momento storico il paesaggio è interrotto, come anche la sua identità, se intendiamo il territorio come la rappresentazione di un lungo processo civile e storico di territorializzazione, è congelato da una cultura dell’insediamento che riduce i luoghi a vuoti siti funzionali. Solo quando gli uomini hanno una cognizione discretamente matura di questa individualità territoriale in cui dimorano, si svolgono quei processi di costruzione che con il loro sedimentare e incrociarsi hanno prodotto il paesaggio. 11
11. Gambi, 1986
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1.7 Il degrado dell’identità del territorio.
12. Dematteis, 2007
13. Magnaghi, 2009
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L’identità di un territorio non indica solo il senso di appartenenza ai luoghi o alla loro storia ma prima di tutto l’insieme di principio, delle razionalità autorganizzative di una società locale, quelle che le permettono di autorappresentarsi, di autoprogettare il proprio futuro su un territorio. 12 È dunque l’identità uno dei fattori principali a garantire il carattere autopoietico del territorio. Se limitiamo la categoria di paesaggio all’espressione sensibile di individualità territoriale, e non a qualsiasi forma possa assumere l’insediamento umano, la decontestualizzazione diviene sinonimo di distruzione. La prevalenza di opere generate da morfologie e regole esterne, esogene e astratte dalla relazione fra natura e cultura può distruggere il processo di produzione dell’identità del paesaggio. La decontestualizzazione produttiva può essere presa come indicatore per misurare il grado di negazione dei caratteri peculiari del luogo da parte di chi progetta manufatti le cui regole produttive e di scelta del luogo non contemplano una relazione con il contesto ambientale fisico, costruito e antropico. Il degrado evidenzia da una parte gli effetti della deterritorializzazione sull’ambiente; in particolare la rottura di equilibri ambientali dovuta alla perdita di sapienza ambientale e all’abbandono della cura da parte della comunità insediata. L’estraneità degli abitanti ai luoghi è uno degli elementi che scatenano la
produzione di eccessi di carico antropico sull’ambiente, la dissipazione e la distruzione di risorse non rinnovabili, il dissesto idrogeologico, la crisi o il collasso dei sistemi ambientali, l’accumulo di rifiuti per l’interruzione dei cicli biologici, la desertificazione degli ecosistemi, l’interruzione delle reti ecologiche, l’inclusione degli spazi aperti, l’inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque, le alterazioni climatiche e micro climatiche. Il termine degrado è anche riferito al disagio sociale, conseguente dal peggioramento delle condizioni di vita delle categorie sociali più povere che subiscono in maggior misura gli effetti del degrado ambientale. Il degrado indica gli effetti dello sradicamento e di questa mobilità localizzativa che hanno indotto perdita di identità, processi di integrazione e assimilazione di stili di produzione e di consumo omologati dalle regole della globalizzazione economica. 13 Deleuze e Guattari nel 1987 sottolineano quanto sia importante notare la pervasività di questo processo di deterritorializzazione: la storia del capitalismo è una storia di deterritorializzazione che produce progressivamente sradicamento, lavoro astratto, perdita di identità. Il processo investe inesorabilmente anche il territorio agricolo e con esso tutto il paesaggio agrario: nella sua trasformazione in fabbrica esso diviene puro supporto modulare di processi artificiali.
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1.8 Il futuro del rapporto tra insediamento e territorio.
Successivamente al modello dell’urbanizzazione contemporanea cosa succederà? Sarà possibile superare questa crisi trasformando le regole costruttive dell’insediamento per tornare ad avere una città dei luoghi, dello spazio pubblico, della municipalità, dell’identità del cittadino, degli equilibri ecologici e relazionali fra città e territorio, degli equilibri tra le funzioni della città senza il dominio del sistema economico. Ci sono le condizioni storiche per interrompere il processo di deterritorializzazione e tornare ad un nuovo ciclo di territorializzazione come risposta ai problemi dell’insostenibilità di questo modello? Prendendo in esame le tendenze in atto nel mondo attraverso una lettura quantitativa del fenomeno la risposta appare negativa; nei prossimi anni assisteremo ad un ulteriore accelerata urbanizzazione, tutte le previsioni restituiscono trend inquietanti di questo processo. Ad esempio in Italia il 54% della popolazione si è addensato nel 11% del territorio nazionale in aree metropolitane, che rappresentano il 18% del totale dei comuni. A livello mondiale ogni anno più di 50 milioni di persone affluiscono dalla campagna alla città. Un processo come questo non si è mai verificato nella storia, la sua velocità e la sua dimensione sono sbalorditive; all’inizio del XIX secolo solo il 3% della popolazione mondiale viveva nelle città, che peraltro non superavano il miliardo. Le previsioni secondo le fonti Onu ipotizzano che dopo il 2025 circa il 62% della popolazione mondiale sarà insediata in città metropolitane. Secondo Thierry Paquot l’urbanizzazione del pianeta si può sintetizzare in cinque forme insediative: le bidonvilles, la megalopoli, la città globale, l’enclave residenziale e la città media resistente. Il modello di urbanizzazione è decisamente diverso tra queste forme: la crescita metropolitana nel primo mondo ammette ancora alcune relazioni causali fra urbanizzazione, lavoro, servizi, soddisfazione dei bisogni primari, formazione del reddito; l’urbanizzazione selvaggia nel sud del mondo ha invece connotazioni slegate dalla crescita di strutture economiche e produttive. È un’urbanizzazione che, per le sue proporzioni e la sua velocità incrementale, non ammette pianificazione: non sono cioè regolabili da parte dei governi locali i rapporti fra flussi di urbanizzazione, servizi, abitazione, trasporti. In questo caso il processo è molto più drammatico a causa della dimensione della sua portata ma soprattutto della forma in cui avviene, forma destinata
ad incrementare la costruzione di povertà materiale e culturale su scala mondiale. Un processo di tale impatto si è già verificato nella storia anche nel primo mondo, proprio nel nostro paese. Qui la città attraversa nei secoli l’epoca etrusca, romana, medievale, rinascimentale, barocca, ottocentesca, sviluppando nell’arco di più di venti secoli una crescita contenuta pari a tre quattro volte il tracciato; negli ultimi cinquant’anni invece l’occupazione di suolo supera da 10 a 15 volte la lenta e contenuta evoluzione urbana di due millenni. Generalmente in tutte le città metropolitane del mondo la popolazione sta calando, ma la città continua a espandersi. La forma metropoli vince anche sul calo demografico, non c’è più nessuna ragione per espandere le urbanizzazioni metropolitane ma piuttosto ce ne sarebbero molte per riqualificare la città esistente. Invece la regione urbana policentrica continua a crescere costruendo nuove gerarchie territoriali, attraendo nuovi investimenti riguardanti soprattutto i servizi: il terziario avanzato, le università ed i parchi scientifici e tecnologici. Attorno a tutto questo vi è una domanda indotta di abitazioni e si viene a verificare un nuovo ciclo di migrazione, un nuovo fenomeno di polarizzazione, una nuova accelerazione dell’urbanizzazione. Le potenzialità di inversione di questa tendenza sono comunque concrete grazie alle possibilità tecnologiche, culturali, sociali che attraversano tutti i territori dal nord al sud del mondo, ma l’onda lunga del modello attuale della crescita si muove ancora nella direzione opposta dell’iperconcentrazione. Senza dubbio i nuovi processi di globalizzazione economica vanno producendo una nuova geografia del potere delle città, fortemente gerarchizzata su scala sia mondiale che regionale. Nel 1976 Alberto Magnaghi definisce questo fenomeno “metropoli del comando”: la produzione di controllo sui cicli produttivi estesi su scala mondiale a causa della globalizzazione si localizza nella nuova città fabbrica ed è totalmente indipendente dalla variabile dimensionale della popolazione. Il panorama globale, secondo questo disegno fortemente gerarchizzato, vede la tendenza di ogni città a cercare di dominare sulle altre, giocando così in una vera e propria competizione a posizionarsi verso l’alto in un podio globale. In questo modo ogni città si gioca tutte le carte in suo possesso per arrivare prima nei suoi scopi, scommettendo le proprie qualità socioeconomiche. Il rapporto con l’ambiente circostante risulta ancora più
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compromesso; Brecher e Costello (1996) definiscono questo fenomeno una “corsa disastrosa verso il fondo in cui le condizioni generali tendono a scendere verso il livello dei più poveri, il cui risultato finale è la crescita di povertà relativa nella metropoli occidentale e la concentrazione di 4 miliardi di poveri estremi nelle periferie delle megalopoli del mondo. Sostenibilità dello sviluppo addio”. L’accordo ascendente in cui lo sviluppo metropolitano significava crescita del reddito, delle libertà individuali delle trasformazioni culturali, del benessere, della mobilità sociale è da tempo superata; molte fonti documentano che ci troviamo in una curva discendente, dove lo sviluppo della forma metropoli corrisponde a una riduzione delle libertà e alla crescita economica si accompagna una crescita di nuove povertà. 14. Balbo, 1996
La sopravvivenza della città del terzo mondo si fonda sui piccoli lavori, il commercio dei pochi pomodori che si riesce coltivare nel cortile, o delle uova di qualche gallina, o magari di cose rubate... fabbri, falegnami, sarti, manovali per l’autocostruzione fino ai lustrascarpe. 14 Quindi la continua invenzione di soluzioni tecnologiche può continuare a posticipare la soluzione di questa crisi di sistema con i suoi variegati effetti?
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La forma di insediamento metropolitano in questo caso non conta più, si prende in esame il cambiamento culturale che questo ha prodotto: un nuovo concetto di ricchezza. La crescita di questa macchina produttiva è percepita sempre più consapevolmente come generatrice di nuove povertà, oltre a quelle materiali: povertà di qualità ambientale e povertà d’identità e appartenenza. Siamo di fronte a regole di crescita degli insediamenti ignoranti e presuntuose: ignoranti in quanto hanno perso la sapienza ambientale e l’arte di edificare territorio, pratiche che nelle culture urbane precedenti garantivano le condizioni territoriali di riproduzione della città stessa, condizioni che hanno fatto perdere nelle popolazioni un diffuso atteggiamento di riaffezione e di cura; presuntuose in quanto hanno relegato nell’oblio della premodernità questioni identitarie che si ritenevano superabili per sempre con il processo di artificializzazione del territorio, e che sono invece insorte prepotentemente come crisi del modello di omologazione dei sistemi produttivi, dei consumi, degli stili di vita. La chiave progettuale di una nuova cultura urbana in grado di cambiare il modello di vita può prendere il via dai bisogni che nascono conseguentemente a queste nuove povertà e non dal continuo cumulo di protesi tecnologiche.
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1.9 La relazione tra le nuove povertà e il territorio.
L’aspetto importante di questo fenomeno è che ci troviamo di fronte a vere e proprie nuove povertà (di qualità urbana, ambientale, identitaria, territoriale) indotte dai modelli di crescita quantitativa: inizia il tempo lungo del declino dei vecchi modelli di consumo. Modelli dove appaiono sempre meno evidenti le virtù della crescita e dell’artificializzazione e sempre più evidenti le ipotrofie, le nuove povertà, la polarizzazione sociale, il sottosviluppo. Ad esempio, il meccanismo descritto da diversi commentatori di cronaca negli anni ‘90 per il Messico è esemplare: l’enorme concentrazione megalopolitana produce una doppia spirale di povertà, al centro per congestione, disgregazione sociale, alla periferia per marginalizzazione del tessuto agricolo, politico, sociale, ambientale, ecc. Il modello richiede di essere sostenuto con politiche di emergenza contro la povertà di Ciudad de Mexico (dove risiede il 20% dei poveri), con un intervento decrescente nelle regioni periferiche (Chiapas, Idango, Puebla..), impegnando il 25% dei fondi statali dove risiede l’80% dei poveri. È evidente la doppia inefficacia e l’insostenibilità delle politiche contro la povertà in questo modello insediativo: nella megalopoli dove la velocità dell’inurbamento selvaggio rende sistematicamente sottodimensionati gli interventi; nelle regioni povere periferiche dove la sproporzione rende inefficaci anche le politiche sulla povertà estrema. La povertà si prospetta sotto diversi profili: la povertà di qualità dell’abitare, nei prossimi anni infatti il centro dell’attenzione progettuale riguarderà piani di riqualificazione urbana e di bonifica territoriale ambientale per rigenerare le condizioni di sopravvivenza delle abitanti; la povertà d’identità, sono emersi da queste povertà in tutto il mondo, anche se in modo contraddittorio, movimenti linguistico-etnici e nuovi eventi urbani multiculturali per la ricostruzione delle identità territoriali locali. Secondo Ignacy Sachs la crescita illimitata della città verso le urbanizzazioni megalopolitane ne ha aumentato la vulnerabilità: biologica (aumento esponenziale di malattie); strutturale (difficoltà crescenti nella vita fisica); dei supporti vitali (scarsità, inquinamento e mercificazione dei beni comuni come acqua, cibo, aria); economica (crescenti crisi fiscali e finanziarie); funzionale (crescita da congestione dei costi e dei tempi di riproduzione, abbassamento della produttività). Quest’inversione di segno dei processi di liberazione dal
territorio ha fatto riscoprire il concetto di Limite, sepolto per un lungo periodo storico dal progetto di società, di città e di territorio funzionale al modello della crescita illimitata. La crescita urbana contemporanea connessa ai processi di industrializzazione è stata interpretata per un lungo periodo storico come uno strumento di crescita di libertà dell’uomo, ora la liberazione dei vincoli territoriali (vissuti per una lunga fase dell’epoca moderna come limiti alle libertà individuali, alle trasformazioni culturali, agli stili di vita, alla crescita economica) ha iniziato a produrre effetti negativi di restrizione delle libertà individuali, diminuzione del valore d’uso delle merci, polarizzazione sociale, impoverimento economico, caduta d’identità e di radici, abbassamento della qualità della vita nelle zone periferiche, crisi dei sistemi ambientali, che hanno prodotto nuove povertà. È ormai tangibile che il superamento della soglia di costruzione di nuove povertà investe da tempo le teorie dello sviluppo. Che Vandana Shiva (1990) intitoli uno suo testo “sopravvivere lo sviluppo” e che Sair Amin (1987) proponga da tempo una “teoria dello sganciamento dal mercato mondiale”, Wolfgang Sachs scriva sull’ “archeologia dello sviluppo” (1992), Serge Latouche sulla “scommessa della decrescita” (2007) sono sintomi di cambiamenti estensivi del concetto di “povertà di sviluppo” che investe il Nord e il Sud del mondo. Per contro se esaminiamo con attenzione le curve che gli indicatori di benessere elaborati fin dagli anni ‘90 da Daly e Cobb (Index of Sustainable Economic Welfare, 1994, studi applicati agli Stati Uniti e più di recente ad alcuni paesi europei quali Gran Bretagna e Germania) vediamo come a partire dal 1975, mentre la curva del Pil continua a crescere, la curva dell’ Isew (che misura benessere complessivo) punta decisamente verso il basso: questo significa che ad un aumento di produzione di merci non corrisponde un aumento di benessere, che lo sviluppo, inteso riduttivamente come crescita economica, da una trentina d’anni ha cominciato a creare povertà crescenti. Queste povertà sono in generale legate al processo di riduzione dei valori d’uso dei beni di mercato (incidenza negativa sulla salute, sul benessere, sulla qualità ambientale). È possibile quindi sostenere che questi indicatori evidenziano come le nuove povertà sono strettamente connesse al peggioramento della qualità ambientale e urbana, dall’alimentazione all’uso delle acque, alla
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perdita d’identità nei modelli insediativi metropolitani. Questi concetti di povertà non rispecchiano completamente ciò che intendiamo oggi per povertà estrema ma sono preoccupanti nella stessa misura perché diffusi globalmente e in evoluzione costante. Finora la povertà si è sempre riferita a quote ampie di popolazione circoscritte nel sud del mondo e a quote marginali di popolazioni nel primo mondo (vale a dire che il primo mondo si arricchisce dalla povertà altrui, consumandone le risorse). Questo nuovo tipo di povertà riguarda la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, comprendendo le condizioni di vita delle urbanizzazioni metropolitane del primo mondo, dal momento che gli indicatori di povertà non riguardano più soltanto la marginalità economica ma l’abbassamento generale della qualità della vita sul territorio. Un esempio locale può essere la regione urbana di Milano: per secoli ha fondato la struttura insediativa di lunga durata e il suo costante sviluppo economico agricolo e industriale sulla ricchezza delle acque, costruendo, con l’apporto di diverse civilizzazioni, un sistema complesso di relazioni sinergiche con l’ambiente (dalla centuriazione romana, alle bonifiche cistercensi, alle opere idrauliche di Leonardo da Vinci, alle costruzioni di canali, conche, navigli, susseguitisi fino alla fine dell’800) che ne ha aumentato costantemente la fertilità, la produttività,
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la connettività. Nella costruzione, durante gli ultimi 60 anni della conurbazione metropolitana industriale e terziaria, l’elemento ambientale che costituiva il valore fondativo della ricchezza (l’abbondanza della qualità delle acque su cui si è costruito valore aggiunto territoriale) si trasforma rapidamente in una nuova povertà (carenza, inquinamento delle acque superficiali e profonde, esondazioni, alluvioni, desertificazione ecosistemica, impermeabilizzazione dei suoli e degli alveoli golenali, ecc.). Il segno si rovescia, il fattore di ricchezza diviene fattore di pericolo, malattia, scarsità, degrado dell’ambiente e del paesaggio. In questo caso i valori sono stati completamente rovesciati in un periodo di tempo decisamente rapido rispetto alla civilizzazione millenaria. Questo cambiamento non riguarda la stragrande maggioranza della popolazione che si ritrova a bere acqua minerale imbottigliata pagando, simbolo eloquente del più generale processo di degrado della qualità ambientale e territoriale. Non è possibile trovare soluzioni individuali all’ annullamento materiale e simbolico della “città d’acque” che coinvolge tutta la comunità da quando fu avviata la copertura dei Navigli nella città. Per questo nuovo tipo di povertà apparente è ampiamente superata la soglia in cui la maggioranza della popolazione è colpita, per cui si rivela impossibile selezionare politiche per una categoria particolare.
1. Il Territorio
1.10 Il degrado dell’identità del territorio.
Un’azione strategica volta ad arginare queste nuove povertà di qualità ambientale è difficile da mettere in pratica. Politiche assistenziali e progetti mirati ad aiutare chi è più in difficoltà sono poco efficaci, questi problemi sono radicati nel nostro modo di vivere e quindi diffusi a più livelli; l’unico modo per affrontarli è modificare radicalmente le regole che sviluppano i nostri modelli di insediamento, di consumo, di produzione e anche gli indicatori di benessere che ne valutano la qualità. Il superamento di questi modelli verso l’evoluzione del comportamento del soggetto ha bisogno di trovare proprio nelle sue basi e nelle sue regole genetiche le modalità per attuare questo cambiamento senza dover ricorrere a politiche correttive che non sarebbero efficaci. Diviene una questione centrale la ricerca di nuovi modelli che partano dal presupposto di salvaguardare qualità ambientale, territoriale, sociale ed identitaria; queste sono le informazioni a cui fanno riferimento i nuovi indicatori di benessere e costituiscono la base della ridefinizione di un rapporto attivo tra una comunità insediata e il territorio che la ospita. Alberto Magnaghi nel ”Progetto locale” afferma che: I segni di questa ricerca sono presenti da tempo anche in Italia; il mutamento di indicatori di misura della ricchezza si rivela come crisi del pensiero della crescita economica illimitata nella riapparizione della cultura dei valori territoriali di identità locali in due tappe fondamentali: -la prima a seguito della crisi degli anni ‘70-‘80 dei sistemi della grande industria e delle aree metropolitane sovrasviluppate che ne erano espressione, con la crescita di importanza dei sistemi locali periferici di
piccole città storiche nella produzione della ricchezza attraverso la rivitalizzazione dell’economia a base territoriale. I sistemi di piccole imprese, i distretti industriali, il design, la moda, l’alimentare e tutto ciò che proviene dalle culture produttive e artistiche locali di lunga durata, ridisegnano la “terza Italia”. Abbiamo una sorta di ritorno a casa dopo la breve convulsa avventura metropolitana, che rivaluta la fecondità del rapporto fra i sistemi produttivi a base locale e le peculiarità identitarie, ambientali e paesaggistiche dei contesti socioculturali locali. -la seconda e decisiva: il locale si afferma come problema essenziale nel ripensamento dei modelli societari e superando la dimensione economicoproduttiva quando: insorge in tutto il mondo la dimensione identitaria, etnica, linguistica come principale motore del conflitto, nel contesto del compimento del sistema mondo, della globalizzazione e come contrappeso ai processi di omologazione culturale da essa indotta; oppure si dispiega socialmente la questione ambientale che costringe a internalizzare in misura crescente la riproducibilità delle risorse naturali e degli equilibri ecosistemici nel calcolo costi-benefici dell’insediamento umano. Se intendiamo la territorialità come la “mediazione simbolica, cognitiva e pratica che la materialità di luoghi esercita sull’agire sociale”, la produzione di territorialità diviene problema interno, addirittura fondativo, della produzione di ricchezza durevole e sostenibile. Il territorio sepolto riconquista centralità. 15
15. Magnaghi, 2010
Con il maturare di queste teorie che pongono al centro del problema il contesto territoriale abbiamo raggiunto la consapevolezza negli anni ’80-‘90 dell’importanza della territorialità attiva nella costruzione dello sviluppo locale.
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1. Il Territorio
1.11 Come trattare il territorio.
Il dibattito sulla sostenibilità si è sviluppato su scala mondiale grazie al salto di coscienza che abbiamo fatto negli anni ‘80, più precisamente possiamo individuare un anno fondamentale: nel 1987 la commissione mondiale sull’ambiente sullo sviluppo (WCED) rilascia il rapporto Brundtland.
-L’approccio funzionalista o dell’ecocompatibilità della crescita economica.
In questo caso si hanno i primi segnali critici e concreti delle teorie tradizionali della crescita e dei modelli insediativi. Negli anni successivi i modi di intendere la sostenibilità si sono differenziati nel tempo. In un’analisi molto accurata stesa in un saggio del 1998 e riportata nel suo volume “il progetto locale” Alberto Magnaghi formula tre tipi di approccio differenti:
Questi tre approcci differenti, rivolti alla sostenibilità ambientale, possono essere visti come atteggiamenti catalogabili all’interno del modello “transitorio”. Il grado di accuratezza con cui affrontano la tematica ambientale è crescente secondo l’ordine in cui sono presentati. Soprattutto il grado di responsabilità, espresso nei termini dell’etica ambientale e sociale,
-L’approccio ambientalista o biocentrico. -L’approccio territorialista o antropobiocentrico.
Approfondimento. Il Rapporto Brundtland.
Nel 1983, in seguito a una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fu istituita la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, che aveva l’obiettivo di elaborare un’“agenda globale per il cambiamento”. La Commissione era presieduta dalla norvegese Gro Harlem Brundtland, e nel 1987 pubblicò un rapporto, il Rapporto Brundtland, che introduce la fondamentale teoria dello sviluppo sostenibile. “Ambiente e sviluppo non sono realtà separate, ma al contrario presentano una stretta connessione. Lo sviluppo non può infatti sussistere se le risorse ambientali sono in via di deterioramento, così come l’ambiente non può essere protetto se la crescita non considera l’importanza anche economica del fattore ambientale. Si tratta, in breve, di problemi reciprocamente legati in un complesso sistema di causa ed effetto, che non possono essere affrontati separatamente, da singole istituzioni e con politiche frammentarie. Un mondo in cui la povertà sia endemica sarà sempre esposto a catastrofi ecologiche d’altro genere. [...] L’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di fa sì che esso soddisfi i bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità di soddisfacimento dei bisogni di quelle future. [...] Il concetto di sviluppo sostenibile implica per le politiche ambientali e di sviluppo alcuni obiettivi cruciali, e in particolare che: - si rianimi la crescita economica; - si muti la qualità della crescita economica; - si soddisfino i bisogni essenziali in termini di posti di lavoro, generi alimentari, energia, acqua e igiene; - si assicuri un livello demografico sostenibile; - si conservi e si incrementi la base delle risorse; - si riorientino i rischi tecnologici e gestionali; - si tenga conto, nella formulazione delle decisioni, degli aspetti ambientali ed economici. [...] In molte parti del mondo la popolazione sta crescendo a ritmi non sostenibili con le risorse ambientali disponibili. Il problema non riguarda solo il numero di individui, ma anche la correlazione tra questo e le risorse disponibili. Sicchè il “problema demografico” deve essere affrontato, almeno in parte, mediante sforzi miranti a eliminare la povertà di massa. [...] L’agricoltura globale è potenzialmente
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in grado di produrre cibo sufficiente per tutti, ma il cibo molto spesso non è disponibile dove occorre. Nei paesi industrializzati, la produzione agricola di norma è stata ed è fortemente sovvenzionata e protetta dalla concorrenza internazionale. Gran parte delle nazioni in via di sviluppo hanno invece bisogno di sistemi di incentivazione più efficaci per le sue colture alimentari. La sicurezza alimentare richiede una maggiore attenzione ai problemi della distribuzione del reddito, perchè la fame è spesso conseguenza più della povertà che non della penuria di alimenti. [...] Le specie animali e vegetali della Terra sono minacciate, ma si è ancora in tempo per bloccare tale processo. La diversità delle specie è indispensabile per il normale funzionamento degli ecosistemi e della biosfera nella sua totalità. Ma, lasciando da parte le valutazioni utilitaristiche, le specie selvatiche vanno salvaguardate anche per ragioni morali, culturali, estetiche e puramente scientifiche. I governi sono in grado di bloccare la distruzione di foreste tropicali e degli altri serbatoi di diversità biologica, pur sfruttandoli economicamente. Un indirizzo energetico sicuro è cruciale ai fini di uno sviluppo sostenibile; individuarlo, però, non è facile. Oggi l’individuo medio, in una società industriale ad economia di mercato, consuma 80 volte più energia di un abitante dell’Africa subsahariana. Per portare i consumi energetici dei paesi in via di sviluppo al livello di quelli industrializzati l’attuale uso globale di energia dovrebbe quintuplicarsi entro il 2025. Ma l’ecosistema planetario non è in grado di sopportare questo salto, tanto più se si dovesse fare ricorso a combustibili fossili non rinnovabili. I dispositivi moderni devono essere riprogettati per fornire gli stessi quantitativi di
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con cui si affronta il rapporto col territorio determina una sostanziale differenza nel modo di operare. Va ricordato che la fase “transitoria” è la situazione in cui rientrano tutti quei casi che hanno già abbandonato il modello lineare attuale ma non hanno ancora raggiunto una completa consapevolezza nel mettere in pratica il modello sistemico, si trovano quindi a tenere dei comportamenti definibili “virtuosi” ma non ancora affrontati in maniera organizzata per compiere il salto evolutivo. Questi casi possono essere differenziati secondo i tre approcci elencati prima. Gro Harlem Brundtland; coordinatrice e presidente del WCED nel 1987.
energia, addirittura consumando i 2/3 o la metà dell’energia primaria necessaria oggi al funzionamento delle attrezzature tradizionali. La produzione di energia nucleare è giustificabile solo a patto che si diano valide soluzioni ai problemi irrisolti ai quali essa ha dato origine. La struttura energetica globale del XXI secolo sarà basata su “soluzioni a basso consumo energetico”, fondate sulle risorse non rinnovabili. [...] L’umanità è sempre andata avanti grazie alla sua ingegnosità tecnica e alla sua capacità di azione coordinata. Anche per garantire lo sviluppo e il progresso ambientale si è fatto spesso ricorso, e con successo, a questa qualità: per esempio, per controllare l’inquinamento atmosferico e idrico e per aumentare l’efficienza nell’uso delle risorse materiali e dell’energia. Molti paesi hanno accresciuto la produzione di alimenti e frenato l’incremento demografico. Alcuni avanzamenti tecnologici, soprattutto nel campo sanitario, sono stati ampiamente condivisi dai paesi industrializzati e non. [...] Rispetto al 1950 il mondo oggi produce una quantità di beni 7 volte maggiore. Solo per poter equiparare il consumo di manufatti in paesi in via di sviluppo a quello del mondo industrializzato - a ritmi di incremento demografico invariati – la produzione industriale dovrà crescere da 5 a 10 volte, da oggi al momento in cui, verso la metà del prossimo secolo, il tasso di crescita della popolazione si sarà stabilizzato. Molti bisogni umani essenziali possono essere soddisfatti solo mediante beni e servizi forniti dall’industria, e la transizione verso uno sviluppo sostenibile deve essere alimentata da un continuo flusso di ricchezza prodotto dall’industria. [...] Lungi dal richiedere l’arresto della crescita economica, lo sviluppo sostenibile muove
dal riconoscimento che i problemi della povertà e del sottosviluppo non possono trovare soluzione se non si avrà una nuova era di crescita in cui i paesi in via di sviluppo abbiano larga parte e da cui ricavino cospicui benefici. [...] Il Rapporto Brundtland si conclude individuando tre aree di impegno comune: a) Le forme tradizionali di sovranità nazionale vengono superate sempre più spesso dalle realtà dell’interdipendenza ecologica ed economica; ciò vale soprattutto per gli ecosistemi in comune e per i cosiddetti “beni comuni globali”, vale a dire quelle zone del pianeta che sono al di fuori delle giurisdizioni nazionali. Se mancano norme concordate, eque ed applicabili che regolamentino i diritti e i doveri degli Stati nei confronti dei beni comuni globali, la pressione che si esercita su risorse limitate con l’andar del tempo finisce per distruggerne l’integrità ecologica, intaccando il patrimonio delle generazioni future. [...] b) Le sollecitazioni cui è sottoposto l’ambiente sono insieme causa ed effetto di tensioni politiche e di conflitti militari. Inutile dire quanto sarebbero gravi le conseguenze ambientali dei conflitti armati. Ma anche evitando le guerre, e cioè in condizione di “pace”, si destinano alla produzione di armi risorse cospicue che, almeno in parte, potrebbero invece andare a promuovere forme sostenibili di sviluppo. Anche lo sviluppo insostenibile, i cui effetti possono intrecciarsi con le tradizionali forme di conflitto, minaccia di accrescere le nostre insicurezze. [...] c) Il carattere integrato e interdipendente delle nuove sfide e delle nuove problematiche è in netto contrasto con quello delle istituzioni oggi esistenti, le quali tendono all’indipendenza, alla frammentarietà, ad operare sulla scorta di mandati di carattere limitato e con processi decisionali di breve respiro. I responsabili della gestione delle risorse naturali e della protezione ambientale sono istituzionalmente separate dalle persone addette alla gestione dell’economia, mentre le relazioni esistenti tra i sistemi economici ed ecologici è una realtà di cui le politiche e le istituzioni devono tener conto. Le proposte di cambiamenti nelle istituzioni e nelle leggi a livello nazionale, regionale e internazionale dovranno riguardare sei settori primari: occuparsi delle fonti; affrontare gli effetti; valutare i rischi globali; compiere scelte in base a precise informazioni; fornire i mezzi legali; investire nel futuro di noi tutti [...]
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1. Il Territorio
1.12 L’Approccio Funzionalista o dell’ecocompatibilità della crescita economica. L’approccio nei confronti della sostenibilità ambientale nasconde dietro di sé svariate insidie: molte volte viene praticato in modo incongruente con le sue caratteristiche intrinseche, la sostenibilità per sua natura dovrebbe riguardare l’intero sistema di attività messe in pratica dall’uomo e non solo alcuni campi di interesse o, peggio ancora, solo alcune azioni inviate a sostegno del modello di sviluppo dato. 16. Magnaghi, 2000
17. Magnaghi, 2000
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A partire dalla settorialità e strumentalità con cui viene affrontata la questione ambientale, molti approcci non riescono a superare la dicotomia dei due paradigmi: lo sviluppo e la sostenibilità; quest’ultima si configura in sostanza come una giustapposizione di azioni correttive e di vincoli ad azioni produttive e insediative generate da regole esogene e insostenibili, che continuano cioè a riprodurre degrado. Questa dicotomia fra i due termini “sviluppo” e “sostenibile” è destinata a rendere lente, parziali e anche inefficaci le politiche di sostenibilità. 16 In effetti è come se la parola sostenibilità accompagnasse l’obsolescenza della parola sviluppo. In questo orientamento il termine più importante è sicuramente sviluppo, sinonimo della crescita economica illimitata, adesso viene semplicemente affiancata la parola sostenibile per ammettere la consapevolezza dell’esauribilità, della degradabilità, il limitatezza delle risorse ambientali. Così facendo ci si trova ad operare ponendo semplicemente delle soglie massime ammissibili di degrado (la carrying capacity) in cui si cerca di misurare i limiti di sopportazione dell’ambiente rispetto alla pressione antropica causata dalle attività di una comunità interessata, limiti oltre i quali si avrebbe la crisi e il collasso dei sistemi ambientali, che stiamo iniziando a scorgere. Con questo orientamento il processo di responsabilizzazione è solo parziale, il territorio rimane un supporto tecnico-funzionale da sfruttare in modo indiscriminato purché sotto certi limiti che ne garantiscono la sopportazione. L’organizzazione di quel territorio viene ancora determinata dalle ragioni economiche e non è oggetto di un’interazione attiva con l’ambiente. Il concetto di ecocompatibilità si pone in questo caso l’obiettivo di rendere compatibile il modello insediativo calato a priori con la definizione della capacità di carico del sistema ambientale sottoposto a pressione che lo sta ospitando. Così facendo le leggi del mercato globale prendono una decisione super partes che mettono in pratica
localmente, decidendo cosa produrre, dove, come, con quali tecniche e poi posano questa attività sul territorio in modo più “leggero” che nel passato per non distruggere il “supporto tecnico” che la ospita. In questo caso il paragone con l’asino da soma è calzante: essendo l’animale incapace come il territorio di intraprendere un dialogo con l’uomo che lo sfrutta quest’ultimo non si pone il problema etico e razionale di sfruttare l’animale senza pregiudicarne la salute ma fa solo attenzione di non superare i limiti oltre i quali l’asino morirebbe e non sarebbe più utile a lavorazioni successive. In questo approccio scienza e tecnologia rivestono ancora un ruolo molto importante, operano in modo sostenibile rispetto ai limiti di consumo delle risorse, di sfruttamento del territorio, di inquinamento dell’ambiente ma al di sotto di questi non hanno altre preoccupazioni; i problemi creati dalle loro attività si possono risolvere con ulteriori passi nella costruzione della seconda natura artificiale. Inoltre, nel caso specifico, i limiti sotto cui operare sono imposti da organi politico-amministrativi, quindi provengono esternamente dalle scelte progettuali e scientifiche, sono limiti imposti non riconosciuti dal modo stesso di operare del modello insediativo; questi organi devono quindi vigilare affinché i limiti siano rispettati. Le basi su cui si fonda questo approccio funzionalista ammettono piuttosto l’assunto che, con il futuro progresso, la scienza riuscirà a risolvere i problemi dettati dai limiti di sopportazione del territorio invece che comprendere le soglie da rispettare per garantirne la salute. Viene inoltre riconosciuto un ulteriore principio che si va ad affiancare a questo ottimismo tecnologico, la questione ambientale si può affrontare in modo efficace adottando il mercato stesso come regolatore ambientale. Questa strategia si affida alle leggi autoregolative del mercato monetizzando in un certo senso il bene ambientale. ...la domanda di beni e di qualità ambientale si allarga in misura proporzionale alla crescita del reddito; ne consegue l’aumento dell’offerta sul mercato di produzioni “pulite” e di beni ambientali. 17 Queste operazioni consistono nel riduttivo impiego di misure correttive realizzate con una strumentazione tutta interna alle modalità dello sviluppo in atto. Tale approccio risulta limitato fin dal principio perché gli
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attori più importanti che ne determinano la messa in pratica restano gli stessi del sistema economico dominante. Mentre la logica che governa queste dinamiche è di tipo punitivo e segue solo la regola “chi inquina paga”. Chiaramente “...sta a simboleggiare una concezione volta alla monetizzazione e allo scambio sul mercato del rischio e dell’inquinamento”.Dal punto di vista pratico emerge a questo punto che “... il limite di questa logica è che molti dei danni indotti dallo sviluppo non sono misurabili che convenzionalmente, non avendo un corrispondente monetario, e il valore che si pretende di rimborsare ha un significato non commensurabile con una funzione. Le politiche di difesa dell’ambiente basate sul disinquinamento promuovono forme di contrattazione/scambio fra riduzione delle produzioni inquinanti e aumento di prodotti per il disinquinamento che a loro volta hanno effetti inquinanti. Questa spirale perversa si verifica dal momento in cui intraprendiamo una corsa infernale volta alla degradazione ecologica
che ha come effetto la nostra stessa degradazione e la salvaguardia delle soluzioni tecnologiche che, da un lato, si preoccupano degli effetti di questi mali ma dall’altro continuano a sviluppare le loro cause.” 18 Inoltre anche soluzioni ecologiche corrette ma applicate in modo settoriale presentano limiti analoghi: La probabilità che le cosiddette attività ecologiche considerate individualmente causino una diminuzione del quoziente di sostenibilità ambientale è uguale alla possibilità che esse ne causino l’incremento; questo perché si tratta sempre di misure parziali o di sistemi incompleti. 19 Con questa logica funzionale non si mette in discussione quasi niente, le questioni ambientali rimangono marginali e per niente libere rispetto ai problemi della crescita economica, imperativo che rimane categorico. I valori che non sono funzionali alla crescita economica rivestono un’importanza secondaria, per questo la
18. Morin, 1988 19. Levine, 1992
TERRITORIO approccio FUNZIONALISTA monetizzazione del bene ambientale
ecocompatibilità della crescita campi di interesse ristretti e isolati
azioni a sostegno del modello di sviluppo
fiducia nel futuro progresso per risolvere la sopportazione
crescita economica illimitata
azioni correttive obsolescienza dello sviluppo
mercato super partes
biocentrico interazione recipro p fra insediamento e l'ambien
Figura 2. L’Approccio Funzionalista e le sue principali caratteristiche
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1. Il Territorio
Figura 3. I limiti dell’Approccio Funzionalista
questione ambientale rimane all’esterno e non viene affrontata in modo soddisfacente. I limiti di questo approccio si sono verificati con particolare evidenza negli ultimi anni: - una normativa realizzata a valle dei processi che generano il degrado ambientale non risulta efficace perché bisognerebbe agire a monte o meglio ancora al livello delle logiche che mettono in moto i meccanismi responsabili dell’insostenibilità ambientale. - al livello pratico le opere messe in piedi seguendo questa ideologia contribuiscono a produrre un ulteriore artificializzazione accrescendo così la vulnerabilità del sistema ambientale che si trova in bilico sui suoi limiti di sopportazione. - su scala globale invece, continuando ad ammettere come subordinata la questione ambientale a quella dello sviluppo economico, si tutela quest’ultimo soprattutto per il primo mondo trasferendo così il degrado nei paesi poveri. Con questo passaggio si ribadisce senza esitazione lo stretto collegamento che unisce i problemi ambientali a quelli della povertà. Questa logica è destinata al fallimento nel lungo periodo perché posticipa semplicemente la soluzione del problema con arrangiamenti in corso d’opera che un giorno, molto vicino, non saranno più sufficienti senza internalizzare la problematica ambientale e i suoi meccanismi generatori.
LIMITI divaricazione forbice primo/terzo mondo tutela dello sviluppo senza limiti tentativi di soluzione con peggioramento situazione normativa realizzata a valle del degrado ambientale
1.13 L’Approccio Ambientalista o biocentrico.
20. Lovelock, 1981; Goldsmith, 1993
21. Tizzi, 1999; Marchettini, 1999
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Procedendo da questo punto di vista si pone come base fondamentale il riconoscimento dell’ambiente come sistema naturale, di cui vanno rispettate le leggi di autoriproduzione. 20 La sostenibilità ambientale è posta come problema di interazione reciproca e vitale fra l’insediamento antropico e l’ambiente; senza di essa è messo in discussione il benessere della comunità a priori. Si ammette che la metaforica “bestia da soma” abbia
un’anima in quanto soggetto vivente, del quale rispettarne i diritti pena anche la possibilità di sfruttarne il lavoro, cioè pena la decadenza del sistema antropico. La sostenibilità è l’insieme di relazioni tra le attività umane e la loro dinamica e la biosfera, che di solito ha delle dinamiche proprie generalmente più lente. Queste relazioni debbono essere tali da permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare i loro bisogni e alle diverse culture umane di svilupparsi,
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ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane siano entro certi limiti così da non distruggere il contesto biofisico globale. 21
fisso sociale e la condizione strutturale per lo sviluppo sostenibile: così il rapporto proprio dell’approccio funzionalista si ribalta, e la sostenibilità ambientale diventa la condizione strutturale dello sviluppo economico. L’ambiente da vincolo diviene opportunità. 22
Per molti studiosi alla fine degli anni ‘80, come Daly e Cobb, Odum, Costanza e Hirsch, l’obiettivo più audace risulta la ricostruzione dell’economia della natura come fondamento per la salvezza dell’economia dell’uomo cercando di introdurre con la giusta importanza il concetto di capitale naturale, come fondamentale per la costruzione di un’economia ecologica.
La produzione di qualità ambientale ha delle ricadute positive quando si ammette il territorio come sistema complesso, insieme di vari ecosistemi con una struttura e funzionamento altrettanto definiti; per operare su questo sistema si ricorre a un insieme di conoscenze che interpretano in modo corretto le sue caratteristiche, senza scindere il sistema territoriale in vari scomparti funzionali ad uno sfruttamento intensivo per ragioni economiche. Dal punto di vista progettuale non esiste più una visione separata del territorio dove alcune aree sono destinate a obiettivi economici ed altre protette secondo un regime naturalistico, ma si opera in una visione ecosistemica unitaria in cui l’intero territorio è trattato
A differenza dell’approccio funzionalista questa visione si basa su sistemi di alta qualità ambientale e di ecoefficienza, non puntando solamente alla definizione di limiti al degrado. Si ha un atteggiamento positivo e propositivo dove la mentalità funzionalista si limitava a regole di stampo mercantile. Nelle sue ricadute sull’economia, la produzione di alta qualità ambientale costituisce il nuovo capitale
22. Magnaghi, 2000
TERRITORIO approccio AMBIENTALISTA zzazione bene entale
biocentrico interazione reciproca e vitale fra insediamento antropico e l'ambiente
qualità ambientale
territo p
ambiente come sistema naturale
d
rispetto delle leggi di autoriproduzione priorità alla vita umana
Figura 4. L’Approccio Ambientalista e le sue principali caratteristiche
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1. Il Territorio
Figura 5. I limiti dell’Approccio Ambientalista
come neoecosistema per ottimizzare la riproducibilità dei sistemi ambientali e delle reti ecologiche come avviene in esempi virtuosi quali: la landscape ecology, la nature restoration, il bioregionalismo. Pare quindi che il passaggio dal modello funzionalista a quello ambientalista corrisponda a un passaggio dalla concezione dello sviluppo compatibile con il modello economico attuale a quella di uno sviluppo realmente sostenibile dell’ambiente. In questo paragone però risiedono i limiti di questo modello: dal punto di vista operativo molte volte questa sostenibilità viene attuata attraverso azioni e politiche di settore che, anche se risultano più rigide rispetto a quelle finalizzate all’ecocompatibilità (come è stata definita sopra per distinguerla) rischiano di essere dipendenti da queste ultime. Inoltre pur assumendo come base la critica radicale del modello di sviluppo attuale fondato sulla crescita economica illimitata l’approccio ambientalista rischia di non essere molto efficace perché focalizzato soprattutto all’ambito ambientale, senza elevarsi sul piano dei meccanismi che generano il nostro sistema socio-economico, quindi senza capirne la natura e quindi senza apportarne critiche e modifiche adeguate.
Approfondimento. Landscape ecology.
L’ecologia del paesaggio (in inglese, landscape ecology) è una scienza applicata, nata in origine come interfaccia tra geografia ed ecologia. Come scienza altamente interdisciplinare in ecologia dei sistemi, l’ecologia del paesaggio integra approcci biofisici e analitici con prospettive umanistiche e olistiche, attraverso le scienze naturali e le scienze sociali. Secondo questo approccio i paesaggi sono aree geografiche spazialmente eterogenee caratterizzate da diverse e interagenti patches o ecosistemi, che vanno dai sistemi terrestri e acquatici relativamente naturali come le foreste, le praterie e i laghi a ambienti di largo dominio umano, comprese i contesti agricoli e urbani. Il paesaggio viene quindi considerato come “sistema complesso di ecosistemi”, in cui si integrano gli eventi della natura e le azioni della cultura umana. L’International Association for Landscape Ecology (IALE) definisce l’ecologia del paesaggio come disciplina che si occupa dello studio della variazione spaziale del paesaggio a diversi livelli di scala. L’importanza della landscape ecology è accresciuta dal fatto che gli ecosistemi naturali e quelli antropici si integrano con pari dignità a scale spazio-temporali compatibili fra loro. La teoria dell’ecologia del paesaggio si rinnova nel senso di ‘bionomia del paesaggio’, propone nuovi concetti (ecotessuto, fittest vegetation, habitat standard); mette in evidenza inoltre nuovi processi biologici sia nell’ambiente naturale che nell’ambiente antropico, ne studia la formalizzazione matematica e il metodo di misura (per es., capacità biologico-territoriale della vegetazione, capacità portante del territorio); propone una nuova metodologia di studio del territorio; reimposta secondo una visione ecologica i principali criteri e metodi di intervento ambientale.
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LIMITI condizione strutturale per lo sviluppo sostenibile come nuovo capitale sociale focus ristretto alla questione ambientale indipendenza non totale dalle azioni di sviluppo parzialità dell'approccio
ORIGINE_Il concetto di “Ecologia del paesaggio” venne utilizzato per la prima volta nella letteratura scientifica dal geografo tedesco Carl Troll nel 1939, nel corso dell’interpretazione di alcune foto aeree di un paesaggio della savana dell’Africa orientale. Egli intuì per primo alcune proprietà degli ecosistemi e la loro evoluzione verso bio-entità superiori che chiamò “paesaggi”. Comprese anche che una nuova disciplina sarebbe stata necessaria per studiare i paesaggi ecologicamente definiti, e le diede tale nome. Nel corso dei suoi studi, dopo il secondo conflitto mondiale, Troll considerò “piccoli paesaggi”, che per lui erano le più piccole unità dello spazio naturale e si dedicò allo studio della geografia vegetazionale: osservò quindi le piante come indicatori delle condizioni di un ecosistema. In un primo tempo l’ecologia del paesaggio si sviluppa in Europa, come scienza applicata alla gestione delle risorse naturali. E’ soltanto però verso la fine degli anni ‘80 in nord America che acquisisce una vera dignità scientifica, indirizzandosi in particolare verso lo studio dei grandi spazi naturali. Il termine Landschaftsökologie fu utilizzato nel mondo scientifico internazionale soltanto a partire dal 1982, con la fondazione della IALE (International Association for Landscape Ecology). Nel 1987 inoltre avvenne la pubblicazione della prima rivista sulla Landscape Ecology, diretta da Frank Golley. Un notevole contributo alla nascita dell’ecologia del paesaggio deriva dagli studi sulla vegetazione
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e dalla rappresentazione cartografica delle unità vegetazionali. La cartografia della vegetazione pone infatti le basi per una rappresentazione della diversità ambientale degli ecosistemi terrestri. In tale rappresentazione della diversità ambientale, le piante assumono un ruolo di particolare rilievo. Oggi l’ecologia del paesaggio presenta campi di applicazione sempre più vasti, che riguardano sia l’ambiente naturale che quello antropizzato. In particolare essa si articola in quattro indirizzi di pensiero principali: geografico, che promuove lo studio del paesaggio come entità geografica nella quale si integrano le varie componenti; corologico-percettivo, caratterizzato dallo studio dei processi spaziali validi a ogni livello di scala, dove il paesaggio è definito come ‘mosaico’, percepito in modo differente a seconda degli animali, ossia specie-specifico; ecosistemico-matriciale, fondato sullo studio delle configurazioni di elementi componenti, che si distinguono in macchie e corridoi, su una base paesistica dominante, riconoscibile come matrice; olistico-multifunzionale, che si occupa dell’insieme olistico di subunità paesistiche definibili come “ecotopi”, naturali e antropici. Per verificare il regime funzionale di base di un sistema ecopaesistico è necessaria la distinzione tra l’habitat umano e quello naturale. Tuttavia, nelle macchie e corridoi dominati dall’uomo è possibile trovare componenti naturali, come nei paesaggi naturali è possibile trovare elementi antropici. Ogni tipologia di paesaggio può essere riferita ad un modello (pattern) di base. L’ecologia del paesaggio si occupa appunto dei rapporti tra i patterns che appaiono in un determinato ambiente e i processi che creano tali patterns, o semplicemente ne vengono influenzati. I pattern riguardano fondamentalmente gli aspetti strutturali, e possono assumere configurazioni semplici (patches, ecotopi, corridoi, matrici) o complesse (apparati, ecomosaici, tessuti paesistici). La patch, in particolare, rappresenta l’unità minima strutturale di un paesaggio; la forma della patch riflette il processo che l’ha creata o mantenuta: in genere forme regolari sono di natura antropica, al contrario le patches generate da processi ecodinamici sono di forma irregolare. Le patches più grandi al loro interno possiedono una maggiore eterogeneità. Le aree di contatto tra patches differenti sono rappresentate dagli “ecotoni”; tali strutture condizionano molti processi ecologici quali la diversità biologica, il flusso e l’accumulo dei materiali e lo scambio di energia e la propagazione del disturbo. Secondo Odum (1959) gli ecotoni sono definiti come “Zone di transizione fra due o più comunità, con forma generalmente lineare, a volte anche di notevole sviluppo, ma tendenzialmente più sottile dell’area delle comunità confinanti”. Gli ecotoni in pratica rappresentano le aree di confine o di transizione tra due o più tipologie di ambiente. Al livello gerarchicamente superiore si trova la matrice ambientale: essa è costituita dall’elemento - o dall’abbinamento di più elementi - maggiormente rappresentativo dell’ambito spaziale esaminato. Una delle caratteristiche fondamentali della matrice è il suo grado di porosità, ovvero il numero di interruzioni - patches, corridoi, ecc. - che sono presenti in essa. Individuare il grado di porosità di una matrice permette di effettuare, ad esempio, delle analisi per individuare il grado di connettività al suo interno e di poter, quindi, valutare e monitorare le trasformazioni urbane proposte da un piano o da un progetto. La parte funzionale del paesaggio è data dai flussi di materia ed
energia che si scambiano al suo interno e all’esterno (flussi energetici e di informazione, flussi di materia, movimenti di specie, interazione tra ecotopi), e dai processi che avvengono grazie a questi flussi, allo scorrere del tempo e ai processi di scala superiore che condizionano le dinamiche a livello di paesaggio. Tali flussi sono fortemente condizionati dalle configurazioni paesistiche, un esempio emblematico sono le funzioni specifiche dei corridoi la cui forma privilegia gli spostamenti in senso longitudinale ed impedisce quelli in senso trasversale, oppure le funzioni delle macchie sulla stanzialità e la sosta il cui funzionamento dipende dal tipo biotico, dalla estensione, da fattori temporali e dalla matrice circostante. L’ecologia del paesaggio pertanto studia sia la struttura del paesaggio, costituita dalla distribuzione spaziale degli ecosistemi e dalle loro forme, che le funzioni e i flussi biotici, ovvero di specie e popolazioni, ed abiotici, cioè di materia ed energia, interni al mosaico ambientale, come le trasformazioni di entrambi gli aspetti nel tempo. Gli studi di ecologia del paesaggio hanno contribuito a evidenziare quanto sia importante la tutela e la valorizzazione del paesaggio, attraverso un’analisi scientifica dei singoli elementi che lo costituiscono. L’interpretazione geografica e soprattutto quella percettiva hanno impedito di far entrare pienamente il concetto di paesaggio nel settore scientifico della biologia, almeno fin quando il geografo Alexander von Humboldt (1846) definì il paesaggio come “insieme di tutti i caratteri propri di un determinato territorio”. La Convenzione europea del paesaggio, tenutasi a
Figura 6. Landscape masterplan
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1. Il Territorio
Firenze il 20 ottobre 2000 definisce il paesaggio come una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva sia dall’azione di fattori naturali che umani e dalle loro interrelazioni. Il paesaggio è stato perciò riconosciuto come un vero e proprio bene, soprattutto culturale, frutto in gran parte della percezione della popolazione. Lo scopo della Convenzione è proprio quello di proteggere il paesaggio, coltivarlo e modellarlo, in quanto specchio dell’identità delle popolazioni. La relazione con il luogo infatti forma l’identità personale, il senso dell’appartenenza e la coscienza delle diversità locali, fattori educativi della persona nell’ambito della società. Anche il Codice italiano dei Beni Culturali contempla nel “patrimonio culturale nazionale” due tipologie di beni: i beni culturali e i beni paesaggistici. In particolare secondo l’articolo 135 comma 1 “Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, entrambi di seguito denominati: «piani paesaggistici»”. Vi sono comunque numerose definizioni di paesaggio, di stampo più scientifico, tra le quali possiamo ricordare: “Un’area territorialmente eterogenea, composta da un gruppo di sistemi interagenti, che si ripete in forma simile in zone contigue” Forman e Godron; “Una sintesi astratta degli elementi visibili” Biasutti. A queste definizioni è comune il fatto che il paesaggio viene visto sempre in funzione di un osservatore. L’uomo perciò è sempre parte del paesaggio come osservatore, o per quanto riguarda il paesaggio antropizzato, come trasformatore dell’ambiente. La nozione di paesaggio è ancor oggi divisa da due orientamenti che riguardano il ruolo assunto dall’uomo nel costruire il paesaggio. Il primo si inserisce nella visione ecologista, che studia e si interroga sulla capacità dell’uomo di modificare e turbare gli equilibri naturali. L’altro orientamento, che mette al centro del paesaggio l’uomo, dà molta importanza alla percezione sensoriale attraverso la quale l’uomo si rapporta con la natura. A ciò si collega il tema delle forme, per il quale il paesaggio è da intendere come visione estetica del mondo in cui viviamo. Questa è la visione del paesaggio secondo i pittori e gli artisti, soprattutto nel passato. Diversi enti si occupano oggi di problemi ambientali, ma spesso si concentrano prevalentemente sul controllo dell’inquinamento, senza quasi prendere in considerazione i danni dovuti alle disfunzioni strutturali e spaziali dei sistemi ecologici. Non si percepisce quindi che la tutela del paesaggio è strettamente correlata con la tutela della salute, sia dei sistemi ecologici che quella dell’uomo, minacciata dalle influenze negative trasmissibili da patologie del paesaggio. Il progredire dei paradigmi scientifici negli ultimi decenni ha aiutato a comprendere il paesaggio come sistema biologico, che come tutti i sistemi viventi segue una termodinamica di non-equilibrio. Sistemi di questo genere possono essere definiti come complessi, gerarchici, dinamici, adattativi, dissipativi. Essi seguono il principio delle ‘proprietà emergenti’, per cui un tutto organico è maggiore della somma delle sue componenti. Questo approccio sistemico permette di evidenziare un modello generale con le seguenti caratteristiche: le condizioni termodinamiche individuano un ‘attrattore’, che rappresenta una condizione di dissipazione minima per un sistema; possibili macrofluttuazioni (per es., dovute ad accumulo di energia o a disturbi) producono instabilità e dirigono il sistema verso un nuovo stato di ordine; questo nuovo stato permette a sua volta un aumento di dissipazione e porta il sistema verso un nuovo attrattore. Ciò implica che, oltre agli attrattori, siano importanti anche i cosiddetti ‘operatori’, cioè i processi di trasformazione. I limiti di un paesaggio, o delle sue componenti, dipendono dai segni che definiscono il cambiamento nei processi che lo caratterizzano, nel passaggio da una zona dominata da un processo a un’altra dominata da altri processi. La delimitazione può avere margini netti, oppure gradienti (ecotoni), o entrambi, e non sempre è formata da un elemento tangibile. Le delimitazioni possono esprimere anche un grado di barriera o di filtro per certe funzioni del paesaggio. La dinamica di trasformazione dei paesaggi sembra essere regolata almeno da quattro operatori principali: i processi evolutivi e geologici, che operano in tempi molto lunghi, i processi di colonizzazione e riproduzione, che operano in tempi da medi a corti, i processi cibernetici, di adattamento al flusso di informazioni, in tempi medio-brevi e i processi di disturbo locale, in tempi assai brevi. OBIETTIVI E CAMPI DI APPLICAZIONE Gli obiettivi principali dell’ecologia del paesaggio applicata alla gestione dei sistemi ambientali possono essere schematizzati in breve nei seguenti punti: -conservazione della biodiversità; -conservazione e riorganizzazione delle aree agricole; -recupero delle aree degradate e abbandonate; -miglioramento del tenore di vita nelle aree urbane e suburbane e dell’interazione tra i sistemi
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ambientali e gli insediamenti antropizzati. In Italia i campi di applicazione più significativi per quanti si occupano di problemi legati al paesaggio e di conseguenza di ecologia del paesaggio sono: pianificazione territoriale, pianificazione ambientale, conservazione della natura, progettazione di reti ecologiche, ripristino di aree estrattive, formazione di parchi urbani, studio di valutazione ambientale, valutazione ambientale strategica e così via. Nello studio scientifico del particolare sistema ambientale considerato, l’ecologia del paesaggio utilizza dei modelli spaziali che possano riprodurne il funzionamento, tramite una serie di indici di controllo spesso provenienti dall’ecologia, ma applicati ai paesaggi. I dati utilizzati nel corso degli studi di ecologia del paesaggio possono essere: fotografie aeree, telerilevamento satellitare, dati e censimenti pubblicati(per quei periodi storici in cui non sono disponibili foto aeree), cartografie tematiche, GIS, modelli di simulazione al computer. Secondo Finke il compito centrale dell’ecologia del paesaggio consiste nella ricerca delle intradipendenze tra gli aspetti spaziali e quelli antropici degli ecosistemi. Per questa ragione nell’ecologia del paesaggio, confluiscono studi sulla geomorfologia, sul suolo visto come sottosistema del paesaggio, sul bilancio idrico, il clima, la flora e la fauna che caratterizzano il particolare ecosistema considerato. Fonte di interesse per la disciplina sono soprattutto i fenomeni di erosione del suolo, le interrelazioni dell’acqua con il terreno e il primo strato di sottosuolo, i microclimi, climi locali e le interdipendenze di essi con le altre componenti del sistema ecologico complessivo considerato. Nello specifico i modelli di simulazione si basano sulla definizione del sistema ambientale come una combinazione di unità di paesaggio differenti per struttura e funzioni, caratterizzate da diversi gradi di connessione e poste fra loro in correlazione da scambi di energia, con processi evolutivi più o meno veloci. Lo studio va effettuato a diverse scale per registrare i sintomi di alterazione, collocare il territorio in oggetto nel suo sistema paesistico e individuare i limiti dell’unità di paesaggio in esame. Una volta rilevate le principali componenti di uso del suolo e distinte le caratteristiche ecologiche, si procede alla ricostruzione delle caratteristiche storiche dell’area. L’ecologo del paesaggio rappresenta oggi una figura professionale indispensabile per salvaguardare e migliorare l’ambiente secondo i principi della sostenibilità.
Approfondimento. Nature restoration.
Tradotto in italiano come restauro ambientale si intende la realizzazione di una serie di interventi atti a migliorare la qualità ambientale, paesaggistica ed ecologica di siti naturali in stato di degrado. Le operazioni di restauro ambientale richiedono un approccio multidisciplinare comprendente interventi riguardanti settori quali: Biodiversità; Ecologia; Ingegneria naturalistica; Restauro estetico.
1. Il Territorio
1.14 L’ Approccio Territorialista.
L’approccio territorialista affronta il problema della sostenibilità ambientale focalizzando l’attenzione sull’ambiente dell’uomo. 23 Basandosi su questo fondamento la logica territorialista si discosta innanzitutto dalla parzialità dell’approccio ambientalista; se quest’ultimo assume il punto di vista dell’ambiente naturale come epicentro normativo della sostenibilità, allora l’approccio territorialista mantiene molte indicazioni teoriche e operative ma va oltre, identificando la sostenibilità dello sviluppo su un territorio, inteso come neoecosistema prodotto dall’uomo. La sostenibilità per l’ambiente dell’uomo viene riferita alla costruzione di sistemi di relazioni virtuose fra le tre componenti costitutive del territorio stesso: l’ambiente naturale, l’ambiente costruito, l’ambiente antropico.
In questo modo se il focus diventa il territorio invece che l’ambiente naturale, che a questo punto è solo uno dei tre componenti, per identificare la sostenibilità vengono chiamati in causa ulteriori riferimenti che spaziano fra cultura, natura e storia. Le tre componenti costitutive del territorio (ambiente naturale, costruito e antropico) possono essere declinate sotto diversi punti di vista: se il nostro riferimento diventa la cultura, allora emergerà come il territorio ha influito nella sua creazione nel corso degli anni; riprendendo lo schema della caratterizzazione territoriale [Pagina 18] è evidente che un territorio, definito ambiente naturale, ha da sempre offerto determinate risorse, che l’uomo ha imparato a sfruttare per creare il suo ambiente costruito, in questo modo ha sviluppato un “saper fare” caratteristico di quel territorio perchè adattato a quelle risorse; con il passare
Ambiente
Figura 7. Le tre componenti costitutive del Territorio
NATURALE
ni o i z a l Re
23. Scandurra, 1995
VIRTU OSE
Ambiente
Ambiente
COSTRUITO
ANTROPICO
Te r o i r rit o 43
1. Il Territorio
degli anni il dialogo tra la comunità e questo territorio da luogo ad una “cultura materiale” caratterizzante, concetto identificabile facilmente come ambiente antropico. Ponendo al centro dell’attenzione l’ambiente dell’uomo, e quindi l’uomo stesso, i problemi riguardanti la sostenibilità ambientale vengono guardati da un altro punto di vista, qualunque scala essi abbiano. Per questo motivo un problema di dissesto idrogeologico, quindi il problema riferito a una scala ristretta, provocato dall’abbandono di un terrazzamento non riguarderà esclusivamente la natura, che col passare degli anni troverà nuovi equilibri e si adatterà ma piuttosto il territorio con tutte le componenti in quanto neoecosistema costruito dalle civilizzazioni umane nel corso degli anni, dotato di sue caratteristiche climatiche, idrogeologiche e così via; il vero problema in questo caso è il pericolo per l’abitabilità della popolazione insediata su quel territorio. Allo stesso modo, su scala planetaria, se le modificazioni climatiche avranno ricadute come l’innalzamento dei mari, il problema non riguarderà soltanto l’ambiente naturale (perché il sistema vivente Terra si adatterà al nuovo clima come è sempre avvenuto nei cambiamenti delle varie ere geologiche, richiamando fauna e flora a nuovi processi evolutivi che non includono necessariamente la specie umana) ma piuttosto l’ambiente costruito e la sopravvivenza di svariate
24. Magnaghi, 2000
Figura 8. L’importanza delle relazioni
popolazioni sulle zone costiere. Oppure se la popolazione mondiale aumenta oltrepassando i limiti autoregolativi, dovrà preoccuparci la sopravvivenza della specie umana prima ancora di quella dell’ambiente naturale. La comunità insediata su un territorio con un problema di degrado dovrà sicuramente adoperarsi per risolvere il suo degrado ambientale, ma proprio perché stiamo parlando del nostro benessere dovrà anche andare oltre e occuparsi del degrado sociale e di quello del territorio costruito che ne conseguono. Si cerca così un punto di equilibrio fra il modo di vivere, costruire, abitare, consumare e l’inclusione di queste pratiche all’interno delle regole che governano l’ambiente, per questo il nostro riferimento è il territorio. Da questo punto di vista la misura della sostenibilità riguarda la valutazione delle azioni e di progetti di superamento del degrado ambientale, non in rapporto ad un’astratta ottimizzazione degli equilibri della natura, ma valutando l’azione ambientale in relazione alla qualità della vita. Il concetto di sostenibilità non si risolve nell’ottimizzazione della qualità ambientale a qualunque condizione, ma nella ricerca di relazioni virtuose fra sostenibilità ambientale, sociale, territoriale, economica, politica che renda coerente la relazione tra bisogni, sviluppo e autodeterminazione verso l’autosostenibilità. 24 In quest’ottica non possiamo scindere concettualmente
Territorio Am
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1. Il Territorio
un problema di sostenibilità ambientale da tutto ciò che invece riguarda il territorio nella sua interezza. Non si può considerare l’ambiente tralasciando i modelli di azione della comunità insediata e i legami che vengono a nascere tra i due. Quello che ci interessa è il “milieu”, ciò che Augustin
Berque definisce come insieme di legami reciproci fra ambiente fisico e ambiente sociale; “questa relazione non esiste che nella misura in cui essa stessa è sentita, interpretata ed organizzata da una società.” 25
25. Berque, 2000
TERRITORIO
Figura 9. L’Approccio Territorialista e le sue principali caratteristiche
approccio TERRITORIALISTA
à ale
antropobiocentrico attenzione focalizzata sull'ambiente dell'uomo
territorializzazione problema ambientale come conseguenza dell'intervento umano sul territorio nuovo modello
alla na a
fondamentale autosostenibile durevole
legami tra ambiente fisico e ambiente sociale
locale
milieu
sistemi di relazioni virtuose fra le 3 componenti costitutive del territorio
l'ambiente NATURALE
territorio come neoecosistema prodotto dall'uomo
andare oltre al problema ambientale l'ambiente ANTROPICO
l'ambiente COSTRUITO
territorio locale come campo operativo in tute le declinazioni
autosostenibilità del modello ricerca di relazioni virtuose fra sostenibilità
azione ambientale valutata in relazione alla qualità della vita
ambientale sociale
politica economica
territoriale
1. Il Territorio
26. Magnaghi, 2000
Se un territorio è il nostro oggetto di studio “la questione ambientale non è più affrontabile come problema settoriale, ma solo come problema relazionale, dal momento che il degrado ambientale è il prodotto storico di una determinata civilizzazione e dei suoi atti distruttivi verso la natura. Essa si può dunque trattare affrontando il problema di una diversa configurazione e di diversi pesi nelle relazioni fra sistema socio-culturale, sistema economico e sistema naturale che attivino equilibri dinamici durevoli fra società insediata e ambiente; considerando altresì inefficaci o deboli azioni settoriali che non mettono in discussione il modello economico, il modello di consumo, il modello produttivo e la sovradeterminazione delle ragioni economiche dello sviluppo.”26 L’approccio territorialista affronta quindi il problema della sostenibilità ambientale come conseguenza dell’intervento umano sul territorio. Il nostro modello di sviluppo ha messo in moto molti meccanismi ormai insostenibili e la problematica ambientale si fonda sullo sgretolamento delle relazioni sinergiche fra ambiente naturale, ambiente costruito e ambiente antropico. Per questo motivo la soluzione è da cercare in questo frangente, provando a ricostruire queste relazioni attraverso nuove forme più virtuose che garantiscano un futuro al territorio. Questi interventi non possono riguardare solamente l’ambiente naturale, dal momento che il territorio non esiste in natura, ma dovranno toccare la comunità insediata, il suo modo di strutturare il territorio e di dialogare con esso costruendo buone o cattive relazioni con l’ambiente e di conseguenza buoni o cattivi equilibri ecosistemici. Una sostenibilità veramente durevole si sviluppa a partire dalla produzione di territorio:
27. Dematteis, 2000
Quest’affermazione della produzione di rapporti virtuosi con l’ambiente naturale è dovuta direttamente alle regole che plasmano l’ambiente insediativo, producendo
territorialità e valore aggiunto territoriale.27 Ricercare la sostenibilità incentrando l’attenzione sul rapporto col territorio significa evolvere il proprio modello di vita verso nuovi limiti, nuove regole e nuove relazioni per garantire un’alta qualità ambientale. Non è necessario ricorrere a misure correttive per cercare di “sostenere” in qualche modo l’ambiente, ma piuttosto risulta più efficace adottare nuovi modelli che si “autosostengano” da sé senza bisogno di aiuto, prendendo come esempio la caratteristica autopoietica dei sistemi esistenti in natura. Un modello di sviluppo locale e autosostenibile risponde perfettamente a queste esigenze delineandosi fin dal principio in opposizione a tutte le definizioni tecnocratiche di sostenibilità. Come riportato nella critica dell’approccio funzionalista tali schemi sono destinati ad avere vita breve e ad essere difficilmente messi in pratica perché il modello di sviluppo in cui normalmente sono calati ha bisogno di essere sostenuto tecnicamente dall’esterno con continui interventi correttivi, senza sostegno entra in crisi dal momento che le leggi della crescita economica producono continuamente e in forma cumulativa squilibri ambientali. È certamente più conveniente indirizzarsi verso la costruzione di regole che una volta messe in pratica diano via a modelli che non richiedano alcun sostegno esterno per un’autoriproduzione durevole. La natura opera già in questo modo, e ci insegna che questi modelli non possono operare su scala planetaria perché cadrebbero facilmente in situazioni di squilibrio; la scala della bioregione è la più conforme, anche perché all’interno del concetto di autoriproduzione un tassello fondamentale risulta la biodiversità. Per mantenere il proprio equilibrio ambientale un territorio non deve trasformarsi per uniformarsi al resto del mondo, questo sarebbe contro natura e contro le sue origini per cui lo allontanerebbe dallo stato di equilibrio in cui si trovava
Approfondimento. Bioregionalismo.
Il bioregionalismo è una teoria ecologista formulata per la prima volta da Peter Berg nel 1971 che si basa sull’individuazione e lo studio di aree naturalmente definite chiamate bioregioni o ecoregioni,. In quell’anno durante una collaborazione fra Van Newkirk ed il militante ambientalista Peter Berg sorge la definizione di bioregione, come territorio che possiede caratteristiche di omogeneità culturale e biofisica. È un approccio etico, culturale, politico, ideologico, legato al territorio in cui si vive, considerato come un insieme omogeneo dal punto di vista morfologico e da quello degli esseri viventi. Storicamente rappresenta “l’intersezione” tra diverse anime culturali del movimento ambientalista: quelle tradizionaliste, (in senso eminentemente folclorico-ambientalista) e quelle localiste. Si tratta di una visione del mondo elaborata sulla base del termine bioregione, che deriva dalla parola greca bios (vita) e da quella latina regere (reggere o governare). Si tratta quindi di considerare
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un territorio geografico omogeneo in cui dovrebbero essere predominanti le regole dettate dalla natura e non le leggi che l’uomo avrebbe definito artificialmente. “Il governo della natura”, così Kirckpatrick Sale ha definito il più profondo significato di bioregionalismo. Tecnicamente la bioregione è un’unità territoriale, dalle caratteristiche fisiche ed ecologiche omogenee. Non esiste una dimensione standard: può essere una grande vallata fluviale o una catena montuosa, può abbracciare diversi ecosistemi. In un paese come l’Italia, non esistendoci ancora una classificazione condivisa, potremmo considerarla una sintesi tra un distretto
1. Il Territorio
prima di ospitare una comunità. Risolta l’esigenza di sviluppare concetti di “locale” e di “auto”, che sottolineano la necessità di affermare una cultura di autogoverno e di cura del territorio, si è in grado di superare l’affidamento della sostenibilità dello sviluppo
biogeografico e il territorio di una provincia. Nonostante le bioregioni siano tutte interrelate, ognuno di noi vive all’interno di una specifica e determinata bioregione e lo sforzo da fare è quello di riconoscerla, ritrovarsi in essa e di questa conoscere tutte le potenzialità e le risorse naturali, sociali e culturali, alla ricerca di un modo di vivere sostenibile e locale in armonia con le leggi della natura e con tutti gli esseri viventi. Sempre Peter Berg, considerato uno dei padri fondatori del bioregionalismo, ha definito la bioregione come “tanto il terreno geografico quanto il terreno della coscienza”. Il bioregionalismo è quindi quella “forma di organizzazione umana
ad accorgimenti tecnologici o a economie eterodirette, per approdare alla riconquista da parte degli abitanti della sapienza di produzione di qualità ambientale e territoriale, in un mondo popolato da tanti stili di sviluppo. 28
28. I. Sachs; 1993
decentrata che, proponendosi di mantenere l’integrità dei processi biologici, delle formazioni di vita e delle formazioni geografiche specifiche della bioregione, aiuta lo sviluppo materiale e spirituale delle comunità umane che la abitano” (Thomas Rebb). Infatti una volta che si è riconosciuta la propria bioregione, il proprio “luogo” che sia urbano, rurale o meno, bisogna viverci interamente, pensare in modo bioregionale, che non è l’adesione ad una nuova statica ideologia ma la scoperta, e la pratica quotidiana, di un nuovo vivere personale ed ecologista in armonia con la natura (il “real work” di Gary Snyder). L’elaborazione di tale concetto spetta all’intelletuale canadese Alan Van Newkirk. Quest’ultimo, studiando geografia umana, giunse alla conclusione che le comunità degli esseri viventi, interagiscono tra loro e con il loro ambiente fisico, secondo l’organizzarsi in insiemi che mostrano continuità tra le caratteristiche fisiche ed ecologiche.
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1. Il Territorio
TERRITORIO approccio A I N TALISTA
approccio FUNZIONALISTA monetizzazione del bene ambientale
ecocompatibilitĂ della crescita campi di interesse ristretti e isolati
azioni a sostegno del modello di sviluppo
fiducia nel futuro progresso per risolvere la sopportazione
azioni correttive obsolescienza dello sviluppo
Figura 10. I tre approcci alla sostenibilitĂ ambientale messi a confronto
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crescita economica illimitata
mercato super partes
biocentrico interazione reciproca e vitale fra insediamento antropico e l ambiente
am sist rispetto delle leggi di autoriproduzione
1. Il Territorio
O T ualità ambientale ambiente come sistema naturale
antropobiocentrico attenzione focalizzata sull ambiente dell uomo
territorializzazione problema ambientale come conseguenza dell intervento umano sul territorio nuovo modello
priorità alla vita umana
approccio IT O IALI STA
fondamentale autosostenibile durevole
legami tra ambiente fisico e ambiente sociale
locale
milieu
sistemi di relazioni virtuose fra le componenti costitutive del territorio
l ambiente T R E
territorio come neoecosistema prodotto dall uomo
andare oltre al problema ambientale l ambiente TRO I O
l ambiente O TR ITO
territorio locale come campo operativo in tute le declinazioni
autosostenibilità del modello ricerca di relazioni virtuose fra sostenibilità
azione ambientale valutata in relazione alla ualità della vita
ambientale sociale
politica economica
territoriale
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1. Il Territorio
1.15 L’identità del territorio.
Il progetto calato su un territorio ben preciso, di qualunque scala si tratti, per essere realmente compatibile e non causare squilibri deve partire dall’identità di quel territorio. Individuare l’identità territoriale richiede l’analisi di tutti i processi che hanno contribuito alla formazione del territorio, che quindi si articolano sui tre punti fissi dell’ambiente naturale, ambiente costruito e ambiente antropico per poi proseguire con l’interpretazione delle invarianti, dei sedimenti culturali, materiali e cognitivi. Il progetto che parte da questi presupposti inequivocabilmente si inserisce all’interno dell’ equilibrio territoriale senza comprometterne lo stato; esso produce territorializzazione e darà luogo a ricadute che andranno a depositarsi e ad accumularsi nell’identità di quel luogo. 29. Turco, 1988
L’interazione fra successivi atti territorializzanti determina in ogni luogo la massa territoriale che si presenta distribuita in modo non uniforme sulla superficie terrestre proprio per le caratteristiche univoche, differenziate della stratificazione dei cicli di territorializzazione nei diversi luoghi. 29 Sviluppare l’identità territoriale all’interno di un progetto accresce anche il suo valore attraverso lo sviluppo delle caratteristiche che vanno a costituire ciò che Turco chiama massa territoriale, cresce la sua unicità, la sua personalità e si rafforza il dialogo con il luogo. Ciò che conta è individuare la profondità storica dell’identità del territorio.
30. Carle, 1989
Un territorio ha sempre una sua profondità storica: il luogo come concetto storico, inscindibile dalla dimensione temporale ha una sua forza d’identità che interviene attivamente nella nostra esistenza individuale e collettiva, nei processi cognitivi, linguistici, percettivi, sensoriali anche se sovente questi si manifestano nelle forme latenti in una identità cachée di lungo periodo. 30 Nella messa in pratica a livello progettuale vanno sottolineate tre avvertenze: - l’analisi storica del processo di formazione del territorio non è finalizzata alla conservazione della natura originaria del luogo ma piuttosto per individuare i meccanismi virtuosi che delineano le regole per l’autoriproduzione. Questa ricerca è volta ad acquisire ciò che si definisce sapienza ambientale per individuare nuove forme di innovazione.
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- l’analisi del territorio deve tener conto anche dell’identità culturale propria di quel lungo e di ogni società storica che ha ospitato; è fondamentale individuare e comprendere i meccanismi che stanno alla base di quest’identità per superare l’uso di criteri universali di valutazione tipici del riduzionismo scientifico. - è necessario distinguere il consolidamento storico dell’identità territoriale da quelle che possono essere interpretazioni evoluzionistiche lineari; l’identità prende forma in modo indipendente dalle evoluzioni storiche senza essere soggetta alle loro discontinuità. In conclusione il riconoscimento di caratteristiche permanenti che definiscono l’identità di un luogo non deve essere interpretato come il risultato di un rapporto univoco, chiuso e deterministico fra uomo e territorio, ma bensì come punti fissi attorno a cui gravita un dialogo continuo tra i due attori che ha come risultato la simbiosi fra gli elementi naturali e quelli della comunità.
1. Il Territorio
1.16 La comunità locale e il soggetto.
La cura del territorio in forma durevole e la sua valorizzazione richiedono una comunità attiva, consapevole, in grado di fare le giuste scelte per coniugare saperi contestuali con conoscenze che rendono possibile lo sviluppo del progetto territoriale. Uno sviluppo locale autosostenibile, fondato sul riconoscimento e la valorizzazione del territorio deve poter contare sullo sviluppo di una comunità locale. È protagonista diretto il soggetto: l’individuo che abita il territorio non è più un utente che si presta a quel consumo acritico senza essere in grado di compiere delle scelte consapevoli ma, al contrario, è un soggetto consapevole fornito delle basi culturali al fine di fare le giuste scelte per il territorio. Parallelamente alla valorizzazione del territorio è necessario sviluppare i presupposti perché una società locale possa rinascere attraverso un nuovo legame sociale, una nuova democrazia che prende in considerazione realmente le esigenze della comunità e dia lo spazio necessario per compiere realmente delle scelte.
Tenendo conto di questo obiettivo prioritario gli approcci considerabili territorialisti assumono come referenti diretti i soggetti abitanti nella comunità insediata sul territorio; una grande importanza è ricoperta dalla loro capacità di autorganizzazione sotto il ruolo di produttori di territorio e qualità etica nel modello di consumo. Questo ruolo assume una valenza così strategica perché sul territorio la crescita economica non è più sinonimo di crescita di benessere, qui la valorizzazione del patrimonio territoriale viene assunta come condizione primaria per la produzione di ricchezza durevole. In questo modo il soggetto raggiunge prima di tutto due tipi di consapevolezza fondamentali: -delineando il territorio come spazio bioregionale può notare che nel modello di consumo attuale le ricadute causate dalle attività della comunità insediata enfatizzano e usano le risorse locali a fini esogeni, consumandole nella competizione del mercato mondiale, senza soddisfare necessariamente i bisogni degli abitanti locali. - il risultato di un’attività locale, che esso sia un prodotto o qualcosa non tangibile, porta in sé un diverso concetto di qualità che va ben oltre quello attuale testimoniato dalle certificazioni autoprodotte dalle multinazionali. Il soggetto è consapevole del fatto che un’attività proveniente dal proprio territorio risulta sotto stretto controllo grazie ad un contatto diretto tra consumatore produttore, per cui può essere oggetto di un miglioramento continuo grazie proprio o a questo atteggiamento collaborativo.
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1. Il Territorio
1.17 Le valenze della sostenibilità.
Figura 11. Le dimensioni inscindibili della sostenibilità secondo Ignacy Sachs
dimensione
ECOLOGICA
dimensione
GEOGRAFICA
O S T ENIBIL I
S
SOCIALE
dimensione
TÀ
dimensione
ECONOMICA
Fin dagli anni novanta il dibattito sulla sostenibilità a seguito del Rapporto Brundtland fa emergere che una visione settoriale del problema ambientale risulta limitata. La risposta diretta è stata quella di evidenziare la necessità di utilizzare un sistema complesso che prende in considerazione indicatori multisettoriali, mettendo così in discussione gli approcci funzionalisti e ambientalisti. Ignacy Sachs nel 1993 enuncia cinque dimensioni inscindibili della sostenibilità: sociale, economica,
Figura 12. Gli obiettivi integrati per il risanamento ambientale
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dimensione
CULTURALE
ecologica, geografica, culturale. Bookchin nel 1989 enuncia principi di ecologia sociale come fondamentali per il risanamento ambientale. Andreas Kipar nel 1993 assume cinque obbiettivi integrati come riferimento per il risanamento ambientale: conservare e sviluppare il potenziale ecologico, la qualità estetica e morfologica del paesaggio, la qualità sociale, la qualità produttiva con fini ambientali, la qualità funzionale dello spazio per le connessioni a rete.
Obiettivi INTEGRATI
QUALITÀ FUNZIONALE DELLO SPAZIO PER LE CONNESSIONI A RETE QUALITÀ PRODUTTIVA CON FINI AMBIENTALI QUALITÀ SOCIALE QUALITÀ ESTETICA E MORFOLOGICA DEL PAESAGGIO CONSERVAZIONE E SVILUPPO DEL POTENZIALE ECOLOGICO
RISANAMENTO AMBIENTALE
1. Il Territorio
È dunque stato chiaro fin da subito che il processo di trasformazione ecologica verso la sostenibilità non possa riguardare separatamente un settore, ma investa necessariamente con progetti integrati l’intera cultura materiale della società. Successivamente a queste suddivisioni la ricerca scientifica di stampo ambientalista conferma l’inefficienza di un’ottica settoriale e abbraccia una visione sistemica in cui diverse sfaccettature della sostenibilità dialogano tra loro per raggiungere l’obiettivo comune. Alberto Magnaghi, in linea con queste proposte, individua cinque sfaccettature della sostenibilità affrontate qui di seguito analizzando il suo testo “Il progetto locale”.
scambio fra diversità può portare all’interesse comune; richiede una cultura di governo della complessità che sa trattare i conflitti d’interesse come risorsa politica per lo sviluppo di socialità, in contrapposizione a una cultura della polarizzazione sociale. L’ipotesi che sostanzia il postulato della sostenibilità politica dello sviluppo locale è che la crescita di società locali (caratterizzate da forti istituti democratici, da forti legami sociali, da diversi stili di sviluppo, e connesse fra loro da una fitta rete di relazioni non gerarchiche) riesca ad incremetare la forza di contrapposizione alle leggi omologanti della globalizzazione economica ed inoltre alimenti nuove forme di ”glocalizzazione dal basso”.
La sostenibilità politica.
Sostenibilità sociale.
Per sostenibilità politica si intende una elevata capacità di autogoverno di una comunità insediata rispetto alle relazioni con i sistemi decisionali esogeni e sovraordinati. 31
Per sostenibilità sociale si intende un elevato livello di integrazione degli interessi degli attori deboli nel sistema decisionale locale con equità sociale e di genere. 32
Il territorio è divenuto il luogo di creazione della catena del valore e l’interesse politico ritrova il suo epicentro sulle modalità di gestione e appropriazione del valore prodotto dal territorio messo al lavoro. Il nodo politico della sostenibilità riguarda di conseguenza i modi di appropriazione del valore aggiunto che si crea sul territorio. Dar forza ai soggetti che producono (o potrebbero produrre se adeguatamente valorizzati) valore aggiunto territoriale è la via maestra per fare società locale, ovvero far crescere forme di autogoverno delle comunità insediate. Questa crescita richiede forme di governo sorrette da processi partecipativi e di governance allargata che vadano nella direzione della costruzione di patti socialmente condivisi per uno sviluppo fondato sulla valorizzazione del patrimonio territoriale. La nuova comunità che si forma nella pattuizione di un progetto di futuro nasce, in una società locale complessa, multiculturale, da interessi necessariamente conflittuali. Tuttavia, lo sviluppo dell’autogoverno locale, fondato proprio sulla valorizzazione delle peculiarità e sul riconoscimento delle differenze, dovrebbe consentire di comporre il conflitto individuando i beni comuni su cui costruire collettivamente valore aggiunto territoriale. L’antagonismo si ridefinisce come conflitto tra eterodirezione e autogoverno. La crescita dell’autogoverno di una società complessa richiede una cultura della comprensione e del riconoscimento dell’alterità come valore fondativo della relazione sociale, e dell’arricchimento incrementale che lo
Il sistema di attori pubblici e privati che individua gli obiettivi di sviluppo e organizza gli istituti locali di governance dev’essere sufficientemente complesso da garantire la presenza degli attori sociali più deboli; l’ente pubblico territoriale ha la responsabilità di far accedere al tavolo della politica gli attori muti, facendosi in questo modo garante del fatto che le risorse territoriali, comprese quelle umane, non siano sfruttate e consumate a vantaggio di attori locali forti nella competizione globale, ma il loro uso sia indirizzato all’equità e al benessere sociale. La soluzione di questo problema è decisiva poiché nella maggior parte delle esperienze di sviluppo locale di attori che hanno voce sono quelli che hanno accesso alla politica, all’informazione, alle risorse economiche e culturali, alle reti di comunicazione per proporre progetti. La rappresentazione del territorio che ne emerge e lo scenario di futuro sono spesso piegati agli interessi di pochi attori che accedono alla negoziazione. Non si tratta di distruggere i valori delle comunità esistenti ma di contribuire alla crescita della “comunità possibile” su quel territorio, che nella società molecolare postofordista è volontaria, si costruisce attraverso il progetto come ricerca di autodeterminazione, come crescita del legame sociale fra Stato e mercato.
31. 32. 33. 34. 35 Magnaghi, 2010
Sostenibilità economica. Per sostenibilità economica si intende la capacità di un modello di crescita di produrre valore aggiunto territoriale. 33
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1. Il Territorio
Nella prospettiva di un modello di sviluppo fondato sulla valorizzazione del patrimonio territoriale, dove sono le risorse del territorio a creare valore aggiunto, va superato il concetto di “ecocompatibilità” delle attività produttive, verso il concetto di “autosostenibilità” ricostruendo le sinergie interrotte fra territorio, ambiente e produzione. I concetti di capitale fisso e capitale variabile fanno riferimento alle risorse ambientali, territoriali e socioculturali di ogni singolo luogo. Per perseguire l’autosostenibilità economica è necessario inserire nella valutazione dei progetti di sviluppo locale i criteri per la selezione e la valorizzazione delle attività agricole, commerciali, industriali e terziarie che: - producono valorizzazione del patrimonio territoriale, ambientale e del milieu socio-economico. - agevolano lo sviluppo di autoimprenditorialità locale in relazione alla valorizzazione delle risorse locali. - agevolano le imprese di produzione, le attività di scambio e le attività finanziarie di valenza critica, che producono beni e servizi pubblici. - producono beni relazionali sottratti all’eterodirezione della grande impresa. - favoriscono la formazione di filiere produttive complesse, intersettoriali, in grado di produrre sistemi economici a base locale e di adattarsi alle turbolenze del contesto. - qualificano l’identità produttiva, culturale, sociale della regione favorendo la permanenza degli abitanti e la loro integrazione in quanto produttori. Rispetto alle fluttuazioni finanziarie dei mercati globali influenzati da macro movimenti che non hanno più alcun rapporto con i territori, la complessità dei legami all’interno di un sistema economico a base locale garantisce l’autoriproduzione del sistema stesso e favorisce un corretto uso delle risorse per un aumento di valore durevole del patrimonio territoriale. L’esempio delle aree di crisi del modello fordista rende evidente la necessità di superare visioni monoculturali, verso le economie distrettuali complesse che garantiscono la conservazione dell’identità e del sistema a fronte delle turbolenze del mercato mondiale attuando forme di dialogo o scambio solidale verso l’esterno, coerenti con un accrescimento di valore del patrimonio: scambi di complementarietà, di sussidiarietà e non di sfruttamento di risorse altrui. Sostenibilità ambientale. La sostenibilità ambientale dovrebbe essere prodotta dall’attivazione di regole virtuose dell’insediamento umano, atte a produrre autosostenibilità, superando logiche settoriali che si limitano a misure vincolistiche impiantistiche. 34
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Riproporre queste regole all’interno di processi di produzione del territorio richiede un passaggio operativo all’ecosistema territoriale, inteso come stato regionale che consente di affrontare in modo continuo e sistemico il trattamento di sistemi ambientali delle reti ecologiche (bioregione). La valutazione di sostenibilità dovrebbe essere applicata alla capacità dei progetti integrati di ridurre l’ecological footprint e lo spazio ambientale (area mondiale di consumo di risorse da parte di una città o una regione) attraverso: - azioni di chiusura locale di cicli (acque, rifiuti, alimentazione, energia, ecc.) a livello della regione urbana (sostenibilità forte) o della bioregione che comprende città, urbanizzazioni diffuse e stati aperti; - la riproduzione della mobilità delle persone e delle merci progettando modelli insediativi a basso tasso di mobilità e filiere dei prodotti locali a circolazione locale (reti corte) per l’abbassamento dell’intensità di energia dei trasporti; - il rilevamento della qualità e unicità dei prodotti; - il restauro e la riqualificazione della struttura e del funzionamento di sistemi ambientali e delle condizioni della loro autoriproduzione; - riqualificazione delle attività agricole e forestali come produttrici anche di beni pubblici. Sostenibilità territoriale. Per sostenibilità territoriale si intende la capacità di un modello insediativo, con le sue regole produttive e riproduttive, di favorire e sviluppare riterritorializzazione. 35 La valutazione di questa sostenibilità mette in gioco gli scenari insediativi a cui fa riferimento il progetto di sviluppo locale autosostenibile e costituisce la verifica del grado in cui l’organizzazione dello spazio fisico espressa dallo scenario contribuisce a rendere realizzabili le altre quattro sostenibilità. In generale gli scenari dovrebbero rispondere, nelle forme specifiche inerenti ad ogni contesto, ai seguenti obiettivi: - progettare la trasformazione di sistemi regionali centro-periferici verso sistemi reticolari multipolari non gerarchici; - perseguire il blocco del consumo di suolo riorganizzando lo spazio edificato esistente e il recupero delle aree dismesse; - disegnare il sistema reticolare della regione urbana attraverso: la complessificazione funzionale dei nodi; la diffusione a rete dei servizi; la riduzione della mobilità; la compattazione di tessuti urbani e la loro articolazione
1. Il Territorio
produttiva con l’integrazione delle strutture artigiane e di microimpresa; la riorganizzazione dello spazio pubblico con criteri di accessibilità connessi alla multipolarità del sistema regionale;
In sintesi la valutazione complessiva di autosostenibilità di un sistema territoriale locale riguarda la produzione di nuova territorialità mettendo in relazione virtuosa e sinergica la produzione di valore aggiunto territoriale (sostenibilità economica), producendo processi di riterritorializzazione (sostenibilità territoriale), con l’aumento della capacità di autogoverno (sostenibilità politica), la crescita di complessità e integrazione del sistema decisionale (sostenibilità sociale), l’attivazione di regole insediative che producono nuovi equilibri ambientali (sostenibilità ambientale).
- recuperare la profondità geografica e storica del territorio regionale, mettendo in valore tutti i patrimoni territoriali; - costruire sistemi di rappresentazione dell’identità di luoghi e regole che indichino le trasformazioni possibili per realizzare l’aumento di valore territoriale; -elaborare modelli strumenti di valutazione integrati intersettoriali.
Figura 13. L’autosostenibilità
a territoriale loca m e t le Si s
Nuova territorialità VALORE AGGIUNTO TERRITORIALE
(Sostenibilità AMBIENTALE)
RITERRITORIALIZZAZIONE
ON
CH
LA
ZI
E
RE
(Sostenibilità ECONOMICA)
La capacità di un modello di crescita di produrre valore aggiunto territoriale.
REGOLE INSEDIATIVE PER EQUILIBRI AMBIENTALI
IV I RTUOSE E S I N
(Sostenibilità TERRITORIALE)
La capacità di un modello insediativo, con le sue regole produttive e riproduttive, di favorire e sviluppare riterritorializzazione.
G ER
I
Regole virtuose dell'insediamento umano, atte a produrre autosostenibilità, superando logiche settoriali che si limitano a misure vincolistiche impiantistiche.
ARTICOLAZIONE E INTEGRAZIONE SISTEMA DECISIONALE
(Sostenibilità SOCIALE)
AUMENTO CAPACITÀ DI AUTOGOVERNO
(Sostenibilità POLITICA)
La capacità di integrazione degli interessi degli attori deboli nel sistema decisionale locale con equità sociale e di genere.
La capacità di autogoverno di una comunità insediata rispetto alle relazioni con i sistemi decisionali esogeni e sovraordinati.
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1. Il Territorio
La necessità di coerenza e sinergia fra questi cinque ambiti di valutazione della sostenibilità rafforza l’affermazione iniziale che la ricostruzione delle relazioni coevolutive interrotte fra insediamento umano e ambiente richiede trasformazioni radicali nel concetto di produzione della ricchezza. L’inversione della curva delle nuove povertà si può attuare solo internalizzando negli indicatori della crescita e della ricchezza la produzione di ambienti insediativi ad alta qualità territoriale. Il problema è dunque riprendere, in forme nuove, la produzione interrotta di territorialità, in quanto produzione di valore. Il termine autosostenibilità riferito ad una società locale deve mettere in discussione tutte le variabili che identificano lo sviluppo con la crescita economica. La sostenibilità risulta una qualità duratura dell’organizzazione socio-territoriale che si autosostiene nei suoi processi di trasformazione. La risposta al problema ambientale si trova quindi in un approccio che deve consentire uno sviluppo locale autosostenibile. L’approccio deve essere multidisciplinare in quanto mobilita le principali variabili dell’organizzazione socio-economica e le loro interrelazioni. Lo sviluppo locale nasce a partire dai presupposti normativi ideati per la valorizzazione delle risorse territoriali e delle identità locali, esso deve poter sostituire lo sviluppo attuale con modelli alternativi più consapevoli senza agire a discapito del benessere della comunità. Il termine sviluppo non può che riferirsi alla crescita della società locale e alla sua capacità di autogoverno (e non alla crescita economica) per produrre benessere individuale collettivo; lo sviluppo delle società locali, di loro autonomi e differenziati stili di sviluppo e delle loro reti non gerarchiche è assunto come alternativa strategica alla globalizzazione economica.
Figura 14. Approccio funzionale alla globalizzazione. TOP-DOWN (dal centro al locale).
I problemi di sostenibilità dello sviluppo richiedono necessariamente di prendere in considerazione i fattori locali come indicatori. Oggi il locale visto come spazio terreno è un oggetto veramente conteso: tutti hanno bisogno di un luogo materiale, dall’impresa multinazionale delocalizzata che pratica dumping salariale e ambientale sfruttando sullo scacchiere mondiale i differenziali locali dei diritti sociali e ambientali, ai sistemi di stati-nazione in crisi senza sviluppo, ai sistemi regionali che cercano di riappropriarsi dei mezzi di produzione della vita nel proprio milieu. Per questo a partire dagli anni novanta il locale, che nell’organizzazione fordista era un problema marginale, è diventato fondamentale e sta sotto l’attenzione di tutti. Le modalità della gestione delle risorse locali e della loro appropriazione rappresentano dunque il principale terreno dello scontro sui modelli futuri di società. Si possono individuare tre atteggiamenti che connotano il rapporto tra locale e globale: Approccio funzionale alla globalizzazione economica (top-down, dal centro al locale). In questo caso l’ambito locale si appiattisce sulla ricerca al ribasso di differenziali contrattuali, retributivi e di diritti del lavoro da parte delle imprese multinazionali attraverso la mobilizzazione rapida nello spazio e nel tempo di investimenti sul panorama mondiale, oppure dall’altra parte sulla competizione fra aree produttive nella corsa a posizionarsi verso l’alto, attraverso lo sfruttamento delle risorse territoriali da parte degli elettori locali più forti. In questi casi i governi locali sono tenuti a misurarsi isolatamente e in competizione fra loro con le regole generali dei mercati finanziari globali. Così facendolo lo sviluppo locale risulta in funzione dell’aumento della competitività locale nel sistema economico globale e le risorse locali sono sfruttate fino
AZIONI E CONNESSIONI SVILUPPO LOCALE
UTILIZZO RISORSE
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Prevalentemente orizzontali In funzione di una competitività globale debole e svantaggiosa Assorbimento dalla scala globale attraverso un’alleanza impari tra orizzonte globale e locale
1. Il Territorio
ad esaurimento dall’alleanza fra finanza globale e attori economici locali forti. Una volta raggiunto l’esaurimento l’unica via percorribile sarà la mobilizzazione altrove. Approccio di ricerca di equilibri fra locale e globale (glocale). Queste azioni possono essere considerate correttive e indirizzate a perseguire il rapporto di equilibrio fra la valorizzazione delle peculiarità locali e la loro differenziazione competitiva sul mercato globale. Ne consegue un generale rafforzamento della società locale con un margine decisionale più ampio nel processo di globalizzazione. Al tempo stesso, come afferma Bonomi nel 1997, solo le realtà in grado di connettersi alle reti lunghe del globale riescono a trarre benefici, solo se sufficientemente forti possono mettere in relazione le azioni “verticali” sul territorio con quelle “orizzontali” verso l’esterno e gestire il proprio patrimonio territoriale come risorsa per sopravvivere.
AZIONI E CONNESSIONI
SVILUPPO LOCALE
UTILIZZO RISORSE
Così facendo è possibile prevedere un rinnovamento delle risorse ma nel caso contrario si avrà la fine delle relazioni orizzontali verso l’esterno e la decadenza per isolamento. Sottoscrivendo questo tipo di approccio si ha il rischio che l’ambito locale venga schiacciato dal forte squilibrio nella relazione con il globale; chiaramente ogni locale si trova solo nella competizione, non può far valere i propri diritti e se vuole inserirsi nella competizione globale deve adeguarsi alle regole di sviluppo date. Proprio qui nascono i presupposti di una crescita della società locale con una reale capacità di autogoverno e di autosostegno del proprio sistema economico: diviene essenziale rafforzare la capacità autonoma in risposta alle sollecitazioni della globalizzazione economica.
Verticali in relazione alle possibilità orizzontali
Figura 15. Approccio di ricerca di equilibri fra locale e globale. GLOCALE
Rischiosa competitività rafforzata nel globale dalla differenzazione Depauperamento con rischio di mancato rinnovamento per collasso
Sviluppo locale versus globale (bottom-up; globalizzazione dal basso, dal locale al centro). Si tratta di un approccio che conferisce libertà alla crescita delle società locali e agli stili di sviluppo peculiari di ognuna. Si avranno delle organizzazioni non gerarchiche, ma di cooperazione fra realtà locali verso un sistema di relazioni costruite dal basso e condivise. Questo sviluppo assume i patrimoni locali (culturali, sociali, produttivi, territoriali, ambientali) come base su cui articolare le proprie azioni autosostenibili. La costruzione di un patto socialmente esteso per la valorizzazione del patrimonio territoriale come base materiale per la produzione della ricchezza costituisce la garanzia della salvaguardia ambientale (sostenibilità ambientale) e della qualità territoriale (sostenibilità territoriale), dal momento che nella costruzione stessa del progetto si determinano le condizioni solidali e di
fiducia per la difesa e la valorizzazione del bene comune condiviso; ma solo la presenza nel patto dei bisogni degli elettori più deboli garantisce la sostenibilità sociale, pena lo sfruttamento e l’esaurimento delle risorse umane e materiali nella competizione sul mercato da parte degli elettori forti. Lo sviluppo locale così inteso induce il superamento di norme e vincoli esogeni verso regole di autogoverno concentrate sorrette da un senso comune condiviso (sostenibilità politica). Il progetto locale così delineato trae le condizioni, durante la sua costruzione, della trasformazione degli stili di vita, di consumo e di produzione. Questo complesso tessuto produttivo può costituire la base dello sviluppo locale auto sostenibile se dotato di statuti propri (sostenibilità economica). 36
36. Magnaghi, 2000
Nel terzo approccio, e in parte nel secondo, lo sviluppo locale assume i connotati politici di una ricerca
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1. Il Territorio
di tanti stili di sviluppo alternativi e peculiari del territorio per far fronte all’omologazione indotta dalla globalizzazione. Il risultato sarà un mondo plurale, solidale, degerarchizzato che prenderà forma in tante micro realtà organizzate in un fitto reticolo in grado di sopravvivere alla pressione delle grandi reti fortemente
Figura 16. Sviluppo locale versus globale. BOTTOM-UP (dal locale al centro).
centralizzate e della globalizzazione economica. Il modo di attingere dal patrimonio delle risorse locali diventa importantissimo, esso andrà rapportato ai problemi della sostenibilità per conservare e valorizzare il territorio per le generazioni future.
AZIONI E CONNESSIONI SVILUPPO LOCALE
UTILIZZO RISORSE
Verticali Collaborazione e cooperazione non gerarchica tra attori locali in base alle peculiarità territoriali Conservazione e valorizzazione come patrimonio su cui basare lo sviluppo
1.18 La visione locale del territorio.
37. Magnaghi, 2000
Il territorio è paragonabile ad un “soggetto vivente ad alta complessità” 37, è come la risultante dell’interazione di lunga durata fra l’insediamento umano e l’ambiente, ciclicamente trasformato dal succedersi della storia.
38. Bateson, 1984
Questo soggetto è vivente in quanto opera non totalmente artificiale ma prodotto di una relazione coevolutiva, in questo processo di coevoluzione il territorio assume nel tempo i caratteri di un organismo individuale che cresce, si sviluppa, si differenzia, ma ha anche nei limiti, una finitudine. 38
39. Magnaghi, 2000
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La trasformazione dinamica risultante dal connubio tra territorio locale e azione antropica da vita ad una struttura instabile, lontana dall’equilibrio. Questo stato
dinamico è frutto di relazioni complesse e sovrapposte, esso produce paesaggi visibili attraverso dinamiche in gran parte invisibili. L’azione antropica produce nel tempo sul territorio neoecosistemi, caratterizzati da un’alta complessità che restano in vita solamente se messi in pratica dalla cultura e dalle regole che li hanno generati. In caso contrario, se subentrano nuove condizioni, è necessario che questi neoecosistemi vengano comunque alimentati, mantenuti e aiutati a crescere nelle loro trasformazioni continue perché non sono paragonabili al sistema Gaia che nei tempi lunghi trova sempre un nuovo equilibrio biologico anche in assenza dell’uomo. Nell’organizzazione dell’insediamento contemporaneo, la rottura del legame fra cultura e natura che sta
1. Il Territorio
all’origine della vita e della crescita storica del territorio rischia di provocare la morte. Questo evento non è un dramma per la natura, ma può esserlo per la specie umana e le sue generazioni future. 39 Questo significa che il territorio, in quanto sistema vivente, esiste come soggetto di lunga durata: di esso si può favorire il degrado e la morte, laddove il suo uso non interessa più, oppure la trasformazione verso nuovi ecosistemi, laddove se ne individua una nuova utilità; ma in questo secondo caso occorre tener conto del fatto che come ogni sistema vivente ha regole di crescita e riproduzione che vanno rispettate nel progetto di trasformazione (le regole che in biologia si chiamano invarianti strutturali). Le invarianti strutturali di un territorio devono essere osservate come le regole per la sua trasformazione e non come vincoli della conservazione del territorio storico. Di fronte a queste regole ci si può comportare in modi differenti: - Facilitando la dissipazione, il degrado, l’esaurimento o la distruzione; questo è quanto è successo nel modello socio-economico che si è liberato dai vincoli territoriali e dal territorio stesso trattandolo come mero supporto di processi economici e provocando la cosiddetta deterritorializzazione. - Conservando le risorse per le generazioni future; questa è la cultura del Rapporto di Brundtland che impone regole e limiti al consumo delle risorse facendo riferimento ad un concetto di “ecocompatibilità” dello sviluppo rapportato alla “ecocapacity” (ecological carryng capacity) dei sistemi ambientali, senza però variare le leggi dello sviluppo stesso. - Valorizzando il territorio; questo significa produrre nuove azioni territorializzanti al fine di aumentare il valore del patrimonio territoriale, attraverso la creazione aggiuntiva di risorse. Così facendo il modello che si viene a creare ridefinisce le proprie regole per raggiungere l’obiettivo della valorizzazione delle risorse territoriali in vista di una autoriproducibilità di lungo periodo. Le risorse del territorio sono attentamente interpretate e valutate come fonti primarie della qualità specifica e locale per la produzione durevole di ricchezza. La rinnovata attenzione all’identità dei luoghi acquista un senso strategico se si muove in questo orizzonte culturale: considerare il territorio come un patrimonio da cui attingere per produrre ricchezza attribuendo nuovi valori come risorsa e continuando, attraverso la produzione di nuovi atti territorializzanti, ad aumentarne costantemente il valore. 40
40. Magnaghi, 2000
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1. Il Territorio
1.19 Valore di esistenza e valor d’uso.
41. Ferraro, 1998
È necessario a questo punto fare una distinzione fra valore di esistenza e valore d’uso: con questi due concetti s’intende rispettivamente patrimonio e risorsa. Il patrimonio territoriale si struttura a partire dalla relazione nel processo storico di territorializzazione tra le componenti ambientali (i neoecosistemi) e le componenti antropiche (modelli socioculturali e identitari). Le modalità di integrazione e le qualità delle relazioni reciproche fra questi componenti esprimono il valore relazionale del patrimonio. Questo tipo di valore non dipende dall’uso del territorio che una comunità può mettere in atto secondo i propri modelli culturali e le proprie esigenze. Proprio per questo la trasformazione attiva del
paesaggio può conservare i suoi caratteri identitari. Questo concetto è proposto anche da Francois Choay [1973] sulla concezione di Geddes del patrimonio che include il concetto di continuità del tempo e della storia ed esclude radicalmente un’idea di conservazione intesa come ripetizione, ma piuttosto come reinterpretazione e trasformazione. Giovanni Ferraro, a conferma di questa tesi, afferma invece che: ... il planning non è altro che questa riflessione continua e creativa sull’evoluzione, capace di rimettere in circolazione l’heritage, altrimenti oppressivo, del passato come tradizione volontariamente scelta e resa disponibile per il cammino ulteriore, e di alimentare di speranza il pensiero del futuro, che altrimenti sarebbe
Approfondimento. Localismo.
Il Localismo - da locus, luogo, contesto, stare in, esser-ci - è una concezione della vita che tende al riavvicinamento emotivo dell’individuo con le fonti primarie delle sue esperienze sia all’interno di sé, sia verso la realtà esterna, per riequilibrare l’alienazione prodotta dalla società detta ‘globale’ dove gli obiettivi dominanti sono i risultati tecnologici e quantitativi. Il Localismo ritiene che il benessere venga più dal contatto con la realtà concreta e vicina che non con la realtà astratta e lontana. Ritiene che la soddisfazione non venga solo dall’ottenimento degli obiettivi, ma soprattutto dal processo esperienziale che si vive per raggiungere l’obiettivo. Ritiene altresì che la soddisfazione non venga dalla quantità o dalla dimensione delle cose che si possiedono o si raggiungono, ma dal significato che la cosa ha per il soggetto e quindi una cosa piccola che attiva all’interno di sé un’emozione profonda è più importante di una cosa grande ma che su un piano emotivo rimane astratta e lontana. Localismo quindi è un processo di riavvicinamento a questi valori interiori spostandosi dall’ideale della crescita quantitativa e dell’espansione geografica, verso il recupero della qualità di relazione con la singola cosa o la singola persona. Si tratta quindi di preferire il “Locale” sia come luogo emotivamente interiore, sia come luogo geografico, poiché solo attraverso un restringimento dello spazio nel quale opera l’individuo si può avere un contatto più sentito con le cose o le persone che lo compongono. Il Localismo ritiene che il perseguimento dei valori quantitativi oltre un certo limite rappresenti un costo energetico ed emotivo inutile per l’individuo e quindi un suo impoverimento e cerca di definire questo limite all’interno del soggetto per coglierne il reale vantaggio. Questo percorso di ricollocazione interiore dei valori può avvenire attraverso un’analisi psicologica, antropologica, storica, biologica, etologica, filosofica ed esperienziale. Si ritiene altresì che tutti gli individui abbiano in comune i sentimenti più profondi, e che questa condivisione empatica sia fonte di benessere, arricchimento della vita ed equilibrio sociale. Questa concezione non deriva da premesse etiche, ma da dimostrazioni razionali e scientifiche,
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dove la ragione e il sentimento non sono scissi ma si rinforzano a vicenda. Il Localismo chiede oggi che obiettivi quantitativi come Progresso, Sviluppo, Globalizzazione, Economia, Tecnologia, Scoperte, Invenzioni, vengano sostenuti dalla dimostrazione razionale e scientifica dei loro vantaggi per l’uomo nella sua interezza. Chiede che gli individui non siano più trascinati acriticamente da ideali ed etiche che rappresentano un rischio assai maggiore di quelli che hanno sprofondato fino ad oggi l’umanità nei baratri dolorosi della sua storia. Ritiene che sia giunta il momento di una consapevolezza più completa degli obiettivi e dei valori umani. Il Localismo si rende evidentemente conto che la realtà mondiale è oggi unificata da una serie di connessioni di tutti i tipi, non più formata da realtà individuali e che il tutto prende il nome di Globalizzazione. Tuttavia il termine Localismo serve proprio a individuare il percorso di recupero consapevole dei valori più concreti e interiori eliminati arbitrariamente da quel processo di omologazione. Il riavvicinamento con le fonti primarie dell’esperienza, riporta le problematiche mondiali a livello geograficamente locale. Questo facilita la soluzione di problemi e insieme il mantenimento di valori che sul piano globale andrebbero persi. Il Localismo è una visione della vita nelle sue varie espressioni, come viene indicato nei paragrafi successivi.
1. Il Territorio
ridotto a irrompere nella città solo come innovazione imprevedibile, può pesare su di essa come condanna la ripetizione. 41 Quindi il patrimonio, se inteso come categoria culturale ed economica, non si svela di per sé, ma soltanto nell’interpretazione che ne viene data da chi lo riusa. Secondo Claude Raffestin il carattere culturale del concetto di risorse si chiarisce in questo mondo: .. è effettivamente l’uomo che con il suo lavoro inventa le proprietà della materia. Le proprietà della materia non sono date ma inventate… la risorsa è una relazione che fa emergere alcune proprietà della materia necessarie al lasso di stazione di bisogni. 42 In questo modo il concetto di territorio inteso come risorsa utilizzabile va rapportato ad un valore storico: il patrimonio territoriale richiede un giudizio per essere ritenuto valevole da una data civilizzazione, ma indubbiamente possiede anche un valore di esistenza
per le generazioni future entro l’accezione più generale di bene comune: “un valore che prescinde dal suo uso attuale o dai molti usi possibili attraverso la sua messa in valore in quanto potenziale risorsa” 43. Per questo, in una certa fase storica, è possibile che il patrimonio territoriale non venga usato perché ritenuto di scarso interesse, ma se questo viene distrutto in modo irreversibile non potranno più utilizzarlo neanche le generazioni future. Questo concetto sta alla base della sostenibilità. Essendo però il territorio un sistema vivente ad alta complessità prodotto dall’uomo non può essere semplicemente accantonato perché privo di valore in quel periodo storico. Esso ha bisogno di cura, il che richiede una presenza attiva anche senza l’utilizzo. Nello sfortunato caso in cui l’utilizzo entra in conflitto con la cura, oppure la conservazione non prevede una manutenzione costantemente attiva, si ha la perdita del patrimonio territoriale e con esso della risorsa territoriale.
43. Magnaghi, 2000
42. Raffestin, 1981
1.20 Progetto locale e localismo.
È importante sottolineare che il locale non si identifica riduttivamente con l’affermazione “piccolo è bello”, esso è un criterio interpretativo che fa emergere e valorizza le peculiarità del luogo indipendentemente dalla dimensione geografica. Facendo un passaggio ulteriore rispetto al concetto di localismo ciò che conta veramente è valorizzare queste caratteristiche. Esse sono endogene, uniche, complesse e indipendenti; qui il progetto locale fonda le sue radici per attuare le trasformazioni possibili. Se intendiamo il localismo come comportamento di difesa e di chiusura di una comunità radicata sul territorio ci scontriamo molte volte con la realtà:
infatti gli atteggiamenti distruttivi nei confronti del patrimonio sono spesso praticati da popolazioni locali che abbracciano modelli culturali di modernizzazione e che vedono questo patrimonio come merce da sfruttare in un’ottica globalizzata, come riporta Tarozzi con il concetto di “localismo vandalico”. Il progetto locale come atteggiamento culturale, al contrario, attiva relazioni, denota e valorizza sul territorio i soggetti, le loro competenze e i comportamenti che sono portatori di relazioni virtuose con il patrimonio territoriale e quindi si qualificano come i nuovi attori del processo di costruzione per la società locale e lo sviluppo della sua importanza.
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1. Il Territorio
Figura 17. Il progetto locale
LOCALISMO
PROGETTO LOCALE Soggetti del territorio
Risorse e peculiarità
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LUPPO D UREVOLE
1.21 L’idea dell’auto.
La nozione di autosostenibilità si fonda sull’assunto che i soggetti abitanti un territorio siano in grado di sostenere quest’ultimo attraverso la sua cura e la creazione di nuovi equilibri durevoli con l’ambiente. È così che concetti come autosostenibilità, autodeterminazione, sviluppo sostenibile e sviluppo autocentrato diventano strettamente interdipendenti; da questo nasce una nuova e necessaria relazione tra comunità e territorio che ci fa rivisitare il ruolo degli abitanti. Il consumatore dovrà imparare a “saper fare” e a
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produrre perché la sua figura verrà riunificata a quella del produttore: l’idea di autosostenibilità porta con sè la forte necessità di un ridimensionamento del dominio dell’economico, ormai divenuto troppo dominante, che ha destabilizzato la capacità di autorganizzazione della comunità e dell’ambiente. È necessario un forte processo di decentralizzazione che consenta il rafforzamento di pratiche di cooperazione dove la comunità possa sentire il territorio veramente suo garantendo una nuova accumulazione di capitale sociale realmente radicato.
1. Il Territorio
Il processo “spoliazione dei saperi contestuali” che ha affidato la produzione delle merci e dei servizi-merce ai grandi apparati produttivi finanziari, ha portato a lungo termine, ad una delega totale ai sistemi funzionali e tecnologici di tutte quelle attività che storicamente includiamo nel concetto di “Saper Fare” della comunità. Oggi è normale che un individuo salariatoconsumatore, reso incapace di aggiustarsi il tetto, o di coltivarsi la verdura o di socializzare non sia capace di partecipare alla produzione dell’ambiente che lo ospita perché questo richiede il possesso dei mezzi e delle conoscenze adeguate. Le dinamiche che spingono il territorio verso l’autonomia vanno a comporre il profilo del soggetto che vive in questo nuovo modello societario. Lavoro autonomo, microimpresa, crescita di relazioni sociali non mercantili e conoscenza dei processi produttivi sono componenti del nuovo modello comportamentale ambientalmente e socialmente autocentrato. Il lavoro salariato di natura fordista ha tra le sue caratteristiche la parcellizzazione estrema delle mansioni e il trasferimento del sapere nel macchinario, in questo mondo si esaspera la distanza tra il lavoratore e la sua mansione vista nell’ottica del potere decisionale. Anche il lavoratore autonomo può essere soggetto a sfruttamento ma, per le peculiarità stesse dell’organizzazione produttiva molecolare, per il ruolo della conoscenza e dell’informazione nella creazione di valore nei processi produttivi del terziario avanzato e del neoartigianato, può compiere scelte produttive coerenti con il suo stile di vita, la sua etica, le sue convinzioni culturali e con l’ambiente che lo circonda. Si risaldano i legami con il territorio, in diretta contrapposizione con l’attuale alienazione, ma ovviamente a favore di un contatto diretto con il territorio delle sue risorse. Il lavoro autonomo e di microimpresa di “seconda generazione” contiene potenzialmente proprio questo tipo di riavvicinamento. Sergio Bologna enuncia con chiarezza i tratti costitutivi del lavoro autonomo di seconda generazione come potenziale costruttore di nuovi statuti sociali oltre la civiltà capitalista del lavoro salariato, verso nuovi equilibri fra neoradicamento della società locale autogovernata e con il contesto globale. La distanza fra abitante e produttore, produttore e consumatore si accorcerebbe, il che significa un altro passo verso nuove forme di autogoverno e di democrazia della società locale, verso la sostenibilità, perché il produttore: - ritorna a possedere le nozioni tecniche che compongono il quadro generale delle relazioni molecolari con chi gli sta a fianco. - diventa un tassello fondamentale del mosaico della cooperazione sul territorio.
- amplia il ventaglio di attività rette da relazioni di reciprocità e cooperazione, contraendo invece le relazioni mercantili e finanziarie non tangibili. - accede responsabilmente ai fini della produzione ad un quadro di azioni socialmente utili, superando un puro criterio occupazionale per la scelta dell’attività lavorativa. Un sistema produttivo molecolarizzato di questo tipo, calato adeguatamente in un sistema territoriale locale ad alta complessità favorisce la sovrapposizione tra sfera socioaffettiva domestica e sfera spazio temporale del lavoro; si riavvicinano i luoghi dell’abitare a quelli del lavoro, in modo che la comunità condizioni le forme, i tempi e le modalità della produzione. Crescono le parti virtuose delle regole che costituiscono gli spazi, inoltre gli interessi di abitanti e produttori tendono a coincidere creando in sinergia qualità dell’abitare e del lavorare. Si sviluppano settori ed attività che favoriscono la cura, la manutenzione, l’amore e l’accrescimento del patrimonio territoriale sentito come proprio per questo nuovo senso di appartenenza. A questo punto le due principali ricadute che si possono osservare sono una forte attività partecipativa e un miglioramento della qualità produttiva che si autogarantisce. Nel primo caso l’abitante del territorio andrà incontro ad un coinvolgimento sempre crescente perché lo sviluppo di ciò che lo circonda dipende direttamente da lui; nel secondo, invece, ciò che viene prodotto fonda le sue radici in un determinato territorio, in questo modo se la vita, il benessere e la società rispondono a canoni qualitativamente alti allora anche il territorio vivrà di conseguenza dinamiche virtuose e il modello produttivo impiantato su di esso non solo rispecchierà queste caratteristiche, ma si svilupperà in maniera finalmente trasparente e la qualità del prodotto dipenderà direttamente da quel sistema produttivo che rimane a contatto diretto con tutta la comunità. L’auto imprenditorialità diffusa gioca quindi un ruolo fondamentale nel progetto politico di sostenibilità fondato sullo sviluppo delle autonomie locali e diventa la base produttiva centrale di sistemi socio-economici a impianto territoriale che tendono ad emanciparsi dalle dipendenze omologanti della globalizzazione. Il lavoro autonomo deve candidarsi all’amministrazione della città come universitas delle competenze, delle risorse conoscitive acquisite nel suo doppio ruolo di lavoro e impresa, candidarsi alla costruzione di luoghi come garante di pragmatismo e di innovazione. 44
44. Bologna, 1997
D’altro canto questi nuovi aggregati socio territoriali hanno degli antenati ben precisi nella storia, riferiti alla produzione manifatturiera, nei distretti industriali; questi sistemi di piccole imprese un tempo si fondarono
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1. Il Territorio
45. Bagnaso, 1985
sull’esistenza della comunità locale che comprendeva le reti di comunicazione fra gli attori economici, la fiducia reciproca tra produzione e consumo ed i circuiti interni di accumulazione. Purtroppo però la stessa fiducia non è stata preservata negli anni per quanto riguarda l’evoluzione: infatti in quel caso il territorio ha sopportato i sistemi economico-produttivi ma non è avvenuto il contrario: l’uso economicistico delle risorse locali ha portato ad un loro sfruttamento squilibrato, insostenibile ed infine a una loro perdita di
competitività. La presenza di forte identità locale, il recupero di patrimoni storici delle culture produttive e dell’artigianato rendono alle piccole imprese la possibilità di essere nuovamente centrali nel processo produttivo fondato sulle reti di imprese e sulla specializzazione flessibile. 45
1.22 I protagonisti del cambiamento.
46. Weil, 1990
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Le problematiche più importanti del nostro modello di vita attuale possono essere sintetizzate attraverso due nuovi tipi di povertà: la povertà di qualità ambientale e quella di identità. Chiaramente queste hanno delle ricadute ben tangibili dal punto di vista del benessere di chi abita un territorio e possono essere prese in considerazione proprio come due tra i parametri più importanti, su cui identificare il livello di benessere di una comunità. In contrapposizione alla cultura della crescita economica illimitata che produce queste dinamiche negative si sono da sempre sviluppate delle “energie da contraddizione” che provano a farsi spazio tra le svariate difficoltà grazie alle loro caratteristiche virtuose. Molto spesso queste energie prendono forma dalla necessità di identificazione (risocializzazione, cura dei beni comuni, autorganizzazione) o di migliorare la qualità della vita e dell’abitare (ambienti di vita, alimentazione, immobilità, relazioni, convivialità). L’importanza di questi individui che intraprendono in modo non del tutto organizzato questi percorsi contro corrente sarà fondamentale per innescare la motivazione di un cambiamento duraturo e consapevole. È proprio nei bisogni che nascono dalle nuove povertà, e non nel continuo cumulo di protesi tecnologiche, che si intravede la chiave progettuale di un nuovo modello di vita in grado di fermare e ricostruire il problematico andamento di quello attuale. La memoria genetica dei luoghi sepolta da tempo riaffiora ovunque e si manifesta attraverso molteplici esempi: dalle istanze etnico-linguistiche e identitarie, trattate finora come rigurgiti premoderni, alle problematiche
multiculturali di convivenza o dallo sviluppo autocentrato del sud del mondo alle teorie di sganciamento dal mercato mondiale, dalle problematiche del federalismo territoriale intrecciate alle identità regionali. Nel dispiegarsi a livello sia macro che microsociale, queste questioni sono divenute centrali nel conflitto contro l’omologazione dei processi di globalizzazione e nella progettualità sociale di modelli di sviluppo fondati sulle peculiarità dei luoghi. Queste nuove iniziative costruiscono proposte incentrate sul riconoscimento culturale e territoriale di innovazioni sociali che si saldano nel progetto in modo inestricabile e sinergico dando quindi delle garanzie per il futuro. Il radicamento è forse il bisogno più importante dell’anima umana... mediante la sua partecipazione attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conservi vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l’essere umano ha una radice. 46 L’emergenza identitaria è concreta e può essere assunta come il problema rilevante da essere rilanciato sotto forma di energia positiva per la ricerca di processi virtuosi. In questa visione la problematica dell’identità può dare vita a tre correnti diverse di azione: identificare un progetto per il cambiamento che parta da una composizione locale per l’autogoverno; trovare dimora, ovvero ritrovare relazioni virtuose fra comunità insediata, l’ambiente e territorio; costruire il futuro ovvero valorizzare un rapporto con il territorio che sia durevole e che ponga alla propria base il concetto di avere cura per il futuro.
1. Il Territorio
1.23 La comunità.
La scarsa consapevolezza di appartenenza ad una comunità ben identificata appare direttamente collegata alla questione dell’identità e all’apparizione di queste dinamiche virtuose ma poco relazionate tra loro. Il riconoscimento dell’appartenenza ad una comunità risulta un passaggio fondamentale per la valorizzazione del rapporto con il territorio; se le basi di questa identità comunitaria non sono più costruite a partire dalla società civile in via di disgregazione, ma piuttosto come prolungamento della resistenza comunitaria al modello attuale, allora questo riconoscimento avrà un valore ancora maggiore. La comunità può essere quindi vista come prodotto di relazioni fra differenze che provano riconoscimento reciproco e regole di convivenza; la comunità come accordo su un progetto futuro. Il significato della comunità è che gli individui si adoperano a vicenda come risorse. 47 Comunità significa fattivo operare di soggetti che si fanno carico in prima persona della costituzione di reti sociali, culturali e progettuali, protese alla definizione di scenari territoriali del futuro, che investono qualità della vita, concezione della civiltà, nuove forme della produzione economica e culturale, nuova partecipazione democratica e nuove modalità di risoluzione dei problemi. 48 I limiti dovuti allo stile puntiforme ed isolato delle azioni locali a fronte della compattezza caratteristica delle risposte delle reti globali ha destato discreti interessi nella comunità scientifica di tutto il mondo. Jeremy Brecher e Tim Costello sono tra i primi ad ipotizzare delle soluzioni e ad anticipare i concetti del forum di Porto Allegre del 2001, in un testo del 1995 propongono il via per un movimento di “globalizzazione dal basso” che ipotizza: Forti organizzazioni di base locale inseriti in una rete di aiuto reciproco e di alleanze strategiche con movimenti analoghi in tutto il mondo... collegando le lotte locali attraverso reti di sostegno globale... collegando problemi locali e assoluzioni globali. 49 Secondo un punto di vista più concreto è necessario andare oltre la proposta di una coesistenza orizzontale dei movimenti di cambiamento privilegiando
anche le potenziali relazioni fra i movimenti stessi secondo un’ottica a rete. Risulta inoltre prioritario il rafforzamento societario e comunitario dei nodi locali della rete, fondato sulla ricostruzione di comunità locali complesse, in grado di riaffermare saperi locali, di affrontare le nuove povertà, di riattivare processi coevolutivi con l’ambiente determinando stili di sviluppo autocentrato. Il sapere scientifico dominante alimenta una monocultura della mente che apre un vuoto in cui le alternative locali scompaiono, secondo lo stesso meccanismo con cui la monocultura delle piante introdotte dall’esterno porta la distruzione della diversità locale. Il sapere dominante distrugge le condizioni stesse di esistenza delle alternative, così come l’introduzione delle monoculture distrugge le condizioni stesse di esistenza delle diverse specie. 50 L’attenzione per il progetto futuro dovrebbe quindi spostarsi sui processi per ricostruire le condizioni della crescita delle società locali, queste possono anche partire da singoli esempi isolati, ma dovrebbero dare la priorità per apporre quelle basi su cui sviluppare relazioni che restano in vita a tempo indeterminato, che possano promuovere modelli di sviluppo sostenibile liberi da ciò che Shiva chiama “monocultura della mente”. Gli esempi che si possono fare vanno a comporre un elenco interminabile: Queste componenti sociali, politiche ed economiche fra loro sono molto differenti per collocazione culturale, geografica e sociale ma producono, ognuna nel proprio ambito di interesse, dei risultati molto simili che si rifanno a critica, rifiuto e conflitto ma anche riappropriazione diretta di saperi produttivi, costruzione di nuovi simbolici e immaginari, pratiche di consumo alternative a livello locale e reti solidali a livello globale; inducono di conseguenza crescita di società e di identità locale attraverso l’autoriconoscimento solidale essi diventano sul territorio frammenti di proposte per un progetto futuro. 51
50. Shiva, 1995
47. Goodman, 1995
48. De La Pierre, 2001
51. Magnaghi, 2000
49. Brecher, Costello, 1996
Solo nel piccolo contesto italiano i campi in cui questi saperi e azioni sociali si vanno costruendo sono molti e molto estesi: - produzione di cicli agroalimentari autosostenibili. - costruzione di filiere produttive locali e reti corte fra
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1. Il Territorio
produzione e consumo. - costruzione di reti internazionali solidali. - sperimentazione di prodotti agricoli nofood in sostituzione dei composti di sintesi impiegati nei processi produttivi e nei prodotti. - sperimentazione per la produzione di energia da fonti rinnovabili. - costruzione di reti di distretti di economie solidali (R.E.S., RE.CO.SOL) - messa in pratica di gruppi di acquisto solidale (G.A.S.). - rivalutazione comunicativa, formativa e tecnica degli
antichi mestieri artigianali. - realizzazione di eco villaggi a cogestione integrale dei cicli delle risorse come acqua, energia e rifiuti. - autoproduzione dell’ambiente urbano (bioedilizia, mobilità pulita, alimentazione sana, energia pulita). - utilizzo delle tecnologie informatiche nei processi partecipativi, nell’innovazione dei sistemi informativi territoriali (Sit) per la rappresentazione dei beni locali. - piani urbanistici che attivano strumenti di partecipazione per la produzione di modelli di sviluppo locale autosostenibile.
1.24 La coscienza di luogo.
Tra le varie ipotesi indicate come utili per costruire le basi su cui fondare relazioni durature con il territorio per un nuovo modello futuro ritroviamo “la coscienza di luogo”. 52. Magnaghi 2000 53. Cattaneo 1973
Nei vari percorsi in atto di esperienze di democrazia comunitaria, nelle loro variegate forme di crescita della coscienza di luogo non si tratta semplicemente della difesa di comunità storiche, di identità passate, ma di costruzione di comunità che crescono nell’esercizio del conflitto, che si trovano a fondare un patto di cura dell’ambiente del territorio, sviluppando le proprie identità e i propri saperi nel progetto comune; si tratta di una comunità locale che considera proprie le relazioni di cura con l’ambiente, con il paesaggio, con gli spazi pubblici, con i propri luoghi di vita come fondamentali per la costruzione di benessere, non identificando più quest’ultimo con una crescita economica. 52 La coscienza di luogo si può definire come la consapevolezza, acquisita attraverso un percorso di trasformazione culturale degli abitanti, del valore patrimoniale dei beni comuni territoriali, che possono essere materiali, risorse oppure relazioni. Questi vengono considerati elementi essenziali per la riproduzione della vita individuale, collettiva, biologica, culturale e soprattutto relazionata con il territorio.
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Quest’evoluzione passa dalla sfera individuale a quella collettiva sottolineando l’importanza di un elemento caratterizzante primo fra tutti: la ricostruzione della comunità in forme aperte, relazionali, solidali. Nel “Diritto Federale” Carlo Cattaneo scriveva: Ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con altri popoli; ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché egli solo li sente, perché egli solo li intende. E v’è inoltre in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia della sua terra. Di là il diritto federale, ossia il diritto dei popoli; il quale debbe avere il suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto dell’umanità. 53 Le parole di Cattaneo sono molto lungimiranti, sembrano anticipare il concetto di coscienza di luogo, che lui chiamava “coscienza del suo essere”, con i riferimenti al diritto federale che presuppone un’unione di popoli e non competizione tra essi. Proprio in un territorio abitato da molte culture dove la cittadinanza si considera plurale, l’atto costituente della comunità coincide con l’autoriconoscimento dei soggetti che si relazionano e si associano per la cura di quel territorio. L’anima di un luogo è quindi interpretabile dal suo attuale abitante perché, mentre
1. Il Territorio
quest’ultimo è come un ospite di passaggio, il luogo rimane nel tempo. La comunità è una chance da sfruttare per attivare nuove forme di produzione e consumo fondate sulla convivialità con il territorio, la solidarietà e l’autosostenibilità. Il luogo non appartiene per diritto agli abitanti storici o ai potentati economici locali, ma appartiene a chi se ne prende cura: appartiene perciò a chi è portatore di interessi collettivi per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni comuni, entro un processo di maturazione
culturale in cui i valori del luogo (culture, paesaggi urbani rurali, produzione di qualità ed tipiche, sapere di artigianali, artistici ecc.) sono percepiti da un insieme, anche composito, di soggetti come valori alternativi al mondo dell’omologazione mercificata della produzione del consumo, come autoriconoscimento relazionale di una comunità nascente, insorgente, che si costruisce nel pensarsi e praticarsi nella differenza, nella rifondazione di un punto di vista identiario locale sul mondo. 54
54. Magnaghi 2000
1.25 Le premesse per un approccio sistemico.
Per arrivare a parlare dell’approccio sistemico è necessario trattare alcuni argomenti, che funzioneranno come premessa, su cui fondare le basi per il nostro modello. Il patrimonio territoriale assumerà un ruolo centrale per sviluppare un modello durevole e autosostenibile e vari ambiti come la progettazione, la produzione ed il consumo dovranno dialogare a stretto contatto. Il territorio non può più essere considerato come un mero supporto tecnico su cui impiantare funzioni economiche mettendo da parte la sua natura. Dovrà essere trattato come un luogo denso di storia, di valori e di risorse, a seconda della sua caratterizzazione, per la produzione di una ricchezza durevole che col tempo si arricchirà per essere trasmessa alle generazioni future. Un processo di pianificazione territoriale pone le linee guida a livello macroscopico attraverso cui interpretare correttamente il territorio. L’interpretazione, la descrizione e la rappresentazione dei valori costitutivi del patrimonio territoriale sono il primo passo per distinguere gli aspetti strutturali del territorio da quelli strategici e trasformabili. Gli aspetti strutturali dovranno essere conservati e valorizzati nel tempo. Ad essi appartengono le caratteristiche, tangibili e non, che creano l’identità del territorio, che identificano spontaneamente la sua
natura. Questa distinzione viene fatta in vista della pianificazione per produrre un’autoregolamentazione fin dal primo momento, ma ovviamente gli aspetti strutturali coincidono con i tre insiemi di reti che caratterizzano il contesto territoriale: la rete delle risorse, la rete del saper fare e la rete della cultura materiale. Gli aspetti strategici saranno invece l’oggetto della progettazione, coincideranno con tutti quegli aspetti che possono essere modificati per valorizzare le caratteristiche strutturali del territorio. In questo caso si parla di attività, di flussi, di relazioni e di trasformazioni: tutti i parametri su cui lavora normalmente il progettista sistemico. Questa distinzione viene mantenuta in casi concreti già esistenti come quello della redazione dello “Statuto dei luoghi” che compare nella legge 5/ 95 della regione Toscana a proposito del governo del territorio; legge che viene sviluppata organicamente come “Statuto del territorio” nel gruppo di “norme per il governo del territorio” della regione stessa: in questo caso viene distinta una “parte strutturale e statutaria” della pianificazione che definisce i caratteri identitari dei luoghi, le loro invarianze e regole di variazione; proseguendo si può trovare una parte “strategica e operativa” che definisce i progetti di trasformazione
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1. Il Territorio
Figura 18. Lo sviluppo durevole
PRODUZIONE PROGETTAZIONE
DIALOGO costante
CONSUMO
Territorio RISORSE SAPER FARE CULTURA MATERIALE
G
E
N
Sviluppo locale DUREVOLE
E R A Z I O N I
coerenti con la tutela e la valorizzazione delle risorse perseguita nella prima. 55. Magnaghi 2000
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In questo caso lo Statuto è un atto normativo fondamentale che un ente collettivo, coincidente con il territorio si dà appunto per regolamentarsi. Diventa esplicito che nel caso del territorio la parola Statuto riguarda un possibile patto sul suo uso e sulla sua gestione fra i soggetti che lo vivono, ma evidenzia comunque caratteri di soggetto del territorio stesso come bene comune che ha delle regole strutturali per vivere, conservarsi, riprodursi, accrescersi di valore. 55
T U U F
R
E
Così facendo si ammette che il carattere dinamico di un territorio coincide con la sua vera natura e le sue incessanti trasformazioni devono: - tenere in considerazione le strutture territoriali ambientali che definiscono la sua identità nel lungo periodo rispettando le regole che ne garantiscono la riproduzione. - utilizzare gli aspetti strutturali come veri e propri valori patrimoniali del territorio per garantire la loro riproduzione in quanto valori e produrre ricchezza durevole con un valore aggiunto che si somma continuamente.
1. Il Territorio
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1. Il Territorio
Territorio
Strutture territoriali ambientali
ri culia e pe ors Ris
Valori iden tita ri
Figura 19. Il territorio dinamico
Valori patrimoniali Ricchezza durevole
Identità
CARATTERE DINAMICO NEL TEMPO Questo tipo di visione comporta una svolta radicale rispetto all’attuale uso del territorio che produce ricchezza attraverso il consumo, molte volte irreversibile, di queste risorse patrimoniali o che al massimo limita i processi di sfruttamento con dei vincoli o delle soglie considerate tollerabili o ecocompatibili. 56. Regione Toscana, 1998, p. 6
La Toscana esprime una poderosa riserva di futuro nella sua dotazione di risorse endogene ed è ormai passata dal “modello toscano” di sviluppo ai diversi “modelli di sviluppo” delle diverse “Toscane”. 56
57. Regione Piemonte, 2009, p. II
La difesa e la valorizzazione del territorio e dell’ambiente devono essere la priorità assoluta delle politiche regionali, incorporando le “ragioni della natura” in tutte le altre politiche. La difesa dell’ambiente e del territorio, l’uso più razionale ed efficiente delle risorse naturali e la cura dei luoghi in cui viviamo non sono solo un investimento per il futuro, ma anche la condizione per
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una migliore qualità della vita di oggi, per una società più giusta e più prospera. 57 Per quanto riguarda il coinvolgimento della comunità bisogna partire dal presupposto che non si avrà sviluppo locale autosostenibile senza identificare i soggetti che per loro natura hanno le caratteristiche adeguate per essere portatori di autosostenibilità, sarà quindi necessaria un’adeguata selezione: lo sviluppo locale è innanzitutto sviluppo della società locale, dei suoi istituti di partecipazione alle decisioni verso l’autogoverno, attraverso la produzione sociale delle azioni e dei progetti per la gestione del territorio. L’impegno dei soggetti in gioco dovrà essere assunto localmente riprendendo una coscienza individuale e collettiva per quanto riguarda il modello di consumo e il modello di produzione relazionati al territorio ospitante. La partecipazione si lega quindi in modo indissolubile
1. Il Territorio
Figura 20. Lo sviluppo autosostenibile
Te r r i t o r i o
os pitant e
SVILUPPO LOCALE AUTOSOSTENIBILE
SOGGETTI istituti partecipazione autogoverno
produzione sociale gestione risorse
con il concetto di autosostenibilità attraverso un dialogo costante con il territorio, cercando di rinunciare a sostegni esterni (quindi riducendo la propria impronta ecologica ad un ingombro più che modesto) e ricorrendo a scambi solidali senza sfruttamento, meccanismo praticabile a condizione che gli attori locali si impegnino in una cooperazione attiva e responsabile. Attraverso quest’impegno collettivo, la cooperazione dovrà sviluppare i seguenti quattro step:
Uno spazio uniforme e vuoto è uno spazio che resta muto, è una terra che non parla più ai suoi abitanti, ma che si limita a sopportarne il peso: in cui diversi luoghi non sono che la destinazione meccanica delle diverse pesantezze dei corpi, come saranno poi punti di origine e di destinazione di merci sempre in viaggio. Il logos della fisica, spregiudicato e instancabile, ha finito per togliere la parola alla Terra, per prosciugare una tradizione antichissima e un tessuto di relazioni che legavano l’uomo ad essa, come fonte di generazione e di verità. 58
1. La condivisione dei valori territoriali
In modo analogo W. Sachs vede questa dicotomia tra spazio e luogo come caratterizzante per la differenza tra globale e locale:
Coincide con la rappresentazione e la ricostruzione degli aspetti strutturali a cui viene attribuito un valore condiviso. Si prende strettamente in considerazione il concetto di luogo in contrapposizione a quello di spazio.
Le aspirazioni universalistiche sono generalmente spaziocentriche, mentre le visioni localiste del mondo sono principalmente luogocentriche. Questa distinzione
58. Ferraro, 2001
59. Sachs, 1998
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1. Il Territorio
illumina sia l’ascesa dell’universalismo nel passato, sia la tensione nel presente tra universalismo e diversità. 59 Essendo proprio le qualità specifiche del luogo a fondare, attraverso le sue energie endogene, lo stile specifico per il suo sviluppo autosostenibile, risulta evidente che la rappresentazione, la descrizione e l’interpretazione di queste peculiarità acquistano
un’importanza cruciale. In particolare questo passaggio indica al progettista sistemico l’importanza che ha lo studio dell’ambito territoriale in cui si trova ad operare: l’interpretazione del luogo, della sua identità che risulta quindi l’esito di un processo storico di lunga durata, i saperi, le culture e le regole riproduttive forniscono già molte indicazioni progettuali.
Figura 21. L’interpretazione del luogo
Interpretazione INDICAZIONI PROGETTUALI
Processo storico di lunga durata
Caratterizzazione territoriale
Il dialogo con il territorio e lo studio del processo della sua costituzione porteranno a considerare il sistema territoriale come vivente, caratteristica necessaria per incrementare il valore del patrimonio locale e garantirne la sostenibilità nel tempo. È importante inoltre riconoscere come l’interpretazione dei valori territoriali risenta inevitabilmente della soggettività di chi li sta trattando nei propri progetti, ulteriore ragione per la quale è necessario che siano i soggetti locali a mettersi in gioco in prima persona relazionandosi con queste dinamiche. Rifacendoci alla visione territorialista, il luogo visto come patrimonio territoriale è un sistema di relazioni sinergiche fra le qualità peculiari dell’ambiente fisico, dell’ambiente costruito e dell’ambiente antropico. Il suo trattamento richiede l’adeguata costruzione di quadri conoscitivi, in grado di interpretare questi tre aspetti in maniera integrata per ottenere la giusta valorizzazione. Questa ricerca rappresentativa si è concretizzata nella
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Regole riproduttive
costruzione sperimentale degli “atlanti del patrimonio territoriale” che, con grande sforzo interpretativo, rappresentano in modo sintetico gli elementi costitutivi di un luogo. Rispetto ai normali atlanti geografici questi selezionano ed interpretano le informazioni peculiari dei territori, la loro rappresentazione riguarda il patrimonio ambientale, il patrimonio territoriale e paesistico, il patrimonio socio-economico; i tre atlanti sono realizzati con linguaggi e tecniche diverse relazionate alle esigenze di rappresentazione: cartografie, rappresentazione visiva, testi, ipertesti multimediali, quadri sinottici. Rispettivamente gli oggetti trattati sono: nel primo, bacini idrogeologici, identità bioregionali, potenzialità energetiche o di altre risorse, reti ecologiche, ecc. Nel secondo, strutture e infrastrutture, figure territoriali e paesistiche, spazi agricoli o dedicati ad altre attività ecc. Nel terzo, modelli socioculturali di lunga durata, saperi locali di varia estrazione artigianale, artistica, culturale, realtà socioeconomiche ecc.
1. Il Territorio
Figura 22. Strumenti di pianificazione e progettazione territoriale
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1. Il Territorio
Approfondimento. Strumenti di pianificazione e progettazione territoriale.
Tutti gli strumenti di pianificazione e di progettazione del territorio si basano su una conoscenza accurata, aggiornata e pertinente dei luoghi di cui si occupano. L’insieme dei materiali descrittivi sui quali i piani e i progetti basano le loro scelte si chiama in genere Quadro Conoscitivo. Una comunità può strutturare gli elementi essenziali del proprio quadro conoscitivo nella forma di un Atlante del Patrimonio Territoriale, Ambientale e Paesaggistico, che ha lo scopo di finalizzare la descrizione del territorio al riconoscimento degli elementi e delle regole di relazione tra azione umana e ambiente che costituiscono i caratteri di identità del territorio. Questo principio è legato alla volontà di interpretare quegli elementi e quelle regole come potenziali risorse per il progetto del futuro del territorio. Le descrizioni contenute nell’Atlante sono organizzate nella forma di cartografie, che possiamo immaginare disposte secondo strati sovrapposti. Ciascuno strato contiene informazioni che vengono elaborate per ricavare le descrizioni dello strato superiore, e così via. Al livello più basso sono collocate le descrizioni più semplici, che descrivono le singole componenti del paesaggio senza preoccuparsi troppo delle loro relazioni: i caratteri geologici, i caratteri dell’ambiente naturale, il mosaico delle colture agrarie, l’organizzazione degli insediamenti, e così via. Sullo strato superiore vengono riportate descrizioni più complesse, che richiedono, per essere realizzate, uno sforzo di interpretazione delle relazioni tra le singole componenti: delle relazioni tra le forme del suolo, la localizzazione degli insediamenti, e le loro modalità di crescita nel tempo, per esempio. A questo livello sono collocate anche le descrizioni che chiariscono come, nel lunghissimo periodo delle trasformazioni storiche, le diverse culture hanno interpretato diversamente le relazioni con la natura fisica dei luoghi, contribuendo a definire i caratteri del paesaggio per come li conosciamo oggi. Al livello più alto sono collocate le descrizioni che hanno la precisa finalità di evidenziare i caratteri dell’identità paesaggistica dei luoghi: questo livello è quello che raccoglie la rappresentazione delle Figure Territoriali, che sono realizzate interpretando tutte le informazioni contenute negli strati più bassi e restituiscono in forma sintetica ed espressiva l’immagine dei diversi paesaggi regionali.
Figura 23. Strumenti di pianificazione e progettazione territoriale
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1. Il Territorio
Figura 24. Community mapping
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1. Il Territorio
Molte volte queste rappresentazioni sono realizzate grazie al coinvolgimento delle comunità del luogo che cercano di riportare la forma di valori della propria esperienza vissuta. In questi casi viene valorizzato il loro contributo attraverso tecniche che rendono semplici e significative queste rappresentazioni, come avviene nel “community mapping”. Questo approccio ha prodotto esempi molto validi come “la rete Common Ground” che “tende a mettere in atto pratiche di mappatura dei contesti locali dove risultano prevalenti gli aspetti identitari dell’ambiente costruito riferiti in particolare alle forme fisiche della città e del territorio, ai patrimoni storici e culturali, all’ecosistema” e che ha prodotto in Gran Bretagna le “parish maps”.
Figura 25. Esempio di parish map
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In ambito italiano invece le mappe di comunità sono nate collegate alla nascita degli ecomusei, come si può vedere nel sito www.mondilocali.it; altre volte si sono sviluppate in relazione alla pianificazione paesaggistica, come ad esempio in www.paesaggio. regione.puglia.it; oppure ancora nell’organizzazione partecipata degli statuti del territorio, come è accaduto nell’ambito del processo partecipativo del piano strutturale del Comune di Montespertoli. Queste mappe di comunità rappresentano dunque il primo livello di una descrizione densa del paesaggio così come è percepito dalle popolazioni. Questo tipo di descrizione va intrecciata con le rappresentazioni esperte, che dovrebbero essere condivise, tramite una discussione pubblica.
1. Il Territorio
2. Il riconoscimento e la costruzione di statuti Si prosegue con l’individuazione delle regole a cui sottoporre gli aspetti strategici e trasformativi in modo che questi non siano statici, ma accompagnino l’evoluzione del sistema territoriale salvaguardando gli aspetti strutturali e restando in un ambito locale. Innanzitutto lo Statuto dei luoghi ha una doppia valenza: le regole che riguardano il patrimonio territoriale per la sua riproduzione, valorizzazione e trasformazione, ma anche il processo partecipativo per gli attori che vanno a definire il valore della società locale. E’ un tipo di progettazione partecipata a favore degli abitanti che ha lo scopo di facilitare la comunità nel ri-costruire ed esprimere la consapevolezza di sé e del
luogo per individuare ciò che ha un valore, una storia, un significato da difendere. Quindi se identifichiamo il territorio come un soggetto vivente sarà possibile individuare le regole che gli permettono di crescere, stare bene oppure ammalarsi, allo stesso modo ciò che identifichiamo come patrimonio territoriale (visto come la relazione sinergica e coevolutiva tra patrimonio naturale e culturale) sarà l’insieme di regole strutturali che garantiscono l’identità del territorio. Questo è utile per identificare esattamente forma e funzione dello Statuto: - rappresenta il passaggio successivo al riconoscimento, alla descrizione e alla rappresentazione dell’identità del luogo ma, soprattutto, si fonda a partire
PATRIMONIO NATURALE
Figura 26. Lo statuto dei luoghi
PATRIMONIO CULTURALE
a li
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pro
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con
PATRIMONIO TERRITORIALE p rie r e g ole s tr u
IDENTITÀ del territorio rispecchiata dallo
STATUTO Varianti strutturali
Regole per trasformare e progettare il territorio
Processi territorializzazione lunga durata 77
1. Il Territorio
da queste tre azioni. - definisce l’identità del territorio rappresentata dalle invarianti strutturali, che a loro volta, sono l’esito di una accurata analisi dei processi di territorializzazione di lunga durata che coincidono con le svariate identità di un luogo e l’utilizzo che si può fare dei beni patrimoniali stessi, in quanto potenziali risorse. - costituisce l’insieme di regole con cui ogni azione di trasformazione del territorio o progetto calato su di esso si dovrà misurare. È possibile individuare con facilità l’evidente analogia che esiste tra ciò che abbiamo definito invarianti strutturali del territorio e il concetto di invarianti strutturali del sistema appartenente alle teorie dei sistemi complessi: 60. Documento del Comitato tecnico-scientifico della Regione Toscana, 1999
61. Ventura, 1996
La locuzione invariante strutturale non è una novità della pianificazione, ma nasce nell’ambito delle discipline biologiche per indicare quei caratteri dei sistemi viventi che non variano e garantiscono la conservazione del sistema e il suo adattamento a perturbazioni esterne. L’espressione indica i caratteri che costituiscono l’identità del sistema e che consentono di mantenerla, adattandola alle perturbazioni. È proprio con questo significato che il termine è entrato nel lessico della pianificazione territoriale; in questo contesto allude alla possibilità/necessità di riconoscere i caratteri fondativi dell’identità dei luoghi che consentono il loro mantenimento e crescita nei processi di trasformazione: non sono solo elementi ma soprattutto strutture interpretate come l’esito di processi coevolutivi fra insediamento umano e ambiente, caratteri del paesaggio, qualità puntuali dei sistemi ambientali, sistemi economici e culturali a base locale, caratteri del paesaggio agrario ecc. che possiamo definire tutti insieme come patrimonio territoriale. Le invarianti strutturali sono dunque elementi (impegni, tipi territoriali, relazioni tra sistemi territoriali e ambientali ecc.) strutturanti il territorio, la sua identità, la sua salute, la sua qualità, il suo paesaggio, il suo potenziale come risorsa patrimoniale durevole. 60 È importante identificare le invarianti come tali non per disposto normativo, ma perché non sono variate nei tempi lunghi dei cicli di territorializzazione, proprio perché si riferiscono a beni e a relazioni fra elementi strutturali che definiscono l’identità del luogo e ne configurano le caratteristiche fondative. Dal momento in cui viene a mancare il rispetto delle regole riproduttive di questi beni, verrà a cessare questa continuità compromettendo la capacità
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riproduttiva del territorio e mettendo a rischio la sua identità. Nella prospettiva di tutelare caratteristiche con valenze così a lungo termine non è sufficiente la disposizione di vincoli all’uso e alla trasformazione dei singoli oggetti territoriali ma è necessario dare disposizione di regole di lunga durata con le quali ogni progetto dovrà confrontarsi perché la sua valenza temporale è da ritenersi minore. La valorizzazione di queste invarianti e il loro riconoscimento come beni collettivi comporta necessariamente una condivisione a 360 gradi di quelli che sono i contenuti espressi negli Statuti. Le ragioni di questa condivisione possono essere squisitamente pratiche intervenendo su un oggetto collettivo come il territorio, che assume un’importanza primaria per l’intera comunità, ma anche etiche dal momento che l’aspetto conservativo per il territorio comprende la conservazione della qualità della vita di ognuno di noi. Inoltre la sfaccettatura delle possibili scelte progettuali è molto ampia poiché sono molteplici le culture interpretative e i potenziali soggetti della trasformazione. Solo tramite una concreta condivisione si riesce ad affrontare il momento in cui, dal punto di vista storico, abbiamo l’incontro all’interno dello Statuto fra l’identità di lunga durata dei luoghi e i nuovi soggetti abitanti, che attualmente prendono in mano la loro gestione. La costruzione di uno Statuto è uno sforzo contestualizzato in modo preciso del punto di vista storico e sociale: la sua valenza si muove su scala temporale ampia per ciò che riguarda gli aspetti di conservazione di lunga durata ma è anche l’espressione precisa e puntuale del modello di vita messo in atto dalla comunità insediata in quel momento storico. Ecco perché è adeguato parlare di natura dinamica dello Statuto in accordo con nell’evoluzione culturale dei soggetti che contraggono il patto. La descrizione è a un tempo argomentazione e rappresentazione dei valori ritenuti intrinseci del territorio. Il loro esame e la discussione su di essi condurranno al riconoscimento di valori comuni alla più ampia parte possibile di cittadini. Questi valori condivisi costituiscono l’essenza dello strumento di governo del territorio locale, che potremmo propriamente nominare “Statuto dei luoghi”. 61 Il riconoscimento delle invarianti strutturali secondo quest’ottica configura un insieme normativo che può essere qualificato più come sistema di regole condivise per la trasformazione che come corpo di vincoli per la conservazione. Infatti molto spesso queste regole rientrano in categorie come: - caratteristiche multisettoriali ed integrate per gli spazi
1. Il Territorio
Figura 27. Le invarianti strutturali
PATRIMONIO TERRITORIALE di lu n g a d u rat
ele m
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costituiscono l'identità del sistema
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invarianti strutturali oria
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aperti e l’agricoltura, che chiariscono i valori funzionali dei paesaggi rurali: agricoltura di qualità, salvaguardia idrogeologica, aumento della fertilità dei suoli, deflusso delle acque, valorizzazione di sistemi ambientali e reti ecologiche. Un esempio calzante può essere quello del trattamento di un sistema fluviale: se viene previsto un uso tecnico, come il prelievo delle acque, le regole influiranno sul rischio idraulico e inquinologico per salvaguardare l’autoriproduzione della risorsa acqua, se viene prevista una fruizione turistica, paesistica, le regole agiscono per aumentare il valore della risorsa fiume. Un esempio concreto in questa direzione può essere il progetto di piano regolatore per le “Città del vino”. - riqualificazioni, espansioni che aumentino la qualità di
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costituiscono l'identità dei luoghi
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salvaguardano salute e qualità del territorio
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consentono il mantenimento dei caratteri e la crescita nei processi di trasformazione
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vita assumendo come riferimento l’offerta del territorio invece che la domanda, spesso sovradeterminata da esigenze esogene al contesto locale o da interessi particolari che si articolano in modo indipendente dall’offerta. - regole finalizzate alla tendenziale chiusura dei cicli (acqua, rifiuti, energia, alimentazione). Un esempio riguardante l’energia può essere la costruzione di un mix di produzione energetica locale legato alle peculiarità e alle potenzialità dell’ambito locale rispetto ai metodi tradizionali di produzione e uso dell’energia. - regole relative alla costruzione e al restauro dell’ambito territoriale. - regole per valutare come, dove e quali attività produttive insediare nell’ambito locale in modo che
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1. Il Territorio
risultino coerenti con l’ottimizzazione delle risorse locali e la valorizzazione del territorio (culture, sapevi, patrimonio ambientale, territoriale, paesistico). In questo modo lo Statuto dei luoghi assomiglia più ad un trattato che ad un atto di pianificazione: 62. Magnaghi, 2000
Esso dovrebbe essere sganciato dagli atti contingenti della pianificazione, precederla, come sistema di regole socialmente fondate, entro cui attuare volta a volta le più differenti soluzioni progettuali e pianificatorie. 62 Lo Statuto dei luoghi può essere visto come l’occasione per attivare nuovi istituti di democrazia che consentano di realizzare il suo carattere di patto costituzionale per lo sviluppo locale. Statuto e nuovo protagonismo del Municipio costituiscono due movimenti convergenti. Il nuovo Municipio, che fonda lo sviluppo sulla valorizzazione del patrimonio, indirizza lo sviluppo economico locale verso le vie proposte dai progetti agevolando l’evoluzione del suo ruolo amministrativo di cui lo Statuto dei luoghi rispecchia la carta costituzionale.
63. Regione Piemonte, 2009
La Regione dovrebbe coinvolgere i comuni per la formazione di un vero il proprio Statuto del territorio, per definire con gli enti di competenza i valori da tutelare, da trasformare e riqualificare. Pensiamo a un processo di piano condiviso, incentrato su di un insieme di azioni in grado di garantire la manutenzione (in termini soprattutto di difesa del suolo, di tutela dell’ambiente, di riqualificazione paesistica e di consolidamento dell’identità locali) e lo sviluppo sostenibile del territorio, di valorizzazione dei sistemi economici locali, degli spazi rurali, degli assetti insediativi, di riorganizzazione dei sistemi infrastrutturali. 63 Queste nuove funzioni dell’istituzione locale nel governo del territorio pongono ancora più l’accento sul fatto che lo Statuto non rappresenta un insieme di vincoli ma concretizza piuttosto l’esito di una fase costituente che fissa valori e regole entro cui formulare un patto condiviso per lo scenario futuro di una comunità locale. Sotto questo aspetto richiama in maniera evidente il suo precedente storico: lo Statuto Comunale medievale, questo aveva forma di legge ed era elaborato dalle corporazioni di abitanti uniti a produttori e dalle rappresentanze locali; le regole di trasformazione costituivano un quadro di riferimento espressione della comunità, condiviso e cooperativo che guidava le scelte collettive del rapporto fra spazio pubblico e privato nel campo delle norme per la tutela, la conservazione e la manutenzione del patrimonio territoriale.
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3. La produzione di scenari strategici. Vengono individuati gli ambiti strategici su cui lavorare cercando di garantire a priori un buon livello di realizzabilità in garanzia della futura realizzazione del progetto sistemico. L’utilità della produzione di scenari strategici si ha durante la verifica dell’adeguatezza dei piani dei progetti messi in atto; se l’insieme delle regole date nello Statuto precede e condiziona le azioni della comunità e gli atti di trasformazione nel momento della loro nascita, allora lo scenario strategico verifica che ciò che si fa sia in linea anche durante la pratica vera e propria. Il controllo sulle scelte di trasformazione rispetto alle regole statutarie diviene un passaggio essenziale delle fasi progettuali del piano. Gli scenari strategici possono essere trattati come la “vision” dell’ambito territoriale interessato e assumono forme peculiari rispetto alla vasta gamma di necessità che si cerca di soddisfare: - assumono la forma dell’immagine della trasformazione complessiva e di lungo periodo del territorio con un valore orientativo di riferimento. - sono disegnati tenendo in conto l’insieme dei dati utili per un determinato progetto. - hanno una valenza comunicativa rispetto al futuro del territorio diventando uno strumento di comunicazione sociale per il dialogo e la condivisione. - esprimono una visione di tensione perché si basano su concetti di autosostenibilità radicalmente diversi dai modelli di sviluppo fondati sulla crescita economica competitiva nell’ambito dei processi di globalizzazione. - si presentano con sfaccettature multisettoriali legate alla pluralità degli abiti coinvolti nei progetti in maniera non gerarchica. I piani strategici soprattutto danno luogo ad un vivace dialogo come il rilievo olistico necessario all’identificazione del territorio. Attraverso questa tensione, descritta prima, si fanno emergere le differenze tra il modello attuale e quello che si vuole attuare. La multisettorialità è connessa all’esigenza di produrre visioni olistiche del futuro di un territorio che consentano al processo partecipativo di una comunità locale di ragionare sul proprio domani e non solo su singoli effetti settoriali, magari decisi altrove come avviene attualmente. 4. La progettazione di piani e progetti specifici in accordo con gli statuti precedentemente delineati. Si passa all’azione puntuale di riprogettazione e gestione delle problematiche attuali attraverso azioni
1. Il Territorio
integrate, multidisciplinari e multisettoriali appartenenti all’approccio sistemico. Prima di toccare nello specifico i vari step costituenti l’approccio sistemico, che verranno trattati nella sezione dedicata al progetto, è utile individuare il cambiamento necessario, dal punto di vista progettuale, che deve rispecchiare il cambiamento di ottica per il nuovo modello di vita da instaurare sul territorio. All’interno del progetto si deve partire dal presupposto che il contesto non sarà più trattato come occupazione del suolo a fini economici ma sarà piuttosto un orizzonte etico di creazione del benessere collettivo della comunità. Nel passaggio di scala dal design industriale a quello del progetto per il territorio si delinea un salto che va da relazioni prevalenti del progetto con il mercato o con specifiche committenze a relazioni dirette del progetto con l’interesse pubblico e con i beni comuni; in primo luogo il territorio stesso, inteso come bene comune, in quanto ambiente essenziale alla riproduzione della vita. La poetica dello scenario sta nel riconoscere, svelare, produrre gli scostamenti fra le concezioni distruttive dei beni comuni nell’appropriazione privatistica del territorio e una loro nuova visibilità, mettendo in contatto paesaggi futuri con la nascente coscienza di luogo. 64
64. Magnaghi, 2000
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Il modello di consumo
2. Il modello di consumo
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Il modello di consumo La seconda sezione della tesi prende il titolo di “Modello di Consumo” in quanto cerca di trattare alcuni degli aspetti più importanti che contraddistinguono il nostro comportamento da consumatori. Questo argomento così vasto, qui ripreso senza la pretesa di avere una visione completa, è stato reputato importante come contenitore di gran parte di quegli atteggiamenti le cui ricadute sono apprezzabili come criticità sotto un profilo economico, sociale e comportamentale. Contrapposta a questa attuale visione lineare prende forma la consapevolezza del Soggetto, considerata poi fondamentale a livello di partecipazione nella teorizzazione del sistema Casa.
Connessioni sociali. Connessioni economiche. Connessioni ambientali. Ricadute. Crescita continua. Visione olistica. Sviluppo locale. Appartenenza alla comunità. Sottosistema. Decoupling. Logica di breve periodo. Ambito finanziario scollato dalla realtà. Capacità di rigenerazione. Capacità di ricezione. Prodotto Interno Lordo pro capite. Entropia. Sostenibilità forte. Measure of Economic Welfare. Index of Sustainable Economic Welfare. Felicità Interna Lorda. Conservazione ambientale. Indicatore di sviluppo umano. Aspettativa di vita. Grado di soddisfazione. Impronta ecologica. Variabili qualitative. Variabile economica. Piramide di Maslow. Economia della natura. Sussistenza. Capacità di assorbimento del sistema. Resilienza. Tolleranza. Economia qualitativa. Rapporto dinamico.
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INDICE DELLA SEZIONE
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2. 1 Crescita e consumo: un nuovo modello di consumo per un’ economia della sostenibilità 2. 2 Raggiungere la prosperità senza crescere 2. 3 Indici di benessere 2. 4 Il comportamento d’acquisto del consumatore 2. 5 Il riconoscimento dei bisogni va oltre la società dei consumi 2. 6 Il problema della produzione
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2. Il modello di consumo
2.1 Crescita e consumo: Un nuovo modello di consumo per un’economia della sostenibilità.
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in dalla fine del XIX secolo la scienza mette a fuoco delle problematiche riguardanti il modello di consumo del Nord del mondo che ha già iniziato la sua galoppata senza limiti. Nel 1885 Rudolf Clausius (1822– 1888), fisico a cui risale il secondo principio della termodinamica e il concetto di entropia, sottolineò chiaramente in un trattato dal titolo “Sulle riserve di energie in natura e sulla loro valorizzazione per il bene dell’umanità” che: 65. Rudolf Clausius, 1885
66. Herman Daly, 1981
In economia vi è una regola generale secondo la quale il consumo di un dato bene in un dato periodo non deve superare la sua produzione nello stesso periodo. Insomma dovremmo consumare solo le risorse che il nostro pianeta riesce a riprodurre, ma nella pratica ci comportiamo in maniera del tutto diversa. Sappiamo che sotto terra vi sono da tempi remoti depositi di carbone massicciamente accumulati grazie alla crescita della vegetazione allora esistente sulla terra di tre periodi così lunghi che, al loro confronto, i tempi storici appaiono infinitamente brevi. Oggi stiamo consumando questo patrimonio, comportandoci come eredi scialacquatori. Si estrae dal suolo quanto la forza umana i mezzi tecnici consentono, e quel che viene estratto è consumato come se fosse inesauribile.. La quantità di ferrovie, piroscafi e aziende che fabbricano attrezzate di macchina a vapore cresce in modo vertiginoso così che, quando guardiamo al futuro, ci domandiamo inevitabilmente cosa accadrà una volta che le riserve di carbone saranno esaurite”. 65 Gli studiosi appartenenti al panorama scientifico e non, che hanno sottolineato l’evidente discrepanza tra la continua crescita economica materiale e quantitativa del nostro modello di consumo e la capacità dei sistemi naturali di farvi fronte, non sono mai riusciti a trasformare tali rilievi, solitamente basati sulla logica
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sulla conoscenza scientifica, in una cultura dominante sui limiti della nostra crescita, proprio per questo sono sempre rimasti ai confini del paradigma economico centrale. Per passare a tempi storici più vicini a noi Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994), importante matematico ed economista, ha elaborato un una teoria definita bioeconomica proprio per coprire questo gap ideologico. Questo tentativo può essere definito come la prima e più rigorosa azione non solo teorica per cercare di collegare l’economia alle scienze biofisiche, in particolare alla termodinamica e al concetto di entropia e anche alle scienze sociali. Successivamente a Georgescu, il suo allievo Herman Daly, oggi tra gli economisti ecologici più riconosciuti a livello mondiale, ha scritto: In verità, la crescita economica è l’obiettivo più universalmente accettato nel mondo. Capitalisti, comunisti, fascisti o socialisti vogliono tutti la crescita economica e si sforzano di renderla massima. Il sistema che cresce al tasso più alto è considerato il migliore (...). Mentre l’umanità sta crescendo rapidamente, l’ambiente, di cui fa parte, è rimasto immutabilmente stabile nelle sue dimensioni quantitative. 66 Attualmente pare che dopo essersi scontrati con numerose problematiche collegate tra loro come la crisi economica e finanziaria, quella ambientale e quella sociale, la situazione sia in via di trasformazione e la nostra consapevolezza risulta molto più elevata prendendo in esame testi come “Prosperità senza crescita” di Tim Jackson. È molto difficoltoso identificare con un termine l’attuale periodo storico, la società che lo rappresenta e le svariate sfaccettature del modello economico prevalente. La letteratura disponibile, proveniente da diversi campi di studio, da quello scientifico a quello
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umanistico, offre definizioni molto diverse fra loro, che molte volte risultano complementari e parallele. ... in questo modo, anche di toni che esse suggeriscono si alternano, connotando non sempre una posizione neutra ed asettica. Così, in base alle lenti che si usano per osservare l’attuale società, essa mostra una natura differente. Se si osserva dal punto di vista della trasformazione storica si associa ad espressioni come “industrializzata”, “moderna”, “postmoderna”, “dell’abbondanza” [Massimo Montanari, 2010], fino ad essere espressione dell’ “antropocene” [Paul Crutzen, 2000]. Da una prospettiva maggiormente sociologica diventa società “dei consumi” [Jean Baudrillard, 1976], fluida [Zygmund Bauman, 2006], trasparente [Gianni Vattimo, 1989], consumista e globalizzata, assumendo, in alcuni casi, connotazioni anche economiche, in altri generando atteggiamenti più critici, diventando “iperconsumistica” [George Ritzer, 2003], mcdonalizzata [George Ritzer, 1997] ed ecoimperialista [Vandana Shiva, 2009].
La velocità con cui la nostra società muta, si trasforma, rende effettivamente complesso il delinearsi di confini entro cui descriverla, lasciando all’interpretazione degli studiosi le variabili da utilizzare e considerare importanti. 67
67. Gallio; Marchiò, 2011
Ecco perché questo risultato non ha la pretesa di identificare quale definizione può essere considerata più calzante, ma piuttosto l’interesse è quello di prendere in considerazione le informazioni più utili, per analizzare attraverso il doveroso atteggiamento critico che un progettista dovrebbe mettere in atto, per ricostruire le ricadute che il nostro comportamento ha generato al fine di contribuire ad un esaustivo cambiamento di ottica. Chi ha la capacità di esaminare la situazione economica e finanziaria globale in maniera adeguata, facendo le dovute connessioni di tipo sociale, economico ed ambientale, acquisisce inevitabilmente questa consapevolezza per reagire efficacemente agli evidenti danni prodotti da una visione economica imperniata
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2. Il modello di consumo
68. Bistagnino, 2009
sull’obiettivo di una crescita e di un consumo continui. Molti campanelli di allarme sottolineano quanto sia necessario costruire una nuova economia che si basi su forti capacità innovative senza accantonare il senso del futuro. La strada che abbiamo percorso finora risulta chiaramente insostenibile, sotto tutti i punti di vista. La nostra vera priorità è diventata quindi quella di modificare l’impianto di base della nostra economia che mira a promuovere un meccanismo di crescita continua, materiale e quantitativa. Risulta sinceramente impossibile salvare la biodiversità del pianeta, ristabilire i complessi equilibri dinamici del sistema climatico, affrontare tutte le notevoli problematiche di insostenibilità della nostra pressione crescente sui suoi sistemi naturali, sui suoli, sui cicli idrici, sui grandi cicli biogeochimici dell’azoto, del carbonio, del fosforo ecc. senza intervenire significativamente sui meccanismi del sistema economico ed sul nostro modello di consumo. Il connubio di crisi che stiamo affrontando mette in grande difficoltà chi ha problemi a fare i conti con la propria coscienza. Come ogni esperienza negativa questo però offre gli spunti per fermarsi a riflettere e soprattutto gli incentivi per un cambiamento, un’occasione per pensare come ricostruire l’equilibrio tra le sfere economiche, ambientali e sociali. Questa
può essere considerata come una vera e propria leva per il cambiamento che non deve sfuggire a figure come quella del designer, che fino ad oggi hanno basato la propria attività in maniera più o meno consapevole sul consumo. È necessario che il progettista affronti un vero e proprio rinnovamento e per fare ciò ha bisogno di liberarsi dal “focus esclusivo sul prodotto ed il suo ciclo vita” per estendere le sue competenze al “complesso di relazioni generate dal processo produttivo” 68 La figura del designer in questo modo cambia completamente, è necessario che esso sia in grado di assumere una visione olistica del sistema in cui interviene. Mettendo in pratica la visione sistemica il designer può agire con un’adeguata consapevolezza su questi modelli e controllarne quindi le ricadute che essi generano. Questa nuova ottica, orientata al territorio e allo sviluppo locale, tiene conto delle conoscenze e delle risorse che lo caratterizzano, ne favorisce lo sviluppo per generare benessere a lungo termine e non lo sfruttamento con il solo fine degli utili. La qualità di vita si ridefinisce promuovendo il senso di appartenenza alla comunità, rinnovando il concetto di ricchezza, un tempo basato sul possesso materiale di beni, verso nuove relazioni appartenenti alla sfera dell’essere.
2.2 Raggiungere la prosperità senza crescere.
69. Jackson, 2009
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Nel 2050 il nostro pianeta sarà popolato da circa 9 miliardi di persone (secondo le statistiche delle Nazioni Unite), sarà possibile raggiungere un’uniforme livello di ricchezza e abbondanza come quello atteso per le nazioni dell’area Organizzazione per la Cooperazione allo Sviluppo Economico? Se il nostro modello comportamentale rimane invariato, attenti osservatori come Tim Jackson (nel libro “Prosperità senza crescita”) ci indicano che ci sarebbe bisogno di uno sviluppo economico pari a 15
volte quello attuale (75 volte quella del 1950) entro il 2050. Se il ritmo non accenna a calare, in modo ancora più preoccupante, questo sviluppo dovrà aumentare di altre 40 volte entro il 2100. Cosa diventerà una prospettiva economica del genere? Come può procedere continuando ad avanzare? Un tale modello offre veramente una visione realistica di una prosperità condivisa e duratura? Nella maggior parte dei casi evitiamo di guardare in
2. Il modello di consumo
faccia una dura realtà di questi dati. Assumiamo di default che, una volta superata la crisi finanziaria, la crescita continuerà all’infinito non solo per i paesi più poveri, dove è innegabile che ci sia bisogno di una qualità della vita migliore di quella attuale, ma anche nelle nazioni più ricche dove la grande abbondanza di ricchezza materiale ormai non ha che un impatto minimo sulla felicità e, anzi, inizia a minacciare le basi del nostro benessere. È abbastanza facile capire il perché di questa cecità collettiva (...). La stabilità dell’economia moderna dipende dal livello strutturale della crescita economica. Quando la crescita mostra segni di incertezza, come è avvenuto in modo drastico nelle ultime fasi del 2008, le sfere politiche si fanno prendere dal panico. Le imprese faticano a sopravvivere. La gente perde il lavoro e a volte la casa. La spirale della recessione incombe. Mettere in dubbio la crescita è considerata una roba da pazzi, idealisti e rivoluzionari. Ma questo passaggio è necessario. L’idea di un’economia che non cresce potrà essere un anatema per gli economisti, ma l’idea di un’economia in costante crescita è un’assurdità per gli ecologi. Nessun sottosistema di un sistema finito può crescere all’infinito: è una legge fisica. Gli economisti dovrebbero riuscire a spiegare come può un sistema economico in continua crescita inserirsi all’interno di un sistema ecologico finito, il nostro pianeta. 69 La risposta più frequente proposta dall’ambito economico è quella di ipotizzare una crescita in termini di denaro “sganciata” dalla crescita in termini di stock e flussi di risorse utilizzate, con gli impatti ambientali che ne derivano. Questo processo porta il ripetuto nome di “decoupling”: disaccoppiare la crescita economica riducendo l’uso di materie prime e di energia per produrre beni e servizi. Attualmente questa ipotesi non ha dato i risultati attesi, ma soprattutto necessari: per rispettare i limiti ecologici che la situazione attuale ci impone, è necessario un decoupling di proporzioni così ampie che queste sfuggono ai nostri calcoli. Queste invane misure hanno deluso il miliardo di persone in povertà che cerca attualmente di vivere ogni giorno con metà del prezzo di un caffè, hanno tradito i fragili sistemi ecologici dai quali dipende senza dubbio la nostra sopravvivenza, hanno fallito in modo eclatante, contraddicendosi nel dare alla gente l’illusione della stabilità economica e la certezza dei mezzi di sussistenza. La situazione è preoccupante: la scomoda realtà attuale è che ci troviamo di fronte alla fine imminente dell’era del petrolio a buon prezzo, alla prospettiva di un costante aumento dei prezzi delle commodity, al continuo progressivo deterioramento di aria, acqua e terra, ai conflitti per l’uso del suolo, delle risorse e dei
Approfondimento. OCSE
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) o Organisation for Economic Co-operation and Development - OECD e Organisation de coopération et de développement économiques - OCDE, è un’organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri, paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato. L’organizzazione svolge prevalentemente un ruolo di assemblea consultiva che consente un’occasione di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l’identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei 34 paesi membri.L’OCSE ha superato il ruolo di organizzazione europea e ha allargato la sua azione verso obiettivi di integrazione e cooperazione economica e finanziaria tra i maggiori Paesi del così detto Occidente. La struttura istituzionale dell’OCSE comprende: - un consiglio composto da un rappresentante per ogni paese; - un comitato esecutivo composto dai rappresentanti di delegazioni permanenti di 14 membri eletti annualmente; - i comitati e i gruppi di lavoro specializzati; - le delegazioni permanenti dei paesi membri sotto forma di missioni diplomatiche dirette quindi dagli ambasciatori; - il segretariato internazionale, a disposizione dei comitati e degli altri organi.
diritti di utilizzo di queste, ma soprattutto ci troviamo di fronte all’importante sfida di stabilizzare il clima globale e di frenare i cambiamenti che abbiamo innescato in tutti i sistemi naturali che hanno ormai perso il loro equilibrio da decenni. Risulta inoltre più preoccupante, secondo la Sustainable Development Commission del Regno Unito, che ci troviamo ad affrontare questa situazione con un’economia fondamentalmente incrinata, un modello di consumo decisamente superato e un disperato bisogno di rinnovamento. La commissione sopra citata ammette nei suoi rapporti “Redefinig prosperity” (2003) e “Prosperity witout growth” (2009) che: “In tale contesto la possibilità di tornare a fare affari come al solito è preclusa. La prosperità dei pochi, basata sulla distruzione ecologica e sulla continua ingiustizia sociale non può stare alla base di una società civilizzata. La ripresa economica è fondamentale. Proteggere l’occupazione e creare altri posti di lavoro è di assoluta importanza. Ma abbiamo anche urgente bisogno di un rinnovato senso di prosperità condivisa. Un impegno più serio alla giustizia in un mondo finito. Raggiungere questi obiettivi potrà sembrare un compito strano o persino incongruo per le politiche dei giorni nostri. Il ruolo del governo è stato definito in termini troppo ristretti dagli obiettivi materiali e
70. Jackson, 2009
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svuotato di significato da una visione fuorviante in cui la libertà dei consumatori non ha limiti. Lo stesso concetto di Governance ha bisogno di essere rinnovato al più presto. La crisi economica ci offre un’ opportunità unica di investire nel cambiamento. Di spazzare via la logica di breve periodo che ha afflitto la società per decenni. Di sostituirla con una politica ponderata che sia in grado di affrontare l’enorme sfida di assicurare una prosperità duratura. Perché, dopo tutto, la prosperità va oltre ai piaceri materiali e trascende le questioni pratiche. Risiede nella qualità delle nostre vite, nella salute e nella felicità delle nostre famiglie. È presente nella forza delle nostre relazioni, nella fiducia che abbiamo nella comunità. È messa in luce dalla nostra soddisfazione sul lavoro, dal nostro sentire di avere un significato e uno scopo comune. Dipende da quanto possiamo partecipare alla vita della società. La prosperità consiste nella nostra capacità di crescere bene come esseri umani, entro i limiti ecologici di un pianeta finito. La sfida che la nostra società si trova davanti è creare le condizioni perché questo sia possibile. È il compito più urgente dei nostri tempi”. 70 Per rispondere alle domande iniziali è quindi necessario partire dal presupposto che è possibile mantenere un certo livello di prosperità senza dover necessariamente crescere. La crescita economica non deve più essere un obiettivo legittimo per i paesi ricchi, viste le enormi disparità di reddito e benessere che continuano ad esistere tra il Nord e il Sud del mondo e visto che l’intero modello economico globale deve fare i conti con i limiti imposti da un campo d’azione naturale non infinito. Bisogna valutare attentamente se i benefici della crescita continua siano ancora superiori ai costi che ci presenta e analizzare nel dettaglio l’ipotesi che vede la crescita necessariamente come presupposto
iniziale per la prosperità. È sorprendente venire a conoscenza che il prodotto globale lordo delle nazioni del mondo attualmente ha superato i 70 mila miliardi di dollari secondo i dati presentati dagli annuali “Word Economic Outlook” pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale; è ancora più sorprendente mettere a fuoco il concetto che, in un periodo storico come quello attuale, dove abbiamo a disposizione analisi, database e statistiche su qualsiasi tipo di dato, paradossalmente, nessuno conosce con esattezza quanto denaro viene scambiato sui particolari mercati finanziari che abbiamo creato, come quello dei derivati o delle obbligazioni. È evidente che l’ambito finanziario ed economico si sia definitivamente scollato dalla realtà per continuare la sua corsa verso la crescita senza limiti. Le informazioni più facilmente reperibili a riguardo riportano che i derivati esistenti al mondo hanno un valore di oltre 450 mila miliardi di dollari e che le obbligazioni potrebbero essere di circa 80 mila miliardi. Se recuperiamo le serie storiche del prodotto lordo globale dai database dell’ OCSE e del Fondo Monetario Internazionale, si può osservare che nel 1950 questo ammontava a circa 6700 miliardi di dollari, nel 1960 a 10.700 miliardi di dollari, nel 1970 a 17.500, nel 1980 a 25.300, nel 1990 a 34.200 e nelle 2000 a 46 mila miliardi di dollari. Se paragoniamo queste cifre, che rispecchiano la somma dei PIL dei paesi di tutto il mondo, a quelle sfuggenti di obbligazioni e derivati è evidente che ci troviamo di fronte a cifre che fanno riflettere proprio su questa discrepanza. È difficile non prendere in considerazione che l’economia mondiale abbia bisogno di una profonda revisione che la riporti più vicino alla realtà e questo condurrà inevitabilmente ad un nuovo modo di impostare le politiche. La sostenibilità è destinata a diventare la protagonista centrale delle politiche economiche e a coprire questo gap.
Approfondimento. Strumento derivato.
In finanza, è denominato strumento derivato (o anche, semplicemente derivato) ogni contratto o titolo il cui prezzo sia basato sul valore di mercato di uno o più beni (quali, ad esempio, azioni, indici finanziari, valute, tassi d’interesse). Gli utilizzi principali degli strumenti derivati sono la copertura di un rischio finanziario (detta hedging), l’arbitraggio (ossia l’acquisto di un prodotto in un mercato e la sua vendita in un altro mercato) e la speculazione. Le variabili alla base della quotazione dei titoli derivati sono dette attività sottostanti e possono avere diversa natura: può trattarsi di azioni, di obbligazioni, indici finanziari, di commodity come il petrolio o anche di un altro derivato, ma esistono derivati basati sulle più diverse variabili, perfino
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sulla quantità di neve caduta in una determinata zona, o sulle precipitazioni in genere. I derivati sono oggetto di contrattazione in molti mercati finanziari, e soprattutto in mercati al di fuori dei centri borsistici ufficiali, ossia in mercati alternativi alle borse vere e proprie, detti OTC, over the counter: si tratta di mercati creati da istituzioni finanziarie e da professionisti tramite reti telematiche e che, di solito, non sono regolamentati.
2. Il modello di consumo
2.3 Indici di benessere.
Questa divergenza è presente anche nei tentativi di misurare la qualità della vita attraverso indici di benessere. Nell’attuale economia il concetto di sviluppo tende ad avere un’unica dimensione caratterizzata dal denaro e dei flussi da esso generati, spesso tradotta, in maniera non del tutto fedele alla realtà, in termini di benessere è rappresentata dall’indice del Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite. Proprio dopo il secondo dopoguerra, quando il Pil ha dato segno delle sue prime grandi impennate, Jean Baudrillard nel 1976 definisce le contabilizzazioni nazionali come “uno straordinario bluff collettivo”, in quanto “...in esse non rientra nulla tranne i fattori visibili misurabili secondo i criteri della razionalità economica (...) esse non conoscono il segno negativo, addizionando sempre svantaggi ed elementi positivi, in questa logica tutti i fattori di degrado, gli scarti, le ricadute sociali ed ambientali non misurabili non vengono tenute in considerazione, o se vi figurano lo fanno positivamente!”. 71 La formula tradizionale per raggiungere benessere deve essere sempre basata sul perseguimento della crescita economica, partendo dall’assunto che maggiori redditi portano un maggior benessere e quindi alla prosperità di tutti. Gli effetti negativi e pesanti del mito della crescita economica, dal punto di vista sociale e ambientale, sono stati ampiamente approfonditi, analizzati e indagati e oggi diventa veramente difficile dare torto ai grandi pionieri dell’economia ecologica e della scienza della sostenibilità come Nicholas Georgescu-Roegen, Herman Daly oppure ad altri economisti come Kenneth Boulding (1990-1993) o a grandi figure intellettuali come Aurelio Peccei (1908-1984) che concepì il Club di Roma e si impegnò sul primo straordinario rapporto pubblicato nel 1972 dal titolo “The Limit of the Growth”, realizzato dal System Dynamics Group del prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT). Dopo queste chiare indicazioni si aprì un timido dibattito su come impostare una nuova economia per la nostra società; dibattito oggi molto più ampio e pressante dove la formula della crescita è messa in seria discussione e forte dubbio. Tutti questi dati, ormai più che chiari dimostrano che il sistema Terra ha gravi problemi relativi alle capacità di rigenerazione dei sistemi naturali rispetto alle risorse utilizzate e alle capacità di ricezione; se il mondo è governato attualmente in modo insostenibile allora lo sarà sempre di più in futuro se manteniamo
questi trend di crescita, come dimostrano i risultati delle analisi scientifiche dell’ “Heart System Science Partnership” (ESSP). Come ricorda Tim Jackson: Ormai la visione dominante della prosperità come paradiso economico in continua espansione si è disfatta. Forse funzionava meglio quando le economie erano più piccole e la popolazione mondiale meno numerosa. Comunque, se è mai stata corretta, ora non lo è più di sicuro. Il cambiamento climatico, il degrado ecologico allo spettro della scarsità delle risorse si sommano ai problemi causati dal crollo dei mercati finanziari e dalla recessione. I rimedi veloci per rimettere in piedi sistema dopo la bancarotta non bastano: serve qualcosa di più. Serve, come punto di partenza fondamentale, una definizione coerente di prosperità che non faccia affidamento su assunti preimpostati basati sulla crescita dei consumi. 72
72. Jackson, 2009
71. Baudrillard, 1976
Il paradosso risiede nel fatto che per il sistema economico attuale il benessere del cittadino e la sua capacità di crescere risultano due costanti analoghe, come suggerisce Jean Baudrillard sono:“indifferentemente e nello stesso tempo il suo obiettivo, il fatto è che per esso, in fondo, le due cose sono uguali contenuti (...)”. Tra le varie figure intellettuali che hanno messo in discussione i limiti del Pil, forse il primo è stato Simon Kuznets già nel 1934, ma è solo decenni più tardi che queste parole acquistarono più importanza dette dal senatore statunitense Robert Kennedy. Nel 1968 sottolineò che il Pil proponeva una visione semplicistica e riduttiva del benessere di un paese, perché “misura tutto, eccetto quel che rende la vita degna di essere vissuta” che non include costi e ricadute della produzione. “Too much and for too long, we seem to have surrendered personal excellence and community values in the mere accumulation of material things. Our Gross National Product now is over 800 billions dollars a year, but that Gross National Product […] counts air pollution and cigarette advertising, and ambulances to clear our highways of carnage. It counts special locks for our doors and the jail for the people who break them. It counts the destruction of the redwood and the loss of our natural wonder in chaotic sprawl. It counts napalm and counts nuclear war-heads and armored cars for the police to fight the riots in our cities. It counts Whitman’s rifle and Speck’s knife. And the television programs
73. Kennedy, 1968
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2. Il modello di consumo
which glorify violence in order to sell toys to our children. Yet the Gross National Product does not allow for the health of our children, the quality of their education or the joy of their play. It does not include the beauty of our poetry or the stregth of our marriages, the intelligence of our pubblic debate or the integrity of our pubblic officials. It measures neither our wit nor our courage, neither our wisdom nor our learning, neither our compassion nor our devotion to our country, it measures everything in short, except that which makes life worthwhile”. 73 Al di fuori di queste considerazioni, di stampo sociale, il livello critico attuale è dato soprattutto dal fatto che riconsiderare le risorse, i loro delicati complessi equilibri dinamici, la loro distribuzione in rapporto alle esigenze degli ecosistemi e dei sistemi sociali, significa avere la necessità di ridiscutere alla radice le formule e i principi che regolano l’attuale economia di libero mercato. Questo è proprio l’obiettivo di quella branca dell’economia chiamata “economia ecologica”. Questa cugina virtuosa dell’economia classica fonda i suoi punti di vista sui decenni di analisi e riflessioni: le prime erano interessate a costruire un ponte tra le discipline ecologiche e quelle economiche, risalgono agli anni ‘60 e inizialmente si limitavano ad un semplice aggiustamento dell’economia neoclassica affinché tenesse conto, in qualche forma, delle risorse naturali. L’impegno messo in gioco in quegli anni a proposito dei cosiddetti “costi esterni” (cioè quanto la collettività si trova a pagare per non aver preso in considerazione il valore delle risorse naturali) coincide quindi con il tentativo di internalizzare nei conti economici queste esternalità; da qui vennero tratti i primi risultati interessanti e il corso di queste ricerche ha dato vita ad un filone d’indagine e analisi definito “economia ambientale”. Successivamente l’economia ecologica mise in pratica un approccio più critico rispetto all’economia tradizionale; l’obiettivo da raggiungere era risolvere il conflitto su cui si fonda l’economia neoclassica: l’imperativo della crescita continua non può evitare di scontrarsi con i due limiti fondamentali della crescita stessa, quello biofisico e quello etico-sociale. 74. Daly, 2009
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Ciò che è necessario a questo punto non è un’analisi sempre più raffinata di una visione difettosa, ma una nuova visione. Questo non vuol dire che tutto ciò che è stato costruito sulla base della vecchia visione sia necessariamente da buttare via, ma quando si altera la visione preanalitica è probabile che ne conseguano cambiamenti anche fondamentali. Il mutamento di visione necessario consiste nel rappresentare la macroeconomia come un sottosistema aperto di un ecosistema naturale non illimitato (l’ambiente), anziché come un flusso circolare isolato di valore e scambio astratto, non vincolato da equilibri di massa, entropia ed
esauribilità”. 74 L’economia standard non prende in considerazione l’ambiente che racchiude il nostro sottosistema economico-produttivo, ma il concetto di sostenibilità è stato in qualche modo riconosciuto negli anni e incorporato nelle varie definizioni di reddito, come succede ad esempio in quella dell’economista John Richard Hicks (1904-1989, premio Nobel per l’economia nel 1972) che riporta: “l’ammontare massimo che una comunità può consumare in un determinato lasso di tempo senza intaccare il benessere di cui dispone all’inizio del periodo”. Ciò significa che avere il medesimo benessere vuol dire essere in grado di produrre il medesimo reddito nel futuro, mantenendo intatto il capitale. Per descrivere brevemente l’economia ecologica, i principali principi che la guidano e, che rappresentano ormai un consolidato punto di riferimento per la scienza della sostenibilità, è possibile indicare: 1. Prendere in considerazione il problema di una scala sostenibile dei flussi di materia ed energia provenienti dall’ambiente. In questo caso viene posto il problema di una scala sostenibile dei flussi, di una distribuzione equa delle risorse e di una loro allocazione efficiente; mentre l’economia classica tratta in modo approfondito l’allocazione, prende in esame la distribuzione, ignora però il problema della scala. “Scala” si riferisce alla dimensione fisica dell’economia rispetto ai sistemi naturali, quindi il volume fisico del flusso di materia ed energia che proviene dall’ambiente ed è connotato da una bassa entropia, per essere riassorbito sotto forma di rifiuto con una entropia alta, deve avere delle dimensioni controllate: non può esserci una scala sostenibile di flusso se la capacità rigenerativa del sistema naturale non è messa in condizione di lavorare adeguatamente nel caso in cui si preleva oltre la capacità di rigenerazione e assimilazione del sistema o se i rifiuti prodotti superano la sua capacità di metabolizzazione. 2. Valorizzare gli aspetti naturali prendendo in considerazione la biodiversità e il mantenimento della dinamica evolutiva degli ecosistemi e dei “servizi ecologici”. Non compromettere i meccanismi fondamentali dell’evoluzione, che comprendano anche la sopravvivenza della nostra specie, al fine di garantire la straordinaria ricchezza della vita sulla terra sono condizioni imprescindibili per la sostenibilità del nostro sviluppo. In questo caso l’attività umana è vincolata a mantenere intatte le capacità rigenerative e assimilative dei sistemi naturali: verrà posta particolare attenzione a
2. Il modello di consumo
mantenere molto alta la loro resilienza e di conseguenza molto bassa la loro vulnerabilità. Se questo non accade possono essere messi in crisi le potenzialità di apprendimento, adattamento e flessibilità dei sistemi stessi. Questo principio vale anche per i sistemi sociali, in quanto sottosistemi dei sistemi naturali e ciò costituisce un messaggio centrale della moderna ecologia della scienza della sostenibilità. 3. Non risulta plausibile uno scambio meccanico tra capitale naturale e capitale umano, considerati equivalenti in termini di valore economico. Da questo punto di vista i due capitali vengono considerati complementari e non sostituibili l’uno all’altro: questo è il principio della “sostenibilità forte”, passaggio attribuibile all’economia ecologica. Come sottolinea Hermann Daly, il mondo si sta muovendo da una situazione in cui il capitale di produzione umana era il fattore che limitava lo sviluppo, a una situazione in cui il fattore limitante risulta il capitale naturale. Un’osservazione di questo tipo attribuisce ulteriore valore al capitale naturale, esso va salvaguardato al meglio facendo sì che le sue dinamiche evolutive vengano mantenute intatte sempre per non aggravare la vulnerabilità dei sistemi naturali. 4. È necessario operare all’interno dei limiti della capacità di carico del sistema Terra rispetto alla popolazione umana. Nel quarto punto l’economia ecologica fa riferimento alla capacità di carico secondo la definizione di “Carryng Capacity”; questa capacità di carico può essere riferita, su scala più ampia, all’intero sistema pianeta Terra; secondo i ricercatori dell’ Earth System Science Partnership così facendo si mettono in luce gli evidenti limiti alla capacità di carico del nostro pianeta rispetto all’intera popolazione umana. Riferendoci alla popolazione globale in termini quantitativi e descrittivi, per quanto riguarda stile di vita, consumo, produzione e scarti, abbiamo una serie di parametri che risultano fondamentali per descrivere la sostenibilità. Un metodo efficace per precisare meglio questo impatto può essere l’equazione individuata nel 1971 da Paul Ehrlich e John Holdren dove questo è calcolato come il prodotto di tre fattori: il numero di esseri umani, il livello di consumo (l’affluenza, lo stile di vita) e il livello di tecnologie utilizzato.
I = P x A x T
dove I = Impatto P = Popolazione A = Affluenza T = Tecnologia
Anche se in modo molto sintetico l’equazione riesce a fare un quadro generale del nostro impatto sui sistemi naturali; per riuscire a ridurlo è indispensabile
intervenire sui tre fattori: fermare la crescita vertiginosa della popolazione, ridurre il livello di consumo e trasformazione di energia e materia dei paesi ricchi, migliorare l’efficienza tecnologica e garantire un maggior risparmio in modo da consentire alla produzione di beni e servizi con minor quantità di input. Come dimostrato dagli ecologi Paul e Anne Ehrlich, Matson e Vitousek della Stanford University negli anni Ottanta e poi confermato successivamente da altri studiosi come Helmut Haberl del Vienna Institute of Social Ecology della Klagenfurt University, la popolazione mondiale si appropria di una quantità notevole del prodotto della fotosintesi sulla Terra, quindi della base fondamentale di energia disponibile per tutta la vita sul nostro pianeta. Questa sottrazione viene chiamata Human Appropriation of Net Primary Production (HANPP, tradotto in Appropriazione Umana della Produttività Primaria Netta). Il suo ammontare viene valutato tra il 20 e il 40% circa. Questo calcolo prende in considerazione che trasformazioni molto importanti che riguardano interi ambienti naturali diminuiscono la produttività complessiva degli ecosistemi, dirottandola nei sistemi controllati dall’uomo. Hermann Daly riprende la questione cruciale della capacità di carico con un esempio molto pragmatico e sintetico preso in prestito dalla terminologia nautica: “su un’imbarcazione la scala ottimale assoluta di carico, definita linea di Plimsoll, è espressa dalla linea di galleggiamento a pieno carico. Quando l’acqua raggiunge questa linea l’imbarcazione è alla sua massima capacità di carico, oltre la quale non è più sicura. Ovviamente se il peso è stato distribuito male il livello dell’acqua raggiunge la linea di Plimsoll più rapidamente. Tuttavia man mano che il carico aumenta l’acqua toccherà la linea anche se il peso è stato distribuito in modo ottimale, le imbarcazioni il cui carico è stato distribuito perfettamente affonderanno comunque sotto il peso eccessivo, magari affonderanno in modo ottimale!” 75
75. Daly, 2009
Quindi l’allocazione ottimale e la scala ottimale costituiscono due problemi distinti, secondo Daly il compito principale della macroeconomia ambientale risulta quello di delineare un’istituzione economica analoga alla linea di galleggiamento a pieno carico, per evitare che il peso, e cioè la scala assoluta, dell’economia faccia affondare la nostra “arca biosferica”. 5. Individuare un metodo di misurazione più completo ed esauriente per il benessere e la ricchezza delle società. Vi è una convinzione diffusa negli ambienti economici che se il mercato va bene la gente automaticamente ne risulta beneficiata. Attualmente il concetto di sviluppo
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2. Il modello di consumo
tende ad avere un’unica dimensione caratterizzata dal denaro e dai flussi da esso generati, questa è tradotta in modo troppo semplicistico in termini di benessere ed è rappresentata globalmente secondo l’indice del Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite. Il potere simbolico di questo indice è diventato enorme, la maggioranza degli economisti classici e dei governi vede nella crescita del PIL un segno di benessere del mercato e, quindi, un segno di benessere dell’intera economia di un paese. D’altro canto invece un’ampia letteratura contraddice questo riconoscimento e dimostra che il PIL non costituisce affatto un sinonimo di ricchezza e di benessere. A questo proposito esistono analisi approfondite e proposte concrete di azione per ampliare il numero di indicatori possibili sui quali si dovrebbe calcolare la ricchezza e il benessere di una comunità. Attualmente infatti esiste un eccezionale varietà di indicatori che mirano a prendere in considerazione anche lo status dei sistemi naturali e di quelli sociali oppure a fornire indicazioni su quelli che dovrebbero essere gli obiettivi da raggiungere nei singoli settori analizzati. Tra queste proposte si possono ricordare il Measure of Economic Welfare (MEW) o l’Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW). In Buthan il re Jigme Singye Wangchuk sostituì nel 1972 il PIL con il nuovo indicatore FIL Felicità Interna Lorda, (GNH, Gross National Happiness). È interessante vedere come i diversi fattori presi in considerazione per ottenere l’indice interagiscano tra loro; con felicità, in questo caso, si intende la capacità di di una comunità di creare un equilibrio tra il benessere economico, la cultura, le relazioni personali e il rispetto dei sistemi naturali. Jigmy Y.Thinley, primo ministro del Buthan, ha riportato al Festival dell’Economia di Trento nel 2010 che: 76. Amato, 2010
77. Wackernagel, 2002
“Il FIL si basa su quattro pilastri: l’esistenza di uno sviluppo economico equo e sostenibile, che include l’istruzione, i servizi sociali e le infrastrutture, in modo che ogni cittadino possa godere degli stessi benefici di partenza; la conservazione ambientale, che per noi è particolarmente importante visto che viviamo in un paese dove solo l’8% del suolo è utilizzabile per l’agricoltura; la cultura, intesa come una serie di valori che servono a promuovere il progresso della società; e infine il pilastro su cui si fondano tutti gli altri, il buon governo”. 76 Tentativi di rilievo, più vicini a noi, possono essere quelli fatti dall’organizzazione delle Nazioni Unite negli anni ‘90, dove si cercò di affiancare alla valutazione del PIL un’ulteriore indicatore di sviluppo macroeconomico l’ISU, Indicatore dello Sviluppo Umano (dall’inglese Human
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Development Index). All’interno di questo indicatore compaiono fattori come l’accesso alla conoscenza oppure la speranza di vita, tentativo di spostare il peso oltre il mero calcolo monetario di beni e servizi prodotti. Analizzando questo indice, negli anni successivi, si è aperta la strada alla comprensione che esistono molti fattori connessi tra loro per valutare le condizioni di un Paese: come l’accesso alle risorse, i diritti umani, l’equità sociale, la sostenibilità ambientale, l’istruzione e la sanità. All’interno di questo indice elementi come questi interagiscono e dialogano tra di loro in modo complesso ed organico: ogni anno viene messa a punto una classifica delle nazioni appartenenti all’Onu che vengono ordinate secondo tre principali parametri che sono l’accesso alla conoscenza, l’aspettativa di vita e l’indice di reddito, misurato dal Reddito Nazionale Lordo pro capite. Ogni anno viene poi proposto un settore di analisi specifico, in cui si valutano i rapporti trasversali tra le variabili; inserire la classifica relativa al 2012 Sempre negli anni ‘90, l’associazione Redefining Progress propone il Genuine Progress Index (GPI) partendo dall’indice citato prima Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW). Lo scopo era sempre quello di colmare il gap presente tra il PIL e il benessere reale di una nazione, ovvero l’incapacità di distinguere la natura delle transizioni economiche conteggiate e di definirne la ricaduta sociale ed ambientale. Il GPI in questo caso non prendere in considerazione solo prodotti e servizi che generano flussi di denaro, ma comprende anche tutte quelle attività mutualistiche e domestiche, come il volontariato e il lavoro domestico. Inoltre i flussi di denaro che non generano benessere e che quindi sono considerabili uscite, come quelle derivanti dai divorzi, dai crimini, dall’inquinamento o quelle che, più in generale, portano ad una svalutazione del patrimonio o delle risorse naturali compaiono negativamente. In realtà anche il GPI presenta dei limiti in quanto non fornisce tramite un valore diretto i fattori analizzati ma li traduce in denaro. Ciò preclude, proprio per la natura astratta del denaro, la possibilità di riconoscere la complessità di molti servizi sociali e ambientali di base. Il valore fluttuante delle valute dipende più dai capricci dei mercati che dalla salute dell’ambiente e della società. 77 Nel tentativo di combinare il rapporto tra impatto ambientale e benessere della società è stato introdotto nel 2006 l’indice Happy Planet Index (HPI) da parte di un gruppo indipendente di ricerche inglese, il NEF (New Economics Foundation). Sinteticamente questo indice cerca di analizzare l’efficienza con cui governi di un dato paese convertono le risorse in termini di durata rispetto
2. Il modello di consumo
Approfondimento. L’Indice di sviluppo umano.
L’Indice di sviluppo umano (in inglese: HDI-Human Development Index) è un indicatore di sviluppo macroeconomico realizzato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq, seguito dall’economista indiano Amartya Sen. È stato utilizzato, accanto al PIL (Prodotto Interno Lordo), dall’Organizzazione delle Nazioni Unite a partire dal 1993 per valutare la qualità della vita nei paesi membri. In precedenza, veniva utilizzato soltanto il PIL, indicatore di sviluppo macroeconomico che rappresenta il valore monetario dei beni e dei servizi prodotti in un anno su un determinato territorio nazionale e che si basa quindi esclusivamente sulla crescita e non tiene conto del capitale (soprattutto naturale) che viene perso nei processi di crescita. Questi parametri misurano esclusivamente il valore economico totale o una distribuzione media del reddito. In pratica, un cittadino molto ricco ridistribuisce la sua ricchezza su molti poveri falsando in tal modo il livello di vita di questi ultimi.
Si cercò quindi, attraverso l’Indice di sviluppo umano, di tener conto di differenti fattori, oltre al PIL procapite, che non potevano essere detenuti in modo massiccio da un singolo individuo, come l’alfabetizzazione e la speranza di vita. La scala dell’indice è in millesimi decrescente da 1 a 0 e si suddivide, in base ai quartili (dal 2010), in quattro gruppi: paesi a molto alto sviluppo umano, paesi ad alto sviluppo umano, paesi a medio sviluppo e paesi a basso sviluppo umano. Il concetto di sviluppo umano viene elaborato, alla fine degli anni ottanta, dal programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo UNDP, al fine di superare ed ampliare l’accezione tradizionale di sviluppo incentrata solo sulla crescita economica. Lo sviluppo umano coinvolge e riguarda alcuni ambiti fondamentali dello sviluppo economico e sociale: la promozione dei diritti umani e l’appoggio alle istituzioni locali con particolare riguardo al diritto alla convivenza pacifica, la difesa dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile delle risorse territoriali, lo sviluppo dei servizi sanitari e sociali con attenzione prioritaria ai problemi più diffusi ed ai gruppi più vulnerabili, il miglioramento dell’educazione della popolazione, con particolare attenzione all’educazione di base, lo sviluppo economico locale, l’alfabetizzazione e l’educazione allo sviluppo, la partecipazione democratica, l’equità delle opportunità di sviluppo e d’inserimento nella vita sociale. CLASSIFICA RELATIVA ALL’ANNO 2012
alla felicità media dei suoi abitanti. Ne risulta quindi che la condotta di un paese può essere considerata virtuosa se questo riesce a garantire un buon livello di benessere senza compromettere la salute del pianeta; in questo modo l’HPI propone di misurare il progresso inteso come “efficienza ecologica necessaria per definire uno standard di vita felice e sano”. Nell’ultimo report HPI 2.0, intitolato “The Happy Planet Index 2.0: why good lives don’t have to cost the Earth” pubblicato nel 2009, sono stati presi in considerazione 143 Stati, coprendo quindi circa il 99% della popolazione mondiale; i punteggi andavano da zero a 100, dove un livello tendenzialmente alto può essere raggiunto solo rispettando tutti e tre gli obiettivi inclusi nell’indice: l’alta aspettativa di vita, un alto grado di soddisfazione ed una bassa impronta ecologica. Se analizziamo i risultati inclusi nel report ci troviamo di fronte ad un’idea differente di progresso: infatti l’HPI conferma che i paesi in cui le persone godono di aspettative di vita più alte e condizioni sanitarie migliori sono perlopiù quelli sviluppati, osservando però gli indici si evince allo stesso tempo l’insostenibilità, in termini ambientali, degli stessi. Per contro, vengono evidenziate importanti eccezioni che comprendono Paesi meno ricchi dove vengono dichiarati alti livelli di aspettativa di vita e di soddisfazione personale a fronte di una bassa impronta ecologica. In questo modo l’HPI dimostra che un buon tenore di vita sia possibile senza compromettere il sistema naturale. Così al primo posto della classifica compare Costarica, il cui PIL pro capite non raggiunge nemmeno un quarto di quello degli Stati Uniti, che nella
1 Norvegia 2 Australia 3 Stati Uniti 4 Paesi Bassi 5 Germania 6 Nuova Zelanda 7 Irlanda 8 Svezia 9 Svizzera 10 Giappone 11 Canada 12 Corea del Sud 13 Hong Kong 14 Islanda 15 Danimarca 16 Israele 17 Belgio 18 Austria 19 Singapore 20 Francia 21 Finlandia 22 Slovenia 23 Spagna 24 Liechtenstein
25 Italia 26 Lussemburgo 27 RegnoUnito 28 Rep. Ceca 29 Grecia 30 Brunei 31 Cipro 32 Malesia 33 Andorra 34 Estonia 35 Slovacchia 36 Qatar 37 Ungheria 38 Barbados 39 Polonia 40 Cile 41 Lituania 42 EmiratiArabi Uniti 43 Portogallo 44 Lettonia 45 Argentina 46 Seychelles 47 Croazia
stessa classifica occupano la centoquattordicesima posizione, in testa solo rispetto alle nazioni Subsahariane e allo Zimbabwe. Oltre agli indici descritti ricoprono una elevata importanza, degna di nota in questo ambito, iniziative come quella del 2007 che vede coinvolti il Parlamento europeo, la Commissione europea, l’ OCSE, il WWF e
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2. Il modello di consumo
il Club di Roma per affrontare i limiti del PIL; l’ampio lavoro di approfondimento dell’iniziativa politica svolta in questo caso produsse la conferenza internazionale di Bruxelles chiamata “Beyond GDP” (oltre il PIL), conclusa con l’affermazione del Presidente Barroso: “è ormai tempo di andare oltre il PIL”. Nel 2009 invece il PIL viene nuovamente messo in discussione dalla commissione internazionale voluta dal presidente francese Nichola Sarkozy, composta da esperti di livello mondiale, come gli economisti premi Nobel Stiglitz, Sen e Fitoussi, che ha prodotto un rapporto dove non si conclude con un’ulteriore indicatore, ma bensì con una serie di linee guida generali che portano a delineare meglio il concetto di benessere. Il rapporto non riguarda solamente il lato economico, ma soprattutto le attività considerate esterne al mercato come: l’educazione, la salute, la qualità della democrazia, la sicurezza, le reti sociali, la cura degli ammalati e degli anziani e l’ambiente. Oltre a questo si occupano delle questioni di sostenibilità ambientale per misurare la crescita di un Paese al netto delle risorse a sua disposizione e rispetto ai rischi del cambiamento climatico.
I numerosi tentativi fatti finora confermano la difficoltà di esprimer variabili qualitative secondo indici quantitativi. L’immediatezza del PIL risulta ancora difficilmente sostituibile dagli altri indici proprio per la loro efficacia. Mettere in luce qualità come il benessere è un obiettivo molto ambizioso perché con questo semplice parametro descriviamo il risultato di un equilibrio delicato in cui molti sono i fattori che si combinano ed interagiscono. La necessità di trovare una veste confrontabile ed oggettiva porta a dover trovare dei giudizi condivisi, anche tentando di non utilizzare le cifre, si rischia di semplificare e ridurre concetti complessi in voti. I valori qualitativi sono animati da infinite sfaccettature che cambiano le si modellano in base alla cultura e al territorio, sono frutto del tempo e dello spazio e con essi variano e si trasformano. Il prestigio evidente che va riconosciuto alle iniziative percorse è quello di provare a vedere il mondo sotto un punto di vista differente; tentativo che cerca di riportare alla base delle scelte politiche non solamente più l’imperante crescita economica, ma anche il bene della comunità e dei sistemi naturali secondo un adeguato bilanciamento.
2.4 Il comportamento d’acquisto del consumatore.
Il marketing concept mette in risalto il fatto che una profittevole attività di marketing consiste innanzitutto nell’individuazione e nella comprensione dei bisogni del consumatore per poi sviluppare, su questa base, un marketing mix finalizzato al soddisfacimento di tali bisogni. Per questo motivo la piena comprensione del consumatore, dei suoi bisogni e dei suoi comportamenti d’acquisto costituisce la condizione di partenza per un marketing di successo. Non esiste una singola teoria che basti, da sola, a spiegare il perché di consumatore si comporti in un certo modo piuttosto che in un altro; sono invece necessarie numerose teorie, nonché diversi modelli e concetti integrati, per affrontare un fenomeno così
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complesso. Molte di queste teorie, inoltre, sono state pensate in ambiti diversi e appartengono ad altre discipline come la sociologia, la psicologia, l’antropologia e l’economia. L’influenza di queste dottrine conferma il fatto che il marketing sia una materia fortemente multidisciplinare e che risulta necessario ricorrere ad ambiti di ricerca differenti per avvicinarsi meglio al risultato di comprensione del comportamento del consumatore affrontando nel modo più esaustivo possibile analisi così articolate e il grande ventaglio di risposte che ne consegue. Questo comportamento d’acquisto può essere definito in modo generale come modello di consumo intendendo l’insieme di fattori economici, sociali e culturali che
2. Il modello di consumo
descrivono una comunità e il suo comportamento legato alla fruizione di beni o servizi con il fine di soddisfare un bisogno. Facendo riferimento a definizioni come quella del filosofo e sociologo Jean Baudrillard che nomina la società attuale “società dei consumi” capiamo facilmente che l’orizzonte economico da esplorare con gli occhiali del marketing risulta, oggi, vasto più che mai. Per entrare in questa complessità il marketing ricorrere alla cosiddetta segmentazione del mercato. Lo studio del comportamento d’acquisto dei consumatori e delle organizzazioni, infatti, viene effettuato soprattutto per fornire al management le basi conoscitive per un efficace segmentazione del mercato e una larga porzione degli sforzi delle imprese nella ricerca di marketing è rivolta ad individuare la segmentazione
INFLUENZE SOCIALI
migliore. Normalmente i bisogni, i desideri e le preferenze dei consumatori riguardo beni e servizi disponibili sul mercato sono molto differenti; pertanto se si desidera una pianificazione marketing di successo, è necessario adottare i prodotti alle preferenze dei consumatori. Vi sono gruppi di consumatori che condividono gusti e comportamenti; se un particolare gruppo di consumatori può essere servito con profitto da un’azienda, esso costituisce un attraente segmento di mercato. Il mercato può quindi essere suddiviso in base alle sue dimensioni significative: i consumatori vengono raggruppati in segmenti omogenei indipendentemente dalle loro effettive peculiarità. Procedendo sinteticamente, oltre alla segmentazione, il marketing cerca di esaminare il comportamento del consumatore trattando le influenze a cui può essere sottoposto.
INFLUENZE MARKETING
INFLUENZE SITUAZIONALI
INFLUENZE PSICOLOGICHE
Processo decisionale del consumatore Queste influenze partono da un primo livello e possono essere suddivise in sociali, indotte dal marketing e situazionali. Esse generano informazioni che incidono sulle opinioni e le percezioni del consumatore rispetto all’acquisto. L’intensità con la quale tali informazioni influenzano le decisioni del consumatore dipende da un secondo livello di fattori chiamati psicologici, i più importanti fra questi possono essere considerati la conoscenza e il coinvolgimento associati al prodotto. Inoltre in momenti di crisi come quello attuale viene tenuta in conto anche la variabile economica: essa rappresenta per l’individuo il limite dell’accesso al consumo, identificabile con le possibilità legate all’economia come ad esempio il reddito disponibile, i livelli dei tassi di interesse, il rapporto tra domanda
Figura 28. Visione generale del processo d’acquisto
e offerta. Mentre in passato l’aspetto economico vincolava fortemente l’acquisto, tanto da necessitare un primo momento di risparmio ed una successiva pianificazione della spesa, al giorno d’oggi, grazie al carattere sempre più astratto del mercato e del denaro, gli strumenti di credito e di rateizzazione permettono di superare questo limite. Chiaramente, all’interno dell’ambito delle influenze sociali, il marketing considera la cultura come uno dei principali fattori che influenza dei bisogni, i desideri e comportamenti di un individuo, poiché qualunque aspetto della sua esistenza si dispiega nell’ambito del sistema culturale della società in cui egli vive. Normalmente i valori culturali sono trasmessi all’individuo da tre istituzioni fondamentali:
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2. Il modello di consumo
Figura 29. Il processo decisionale del consumatore.
la famiglia, le organizzazioni religiose e le istituzioni scolastiche. Il marketing dovrebbe quindi aver cura di adattare il proprio mix ai valori culturali e controllare costantemente la variazione che interviene su di questi e le differenze che li caratterizzano. Dal punto di vista sociale ricoprono una determinata importanza anche i gruppi di riferimento, ai quali l’individuo guarda in modo più o meno consapevole rifacendosi con i propri atteggiamenti e le proprie opinioni, questi possono essere la famiglia e gli amici ristretti (primari) o colleghi e compagni con cui si condividono momenti della giornata (secondari). Oltre alle influenze sociali, nel processo decisionale del consumatore, intervengono tutte le strategie appartenenti alla sfera del marketing dirette a influenzare il suo comportamento: ogni elemento del marketing mix (prodotto, prezzo, promozione, distribuzione) può incidere sul consumatore in maniera diversa. Le influenze situazionali possono essere definite come tutti quei fattori, relativi a un momento e a un luogo particolare, che hanno un effetto sul comportamento dimostrabile. Questi fattori riescono ad esercitare influenza facendo leva anch’essi sulle peculiarità caratteriali del consumatore, questa può essere percepita tanto livello conscio quanto a livello inconscio. Principalmente possono essere divisi in cinque categorie: - l’ambiente fisico: la caratteristica più evidente della situazione d’acquisto. - l’ambiente sociale: un’ulteriore dimensione da aggiungere alla descrizione fisica della situazione, che ci riporta appunto alla sfera sociale del consumatore. - la prospettiva temporale: il momento migliore in cui influenzare il consumatore.
RICONOSCIMENTO BISOGNO
IMPRESSIONI POST-ACQUISTO 98
- la definizione del compito: all’interno di una situazione di acquisto sta a significare l’intento personale, o l’affidamento di tale compito da parte di altri, di selezionare, acquistare o raccogliere le informazioni rilevanti per un dato acquisto. - le condizioni antecedenti: l’ultimo fattore che caratterizza una situazione d’acquisto; inclinazioni momentanee o condizioni che non possono essere viste come stati cronici dell’individuo. Le informazioni generate dal contesto sociale, di marketing e situazionale influenzano opinioni e sensazioni del consumatore facendo direttamente leva sulla sua dimensione psicologica. In questo secondo livello intervengono le caratteristiche individuali del singolo e della sua percezione rispetto al consumo di un bene: il significato che si attribuisce all’acquisto, le aspettative che si hanno, i rischi percepiti. Se le tre influenze del primo livello rappresentano una commistione di fattori esterni, non sempre controllabili dall’utente, il secondo livello è legato esclusivamente all’atteggiamento dell’individuo. Altri fattori che intervengono in questo momento possono essere la conoscenza associata al prodotto (che determina la rapidità con la quale il consumatore compie il processo decisionale) e il coinvolgimento che questo scaturisce nel consumatore (che risulta fondamentale nella scelta perché rende il consumatore sicuro sull’acquisto). Il processo vero e proprio attraverso il quale consumatori assumono delle decisioni di acquisto si può sintetizzare i 5 step: il riconoscimento del bisogno, la ricerca delle informazioni su possibili alternative che soddisfino tale bisogno, la valutazione di queste alternative, la decisione dell’acquisto, una valutazione post acquisto.
RICERCA ALTERNATIVE
VALUTAZIONE ALTERNATIVE
DECISIONE ACQUISTO
2. Il modello di consumo
L’insieme di tutte queste considerazioni nascono dall’esigenza basilare del marketing di ottimizzare le proprie performance, fornendo le basi per comprendere il consumo e cosa lo posso orientare e condizionare, al fine di favorire le aziende nel proporre prodotti che incontrino il gusto di una fetta sempre maggiore di utenti incrementando così i profitti. Distinguere così uno stile di vita, ed in particolare gli aspetti culturali che ne stanno alla base, è il passaggio che costituisce le fondamenta per affrontare la comprensione e la definizione di un modello di consumo. Se una visione di consumo globalizzato in crescita indiscriminata tende ad un generale appiattimento culturale del consumatore, per semplificare le diverse peculiarità che esso presenta, il germe di queste caratteristiche culturali è invece oggetto di ulteriore interesse per individuare i punti su cui far leva nel processo decisionale. L’esplicitazione di questi aspetti passa attraverso la definizione stessa di cultura da sempre centro di ampi dibattiti, la parola deriva dal latino còlere e significa coltivare. Nel 1871 Tylor fu uno dei primi che cercò di identificare una definizione antropologica di questo termine, per lui era il complesso che include le conoscenze, la morale, le abitudini e gli oggetti materiali di una comunità. Successivamente vari influenze filosofiche spostarono il peso di questa definizione sull’importanza del concetto di quotidiano: i ruoli, le credenze, i miti, i riti e tutte le pratiche che strutturano all’agire di una persona. Così facendo la definizione di cultura si amplia comprendendo tutte quelle azioni che si sono sedimentate durante un processo storico delineando un modello comportamentale, dei rapporti sociali, usanze e conoscenze di una comunità. Questi risultati di vita comune vanno normalmente incontro ad un processo di sedimentazione storica ed entrano a far parte delle tradizioni di una comunità; molte volte risultano collegate in maniera più stretta ad un luogo piuttosto che ha delle persone proprio per questa caratteristica di durata nel lungo periodo; come tali, le tradizioni possono essere modificate o anche perse nel tempo. Un tentativo di definizione che mette a fuoco con successo questo concetto può essere quello proposto dall’antropologo L.L. Cavalli Sforza: L’accumulo globale di conoscenze ed innovazioni, derivante dalla somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi al nostro gruppo sociale, che influenza e cambia continuamente la nostra vita. 78
che determinano il modo in cui l’uomo percepisce la realtà, senza per questo rendersene conto; in questo caso emerge il carattere di indipendenza della cultura appartenente alla routine, confermato dagli antropologi Robert Welsch e Luis Vivanco quando affermano che la cultura è “la somma di tutti processi sociali che fanno sembrare l’artificiale, o fabbricato dall’uomo, naturale”. Attualmente il modello culturale dominante in gran parte del mondo, o perlomeno nella quasi totalità del primo mondo, è il consumismo. Questo termine è utilizzato per indicare una modello che induce gli individui a trovare significato, appagamento e accettazione principalmente attraverso la fruizione di beni e servizi, inducendo così ad identificare il benessere e il successo con alti livelli di consumo. Questo modello culturale si è insinuato nelle culture umane, seppure in diverse forme, così in profondità che a volte e difficile riconoscerlo come costruzione culturale, sembra per l’appunto naturale; elementi fondamentali della cultura sono stati profondamente trasformati proprio dal consumismo: nelle dieci lingue più usate al mondo il lemma “consumatore” è spesso intercambiabile con “persona”. Proprio per questo agire con efficacia per cambiare il nostro modello di consumo significa andare ad agire su meccanismi molto complessi. Attualmente siamo oggetto di influenze consumistiche che agiscono costantemente nel nostro quotidiano senza che ce ne rendiamo conto. Quest’esposizione si amplifica notevolmente grazie all’ampio raggio d’azione di cui dispongono oggi i media; siamo assuefatti al consumo e alle sue immagini in maniera così profonda da non renderci conto che questi hanno già avuto delle significative ricadute sui nostri usi e costumi orientandoli sempre di più verso l’acquisto di beni o servizi non essenziali per la nostra vita, ma piuttosto utili per l’economia.
78. Cavalli Sforza, 2004
La cultura risulta pertanto l’insieme di elementi (consuetudini, tradizioni, simboli, valori, credenze, istituzioni) combinati tra loro per creare strutture
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2. Il modello di consumo
2.5 Il riconoscimento del bisogno va oltre la società dei consumi.
Il punto di partenza del processo di acquisto è il riconoscimento di un bisogno insoddisfatto da parte del consumatore. Una grande varietà di simboli (sia interni che esterni all’individuo) possono attivare dei bisogni e desideri e far sì che il consumatore ne prenda coscienza. Gli stimoli interni possono essere, per esempio, la sensazione di fame e il conseguente bisogno di procurarsi del cibo, un mal di testa che induce a desiderare un’aspirina o una sensazione di noia che induce a desiderare un’esperienza di svago. Il consumatore è invece soggetto stimoli esterni quando, per esempio, vede un’immagine di McDonald e solo allora si accorge di aver fame, oppure quando vede una vendita proporzionale di giacconi invernali e si rende conto in quel momento che il giaccone utilizzato l’anno precedente è troppo consumato per poterlo utilizzare anche quest’anno. Nella nostra società dei consumi è all’ordine del giorno che il marketing individui quali siano i bisogni e desideri insoddisfatti dei consumatori per proporre lo sviluppo di nuovi prodotti. Questi prodotti però non andranno a soddisfare un reale bisogno, essi piuttosto alimenteranno la catena del consumismo. I veri bisogni che ha ogni individuo sono stati organizzati da Abraham Maslow nella sua classificazione a piramide composta da cinque piani coincidenti con cinque tipologie di bisogni differenti. Dalla base possiamo trovare nell’ordine: bisogni fisiologici, bisogni
Figura 30. La piramide dei bisogni di Maslow
di sicurezza, bisogni di appartenenza, bisogni di stima, bisogni di realizzazione. L’idea di Maslow è che, per mantenere un giusto equilibrio nella vita dell’individuo, debbano essere soddisfatti innanzitutto i bisogni del livello inferiore, come quelli fisiologici e di sicurezza, prima di poter soddisfare quelli di livello più elevato. Se questa schematizzazione descrive oggettivamente ciò che si scaturisce dentro di noi oggi appare obsoleta, sembrerebbe più realistico ipotizzare che esistano semplicemente varie categorie di bisogni che in realtà si sovrappongono, inoltre nelle società che godono di un alto tenore di vita molti prodotti possono soddisfare più di un bisogno. Fin dalla metà del 1800, una delle critiche più forti mosse nei confronti del capitalismo da parte di Marx, aveva come oggetto il fatto di non produrre al fine di soddisfare bisogni consumando merci, ma piuttosto per accumulare ricchezze. Alla base di questo sistema economico c’era capitalismo, il cui obiettivo era guadagnare denaro da un investimento iniziale, che prevedeva l’acquisto di merci da impiegare in un processo produttivo per ottenere un prodotto da monetizzare attraverso la vendita. È chiaro che in questo mondo, se i bisogni non solo più reali, allora anche l’utilità sociale della produzione viene a mancare.
REALIZZAZIONE STIMA APPARTENENZA SICUREZZA FISIOLOGICI
B 100
I
S
O
G
N
I
2. Il modello di consumo
Il prodotto della mano dell’uomo, la merce, si comporta come un feticcio ideologico cui si attribuisce una vita indipendente che cela i rapporti sociali esistenti fra gli uomini. 79 Nella teoria del valore Marx si distacca dai classici perché rifiuta una rappresentazione del modo di produzione capitalistico come qualcosa di a-storico, naturale ed eterno sostenendo invece l’idea secondo cui la società capitalistica non è che una tappa dello sviluppo storico dell’umanità. Le merci, da pure e semplici cose, prodotto del lavoro umano, assolvono al ruolo di rapporto sociale e nello stesso modo, anche i rapporti sociali fra gli uomini assumono l’aspetto, nello scambio, di rapporti tra cose. Il consumismo di massa, così come lo conosciamo oggi, prende piede in Europa nel secondo dopoguerra, quando nei vari paesi si assiste ad un generale arricchimento della popolazione, basti pensare al boom economico dell’Italia; con questa escalation aumenta la domanda dei generi alimentari e dei beni di consumo, facendo conoscere paesi occidentali un grado di prosperità fino ad allora sconosciuto; inizia così a diffondersi modello di vita fino ad allora solo americano. Da quel momento in poi la nostra società ha legato il suo destino a un’organizzazione fondata sull’accumulazione illimitata, conseguenza di una crescita inarrestabile. Questo modello economico però, per mantenersi prospero, necessità che il ciclo di domanda e offerta venga mantenuto costantemente vivo e quindi che produzione e consumo si alimentino a vicenda secondo il circolo vizioso che non può rallentare. Il motore di tutto questo resta comunque il consumo, fin quando la domanda resterà costante il meccanismo non si fermerà. Per questo, le figure intellettuali più
critiche verso questo modello, come Serge Latouche, identificano tre ingredienti fondamentali per mantenere crescente questo livello di consumo:
79. Marx, 1870
La pubblicità, che crea il desiderio di consumare, il credito, che ne fornisce i mezzi, e obsolescenza accelerata e programmata dei prodotti, che ne rinnova la necessità [...] La pubblicità ci fa desiderare quello che non abbiamo e disprezzare quello che già abbiamo. Crea incessantemente l’insoddisfazione e la tensione del desiderio frustrato [...] Il ricorso al credito è necessario per far consumare quelli che non hanno un reddito sufficiente e per permettere all’imprenditore di investire senza disporre del capitale necessario, è un potente dittatore della crescita nel nord del mondo e anche in forma ancora più distruttiva e tragica nel sud [...] Con l‘obsolescenza programmata, la società della crescita possiede l’arma totale del consumismo. In tempi sempre più brevi, apparecchi e oggetti, si rompono per il cedimento voluto di un componente. Impossibile trovare un pezzo di ricambio o un riparatore. La riparazione comunque costerebbe più che comprare il prodotto nuovo (nel frattempo fabbricato a prezzi stracciati nel sud-est asiatico). Siamo diventati dei tossicodipendenti della crescita. E d’altronde la tossicodipendenza da crescita non è una semplice metafora. Ed è un fenomeno polimorfo [...]L’iperconsumo dell’individuo contemporaneo turboconsumatore sfocia in una felicità ferita o paradossale. 80
80. Latouche, 2001
Al fine di rinnovare la necessità di consumo si ricorre inoltre a svariate strategie: per avere sempre nuovi
OBSOLESCENZA
CREDITO
PUBBLICITŔ
Figura 31. I pilastri che sorreggono il consumo secondo Latouche.
101
2. Il modello di consumo
prodotti da sfornare per il mercato viene cambiata solamente la loro forma, in questo modo le tendenze e le mode vengono seguite, il consumatore si sente soddisfatto ma con grande probabilità ha acquistato un prodotto che sotto una nuova veste ha ancora circa il 70-80% di componenti del modello precedente, come rende noto George Dieter in “Engineering design: a materials and processing approach”. L’obsolescenza a fianco a questo aspetto gioca un ruolo molto importante: il consumo è pilotato appunto da mode e tendenze dettate da un approccio poco onesto di chi si occupa di marketing. Il consumatore si trova a comprare forme per inseguire uno stile di vita che gli viene suggerito tramite un vero e proprio bombardamento pubblicitario. Quando queste forme non rappresenteranno più lo stile di vita desiderato l’oggetto sarà obsoleto. Nella peggiore delle ipotesi invece l’oggetto in questione smetterà di funzionare adeguatamente dopo un periodo prefissato, questo aspetto fa parte della strategia ancor meno etica dell’obsolescenza programmata. Non sarà possibile ripararlo e quindi verrà sostituito. Un prodotto come può essere l’elettrodomestico
viene attualmente progettato per essere facilmente assemblato, in questo modo verranno risparmiati soldi e tempo al momento della produzione e se alcuni componenti sono stati prodotti dall’altra parte del mondo non ci si preoccuperà di capire il loro ruolo nel funzionamento perchè dovranno solo essere assemblati. Tutto ciò andrà ovviamente a discapito della qualità ma il risultato finale è che sarà quasi impossibile fare manutenzione su oggetti così ideati, con connessioni molte volte irreversibili, al contrario invece, il produttore avrà raggiunto il suo scopo: quando il prodotto non funziona più, se non è possibile ripararlo verrà sostituito da uno nuovo e questo trova la sua utilità a fianco all’obsolescenza programmata come riportato prima. Purtroppo però tutto ciò si traduce in una drastica crescita del numero di oggetti giunti al loro fine vita, che si ammucchieranno così nelle discariche. Sarà difficile disassemblarli per differenziare i materiali con cui sono costituiti e così anche il loro smaltimento sarà altrettanto difficoltoso.
2.6 Il problema della produzione.
81, 82. Schumaker, 2010
La convinzione che il problema della produzione sia stato risolto è uno degli errori più fatali della nostra epoca. 81 L’economista Ernst Friedrich Schumaker esordisce con questa frase nel primo capitolo del suo volume “Piccolo è bello”. Uno degli argomenti di maggior critica al nostro attuale modello di consumo risiede sicuramente nella fase produttiva che vi sta alla base. Secondo l’economista la comunità scientifica mondiale pecca di presunzione ammettendo di aver risolto il problema produttivo grazie alla tecnologia. L’origine di questo errore è strettamente collegata alle trasformazioni filosofiche che l’atteggiamento dell’uomo ha subito negli ultimi quattro secoli verso la natura.
102
L’uomo moderno non si sente parte della natura, bensì forza esterna destinata a dominarla e a conquistarla; parla persino di una lotta contro la natura, dimenticando che se vincesse questa battaglia si troverebbe dalla parte del perdente. Fino a pochissimo tempo fa, il combattimento è sembrato andar abbastanza bene per lui, al punto da avere l’illusione di una potenza senza limiti, ma non così bene da fargli intravvedere la possibilità di una vittoria definitiva. Tuttora questa soluzione è in vista e molti, seppure solo una minoranza, cominciano a capire che cosa significherebbe per l’esistenza futura dell’umanità. L’illusione di un potere senza limiti, alimentata da stupefacenti conquiste scientifiche e tecnologiche, ha simultaneamente prodotto l’illusione di aver risolto
2. Il modello di consumo
il problema della produzione. Quest’ultima dipende dall’incapacità di distinguere fra reddito e capitale, proprio laddove tale distinzione è più importante. Ogni economista conosce bene la differenza, tenendone conto con notevoli cura e acume in tutte le questioni economiche, tranne là dove è più rilevante: mi riferisco al capitale insostituibile che l’uomo non ha prodotto ma semplicemente trovato e senza cui nulla può fare. 82 La differenza fra reddito e capitale si può sinteticamente definire dal punto di vista economico attribuendo al primo il significato di “ricchezza creata dall’impresa in un certo lasso di tempo, flusso” e al secondo quello di “ricchezza disposizione dell’azienda in un dato istante, stock”. Affermare che un’azienda che sta sperperando ad una velocità allarmante il proprio capitale abbia risolto il problema della produzione non è per nulla cosciente, ma è ciò che è accaduto all’azienda Terra. É vero che siamo stati noi a costruire con il nostro lavoro una parte del capitale che oggi ci aiuta a produrre: una vasta riserva di conoscenze scientifiche, tecnologiche e altro; un’infrastruttura fisica complessa; innumerevoli elementi di sofisticate attrezzature fondamentali. Ma tutto ciò non è che una piccola parte del capitale complessivo che impieghiamo. “Molto più vasto del capitale che viene dall’uomo è quello che viene dalla natura; e noi non vogliamo neppure riconoscerlo”. 83 Ciò a cui ci si riferisce è il cosiddetto “capitale naturale”. Il problema di fondo consiste nel fatto che se il nostro modello di consumo non lo trattasse come reddito, ma bensì come capitale, allora le nostre azioni in relazione ad esso sarebbero molto differenti e il nostro impegno consisterebbe soprattutto nel garantirne una conservazione adeguata. Purtroppo un modello basato sulla crescita illimitata si muove in direzione opposta: il sistema industriale moderno, con tutto il suo sofisticato patrimonio intellettuale, consuma la base stessa sulla quale è stato eretto; esso vive di capitale non integrabile che tratta incoscientemente come se fosse un reddito. Quest’atteggiamento crea delle forti tensioni non solo a livello economico, dove appunto l’azienda Terra sta sperperando il suo stock in modo incosciente, ma anche sulla stabilità del sistema naturale: i margini di tolleranza che questo possiede per garantire l’equilibrio dinamico al suo interno sono messi a dura prova, inoltre, come se non bastasse, questo risultato è stato ottenuto a causa di quelli che riteniamo i nostri maggiori successi scientifici-tecnologici che ci permettono di prevaricare la natura. Le risorse naturali sono infatti il fondamento dell’attività economica, della qualità della vita e della coesione sociale. Il rapporto che intercorre tra questi elementi,
sebbene non immediato da interpretare, è forte ed indissolubile nel tempo. Si tratta di un sistema molto complesso al cui interno troviamo un numero enorme di relazioni che si riproducono a cascata in altrettanti sottosistemi governati da uno straordinario equilibrio dinamico. L’economia attuale non valorizza né riconosce la centralità e l’importanza che tutto questo ha per la nostra esistenza. Un tentativo di riconoscimento degno di nota è quello proposto nel 2005 nell’ambito del Millenium Ecosystem Assessment e promosso dalle Nazioni Unite; in questo caso i servizi ecologici sono stati classificati in quattro categorie in base ai benefici che l’ecosistema naturale offre direttamente o indirettamente all’umanità: i servizi di supporto alla vita, come la formazione del suolo, la fotosintesi il ciclo nutritivo alla base della crescita della produzione; i servizi di approvvigionamento come la produzione di cibo, acqua potabile, materiali e risorse; i servizi di regolazione, tra cui la regolazione del clima e delle maree; i servizi culturali, religiosi, estetici, ricreativi, educativi. Sicuramente i beni e i servizi che provengono dall’ambito naturale sono difficilmente quantificabili in termini di denaro, molte volte difficile trovare un loro mercato vero e proprio, mentre è più sbrigativo attribuirli a quello che può essere definito il patrimonio comune dell’intera società; questa bassa considerazione viene ribaltata dal momento in cui questi assumono un interesse strategico in termini economici, diventando merci e risorse, o in ambito sociale e politico, diventando necessari per mantenere il nostro livello di benessere; basti pensare al valore che hanno assunto i combustibili fossili dalla loro scoperta fino ad oggi. Questo valore, ancora una volta, è attribuito dall’economia di mercato e dalle sue dinamiche, ma come sottolinea l’economista indiana Vandana Shiva ne “Il bene comune della Terra”, quella di mercato e solo una delle dimensioni economiche attualmente esistenti al mondo; per lei, infatti, va tenuto ben presente che, oltre questa, esistono anche l’economia della natura e quella di sussistenza. L’economia della natura viene vista come il primo e fondamentale fattore su cui si fonda qualsiasi modello di sviluppo, in quanto è proprio la natura il più grande produttore del mondo, in cui le risorse vengono create e generate attraverso dei veri e propri cicli e processi produttivi. 84
83. Schumaker, 2010
84. Shiva, 2006
Invece l’economia di sussistenza si può intendere come un livello base, che per certi versi risulta slegato, da
103
2. Il modello di consumo
85. Shiva, 2006
87. Gallio; Marchiò, 2011
86. Shiva, 2006
cui parte l’attuale economia di mercato; in questo caso l’economia di sussistenza ha come obiettivo quello di rispondere ai bisogni primari della piramide di Maslow, qui “l’operato di singoli individui è finalizzato a procurare direttamente i mezzi necessari al mantenimento”. 85 Nella configurazione delle tre economie di Vandana Shiva, le attività produttive dell’economia di sussistenza vengono messe in atto in armonia con i cicli naturali garantendo uno sviluppo a lungo periodo perché non puntano all’accumulo di ricchezza ma al semplice sostentamento in linea con le dinamiche naturali. Entrambe le dimensioni economiche viaggiano su binari indipendenti dalle logiche dell’attuale economia di mercato, che risulta solo la terza e ultima realtà economica. Piuttosto è l’esistenza di quest’ultima che dipende dalla solidità delle prime due su cui appoggia. Nel modello di mercato lo sviluppo viene concepito esclusivamente come produzione di merci, la natura e le pratiche economiche di autosostentamento non sembrano avere una funzione produttiva e quindi
nessuna rilevanza in termini finanziari e monetari. 86 Eppure, queste tre estensioni economiche sono strettamente relazionate soprattutto nell’intimità della vita di una comunità locale dove qualità della vita e benessere dipendono strettamente dal rapporto che la società instaura con il contesto territoriale che la ospita. Quando l’economia di mercato e quella della natura riescono a coesistere in modo bilanciato e costruttivo, si seminano le basi per uno sviluppo sostenibile ed equo, che porta alla prosperità ed all’uguaglianza sociale; per contro, se l’ago della bilancia inizia a tendere verso gli interessi puramente finanziari e di guadagno, la natura tende a diventare un mero strato da sfruttare e depauperare, generando squilibri e tensioni. L’accumulo di capitale produce una crescita finanziaria, ma intacca le riserve naturali di base necessarie per ognuna delle tre economie. 87 A partire dalla rivoluzione industriale fino ai giorni
ECONOMIA DI MERCATO
ECONOMIA DI SUSSISTENZA
ECONOMIA DELLA NATURA
Figura 32. Le tre economie secondo Vandana Shiva
Configurazione STABILE nostri questo equilibrio è stato reso molto instabile, e l’ordine in base alla reale importanza delle tre dimensioni economiche è stato alterato in favore dell’attuale economia dominante, quella di mercato. Fin dal principio questa ha vissuto un’escalation di valore grazie alla suo carattere economico e monetizzabile che sovrasta l’economia della natura, declassata a fonte di risorse e non riconosciuta come base essenziale per la sopravvivenza. Il modello economico attuale non solo
104
Configurazione INSTABILE dipende fortemente dalle risorse della natura, la quale di per sé esisterebbe anche autonomamente, ma la sua voracità mette anche a dura prova le capacità di assorbimento del sistema, che coincidono con i margini di tolleranza definiti da Schumacher. In questo modo vengono svalutate due delle componenti del capitale naturale: le risorse e i margini di tolleranza del loro sistema. Inoltre la predominanza dell’economia di mercato ha
2. Il modello di consumo
sovvertito anche l’ordine di valori tra i termini quantitativi e quelli qualitativi della produzione: è molto più semplice ed immediato valorizzare in denaro delle quantità, soprattutto se queste devono tendere alla crescita per mantenere costante il consumo. La produzione infatti è sempre più fine a se stessa, incentrata sul profitto del consumo e sulla creazione costante di nuovi bisogni per mantenerlo; per questo ciò che contano solo le quantità, che non devono mai diminuire, a discapito delle qualità che invece risponderebbero a bisogni reali senza alimentare però in circolo vizioso di domande d’offerta di cui la produzione è prigioniera. Un ulteriore cambiamento di rotta a proposito del dilemma quantitativo del nostro modello può essere quello proposto dal premio Nobel per la fisica Fritjof Capra: egli indica una concezione di economia basata su principi di qualità invece che di quantità chiamata “economia qualitativa”. Questa elaborazione economica si basa sul concetto naturale dell’evolversi degli ecosistemi, dove certamente è presente la crescita, ma questa non risulta fine a se stessa a causa di una necessità bulimica quantitativa, ma piuttosto trova la sua ragion d’essere in un equilibrio dinamico tra i differenti stadi del ciclo di vita del sistema, dove lo sviluppo si inserisce come un momento di rinnovo necessario all’evoluzione. L’evoluzione di un sistema prendere forma dal momento in cui questo riconosce delle esigenze di trasformazione, a cui questo risponde con una scelta basata su criteri qualitativi. Nel modello di consumo attuale definire la qualità in questi termini non è un processo per niente spontaneo come in ambito naturale, perché ci si deve basare sulla capacità di giudizio e questa è relegata alla sfera del soggettivo. Tale capacità risulta però fondamentale per comprendere la caratteristica della complessità dei sistemi naturali: questa viene generata da reali bisogni evolutivi e assumerà una conformazione a rete ben lontana da un susseguirsi lineare di quantità ben definite, quindi, non coincideva con la somma lineare delle parti che compongono il sistema, ma piuttosto come un rapporto dinamico di scambi tra i vari componenti del sistema. In questo modo il passaggio da una visione prettamente quantitativa ad una qualitativa diviene necessario: la sfera oggettiva e scientifica dei rapporti quantitativi non è conforme alla complessità che caratterizza un sistema in quanto riduce in cifre delle dinamiche non quantificabili. L’attuale allontanamento da una visione di questo tipo è dovuto principalmente all’atteggiamento riduzionista che ha guidato gran parte della ricerca scientifica del XX secolo, dove per comprendere un fenomeno si interviene nella sua scomposizione in componenti essenziali
senza dare l’adeguata importanza alle sue dinamiche complessive. Il problema di questo atteggiamento sta poi nell’atto finale della ricomposizione che non risulta così immediata e, senza la quale non è possibile comprendere completamente il fenomeno iniziale. Questo modo di vedere le cose contrasta con le effettive peculiarità del sistema naturale con cui, abbiamo detto, ci troviamo necessariamente ad interagire tramite l’economia di mercato; questa incompatibilità è un ulteriore ragione per la quale la configurazione delle tre economie proposta da Vandana Shiva non è stabile. La natura non è un puzzle perfettamente disegnato, con tutti pezzi che si incastrano in un’unica materia. Nei sistemi complessi le componenti possono combaciare in così tanti modi diversi che ci vorrebbero miliardi di tentativi per provarli tutti. Così avendo ridotto ogni realtà alla sua singola parte, la visione globale è andata perduta e non riusciamo più rimettere insieme in pezzi che la compongono, proprio come un bambino che dopo aver smontato il suo giocattolo preferito, scoppia piangere appena riesce capire che non riuscirà mai a rimettere insieme in pezzi. 88
88. Barabasi, 2004
105
L’Open Culture
3. L’Open Culture
3
L’Open Culture La realtà della “Open Culture” è stata reputata attualmente una delle fonti più interessanti da cui provengono delle proposte alternative sul piano della progettazione, della produzione e, soprattutto, della partecipazione collaborativa. Questi aspetti sono stati analizzati ripercorrendo le testimonianze di alcuni tra i personaggi più autorevoli di questa cultura per poi essere rielaborati in modo da offrire spunti utilizzabili come “leve per il cambiamento” nel progetto, nella produzione diffusa e nel consumo più consapevole.
Condivisione. Libero scambio di contenuti. Caratterizzazione territoriale con rete della condivisione. Open. Shared. User. Network society. Produzione individuale. Autoproduzione. Do It Yourself. Culto della conoscenza. Coinvolgimento nella progettazione. Usabilità diffusa. Realizzazione distribuita. Blueprint. Progetto riconfigurabile. Estendibile. User centred. User driven. Caratteristiche generative. Push model business. Pull model business. Generative design. Creative Commons. Attribution. Share alike. No derivates. Non-commercial. Ambito artigianale. Livello tecnologico. Apprendimento. Nuove professioni. Produzione diffusa. Trasparenza. Accessibilità. Prosumer. Riconoscimento paritario. Gratificazione personale. Fabbing. Contaminazione. Hackerspace. Organizzazione a rete. Sistema di attività. Decentralizzazione. Personalizzazione. Carattere rigenerativo. Componenti. Macrocomponenti. Percorso progettuale. Leva per il cambiamento. Co-creazione. Responsabilità condivisa. Ruoli intercambiabili. Adattabilità. Soggetto consapevole. Collaborazione paritaria. Contesto. Coordinazione. Ambito didattico.
108
3. L’Open Culture
INDICE DELLA SEZIONE
110 3. 1 Open Design 112 3.2 La condivisione contestualizzabile 112 3.3 Quel progetto non può rimanere esclusivo 114 3.4 Condivisione, partecipazione, pluralità 115 3.5 Verso il campo del design 116 3.6 L’open design, radici, risultati e ricadute 117 3.7 Sfera amatoriale VS. sfera professionale 119 3.8 Il contributo di Internet 119 3.9 Una produzione leggera 120 3.10 Il progettista dirige un’orchestra di contributi 122 3.11 Ripensando il design, confronti e problematiche 124 3.12 Openness 124 3.13 Le dimensioni dell’Open Desing 126 3.14 L’unicità della condivisione e la sua dimensione etica 128 3.15 Il contesto dell’Open Design 130 3.16 I livelli dell’Open Design 132 3.17 La struttura generativa per la progettazione 133 3.18 Open Design e modello di business 135 3.19 Autori e proprietari 137 3.20 Le licenze Creative Commons 138 3.21 L’ho fatto con le mie mani 140 3.22 Il gap tra hardware e software 142 3.23 Il Fabbing 144 3.24 Come librerie 146 3.25 Progettista e soggetto: coinvolgimento paritario 148 3.26 Il controllo del mercato 149 3.27 Ambito progettuale: confronto tra modello tradizionale e co-creazione
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3. L’Open Culture
3.1 Open design.
L’ 89. Le linee guida dell’Open Design Foundation
Open Culture viene normalmente definita come un movimento che fonda le sue basi sul concetto secondo il quale la conoscenza e la cultura dovrebbero essere condivise liberamente e il loro mantenimento dovrebbe trovare energia dallo sviluppo, dalla modifica e dall’arricchimento di altre fonti esistenti che diventano quindi la base della condivisione e della collaborazione, senza prevedere alcun tipo di restrizione derivante dall’ambito legale per la difesa della proprietà intellettuale. L’open Culture si sviluppa precedentemente alla diffusione del personal computer e attualmente sfrutta le dinamiche della comunicazione globalizzata attraverso internet per diffondere i suoi principi e garantire un accesso senza restrizioni alle informazioni. L’Open Culture esiste ormai da parecchi anni, alla fine dello scorso secolo la sua influenza nel campo della progettazione e del design ha portato alla nascita di una particolare corrente chiamata Open Design, dove viene consentita una libera distribuzione dei contenuti, la loro relativa documentazione e possibili modifiche da parte di terzi. Con il passare di questi ultimi anni le cose si sono articolate maggiormente e oggi l’Open Design risulta presente più che mai, sviluppato attivamente da un’ampia schiera di progettisti che abbracciano la cultura “Open” e soprattutto costituisce un’importante tendenza che influisce costantemente sul mondo del design. Data la stretta vicinanza al mondo del software Open Source da cui è possibile riconoscere una costante influenza, condivisione e scambio di contenuti è stato scelto di riportare in modo autentico gli svariati neologismi utilizzati da chi opera in questo campo che derivano dal settore informatico e spesso vengono adattati alla lingua italiana senza ricorrere a traduzioni ma semplicemente declinando il termine
110
inglese. Il termine apparve alla fine dello scorso millennio quando venne fondata l’organizzazione no-profit “Open Design Foundation” il cui scopo era quello di descrivere questo nuovo fenomeno. La fondazione propose delle condizioni precise per chi volesse abbracciare questo tipo di idee piuttosto che dare una vera e propria definizione di Open Design. Da quel momento sulla pagina web www.opendesign.org/ odd.html comparvero questi nove punti: 1. Free Redistribution The license may not restrict any party from selling or giving away the embodiment as a component of an aggregate embodiment distribution containing embodiments from several different sources. While it is completely acceptable to sale and distribute Open Designed embodiments for profit, the license can not require a royalty or other fee for such sale. 2. Design Documentation The embodiment must include design documentation, and it must allow distribution of design documentation as well as manufactured form. Where some embodiment is not distributed with design documentation, there must be a well-publicized means for downloading the design documentation, without charge, via the Internet. The design documentation must be the preferred form in which a designer would modify the embodiment (e.g. native file format used to create the design document). Deliberately obfuscating design documentation is not allowed. Intermediate forms (e.g. read only documents, G&M codes for a machined parts, or STEP translations of model files) are not allowed. 3. Derived Works The license must allow modifications and derived
3. L’Open Culture
works, and it must allow them to be distributed under the same terms as the license of the original embodiment. 4. Integrity of the Designer’s Design Documentation The license may restrict design documentation from being distributed in modified form only if the license allows the distribution of “retrofit documentation” with the design documentation for the purpose of modifying the embodiment at manufacture. The license must explicitly permit distribution of embodiments built from modified design documentation. The license may require derived works to carry a different name or version number from the original design. 5. No Discrimination Against Persons or Groups The license must not discriminate against any person or group of persons. 6. No Discrimination Against Fields of Endeavor The license must not restrict anyone from making use of the embodiment in a specific field of endeavor. For example, it may not restrict the embodiment from being used in a business, or from being used for genetic research.
Quasi contemporaneamente, Reinoud Lamberts lanciò il sito web Open Design Circuits dalla Delft University of Technology con il proposito di sviluppare circuiti integrati con lo spirito dell’open source software. Nello stesso periodo anche l’industria della moda abbraccia questi concetti e muove i primi passi verso la condivisione di creatività nel campo della Fashion & Digital Culture. Questo improvviso fermento sentito così profondamente contribuisce nel breve periodo a far diventare l’Open Culture sempre più influente nel campo del design. All’Open Design è stato riconosciuto da subito un ruolo d’avanguardia e, grazie alle sue influenze, fornisce uno sguardo sempre più autorevole verso il futuro in questo campo. Normalmente sotto un profilo pratico queste iniziative consistono nel fatto che aderendo a questa linea il proprio progetto di design viene condiviso permettendo ad altri di modificarlo e migliorarlo secondo le proprie esigenze per poi essere liberi di realizzarlo usando un servizio come quello di Fab Lab. Così facendo la licenza Creative Commons permette a chi aderisce a quest’ottica di condividere i propri progetti senza perdere il cosiddetto copyright.
7. Distribution of License The rights attached to the embodiment must apply to all to whom the embodiment is redistributed without the need for execution of an additional license by those parties. 8. License Must Not Be Specific to a Product The rights attached to the embodiment must not depend on the embodiment’s being part of a particular embodiment distribution. If the embodiment is extracted from that distribution and used or distributed within the terms of the embodiment’s license, all parties to whom the embodiment is redistributed should have the same rights as those that are granted in conjunction with the original embodiment distribution. For example, if someone decides to use the MIT Open Linear stage within a proprietary machine, then the proprietary machine must be distributed with the open design rights to the embedded MIT Open Linear stage. 9. License Must Not Contaminate Other Designs The license must not place restrictions on other embodiments that are distributed along with the licensed embodiment. For example, the license must not insist that all other embodiments distributed along with the licensed embodiment be open-design embodiments. 89
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3. L’Open Culture
3.2 La condivisione contestualizzabile.
La forza di un tale approccio è incredibile: dal momento in cui un progetto rimane aperto esso può essere declinato, in modo preciso come non mai, alle esigenze di chi lo adotta in un secondo momento, può essere contestualizzato, attualizzato e aggiornato da una comunità virtuale la cui vastità è addirittura difficile da immaginare. In questo caso la sovrapposizione di reti che costi-
tuiscono la caratterizzazione territoriale di un progetto è sorvolata da un ulteriore rete, aperta e sconfinata, che potenzialmente è in grado di far dialogare le esigenze di chi vi aderisce a livello teorico, tramite lo scambio di informazioni che possono poi sedimentarsi successivamente nella pratica, calandosi su qualsiasi territorio con la realizzazione del progetto. [Caratterizzazione Territoriale, Figura 1]
Stratificazione
Rete delle RISORSE Rete del SAPER FARE Rete dellA CULTURA MATERIALE
Caratterizzazione Territoriale 1
Stratificazione
RTA DELLA CONDIVISIONE RETE APE
Figura 33. Caratterizzazione territoriale sorvolata dalla rete virtuale della condivisione.
Caratterizzazione Territoriale 2
3.3 Quel progetto non può rimanere esclusivo. La tecnologia digitale e la rete Internet hanno indubbiamente cambiato il nostro mondo. Su questo terreno possono affondare le radici dell’Open Culture: milioni di blogger, in questo momento, si stanno occupando di aggiornare dati di informazioni che rinnovano costantemente i contenuti dei media,
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l’industria dell’intrattenimento della comunicazione si sforza di trarre profitto da questa continua crescita e consumo culturali, ma non potrà avere la meglio finché un singolo individuo sarà in grado di scuotere gli equilibri politici dell’intero mondo grazie ad un semplice accesso Internet. Finché questi strumenti
3. L’Open Culture
continueranno ad essere accessibili a chiunque l’Open Development raggiungerà in maniera sempre più importante i processi di produzione e i prodotti veri e propri. In questo momento chiunque ne abbia le capacità può creare una progetto tramite un programma di modellazione 3D sul proprio computer utilizzando delle piattaforme “open” come Thingiverse [www. thingiverse.com] per poi renderlo disponibile liberamente su siti web come Pirate Bay; a questo punto qualsiasi interessato può produrlo localmente in qualsiasi posto del mondo, oppure può realizzarlo utilizzando un servizio di 3D Printing come quello offerto da Shapeways [www.shapeways.com], ma in questo caso la logistica non sarebbe propriamente a Km zero e quindi avremmo un ulteriore impatto ambientale. Sebbene l’aspetto tecnologico sia fondamentale per dar forza alla progettazione, alla produzione e alla distribuzione, secondo quest’ottica un ulteriore caratteristica molto importante è rappresentata dalle forme di proprietà intellettuale e i diritti che ne conseguono: le licenze Creative Commons sono state pensate appositamente per dare la possibilità alla gente creativa di essere libera di gestire il proprio copyright nel modo più flessibile possibile. In questo mondo tutti i diritti di un progetto vengono lasciati liberi fin dall’inizio e questo può essere condiviso, distribuito e modificato secondo i termini specifici riportati nella licenza. È opinione comune che questo sia semplicemente un modo innovativo di riconsiderare i limiti delle licenze. Dopotutto, quando un prodotto viene progettato e mandato in produzione, spesso prende vita qualcosa di diverso dall’idea originaria, le sue caratteristiche possono cambiare a seconda del processo produttivo e a seconda dell’uso; le licenze Open come quelle Creative Commons possono monitorare tutti questi meccanismi spianando la strada a creatività e innovazione tenendo ben presente una questione che dovrebbe essere fondamentale nel campo del design: “That design cannot remain exclusive”. 90 L’era della digitalizzazione ha portato una crescita a livello industriale senza precedenti nei campi dell’industrial design, dell’architettura, della moda e dei media. Questi cambiamenti hanno, senza dubbio, delle importanti ricadute sociali; ora è come se l’Open Design offrisse la possibilità a chiunque di poter veramente influire su ciò che lo circonda, in maniera professionale o amatoriale che sia. The industrial era was mainly about designing products for the masses; in the post-industrial digital era, the masses themselves are seizing the chance to design, manufacture and distribute products. 91
Sotto certi aspetti non è così sorprendente che l’Olanda sia stata un terreno davvero fertile per l’Open Design: grazie ad una cultura caratterizzata da un continuo impegno ad erodere terra all’oceano, l’Olanda ha dato forma ad una ricca storia di adattamenti e progettazioni per gli spazi a vera misura d’uomo e, inoltre, può essere considerata una delle democrazie moderne più importanti al mondo. In questo modo una società dalla mentalità così aperta ha permesso a svariate sperimentazioni nel campo del design di vedere la luce in modo concreto. Questo Paese, dalle dimensioni discretamente ridotte, ha un numero di designer proporzionalmente alto, molti di loro non sono altamente specializzati e non hanno collocazioni lavorative in azienda per cui la loro creatività cerca di trovare sbocchi spaziando da un’area di lavoro ad un’altra, da una disciplina a qualcosa di differente, sempre nel campo del design, ma procedendo oltre. Per questo non è una coincidenza che Premsela, la piattaforma olandese per il design, abbia contribuito pesantemente allo sviluppo dell’Open Design Culture. Se questa mentalità negli anni ‘90 veniva riconosciuta ed etichettata come conceptual design oggi, oltre due decadi più tardi, abbiamo la certezza che l’Open Design Philosophy è una corrente più che mai concreta e il suo contributo sarà essenziale per capire e cambiare il mondo.
90. Van Abel; Evers; Klaassen, 2009
91. Van Abel; Evers; Klaassen, 2009
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3. L’Open Culture
3.4 Condivisione, partecipazione, pluralità.
92. M. Stikker, 2011
The pioneers of our time are not taking the world at face value, as a given from outside; rather, they see the world as something you can pry open, something you can tinker with. 92 Alla domanda: “Perchè il design non può rimanere esclusivo?” Marleen Stikker, fondatore della Waag Society e sviluppatore della “Digital City” (DDS) ad Amsterdam, potrebbe rispondere con quanto citato sopra. Esistono due modi di pensare ed interagire con il mondo che ci circonda, questi vengono descritti molto bene dall’autore austriaco Robert Musil nella novella “L’uomo senza qualità”:
93. Musil, 1930 (traduzione)
94 Balbo, 2012
“Se vuoi passare attraverso una porta aperta, devi dare la giusta importanza al fatto che stai varcando un traguardo fisso: questo principio è semplicemente un prerequisito della realtà. Ma se c’è un senso della realtà poi ci deve essere anche qualcosa che potresti chiamare senso della possibilità. Qualcuno che possiede questo senso della possibilità non dovrebbe dire per esempio: qui questa cosa o quest’altra sono successe, o succederanno o devono succedere. Piuttosto lui inventerà: questa cosa dovrebbe o potrebbe succedere! E se nessuno gli spiega che quella cosa è così com’è, allora lui penserà: bene, probabilmente potrebbe essere in un altro modo.” 93 Un possibilista di questo genere ha costantemente di fronte agli occhi varie alternative per raggiungere un
Personaggi. Marleen Stikker
Marleen Stikker sviluppò in ‘Digital City’ (DDS) ad Amsterdam, il primo gateway gratuito europeo e virtual community su internet, un luogo in cui molti cittadini olandesi, organizzazioni, imprese ed editori hanno mosso i loro primi passi sulla strada digitale. Marleen ha fondò anche la Waag Society, un laboratorio multimediale che si occupa di sviluppo di applicazioni tecniche creative per l’innovazione sociale. La Waag Society si è anche impegnata nello studio degli effetti sociali di Internet e promuove attivamente Open Data. Per Marleen l’Open Design è solo una parte di un grande movimento che sta prendendo forma e che, radicato nella tecnologia dell’informazione e della comunicazione, fornisce tutti gli strumenti per diventare la fabbrica one-man: il giocatore mondiale operativo da una piccola stanza sul retro. http://www.waag.org/persoon/marleen
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obiettivo, ma soprattutto, prova una strana sensazione eccitante quando si trova di fronte ad una situazione disordinata, in questo caso tutte le strade sono aperte e la strategia per proseguire deve essere formulata interamente. Un modo di pensare come quello appartenente alla Open Culture richiede necessariamente un’apertura mentale di questo genere. Quando si iniziò a parlare di Open Design, le persone di questo tipo videro con grande entusiasmo tutte le possibilità offerte da quel nuovo mondo. Il primo aspetto colto è stato certamente quello della rivoluzionaria capacità di alterare gli equilibri presenti nel mondo del design. I possibilisti interpretano l’Open Culture come un processo da guidare con le proprie capacità di fare rete. Per loro l’unica strategia da seguire è quella inclusiva: più persone saranno coinvolte e migliori saranno i risultati. Per fare questo dovranno essere costruiti ponti tra posizioni diverse tra loro, a volte anche opposte: tra nord e sud, tra vecchio e nuovo, tra tradizionale e sperimentale. Questo atteggiamento rappresenta il cuore della Open Culture: la condivisione. Qualsiasi cosa venga fatta, qualsiasi contributo venga apportato, deve essere condiviso. Volontà, responsabilità e reciprocità sono gli ingredienti più importanti di una cultura “open” e “shared”. Come in una grande officina, dove la volontà è quella di sporcarsi le mani, l’atteggiamento è: “partecipazione”. 94
3. L’Open Culture
3.5 Verso il campo del design.
Questi fattori sono già stati discussi durante il periodo di sperimentazione dello sviluppo di software liberi, il dibattito si è poi prolungato nel processo di informatizzazione della società. Da qualche anno l’Open Culture sta proponendo questi principi anche nel campo del design: deve riuscire a coinvolgere gli effettivi “users” e non preoccuparsi di ricevere adesioni da parte di organizzazioni, figure che si occupano di marketing e finanza oppure grandi distributori. Nel campo del design bisogna identificare la questione fondamentale: come sostituire i meccanismi appartenenti alla produzione di massa volta al profitto. A questo punto, si deve procedere attraverso una strategia della reciprocità, finché gli oggetti diventeranno delle “smart parts” interconnesse tra loro in una ragnatela di cose, dalla forma simile a quella di Internet. L’Open Design sta sviluppando un proprio linguaggio, dei principi e una propria etica; probabilmente questi meccanismi non smetteranno mai di essere aggiornati perché i contributi in arrivo non si fermeranno mai e, così facendo, i possibilisti avranno chiara soltanto una cosa: solo prendendo parte a questo processo, mettendosi in gioco attraverso una reale partecipazione e influenzando la scelta della via da intraprendere, giungeranno delle risposte. Chi si oppone a questo modo di vedere le cose fondamentalmente ha paura che le energie impiegate per creare qualcosa in modo condiviso vadano perse perché ad un certo punto pensano che il loro contributo
non sia più riconoscibile. Per loro è come non riconoscer lo sforzo di chi scrive un libro se poi questo può essere copiato e modificato da chiunque. Fondamentalmente la loro paura può essere giustificata solo nel caso in cui qualcuno riesca a commercializzare il risultato di molteplici contributi, appropriandosi di un impegno che commercialmente non può essere riconosciuto. Questo dibattito è stato ripetuto più volte in passato, toccando i punti più disparati: da quello della pirateria informatica, alla comunicazione, ai media e al giornalismo. Negli anni ‘60 c’era il problema della pirateria delle stazioni radio come negli anni ‘90 c’è stato l’avvento del “blogging”. Questo è l’entusiasmo che viene cavalcato dalla “Network Society”: Open design can be viewed as the latest in a long line of similar developments, starting with the first PCs – the Ataris, Amigas, Commodores and Sinclairs – the arrival of the internet, of mobile communication[...]It is often the same people who are involved in these initiatives again and again. These are the pioneers of our time, people with that hacker- artist-activist attitude. These are the pioneers of our time, people with that hacker- artist-activist attitude. They are not taking the world at face value, a given from outside; rather, they see the world as something you can pry open, something you can tinker with. 95
95. Stikker,2011
Ed è così che queste persone iniziano a collaborare, a sperimentare: questo è il primo movimento DIY che fonda i presupposti per la propria esistenza su una campagna di condivisione. L’Open Design affonda le proprie radici nella tecnologia dell’informazione e della comunicazione, fornisce alle persone comuni gli strumenti per diventare “one-man factory”; ma questa facilità di accesso è solo apparenza, i requisiti che stanno alla base non sono alla portata di tutti perché bisogna essere estremamente connessi a questa rete e alle sue dinamiche per accedere a queste risorse; inoltre per procedere senza confusione bisogna proporsi con spiccata capacità non solo tecnologica ma anche sociale, accostamento molto raro e interessante. Questa rarità può essere infatti argomentata attraverso una delle fondamentali dicotomie della nostra società: esiste sostanzialmente una separazione troppo grande tra il campo pratico e quello teorico perché qualcuno possa maneggiarli entrambi con facilità.
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3. L’Open Culture
96. Stikker,2011
97. Stikker,2011
There is too little science in making, and too little making in science; these two fields are far too disconnected. 96 Esistono degli esempi in cui questi opposti si attraggono come succede nella connessione tra tecnologia moderna e artigianato, appropriatamente definita come “Hyper-craft”. Gli spunti che possono tornare utili a livello di formazione sono molti e possono valere non solo per il design ma anche per qualsiasi forma di artigianato. Prendere le dinamiche dell’Hyper-craft come esempio non è un concetto strettamente legato agli oggetti che si potrebbero produrre nel campo del design, piuttosto il vero focus sta nel come si pensa di produrre e come si responsabilizza il maker in questione. Così facendo l’Open Culture genera delle ricadute non solo sul sistema produttivo attuale, ma anche a livello politico perché il suo impegno, inarrestabile dall’esterno, richiede prima di tutto trasparenza: basti pensare agli effetti potenzialmente estremi che può avere un approccio di questo genere nel campo dell’informazione, come avviene con Wikileaks e gli effetti che ha creato. Questa è la manifestazione dello scontro tra due mondi: la gente che normalmente opera all’interno dei confini imposti dal nostro modello attuale si trova a sfidare le sue regole. Ancora una volta ciò che conta è confrontarsi con le linee teoriche che stanno alla base del modello, l’Open Design non
trova la sua ragion d’essere nel produrre meglio o in modo più economico qualcosa ma piuttosto nel trovare il modo concreto per sviluppare dinamiche produttive alternative a quelle attuali, non più soddisfacenti; di conseguenza ciò che si viene a delineare corrisponde ad un nuovo modello produttivo che si articola quindi in modo propositivo su dinamiche che non appartengono alla visione attuale. Una qualsiasi produzione su scala ridotta, molto probabilmente, viene schiacciata dalle spese proibitive che appartengono all’ambiente delle produzioni di massa e queste dinamiche devono avere la possibilità di sopravvivere perché sono una valida alternativa a questi meccanismi non più praticabili. Queste difficoltà non sono certamente gli unici problemi dell’open design, il mercato e i soggetti che operano in esso non possono essere certamente favorevoli a quanto questo propone; è come se una maschera occidentale cercasse di privatizzare la cultura e le conoscenze che qualche indigeno attivista ha sviluppato attraverso strategie di open design. Disrupting these macro-political movements that privatize the commons or control access to the public domain is the major challenge for open design. An effective response to that challenge starts with understanding and reflecting on what we are doing when we make things. 97
3.6 L’open design, radici, risultati e ricadute.
La collaborazione per creare manufatti sfruttando il contributo di individui apparentemente non in relazione fra loro può essere considerata il concetto che sta alla base dell’open design; questa astrazione si articola in modi diversi per diventare realtà e raggiungere l’obiettivo di una produzione “individuale”, intesa come la creazione di un bene direttamente sul luogo dove se ne sente la necessità. Tale dinamica, sembra estrapolata da un film di fantascienza, invece siamo proprio in grado di poter downloadare
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facilmente da internet un progetto, o parte di esso, per poi adattarlo ai nostri specifici bisogni e quindi produrre qualcosa perfettamente in linea con la nostra quotidianità semplicemente con un click. Questo non è un processo che ha a che fare con la magia, da subito possiamo riconoscere diverse analogie con svariate vecchie pratiche di produzione e consumo; l’attuale emergere del “Do It Yourself” (DIY) non è da vedere come una semplice riproposta di un’attività che ha alla base la necessità di rispondere
3. L’Open Culture
a delle proprie esigenze, ma rappresenta una dinamica che vede le sue origini nella notte dei tempi proprio perché appartenente alle peculiarità dell’essere umano e piuttosto va letto come il riproporsi inevitabile di qualcosa che ci appartiene, percepibile come il bisogno di “keep idle hands busy”, (trad. mantenere occupate le proprie pigre mani). 98 Il perseverare di questa attività, probabilmente praticata dopo un giorno di lungo lavoro, si trasforma in piacere o in diritto di provare questo piacere: da qui l’equazione proposta da Paul Atkison: DIY = pleasure. In questo concetto trovano spazio le nostre peculiarità che ci portano ad operare lungo questi orizzonti: la voglia, o la necessità, di adoperarsi per qualcosa che può migliorare la nostra condizione fa parte della natura umana in modo incondizionato e in questo caso prende vita in contrapposizione a ciò che prevede il nostro attuale modello di vita. Proprio per questa sua caratteristica imprescindibile questo comportamento continuerà a riproporsi mettendo in discussione ciò che viene calato apparentemente dall’alto, producendo così qualcosa che ne sta al di fuori, ma non per questo non realizzabile.
Personaggi. Paul Atkinson.
Paul Atkinson è un designer industriale, storico del design ed educatore. È docente in design alla Sheffield Hallam University nel Regno Unito dove svolge attività di ricerca e promuove conferenze su questi temi. Per Paul, il l’Open Design è “la creazione collaborativa di un progetto tramite internet da parte di gruppo di individui distanti fisicamente che in altri modi non potrebbero essere correlati fra loro. Come un esercizio puramente creativo, l’Open Design promuove la condivisione di un progetto, senza precedenti di contatto o conoscenza personale, tra il designer professionista e i dilettanti, abbattendo le barriere inutili. Il progetto viene messo in rete per il bene comune piuttosto che per guadagno di capitale o profitto; inoltre l’Open Design permette la condivisione di competenze creative tra nazioni sviluppate e non sviluppate a beneficio umanitario, contrastando così le conseguenze del consumismo globale del prodotto“. http://shu.academia.edu/paulatkinson
98. Paul Atkison, 2011
3.7 Sfera amatoriale VS sfera professionale.
Promuovendo le pratiche di DIY come un passatempo amatoriale la sfera professionale del design affronta un processo di vera e propria democratizzazione; questo chiaramente non è un cammino facile da percorrere. La diffusione di manuali d’istruzione che promuovono il DIY, sotto forma di libri tascabili o riviste, rende possibile sviluppare per chiunque le capacità necessarie per produrre e rendere funzionali oggetti o dispositivi secondo le proprie esigenze e, oltre a questo, è possibile che queste conoscenze siano comunicate ad altre persone piuttosto che tramandate di generazione in generazione. Questo processo di democratizzazione molto spesso non è condiviso dagli attori coinvolti, soprattutto nell’ambito monetario, che gravitano attorno al design, perché devono chiaramente salvaguardare l’esistenza della loro attività, oppure può anche essere
motivo di tensione tra le sfere amatoriali e professionali che si trovano a coesistere nello stesso ambito. Per contro, lo sviluppo di nuove tecnologie disponibili per tutti, come strumenti e materiali innovativi, agevola l’introduzione a queste pratiche non considerabili professionali, solo perché senza fini di lucro, che possono potenzialmente raggiungere risultati analoghi dal punto di vista qualitativo. Lo sviluppo effettivo di queste nuove capacità, abbinato ad un supporto tecnologico e strumentale sofisticato come quello attuale, rende potenzialmente capace chiunque di autoprodursi ciò di cui ha bisogno, annullando quindi il gap finora presente tra le capacità professionali e quelle amatoriali. La principale obiezione a questo punto è rappresentata dal fatto che, al fianco di questa versione dei fatti, esiste indubbiamente anche un altro tipo di
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3. L’Open Culture
lettura: il campo professionale è diventato sempre più specializzato con il passare del tempo, questo perché le tecnologie utilizzate, al contrario di quelle disponibili per il settore amatoriale, sono sempre più sofisticate e complesse; i risultati che si ottengono si allontanano quindi dalla portata dell’ambito amatoriale. Questo può apparire in contraddizione con quanto detto prima, ma non è così: entrambi gli ambiti percorrono la loro strada, la sfera amatoriale raggiunge per certi versi risultati professionali e quella professionale prosegue la sua evoluzione specializzandosi per rispondere alle esigenze del mercato sempre più sofisticate. Se la prima si avvicina alla seconda però non potrà mai raggiungerla perché questo effetto comunque si verifica contemporaneamente ad un
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altro allontanamento: quello dalla soddisfazione di bisogni reali. È come se il modello produttivo evolvesse verso pratiche sempre più sofisticate che procedono di pari passo con la creazione di esigenze sempre più elaborate, o magari indotte, allontanandosi così dal diretto contatto con la quotidianità; di fronte a questo scenario il soggetto consapevole ritiene più semplice attuare un atteggiamento critico verso questa complessità mettendosi in gioco in prima persona. Ovviamente questo atteggiamento incontra non poche difficoltà, soprattutto dal punto di vista economico, perché nella maggior parte dei casi la produzione di massa disincentiva questo tipo di iniziativa rendendo disponibile in modo omologato tutto, sempre ed ovunque ad un prezzo facilmente accessibile; perché costruire una libreria da soli quando è possibile comprarne una progettata professionalmente, prodotta senza difetti e rifinita secondo alti standard qualitativi per un prezzo facilmente inferiore al costo del solo materiale necessario? La risposta a questa domanda si articola su diversi aspetti, uno di questi è rispecchiato senza dubbio dal fatto che la distanza tra sfera professionale ed amatoriale contribuisce al cosiddetto “culto della conoscenza” (cult of the connoisseur): l’idea che il designer professionista sia a conoscenza di cosa è meglio per chiunque può anche essere accettata, soprattutto se si parte dal presupposto che egli possiede quel certo buon gusto tanto auspicato da ogni dibattito sul design visto come stile. Fin dagli anni ‘60 però, abbiamo realizzato che un’unica soluzione progettuale non può rispondere adeguatamente a qualsiasi bisogno su un mercato così eterogeneo e, soprattutto, la pertinenza di un particolare progetto è determinata dall’utilizzatore, non dal creatore. Storicamente l’opinione dell’utilizzatore finale ha assunto sempre più importanza nel processo di progettazione, al punto che i protagonisti del design promuovono con crescente determinazione metodologie progettuali incentrate sull’utente, mettendo così i suoi bisogni alla base della creazione di prodotti. La naturale evoluzione di questa visione può essere proprio questo recente coinvolgimento nella progettazione, dove l’utente finale risulta pienamente coinvolto nel processo creativo che porta ai prodotti che eventualmente consumerà. In questo modo il passo che separa creazione e progettazione condivise dalla posizione in cui l’utente finale si assume la responsabilità di pensare e realizzare a tutti gli effetti ciò di cui ha bisogno risulta molto breve. Con l’Open Design la sete di sapere appartenente al culto della conoscenza incentiva chiunque voglia a mettersi in gioco in prima persona, partendo dal presupposto che ognuno di noi è il miglior conoscitore di se stesso e quindi dei propri bisogni.
3. L’Open Culture
3.8 Il contributo di Internet.
Chiunque voglia rendersi disponibile e dare il proprio apporto può trovarsi in qualsiasi luogo sulla terra: la rete di collegamento, che lavora grazie a Internet, promuove e sviluppa un processo di progettazione interattivo ed iterativo, grazie alla partecipazione di gruppi di lavoro dispersi globalmente e composti da sempre nuovi potenziali partecipanti. Questo tipo di comunità si aggrega e si dissolve a seconda delle necessità come se fosse un organismo pulsante: se la progettazione incontra una problematica di qualsiasi tipo, questa viene comunicata alla comunità e chi si ritiene utile partecipa alla sua soluzione. Dopo aver “risolto” il particolare problema di progettazione, il gruppo può dissolversi per riformarsi nuovamente con altre persone attorno ad un nuovo obiettivo. Inoltre, la gente coinvolta in questi gruppi virtuali ha a propria disposizione strumenti e competenze molto sofisticate provenienti dai più disparati ambiti.
Se negli anni ‘80 le tecnologie di Rapid Prototyping avevano la tendenza ad essere molto costose perché richiedevano grossi investimenti nella strumentazione, non completamente giustificabili rispetto a ciò che potevano produrre, oggi le prospettive offerte dai loro discendenti a basso costo sono molto più abbordabili: i progetti che vengono disseminati e scaricati via Internet per poi essere realizzati non gravano sulle tasche di chi vuole usufruirne. In questo senso la tecnologia si è spostata da una posizione di co-creazione partecipata ad una in cui l’utilizzatore finale ha la capacità di progettare e produrre completamente i prodotti autonomamente. E’ come se storicamente fossimo tornati all’inizio della rivoluzione industriale, dove un modello produttivo, per lo più artigianale, si alimenta di un continuo fermento che realizza solo piccoli numeri, strettamente legati a particolari bisogni individuali.
3.9 Una produzione leggera.
Con quanto descritto fin’ora comprendiamo che la situazione relativa all’Open Design è in continua evoluzione e, sotto certi aspetti, in costante miglioramento; grazie anche all’ampia accessibilità che ha raggiunto la rete Internet, il numero di persone coinvolte volontariamente è destinato a seguire questo incremento anche dal punto di vista quantitativo. Probabilmente però il miglioramento più interessante a cui possiamo assistere è quello delle macchine a basso costo per la “direct digital manufacture”: nelle loro versioni open source dispositivi come “CupCake” CNC rapid prototyping prodotta da MakerBot Industries, o la self-replicating rapid prototyper “RepRap”, o ancora il dispositivo da prototipazione rapida da scrivania “Model 1 Fabber” di Fab@Home stanno continuando a migliorare le loro capacità, diventando sempre più
efficienti, più accurate e capaci di utilizzare un numero sempre più alto di materie prime. Questo miglioramento è verificabile anche sotto due aspetti più tangibili che rendono queste tecnologie sempre più vicine al grande pubblico: il grande perfezionamento nella facilità d’uso delle interfacce, soprattutto per quanto riguarda la produzione di modelli 3D e la maggior facilità con cui è possibile reperire i materiali utilizzabili da queste macchine. Questi due aspetti sono importanti perché rispecchiano le due principali difficoltà da affrontare per chi si cimenta in questo campo la prima volta. Un esempio degno di nota può essere quello rappresentato da “Nervous System”: a differenza dei tradizionali siti di gioielleria dove vengono utilizzati software per interagire nella progettazione di gioielli da produrre poi in tempistiche molto dilatate tramite
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3. L’Open Culture
stampaggio e da rifinire tramite l’uso del laser, in questo caso, i visitatori del loro sito possono comprare pezzi già pronti, creati tramite i loro software, oppure lanciare un semplice applet interattivo e dare forma a progetti basati su strutture organiche che verranno realizzati quasi istantaneamente per poi essere recapitati direttamente. Il risultato è una libreria di progetti “open” in costante crescita composta da svariate forme abbinabili fra loro. Inoltre il codice utilizzato da questi software è rilasciato attraverso una licenza Creative Commons per incoraggiare la diffusione di altre iniziative simili. Questi esempi sottolineano il valore che ha la possibilità di poter entrare in questa realtà senza dover essere conoscitori specializzati di software 3D. Lo sviluppo di questi sistemi che aiutano e supportano le persone nella creazione dei propri progetti può essere visto come minaccia dal mondo della progettazione professionale, questa larga diffusione può essere un affronto alle capacità di alto livello sviluppate dai designer professionisti nel tempo ma anche come un’opportunità di ricoprire un ruolo chiave nel campo della progettazione proprio grazie ai profili altamente qualificati. Sicuramente il ruolo del designer in questa situazione cambierà prima di sparire del tutto, soprattutto nel rispetto del rapporto che ha con l’oggetto finito e in relazione agli eventuali utilizzatori. I modelli tradizionali, per salvaguardare proprietà e diritti sui progetti, non possono più funzionare con il sistema di open design, questa cosa è inevitabile, provare ad ostacolarla non serve a nulla: la lezione è già stata impartita nel campo creativo dell’industria
della grafica, dei film e delle produzioni musicali dove il tentativo di proteggersi da questo fiume in piena è stato vano. Il campo della grafica ha dovuto imparare ad affrontare nella pratica che chiunque con un computer e la licenza di un programma può oggi produrre progetti grafici di alta qualità e pronti per la realizzazione. In molti casi, il ruolo del graphic designer si è evoluto verso l’effimero, se prima era sua consuetudine creare qualcosa di tangibile, stampato, oggi si impegna principalmente in lavori working in progress, come la progettazione di siti web che hanno bisogno di un costante aggiornamento, fattibile solo per chi si dedica a questo come mestiere, che consente un controllo totale dei contenuti che vanno aggiunti alla creazione iniziale. È enorme lo sforzo attraverso il quale l’industria della musica ha dovuto trovare accordi per adattarsi all’enorme cambiamento che ha investito il sistema di distribuzione dei suoi prodotti finiti e i supporti attraverso cui diffonderli. Il ruolo che un tempo veniva ricoperto dall’artista che produce musica e dal repertorio che lo contraddistingueva, aggiudicandogli così contratti con le case discografiche, oggi è sostituito da un’auto-promozione e distribuzione filtrata direttamente dai potenziali ascoltatori. In modo analogo la quantità di produzioni provenienti dai film studios è stata travolta da una valanga di video amatoriali creati senza controllo e resi disponibili su piattaforme come YouTube, visionate da un enorme numero di spettatori senza alimentare i profitti di quest’industria e senza passare tra le mani di un regista.
3.10 Il progettista dirige un’orchestra di contributi.
Secondo Paul Atkinson paragonare la figura del designer a quella del regista, produttore musicale, o direttore di orchestra è giustificato più che mai in questo frangente: il ruolo del regista è riconosciuto come la forza creativa che sta dietro alla realizzazione
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di un film, ma sappiamo bene che i risultati da lui ottenuti sono il frutto dell’impegno del lavoro di un intero team, nello stesso modo un’orchestra non può funzionare bene senza l’impegno di un buon direttore, ma allo stesso tempo il suo ruolo chiave non sarebbe
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nulla senza dei buoni musicisti da dirigere, allora, probabilmente, il cambiamento che sta avendo il ruolo del designer è dovuto ad un’evoluzione naturale dove la sua figura, non solo si avvarrà di esperti specializzati in settori come ergonomia o marketing, ma sarà anche a stretto contatto con il contributo offerto dagli utilizzatori finali. The professional designer, I suspect, will become an agent of design, with the audience of end users selecting which designer’s system they wish to employ. 99 È prevedibile che questo cambiamento abbia un grosso
impatto: la connessione tra il progettista e l’oggetto cambierà profondamente, se prima questi produceva qualcosa di definitivo grazie allo sforzo del suo gruppo di progettazione, oggi, questo gruppo diventa ancora più ampio includendo il contributo di qualsiasi utilizzatore che declinerà il progetto secondo le proprie esigenze. Anche la relazione tra utilizzatore e prodotto finale cambierà attraverso questa crescente partecipazione: il consumatore non sarà più passivo ma conoscerà perfettamente come viene progettato e prodotto l’oggetto che ha in mano, potrà attuare delle scelte consapevoli per rispondere in modo adeguato alle proprie esigenze.
99. Paul Atkison, 2011
Figura 33. I prodotti tornano ad essere personalizzati
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3. L’Open Culture
100. Paul Atkison, 2011
Così facendo, anche la differenza tra i termini “amatoriale” e “professionale” è destinata scomparire in questa era “post-professionale”. Altre ricadute si avranno nelle scuole di progettazione, dove lo studio di metodologie produttive vicine all’artigianato acquisterà più importanza, soprattutto nell’ottica che lega il progetto personalizzato dall’utilizzatore consapevole e partecipante alla sua declinazione in relazione al contesto, a discapito di una produzione di massa uguale a livello globale. I progettisti dovranno imparare a sviluppare processi produttivi utilizzabili da altri con facilità piuttosto che blindarli per poi affidarli nelle mani di un solo produttore. Se per loro sembrerà scoraggiante lasciare il proprio lavoro nelle mani di sconosciuti dovranno piuttosto sfruttare le enormi opportunità che derivano
da un coinvolgimento maggiore rispetto a prima, nei processi di produzione, nella conoscenza dei materiali scelti e delle loro potenzialità nei processi di trasformazione appartenenti ai contesti territoriali. Per loro la sfida sarà quella di creare un sistema per progettare che consenta di mantenere l’integrità del concetto che sta alla base del progetto, in modo che quando verrà aggiornato da un utilizzatore qualsiasi venga mantenuta integra la sua identità. These orchestral manoeuvres in design will change everything for everybody, but while there may be troubles ahead, it is not all doom and gloom. The innate ability of design to adapt to change will surely be its saviour. 100
3.11 Ripensando il design, confronti e problematiche.
101. J De Mul, 2011
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È chiaro quindi che l’industria del design sta affrontando dei cambiamenti fondamentali. Open Design, Downloadable Design e Distributed Design hanno indubbiamente reso più democratico questo campo e inoltre lo hanno ampliato dando la possibilità a chiunque di diventare progettista o produttore. Questi concetti sono estremamente positivi: l’open design può portare solo miglioramenti, sarebbe strano non partecipare alla sua promozione, ma attenzione, la strada da percorrere anche se avrà uno sviluppo positivo può presentare dei potenziali ostacoli e altre insidie. Come le altre discipline appartenenti a questa sorta di movimento “Open Movement”, Open Source Software, Open Science, Open Technology ecc, anche lo sviluppo dell’Open Design è strettamente connesso alla rapida ascesa e diffusione dei computer e di internet. Per questo è forse doveroso fare un’analisi più ampia che tenga in conto di questa relazione. Probabilmente abbiamo capito che la via più conveniente da percorrere per sviluppare gli aspetti positivi dell’open design senza rischiare di incorrere in eventuali insidie è quella di tener ben presente che il designer non deve abbandonare le proprie attività da progettista, piuttosto, deve ripensarle secondo un’evoluzione ben precisa. Secondo Jos De Mul questa trasformazione è chiara:
The designer of the future has to become a database designer, a meta-designer, not designing objects, but shaping a design space in which unskilled users can access user-friendly environments in which they can design their own objects. 101 In questo caso De Mul allude alla possibilità che la gente comune possa “progettare” i propri oggetti oltre che produrli, questa affermazione appare in disaccordo con quando riporta prima a proposito della figura del progettista: l’importanza di una consapevolezza professionale nella progettazione difficilmente può essere delegata a chiunque e la decentralizzazione della sfera pratica a proposito di condivisione e produzione rispecchia un cambiamento già molto radicale per il nostro modello di consumo. “Openess” è una caratteristica fondamentale della vita, appartiene a qualsiasi organismo vivente sulla terra che prima o poi dovrà sviluppare una certa apertura con la realtà che lo circonda per poter compiere le proprie attività, nutrirsi, relazionarsi e di conseguenza creare la propria identità. In ogni caso, questo tipo di apertura è sempre relativo all’habitat dell’organismo, tranne che per l’essere umano, che non essendo vincolato ad un particolare ambiente, risulta caratterizzato da un’apertura molto più spiccata. In pratica è come se l’ambiente a sua disposizione
3. L’Open Culture
fosse illimitato, questo fa della vita umana un’esperienza incredibilmente varia e ricca se comparata con quella degli altri animali ma, allo stesso tempo, ci impone delle responsabilità che nessun altro può condividere con noi. Per cui se gli animali devono semplicemente accettare di vivere in un certo ambiente, perché riduttivamente possiamo definirlo come quello che gli spetta, l’uomo ha la possibilità di progettare il proprio mondo ed è conveniente che lo faccia! Questa affermazione può suonare come una coercizione ma effettivamente la vita dell’essere umano è totalmente sottoposta ad una vera e propria progettazione, non solamente nel senso di dare forma ad un mondo già esistente, ma piuttosto nel senso più radicale che l’essere umano deve istituire e creare il proprio mondo, visto che normalmente vive in un mondo artificiale. L’uomo è artificiale per natura, secondo il filosofo tedesco Helmuth Plessner, questo è un processo che non avrà mai fine, basta voltarsi indietro e vedere come nelle ultime decadi abbiamo assistito allo sviluppo dei computer e di internet, siamo stati testimoni della scoperta e della creazione di un nuovo regno che ha delle ricadute enormi sulla nostra vita, attuando su di essa una vera e propria sovrapposizione. Anche se quest’apertura caratterizza l’essere umano fin dalla notte dei tempi, soprattutto in questi ultimi anni il concetto ha acquistato notorietà e importanza. Wikipedia,
Personaggi. Jos de Mul.
Jos de Mul è professore ordinario di Antropologia Filosofica e dirige la sezione di Filosofia dell’uomo e della Cultura alla Erasmus University di Rotterdam, Paesi Bassi. È direttore scientifico dell’istituto di ricerca ‘Philosophy of Information and Communication Technology’. La sua ricerca si concentra su argomenti (in parte sovrapposti) di antropologia filosofica, filosofia dell’arte e della cultura e filosofia delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Secondo Jos “the Open Design movement seems to be part of a shift in the world of design from form via content to context, or from syntax via semantics to pragmatics, as my colleague Henk Oosterling expressed it in his Premsela Lecture last year.” http://www2.eur.nl/fw/hyper/home.html
uno dei progetti di maggior successo sviluppati dall’Open Movement, ci dà questa definizione: Openness is a very general philosophical position from which some individuals and organizations operate, often highlighted by a decision-making process recognizing communal management by distributed stakeholders (users/ producers/contributors), rather than a centralized authority (owners, experts, boards of directors, etc.). 102
102. Wikipedia, 2011
123
3. L’Open Culture
3.12 Openness.
Nel panorama globale dell’informazione il concetto di “Openness” è oggetto di largo uso e si affianca alle più svariate attività. Uno dei recenti sviluppi, a cui dobbiamo molta notorietà, è quello degli “Open Software”, che spaziano dai sistemi operativi ad un’ampia varietà di applicazioni. A fianco, in questo ambito, la domanda per open access si è estesa a diversi altri campi culturali come quelli della musica, dei film e dei libri. La caratteristica che accomuna questi percorsi è che le informazioni non sono soggette a copyrights e vogliono essere libere. Inoltre il libero accesso non è limitato al mondo virtuale: un crescente numero di ricercatori scientifici sviluppa percorsi di studio del tutto aperti e fa uso di tecnologia open cooperando con altre comunità scientifiche o
con il pubblico, producendo dati con accesso libero attraverso pubblicazioni e database. Un esempio calzante in questo caso è sicuramente quello dell’Open Dinosaur project, auto-promosso attraverso il proprio sito web “Crowdsourcing Dinosaur Science” ha coinvolto un vasto pubblico, scientifico e non, per sviluppare un vasto database per catalogare resti fossili di dinosauri e investigare a proposito della loro evoluzione passata. In questo caso il libero accesso non comprendeva solamente la lettura dei dati e di risultati ottenuti dalla ricerca, questo patrimonio scientifico in costante aumento diventava giorno per giorno la base su cui sviluppare nuovi rami di ricerca in svariati ambiti, dalla biologia all’ingegneria genetica.
3.13 Le dimensioni dell’Open Design.
Da qui potremmo compilare una lista molto corposa di esempi che si articolano attorno al concetto di accesso aperto, dall’intrattenimento agli incontri sociali. Sembra che qualsiasi cosa possa essere letta in chiave “open”, per questo non ci dobbiamo stupire se stiamo assistendo alla formazione di un vero e proprio movimento. All’ interno di questo movimento, cosa significa open design? In un articolo dal titolo “Emergence of Open Design and Open Manufacturing” Michel Bauwens distingue tre differenti dimensioni dell’Open Design, che richiamano alla struttura di un vero e proprio sistema: 103. M. Bauwens, 2011
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Input side per alimentare un processo di open design, dalla parte in entrata abbiamo dei contributi volontari, nessuno
deve chiedere il permesso per partecipare, chiunque può utilizzare liberamente il materiale e le informazioni inerenti al processo senza nessun tipo di restrizione in modo che questo possa essere modificato ed implementato in qualsiasi momento. Se del materiale in questo caso non è ancora disponibile l’opzione è quella di crearlo attraverso una collaborazione che procede per “peer production”. Process side il processo si basa su progetto inclusivo, il numero di partecipanti deve essere il più ampio possibile mentre il loro impegno deve rimanere al di sotto di una soglia di partecipazione ragionevolmente impegnativa; i contributi devono essere modulari invece che differenziati funzionalmente rispetto all’obiettivo dato; la qualità in
3. L’Open Culture
uscita deve rispondere ad un controllo condiviso che valuta i risultati di tutte le alternative possibili attraverso una “peer governance”. Output side ciò che viene prodotto deve essere a completa disposizione della “comunità”, questo viene assicurato attraverso l’utilizzo di licenze che rendono disponibili i risultati sempre, ovunque e comunque senza la richiesta di permessi. L’aspetto più importante della dimensione in uscita è che qualsiasi risultato prodotto possa coincidere nuovamente con la dimensione in entrata per un ulteriore processo. 103 In una situazione come quella che si viene a creare nei Fab Labs, fondati da Neil Gershenfeld al MIT’s Center for Bits and Atoms, queste tre dimensioni vengono a coincidere. I Fab Labs danno la possibilità a chiunque di accedere agli strumenti per la “digital fabrication”. L’unico vincolo è quello di essere in grado di “do it yourself” (fare da soli) e condividere il “lab” con altri utenti e per altri usi; questi utenti possono utilizzare i Fab Labs per creare praticamente qualsiasi cosa. E’ proprio in questa dimensione pratica che emergono però le principali problematiche legate all’Open Design, e come vedremo qui di seguito le prime tre hanno una valenza generale per l’intero movimento Open Source. La prima difficoltà, legata al movimento in generale, emerge particolarmente quando ci si trova ad affrontare la produzione di oggetti fisici. Quando il progetto riguarda qualcosa di immateriale la struttura della cooperazione funziona perfettamente anche a distanza perché come abbiamo visto prima i contributi in entrata sono totalmente liberi e aperti a modifiche. Per contro la produzione di qualcosa di tangibile deve inevitabilmente affrontare dei costi e quindi a monte ci si deve preoccupare del capitale necessario, di come rientrare nei costi e di come non farli lievitare in corso d’opera. Infine, producendo qualcosa di fisico, questo ha dei limiti pratici per definizione: in base alla funzione che può svolgere sarà in competizione con altri oggetti analoghi e la sua disponibilità sarà limitata al luogo fisico in cui si trova; se il suo possesso si ritrova nelle mani di un solo individuo allora sarà chiaramente difficile da condividere. Grazie alle stampanti 3D questo problema sembra diventare meno urgente: con un’adeguata diffusione di stampanti 3D per uso privato i maker interessati dovranno solo preoccuparsi di condividere le informazioni per farle funzionare. Il primo modello disponibile, prodotto dalla Hewlett-Packard, parte con un prezzo decisamente elevato, attorno ai 5000 euro, ma questa cifra è destinata a scendere sotto i 1000. In ogni caso le regole fisiche
dei campi economici rappresentano un limite serio se comparate alla libertà delle attività Open Source. Un ulteriore problematica legata al carattere fisico dell’open design è che molta gente non è in grado o non può aderire a questo movimento. Molti di loro non hanno le capacità, il tempo e l’interesse per progettare i prodotti da usare nella quotidianità: vestiti, mobili, strumenti, ecc. La terza problematica riguarda le capacità progettuali dal punto di vista pratico di chi si mette in gioco. In questo caso non è possibile controllare se qualcuno sopravvaluta le proprie capacità per progettare; normalmente quando un maker ha in mano un oggetto da lui progettato sarà soddisfatto ed appagato qualsiasi sia il risultato, proprio perché lui ne è il creatore, ma al momento della condivisione possono sorgere dei problemi di comprensione se vi sono delle lacune a livello progettuale. Questo problema può essere arginato attraverso il “crowdsourcing” perché in questo caso il progetto viene inevitabilmente esaminato da occhi esterni per quanto riguarda la sua realizzabilità, la sua funzionalità e anche il suo aspetto estetico. Sfortunatamente non è sempre possibile controllare il buon senso necessario nel processo di crowdsourcing; in molti però credono che qualsiasi risultato ottenuto sia migliore rispetto a ciò che viene prodotto dal normale processo di committenza individuale nella progettazione. Jaron Lanier argomenta in modo soddisfacente questo concetto di “You are not a gadget”: questo nuovo costume collettivo, messo in pratica ad esempio nelle attività di Wikipedia o Google searches, minimizza l’importanza dell’esclusività dei pareri individuali e raccoglie successi collettivi paragonabile all’operosità delle api nell’alveare.
104. J. De Mul, 2011
L’ultima problematica riguarda invece la componente etica nella progettazione. Tutto questo processo completamente libero, che comprende gli strumenti per mettere in pratica i progetti condivisi, non può essere controllato se entra nella dimensione privata di qualcuno con cattive intenzioni; è molto probabile che le stampanti 3D non verranno utilizzate esclusivamente per produrre vasi da fiori colorati ed eleganti, le loro potenzialità, come quelle dell’intero movimento Open Source, possono essere sfruttate per scoprire nuovi orizzonti anche in ambiti negativi per la collettività. Risulta quindi di fondamentale importanza non sottostimare le potenzialità pericolose dell’Open Design e preparare delle strategie per fronteggiare i possibili risultati negativi. 104 Come possiamo vedere in questo screen print proveniente dal sito di Thinginverse la condivisione del blueprint per produrre un rinforzo per pistole è stata bloccata per violazione delle regole etiche del sito.
125
3. L’Open Culture
Figura 34. L’inconveniente etico di Thinginverse
3.14 L’unicità della condivisione e la sua dimensione etica.
105. P. Kropotnik, 1909
Nel 1909 Peter Kropotnik si sentì chiedere se fosse possibile imparare a fare giardinaggio attraverso le spiegazioni di un manuale, la sua risposta fu:
conoscenza che è stata sviluppata attraverso una cultura locale risulta necessaria per la sopravvivenza, essa è il risultato di un’esperienza collettiva”. 106
“Certo, è possibile! Ma c’è una condizione necessaria per ottenere successo e risultati nel lavorare la terra: l’attitudine alla comunicazione, un continuo interagire con i propri vicini” 105
È come se la biosfera che ci circonda fosse la nostra casa, una sorta di giardino a cui finora noi non abbiamo badato con sufficiente attenzione. Al contrario abbiamo danneggiato la maggior parte del cibo e del sistema idrico che ci garantiscono la sopravvivenza e abbiamo consumato enormi quantità di risorse non rinnovabili. Una delle principali ragioni per le quali abbiamo danneggiato il sistema che supporta la nostra vita è che abbiamo sottovalutato l’aspetto sociale da cui deriva la conoscenza che Kropotnik descriveva. Il nostro modello comportamentale ci indirizza verso una privatizzazione della natura e la tendenza a specializzare la conoscenza ci rende ciechi di fronte alle conseguenze di queste azioni. L’Openess e i suoi principi sono molto più di una pratica commerciale o un atteggiamento culturale: per una personalità così rilevante nell’Open Culture come John
Egli cercava di spiegare che un libro può fornire degli ottimi consigli in questo caso, ma ogni ettaro di terra è unico. Ogni appezzamento è caratterizzato da una composizione del suolo, da una sua topografia, ospiterà una peculiare biodiversità e il suo sistema idrico sarà strettamente relazionato a quello locale. Il nostro aristocratico contro corrente proseguì poi fondando il suo consiglio con questa spiegazione: 106. P. Kropotnik, 1909
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“Le tecniche di coltivazione in queste circostanze uniche possono essere imparate fino in fondo solo dalla comunità locale dopo stagioni di pratica, la
3. L’Open Culture
Tackara, questa tendenza è un modo per sopravvivere. Systemic challenges such as climate change, or resource depletion – these ‘problems of moral bankruptcy’ – cannot be solved using the same techniques that caused them in the first place. Open research, open governance and open design are preconditions for the continuous, collaborative, social mode of enquiry and action that are needed. 107 Dal punto di vista storico il percorso della conoscenza è stato portato avanti in maniera aperta e collaborativa. La scienza, per esempio, ha sempre sviluppato risultati condivisi da una libera comunità globale interconnessa. Oppure, nel campo dell’informatica anche i software di cui disponiamo sono il risultato di una creatività sociale che viene identificata come “commons-based peer production”. Questi approcci sono totalmente in contrasto rispetto alla tendenza della nostra economia industriale che dipende soprattutto da un modello di business totalmente controllato e caratterizzato dalla protezione individuale dei diritti. Tecnicamente Internet ha reso più facile la condivisione delle idee e della conoscenza, ma ancora troppe persone legate alle proprietà di diritti impegnano tutti i loro sforzi per proteggere un modello produttivo chiuso. Le pratiche relative all’Open Design sono da vedere come un sistema che sta emergendo in alternativa a quello attuale. In accordo con Tackara, questa strada può essere vista come come la prima opzione possibile da percorrere per un’economia sostenibile, grazie al fatto che queste pratiche sono “leggere, libere, locali e condivise”. La corrente di pensiero che si cerca di descrivere vede l’Open Design come qualcosa di più di un semplice modo per creare prodotti. Come processo e come cultura, l’Open Design cambia anche le relazioni tra le persone che lo mettono in pratica, lo producono, lo usano e sanno guardare oltre i risultati tangibili dei prodotti. A differenza dei prodotti di marca, gli oggetti realizzati tramite un processo di Open Design sono facili da mantenere e da riparare localmente: rappresentano l’esatto contrario dei concetti cavalcati dall’obsolescenza programmata, dei prodotti usa e getta e delle discariche infinite. Chiaramente questa alternativa di cambiamento sarà efficace in proporzione a quante persone abbracceranno questa causa e la porteranno avanti in una condivisione sempre più completa. Questa condivisione dovrà comprendere non soltanto le informazioni tecniche per concretizzare progetti condivisi, ma dovrà andare più a fondo abbracciando la metodologia progettuale che vede questa alternativa come una valida soluzione alla crisi di sistema che stiamo attraversando, dal
campo economico a quello ecologico. La componente etica di queste pratiche deve assumere un’importanza maggiore anche rispetto all’entusiasmo riferito alle grandi potenzialità di questo movimento: per esempio se attualmente il 90% delle risorse che utilizziamo globalmente finisce in discarica dopo soli tre mesi dal suo reperimento, l’Open Design non dovrà aggravare questa condizione, anzi, dovrà basarsi sul presupposto che può essere un’alternativa per contrastare questo problema.
107. J. Tackara, 2011
Personaggi. John Thackara.
John Thackara è autore, speaker e promotore di eventi con un background in filosofia e giornalismo. È stato il primo direttore del Netherlands Design Institute e direttore nel 2007 del programma Designs Of The Time (Dott 07, evento biennale nel nord-est dell’Inghilterra). John è l’iniziatore della lunga serie fondamentale di eventi, feste e progetti “Porte della Percezione” . La serie si collega al paradigma dell’evoluzione dei designers, considerati come innovatori tecnologici e inventori astrazione popolare. Per John, “l’Openness è più di una questione commerciale e culturale, è una questione di sopravvivenza. L’Open Design è uno dei presupposti fondamentali per l’evoluzione dell’attuale campo del design, che sviluppa e concretizza metodi di condivisione e collaborazione le cui ricadute sono apprezzabili anche in campo sociale “. http://www.thackara.com
127
3. L’Open Culture
3.15 Il contesto dell’Open Design.
108. Avital, 2011
Il concetto di Openness, traducibile con il termine apertura, riguarda l’accessibilità alle informazioni. Openness è una peculiarità che si riferisce al grado con cui qualcosa è accessibile (per prenderne semplicemente visione), modificabile ed utilizzabile. La possibilità di rendere visibile qualcosa si basa sul concetto di condividere indiscriminatamente dei contenuti e sulla possibilità di andare a fondo con l’analisi, reperendo realmente le informazioni dettagliate che questa analisi richiede. L’abilitazione alla modifica riguarda invece la condivisione di uno sforzo con cui l’oggetto in questione può essere migliorato ma anche declinato a seconda di nuove esigenze. La disponibilità di utilizzo riguarda la condivisione della proprietà di qualcosa che può essere utilizzata da terzi a propria discrezione. L’utilizzo può essere inteso all’interno del progetto condiviso o solo per parte di esso; essendo libero a tutti gli effetti si dà la possibilità di percorrere nuove strade per giungere a nuovi risultati partendo da una base costruita da qualcun altro. Questi sono i tre passaggi fondamentali che in modo implicito rendono possibile l’accessibilità. Di conseguenza il concetto di Openness è strettamente relazionato alla trasparenza e alla permeabilità delle informazioni condivise e soprattutto non va inteso come un mero supporto tecnico per veicolare qualcosa, piuttosto va visto come una caratteristica distintiva
OPEN INNOVATION
Figura 35. Confronto degli archetipi dell’ Open X
128
che pervade la struttura di un modello in rapida e fiorente espansione. Ecco perché, da un punto di vista sociale, Openness può essere visto come un insieme di linee guida con le relative pratiche che rafforzano l’infrastruttura sociale a proposito di concetti come condivisione, reciprocità, collaborazione, tolleranza, equità, giustizia e libertà. L’applicazione di una cultura Openness apre svariate possibilità ad una comunità che intende coglierle, secondo Michel Avital infatti: The application of openness, as implied by various accessibility features, to a growing number of central ubiquitous practices that drive the human enterprise, has turned into a megatrend that can be labelled the Rise of Open-X. 108 Ciò che intende Avital per megatrend è un trend così esteso da avere un impatto molto forte che può influenzare per una lunga durata svariati livelli del nostro modello sociale: gli individui, le organizzazioni, i mercati, gli stati nella società civile. L’etichetta Open-X racchiude sotto di sé varie configurazioni che possono essere classificate in tre archetipi: open innovation, open source e open design.
OPEN SOURCE
OPEN DESIGN
Valori strategici
Conoscenza distribuita
Sviluppo distribuito
Produzione distribuita
Aspetti CORE OPENNESS
Accesso
Modifica
Uso
Protagonisti
Organizzazioni
Comunità di sviluppatori
Consumatori
3. L’Open Culture
Open Innovation. Il valore su cui si fonda l’Open Innovation è la distribuzione di conoscenza attraverso processi che sfruttano le potenzialità dell’Openness di condivisione. Gli attori principali in questo caso sono le organizzazioni. Secondo la dottrina tradizionale, il leader di un’azienda crea da sè la maggior parte delle migliori idee che questa può vantare; per questo motivo in una struttura tradizionale l’innovazione dovrebbe essere alimentata dallo sviluppo di conoscenza, portato avanti da una stima che opera in una struttura gerarchica adeguatamente difesa dall’esterno e protetta dal segreto industriale. Al contrario, secondo l’Open Innovation, i leader industriali potrebbero fare un uso più efficace delle idee interne ed esterne sviluppando meglio dei modelli di business. In altre parole, si possono raggiungere migliori risultati con una maggiore attenzione verso le attività dei confini che dividono l’azienda dall’ambiente che la circonda, permettendo lo spostamento di flussi di idee, conoscenze e proprietà intellettuali. In questo modo raggiungere e accedere a risorse di conoscenze esterne amplia le capacità innovative di un’impresa, com’è stato dimostrato da grandi marchi come Procter & Gamble o Philips. I principi dell’Open Innovation favoriscono quindi il cambiamento di comunità che sono disposte a mettersi in gioco lasciandosi andare in queste condivisioni, che nella pratica generano le dinamiche del Crowdsourcing. Open Source. I valori promossi dall’Open Source si rifanno alla pratica della creazione di processi in grado di distribuire “sviluppo”, enfatizzando così la caratteristica di modificabilità dell’Openness. I principali attori dell’Open Source sono i programmatori in genere, infatti questo concetto è nato nell’ambito informatico dell’industria di software. Secondo la dottrina tradizionale un software viene normalmente sviluppato in un’azienda specializzata, da personale professionista, controllato attraverso provvedimenti tecnici e legali, per poi essere venduto sul mercato. Al contrario, secondo un modello di business Open Source, i software possono essere sviluppati attraverso un coordinamento ugualitario di volontari indipendenti. Di conseguenza ognuno di questi può accedere liberamente alla programmazione che sta alla base del software, la può modificare e ridistribuire secondo gli stessi termini dando così vita ad un ciclo continuo di miglioramenti, adattamenti ed estensioni. In questo modo, raggiungendo risorse esterne, lo sviluppo si estende avvalendosi di capacità innovative non
sfruttabili diversamente che rendono più articolato il progetto. Il grande impatto di progetti di alta qualità come Linux o Mozilla Firefox ha diffuso i principi dello sviluppo Open Source, del modello di licenza e di distribuzione che a loro volta hanno promosso la proliferazione continua di altri progetti in qualsiasi campo: Wikipedia con lo sviluppo digitale di conoscenza, c,mm,n nei vicoli, Free Beer – Vores 0l nelle bevande fino a RepRap per le stampanti 3D. Open Design. I principi proposti dall’Open Design si rifanno alla messa in pratica di processi per la distribuzione manifatturiera che enfatizzano così la caratteristica dell’usabilità diffusa dell’Openness. I principali attori dell’Open Design sono i consumatori. Anche se in questo caso i progettisti hanno chiaramente un ruolo centrale perché producono e condividono progetti realmente utilizzabili, il ruolo vero e proprio della realizzazione distribuita rimane nelle mani dei consumatori e questo rappresenta il fine ultimo dell’Open Design. Secondo la dottrina tradizionale, il designer rimane soprattutto un aspetto preliminare per il commercio manifatturiero e la distribuzione. Per contro, l’Open Design è diretto verso i consumatori che accettano la sfida di produrre dei beni scavalcando i convenzionali canali di produzione distribuzione. Questo vuol dire che l’Open Design funziona solamente se i “design blueprints” sono disponibili pubblicamente, condivisibili e utilizzabili senza termini di restrizione per poi essere distribuibili digitalmente secondo formati standard (e.g. dxf, dwg). Sopra ogni cosa viene riconosciuta la caratteristica che l’Open Design non può essere né esclusivo nè considerabile “black-
Personaggi. Michel Avital.
Michel Avital è un professore associato di Information Management presso la Business School di Amsterdam. Per Michel, Open Design “significa un accesso aperto a progetti digitali che possano essere adattati a piacere a esigenze e situazioni differenti. Può quindi essere utilizzato dai consumatori per fabbricare prodotti su richiesta, con metodi di produzione off-the-shelf. Il modello su cui si basa l’Open Design mette in discussione la tradizionale catena verticale del valore, formata da relazioni designer-produttore-distributore-consumatore e offre un’alternativa: una realtà aperta con collegamenti diretti tra progettisti e consumatori basata sul web. Il risultato di queste relazioni non gerarchiche è molto fruttuoso attraverso linee guida flessibili e dinamiche su cui creare blueprints che risultano non solo user-centered ma anche user-driven”. http://avital.feb.uva.nl/
129
3. L’Open Culture
boxed”, quindi, deve necessariamente rispecchiare le qualità di un progetto riconfigurabile ed estendibile senza limiti, che possa essere fabbricato su scale diverse e con metodologie direttamente relazionate alla sua distribuzione. La riconfigurabilità e la totale apertura di un progetto guidato dal suo utente finale ribalta i valori tradizionali rinforzando molto le capacità generative ed innovative dei consumatori. Lo sviluppo di queste pratiche appartenenti all’Open Design ha ispirato, come sappiamo, lo sviluppo
di una rete di attrezzature pubbliche nel campo manifatturiero come i Fab Lab e ha preparato il terreno per le “clearinghouse” di raccolta e distribuzione delle informazioni come Ponoko, Shareable e Instructurables. I tre archetipi con cui abbiamo configurato il megatrend dell’Open-X non sono così distinti come appare nella loro descrizione, sono da ritenersi piuttosto come tre aspetti che si articolano come conseguenza di un unico modello di pensiero. L’Open Design, per esempio, non è una mera modalità per riutilizzare e ridistribuire prodotti ma una pratica che si sviluppa sulla condivisione di progetti di conoscenze per uno sviluppo libero.
3.16 I livelli dell’Open Design.
130
Le caratteristiche trattate finora descrivono in modo funzionale come si articolano le pratiche che definiscono il concetto di Openess; se ci concentriamo sull’Open Design rimane un orizzonte molto ampio da esplorare, costituito dalle sue potenzialità e dalle basi strutturali che lo rendono efficace. Open Design operativamente significa : accesso libero a progetti digitalizzati che possono essere adattati secondo esigenze e contesti per poi essere realizzati dai consumatori che si impegnano in un’autoproduzione paragonabile al concetto “ondemand”.
di consumo, gli aspetti legali dell’apertura, la struttura tecnologica, i valori normativi. La complessità di questi argomenti può essere chiarita con una semplice classificazione che raccoglie quattro layer strutturali che sovrapposti fra loro definiscono l’ Open Design:
L’ Open Design riduce considerevolmente la tradizionale catena verticale formata da “progettista produttore - distributore - consumatore” e offre come alternativa una scorciatoia che collega direttamente progettista e consumatore grazie al libero utilizzo del web. Il risultato è una relazione più agile e leggera che non si basa sulla struttura gerarchica e quindi permette un adattamento flessibile del progetto che da “usercentred” diventa “user-driven”. In questo modo l’ Open Design diventa l’oggetto di un discorso che comprende svariate considerazioni come per esempio le specifiche progettuali libere e comprensibili, l’autoproduzione, la collaborazione, i supporti per regolare questa catena corta, il modello
Process layer. Si riferisce ai mezzi di produzione che rendono possibile e vincolano la fabbricazione degli oggetti. Questo livello identifica il processo di fabbricazione che distingue l’Open Design grazie a pratiche riproducibili senza strutture pesanti: non sono necessari stampi, macchinari pesanti ed investimenti ma piuttosto vengono sfruttate tecnologie leggere e strumenti come stampanti 3D, laser o macchine a controllo numerico.
Object layer. Si riferisce ai design blueprints che permettono e vincolano le specifiche del progetto. Questo livello comprende la progettazione e la distribuzione del prodotto Open Design, che risulta quindi configurabile, ampliabile e modificabile a discrezione in accordo con licenze libere depositate pubblicamente on-line.
Practice layer. Si riferisce alle pratiche professionali che consentono e limitano la realizzazione della progettazione. Questo livello comprende l’intera cultura dell’ Open Design,
3. L’Open Culture
cioè la terminologia, le linee guida, gli standard, la maestria, i procedimenti, il codice comportamentale e i valori normativi. Infrastructure layer. Si riferisce alle basi tecniche ed istituzionali nascoste
che compongono le fondamenta da cui la vitalità di questo processo di progettazione trae energia. Questo livello comprende la struttura sottostante all’ Open Design cioè il sistema legale, la struttura del mercato e l’architettura tecnologica che governano le attività dell’ Open Design e la sua futura crescita.
PRACTICE LAYER
Figura 36. I livelli dell’Open Design
Le pratiche di lavoro che permettono e richiedono l’impegno per sviluppare i processi di progettazione. Questo layer comprende la cultura progettuale, intesa come padronanza dei linguaggi, standard professionali, abilità manuale, regole di mercato, codici di condotta, valutazioni pratiche e legislative.
OPEN DESIGN OBJECT LAYER
PROCESS LAYER
Blueprints (disegni tecnici pronti per la produzione) adattabili, configurabili ed estensibili. Normalmente disponibili tramite licenze di accesso libero in archivi pubblici on line.
Gli strumenti “leggeri” di produzione che consentono la produzione di oggetti dai relativi progetti.
INFRASTRUCTURE LAYER L’infrastruttura tecnica e istituzionale che supportano e permettono le pratiche del design con la loro vitalità. Il relativo sistema legale, la struttura del mercato e le pratiche tecniche che governano le attività dell’open design e la sua futura crescita.
131
3. L’Open Culture
3.17 La struttura generativa per la progettazione.
La struttura che governa le attività peculiari dell’ Open Design, il suo modello di business e di sviluppo ha preso forma come conseguenza della realtà che ci circonda, relazionandosi così con i vincoli legislativi, la struttura del mercato e le pratiche di tipo tecnico; questi fattori generalmente influenzano qualsiasi tipo di attività rendendo i suoi obiettivi più o meno possibili, anche in questo caso la struttura generativa cerca di risolvere i conflitti che possono crearsi evolvendosi verso il percorso più congeniale: l’obiettivo prefisso è quello di promuovere correttezza, benessere ed efficienza. Facendo un paragone tra la struttura tradizionale del design e quella dell’Open Design, si può notare facilmente che i vari passaggi affrontati nel secondo percorso favoriscono costantemente la componente creativa, questo risultato ci propone una tendenza ad avere meno vincoli e a favorire la componente innovativa del progetto. Parlando di struttura generativa del design ci si riferisce ai passaggi necessari per sviluppare quel ventaglio di pratiche e interazioni che supportano e incrementano la capacità di generare risultati. Nella figura del progettista queste considerazioni si traducono nell’abilità di una persona o di un gruppo di produrre nuove soluzioni e configurazioni per affrontare il percorso progettuale e comprendere la realtà confrontandosi con il presente stato dell’arte. Da questo punto di vista la capacità generativa della gente è una risorsa chiave per fare innovazione, il processo generativo del design tradizionale tende a fornire un inquadramento troppo rigido delle direttive che rendono possibile lo sfogo di queste capacità. La capacità generativa si riferisce generalmente all’attitudine e alla vocazione di produrre o creare qualcosa, oppure di cogliere una risorsa innovativa. Nel contesto appartenente all’ Open Design la struttura generativa è da intendersi come il contributo per la produzione di qualcosa d’innovativo o la scoperta di una valida alternativa progettuale, in altre parole, le pratiche generative del design si riferiscono ai requisiti e alle considerazioni necessarie per sviluppare quello che abbiamo identificato come “caratteristiche generative” dell’individuo, cioè il relativo codice di leggi, la struttura del mercato e gli accorgimenti tecnici che favoriscono in modo naturale l’abilità delle persone ad innovare. Per inquadrare meglio questa composizione strutturale si possono suggerire quattro specifiche:
132
La suggestione. La struttura generativa ispira la gente a creare qualcosa di un unico. Evoca nuove idee e favorisce la loro traduzione in pratica rispetto ad un nuovo contesto. La struttura può aiutare a creare l’ambiente e le condizioni inclini a queste intuizioni sovrapponendo diverse letture della realtà che non sarebbero comunemente associate a quel contesto. Si viene a creare un sistema di caratteristiche che, dialogando tra loro, rendono possibile l’interpretazione di un oggetto o di una situazione secondo una moltitudine di prospettive che porterà alla scoperta ed allo studio di altrettante configurazioni. Il coinvolgimento. La struttura catalizza l’attenzione dell’individuo affascinandolo e inducendolo a esprimere la sua naturale attitudine a fare esperienza attraverso il divertimento di mettersi in gioco. In questo caso la struttura può aiutare a creare quella sorta di coinvolgimento rispetto alla realtà circostante stimolando la spontaneità cognitiva e la giocosità dell’utilizzatore, incoraggiandolo a esplorare, pensare e sperimentare. Si viene creare un sistema di abilità che vengono messe in gioco spontaneamente per inseguire l’entusiasmo e la curiosità originate da un piacevole senso di sfida. L’adattamento. Caratteristica fondamentale di questo genere di struttura è la totale adattabilità all’eterogeneo ventaglio di combinazioni possibili tra persone diverse, mentalità diverse e rispettive realtà. L’assenza di vincoli conferisce a questo modello una totale libertà d’azione, utile soprattutto nel momento in cui persone con estrazione e capacità differenti si trovano coinvolte, in spazi sconosciuti, ad affrontare problemi inconsueti. La struttura in questo caso può aiutare la creazione delle condizioni necessarie per generare un continuo flusso di idee e di nuove considerazioni grazie ad un adattamento tale da renderle sempre ottimali. Questa caratteristica permette al percorso progettuale di essere declinabile secondo esigenze e contesti differenti; viene favorita l’attitudine a percorrere la via dell’autoproduzione, l’utilizzatore coinvolto si sente libero di personalizzare il prodotto, declinarlo secondo i propri bisogni, adattarlo al proprio contesto e conferirgli una scala relativa ai suoi aspetti funzionali.
3. L’Open Culture
L’apertura. Il carattere aperto della struttura accentua sia una permeabilità verso stimoli esterni, sia una certa trasparenza che promuovono fertilità, co-produzione e scambio di qualsiasi tipo. In questo mondo si generano dei sistemi aperti attraversati da flussi di informazioni che creano scambio, connettività, condivisione e dialogo: tutte forme di interazione che non hanno influenze esterne, per esempio quelle imposte dalle tendenze del mercato. Queste connessioni derivanti da una visione sistemica rendono completamente libero l’accesso alle informazioni, mantengono aperto il dialogo con chi vede degli interessi in questo genere di attività e favoriscono
l’integrazione di continue nuove proposte. In sintesi la struttura generativa dell’Open Design diventa, per necessità, evocativa, intrigante, adattabile e libera. Se le ultime due caratteristiche sono comprensibili a prima vista e indubbiamente appartenenti all’Open Design invece le prime due sono più difficili da identificare, la loro pregnanza influenza proporzionalmente il risultato della progettazione e questa importanza molte volte non è chiara a chi opera nel campo del marketing, legislazione, ingegneria e direzione aziendale, ecco perché risulta del tutto giustificato conferire libertà d’azione rispetto a queste tematiche al campo della progettazione.
3.18 Open Design e modello di business.
L’imponente diffusione dell’Open Design estende le dinamiche della progettazione oltre i consueti confini e produce delle ricadute significative anche in ambito socio-economico, con effetti su scala globale. Questo nuovo modo di vedere le cose offre agli imprenditori e alle compagnie lungimiranti l’opportunità di espandere i mercati esistenti, svilupparne di nuovi e conquistarne parti considerevoli che sono ora in mano a soggetti globalizzati. Sfruttare la propulsione dell’Open Design per evolvere dal punto di vista organizzativo migliorando anche il proprio mercato richiede un radicale cambiamento strategico ed operativo. La stretta relazione tra progettazione e produzione ostacola in qualche modo questo cambiamento mettendo in gioco il rischio che una visione conservatrice sia più comoda dei potenziali vantaggi portati dall’Open Design. Allo stesso modo per le industrie di stampo tradizionale, dove la cultura dominante e il modo di produrre sono stati rivisitati più volte nel corso della loro storia, sarà difficile adottare queste pratiche perché la loro promozione incontrerebbe ostacoli a qualsiasi livello organizzativo. Tra i vari mutamenti l’Open Design prepara anche la strada per un nuovo cambiamento di modello di business identificabile come “from push to pull”. Generalmente un “push business model” è basato su una catena top-down dove una produzione di larga scala viene poi distribuita grazie ad imponenti azioni di marketing generalizzato che ne determinano la richiesta. Al contrario un “pull model business” si basa su una catena bottom-up dove la produzione in scala ridotta di prodotti personalizzati viene distribuita individualmente attraverso azioni di marketing puntuali. Mentre il
modello push si basa su economie di macroscala, il modello pull abbraccia una produzione flessibile e su scala ridotta enfatizzando la personalizzazione. Queste pratiche sono esistite in alcune nicchie di mercato fin dal secolo passato: molti prodotti, dalle scarpe ai mezzi di trasporto, sono progettati con una spiccata personalizzabilità per poi essere realizzati on demand con tecniche su scala ridotta o artigianali. Successivamente alla rivoluzione industriale, il modello push prende piede facilmente perché più conveniente per l’imprenditore che lo adotta al fine di massimizzare i guadagni. Dal punto di vista sociale, la grande disponibilità di prodotti a buon mercato, ha alzato il livello di benessere per la massa, ha favorito l’espansione dei mercati, ma ha anche uniformato la produzione intensiva allontanandola dai bisogni e dalle specifiche richieste degli utilizzatori. Questa prosperità ha quindi messo da parte anche la varietà dei prodotti e la loro personalizzazione, come notoriamente affermava Ford con l’esclamazione “any color as long as it’s black”. L’avvento di Internet, in questo caso, rappresenta una nuova infrastruttura per la comunicazione che rende possibile tra le tante attività anche quella di non essere più legati allo spazio, quindi ad un’offerta di prodotti ben definita, ma a poter navigare ed accedere ad offerte che si trovano lontano da noi, e quindi ad una varietà di prodotti e personalizzazioni senza precedenti. L’estesa varietà di prodotti e la loro possibile personalizzazione di cui disponiamo è strettamente relazionata alla diffusione di Internet, il risultato finale che dà vita all’Open Design è stato raggiunto attraverso tre passaggi: in una prima fase i venditori hanno introdotto
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3. L’Open Culture
Approfondimento. Phoneblok.
Il Phoneblok è il risultato di una vera e propria progettazione per componenti che affronta in modo consapevole diversi punti deboli del nostro attuale modello di produzione: costituito da una base su cui è possibile connettere i vari “blocchi” come dei mattoncini Lego è configurabile dall’utente secondo le proprie esigenze, il quale può anche provvedere personalmente alla sostituzione delle parti che si romperanno durante il suo intero ciclo di vita, che visto così appare decisamente più lungo rispetto a quello di un normale telefonino! Le componenti saranno acquistabili da un BlokStore le cui dinamiche di funzionamento sono molto simili a quelle di un AppStore con la differenza che in questo caso si parla di hardware invece che di software. Per cui se il consumatore ha la passione della fotografia potrà scegliere il blocco della fotocamera più performante rispetto a quello che avrà scelto l’amante della musica, il quale avrà preferito occupare lo spazio disponibile sulla piattaforma del Phoneblok con delle casse maggiorate. Un aspetto molto interessante che cavalcherà il probabile prolificare di produttori di componenti se il mercato recepirà questo prodotto in modo positivo: qualsiasi azienda potrà progettare dei componenti in linea con le proprie produzioni semplicemente rendendole adattabili al Phoneblok proprio come succede attualmente con la realizzazione delle più svariate applicazioni da parte di studi di programmazione.
Personaggi. Andrew Katz.
Andrew Katz ingegnere di software è partner di Moorcrofts LLP a Marlow, nel Regno Unito, ed è specializzato nella consulenza in materia di proprietà intellettuale e altri aspetti del software open source. Per Andrew, “un progetto è considerabile Open se presenta quattro “tipi di libertà”: 1. La libertà di usare il progetto senza vincoli, ammettendo la possibilità di aggiungere ulteriori elementi basati su di esso, per qualsiasi scopo. 2. La libertà di studiare come funziona il progetto e modificarlo a seconda del proprio desiderio. 3. La libertà di ridistribuire copie del progetto in modo da poter aiutare il prossimo. 4. La libertà di distribuire ad altri le copie delle versioni modificate del progetto in modo che tutta la comunità possa fruire dei cambiamenti. L’accesso ai documenti di progetto è una precondizione per queste libertà “. http://www.moorcrofts.com
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il consumatore a sviluppare più consapevolezza nelle proprie scelte fornendogli più informazioni per dimostrare che i loro prodotti sono i migliori e al passo coi tempi; successivamente, in una seconda fase, i produttori hanno favorito lo sviluppo della capacità di modificare i prodotti base secondo specifiche esigenze e grazie a configurazioni personalizzate; per finire, in questa terza fase in via di sviluppo, i progettisti hanno reso possibile per il consumatore sviluppare le conoscenze necessarie per utilizzare blueprints di progetto e mettere in piedi un’autoproduzione. Questo terzo passaggio rende possibile un completo controllo delle caratteristiche del prodotto finale e del suo processo di produzione. In definitiva questa evoluzione ha provocato un avvicinamento sempre di più del consumatore al progettista conferendogli maggior consapevolezza per le scelte, maggior controllo sulla produzione e maggior potere decisionale. L’Open Design ancora nascente può funzionare da trampolino di lancio, per compiere dei cambiamenti radicali nelle pratiche quotidiane che ci portano a consumare qualcosa realizzato secondo una produzione di massa. Rappresenta un nuovo modo di progettare che richiede un nuovo modo di produrre comunemente riconosciuto con la stampa 3D. Questi meccanismi conferiscono al DIY nuovi significati che vanno al di là del risparmio o del piacere di farsi le cose. Il potere decisionale nelle mani dei consumatori aumenta considerevolmente grazie all’opportunità di una personalizzazione totale, la possibilità di scelta a proposito di caratteristiche tecniche, materiali e qualsiasi opzione. Questo permette una continua innovazione che entra in contatto reale con la caratterizzazione territoriale, ma anche una distribuzione più equa di queste possibilità, valide per un paese sviluppato come per uno in via di sviluppo. Quando questa chiara alternativa avrà raggiunto proporzioni tali da rendere critica la sua massa allora queste prospettive differenti in campo socio-economico si faranno sentire, ma questo non sarà una minaccia per il sostentamento della figura del progettista, anzi, al contrario, rappresenterà un’opportunità perché aprirà nuovi punti di vista che faranno apprezzare meglio il suo ruolo nella società, il suo compito sarà ancora più intenso. La richiesta più immediata è quella di definire maggiormente le basi e le dinamiche dell’infrastruttura a supporto. Open design is generative. It is conducive to continuous re-design, adaption, refinement and extension. Open design is a potent elixir that mitigates stagnation and awakens generative action. 109
3. L’Open Culture
3.19 Autori e proprietari.
Stiamo raggiungendo la fine di un’eccezionale esperimento storico. La stampa, iniziata con le tecniche di Gutenberg e trasformata da Heidelberg in un processo industriale, poi la comunicazione di massa attraverso la radio, i dischi in vinile, i CD rom, il cinema e la televisione sono tutte scoperte che vanno a formare lo scenario tecnologico di quest’esperimento, sono o sono stati, dei media basati sul principio della distribuzione “da uno a tanti”. Per comprendere come questo esperimento ha preso forma, e come sta raggiungendo la sua fine, è necessario capire alcune dinamiche che stanno alla base del business di queste attività, ma anche come la legge ha consentito loro di raggiungere e mantenere questa posizione. Il modello di comunicazione di massa da uno a tanti distorce la nostra percezione di creatività. 110 Una caratteristiche chiave di questo modello è il ruolo del “gatekeeper”: l’ente che decide cosa il pubblico deve leggere, vedere o ascoltare. I ruoli di produttore e consumatore sono decisamente ridimensionati : nel caso in cui il pubblico cresce abituato all’idea di un consumo passivo, la creatività viene messa da parte a poco a poco, oltre ad essere marginalizzata, la cosa peggiore è che può essere coperta dai diritti d’autore. La creatività è stata percepita come rigogliosa solo attraverso il patrocinio di studi cinematografici, compagnie di registrazione o canali TV. La tecnologia industriale che sta dietro la stampa, il broadcasting e la registrazione di supporti musicali è molto dispendiosa. La branca di leggi che si rifà ai diritti d’autore garantisce un monopolio che abilita i distributori dei media ad investire capitale necessario nelle infrastrutture richieste per il confezionamento e la distribuzione delle informazioni. Questi sono i giri d’affari che crescono sulla base dei monopoli e riescono ad indirizzare il pubblico verso il ruolo del consumo per rispondere naturalmente all’offerta prodotta da queste società. Fortunatamente l’approccio originale alla creatività non si è mai estinto, nonostante il modello dominante “produttore/consumatore” e continua a essere presente sotto qualsiasi forma. Internet è stato considerato un elemento di disturbo sotto questo aspetto: la natura sociale e di condivisione del Web 2.0 ha reso possibile la riscoperta della naturale peculiarità umana di cimentarsi nella creatività. Il terreno sociale di Internet è dominato da iniziative individuali messe in campo con le proprie capacità che non hanno nessun
scopo di guadagno. Le compagnie che operano nel campo dei media hanno inizialmente guardato con sospetto una sottrazione di controllo sull’attività dei loro staff, considerando una perdita di tempo tutte le pratiche sociali che si riferivano a Internet. Nella peggior ipotesi di scenario le aziende videro il social networking della rete come un potenziale canale attraverso cui gli impiegati potevano disperdere le loro informazioni, oltre tutto protette da proprietà intellettuale, non riuscendo a mettere a fuoco che l’interazione sociale attraverso la rete poteva tradursi in grandi vantaggi dal punto di vista della creatività. Quando hanno visto questi vantaggi accumularsi nelle mani dei loro concorrenti, tuttavia, hanno cercato di intraprendere un modello di business più aperto. Rispolverare questo modello sociale per produrre creatività non può essere una cosa immediata. Internet ha radicalmente abbassato le barriere per mettersi in gioco e partecipare ad azioni collaborative, di conseguenza questo ha notevolmente aumentato il numero potenziale di contatti che un soggetto può raggiungere attraverso una collaborazione. Questo meccanismo di creatività così potente nasce però con un freno che inibisce le sue vere potenzialità: l’effetto delle leggi sul copyright. Questo tipo di legislazione nell’era del broadcast fornisce più appoggio ai gatekeepers invece di promuovere il modello sociale collaborativo. Le sue ricadute sul mondo digitale coinvolgono ogni forma di interazione in quanto può essere sempre chiamato in causa un copyright di qualsiasi tipo. Mentre le leggi sui diritti d’autore non avevano nulla da dire se qualcuno prestava un libro ad un proprio amico, nell’era digitale, prestare una copia di un file da leggere nel proprio e-book reader o computer comporta una forma di copyright che può potenzialmente violare la legge. I gatekeepers hanno utilizzato questo effetto involontario delle leggi riguardanti i diritti d’autore a proprio vantaggio giocando contro i soggetti privati che non avevano scopo di lucro. A questo punto, chi possedeva questi diritti, timoroso di perdere il proprio fiorente mercato di stampo monopolistico, ha richiesto di estendere i propri diritti persuadendo gli organismi legislativi a produrre nuove tipologie di proprietà intellettuale, molto più estese ed articolate rispetto a alle intenzioni originarie. Per contestualizzare meglio il problema è necessario fare un passo indietro e rispondere alla questione fondamentale: a cosa serve un diritto d’autore?
110. Katz, 2011
109. Avital, 2011
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3. L’Open Culture
La risposta proviene da uno dei più preparati scrittori su questo tema, Thomas Jefferson, che mette bene a fuoco quale sia la natura della conoscenza: 111. Jefferson, XVIII secolo
“If nature has made any one thing less susceptible than all others of exclusive property, it is the action of the thinking power called an idea, which an individual may exclusively possess as long as he keeps it to himself; but the moment it is divulged, it forces itself into the possession of every one, and the receiver cannot dispossess himself of it. Its peculiar character, too, is that no one possesses the less, because every other possesses the whole of it. He who receives an idea from me, receives instruction himself without lessening mine; as he who lights his taper at mine, receives light without darkening me. That ideas should freely spread from one to another over the globe, for the moral and mutual instruction of man, and improvement of his condition, seems to have been peculiarly and benevolently designed by nature, when she made them, like fire, expansible over all space, without lessening their density in any point, and like the air in which we breathe, move, and have our physical being, incapable of confinement or exclusive appropriation. Inventions then cannot, in nature, be a subject of property.” 111 Jefferson ammette che sia congeniale dare alla gente creativa un limitato diritto di controllo sull’esclusività delle proprie creazioni. Il monopolio rispecchia di per sé un concetto negativo, ma nonostante ciò, un monopolio di controllo delle forme di copyright risulta il modo più conveniente per garantire ai creatori di qualcosa una remunerazione per il proprio lavoro. Una volta che un monopolio è scaduto però l’idea potrebbe diventare disponibile liberamente ed entrare a far parte di un patrimonio culturale accessibile per chiunque. Questo monopolio naturalmente include i diritti d’autore, e a questo punto, il meccanismo che definisce tutto ciò dovrebbe prevedere un modo per allentare le restrizioni e raggiungere quello scopo. Questo atteggiamento è stato ripetutamente ignorato, lo scopo di una protezione è cresciuto costantemente
dagli ultimi tre secoli, così da estendersi, per esempio in Europa, a settant’anni dopo la morte di un autore. Il materiale che non è soggetto alla proprietà intellettuale è considerato di “dominio pubblico”. L’opinione che il dominio pubblico sia un bene pubblico diventa sempre più relativa: nello stesso modo in cui un terreno pubblico è considerato un’area dove chiunque può portare a passeggio il proprio animale, il dominio pubblico può essere descritto come un sapere comune, da cui chiunque può attingere prendendo come esempio le creazioni altrui. Il pubblico dominio ha una differenza cruciale rispetto ad un prato nel mondo tangibile: quest’ultimo può essere danneggiato e consumato se utilizzato da tutti in modo indiscriminato, quindi, secondo questo atteggiamento, il suo utilizzo diventa proibito per tutti; per contro però è impossibile consumare la conoscenza e le idee. Il paradosso sta quindi nel fatto che, se da un lato Internet rende più facile mettere in comune idee e conoscenza, dall’altro il sistema legislativo e i grandi proprietari di diritti cercano di rendere più difficile questo passaggio. Questo si verifica dal momento in cui la durata della proprietà intellettuale è costantemente estesa (pensiamo ad esempio quando il primo film di Mickey Mouse viene presentato al pubblico) al punto di diventare equivalente a quella di un brevetto per la genetica. Di conseguenza, sempre di più la gente comincia ad essere consapevole del valore delle idee provenienti dal basso e prova a proteggerle. Stiamo gradualmente realizzando che il monopolio conferito da questo sistema di leggi sulla proprietà intellettuale non è una montagna insormontabile e molto spesso la gente riesce a trovare dei validi escamotage per raggirare il pagamento di fronte all’uso di creazioni che in fin dei conti sente come proprie. Una strada percorsa con grande successo in questo caso può essere quella dei software Open Source: la Linux Fundation dichiara che il valore dei software liberi nel 2011 ammonta a 50 miliardi di Dollari statunitensi. Con questo esempio di fronte agli occhi l’applicazione delle dinamiche Open Source è stata considerata anche in altri contesti!
Approfondimento. Licenze Creative Commons.
Le Creative Commons sono alcune licenze di diritto d’autore redatte e messe a disposizione del pubblico a partire dal 16 dicembre 2002 dalla Creative Commons (CC), un ente non-profit statunitense fondato nel 2001. Queste licenze si ispirano al modello copyleft già diffuso negli anni precedenti in ambito informatico e possono essere applicate a tutti i tipi di opere dell’ingegno.
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Queste licenze, in sostanza, rappresentano una via di mezzo tra copyright completo (full-copyright) e pubblico dominio (public domain): da una parte la protezione totale realizzata dal modello all rights reserved (“tutti i diritti riservati”) e dall’altra l’assenza totale di diritti (no rights reserved). La filosofia su cui si fonda lo strumento giuridico delle licenze CC si basa sul motto some rights reserved (“alcuni diritti riservati”): è l’autore di un’opera che decide quali diritti riservarsi e quali concedere liberamente.
3. L’Open Culture
3.20 Le licenze Creative Commons.
Uno dei modelli open source più promettente è il movimento Creative Commons fondato nel 2001: consiste in una serie di licenze ispirate a ciò che riportavano le licenze GNU/GPL, ma con dei concetti da intendersi estesi all’uso di qualsiasi media, includendo musica, immagini, letteratura e film. Queste licenze sono state pensate per essere facilmente comprensibili da tutti e in maniera modulare, in modo che i possessori di qualche diritto potessero scegliere tra diverse opzioni. L’opzione attribution richiede che chiunque faccia uso di un lavoro altrui dichiari chiaramente chi è l’autore; l’opzione share alike rispecchia molto la licenza GPL, in quanto se la licenza prende in considerazione il lavoro e lo ridistribuisce (con eventuali modifiche o meno), allora la redistribuzione deve presentare la stessa forma della licenza iniziale; l’opzione no derivates significa che il lavoro può essere passato liberamente, anche modificato; l’opzione non-commercial presuppone invece che il lavoro può solo essere utilizzato e distribuito in contesti non commerciali. Attualmente ci sono milioni di lavori diversi disponibili sotto licenza Creative Commons: Flickr è uno di questi, si sviluppa sul Web sfruttando la licenza Creative Commons come opzione di ricerca rendendo così disponibili miliardi di immagini utilizzabili liberamente ma solo all’interno del sito. Siti molto simili invece provvedono a mettere a disposizione musica e letteratura. Creative Commons fornisce anche una struttura legale per progettisti e creativi che vogliono abbracciare questa causa. Quando un progetto si muove verso la sua realizzazione fisica la questione invece diventa meno trasparente. Lo spostamento nel mondo reale e tangibile è un passaggio che può essere difficoltoso e la questione fondamentale può essere descritta in questo modo:
Le libertà sono due: To Share. Libertà di copiare, distribuire o trasmettere l’opera. To Remix. Libertà di riadattare l’opera. Logo Creative commons
- Se nel mondo digitale si hanno a disposizione scelte appropriate questo non si traduce in modo analogo nel mondo reale. - I lavori digitali possono essere creati e testati in modo relativamente semplice e con attrezzature economiche, mentre nella pratica è difficile creare, testare e copiare per cui questo crea una barriera in entrata per la condivisione. - Un prodotto digitale è facilmente trasportabile, per contro, uno reale ha problemi di logistica. Questo crea un ulteriore barriera alla comunicazione necessaria per ottenere il massimo del beneficio dalla rete che si viene creare. La barriera in entrata per alcuni partecipanti ai progetti digitali è decisamente bassa. Un computer economico e un accesso base ad Internet sono tutto ciò che è richiesto per avere una postazione capace di supportare un sistema operativo Linux e poter accedere liberamente ai progetti proposti su siti come sourceforge.com o koders.com. Copiare un progetto digitale risulta relativamente facile, mentre se questo diventa un oggetto fisico la questione cambia radicalmente. Lo sviluppo pratico e tangibile di un progetto richiede investimenti più ingenti soprattutto per l’attrezzatura necessaria, e questo comprende anche tutto l’iter di prototipazione. Gli strumenti elettronici e digitali sono invece paragonabili al mondo dei software per quanto riguarda le barriere in entrata: per esempio la scheda di controllo open source Arduino è acquistabile per circa 20 e grazie ad essa è possibile rendere funzionanti una varietà incredibile di dispositivi che ci permettono di accedere alla fase di prototipazione con barriere in entrata che non sono mai state così basse.
Le condizioni di utilizzo dell’opera sono quattro e a ognuna è associato un simbolo grafico: BY. Attribution. Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano copie dell’opera e dei lavori derivati da questa a patto che vengano mantenute le indicazioni di chi è l’autore NC. Non Commercial. Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano copie dell’opera e dei lavori derivati da questa solo per scopi non commerciali. ND. No Derivative Works. Permette che altri copino, distribuiscano, mostrino ed eseguano soltanto copie identiche dell’opera; non sono ammesse opere derivate SA. Share Alike. Permette che altri distribuiscano lavori derivati dall’opera solo con una licenza identica o compatibile con quella concessa con l’opera originale.
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3. L’Open Culture
3.21 L’ho fatto con le mie mani.
La miglior descrizione che Bre Pettis propone per la propria attività è: “fare cose che fanno altre cose!”. Entrando in profondità nel campo dell’open design per investigare le dinamiche più utili e interessanti a capire meglio quale può essere il contributo sociale di questo movimento, per un cambiamento del nostro modello di consumo, allora è inevitabile imbattersi nelle attività portate a termine da personaggi come questo durante i primi anni di una ricerca del tutto pragmatica e rivolta all’atto pratico in modo visionario e romantico. Bre Pettis è probabilmente solo una delle tante figure che hanno dato un contributo fondamentale per definire delle strade percorribili; appassionato di invenzioni, innovazione e tutto ciò che appartiene ai meccanismi dell’autoproduzione DIY, ha dedicato questi anni della sua attività alla costruzione di “dispositivi per la creatività”. Stimoli provenienti dall’ambito artigianale sono affrontati in chiave contemporanea grazie ad un alto livello di tecnologia ed innovazione, ma forse, l’aspetto più interessante è l’affermazione di un’utilità sociale come fine ultimo di tutto questo, come avviene parlando della compagnia Makerbot, produttrice di robot:
112. Pettis, 2009
“La nostra mission al Makerbot era quella di rendere democratiche, libere e accessibili le pratiche della produzione manifatturiera. Abbiamo realizzato stampanti 3D per offrire un’alternativa al consumismo..” 112 È sorprendente come in maniera del tutto spontanea
Personaggi. Bre Pettis.
La miglior descrizione che Bre Pettis propone per la propria attività è: “fare cose che fanno altre cose!”.Appassionato di invenzione, innovazione e di tutto il mondo del D.I.Y. Pettis costruisce infrastrutture e strumenti per la creatività. È uno tra i fondatori di Makerbot, società che produce veramente “robot per fare cose”. Inoltre ha contribuito a fondare NYCResistor, collettivo di hacker a Brooklyn, e ha co-fondato il sito web per la condivisione del progetto Thingiverse.com. Oltre ad essere un conduttore televisivo e produttore di video podcast, ha creato nuovi media per Etsy.com, è stato un insegnante, artista e burattinaio. Bre dice: “Quando disegno qualcosa, lo condivido in modo che altri possano modificarlo, sfruttarlo e usarlo a loro discrezione. Ecco cosa significa per me Open Design.” www.brepettis.com
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l’aggregazione di persone provenienti da strade del tutto differenti possa dare risultati grandiosi attraverso la creatività: ciò che è accaduto, a partire dal 2007, nella particolare esperienza della creazione di NYCResistor, un poliedrico spazio definito come “hackerspace where we could make anything together” dove Pettis ed alcuni membri della comunità hacker newyorkese hanno iniziato il loro percorso nella messa a punto di particolari stampanti 3D in grado di autoriprodursi: il RepRap project. Da subito l’entusiasmo in quel luogo crebbe costantemente, dopo alcune difficoltà iniziali NYCResistor trovò uno spazio fisico adeguato alla promozione delle proprie attività. Cominciando con nove persone si creò una sorta di club per “hardware hakers” il cui motto era “Learn, share and make things”, come possiamo ancora leggere bene in vista sul loro sito web. Fin dal principio scelsero di mettere a disposizione i propri strumenti, condividere la propria esperienza e anche fare una colletta di 20.000$ per comprare una macchina per il taglio laser. Ciò che accomunava queste persone era la voglia di fare senza paura di spingere la tecnologia anche quando il suo utilizzo sfiorava l’assurdo. Con questo atteggiamento qualsiasi cosa era possibile, non vi erano freni o censure e da quel momento, per loro, era possibile creare i dispositivi elettronici dei loro sogni. Schede di microcontrollo come Arduino erano facilmente accessibili, blog come “Make magazine” o “Hackaday” si dimostravano fantastiche risorse per questa nuova declinazione dell’artigianato e quindi il terreno era pronto: qualsiasi persona comune si trovava nella posizione di essere in grado di creare qualsiasi cosa grazie alla condivisione in questa comunità crescente. Nelle 2008, l’anno successivo, nasce “Thingiverse” con lo scopo di dare alla gente uno spazio dove condividere i propri progetti digitali in totale libertà. Se fino ad allora non esisteva una libreria on-line dove condividere i propri progetti digitali o i propri lavori sotto open licences, era arrivato il momento di crearsela; Thinginverse è attualmente una fiorente e prospera comunità dove condividere pratiche DIY di ogni genere. Dopo alcune difficoltà nel far funzionare la stampante 3D RepRap, Pettis e i suoi compagni di avventura si convinsero che creare una stampante di quel genere, economica ed accessibile, era possibile: nel 2009, dopo aver lasciato le proprie attività lavorative, crearono MakerBot Industries, una compagnia per produrre
3. L’Open Culture
stampanti grazie all’utilizzo di semplici strumenti che avevano disposizione, principalmente il vecchio tagliatore laser. Una volta fondata questa attività, le priorità erano leggermente variate: la caratteristica dell’autoreplicbilità era passata in secondo piano, prima di tutto era necessario creare il kit più economico che mai per creare una stampante 3D, in modo che chiunque potesse permetterselo a casa, assemblarlo e metterlo in funzione. La messa a punto di questo kit richiese sforzi intensi perché le risorse a disposizione non erano molte, ma dopo mesi di lavoro e piccoli investimenti esterni i primi prototipi del “MakerBot Cupcake CNC kit” furono pronti. Da quel momento il passo per giungere alla produzione di primi kit da mettere in vendita fu breve, e arrivò subito un grande successo. Gli acquirenti di questi dispositivi erano davvero coraggiosi: le componenti elettroniche venivano vendute non assemblate e, come in un vero e proprio kit, dovevano poi essere saldate tra loro; questa e altre capacità non del tutto scontate erano richieste per assemblare i componenti. Eppure tutti riuscirono ad assemblare la stampante e a farla funzionare. A quel punto anche il supporto di Thinginverse cominciò funzionare a gonfie vele: se prima era solo un ripostiglio per file DXF, con la vendita di kit cominciò ad immagazzinare progetti per stampanti 3D veri e propri, in numeri sempre più elevati. Oltre a tutte queste tappe squisitamente pratiche, l’interesse si sposta anche sull’etica che sta alla base di questa cascata di progetti: la mission di questi ricercatori visionari era quella di liberare l’attività manifatturiera dall’influenza economica con cui bisognava necessariamente fare i conti per produrre qualcosa. Il loro focus era “democratizzare la manifattura”, il risultato da raggiungere era quello di permettere alla gente comune di stampare a casa propria ciò di cui aveva bisogno, senza che andarlo a comprare, come vera e propria alternativa al consumo. In un solo anno e mezzo 2500 persone con MakerBot erano in grado di tradurre in pratica i manufatti della loro immaginazione, ma soprattutto erano di fronte alla scelta se comprare ciò che gli occorreva oppure stamparselo da sé. Ad esempio, se serviva un tavolino da soggiorno, o il componente di qualcosa, come la maniglia di una porta, bastava accedere con facilità alle sito web Thinginverse, scaricare il disegno preferito e stampare; se non si trovava nulla che rispecchiasse i propri gusti e le proprie esigenze era possibile fare delle modifiche a quei progetti oppure creare qualcosa di completamente nuovo. Quest’idea di condividere e rendere possibile la modifica dei progetti o l’adattamento alle proprie
esigenze si è dimostrata una forza incredibile che ha acceso l’entusiasmo di tutte le persone che, privatamente, si sono messe in gioco in questo percorso. Chiaramente per fare questo ci sono state delle difficoltà anche dal punto di vista operativo, come l’accessibilità ai programmi CAD, fino a quel punto non disponibili per tutti, poiché solo recentemente è stato sviluppato openSCAD, il software libero pensato per disegnare oggetti. Come affermato da molti MakerBot operators l’entusiasmo deriva soprattutto dal fatto che si prova un certo senso di orgoglio girando per la propria casa e trovare oggetti autoprodotti, una strana sensazione che non apparteneva più alla nostra vita quotidiana, soprattutto nei contesti urbani. Come afferma Schmarty, uno dei tanti utenti registrati in Thingiverse, il suo livello di autostima aumenta a dismisura anche solo producendo semplici cosette come gli anelli della tenda della doccia: “è una storia che può capitare a chiunque, ti trasferisci in una nuova città e lasci nella vecchia casa la tenda della tua doccia. Bene, non c’è nessun problema, basta scendere per strada e comprarne una nuova nel primo negozio di casalinghi. Ma se purtroppo questo negozio ne è rimasto sprovvisto cosa puoi fare? In realtà questa è la situazione in cui ogni proprietario di una MakerBot desidera trovarsi!” 113
113. Schmarty, 2011
Questo utente ha prodotto da sè gli anelli per la sua tenda con il programma openSCAD e poi ha condiviso il file su Thingiverse. È come se potenzialmente da quel momento nessuno avesse più bisogno di comprare una tenda per la doccia: il telo plastificato può essere recuperato con facilità come anche il bastone di sostegno, ciò che manca sono i ganci, ma basta avere una MakerBot. Quando è stata fatta la prima serie di MakerBot Cupcake CNC le sue misure derivavano direttamente dai vincoli dimensionali che aveva il tagliatore laser condiviso alle MB Industries, queste stampanti potevano produrre cose fino a 100x100x200 mm di grandezza e questo veniva giudicato da alcuni come un grosso limite. Quando un altro utente di Thingiverse, chiamato Skimbal, produsse il modello di una cattedrale modulare composto da dieci diversi componenti, connettibili secondo diverse configurazioni, allora è stato chiaro che questo limite poteva essere superato con facilità perché la chiave della soluzione, ancora una volta, stava nell’ingegno dell’utente e non nella praticità dello strumento. La MakerBot è open source, questo significa che chiunque può scaricare i file DXF leggibili dai tagliatori laser e produrne una, per poi renderla operativa con
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3. L’Open Culture
il software necessario, anche questo libero e gratuito. Questa è una grande potenzialità che molti utenti di Thingiverse hanno saputo cogliere per declinare la stampante secondo le proprie esigenze: sono nati modelli alternativi come quello realizzato da Pax, che non era soddisfatto della sua stampante perché doveva resettare il dispositivo dopo ogni stampa, quindi ha sviluppato una MakerBot Automated Build Platform in grado di stampare in serie. Inoltre essendo una piattaforma open, è possibile scambiare gli strumenti di lavoro con grande facilità. Si può spaziare da strumenti per il disegno, utili nell’attività artistica, a strumenti per decorare le torte oppure per fare musica. Infine l’apertura e la configurabilità della MakerBot può essere sfruttata anche in altri modi, come ci insegna un altro MakerBot Operator che si è trovato alle prese con un topo che rosicchiava i mobili della sua cantina: lanciò un appello su Thingiverse promettendo 25$ a chiunque condividesse il progetto di una trappola per topi funzionante. Nel giro di un giorno poteva contare
su ben otto progetti utili provenienti dalla comunità di Thingiverse. Fino al 2010 la MakerBot fu aggiornata costantemente, dall’autunno di quell’anno la MB Industries lanciò una nuova macchina, la Thing-O-Matic che comprendeva tutti gli updates fatti fino a quel punto e aveva nuove caratteristiche più performanti. La Thing-O-Matic presentava un nuovo movimento del piano di stampa che poteva spostarsi anche lungo l’asse Z durante lo stampaggio, tutte le tolleranze sono diminuite considerevolmente e l’area di stampa ha dimensioni più ampie per consentire la produzione di manufatti più grandi. Nel 2011 la comunità dei MakerBots conta migliaia utenti: ogni giorno e ogni notte in qualche parte del mondo vengono prodotti nuovi disegni autostampabili, e i loro vari problemi possono essere risolti condividendo la creatività di queste persone. Queste nuove prospettive stanno assumendo le dimensioni di una vera e propria rivoluzione.
3.22 Il gap tra hardware e software.
Probabilmente queste iniziative sono emerse perché molte attività pratiche si basano sulla progettazione tramite supporti digitali per cui l’aspetto fisico della produzione rimane l’ultimo anello esecutivo di una catena che si articola prevalentemente in ambito virtuale. Nella società contemporanea possiamo assistere a svariate forme di collaborazione che producono contenuti culturali, conoscenza e nuove informazioni come risultato della somma di altrettante esperienze individuali che si affinano durante il loro sviluppo. Questo processo evolutivo comprende in modo naturale anche l’autoproduzione, semplicemente come una conseguenza alternativa al percorso puramente digitale. Nell’economia delle informazioni in rete, che si sviluppa secondo una rete decentralizzata garantendo un flusso
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continuo di informazioni e conoscenza verso la società, la produttività e la crescita sono sostenute da uno schema che si differenzia fondamentalmente dall’economia delle informazioni industriali per due caratteristiche: primo, una produzione non rivolta al mercato ha una libertà d’azione decisamente più ampia; secondo, una produzione ed una distribuzione radicalmente decentralizzate esplorano ambiti di progettazione più vasti ed eterogenei. Il business, o meglio, i benefici di una produzione paritaria e comunitaria non sono unicamente economici. I successi in questo campo includono indirettamente aspetti come gli effetti positivi dell’apprendimento di nuove pratiche autogestite e di conseguenza il possibile sviluppo di nuove professioni attinenti ai servizi di mantenimento, personalizzazione e consulenza. Ulteriori
3. L’Open Culture
benefici sono quelli rappresentati dal piacere che prova il “prosumer” nel consumo e nella creazione dei propri prodotti; il riconoscimento paritario di questa vocazione riguarda soprattutto la gratificazione personale che difficilmente può essere quantificata in denaro ma ha una ricaduta sul modello di consumo non indifferente, spingendo il prosumer verso l’autoproduzione e, quindi, lontano dal mercato. Dall’anno 2006 è disponibile una recensione periodica che ha l’obiettivo di monitorare i progetti hardware del mondo open source. Questa ricerca è curata da Make Magazine e prende il titolo di “Definitive guide to open source hardware projects”. Qui di seguito vengono riportate quindici tra le compagnie più significative nel 2012: -Adafruit Industries. Creatori di kit elettronici didattici; -Arduino. la scheda programmabile open source; -Beagle Board. Azienda manifatturiera di sviluppo open di schede per computers; -Bug Labs. Conosciuti per il loro Lego-type computer hardware; -Chumby. Osservatori autonomi di contenuti Internet; -Dangerous Prototypes. Hackers olandesi imprenditori nel campo degli strumenti reverse engineering open source; -DIY Drones. Per i droni autopilotati open source; -Evil Mad Scientist Labs. Ideatori di progetti educativi divertenti; -Liquidware. Che fanno gli accessori per Arduino; -Makerbot Industries. La compagnia che sta dietro alle stampanti 3D MakerBot e alla condivisione sulla piattaforma Thingiverse.com; -Maker Shed. Il negozio che produce Make Magazine e a Maker Fair; -Parallax. Didattica nella programmazione e l’interfaccia dei microcontroller; -Seed Studios. Per i derivati cinesi di Arduino; -Solarbotics. Per kit solari, kit robotici e BEAM robotics; -Spark Fun Electronics. Prototipazione di prodotti elettronici. Tutte queste compagnie attualmente mettono sul mercato progetti hardware open source e creano una sorta di comunità attorno questi. Il giro d’affari che queste imprese sviluppano congiuntamente è stimato attorno ai 50 millioni di dollari statunitensi. Se poi prendiamo in considerazione i 200 progetti più solidi su scala globale possiamo ipotizzare che il loro giro d’affari nel 2015 sarà pari a circa 1 miliardo di dollari statunitensi. Questa cifra è dovuta al fatto che negli ultimi anni molti progetti, con le rispettive comunità che vi gravitano attorno, hanno vissuto una crescita quasi esponenziale, com’è accaduto alla RepRap Community.
Un ulteriore database di grande interesse che traccia l’attività del mondo open source rivolto all’ hardware è quello attivo fino al 2010 tramite il sito web OpenInnovation-Projects.org: qui sono presenti oltre 100 progetti la cui stragrande maggioranza riguarda sviluppo di prodotti. In questo caso i progetti fanno leva sullo sviluppo di collaborazione per sfruttare il mercato come forza propulsiva per realizzare progetti; in questi database sono inclusi anche progetti comunitari come Openmoko, Fab@home, OpenEEG, One Laptop Per Child a sfondo sociale oppure Microkopter, RepRap. I referenti del sito web utilizzano il database per studi statistici con lo scopo di identificare somiglianze e differenze tra i vari progetti, un’osservazione interessante derivata da questa ricerca sottolinea come i progetti di maggior successo hanno trattato lo sviluppo di oggetti in maniera del tutto simile allo sviluppo di software: il progetto e i relativi disegni possono essere condivisi come il codice sorgente dell’oggetto fisico, in questo modo chiaramente se cambiamo il codice decliniamo il progetto secondo altre esigenze. In ogni caso le peculiarità appartenenti al modello progettuale open source sono normalmente veicolate tramite componenti o macrocomponenti, piuttosto che a livello di prodotto interno, probabilmente questo si verifica perché così facendo è più facile assecondare le differenze significative tra software e hardware: la replicabilità, che riguardo ai componenti, operando su scala più ridotta, risulta facilitata; l’accessibilità, che soprattutto dal punto di vista della comprensione può essere più immediata se riguarda componenti con funzioni isolate; la trasparenza, in quanto i componenti, o la loro organizzazione in macrocomponenti, rivelano in modo più immediato la loro funzione senza richiedere specializzazioni troppo spinte per evitare l’effetto “Black Box”. La conclusione finale di queste ricerche è che risulta impossibile copiare ed applicare le stesse identiche pratiche dello sviluppo software al mondo reale e tangibile dell’open design, piuttosto, ciò che si va a differenziare deve sfruttare le opportunità offerte dall’ambito materiale del design. Oltre a questo tipo di proposte, focalizzate piuttosto su progetti di singoli prodotti, compaiono anche iniziative che promuovono la “peer production” comunitaria in senso lato, soprattutto condividendo progetti e incoraggiando la gente ad autoprodurre. Normalmente queste si propongono come grandi contenitori per la condivisione come Maker Faire USA, Make Magazine o Craft Magazine. Altre ancora sono focalizzate verso l’obiettivo di facilitare condivisione, distribuzione e promozione come Ponoko, Shapeways o Thingiverse, oppure hanno ambizioni sociali e propongono seriamente progetti di sviluppo come Open Source Ecology.
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3. L’Open Culture
3.23 Il Fabbing.
Un ulteriore aspetto degno di nota è quello proposto dalle attività puramente inerenti al “Fabbing”, abbreviazione del termine fabrication. In questo caso le iniziative vengono promosse attraverso veri e propri laboratori o workshop dove è possibile condividere attrezzature e strumenti dai costi non elevati (come stampanti 3D, macchine per taglio laser, frese, ecc) per produrre oggetti bi o tri dimensionali utilizzando disegni digitali e software open source. Un esempio è quello di 100k-Garage che attraverso l’organizzazione di workshop, presso una serie di negozi “della porta accanto” organizzati in un network, produce i progetti dei propri users in cambio di una quota per poi condividerli o venderli. Oppure TechShop, una serie di workshop che hanno l’obiettivo di promuovere l’autoproduzione ed organizzare veri e propri corsi su come utilizzare le attrezzature produttive disponibili, condividere progetti ed entrare nel mondo del fabbing. Questo tipo di attività può sembrare secondaria ma invece gode di un aspetto molto importante: in queste situazioni vengono coinvolti oltre ai privati anche quei professionisti che accedono ai workshop per avere la possibilità di prototipare progetti a basso costo, così facendo si assiste ad una vera e propria contaminazione tra gli ambiti da cui provengono i rispettivi soggetti. Gli Hakerspace sono un altro luogo d’incontro dove la peer production prende forma, definiti come “spazio fisico operativo e comunitario dove la gente può fare incontri e lavorare collaborando ai propri progetti”; in realtà emergono da movimenti di controcultura e consistono in luoghi dove è possibile imparare nozioni tecnologiche e scientifiche al di fuori dei consueti programmi scolastici. Normalmente le attrezzature disponibili sono collettive e questi spazi si autofinanziano attraverso quote di iscrizione ai corsi, donazioni e contributi associativi. Le attività promosse ruotano attorno all’uso del computer, della tecnologia digitale e dell’electronic-art. Parlando di Hakerspace ci troviamo di fronte ad un’organizzazione a rete per eccellenza che ricopre l’intero panorama globale coinvolgendo anche soggetti normalmente definiti come “dormienti” che si attivano per contribuire solo a particolari progetti. Recentemente questo tipo di collaborazione prende forma attraverso le “hackathons”: maratone di condivisione degli sforzi per un obiettivo comune. I Fab Lab, abbreviazione del termine fabrication laboratory, sono un’altra iniziativa in continua crescita che coinvolge laboratori sull’intera scala globale.
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Rispetto ai precedenti hanno un’organizzazione più strutturata in quanto derivanti da un corso del MIT intitolato “How To Make (almost) Anything”. Sebbene non ci sia una procedura ben definita per diventare un Fab Lab la loro attività è costantemente monitorata dal MIT che provvede a mantenere aggiornata una lista di tutti i Fab Lab operativi al mondo per facilitarne il contatto e lo scambio. Le attività proposte si basano ovviamente sulla collaborazione e sulla condivisione, ma più regolare e sistematica rispetto agli Hackerspace grazie ad un servizio costante di video conferenze quotidiane coordinate dal MIT. Questo coinvolgimento costante del MIT permette un’osservazione continua delle attività e una presenza regolare all’interno dei progetti che poi possono essere presi in considerazione in ambito accademico tramite delle pubblicazioni oppure tramite la realizzazione a cura degli studenti. Tra le attività proposte in questo caso molte si articolano in ambito sociale coinvolgendo paesi in via di sviluppo, come avviene in India dove sono state sviluppate schede di controllo per ottimizzare l’attività della produzione elettrica oppure dispositivi per monitorare la qualità del latte alla produzione; altro esempio sono invece i progetti sviluppati in Costarica in ambito agricolo, educativo e medico. Tutti questi casi rappresentano vari aspetti di un’organizzazione a sistema di attività produttive non finalizzate al mercato e radicalmente decentralizzate. È possibile però individuare un mercato che ha preso forma attorno all’open design sviluppandosi al di sotto delle normali condizioni di vendita. Evidentemente queste pratiche creano prodotti facilmente commercializzabili forse perché gli conferiscono un certo fascino dovuto alla loro natura. Basti pensare alle grandi potenzialità, già ampiamente sfruttate, da componenti hardware come Arduino o da piattaforme produttive come MakerBot che svolgono un ruolo di catalizzatori di innovazione. Con un prezzo irrisorio sono disponibili per chiunque e aprono la strada allo sviluppo di un infinito ventaglio di possibilità progettuali: facilmente compatibile e assemblabile manualmente, una scheda di controllo come Arduino può diventare il cuore pulsante di progetti innovativi dalle più svariate declinazioni. In tal senso questo tipo di componenti funzionano da piattaforma di sviluppo open source, la loro struttura e il loro funzionamento sono così immediati che possono supportare interfacce e componenti con grande elasticità. Sotto la veste dell’autoproduzione e
3. L’Open Culture
dell’autoassemblaggio i dispositivi open source rappresentano la scelta di molti maker che prende forma attraverso una produzione completamente decentralizzata, altamente personalizzabile e facilmente riprogrammabile grazie alla spiccata capacità di adattarsi al dialogo con i nuovi componenti per svolgere nuove funzioni. Sotto questo punto di vista anche i centri di attività come 100k-Garages svolgono una funzione di incubatore
di innovazione: in questo caso invece di mettere a disposizione una componente che funzioni da base su cui si articola un intero prodotto, viene reso alla portata di tutti il processo produttivo del prodotto stesso. Per processo produttivo si intende tutto l’insieme di pratiche che il maker deve affinare per arrivare ad un risultato tangibile. TechShops, Hackerspaces e Fab Lab provvedono così a fornire la struttura pratica, che contiene anche la Figura 37. L’universo Fabbing può essere descritto su due dimensioni: asse X riguardo all’atteggiamento produttivo e asse Y riguardo alla tangibilità del prodotto
OPEN SOURCE HARDWARE
SHARING PLATFORM
HACKER SPACES
TECH SHOPS
FAB LAB
RIGENERATIVO
RIPRODUTTIVO
PROGETTO
100K GARAGES
INFRASTRUTTURA
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3. L’Open Culture
conoscenza teorica, per promuovere le dinamiche in questione. La loro laboriosità getta anche le basi per un collegamento con l’ambito commerciale, l’attività produttiva, le relazioni che vengono a crearsi grazie ad essa e i risultanti prodotti possono essere potenzialmente “vendibili” a differenza della produzione decentralizzata dei maker privati. Ci troviamo di fronte ad una forma di conflitto di interessi che può essere gestito diversamente a seconda dell’apertura dell’organizzazione in questione. Se un Hackerspace per sua natura non può confrontarsi con uno scopo commerciale coinvolgendo individui che svolgono attività spesso antagoniste nei confronti del panorama economico, invece i Fab Labs, se interessati, possono gestire queste dinamiche. Un Fab Lab può incubare al proprio interno la sfera economica senza rinnegare il proprio impegno: mantenendo intatta la sua struttura accessibile e aperta a chiunque, promuovendo attività didattiche rivolte alle dinamiche open source, condividendo i propri risultati con qualsiasi individuo interessato senza mettere nessuna restrizione sulle loro proprietà intellettuali può comunque favorire la nascita di attività di business che possono crescere dietro questi laboratori commercializzando alcuni risultati per poi ricambiare finanziando le loro spese e contribuendo al successo tramite la promozione dei risultati stessi. In questo caso i Fab Labs incorporano L’Hackerspace New York City Resistor
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al loro interno un interessante mix di caratteristiche che possono sembrare contraddittorie ad una prima analisi, ma invece, se debitamente controllate, possono ampliare gli orizzonti di questi centri senza snaturarne il carattere. L’universo del Fabbing può essere rappresentato in un grafico secondo due dimensioni: la prima (sull’asse delle ascisse) che caratterizza se l’iniziativa per sua natura ha un carattere più riproduttivo o più rigenerativo, la seconda (sull’asse delle ordinate) che esprime se questa è più orientata ad avere un approccio che si sviluppa come infrastruttura oppure come percorso progettuale.
3. L’Open Culture
3.24 Come librerie.
L’hardware open source, che si tratti di componenti o di equipment per la produzione, non rappresenta solamente il risultato tecnico di un processo produttivo, anzi, dal punto di vista progettuale mette in campo tre caratteristiche fondamentali: - sottolinea prima di tutto l’efficacia di una metodologia con approccio per componenti; - totalmente trasparente si differenzia in maniera decisa dalla struttura opaca ed impenetrabile dei dispositivi black boxes realizzati per consuetudine dal nostro modello produttivo; - sottopone l’utilizzatore finale ad un investimento culturale che lo fa diventare protagonista in prima persona del progetto open source. L’hardware open source può essere anche paragonato metaforicamente ad un libro: privo di significato per chi non vuole leggerlo, se aperto può rivelare una grande quantità di informazioni che possono produrre come ricaduta infinite possibilità di ragionamenti. Prendendo così dimestichezza con il linguaggio del progetto open source si accede ad un orizzonte progettuale e comportamentale caratterizzato da obiettivi sempre nuovi ed in costante evoluzione. Se l’ hardware open source può essere paragonato ad un libro, allora TechShops, Hackerspaces e Fab Labs possono essere le sue librerie: queste rappresentano un luogo accessibile dove si può trovare della conoscenza codificata, sotto forma di libri; nello stesso modo questi laboratori danno la possibilità a chiunque di produrre i propri prodotti, quindi garantiscono una libera accessibilità ad una conoscenza codificata sotto forma di progetto. Questi nuovi laboratori rappresentano il luogo dove è possibile avere accesso agli strumenti, ai metodi e alle esperienze della peer production. Non è un caso che queste peculiarità dell’open design possono anche essere viste come opportunità in contrasto alle problematiche che il nostro modello comportamentale ci propone quotidianamente. La filosofia che sta alla base del movimento Open Source presenta un valore composto solo in minima parte dalle piccole opportunità economiche, spesso solo sufficienti alla sopravvivenza di queste pratiche, e dalle sensazioni di orgoglio e piacere provate nell’autoprodurre con le proprie mani ciò di cui si ha bisogno; il vero valore che questo movimento sta mettendo nelle nostre mani è la possibilità di accedere ad un ampio panorama di alternative comportamentali in contrasto con il nostro modello attuale: tutto questo rappresenta un importante e concreta leva per il cambiamento del nostro modello
di consumo, di produzione e quindi, di conseguenza, di vita. “Important to see that these efforts mark the emergence of a new mode of production, one that was mostly unavailable to people in either the physical economy (…) or in the industrial information economy.” 114 In accordo con Yochai Benkler le iniziative proposte dalla commons-based peer production danno alla gente la possibilità di avere più controllo sulle attività produttive grazie alle caratteristiche di autogestione e a quelle di orientamento etico. La varietà di queste iniziative offre alla gente una serie di possibilità di scelta che riesce in ogni caso a liberare dal modello di consumo “predetermined by a lobby of the current winners in the economic system of the previous century”. 115
114. Benkler, 2011
115. Benkler, 2011
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3. L’Open Culture
3.25 Progettista e soggetto: coinvolgimento paritario.
Un’altra leva per il cambiamento può essere l’importante ambizione dell’open design di abbattere le barriere tra progettista e utilizzatore finale, creando una condivisione ed una comunicazione a tutto tondo. Le dinamiche messe in campo da questa rete comunitaria fanno coincidere la figura del progettista con quella dell’utilizzatore attraverso l’autoproduzione. Questa evoluzione vede il passaggio da un approccio focalizzato all’utilizzatore, dove questo non ricopre nessun ruolo particolarmente attivo, ad uno suo coinvolgimento paritario. Il ruolo del progettista, del
cliente e dell’utente si fondono insieme creando una nuova area la cui attività rispecchia essenzialmente lo sviluppo del prodotto.
Modello tradizionale: ruoli radicalmente separati.
Nuovo modello: ruoli convergenti verso l’utente finale.
Il tradizionale punto di vista del design identifica tre ruoli: l’utente, che compra e utilizza il prodotto vivendo a contatto con questo; il progettista, che concepisce il prodotto; il cliente, inteso come tale per il progettista e che quindi produce e distribuisce il prodotto.
La nuova visione della co-creazione prevede un’interazione e una fusione dei tre ruoli che si scambiano a seconda dell’attività: alcuni compiti tradizionali lasciano il posto a nuove attività oppure a nuove contaminazioni.
Il ruolo di creativo ricoperto tradizionalmente dal progettista e quello ricettivo del consumatore acritico e passivo possono essere superati in diversi modi: - Uno può essere quello del coinvolgimento degli utilizzatori i quali, riuniti in un gruppo, vengono resi partecipi per dare il loro contributo a trovare soluzioni
Figura 38. Modello tradizionale con ruoli separati
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BRIEF
DENARO
PROGETTO
PRODOTTO
3. L’Open Culture
progettuali e nuovi metodi di sviluppo prodotto. Questa strada rappresenta una chiara sfida per questa nuova configurazione di ruoli e può essere efficace nel caso in cui si progetti per quella porzione comunitaria che comprende il gruppo di utilizzatori coinvolti. - Un altro approccio può essere quello di coinvolgere gli utilizzatori come se fossero esperti nel campo della loro esperienza, quindi con una ricerca che contestualizza prima di tutto il loro contributo. Questi utilizzatori vengono a supportare la progettazione in modo diretto, attraverso la loro organizzazione a fianco al team di progetto. Nelle pratiche commerciali non è una novità usare questi gruppi campione per testare usabilità e altre caratteristiche del prodotto, sfruttando la loro consultazione per individuare nuove strategie di
marketing. È importante a questo punto definire la distinzione tra “co-creation” e “co-design”: il primo indica una collaborazione per uno sforzo creativo, dimensionato su grande o piccola scala ma sempre caratterizzato territorialmente; il secondo comprende il primo e si articola per tutto il processo di progettazione attraverso pratiche collaborative e di condivisione di ogni step. La nostra attenzione si concentra sullo studio del contesto, un aspetto specifico del co-design attraverso il quale si approfondiscono le osservazioni sugli utenti finali grazie a specifici strumenti. Di solito l’ideazione e l’utilizzo di questi strumenti sono affidati a professionisti con competenze nel campo della progettazione e della ricerca.
Figura 39. Nuovo modello della co-creazione INFORMATORE
ESPERTO SOGGETTO CONSAPEVOLE
CO-DESIGNER
TESTER
ESPERTO CO-USER
CO-USER RICERCATORE
PRODUTTORE FACILITATORE
CO-DESIGNER
COORDINATORE PROCESSO IMPRENDITORE
META-DESIGNER
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3. L’Open Culture
3.26 Il controllo del mercato.
È normale che molte persone, dopo essere entrate in contatto con il mondo dei software Open Source anche solo superficialmente, si chiedano se i diritti di proprietà intellettuale, come copyrights o brevetti, siano veramente utili in qualche modo oppure servano solo a privatizzare poco alla volta la maggior parte della conoscenza e della creatività pubblica che le nostre comunità hanno sviluppato e coltivato per secoli. Pensiamo ad esempio ad episodi come le proteste dei coltivatori indiani negli anni ‘90, forse tra le prime in cui una classe sociale come quella dei contadini affronta con consapevolezza il lecito dubbio se qualche cosa di veramente vantaggioso fosse stato proposto loro quando multinazionali come Monsanto chiesero di recuperare i semi che utilizzavano da generazioni per modificarli migliorandone la resa, e questo piccolo scambio avrebbe poi reso queste compagnie le proprietarie della nuova conoscenza. Osservando tutto questo con oggettività, il dubbio non può che essere lo stesso che hanno avuto i contadini riguardo alla convenienza della proposta, ma piuttosto, questo significa che una cultura materiale sedimentata in secoli di storia può essere cancellata nel breve istante di una firma su un contratto, e non solo, questa conoscenza e la possibilità di metterla in pratica migrerebbe da una moltitudine di mani sporche di sudore in quelle di un ristretto gruppo di potenti che di quel sudore non ha mai neanche sentito l’odore. Quindi, cosa sta esattamente modificando il concetto di proprietà intellettuale e i diritti che ne derivano? Cosa sta privatizzando la conoscenza e la creatività su una scala così ampia che non ci sono precedenti? Se questa interpretazione fosse esatta come mai non ci rendiamo conto di cosa sta accadendo? Durante gli anni 90, molta gente ha iniziato a percepire come scomodo l’attuale sistema di copyright, questo è parzialmente dovuto alle opportunità offerte dal mondo digitale e dalla rete. Concetti come Open Source, free culture e Creative Commons hanno acquistato popolarità e con le loro relative pratiche hanno aperto nuovi orizzonti senza però contrastare il nostro modello attuale, semplicemente hanno indicato delle buone alternative. È chiaro che il sistema attuale per difendere i diritti di proprietà intellettuale gioca a favore dei potenti e delle grandi stelle, mettendo in piedi un processo non molto democratico che complica la nascita di iniziative da zero. Ma cosa succederebbe se abbandonassimo completa-
148
mente il concetto di copyright e tutte le leggi che gli gravitano attorno? Sarebbe possibile strutturare un mercato dove questo concetto diventerebbe inutile? E cosa vorremmo ottenere da questo nuovo modello culturale? Le ricadute di un’iniziativa relativamente semplice come questa sarebbero decisamente articolate e potrebbero essere prese in considerazione secondo quattro aspetti: - potremmo ottenere che molti più progettisti siano in grado di guadagnare in modo ragionevole con i propri lavori. - le risorse per la produzione, distribuzione e promozione possono avere numerosi proprietari, e di conseguenza il loro accesso diventerebbe più libero. - un archivio davvero molto vasto di conoscenza e creatività sarebbe di dominio pubblico, e quindi liberamente accessibile da tutti. - il pubblico non sarebbe costantemente preso di mira dagli sforzi del marketing e, allo stesso tempo, la gente potrebbe essere esposta liberamente ad un’ampia varietà di espressioni culturali e creative compiendo da sola le proprie scelte. Questo scenario ci fornisce un quadro più pragmatico di ciò che può avvenire se si mettono realmente in funzione queste leve per il cambiamento; in questo caso l’intervento ha l’obiettivo di ridurre il più possibile la grande influenza di pochi sul controllo del mercato, così facendo si potrebbero ottenere dei grandi risultati, che gestiti con consapevolezza, aumenterebbero la capacità d’azione di una pluralità di soggetti verso un nuovo modello di consumo.
3. L’Open Culture
3.27 Ambito progettuale: confronto tra modello tradizionale e co-creazione. Il modello tradizionale identifica questi tre ruoli ben distinti e connessi tramite un’unica successione, in questo caso il cliente risulta il protagonista dello scenario ed è lui a prendere l’iniziativa; la catena risulta lineare e non integrata nel contesto. Il cliente conduce normalmente un’indagine di mercato cercando di cogliere le opportunità che questo presenta, successivamente prepara un brief per il progettista con delle specifiche esigenze a cui dovrà rispondere il progetto. Nel modello della co-progettazione questi ruoli, e le relative responsabilità, non sono più riconoscibili in modo distinto ma si fondono rendendo interscambiabili ruoli e compiti. Come possiamo notare alcune posizioni cambiano radicalmente oppure scompaiono per lasciare spazio a nuove pratiche. Ci sono varie ragioni alla base di questo cambiamento, prima di tutto l’utente finale è investito di una considerevole responsabilità ed attività, quindi, di conseguenza dovrà raggiungere un livello di conoscenza molto più impegnativo che ne determinerà la relativa consapevolezza. Così facendo l’utente finale diventerà una soggetto consapevole, avrà dell’opportunità per essere coinvolto nella progettazione e potrà contribuire realmente nella realizzazione di qualcosa che alla fine sarà per lui. Il mezzo grazie al quale tutto questo sarà possibile è Internet, attraverso il quale potrà essere svolto un costante aggiornamento. Anche il ruolo del progettista migliorerà soprattutto dal punto di vista sociale, egli disporrà per le sue collaborazioni di una quantità di risorse umane molto più ampia. In questo modo la specializzazione alla base di queste collaborazioni sarà importantissima; dal punto di vista sociale i contributi verranno suddivisi tra più soggetti e ci sarà la necessità di coordinare il loro operato indirizzandolo con efficacia. La figura del cliente sarà oggetto di maggiore diversificazione adottando comportamenti tradizionalmente affini al ruolo del progettista, soprattutto per le pratiche di collaborazione e soluzione dei problemi, inoltre quest’ultimo perderà il potere di prendere l’iniziativa e lo stretto rapporto con il mercato, quindi con i relativi bisogni indotti da questo. L’area del cliente, occupata a livello pratico soprattutto dalla produzione, viene contaminata da quella del progettista, spostando la sua attività su un livello più organizzativo e logistico. Se i ruoli messi in gioco cambiano in questo modo, di
conseguenza cambieranno anche i rapporti tra loro. La relazione tra il progettista e il suo cliente non si articola più attorno alla principale corrispondenza del brief, da cui il progettista elaborava le sue proposte che normalmente definivano una soluzione. Si delineano piuttosto cinque gradi che definiscono come il cliente può essere servito dal progettista, secondo la “Dashboard User Guide” di Stevens e Watson: - attraverso una scelta che proviene da un brief fatto in comune; - attraverso un ventaglio di concetti tra cui scegliere; - attraverso la co-creazione in cui si sviluppa una collaborazione paritaria; - attraverso un’azione di assistenza dove il cliente segue delle linee guida proposte dal progettista; - attraverso le pratiche DIY con cui il cliente svolge una vera e propria progettazione solamente coordinata dal progettista in caso di bisogno. In modo differente la relazione tra cliente e utente finale si apre radicalmente: nell’open design le opzioni produttive vengono condivise con i soggetti, diventano ampiamente accessibili anche in senso pratico e le risorse condivise nei percorsi progettuali diventano disponibili per qualsiasi modifica utile. Va sottolineato anche che il prodotto finale viene realizzato in modo da garantire un’adeguata adattabilità per le scelte che il soggetto farà a valle di tutto il percorso collaborativo. Il rapporto tra progettista e utente finale vedrà il cambiamento più intenso, direttamente proporzionale all’influenza del soggetto nella collaborazione. A differenza di ciò che avveniva nel rapporto tradizionale questa cooperazione investe l’intero processo progettuale. Normalmente i mercati si saturano prevalentemente per le competizioni tecnologiche ed economiche, per cui il cliente produttore indaga con attenzione le esperienze degli utilizzatori finali ed i loro contesti per migliorare i propri prodotti sfruttando quella che è chiamata “contextual push” (normalmente un’arma vincente nell’ambito dello sviluppo prodotti perché unisce i processi di “technology push” e “market pull”). In questo caso invece l’utilizzatore finale, ormai soggetto consapevole, viene coinvolto interamente in tutto il processo di progettazione, non solamente nelle fasi finali di adattamento, ma anche nelle pianificazioni strategiche iniziali, nel reperimento di informazioni e durante l’intero processo di idealizzazione. Il passaggio saliente in questo caso non sta nella quantità
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3. L’Open Culture
di tempo con cui questi diversi individui sono coinvolti, che risulta ampiamente maggiore, ma piuttosto nel grado di responsabilità e di libertà d’azione conferitogli. Se questi sono i maggiori cambiamenti è facile notare che il modello tradizionale, con la sua chiara separazione di ruoli, non sembra adeguato a questa nuova complessità. In questo ragionamento sta anche la chiave per comprendere perché questi nuovi percorsi adottano prevalentemente strutture e strumenti della piccola o media scala, facendo riferimento agli ambiti produttivi artigianali; nelle grandi aziende la distinzione tra i ruoli è come una necessità della loro configurazione, se invece prendiamo in esame aziende di piccole dimensioni, o meglio ancora attività artigianali, la collaborazione e lo scambio di ruoli compaiono spesso in modo spontaneo perché la loro struttura lo permette, per cui, in caso di bisogno, questi meccanismi sono adottati spontaneamente perché rispecchiano la miglior forma per ottenere risultati. Questo modo di coinvolgere l’utente finale per l’intero percorso progettuale può essere anche visto come un’evoluzione naturale del parziale coinvolgimento tradizionale. In questo mondo il suo ruolo è visto come risorsa sotto forma di input nei vari step del processo e non solo come canale attraverso cui influire sugli output. Generalizzando, sono proprio le macroaree di competenza delle grandi compagnie che storicamente hanno avuto un rapporto più stretto con l’utilizzatore finale, il quale veniva interpellato per comprendere perché un prodotto avesse maggior successo rispetto ad un altro. Negli anni ‘80 e ‘90 queste consultazioni venivano gestite soprattutto dall’area vendite e marketing attraverso test di usabilità e valutazioni finali. In questo modo venivano sviluppati concetti che stavano alla base delle pratiche di produzione e che rivelavano gli errori di progettazione prima del lancio del prodotto. Negli anni successivi il coinvolgimento si è spostato all’inizio del processo di progettazione attraverso ricerche di mercato, analisi dei contesti, generazione di idee e sviluppo di concetti progettuali. Coinvolgendo invece l’utenza in modo attivo durante tutto il percorso progettuale viene ad articolarsi un rapporto che si sviluppa sulla corsia preferenziale di una collaborazione snella e paritaria su piccola scala. Questa necessità di muoversi su orizzonti ridotti lega il contributo del soggetto al suo contesto. Prima di tutto egli deve essere messo in grado di comprendere i dati utili estrapolabili dalla sua esperienza. È come se queste riflessioni badano a comporre una mappa concettuale che rappresenta l’attività dell’individuo con le relative esigenze. Questa mappa fornisce al progettista le informazioni, le ispirazioni e la complicità con l’individuo
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che saranno utili allo sviluppo del progetto e alla sua trasformazione in prodotto. L’approccio può essere descritto tramite 4 principi: - il soggetto è coinvolto come esperto del proprio contesto e della propria esperienza; - la sua competenza può essere sfruttata in modo pratico e attraverso l’applicazione delle normali tecniche che derivano dall’auto osservazione; - le informazioni raccolte nel contesto d’uso possono essere organizzate in mappe: queste presentano informazioni eterogenee che supportano il progettista nella comprensione del contesto sperimentale. Per raggiungere questo obiettivo è necessaria una vera empatia con il soggetto, attraverso un rilievo olistico del contesto e la sua successiva comprensione; - per raggiungere questi risultati sono richieste a tutti gli attori coinvolti competenze nel campo della progettazione e della ricerca. Normalmente una buona palestra per sviluppare queste capacità è l’ambito didattico che supporta l’attività di apprendimento degli studenti, il loro coordinamento da parte dei gruppi di ricerca che li osserva come soggetti nei loro contesti e, infine, la progettazione condivisa. Il ruolo del cliente, o del produttore se considerato dal punto di vista del soggetto, deve assumere la consapevolezza di questo cambiamento e considerare come può diventare flessibile nel migliore dei modi per affrontare queste nuove prospettive. Questo sforzo può essere più difficile per le compagnie di grandi dimensioni, anche se queste presentano già esperienza nella consultazione dell’utente a fini progettuali, perché in grandi organizzazioni diverse fasi del progetto sono portate a termine con una sorta di automatismo ben lontano dalla mappatura dei contesti e delle esperienze; per contro le aziende di piccole dimensioni anche se dispongono di minori budget, normalmente garantiscono la qualità della propria produzione attraverso un rapporto più profondo con i loro clienti, per cui trovandosi in questa posizione avvantaggiata, devono solo acquistare la consapevolezza che con i metodi adeguati questo rapporto può essere ancora più fruttuoso. Nello stesso scenario il ruolo del progettista diventa molto più eterogeneo: in parte creativo, in parte ricercatore, in parte coordinatore e in parte manager. Il suo obiettivo verrà raggiunto quando le sue capacità saranno così versatili da poter garantire costante adattamento nella gestione dei flussi in contesti ed ambiti sempre diversi, come previsto da un approccio sistemico alla progettazione.
“Segavano i rami sui quali erano seduti. E si scambiavano a gran voce le loro esperienze, di come segare piĂš in fretta. E precipitarono con uno schianto. E quelli che li videro, scossero la testa e continuarono a segare.“ (Bertolt Brecht)
Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
4
Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio È stato deciso di chiamare “Dialogo” la relazione che si intende instaurare tra Sistema Casa e Sistema Territorio attraverso il progetto per sottolineare la vivacità e il ritmo incalzante che dovrebbe avere questo aspetto in un’ottica di cambiamento. Questa sezione è dedicata alla parte più importante del percorso di ricerca trattando in maniera diretta e pragmatica gli aspetti che caratterizzano queste nuove ipotesi metodologiche per il progetto. In questa sezione viene inoltre riportato lo strumento pratico per simulare il cambiamento del Sistema Casa in base al Sistema Territoriale con cui si trova a dialogare, prova apprezzabile a testimonianza della validità di questi passaggi e manifestazione evidente del carattere vivo dei Sistemi in questione.
.
154
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
INDICE DELLA SEZIONE
156 159 168 168 174 184 188
4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7
Funzione e territorio CriticitĂ attuali Il Sistema Casa Analisi preliminare La contestualizzazione nel Sistema Territorio Il Dialogo Il progetto
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
4.1 Funzione e territorio.
L’ Figura 40. Le funzioni del prodotto relazionate ai rispettivi componenti secondo un’ottica sistemica
FUNZIONE PRINCIPALE DEL SISTEMA DISPOSITIVO FUNZIONI DEI SOTTOSISTEMI MACROCOMPONENTI
FUNZIONI DEI SOTTOSISTEMI COMPONENTI
FUNZIONI DEI SOTTOSISTEMI COMPONENTI SECONDARI
FUNZIONI DEI SOTTOSISTEMI COMPONENTI TERZIARI
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approccio per componenti come metodologia progettuale prende forma per rispondere a delle precise esigenze che affondano le loro radici in ampie dinamiche di cambiamento riguardanti l’attuale modello produttivo e di consumo. Lo studio dei componenti interni in un prodotto composto da una pelle esterna, normalmente quella con cui il soggetto entra in contatto per l’utilizzo, e un sistema di funzionamento interno, che garantisce lo svolgimento della funzione tramite un dialogo efficace tra le parti interconnesse, risulta fondamentale per una progettazione indirizzata prima di tutto all’ottimizzazione funzionale. Questo campo di analisi può essere proposto secondo più livelli di approfondimento che prendono in esame i sistemi di
componenti che si vengono a configurare in funzione di specifici obiettivi. Quello che si va a trattare può essere visto come un dispositivo il cui funzionamento complessivo è assicurato dall’organizzazione strategica di aree funzionali al suo interno che, organizzate a loro volta come altri sistemi funzionali, possono essere ancora suddivise e così via, a cascata, perché ogni parte che compone un insieme possa essere ulteriormente frazionata o riorganizzata in maniera differente se le relative funzionalità si incrociano con altre, ne sono dipendenti o si sovrappongono, quando ad esempio uno stesso componente svolge più funzioni. Questa piramide di efficienze funzionali cresce verso un vertice rappresentato dal fine ultimo del dispositivo, quello che risponde alle esigenze del soggetto tramite le sue prestazioni.
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Ammettendo che il soggetto sia strettamente legato alla caratterizzazione territoriale del luogo che lo ospita di conseguenza anche il “sistema di componenti” del dispositivo che utilizza dovrà rispettare questa relazione. Fin dal momento della progettazione le componenti e le relative funzioni assolte dovranno misurarsi con il contesto territoriale in questione garantendo una sostenibilità ambientale che va ben oltre alla semplice compatibilità del loro impatto ambientale, ma che piuttosto favorisca sul lungo periodo una sostenibilità
ambientale dell’intero ambito di cui fanno parte, intesa da un punto di vista sistemico. È come se la suddivisione piramidale di cui si accennava prima non si concluda in modo fine a se stesso con la funzionalità del prodotto al vertice ma vada a comporre come un tassello un organizzazione sistemica più ampia che, in modo dinamico, si struttura su scala sempre più estesa fino a comprendere le caratteristiche del territorio come le risorse di cui il dispositivo ha bisogno per funzionare. Figura 41. La piramide delle funzioni relazionata concettualmente al territorio
FUNZIONE PRINCIPALE DEL SISTEMA DISPOSITIVO FUNZIONI DEI SOTTOSISTEMI MACROCOMPONENTI
FUNZIONI DEI SOTTOSISTEMI COMPONENTI
FUNZIONI DEI SOTTOSISTEMI COMPONENTI SECONDARI
T E R R I T O R I O Se estrapolata da ciò che la circonda quest’organizzazione appare gerarchica ad un primo esame, ma in realtà può estendersi a discrezione di chi la prende in esame e può articolarsi secondo differenti punti di vista perché ampliando il campo visivo si può notare che fa parte di una rete organizzata di scambi e relazioni decisamente più ampia: un sistema aperto. In questo modo se durante la progettazione il briefing di esigenze da soddisfare si delinea tenendo conto prima di tutto di queste relazioni allora il risultato che otterremo dialogherà in maniera molto stretta con il territorio che lo ospita e agevolerà un modello comportamentale ben preciso per il Soggetto che lo abita. È così che possiamo identificare le quattro leve per il cambiamento, accessibili dalla progettazione, prese in considerazione da questa ricerca: l’importanza prioritaria data al soggetto e alla relazione che si viene ad instaurare tra esso e il dispositivo utilizzato, le cui funzionalità sono
organizzate in modo sistemico e concretizzate tramite una progettazione per componenti, il tutto calato consapevolmente in una realtà territoriale presa in considerazione secondo un approccio sistemico. Cercando di esporre prima di tutto il lato pragmatico del percorso progettuale procediamo tramite un parallelismo costante che vede da un lato il progetto e dall’altro la sua ragion d’essere da un punto di vista metodologico. L’obiettivo del percorso progettuale è creare una serie di dispositivi configurabili secondo situazioni domestiche differenti in relazione con il proprio contesto territoriale, che assolvendo la loro funzione rispecchino adeguatamente alle esigenze degli ambiti domestici a cui appartengono e inoltre sostengano l’organizzazione del sistema casa in relazione all’ambiente che lo circonda.
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
116. 117. 118. 119. 120. Bistagnino, 2008
“Il guscio esterno visto dall’interno” Questo slogan intende sollecitare il progettista a cambiare il suo consueto punto di vista portandolo ad individuare la forma e le caratteristiche del prodotto a partire dalla definizione p r i o r i t a r i a dei suoi componenti essenziali (i quali possono risultare interni al guscio vero e proprio o semplicemente al sistema prodotto complessivo) e poi solo alla fine di questo processo di approfondimento a definire la sua pelle esterna: ogni prodotto di serie esistente può essere infatti inteso come sistema interrelato e complesso di componenti. I nuovi attori del sistema diventano quindi non solo i designer, chiamati a progettare sistemi prodotto durevoli, di ridotto impatto ambientale, in grado di mantenere inalterate le prestazioni per ottenere una obsolescenza uniforme di tutti i materiali e componenti, ma anche i produttori, quindi l’industria responsabile della gestione dei rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche per tutto il ciclo fino ai centri di raccolta e al trattamento finale. 116 La stretta relazione tra modello di consumo, modello produttivo e progetto crea una sinergia le cui ricadute possono avere una grande importanza per la sostenibilità ambientale delle nostre azioni, per la qualità della nostra vita e per l’approccio economico delle nostre produzioni. Parlare di Design per Componenti non significa perciò progettare esclusivamente le parti (interne o esterne) di un prodotto industriale, quanto piuttosto ragionare in primo luogo sul sistema in cui esso è racchiuso e di cui è parte integrante. 117 Allo stesso modo le figure che intervengono in un processo condiviso di questo tipo sono giudicate parti integranti che concorrono al miglior risultato possibile per il progetto. È così che il coinvolgimento di più attori prende piede a partire dal progettista, per passare ai suoi vari collaboratori e consulenti e concludersi con il soggetto a cui sarà destinato il prodotto in questione. È necessario capire che tutte le entità coinvolte sono parti non separate di una complessità di relazioni e per tale ragione, vedendo la problematica sotto un’ottica olistica, la realizzazione di un sistema di qualsivoglia natura (e nel nostro caso il sistema dell’oggetto di produzione industriale) non può prescindere dal fatto che ogni attore sia legato ad un altro pressoché sullo stesso livello e che tutti debbano agire in sinergia per conseguire il successo finale sotto molteplici fronti e non solo su quello progettuale o industriale o economico. Il prodotto vincente è quello che in primo luogo mette
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come prioritaria la regola dell’ecosistema. Agire secondo il concetto di responsabilità condivisa non è più solo un concetto in divenire ma un imperativo che pressa con urgenza. 118 Per il Gruppo di Ricerca della facoltà di Ecodesign del Politecnico di Torino quando si parla di “Design per componenti” in relazione ad un oggetto di produzione industriale si intende: “una progettazione di tutti quegli elementi (i componenti), fra loro interrelati, che compongono il sistema-oggetto (o prodotto). Ciascun sistema-oggetto, a sua volta, potrà anche essere inteso come elemento integrante (e quindi di nuovo un componente) di un ulteriore sistema più complesso. Il sistema-oggetto finale è la somma di tutti i sottosistemi che lo costituiscono. Esso potrà dirsi completo (non più integrabile/ espandibile) quando tutte le interrelazioni esistenti andranno ad assolvere le prestazioni per cui sono state progettate.” 119 L’individuazione della struttura primaria dell’oggetto può così mettere in luce le eventuali criticità (così come i punti di forza del progetto) che costituiranno in un secondo momento il sistema di base da cui partire e da valorizzare nello studio del nuovo prodotto; secondo un approccio analitico o riduzionista, avremo la possibilità di avvicinarci progressivamente alla comprensione reale del sistema prodotto. Ecco perché se al momento della progettazione, pensando il prodotto come un sistema complesso di relazioni possiamo intervenire o evitare svariate problematiche pratiche che si verificano in seguito durante la produzione, l’utilizzo, la riparazione e la dismissione dello stesso. Adottare una logica di Design per Componenti, significa procedere prevedendo a monte del processo produttivo: - la progettazione per disassemblaggio; - la progettazione per uguali tempi di vita delle parti o per sostituzione parziale nel tempo di alcune di esse; - l’adozione di una progettazione atta a semplificare la forma degli oggetti e a prediligere la modularità e la standardizzazione degli elementi; - la produzione e il consumo di oggetti a lunga durata. 120
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
4.2 Criticità attuali.
Andando ad osservare più da vicino i punti deboli del nostro modello attuale possiamo partire da un’inquadratura su ampia scala per poi concentrarci su ciò che succede dentro ai nostri prodotti. Globalizzazione senza differenziazione. Proprio come degli utenti gli individui che hanno il privilegio di vivere in paesi sviluppati e possono permettersi un tenore di vita agiato si trovano ad utilizzare prodotti e a consumare beni che non hanno più alcuna relazione con il contesto territoriale in cui si trovano. Il loro unico collegamento con l’utente che li possiede è
quello di svolgere una funzione da lui scelta. In questo senso il mercato attuale è il risultato di un’evoluzione che ha privilegiato l’aumento delle sue dimensioni a discapito di tutte quelle realtà in qualche modo più deboli che fino all’ultimo sono rimaste aggrappate alle origini territoriali. Se oggi dobbiamo acquistare un elettrodomestico quasi senza dubbio ci rivolgeremo alla grande distribuzione organizzata che si rivolge a noi tramite qualche colosso distributivo, proprietario di specifiche catene di supermercati, centri commerciali o shop on-line di cui ignoriamo la provenienza. Questo forte sbilanciamento verso una produzione di massa e la conseguente distribuzione ha delocalizzato ormai quasi tutti gli attori presenti in una catena
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
produttiva e di conseguenza anche distributiva. L’utente globalmente indifferenziato avrà ideologicamente le stesse caratteristiche e le stesse esigenze ovunque esso si trovi e in qualsiasi momento perchè appartiene a quel target di riferimento per il quale i colossi industriali si trovano a progettare. Se ormai il metodo di conservazione per alimenti più diffuso è quello identificato con l’utilizzo del frigorifero, questo sarà identico in tutte le parti del mondo e mai contestualizzato in nessuna di queste: un cittadino dell’area mediterranea avrà in cucina la stessa macchina che possiamo trovare nelle abitazioni dei paesi scandinavi, questa però non terrà assolutamente in conto che nel primo caso si trova ad affrontare delle temperature esterne che probabilmente per l’arco dell’intero anno non andranno mai al di sotto della sua temperatura interna, rendendo così sensato il modo con cui opera (ammesso che il dispendio energetico costante per la conservazione di alimenti diminuendo la temperatura per la media-breve conservazione sia
la strada più strategica e sostenibile e non solo la più comoda) mentre nel secondo caso si trova in un contesto dove, per la maggior parte dell’anno, fuori delle abitazioni la temperatura è decisamente più bassa della temperatura interna del frigorifero, rendendo così ridicolo ed insensato un dispendio energetico ai fini della conservazione tramite la temperatura, quando si potrebbe sfruttare ciò che madre natura mette a disposizione. Paradossalmente in quei luoghi dove le temperature si abbassano con queste unità di grandezza, l’uomo per poter vivere agiatamente si trova ad utilizzare energia per riscaldare la sua abitazione e poi ad utilizzarne altra per raffreddare invece un armadio presente nella sua cucina adibito alla conservazione. In questo modo però le grandi multinazionali presenti sul mercato degli elettrodomestici non dovranno preoccuparsi di niente se non di continuare a produrre più pezzi per un maggior numero di consumatori e trovare qualche strategia vincente per venderglieli.
Colossi di grandi dimensioni non produrranno più nei paesi in cui dispongono del capitale ma delocalizzeranno la produzione nel cosiddetto “sud del mondo” dove potranno sfruttare una manodopera a costi più moderati, senza preoccuparsi di rispettare
i diritti dei lavoratori o problematiche come lo smaltimento di questi prodotti a fine vita; molto spesso questi stati fungono da industria ma anche da discarica a livello planetario.
Figura 42. Decontestualizzazione globalizzata della vendita di elettrodomestici
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Figura 43. Catadores nelle discariche di Rio. Brasile
Chiaramente in questo modo avremo prima di tutto la perdita delle nostre differenze culturali, che come sappiamo sono il risultato di una lenta e sapiente evoluzione che come risultato ha dato il migliore possibile in relazione al territorio in cui ci si trova. E ancora di conseguenza il “target” la farà da padrone, uniformando qualsiasi soggetto a sua immagine e somiglianza, nel senso che se i bisogni e le esigenze dei cittadini del mondo verranno uniformati tra loro sciogliendo il proprio legame con il territorio, allora sarà facile assimilarli ad un unico target. Questo renderà molto più facile la vita dei consulenti marketing ma otterremo prodotti omologati e indifferenziati ovunque.
La somma delle distanze nell’approccio lineare. Così facendo ingenti quantità di risorse vengo trasportate da una parte all’altra del mondo seguendo solamente criteri convenienti dal punto di vista economico, creando così incolmabili deficit di risorse con il solo scopo di produrre sempre di più per un consumismo sfrenato. Questa delocalizzazione si accompagna quindi ad un ampliamento della scala della distribuzione ed entrambi hanno un costo: sul piano economico che pagherà l’utente e sul piano della sostenibilità che pagherà invece l’ambiente. Oltre a questo nasce un ulteriore attore molto importante in un modello di questo tipo: quello che si occupa della logistica. Per far viaggiare tutti questi beni
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
quella del comportamento del consumatore e del suo modello di consumo: l’abitudine sempre crescente dei consumatori nei paesi del primo mondo ad affidare alla catena del freddo i propri bisogni primari riguardanti l’alimentazione ha fatto sì che le dimensioni del surgelatore, un tempo del tutto superfluo, siano aumentate col passare degli anni perché le famiglie hanno avuto l’esigenza di stoccare un quantitativo sempre maggiore di cibo surgelato. Per questo le sue dimensioni sono passate da una misura discreta in cima all’elettrodomestico ad un’autonomia totale in un box completamente dedicato, raggiungendo in certi casi l’intero ingombro del dispositivo adibito alla conservazione, che diventa di lungo periodo in questo caso.
Dimensioni freezer
Dimensioni freezer
Dimensioni freezer
la sua attività sposterà molto denaro e interfacciandosi direttamente con la distribuzione potrà influenzare il mercato e la decisione dei prezzi. Potrà permettersi di speculare sfruttando il gran numero di passaggi in cui è coinvolto e avrà un buon margine di controllo sulla rete costruita appositamente per questi spostamenti. Tutto questo compare all’interno di un’unica cornice: quella di un triste impegno da parte del mondo intero a condurre con frenesia un modello di vita che solo apparentemente ci ha regalato il benessere e che in realtà sta mettendo a rischio il nostro futuro. Se proseguiamo concentrandoci più sul prodotto e prendiamo in considerazione ancora l’esempio dell’elettrodomestico atto alla conservazione, il frigorifero, possiamo notare con facilità che la sua evoluzione nel tempo non ha fatto altro che rispecchiare
Evoluzione della conservazione Figura 44. L’evoluzione delle dimensioni del freezer nel tempo segue il cambiamento del modello di consumo
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La sua evoluzione dimensionale e anche prestazionale trova la principale ragione nella crescita d’importanza nella nostra vita quotidiana della catena del freddo. La nostra vita frenetica, la mancanza di tempo, la comodità e l’immediatezza ci fanno ricorrere sempre più spesso a cibi surgelati, facilmente pronti per il consumo dopo una rapida cottura, magari nel forno a microonde, altro strumento che deve la sua esistenza alla nascita di queste pratiche di consumo alimentare. Così facendo abbiamo in casa una quantità sempre
maggiore di prodotti surgelati pronti all’uso in qualsiasi evenienza, la durata della loro conservazione è lunga, possiamo accumularli quasi dimenticandoci di loro e non ci tradiranno mai, saranno sempre pronti in cinque minuti. Così le dimensioni del surgelatore sono aumentate per venire incontro ai problemi di spazio dei consumatori. Gli strumenti che utilizziamo sono strettamente relazionabili allo stile di vita che conduciamo, ai nostri usi e ai nostri costumi. Essi cambiano durante
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
il tempo seguendo non solo le tendenze ma anche le esigenze, come ci dimostra l’evoluzione della forma e dell’importanza del surgelatore. Semplicemente analizzando in modo superficiale l’evoluzione formale di uno strumento di largo consumo, possiamo ricostruire una stretta corrispondenza con le
usanze del consumatore che ne hanno dettato quindi il suo cambiamento nel tempo. Ecco perché se andiamo a sommare le distanze che si accumulano tra il soggetto consumatore e il bene possiamo notare che queste non sono solo fisiche:
DISTANZE
Fisica
LUNGA CATENA LOGISTICA
Temporale
NESSUNA STAGIONALITÀ O SCADENZA
Commerciale
SPECULAZIONE DEGLI INTERMEDIARI
Culturale PERDITA IDENTITÀ CULTURALE
Affidarsi a pratiche come quelle della catena del freddo ha ovviamente delle ricadute, come le può avere qualsiasi nostra azione, che vanno oltre l’evoluzione degli oggetti che abbiamo in casa. Tutti i nostri comportamenti e le nostre scelte hanno delle ricadute ben precise, per questo non possiamo permetterci di continuare a fare gli Utenti assopiti e coccolati da comodità apparenti ma dobbiamo metterci in gioco come Soggetti consapevoli e critici. Con il banale consumo di un cibo surgelato che proviene da chilometri di lontananza dilatiamo quattro tipi distanze rendendole anche problematiche:
Una distanza commerciale; nessuno di noi conoscerà la provenienza effettiva di ciò che mette sotto i denti, la sua qualità sarà garantita da un marchio che molto spesso ha poco a che fare con la filiera che sta alle spalle del prodotto in questione. Il totale scioglimento dei legami con la provenienza del cibo ci permetterà di fare la spesa solamente presso la Grande Distribuzione Organizzata dove prezzi e qualità purtroppo sono influenzati dai vari intermediari commerciali. Speculazioni di questo tipo ricadranno solo ed unicamente sulle spalle del consumatore finale.
Una distanza fisica; giustificando così una lunga catena della logistica che percorrerà centinaia di chilometri per portare sulle nostre tavole un cibo che nulla ha a che fare con il territorio in cui viviamo.
Una distanza culturale; per concludere tutti questi aspetti hanno delle ricadute ben precise e stanno già causando una perdita di cultura e identità. Nessuno si preoccuperà più della provenienza dei prodotti che trova sulla propria tavola, chi nel proprio territorio si occupava di tutto ciò verrà dimenticato e nessuno penserà mai di coltivare con le proprie mani qualcosa in un orto perché questo non è minimamente contemplato dal suo stile di vita. Il cibo pronto, precucinato industrialmente non deve subire alcuna trasformazione nelle nostre cucine e così attualmente le tradizioni culinarie vengono sempre più facilmente accantonate.
Una distanza temporale; questo cibo verrà coltivato in qualsiasi momento dell’anno senza rispettarne la sua naturale stagionalità, il suo sviluppo verrà bloccato per consentirne il trasporto, che per la grande distanza fisica sarà lungo ed impegnativo, così questo cibo non potrà rischiare di scadere andando a male. In questo modo si appoggia la coltura intensiva e l’utilizzo di pesticidi e metabolizzanti per venire incontro ad esigenze di questo tipo.
Figura 45. Le 4 distanze che separano il soggetto dal cibo
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Un finto miglioramento. Avvicinandoci ancora al prodotto con la nostra analisi identifichiamo inoltre che per alimentare il meccanismo della crescita attraverso il consumo si ricorre a svariate strategie: per avere sempre nuovi prodotti da sfornare per il mercato viene cambiata solamente la loro forma, in questo modo le tendenze e le mode vengono seguite, il consumatore si sente soddisfatto ma con grande probabilità ha acquistato un prodotto che sotto Figura 46. Smontaggio di tre prodotti: Macchina da cucire, Walkman e Radiosveglia. [Todd McLellan]
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una nuova veste ha ancora circa il 70-80% di componenti del modello antecedente, come rende noto George Dieter in “Engineering design: a materials and processing approach”. Così facendo il consumatore non è stato trattato in maniera trasparente e le sue azioni atte al consumo sono state guidate verso una strada che in realtà non migliora quasi per niente la sua qualità di vita.
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Le obsolescenze.
Figura 47. Il problema del disassemblaggio nell’accumulo dei rifiuti
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L’obsolescenza a fianco a questo aspetto gioca un ruolo molto importante per mantenere vivo il consumo: questo è pilotato appunto da mode e tendenze dettate da un approccio poco onesto di chi si occupa di marketing. Il consumatore si trova a comprare forme per inseguire uno stile di vita che gli viene suggerito tramite un vero e proprio bombardamento pubblicitario. Quando queste forme non rappresenteranno più lo stile di vita desiderato l’oggetto sarà obsoleto e a questo fenomeno viene dato il nome di obsolescenza semantica. Un altro motivo per cambiare un prodotto perfettamente funzionante può essere quello indicato da un forte desiderio di avere lo stesso dispositivo ma con delle prestazioni migliori perché appartenente ad una nuova generazione dove un ristretto numero di componenti è stato evoluto per garantire una prestazione migliore, in questo caso è fuori discussione l’aggiornamento del vecchio prodotto che viene accantonato in favore dell’ “ultimo uscito” ricadendo così in un meccanismo di obsolescenza tecnologica. Nella peggiore delle ipotesi invece l’oggetto in questione smetterà di funzionare adeguatamente dopo un periodo prefissato, questo aspetto fa parte della strategia
ancor meno etica dell’obsolescenza programmata. Non sarà possibile ripararlo e quindi verrà sostituito perché quel determinato componente che aveva una lunghezza della vita definita preventivamente non si troverà sul mercato oppure il suo acquisto avrà un prezzo superiore a quello di un nuovo e intero prodotto anologo. Le dinamiche che si vengono a creare con l’obsolescenza hanno uno stretto legame con il cosiddetto effetto “black-box”: normalmente nel nostro quotidiano non siamo più abituati a ricorrere alla riparazione dei nostri oggetti perché non ne sentiamo l’esigenza, non ne abbiamo l’opportunità o non sapremmo da dove iniziare. Difficilmente una casalinga ha la competenza necessaria per smontare una lavatrice se deve sostituire la resistenza perché lei è sempre stata abituata, fin dal primo lavaggio, ad avere a che fare solamente con l’interfaccia dell’elettrodomestico che quasi per magia inizia a funzionare dopo la pressione di un tasto. Non siamo più a conoscenza di ciò che accade nella maggior parte dei dispositivi appartenenti al nostro sistema domestico perché oltre all’accesso dell’interfaccia e della sua usabilità non sappiamo cosa succede dentro queste scatole nere.
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Una progettazione per assemblaggio e non per disassemblaggio. Un prodotto come può essere l’elettrodomestico viene attualmente progettato per essere facilmente assemblato, in questo modo verranno risparmiati soldi e tempo al momento della produzione e se alcuni componenti sono stati prodotti dall’altra parte del mondo non ci si preoccuperà di capire il loro ruolo nel funzionamento perché dovranno solo essere inseriti. Tutto ciò andrà ovviamente a discapito della qualità ma il risultato finale è che sarà quasi impossibile fare manutenzione su oggetti così ideati con connessioni molte volte irreversibili, al contrario invece, il produttore avrà raggiunto il suo scopo: quando il prodotto non funziona più, se non è possibile ripararlo verrà sostituito da uno nuovo. Tutto ciò si traduce in una drastica crescita del numero di oggetti giunti al loro fine vita, che si ammucchieranno così nelle discariche. Sarà difficile disassemblarli per differenziare i materiali con cui sono costituiti e così anche il loro smaltimento sarà decisamente difficoltoso.
risolvere questo genere di problematiche, sono solo alcuni tra i mutamenti che si generano a cascata partendo da quest’ottica e che risultano direttamente correlati alla nostra vita quotidiana. Come si può evincere dalle prime righe di questa parte la stretta relazione e lo scambio multidisciplinare con l’approccio Sistemico alla progettazione sono evidenti, articolati e profondi soprattutto perché la relazione che si crea all’interno del dispositivo domestico tra i suoi componenti si ripropone attraverso un aumento di scala anche attraverso i legami che questo dispositivo può avere all’interno dell’ambiente domestico, proprio come se fosse un componente di un insieme più complesso: il Sistema Casa.
I cambiamenti del modello produttivo previsti dalla metodologia progettuale per componenti, atti a
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
4.3 Il Sistema Casa.
Continuando a prendere in considerazione ciò che abbiamo di fronte come un insieme complesso di parti relazionate tra loro, si può procedere ampliando ulteriormente la scala per identificare come questo sistema casa faccia parte di un altro sistema più ampio e complesso: quello territoriale. Sarebbe possibile proseguire ancora e mettere in relazione una specifica caratterizzazione territoriale con quella a fianco e così via fino ad arrivare alle vaste dimensioni del sistema che comprende tutto e che prendiamo come esempio per il nostro approccio: la natura. È per questo motivo che il nostro semplice dispositivo domestico è visto come un sistema complesso articolato tra le sue componenti, in questo caso la visione sistemica è applicata a qualcosa che conosciamo bene perché prodotta da noi, nei confronti della quale operiamo avvalendoci di accorgimenti tecnici specifici. Ma le relazioni che questo piccolo “Sistema Dispositivo” instaura con ciò che lo circonda escono dal Sistema Casa e affondano le radici nel territorio: basti pensare alle risorse che questo impiega per funzionare o alle tecnologie che sfrutta per la sua efficienza provenienti dalla cultura materiale appartenente a quel luogo.
Una volta identificate a livello progettuale queste relazioni è più semplice comprendere come raggiungere l’obiettivo di questo caso o più in generale dell’applicazione di questo approccio progettuale: instaurare un dialogo tra il Sistema Casa con i suoi dispositivi e il territorio circostante. Questa relazione tra territorio e casa è gerarchica, perché il primo comprende la seconda, ma soprattutto risulta aperta, viva e in continuo cambiamento: la sua evoluzione rispetto al fattore tempo rispecchia la versatilità e la vivacità con le quali si sviluppano le relazioni in natura, combinandosi e rapportandosi tra loro per fronteggiare nuove esigenze sempre rapportate alla sostenibilità ambientale. L’analisi del territorio ci fornisce le informazioni necessarie per capire come le specifiche funzioni degli ambiti domestici venivano assolte prima della situazione attuale, panorama che presenta le problematiche descritte prima e che si è sviluppato a partire da un modello di consumo oggi in crisi, facilmente criticabile e che può rappresentare la base su cui costruire un percorso di miglioramento. Per essere davvero pronti a percorrere tale percorso bisogna prima fare un passo indietro per raggiungere una consapevolezza progettuale che si basa su un concetto di innovazione tratto dal territorio.
4.4 Analisi preliminare.
Il modello di vita abbracciato attualmente da un consumatore che abita un territorio identificabile come appartenente al “primo mondo”, lascia spazio a pratiche non propriamente consapevoli riguardo al consumo e alle ricadute ambientali, etiche ed economiche. Ecco perché il percorso progettuale comincia con un’analisi che come principale obiettivo ha quello di far assumere a chi ricopre le vesti del progettista la consapevolezza e l’adeguata conoscenza del campo
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in cui sta operando, cercando di annullare l’influenza priva di senso proveniente da attuali retaggi culturali e abitudini al consumo intensivo. Le esigenze che un consumatore incontra nel proprio ambito domestico durante la quotidianità sono attualmente corrisposte da pratiche, strumenti e dispositivi quasi completamente avulsi dal contesto in cui abita, dalle sue tradizioni culturali o dalla cultura materiale del luogo. In cambio di un sostanziale
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
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SISTEMA CASA
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SITIV FUN O ZION ID MAC EI SOTTO ROC OMPO SISTEMI NEN TI
CULTURA MATERIA
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CARATTERIZZAZIONE TERRITORIALE Figura 48. Le relazioni tra gli Ambiti Domestici, il Sistema Casa e il Sistema Territorio
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4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
incremento del benessere e della comodità questi elementi sono stati accantonati portando con sé anche le ricadute di una responsabilità condivisa, da cui prendeva forma un modello di vita basato sulla sostenibilità ambientale, dove la sfera antropica, la sfera costruita e quella naturale si combinavano attraverso relazioni virtuose, vive e a lungo termine. Ciò che si intende sottolineare è che le relazioni e i legami che hanno sempre garantito un dialogo costante sul territorio tra ambiente fisico e ambiente sociale sono attualmente sempre più deboli e il loro recupero sta alla base per un nuovo modello di consumo che garantisca sostenibile dal punto di vista ambientale, etico e anche economico. Per questo il percorso progettuale comincia prendendo in esame lo stato attuale del Sistema Casa dove si identificano le varie attività svolte quotidianamente per rispondere ai propri bisogni. Queste attività vengono messe in pratica attraverso lo svolgimento di funzioni ben precise che possono quindi caratterizzare momenti e spazi del ambiente domestico che verranno chiamati ambiti. Vengono così identificati i seguenti ambiti la cui divisione può essere flessibile in base al caso studio specifico: 1_Lavaggio: che raggruppa tutte le attività inerenti alla pulizia di spazi o strumenti, al lavaggio di cose o risorse e all’igiene personale. Ecco perché al suo interno
Figura 49. Ambiente domestico attuale
troviamo la divisione che prevede spazio, strumenti, vestiti, cibo e persona. 2_Trasformazione cibo: che interessa invece tutte le attività inerenti al cibo per soddisfare il bisogno primario dell’alimentazione. Attualmente il cibo che troviamo nell’ambito domestico è cotto, precotto o preparato a freddo. 3_Conservazione: che raccoglie le pratiche di conservazione della risorsa cibo. Attualmente questo ambito può essere suddiviso in base alle temperature sfruttate per il mantenimento che posso essere: fresco, freddo e surgelato. 4_Trattamento temperatura ambiente: per il mantenimento di una temperatura confortevole rispetto alla stagionalità esterna. Prevede quindi riscaldamento e condizionamento. 5_Trattamento aria: che prevede eventuali purificazioni dell’ambiente in seguito ad attività svolte al suo interno. 6_Stoccaggio rifiuti: che si identifica con l’accumulo degli scarti prodotti in seguito allo svolgimento delle varie attività domestiche. 7_Coltivazione: esterno ed adiacente all’ambiente domestico raggruppa le eventuali colture presenti. È stato scelto di rappresentare gli ambiti con una forma quadrata per la sua rigidità: nella situazione attuale questi non si adattano al ritmo della vita presente nell’ambiente domestico, né vivono con esso e
Ambiente Domestico Attuale
trattamento aria
strumenti
spazio
lavaggio
trattamento temperatu ra ambiente
vestiti
fresco
freddo
conservazione
cibo persona
cotto
su rgelato
trasfarmazione cibo precotto
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preparaz. a freddo
stoccaggio rifiuti
coltivazione
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
soprattutto non si relazionano tra loro perché sono del tutto indipendenti garantendosi l’approvvigionamento di risorse dall’esterno. È così che in questa astrazione le campiture di forma quadrata possono solo affiancarsi senza sovrapporsi e instaurare un dialogo. Se invece la nostra attenzione si sposta su chi abita l’ambiente domestico possiamo notare che le sue esigenze possono essere soddisfatte in maniera non avulsa dal contesto territoriale esterno (attualmente chiamato in causa solo per lo smaltimento degli scarti prodotti) bensì adottando un’ottica Sistemica che garantisce un dialogo costante improntato sulla responsabilità condivisa che mette da parte il modello di consumo intensivo attuale. Il Sistema Casa. In questo modo nell’ambiente domestico si aggiungono ulteriori ambiti che raggruppati tra loro vanno a formare ciò che identifichiamo come Sistema Casa. La varietà degli ambiti individuati deriva da uno studio delle azioni compiute in ambito domestico in relazione alle esigenze da soddisfare per un mantenere un livello di qualità di vita non considerabile inferiore a quello attuale. L’elaborazione di questi dati è stata possibile grazie ad un articolata attività didattica portata a termine nei corsi di Sistemi Aperti e di Design per Componenti presenti alla
Laurea Magistrale in Ecodesign del Politecnico di Torino. Gli ambiti che possiamo riconoscere a questo punto sono: 1_Lavaggio: che comprende come quello attuale spazio, strumenti, vestiti, cibo e persona; in questo caso però vedremo che questi sotto-ambiti si presentano in maniera completamente diversa perché si conformano alla caratteristica principale della risorsa che sfruttano: l’acqua, che attraversa il Sistema Casa come un flusso dinamico. 2_Trattamento acqua: direttamente collegato al lavaggio quest’ambito raggruppa tutte le attività che hanno a che fare con il trattamento della risorsa acqua dopo il suo utilizzo nell’ambito precedente. Tenendo presente che la risorsa si presenta sotto forma di flusso e che il livello qualitativo con il quale si restituisce all’ambiente circostante deve essere il più vicino possibile a quello in entrata allora possiamo riconoscere il trattamento di acqua organica, saponata, grigia, nera che provengono dall’ambito dello stoccaggio acqua. 3_Stoccaggio acqua: è l’ambito in cui viene bloccato il flusso della risorsa acqua prima di un eventuale trattamento per influire sulla sua qualità che viene messo in pratica nell’ambito precedente. 4_Stoccaggio acqua esterna: in questo caso la pratica dello stoccaggio della risorsa idrica viene differenziata dalle precedenti perché si interessa unicamente all’acqua che proviene esternamente dal Sistema Casa,
Figura 50. Visione Sistemica dell’ambiente domestico: Sistema Casa
Sistema Casa stoccaggio acqua esterna
area asciugatu ra
spazio
strumenti
riscaldamento
lavaggio
vestiti trattamento aria
cibo persona
saponata
stoccaggio acqua nera
grigia
freddo
conservazione trattamento acqua
organica
fresco
frittu ra cottu ra stufati con acqua trasfarmazione cibo preparaz. zuppe a freddo
temp. ambiente
azione batterica
trattamento rifiuti
coltivazione
171
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
questa risorsa ha delle qualità inferiori rispetto a quella proveniente dalla rete idrica e va separata. 5_Trasformazione cibo: rispetto all’ambito descritto nella situazione attuale dell’ambiente domestico quello appartenente al Sistema Casa non riconosce il cibo precotto proveniente da una produzione industrializzata, mantiene la preparazione a freddo e articola maggiormente la cottura prendendo in esame le pratiche tradizionalmente più utilizzate come zuppe, cottura in acqua, frittura e stufati (queste possono essere integrate e sostituite da metodi di cottura più specifici provenienti dalla cultura del territorio interessato). 6_Conservazione: direttamente collegato all’ambito precedente svolge la funzione di conservazione della risorsa cibo ma in modo differente rispetto a quello attuale. Vengo prese in considerazione anche in questo caso metodologie utilizzate tradizionalmente senza ricorrere ad un perentorio abbattimento della temperatura, queste pratiche sono rappresentate dall’azione batterica che si va ad affiancare poi ad una conservazione a temperatura ambiente, al fresco e al freddo senza ricorrere al surgelato (perché la catena del freddo rappresenta ancora una volta l’industrializzazione del cibo favorendo dinamiche assurde per l’alimentazione, completamente avulse dal contesto territoriale e dall’altissimo impatto ambientale). 7_Trattamento rifiuti: questo ambito riguarda tutte le azioni a cui si ricorre per trasformare gli output solidi proveniente dalle attività domestiche in input utili per qualche altra attività. Ad esempio nel caso in cui questi provengano dalla trasformazione del cibo, e quindi saranno organici, dopo la trasformazione andranno probabilmente al prossimo ambito. 8_Coltivazione: come nella situazione attuale questo ambito esterno ed adiacente all’ambiente domestico raggruppa le eventuali coltivazioni adeguate al territorio e praticate nel Sistema Casa con ridotto impatto ambientale. 9_Riscaldamento: questo ambito prende il posto del Trattamento temperatura ambiente perché si interessa del solo aumento della temperatura in quanto la necessità della sua diminuzione è affidata allo studio dei flussi interni al Sistema Casa agevolati strutturalmente dall’architettura domestica. 10_Trattamento aria: interessa tutte le pratiche svolte per migliorare la qualità dell’aria senza ricorrere a forzature del suo moto date dall’impiego di dispositivi che sfruttano l’elettricità. 11_Area Asciugatura: quest’ambito nasce dall’esigenza dell’asciugatura quando il contesto territoriale esterno presenta temperature troppo rigide per consentirla in modo naturale all’esterno.
172
Questi ambiti rappresentano delle funzioni vive e in continuo movimento che vengono svolte all’interno del Sistema Casa in spazi adibiti appositamente, con tempistiche precise, sapienti gestualità e anche grazie a strumenti o dispositivi progettabili consapevolmente secondo l’approccio sistemico congiuntamente a quello per componenti. Il percorso progettuale inizia quindi con un’adeguata ricerca sulla funzione che il nostro dispositivo andrà a svolgere. Lo stato dell’arte rappresenta un buon punto di partenza se analizzato con senso critico rispetto alle relazioni che questo instaura o meno con le risorse (in questo caso già considerabili input) gli scarti (output), con altri ambiti o con il territorio circostante. L’analisi del territorio dove il dispositivo entrerà in funzione rappresenta il primo passo per entrare in contatto con le vere caratteristiche del soggetto lasciando da parte astrazioni ed omologazioni provenienti dal mondo del marketing o influenze estetiche derivate dai trend del momento. Questo non significa approcciarsi al progetto in modo slegato dalla contemporaneità ma piuttosto stabilire un dialogo tra progettista e Soggetto Consapevole che permette di calare il progetto in maniera precisa all’interno di un contesto di riferimento, nel rispetto di un rapporto sostenibile a lungo termine. Ecco perché rifacendoci a contesti differenti lo schema del Sistema Casa cambia rispecchiando la caratterizzazione territoriale su cui è calato: la prima rete, quella delle “Risorse”, descriverà ciò che quel territorio ci offre e in che modo; come descritto precedentemente la maniera in cui la comunità è riuscita a sfruttare queste risorse per vivere ci indica un determinato “Saper Fare”, fatto di conoscenze, strumenti, pratiche e gestualità direttamente in relazione con quelle Risorse; il sedimentarsi di queste conoscenze nel corso della storia ha prodotto la terza ed ultima rete, quella della “Cultura Materiale” che consegna al progettista un pesante bagaglio culturale fatto di tradizioni ed usanze consolidate nel tempo. [Caratterizzazione Territoriale, Figura 1] Lo schema proposto prima per il Sistema Casa può quindi essere declinato a seconda dei contesti territoriali in cui si trova. La sua rappresentazione prevede quindi una trasformazione della forma dei vari ambiti come in una simulazione. Se questi presentano una forma esagonale arrotondata quando non fanno riferimento ad un territorio, successivamente si deformeranno allungando i propri vertici e creando delle sovrapposizioni che ci indicano le relazioni esistenti tra loro che rispecchiando ed adattandosi alla
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
caratterizzazione territoriale. Se prendiamo come riferimento tre contesti territoriali molto diversi fra loro come San Pietroburgo, Torino e Cordoba, che rappresentano adeguatamente attraverso le loro caratteristiche meteorologiche tre “Caratterizzazioni Territoriali tipo”, e decliniamo lo schema del Sistema Casa otterremo il risultato
riportato qui di seguito. I dati che ci servono per la nostra simulazione sono le temperature, i valori di umidità e le precipitazioni annue.
Figura 51. Grafici rappresentanti l’attività meteorologica degli ultimi 13 anni nelle tre città: San Pietroburgo, Torino e Cordoba. Fonte Weather Spark
173
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
4.5 La contestualizzazione nel Sistema Territorio.
Le tre caratterizzazioni territoriali contraddistinte quindi dai seguenti valori: San Pietroburgo -23°C < t° < 24°C 59% < U% < 95% Precipitazioni annue = 637 mm Torino -3°C < t° < 29°C 55% < U% < 85% Precipitazioni annue = 833 mm Cordoba 5°C < t° < 38°C 32% < U% < 76% Precipitazioni annue = 353 mm
174
sono
Contestualizzando lo schema del Sistema Casa secondo queste tre serie di valori otterremo i cambiamenti riportati qui di seguito. Le tre città verranno trattate da questo punto come tre esempi per rappresentare tre contesti territoriali rispettivamente collocati nel nord, centro e sud Europa.
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Figura 52. Sistema Casa NORD EUROPA stoccaggio acqua piovana
area asciugatu ra
strumenti spazio lavaggio
trattamento aria
riscaldamento
fresco
vestiti temperatu ra ambiente
persona
cibo
conservazione
depu razione H2O
azione batterica
forno frittu ra
saponata
organica
cottu ra con acqua
stoccaggio acqua
nera
freddo
stufati trasfarmazione cibo zuppe
grigia
temperatura
trattamento rifiuti
preparazione a freddo
coltivazione
umiditĂ
precipitazioni
Figura 53. Sistema Casa CENTRO EUROPA
stoccaggio acqua piovana strumenti
area asciugatu ra
spazio
fresco
vestiti cibo
freddo
lavaggio riscaldamento
persona organica
saponata
grigia
stoccaggio acqua
nera
temperatura
depu razione H2O
trattamento aria
temperatu ra ambiente conservazione azione batterica
frittu ra stufati cottu ra con acqua
forno
trasfarmazione cibo preparazione a freddo
umiditĂ
trattamento rifiuti
coltivazione
precipitazioni
175
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
area asciugatu ra
stoccaggio acqua piovana strumenti
vestiti
riscaldamento
fresco
spazio persona
conservazione temperatu ra ambiente
trattamento aria
cibo lavaggio
saponata
organica
freddo
essiccazione azione batterica
depu razione H2O
forno
frittu ra grigia nera
temperatura
Figura 54. Sistema Casa SUD EUROPA
176
stoccaggio acqua
trattamento rifiuti
preparazione a freddo
stufati trasfarmazione cibo cottu ra con acqua
umidità
Questi schemi sono stati estrapolati da un modello di simulazione interattiva progettato dal sottoscritto insieme all’assegnista di ricerca Dottor Balbo Alessandro per il gruppo di ricerca Sistemic Approach del Dipartimento Architettura e Design (DAD) del Politecnico di Torino. Il progettista in questo modo può avvalersi della simulazione per avere una percezione immediata di come l’ambito interessato dal suo progetto dialoghi all’interno del Sistema Casa con quelli circostanti e di come si relazioni con il Sistema Territoriale, così facendo potrà verificare l’utilità di un eventuale intervento progettuale. Partendo da alcuni semplici parametri attraverso i quali sia possibile descrivere oggettivamente il territorio in questione è possibile controllare la deformazione delle sagome che caratterizzano gli ambiti: in questo caso sono stati scelti Temperatura, Umidità e Precipitazioni. Cambiando i valori di questi parametri le forme degli ambiti cambieranno di conseguenza nelle dimensioni e nelle posizioni; così si otterranno delle sovrapposizioni che rappresentano le relazioni che si potrebbero creare tra gli ambiti interessati. Per non incorrere in sintesi troppo approssimative è
stufati
coltivazione
precipitazioni
possibile controllare i parametri impostando un range dei valori, che andando da un massimo ad un minimo, prende in considerazione la simulazione delle escursioni di questi; ad esempio nel caso della temperatura l’oscillazione all’interno del range può rispecchiare l’escursione termica tra giorno e notte. Così facendo lo schema “prende vita” perché la deformazione degli ambiti varierà attraverso un movimento pulsante che formalmente rappresenta proprio la vitalità e il dinamismo del Sistema Casa. Un’ulteriore aspetto che si evince attraverso questa rappresentazione è quello degli “Ambiti di Trattamento”, nello specifico Trattamento Acqua, Aria e Rifiuti: la loro forma si “allunga” sensibilmente per andare a sovrapporsi a quella di altri ambiti proprio perché in quei casi risiede la trasformazione delle risorse utilizzate dal punto di vista Sistemico, ovvero l’output in uscita da un processo, e quindi da un ambito, viene valorizzato adeguatamente per essere trasformato in input utile all’entrata in un altro processo, o ambito. La loro funzione principale è proprio quella di mettere in pratica questa trasformazione e quindi relazionare i vari ambiti interessati a cui si sovrappongono.
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Attraverso questa fase di ricerca è possibile identificare il Sistema Casa che ci interessa e rappresentarlo sotto forma di schema tenendo conto di tutte le informazioni che lo caratterizzano. Vengono prese in considerazione quindi: -Le risorse; le loro qualità, le quantità e quali spostamenti fanno all’interno del sistema e secondo quali tempistiche. -Le relazioni che si instaurano tra i vari ambiti; in che modo si creano, le ragioni che ne stanno alla base, dove e in quali momenti. Il grado di astrazione di questi schemi è decisamente minore, l’accuratezza con cui si rappresentano queste informazioni è scrupolosa ma al tempo stesso deve rispettare una spiccata adattabilità ai vari momenti
della vita del Sistema Casa. Da qui si può evincere quali siano gli ambiti più importanti in quel sistema, quali dettano l’ordine delle relazioni e secondo quali priorità.
Figura 55. Print Screen dello schema dinamico realizzato con Processing Source Code
Il Sistema casa dei tre contesti territoriali affrontati come esempio può quindi essere rappresentato con i seguenti schemi.
177
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Figura 56. Sistema Casa. NORD EUROPA. Rappresentazione dei flussi
Outside Inside EXP. VALVE LAMIN.VALVE ENGINE
ALL YEAR
WINTER
EVAPORATOR
COMPRESSOR
PIPE CONVEYOR
CONDENSER
FILTER
conserving EXP. VALVE
cooking ELECTRIC PLATE RESISTANCE Drinkable
LAMIN.VALVE ENGINE
H 2O
Drinkable
R RESISTANCE ESIS SIST IST STTA
SUMMER
EVAPORATOR
H 2O
COMPRESSOR
OVEN
Natural
Drinkable
H 2O
CONDENSER
DISH WASHING
SEPARATION VALVE
DETERGENT BOX
15/25 gr natural
Wash
12 lt 50˚- 60˚
IMPELLER
Soapy
H 2O
Rinse 4 lt 70˚
BASKET FILTER
washing dishes
Risultati ottenuti dal corso “Design by Components ” A.a. 2011-12. Laurea Magistrale in Ecodesign.
drinkable water
DRAIN PUMP
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
drinkable water
7 lt (each min) Drinkable
H 2O
Natural 3 lt Rain
H 2O
sink
H2O
Urine
wcc w
75-90lt (5 min)
ooking
DRYING AREA
Drinkable
H2O
Drinkable
H 2O
H 2O
Urine
Natural
COMPOSTING
Drinkable
H 2O
shower
H2O
RESISTANCE
h
0˚
rainy water
Drinkable
H 2O
WASHING MACHINE
Soapy
H 2O
Rinse 4 lt 70˚
Soapy
H 2O
10 lt 60˚
Soapy
H 2O TRANSMISSION
Prewash
DRUM and MOTOR
Soapy
Soapy
H 2O
H 2O Rain
12 lt 45˚
AIN PUMP
0,16 lt natural
DETERGENT LOAD
Wash
Soapy
H 2O
75-90lt 35˚- 40˚
H 2O
3 lt 20˚
DRAIN PUMP
4 lt 60˚
H 2O
Soapy
H 2O Soapy
washing clothes
10 lt 50˚
H 2O
30 lt 25˚
Soapy
H 2O
Soapy
H 2O
Soapy
H 2O
Soapy
H 2O
FILTER 80%
20%
27 lt 25˚
Rinse 30 lt 20˚
FILTER
Soapy
3 lt 25˚
Soapy
H 2O
SEPARATION VALVE
BURNING
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Figura 57. Sistema Casa. CENTRO EUROPA. Rappresentazione dei flussi
HEAT STORAGE 3 Water Temp. 4 DRINKABLE
Hot Drinka drinkable water
Hot Rain/P water RAIN rainy water
Environment T˚ grey water
Hot grey water
Phitore medi ated wate r
pip
outdoor
inside fridge
Coldness +6˚/+8˚ -15˚/-18˚
inside fridge COMPRESSOR
VALVE
outside fridge
conserving
Phitodepuration
HO
House cleaning
organic
Solid/liquid separation Organic waste Evaporation Detergent Drinkable Water 5lt/15˚-45˚ Fertilizer
Urea
Risultati ottenuti dal corso “Design by Components ” A.a. 2011-12. Laurea Magistrale in Ecodesign.
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
AGE 300 lt mp. 45˚ Drinkable water
Rain/Phitoremediated er pipe ASPIRATION VORTEX
aspiration vortex
CONVEYOR CONVEYOR
cooking BURNER
pipe HEATING PROCESS
Drinkable water 25lt/15˚-45˚
HO
Water+Organic 25lt/15˚-45˚
Detergent Detergent
Ash
Water+Organic 10lt/20˚
Prewash Water+Organic 10lt/20˚ Water+Soap 10lt/50˚ Water+Soap 10lt/60˚
trasmission
HO
detergent load
Rain Water 10lt/60˚
Wash
impeller
Rain Water 10lt/70˚
Rinse
HO
HO
washing dishes
Water+Organic 10lt/20˚ Water+Soap 10lt/50˚
trasmission
Prewash
Rain Water 10lt/60˚
Rinse
Rain Water 30lt/30˚
drain pump
HO HO
Water+Soap 10lt/20˚
Wash DRUM
HO
Water+Soap 30lt/20˚
detergent load
washing clothes
rgent Water+Soap 75-90lt/30˚-45˚
HO
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Figura 58. Sistema Casa. SUD EUROPA. Rappresentazione dei flussi
us e d oil
re g
GREEN HOUSE
en er
fried
dirty a ir
W O W VEN IR E
outdoor
aspiration
soup at ed
a
ir
90/180˚C
BURNER
stewed
re f rig
WOVEN WIRE
CASE
on a ti er
180/200˚C
vacuum
baked
fresh compartment op ti
ma l
R.
he a tin g
8/15˚C
H co
ol ntr
cold compartment
e na g a m
men
co e ns
2˚/5˚C
dr
ir ya
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ma
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15/25˚C
rving
ambient temperature dessication
4
40˚C
ge
en t
m
WOVEN WIRE
t
KITCHEN GARDEN
Risultati ottenuti dal corso “Design by Components ” A.a. 2011-12. Laurea Magistrale in Ecodesign.
c oo
local sources
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
kin
local industry
collection
ashes
natural soaps
g
water softening
grilled
bore reservoir
water suply GRILL
110/350˚C
dr ka
wa te r
URNER
nt e me g na
in
ma
0/180˚C
bl e
9l
non
200l
PHITODEPURATION
dr
i
nk
40˚C
>70˚C
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ab
le
10l c le
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40˚C
180l
O
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a
+ nic
So
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sink
9l 15l
shower
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D is he s
25/30˚C
d ry
>7 0 ˚ C
in
dishes
50
SINK
15l TANK
1l 14l
g
40˚C
Vaporization
hing
Cl
Rinse
˚C
10l
o the
s
Wash
tissues
n ic
O r g a n ic
O rg a
+
So
+
So
ap
+F
at
ap
SAND
periodical change of cycling composting
sewers wc
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
4.6 Il Dialogo.
È in questo modo che il progettista comincia a costruire, attraverso il suo progetto, il dialogo che mette in relazione il Sistema Casa con il Sistema Territoriale, rispettivamente definiti in questo modo:
La stessa consapevolezza che dimostra il progettista nell’intervenire in dinamiche di questo tipo va trasmessa anche al Soggetto che in questo caso non è più un utente generico che ricopre semplicemente il ruolo dell’utilizzatore finale.
SISTEMA CASA: spazio domestico suddiviso in sottosistemi funzionali organizzati tra loro chiamati Ambiti, le cui Relazioni e gli scambi di Risorse sono progettati secondo le 5 regole del Design Sistemico. SISTEMA TERRITORIO: Caratterizzazione Territoriale ottenuta dalla sovrapposizione della Rete delle Risorse, del Saper Fare e della Cultura Materiale che ospita il Sistema Casa e ne garantisce il sostentamento attraverso il prolungamento delle Relazioni e dello scambio delle Risorse.
di
Sistema CASA
Figura 59. Rappresentazione del Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
184
Usanze e usabilità Dialogo tra gli ambiti Condivisione componenti Valorizzazione output Educazione al consumo
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Rete del SAPER FARE Rete dellA CULTURA MATERIALE
Caratterizzazione Territoriale 1
PR
O
TO
lo
go
Rete delle RISORSE
Stratificazione nel TEMPO
dia
Stratificazione nel TEMPO
Sistema TERRITORIO
T E G
Caratterizzazione Territoriale 2
185
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
121. Olmo, 2011
La cultura della causalità responsabile pone al centro il soggetto, la sua capacità di saper riconoscere i fili che legano le sue azioni al contesto e agli altri essere viventi, fa della capacità di mettere in relazione il principio costitutivo di una decisione non costruita sulla morale individuale. 121 Il ruolo ricoperto dal soggetto consapevole, che con le sue azioni influenza in maniera preponderante il successo e l’applicabilità di questi nuovi modelli, risulta quindi fondamentale. Il progettista viene investito della stessa importanza perché spetta a lui “preparare il terreno” in modo che questi cambiamenti possano avvenire.
122. Vannoni, 2011
La strada per riappropriarsi della propria cultura e continuare a farla evolvere non può passare solo dagli oggetti, o almeno non solo, deve prima di tutto passare dal considerare i “non soggetti” dei soggetti attivi e lasciargli uno spazio autonomo […] Il progettista deve essere quindi un progettista “culturale” che agisce nei differenti ambienti preservandone ed integrandone le peculiarità. Nel contempo il suo ruolo è di integrare con le dinamiche della progettazione sia le caratteristiche mentali più generali del soggetto attraverso fattori di ergonomia cognitiva, sia rispettare i processi mentali che sono tipici di ogni cultura. Nell‘ottica globale, il marketing utilizza le debolezze e le illusioni cognitive delle singole persone per produrre una leva per generare il consumo, il soggetto diventa quindi un utente che si può facilmente attivare attraverso le sue debolezze, in questa ottica il “non soggetto” globale risponde in base agli atteggiamenti, ai limiti dell‘elaborazione cognitiva, alle illusioni sensoriali, alla simulata pressione sociale ed alle aspirazioni sociali indotte. Nell‘ottica ambientale tutti questi limiti della nostra mente diventano un‘opportunità per produrre conoscenza, interesse, consapevolezza e capacità decisionale. Quelle che sono strategie su cui fa leva il marketing globale devono diventare opportunità di formazione e fonte di crescita per i singoli soggetti: vincoli utilizzati nel rispetto della persona, della sua comunità e della sua cultura. 122 Questa consapevolezza fa parte di una visione unica e continua che, a partire dal progetto, può essere calata in spazi precisi e riconosciuta in atteggiamenti specifici: Consapevolezza funzionale. Che interessa l’ambito del Sistema Casa in cui il progetto verrà messo in pratica e dove garantirà un funzionamento fronteggiando le criticità dell’attuale modello produttivo, come ad esempio le obsolescenze.
186
Consapevolezza etica-sociale. Che affonda le sue radici nel contesto territoriale nel rispetto del dialogo con questo. Consapevolezza ambientale. che riguarda l’impatto ambientale che il Sistema Casa ha sul territorio circostante e, di conseguenza, quello che si ottiene a livello planetario facendo una somma dei vari sistemi. È in questo modo che applicando un tale approccio alla progettazione di un dispositivo per il Sistema Casa possiamo ottenere tre tipi di risultati a seconda di quale caratteristica sarà preponderante nell’atteggiamento sostenibile del progettista: Un “prodotto facilitatore” Intero dispositivo, o componente che sia, è in grado di agevolare la messa in pratica delle relazioni funzionali tra gli ambiti del Sistema Casa. Un “prodotto contestualizzato” Svolge una specifica funzione dettata prevalentemente dalla stretta relazione di un Sistema Casa con il Sistema Territoriale circostante, in questo caso il progetto è stato sviluppato ad hoc su un contesto preciso. Un “prodotto declinabile”. Veicola la sostenibilità ambientale più in senso lato risolvendo problematiche che sono comuni a diversi contesti territoriali; ha due principali caratteristiche: la funzionalità garantita dal suo Sistema Interno di Componenti e la configurabilità di alcuni di essi a seconda del contesto in cui ci si trova o a seconda delle specifiche esigenze del soggetto, il quale potrà declinare il dispositivo appositamente predisposto dal progetto attraverso pratiche appartenenti alla realtà dell’Open Design e del D.I.Y.
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Sistema AMBIENTALE
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Sistema CASA
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IC n s a A- p
Sistema TERRITORIO
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Prodotto
Figura 60. La relazione tra la consapevolezza progettuale e il prodotto con le relative contestualizzazioni
187
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
4.7 Il progetto.
Conclusa la parte preliminare del percorso progettuale, che rispecchia essenzialmente una fase di ricerca i cui oggetti sono nell’ordine: L’ambito del Sistema Casa; che comprende la relativa funzione svolta al suo interno, le relazioni con gli ambiti circostanti e l’applicabilità dell’Approccio Sistemico nella progettazione. Il contesto rappresentato dal Sistema Territoriale; che prevede lo studio delle risorse disponibili, del saper fare del luogo, della cultura materiale, delle tradizioni e della comunità con cui ci si interfaccia. La padronanza di questi dati permette al progettista di considerare in ottica differente gli step della metodologia tradizionale politecnica riconducibili ai contenuti di “Tecnologia e Progetto” [Giuseppe Ciribini, 1984]. Non vengono messe in discussione le fasi del progetto ma l’attenzione non sarà più rivolta riduttivamente al rapporto Forma-Funzione ma contemplerà il dialogo tra i due Sistemi di riferimento per ottenere un progetto in accordo col territorio nella lunga durata.
Il concept. Il progettista sarà in grado a questo punto di proporre un “concept” del progetto dove esprime in modo concettuale come intende affrontare il progetto vero e proprio, ipotizza come potrebbe funzionare e prova a valutare l’efficacia delle sue ipotesi. La principale caratteristica che contraddistingue questo step progettuale è quella della totale astrazione utilizzata per descrivere il progetto nella sua fase embrionale; non vengono prese in considerazione forme o tecnologie da utilizzare e la concentrazione del progettista è riposta sostanzialmente nel tentativo di capire come il dispositivo progettato potrebbe funzionare lasciando aperto il maggior numero possibile di strade per raggiungere quel risultato dal punto di vista tecnologico e pratico. In questo modo vengono messe in relazione tra loro le diverse funzioni “interne” del nascente sistema di componenti che corrisponderanno poi alle rispettive relazioni tra i componenti veri e propri. Questa astrazione è necessaria per concludere delle ipotesi fondate sul funzionamento del dispositivo, sulle risorse necessarie al suo sostentamento e sulle relazioni che può instaurare all’interno del proprio
188
ambito domestico, del Sistema Casa e infine, del Sistema Territorio. Se tutto ciò non fosse sviluppato in questo modo teorico ma si ipotizzassero già delle scelte formali o tecnologiche si potrebbe correre il rischio di commettere degli errori di valutazione e di scelta, proprio riguardo a questi accorgimenti pratici, per poi rendersene conto solo a posteriori quando le relazioni tra i componenti del sistema “dispositivo” non funzionano a causa di una previsione errata, il che comporterebbe una retrocessione a livello di percorso progettuale per valutare nuove ipotesi.
Il Sistema dei Componenti. Una volta definito il Concept e riscontrato come i “tasselli funzionali” del dispositivo compongono il suo quadro funzionale generale e riescono a rispondere alle esigenze del Soggetto operante in quell’Ambito domestico è il momento di concretizzare gli accorgimenti presi in considerazione al livello dell’analisi iniziale a proposito delle relazioni con il contesto territoriale, quali possono essere, come metterle in pratica e come favorire un loro sviluppo nel lungo periodo. Ecco che in questo frangente il progettista si impegna a definire con precisione il Sistema dei Componenti interno prendendo in esame: 1. Quali sono questi componenti; 2. Come si relazionano tra loro; 3. In che modo questi componenti funzionano singolarmente per rispondere alle esigenze interne del dispositivo e, di conseguenza, come garantiscono il funzionamento generale rispondendo alle esigenze del Soggetto (in quel contesto territoriale). Frangente in cui viene messa in pratica la funzione principale al vertice della piramide [Piramide delle funzione, Figura 40] 4. Quali funzioni possono essere condivisibili totalmente o parzialmente. L’analisi dei componenti prende in esame prima il loro funzionamento senza fare riferimento al Sistema Dispositivo, intendendoli come organi, che in attesa di un trapianto, devono essere mantenuti in vita a priori, anche separatamente dal sistema organismo dove andranno collocati. Successivamente vengono messi in relazione con il Sistema Componenti complessivo e quindi il loro funzionamento è preso in considerazione rispetto all’intero dispositivo, come si
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
relazionano tra loro per il funzionamento d’insieme e come possono essere efficienti in rapporto a questo risultato comune.
Scelte tecnologiche. Con il termine tecnologia si è scelto di indicare l’aspetto tecnico di cui si avvale il componente, o il dispositivo nel complesso, per funzionare. In questo momento il progettista si trova a scegliere i principi fisici, piuttosto che chimici, che stanno alla base delle funzioni del prodotto progettato, quale materiale dovrà presentare le caratteristiche descritte nel Concept, quale sarà la risorsa da sfruttare per ottenere quelle proprietà necessarie al suo funzionamento o quali sono gli accorgimenti tecnologici esistenti sfruttabili. Le risposte a questi quesiti devo chiaramente provenire dal contesto territoriale di riferimento e questa sarà la priorità nella loro scelta.
Il rapporto con il territorio. In questo passaggio il progettista verifica la validità delle relazioni all’interno del Sistema Casa e successivamente con il Sistema Territorio. Nel primo caso prende in considerazione i collegamenti che il dispositivo dovrebbe instaurare con altri dispositivi e con l’Ambito Domestico a cui appartiene oltre che con il Sistema Casa in generale. Nel secondo caso verifica invece l’adeguatezza dello sfruttamento delle Risorse offerte dal territorio, il rapporto con le Tradizioni peculiari della Comunità e la sua Cultura Materiale.
La produzione locale diffusa. In questo passaggio confluiscono anche tutti gli accorgimenti riguardanti la produzione del Dispositivo che dovrebbero basarsi sostanzialmente su un Modello Produttivo di questo tipo: la nuova figura del progettista si basa sulla contestualizzazione del suo operato sul territorio. Come vediamo nello schema l’azione del progettista deve essere calata sul Territorio fino ad “appartenergli” perché si rapporta direttamente ad esso prendendo in considerazione, attraverso lo studio della Caratterizzazione Territoriale, le Peculiarità che lo contraddistinguono, la sua Cultura Materiale, il KnowHow presente e l’esclusività delle Risorse offerte. Così facendo egli collabora direttamente o indirettamente con la Comunità in questione presiedendo un “Tavolo di Lavoro” virtuale dal quale
viene estrapolato un elenco di esigenze condiviso a cui il suo progetto dovrà rispondere. Questo viene messo in pratica grazie a processi di condivisione tipici della Open Culture, come banche dati comuni, libera fruizione di accorgimenti funzionali o di forme di utilizzo personali. In questa ipotesi di Produzione Diffusa lo spazio d’azione conferito alla comunità non si limita alla collaborazione con il progettista, dinamica in cui sostanzialmente viene delegata in maniera considerevole ad essa la responsabilità dell’ analisi delle esigenze da soddisfare su cui si basa il progetto: questa fase iniziale, quindi, non viene portata a termine con una ricerca tradizionale da parte del designer, ma deriva direttamente dall’esperienza concreta dei Soggetti. Oltre a questo il contributo della Comunità rientra nuovamente in gioco a livello produttivo e rigenerativo, per eventuali riparazioni a fronte di guasti, perché la produzione non viene conferita ad un contesto esterno a causa di qualche convenienza economica. Nel caso in cui sia necessario, la produzione viene divisa in due ammettendo l’esistenza di un ambito produttivo esterno di “Macrocomponenti” essenziali al funzionamento del futuro dispositivo, che riguarda essenzialmente quei tipi di produzione che non possono essere svolti a livello locale, perché pregiudicati in qualche modo dalla mancanza di strumenti, metodi o conoscenze. La scelta di questa realtà produttiva dovrà essere fatta prendendo in considerazione il minor impatto ambientale e sociale possibile, cercando di non travalicare eccessivamente da tutti i principi rispettati fino a quel momento e, soprattutto, con la consapevolezza che questa ipotesi venga affrontata solo perché non esistono soluzioni a livello locale. In tal caso si parla di Macrocomponenti perché risulta più appropriato portare a termine la produzione di quei gruppi di componenti che assolvono a funzioni principali, quindi ritenute fondamentali per il funzionamento del dispositivo, che poi verranno conferiti al territorio per il successivo assemblaggio finale dell’oggetto. Nonostante tutto, il trasporto di Macrocomponenti risolve a monte diverse problematiche relative alla logistica, come l’ottimizzazione degli spazi, o relative all’assemblaggio preliminare, svolto successivamente alla produzione e non in separata sede, quindi mantenendo accorgimenti come connessioni reversibili facilmente smontabili al momento di eventuali riparazioni e sostituzioni per guasti oppure, successivamente, per la dismissione. La seconda parte della produzione, nel caso non sia l’unica, viene affrontata a livello locale e riguarda invece quei componenti considerati “strutturali”, quindi producibili sicuramente sul territorio perché non richiedono produzioni altamente specializzate.
189
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
Figura 61. Nuove pratiche collaborative e produttive
CULTURA MATERIALE
KNOW-HOW
TERRITORIO
PECULIARITÀ
RISORSE
caratterizzazione territoriale
COMUNITÀ LOCALE SOGGETTO
3
SOGGETTO
1
SOGGETTO
2
n
RO PE CU RE
2
3
MACRO COMPONENTE
n
O D UT TIVO SIST E M A PR
PRODUZIONE LOCALE COMPONENTI
RETE DI VENDITA
COMPONENTE
1 2 3 n
COMPONENTE
COMPONENTE
COMPONENTE
COMPONENTI
e ion
MACRO COMPONENTE
ELENCO ESIGENZE CONDIVISO
MANUTENZIONE
is s
1 TAVOLO DI LAVORO
INTERVENTO ATTIVO (MAKER)
Dis m
MACRO COMPONENTE
MACRO COMPONENTE
Componente GUASTO
190
PRODUZIONE MACROCOMPONENTI
PROGETTISTA
SOGGETTO
NUOVI NUOVI NUOVI RIGENERATI RIGENERATI
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
In questo caso lo schema prevede un ulteriore intervento della Comunità perché è chiaramente ammessa la possibilità che questa parte produttiva venga sostituita a monte con pratiche di “Intervento Attivo” di autoproduzione. Il Soggetto che vuole dare un contributo più ampio decide di mettersi in gioco attraverso una rete di condivisione di informazioni e abbracciare quelle pratiche provenienti ancora una volta dalle attività di Open Design definite D.I.Y. (Do It Yourself); tramite questa rete globale egli entra in contatto con chi ha già affrontato localmente l’autoproduzione di qualcosa di simile, se non addirittura analogo, e dopo un confronto concreto decide di ripetere la pratica adattandola alle proprie esigenze e al proprio contesto se necessario, anche solo utilizzando banalmente altri materiali o altre tecniche produttive locali. Una volta prodotti i Componenti e i Macrocomponenti necessari secondo questo Sistema Produttivo Diffuso
TE
CONFIGURAZIONE PRODOTTO
1
ENDITA
CONFIGURAZIONE PRODOTTO
2 ASSEMBLAGGIO
CONFIGURAZIONE PRODOTTO
3
CONFIGURAZIONE PRODOTTO
n
la fase dell’assemblaggio viene prevista localmente appena prima la fase che coinvolge la Rete di Vendita: qui verranno assemblati i prodotti utilizzando Componenti Strutturali dalla produzione locale, Macrocomponenti Funzionali provenienti da produzioni locali, se possibile, o da contesti direttamente riconducibili a queste e anche Componenti Rigenerati derivanti da eventuali riparazioni successive a guasti. L’assemblaggio viene fatto in loco per evitare a monte le problematiche di sostenibilità ambientale legate alla logistica, trasportare componenti invece che dispositivi assemblati ottimizza gli spostamenti e gli spazi; inoltre rispetterà con precisione gli accorgimenti attuali di un assemblaggio “just in time” per mantenere un alto livello di reattività su cui si basa la configurabilità dei prodotti in questione quando questa non risiede totalmente nell’autoproduzione dei Maker. Successivamente al momento della vendita, realizzata tramite una rete del tutto locale, si sottolinea che il prodotto finito viene trasferito direttamente alla Comunità, sarà pronto all’uso e il ciclo produttivo si chiuderà localmente. Quando si assiste al guasto di un componente, che pregiudichi o meno l’attività del dispositivo, questo può essere sostituito o riparato perché è stato previsto a livello progettuale un facile disassemblaggio del prodotto in quanto non sono state considerate connessioni non reversibili. In questo modo tutte le pratiche relative al recupero, alla rigenerazione e alla riparazione tornano a prendere vita dopo essere state messe da parte dall’attuale consumo intensivo. Non verrà ammessa nessuna possibilità di obsolescenza e si cercherà di arginare nel modo più completo possibile il problema dell’effetto “Black Box”. La Rete Produttiva Diffusa presenta quindi alcune caratteristiche considerabili virtuose rispetto secondo i principi abbracciati in questa tesi di ricerca che possono essere descritte in questo modo: - la concretizzazione di un mercato di riferimento chiaro, trasparente e bene definito. - la proliferazione di attività lavorative legate all’assemblaggio - la riscoperta di una maggior numero di attività lavorative riguardanti la riparazione e alla manutenzione. - il sorgere di un ampio orizzonte composto da attività relative alla collaborazione - la suddivisione razionalizzata della mole di lavoro diffusa sul territorio attraverso una rete locale che trascende da esso solo in caso di stretta necessità. - la diffusione della responsabilità condivisa e diffusa su una rete di piccola scala. - il rispetto del legame con tradizioni e cultura locali. - il mantenimento a livello locale della ricchezza derivata dallo sfruttamento delle Risorse offerte dal territorio e il controllo della loro riproducibilità.
191
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
L’ingegnerizzazione del progetto. Con il termine ingegnerizzazione viene definito l’ultimo step progettuale in cui il designer si confronta con esperti e consulenti dei settori le cui conoscenze sono coinvolte nella definizione del dispositivo. Dal punto di vista tecnico il risultato da ottenere è lo stesso che otterremmo concludendo un percorso progettuale tradizionale: la definizione in modo dettagliato e particolare di tutti gli accorgimenti tecnici del progetto che ci consenta la realizzazione di un prototipo funzionante. Dal punto di vista progettuale in questo caso assistiamo a svariati cambiamenti conseguenti all’affermazione di questa nuova figura del progettista. All’inizio dalla progettazione questo si è trovato a dialogare da un lato con profili provenienti dai vari campi di ricerca che potevano dare un contributo al progetto (come biologi, chimici o fisici ecc.) e dall’altro con i Soggetti coinvolti attivamente nella collaborazione locale; in questo momento invece dovrà definire gli aspetti “produttivi” con figure professionali più tecniche (impiantisti, artigiani o responsabili di produzione ecc.) in modo che questo dispositivo possa essere prodotto rispettando alcune caratteristiche: - la predisposizione allo smontaggio: garantita da connessioni reversibili e facilmente accessibili che possa permettere riparazioni, sostituzioni in caso di guasti. - la predisposizione alla configurabilità: da intendere su tre livelli; rispetto al territorio: il dispositivo può essere inteso come riproducibile in contesti territoriali differenti ammettendo l’utilizzo di materiali e metodi produttivi peculiari del luogo; relativa alla produzione: che può prevedere diverse configurazioni dell’oggetto nel rispetto delle sue relazioni con altri ambiti del Sistema Casa; nei confronti del Soggetto: considerando la possibilità di una sua iniziativa di collaborazione attiva, intendendolo come “maker” che agisce direttamente sul prodotto conformandolo alle proprie esigenze personali sfruttando le pratiche tipiche dell’Open Design che comprendono anche la produzione da download. - la predisposizione al funzionamento in relazione ai vari ambiti della casa.
192
4. Il Dialogo tra Sistema Casa e Sistema Territorio
193
Dispositivo per il trattamento dei rifiuti
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
5
Dispositivo per il trattamento dei rifiuti Il dispositivo facente parte del Sistema Casa, riguarda l’ambito “Trattamento Rifiuti” e trova la sua ragion d’essere nel favorire il dialogo con il territorio circostante attraverso la valorizzazione di scarti provenienti dagli ambiti di “Trasformazione Cibo” e “Coltivazione”. Per quanto riguarda i rifiuti solidi la principale funzione è la riduzione dell’ingombro con relativo stoccaggio; per quelli organici è l’accelerazione del processo di compostaggio attraverso l’aumento della temperatura congiunto all’azione meccanica di triturazione-cippatura. La struttura del dispositivo è modulare, i tre insiemi di componenti relativi ai rispettivi rifiuti (plastica, alluminio e organico) possono essere utilizzati singolarmente oppure nella composizione presentata. I macrocomponenti relativi alle funzioni principali ottimizzano le loro azioni sfruttando principi meccanici base, facilmente producibili a livello locale. Il macrocomponente indicato nell’esploso come pressa meccanica è condiviso nella funzione di riduzione ingombro sia dalla parte relativa al “solido plastica” che dal “solido alluminio”. La struttura portante del dispositivo è configurabile da parte dell’utente. La sua conformazione “rudimentale” è facilmente riproducibile, anche attraverso pratiche DIY e riconosce la sua ragion d’essere nella caratteristica distintiva del “prodotto declinabile”. Il piano di lavoro previsto nella parte superiore del dispositivo mette in relazione le azioni svolte con altri ambiti del Sistema Casa: in questo caso è stato adibito alla coltivazione su scala ridotta, che comprende anche la coltura di funghi commestibili. Questa può essere un’opzione personalizzabile a discrezione del Soggetto utilizzatore. L’uso è previsto esternamente all’ambiente domestico e l’approvvigionamento elettrico è garantito da un fotovoltaico flessibile dimensionato in base ai consumi. Le connessioni sono reversibili. Tutte le parti strutturali che veicolano il dialogo con il Soggetto sono contraddistinte da un linguaggio cromatico e di comprensione facilitata senza ricorrere ad una vera e propria interfaccia.
196
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
INDICE DELLA SEZIONE
198 201 213 213 217 217 220 225
5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7 5.8
Il percorso progettuale ha inizio Smontaggio e studio dei componenti Le relazioni del dispositivo con altri ambiti I concept La definizione del processo Le scelte tecnologiche La definizione del concept La conclusione del percorso progettuale
CLASSIFICAZIONE PROGETTO
area asciugatura
lavaggio
riscaldamento
trattamento acqua
trattamento aria
conservazione
stoccaggio acqua
trasformazione cibo
trattamento rifiuti
coltivazione
Ambito Domestico Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Relazione Sistemica Facilitatore Declinabile
Rapporto con il Territorio
197
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
5.1 Il percorso progettuale ha inizio.
L’
opportunità di lavorare a questo progetto è nata nel 2012 all’interno della collaborazione con l’ufficio Indesit Polito Branch, distaccamento Torinese della New Businees Unit del colosso italiano dell’industria bianca Indesit Company, con sede all’interno del Politecnico di Torino. Essendo questo un ufficio con il compito di esplorare nuovi campi di ricerca reputabili interessanti per l’azienda, lo scambio di informazioni iniziale è stato molto generico: tutto il Plastica
Step 1 Problematica
2 Problematica
3 Obiettivo
Compattare Azione meccanica
Stoccare Spazio
Agevolare la raccolta Differenziata
Alluminio
Compattare Azione meccanica
Stoccare Spazio
Agevolare la raccolta Differenziata
Carta
Sminuzzare Azione meccanica
Stoccare Spazio
Differenziata
Organico
Poli accoppiati
Dividere Soluzione chimica
Stoccare Spazio
Agevolare la raccolta
Dopo una superficiale ricerca sullo stato dell’arte di vari metodi generici per il trattamento dei rifiuti il campo d’indagine si è ridimensionato notevolmente, comprendendo che il futuro dispositivo avrebbe dovuto svilupparsi come un “nuovo elettrodomestico” multifunzione che potesse processare rifiuti solidi differenziati come plastica e alluminio oppure rifiuti organici. Per l’interlocutore il trattamento dei rifiuti solidi veniva considerato come la riduzione di volume e il relativo stoccaggio facilitato impiegando meno spazio, per questo motivo le altre due categorie di rifiuto differenziato che possiamo trovare abitualmente nelle nostre case non sono state
198
percorso è nato con l’obiettivo di sviluppare un progetto per il trattamento generale dei rifiuti sfruttabile in ambito domestico o comunitario (circondario di abitazioni con interesse comune) piuttosto che in ambito Ho.Re.Ca. (acronimo utilizzato nel settore per indicare il contesto commerciale delle realtà medio-piccole come Hotel, Ristoranti e Caffè). In figura sono riassunte le esigenze alle quali questo dispositivo avrebbe dovuto rispondere:
Agevolare la raccolta Differenziata
Tritare Azione meccanica
Stoccare Spazio
Riutilizzare come risorsa Nuovi processi per un valore aggiunto
ritenute interessanti. Il margine d’azione su di esse era troppo limitato: la riduzione di volume della carta non è stata considerata prioritaria in quanto il suo stoccaggio attualmente non è problematico; mentre il vetro è stato ritenuto troppo impegnativo da trattare in ambiente domestico, a causa di vincoli di sicurezza troppo restrittivi. Ecco che il brief del dispositivo iniziava a prendere forma: le esigenze principali di cui tener conto erano la riduzione di volume e lo stoccaggio di plastica e alluminio, mentre per l’organico l’interesse era quello di produrre compost.
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Nozioni per il progetto. Il compostaggio.
1_nutrienti equilibrati composti da un misto di materie carboniose (brune-dure-secche) e di materie azotate
CASA E CUCINA
(verdi-molli-umide) 2_umidità che proviene dalle materie azotate (umide) ed eventualmente dall’acqua piovana o apportata manualmente 3_aria che si infiltra attraverso la porosità prodotta dalla presenza delle sostanze carboniose strutturanti (dure). Per questo motivo i materiali che comunemente possiamo trovare in un ambiente domestico extraurbano ritenuti compostabili possono essere: -rifiuti azotati: scarti vegetali, di giardino (tagli di siepi, erba del prato...), foglie verdi, rifiuti domestici (frazione umida), limitando i residui di origine animale e mischiandoli bene a quelli di origine vegetale. -rifiuti carboniosi: rami derivanti dalla potatura (meglio se sminuzzati con un biotrituratore, altrimenti risulteranno poco aggredibili da parte dei microrganismi), foglie
OUTPUT
MATERIA ORGANICA
equilibrio chimico
ORTO E GIARDINO
Figura 62. Il processo di compostaggio
INPUT
Il compostaggio, o biostabilizzazione, è un processo biologico aerobico, controllabile dall’uomo, che partendo da residui organici (come scarti di cucina, residui di potatura, foglie ed erba sfalciata) in particolari condizioni di equilibrio chimico porta alla produzione di una miscela di sostanze umificate (il compost) mediante l’azione di macro e microrganismi (come batteri e funghi). Il compost può essere utilizzato come fertilizzante e il suo utilizzo, con l’apporto di sostanza organica migliora la struttura del suolo e la biodisponibilità di elementi nutritivi (composti del fosforo e dell’azoto). Come attivatore biologico aumenta inoltre la biodiversità della microflora nel suolo. Per avere un buon compost, bisogna capire che sono gli organismi decompositori del suolo a produrlo. Essi, per vivere, hanno bisogno di tre parametri:
batteri
ossigeno
funghi
VARIABILI PROCESSO DI DECOMPOSIZIOINE
compost 199
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
secche, paglia (si terranno da parte accuratamente queste materie e le si mischierà man mano ai rifiuti azotati che si produrranno di giorno in giorno); -fondi di caffè, filtri di tè, gusci di uova, gusci di noci; -lettiere biodegradabili di animali erbivori; -carta, evitando quella stampata e quella patinata. -pezzi di cartone (fungono anche da rifugio per eventuali lombrichi); -pezzi di tessuti 100% naturali (lana, cotone), ecc. Chiaramente il processo di compostaggio può avvenire in maniera naturale lasciando fare al tempo il suo corso e attendendo il risultato voluto oppure può essere “accelerato” agendo su alcune dinamiche tipiche del processo. Per definire quali possono essere questi parametri è stato osservato il processo con maggiore attenzione. Il compostaggio naturale può essere suddiviso in compostaggio a caldo e a freddo: Si intende “a caldo” il compostaggio di una grande quantità di materiale di scarto, almeno un metro cubo, che decomponendosi, produce calore; al centro della massa di materiale organico la temperatura può raggiungere i 60° C. Il problema principale è quello di evitare che il materiale diventi marcescente e maleodorante, per questo motivo è importante controllare: - la temperatura, affinché rimanga costante senza aumentare troppo considerevolmente. - l’aerazione : perché i batteri e i microrganismi si propaghino nei nostri rifiuti è bene che la presenza di ossigeno sia alta, altrimenti al loro posto si produrrebbero troppi batteri anaerobi, tipici della marcescenza, che produrrebbero nel nostro compost cattivo odore e composti tossici.
In ambito domestico la produzione di compost viene affrontata in modo diverso : sostanzialmente i composter casalinghi funzionano come degli elettrodomestici, quindi grazie al consumo di energia elettrica “intensificano” il processo. Per ottenere questa accelerazione si agisce su parametri diversi come: - la temperatura: controllata e mantenuta a livelli superiori dei 30°C agevola la trasformazione degli scarti. - l’ossigenazione: forzata grazie ad un rimescolamento continuo favorisce l’attività aerobica.
200
- la densità del composto, in modo che il materiale non si compatti troppo rapidamente, impedendo all’aria di circolare liberamente. - l’umidità, poichè per la corretta proliferazione dei batteri nel compost è necessario il giusto grado di umidità garantendo una buona presenza di acqua oppure una buona quantità di materiale umido, come erba o scarti della pulizia di frutta e verdura. In un compost secco e in un compost zuppo di acqua i batteri muoiono e il nostro compostaggio fallisce. - il rapporto Carbonio/Azoto: per garantire una buona decomposizione è bene ricordare che i batteri proliferano meglio in un substrato molto ricco di Carbonio, (che troviamo nel legno, nella paglia, nella carta), ma è comunque necessario il giusto tenore di Azoto, (in alta quantità ad esempio negli scarti di cucina) che deve essere presente in quantità assai minore rispetto al Carbonio. Se invece lo spazio a disposizione è ridotto e viene utilizzato un contenitore con volumi più contenuti allora il compostaggio sarà a freddo perché la sua temperatura non potrà raggiungere i 60° C. In questo caso è considerabile utile avvalersi dell’azione dei lombrichi: è sufficiente porli nel contenitore mantenendolo aerato e coperto, insieme a fogli di carta inumiditi, avanzi di cucina e altra terra; posizionare il contenitore in un luogo ombreggiato e ci aiuteranno a decomporre il materiale organico, generando un ottimo humus. Normalmente la durata del processo è molto variabile a seconda del materiale utilizzato, il risultato migliore comunque si ottiene dopo 6-9 mesi, anche se è possibile iniziare ad utilizzare il primo compost già dopo 2-3 mesi con la consapevolezza che la sua qualità come fertilizzante non sarà di alto livello.
- la dimensione degli scarti: ridotta uniformemente da processi meccanici a monte garantisce una dimensione dell’organico facile da attaccare e processare. - l’attivazione del processo: tramite enzimi o organismi starter viene creata la situazione ottimale perché il processo cominci subito appena uno scarto è introdotto nel dispositivo.
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Nozioni per il progetto. La biodegradabilità.
La biodegradabilità è la proprietà delle sostanze organiche e di alcuni composti sintetici, di essere decomposti dalla natura, o meglio, dai batteri saprofiti. Questa proprietà permette il regolare mantenimento dell’equilibrio ecologico del pianeta. Una sostanza decomponibile, viene attaccata da alcuni batteri che ne estraggono gli enzimi necessari alla decomposizione in prodotti semplici, dopodiché l’elemento viene assorbito completamente nel terreno. Una sostanza non decomponibile (o decomponibile a lungo termine), rimane nel terreno senza venire assorbita, provoca inquinamento e favorisce diverse problematiche ambientali. I batteri saprofiti. Col termine saprofita, dal greco sapros “marcio” e phyton “pianta”, si indicano quegli organismi che si nutrono di materia organica morta o in decomposizione. Sono saprofiti la maggior parte dei funghi e licheni, che, infatti, sono formati da cianobatteri e funghi (gli altri sono parassiti o simbiotici), e parte dei batteri e protozoi. Alcune volte vengono definiti saprofiti anche certi tipi di orchidee e inusuali piante prive di clorofilla. Il termine saprofita è però improprio nei funghi e batteri che non sono più classificati come appartenenti al regno vegetale. Questi organismi sono eterotrofi, cioè incapaci di sintetizzare materia organica partendo da composti inorganici. Sono fondamentali nelle catene alimentari degli ecosistemi in quanto decompositori (cioè contribuiscono a “smontare” le sostanze organiche in elementi inorganici o comunque meno complessi , quali acqua, sali minerali, anidride carbonica) partecipando alla formazione
dell’humus. Alcuni generi tra i funghi saprofiti sono: Agaricus, Coprinus, Macrolepiota, Lepista. Gli enzimi. Sono i catalizzatori dei sistemi biologici. La parola enzima deriva dal greco enzýmo, e significa “nel lievito”. La stragrande maggioranza degli enzimi sono proteine (proteine enzimatiche). Una piccola minoranza di enzimi sono molecole di RNA. Le molecole di RNA dotate di potere catalitico costituiscono una sottocategoria peculiare degli enzimi chiamata ribozimi (o enzimi a RNA). Il processo di catalisi indotta da un enzima (come da un qualsiasi altro catalizzatore) consiste in una accelerazione della velocità della reazione e quindi in un più rapido raggiungimento dello stato di equilibrio termodinamico. Un enzima accelera unicamente le velocità delle reazioni chimiche, diretta ed inversa (dal composto A al composto B e viceversa), senza intervenire sui processi che ne regolano la spontaneità. Il suo ruolo consiste nel facilitare le reazioni attraverso l’interazione tra il substrato (la molecola o le molecole che partecipano alla reazione) ed il proprio sito attivo (la parte di enzima in cui avvengono le reazioni), formando un complesso. Avvenuta la reazione, il prodotto viene allontanato dall’enzima, che rimane disponibile per iniziarne una nuova. L’enzima infatti non viene consumato durante la reazione.
5.2 Smontaggio e studio dei componenti.
Per capire meglio come funzionano questi “piccoli elettrodomestici” (così classificati dall’industria bianca) l’azienda ha messo a disposizione due dispositivi, già in commercio, considerati concorrenti: il Nature Mill e il Coway. Il primo dispositivo, ancora nuovo, è stato messo in funzione e testato alle differenti velocità selezionabili
dalla sua rudimentale interfaccia; successivamente è stato smontato e studiato a livello di componenti con le relative funzioni. Il secondo dispositivo, non più funzionante perché già oggetto di prove passate, è stato direttamente smontato e analizzato a livello di componenti.
201
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Test. Funzionamento NatureMill.
Modello testato
Gamma prodotti
Spaccato interno
Timeless style _Automatic compost bin _Indoor / outdoor, no trash odor _1 year warranty / lifetime filter _4 gallon (15 L) weekly capacity _Genuine steel exterior available _Quietest: 47 db average
Test prova
3
1° Settimana Per la prima settimana con l’introduzione del materiale organico iniziale il dispositivo produce quasi esclusivamente percolato che necessita uno scarico continuo a causa dei cattivi odori molto intensi. Questo problema è riportato dalla casa costruttrice sul manuale.
2° Settimana
nz di a ag sc g do art iun po i or ta tra cir gan con sf ca ic tin ua in orm 10 i co az gg m io la po ne st è ul tim at a
2
Inserimento quotidiano di circa 500 g di scarti organici selezionati secondo le istruzioni del dispositivo
Se
1
3 Il m a in ter izi ia a l in a t e or co ra ga m sfo ni po rm co st ar si
2 Pr im sc a in ar tr ti od or u ga zi ni on ci e
1
3° Settimana Il risultato viene raggiunto completamente circa 10 giorni dopo l’entrata a regime del dispositivo
scarico Gli accorgimenti tecnici proposti dalla casa non risultano adeguati: - pellet e bicarbonato (forniti con il dispositivo) non risolvono completamente il problema dei cattivi odori - il controllo di intensità del ciclo di lavoro non permette al dispositivo momenti di pausa e a ciclo “intenso” (il più utilizzato) il rumore continuo della ventola interna risulta invasivo.
202
intenso medio leggero potenza ciclo
Pellet anti-odore
Display controllo intensità ciclo
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Test. Smontaggio NatureMill.
Modello testato Timeless style _Automatic compost bin _Indoor / outdoor, no trash odor _1 year warranty / lifetime filter _4 gallon (15 L) weekly capacity _Genuine steel exterior available _Quietest: 47 db average
LEGENDA VALUTAZIONE SMONTAGGIO intuizione smontaggio: FACILE | NORMALE | DIFFICILE | IMPOSSIBILE pratica smontaggio: FACILE | NORMALE | DIFFICILE | IMPOSSIBILE reversibilità connessione: TOTALE | PARZIALE | CON DIFFICOLTA’ | NULLA
RIMOZIONE RIVESTIMENTO POSTERIORE Tipo di connessione: collante non reversibile Strumento necessario: nessuno Descrizione: Il foglio polimerico di rivestimento posteriore viene rimosso utilizzando semplicemente le mani. Il collante utilizzato non pone resistenza ma questa connessione non è reversibile.
intuizione smontaggio:
1
NORMALE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
NULLA
ACCESSO AL MOTORE E ALLA VENTOLA Tipo di connessione: nessuna Strumento necessario: nessuno Descrizione: Una volta rimosso il rivestimento posteriore si accede direttamente ai primi due componenti che permettono il funzionamento del dispositivo. Sulla destra vediamo il motore: occupa uno spazio nella parete posteriore ed è “appoggiato” nell’apposito vano; dal carter del motore parte il braccio adibito al rimescolamento, la connessione è ad incastro e il tutto è avvolto da un elastico. Sulla sinistra vediamo la ventola, anche questa occupa uno spazio all’interno di un vano sullo spigolo della parete posteriore; questo componente non è incastrato ed è “avvolto” da 4 fogli di spugna, da esso partono 3 tubi in gomma che si infilano tra le due porzioni laterali della struttura.
2
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
TOTALE
203
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
RIMOZIONE CONNESSIONE POSTERIORE Tipo di connessione: collante non reversibile Strumento necessario: cacciavite punta a taglio Descrizione: nel vano che ospita la ventola è incollata una “linguetta” in materiale polimerico che partecipa a tenere insieme i due gusci laterali e blocca i cavi e uno dei tubicini in gomma della ventola.
intuizione smontaggio:
3
NORMALE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
NULLA
RIMOZIONE DELLA LAMINA METALLICA CHE AVVOLGE IL DISPOSITIVO Tipo di connessione: collante a caldo non reversibile Strumento necessario: nessuno Descrizione: Un foglio di lamiera avvolge il dispositivo sulle pareti laterali e frontale. Oltre ad una funzione estetica questa lamina partecipa alla connessione dei due gusci laterali mantenendoli assemblati come un carter. Con il semplice uso delle mani è possibile scollare la lamina che è incollata trammite colla a caldo ai gusci laterali.
intuizione smontaggio:
4
NORMALE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
NULLA
RIMOZIONE DEL FRONTALE CON INTERFACCIA Tipo di connessione: collante a caldo non reversibile Strumento necessario: nessuno Descrizione: Il foglio polimerico di rivestimento su cui è riportata la grafica dell’interfaccia frontale è incollato sulla parte superiore della facciata. La sua rimozione è più facile delle precedenti e sotto possiamo trovare una piastra in silicio su cui sono disposti tre tasti a pressione in corrispondenza della grafica dell’interfaccia. La piastra in silicio è incastrata in un apposito vano e i fili elettrici che partono da essa si infilano nella fessura tra le due pareti dei gusci.
intuizione smontaggio:
6
204
NORMALE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
NULLA
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
RIMOZIONE PIASTRA INTERFACCIA Tipo di connessione: nessuna Strumento necessario: nessuno Descrizione: La piastra in silicio è incastrata in un apposito vano e i fili elettrici che partono da essa si infilano nella fessura tra le due pareti dei gusci racchiusi in una guaina in gomma.
7
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
TOTALE
DIVISIONE DEI GUSCI LATERALI Tipo di connessione: collante non reversibile Strumento necessario: nessuno Descrizione: Una volta rimossi tutti i rivestimenti esterni incollati alla struttura portante del dispositivo è possibile dividere i due gusci che la costituiscono. Questi sono uniti grazie ad un collante disposto solo in alcune porzioni degli spigoli che vanno a coincidere; non sono presenti incastri e questa divisione è possibile con il solo utilizzo delle mani.
8
intuizione smontaggio:
DIFFICILE
pratica smontaggio:
NORMALE
reversibilità connessione:
NULLA
RIMOZIONE GUSCIO SINISTRO.
9
Tipo di connessione: nessuna Strumento necessario: nessuno Descrizione: Una volta rimossa la parte sinistra del carter è possibile accedere completamente alla parte destra su cui sono disposti tutti i componenti del dispositivo tramite degli incastri. Nella parte inferiore del serbatoio di raccolta per gli scarti organici è presente un fondo in metallo con le due “botole” ad apertura dalle quali si scarica il compost prodotto. Il primo componente facilmente rimuovibile risulta il motore con il braccio di mescolamento che però rimane ancora unito allo spinotto elettrico e al fondo del serbatoio dai cavi elettrici.
205
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
RIMOZIONE VENTOLA Tipo di connessione: nessuna Strumento necessario: nessuno Descrizione: I tubicini in gomma che partono dalla ventola percorrono delle apposite vie per raggiungere il serbatoio di raccolta; sono incastrati in queste scanalature che risultano incrostate da residui di compost e scarti organici che rendono poco agevole la loro rimozione.
10
intuizione smontaggio:
NORMALE
pratica smontaggio:
NORMALE
reversibilità connessione:
PARZIALE
RIMOZIONE FONDO SERBATOIO DI RACCOLTA Tipo di connessione: incastro Strumento necessario: nessuno Descrizione: La parte inferiore del serbatoio di raccolta che costituisce il fondo sul quale sono presenti le botole di scarico è facilmente rimuovibile senza l’uso di attrezzi perchè semplicemente incastrato.
11
intuizione smontaggio:
NORMALE
pratica smontaggio:
DIFFICILE
reversibilità connessione:
PARZIALE
RIMOZIONE CAVI ELETTRICI Tipo di connessione: chiodi Strumento necessario: cacciavite a taglio Descrizione: A questo punto è necessario rimuovere i cavi elettrici che percorrendo delle apposite vie nel guscio mantengono uniti i componenti finora descritti. La loro rimozione non è difficoltosa ma è necessario un cacciavite a taglio perchè sono fatti aderire alle pareti in Temperene tramite dei chiodi.
12
206
intuizione smontaggio:
NORMALE
pratica smontaggio:
NORMALE
reversibilità connessione:
PARZIALE
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
RIMOZIONE FILTRO ARIA Tipo di connessione: incastro Strumento necessario: nessuno Descrizione: l’ultimo componente a cui si ha accesso è il filtro dell’aria che risulta incastrato a fianco alla lamina del serbatoio di raccolta in un apposito vano. La sua rimozione non è difficoltosa e non sono necessari strumenti.
12
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
PARZIALE
__________ componenti le nta fro to en im t s rive
ale ter e la
ico an org ne io z u od intr llo rte spo
a istr sin te an ort p cca sco
olta acc ar asc v llo rte spo
re ato rm sfo tra e ion taz en alim o cav
di chio
ccia rfa inte a r e sch ma
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tola ven
ria tti a do con
ta tra en tto do n o c
aria
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ccia rfa inte da e h sc
tole bo
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re oto om stic la e
st po com o ic r sca
re rio ste po nto e stim rive
st po com olta c c ra
toio ba ser do n o f
e tor ela isc io m c c bra
207
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Test. Smontaggio Coway.
Modello testato Coway WM03 Food Waste Treatment System Disposal Method: Heat and Grind Volume Reduction: 90 % Capacity: 1kg per session Processing Time: Approx. 4 hrs/cycle Deodorization: Composite Filter (AC + Urethane) Power Consumption: 485 W Dimension (W x H x D): 293 X 389 X 307 mm Net Weight: 28.7 lb (13 kg)
LEGENDA VALUTAZIONE SMONTAGGIO intuizione smontaggio: FACILE | NORMALE | DIFFICILE | IMPOSSIBILE pratica smontaggio: FACILE | NORMALE | DIFFICILE | IMPOSSIBILE reversibilità connessione: TOTALE | PARZIALE | CON DIFFICOLTA’ | NULLA
RIMOZIONE TUBO SCARICO Tipo di connessione: avvitamento Strumento necessario: nessuno Descrizione: Il tubo di scarico percolato nella rete idrica viene rimosso con facilità, dopo l’utilizzo risulta sporco. La connessione è reversibile.
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
TOTALE
1
RIMOZIONE ALLACCIO SCARICO Tipo di connessione: viti Strumento necessario: cacciavite Descrizione: la prima operazione necessaria per lo smontaggio dell’apparecchio è la rimozione della connessione del tubo di scarico per rendere possibile la separazione del carter dalla base. Questa connessione è direttamente raggiungibile e totalmente reversibile.
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
2
208
TOTALE
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
SMONTAGGIO CARTER Tipo di connessione: viti Strumento necessario: cacciavite Descrizione: vengono rimosse 8 viti che connettono il carter alla base. La loro accessibilità è diretta e anche in questo caso la reversibilità della connessione è totale.
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
TOTALE
3
RIMOZIONE CABLAGGIO IMPIANTO ELETTRICO Tipo di connessione: pin e morsetti a incastro Strumento necessario: nessuno Descrizione: per proseguire nello smontaggio risulta necessaria la rimozione totale dei cavi dell’impianto elettrico che connettono i vari componenti dell’apparecchio.
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
TOTALE
4
209
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
RIMOZIONE ACCESSO SERBATOIO RIFIUTI ORGANICI Tipo di connessione: viti Strumento necessario: cacciavite Descrizione: per disassemblare il serbatoio dei rifiuti organici è necessario rimuovere la parte dell’accesso iniziando con la guarnizione che connette la bocchetta allo sportello del carter.
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
TOTALE
5
RIMOZIONE BASE E ACCESSO FILTRO Tipo di connessione: viti Strumento necessario: cacciavite Descrizione: La parte inferiore dell’apparecchio è costituita da una base su cui si innestano i vari componenti tramite una serie di viti. Risulta necessario saparare il blocco di componenti e base (ancora connessi tra loro) dalla parte inferiore del carter per proseguire lo smontaggio. Procedendo in questo modo si ha accesso al filtro “Composite Filter (AC + Urethane)” in un vano direttamente accessibile anche dall’utente senza intervenire sul resto della struttura e delle connessioni.
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
TOTALE
6
RIMOZIONE SNODO AEREAZIONE Tipo di connessione: incastro Strumento necessario: nessuno Descrizione: per poter accedere alle connessioni che fissano la scheda elettronica agli altri componenti è necessario smontare lo snodo della bocchetta di aereazione. Questo snodo è semplicemente incastrato, la sua accessibilità è diretta e la connessione è totalmente reversibile. intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
7
210
TOTALE
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
RIMOZIONE ISOLANTE CAMERA DEI RIFIUTI ORGANICI Tipo di connessione: velcro Strumento necessario: nessuno Descrizione: il gruppo di componenti rimasto comprende anche il serbatoio dove viene trattato il rifiuto organico, per accedere alle sue connessioni è necessario rimuovere la coperta isolante che lo avvolge. È possibile raggiungere la sua chiusura a velcro facilmente raggiungibile. La connessione è totalmente reversibile. Nella sua parte interna la coperta presenta un foglio di alluminio per favorire l’isolamento.
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
TOTALE
8
RIMOZIONE GRUPPO SERBATOIO DI RACCOLTA Tipo di connessione: viti Strumento necessario: cacciavite Descrizione: proseguendo con lo smontaggio si deve affrontare un sistema di viti che connettono il serbatoio di raccolta, il motore e la base interna dell’apparecchio. Per questo è necessario rimuovere gli ultimi cablaggi rimasti e un tubicino di sfiato. intuizione smontaggio:
9
B
pratica smontaggio: reversibilità connessione:
DIFFICILE FACILE TOTALE
C
A C
A
C
B
A
B
10
RIMOZIONE MOTORE Tipo di connessione: viti Strumento necessario: cacciavite Descrizione: a questo punto i due gruppi di componenti (motore “A” e serbatoio “B”) rimangono connessi tra loro perchè ancora fissati alla piastra laterale “C” dove ha sede la catena di trasmissione ma è possibile separarli dalla base dell’apparecchio accedendo all’ultima serie di viti.
intuizione smontaggio:
DIFFICILE
pratica smontaggio:
NORMALE
reversibilità connessione:
TOTALE
211
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
RIMOZIONE INGRANAGGIO TRASMISSIONE DALLA BASE Tipo di connessione: viti Strumento necessario: cacciavite Descrizione: l’ultima parte smontabile a questo punto rimane l’ultimo ingranaggio fissato alla base. Facilemnte rimovibile accedendo alle viti. La connessione è totalmente reversibile.
12
intuizione smontaggio:
FACILE
pratica smontaggio:
FACILE
reversibilità connessione:
PARZIALE
componenti
ica idr ete or ic r sca
st po com lta o c rac to set cas
ura utt str se a b
a ed sch
rico sca ne io s s ne con
rico sca do sno
ccia rfa inte
a nic ttro ele
212
e ion iss sm tra a en cat
ti rifiu ata ntr e ne izio arn gu
ica ron lett ae d e sch rto po sup
to ian imp set viti divise in gruppi
o filtr
i pp gru gio oio e g t a fiss serba a se ba tore, lettric mo stra e pia
o ern est ter car
gio og pp ea
toio ba ser nto e m ola a is ert cop
i pp gru gio ag atoio s is erb af str e s pia tore mo
i nic rga ti o iu if r toio ba ser
i ttric i ele cav
e tor mo
to en vim mo e n sio mis ras gi t g a ran ing
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
5.3 Le relazioni del dispositivo con altri ambiti domestici.
Dallo smontaggio di questi due compostatori è stato possibile capire che il loro funzionamento soddisfa perfettamente le esigenze in entrambi i casi, ma la struttura più semplice, tendente quasi al carattere rudimentale, del Nature Mill è più appropriata: anche se il processo in questo caso necessita di alcuni giorni in più per concludersi viene svolto agevolmente con costi molto minori, infatti il consumo elettrico risulta inferiore come anche il prezzo del prodotto. Questo è il caso in cui l’invasività dell’intervento umano su un risultato che deriva dalla natura è “veramente” utile fino ad un certo “livello”, ammesso che l’accelerazione del processo sia l’obiettivo da raggiungere. Oltre questo livello si assiste ad una sorta di “accanimento” tecnologico non giustificabile dall’ esito ottenuto. Una volta compreso meglio come funziona la
biostabilizzazione, la deduzione a cui giungere è stata spontanea: di per sé già questo processo potrebbe essere considerato sistemico in quanto non fa altro che valorizzare gli scarti provenienti dagli ambiti domestici della trasformazione del cibo e della coltivazione attraverso una trasformazione per ottenere il compost, risorsa utile come input per qualcos’altro. Si è pensato di considerare la coltivazione: essendo il nostro prodotto una risorsa molto versatile, la proposta è stata quella di impiegarlo anche per altri obiettivi, uno poteva essere quello della coltivazione di funghi commestibili. In questo caso il compost poteva svolgere la funzione di substrato a cui aggiungere altri scarti ricchi di cellulosa, come ulteriori sfalci non processati e fondi caffè, che contengono sostanze nutritive utili al rafforzamento e all’accelerazione della fruttificazione di alcuni tipi di fungo come il Pleurotus Ostreatus. Figura 63. L’ipotesi della funghicoltura
Micelio Fondi di caffè Compost
SUBSTRATO
Sfalci secchi
(umidità e temperatura controllate)
Processo
PREPARAZIONE DEL SUBSTRATO
AGGIUNTA DEL MICELIO
FRUTTIFICAZIONE (PARAMETRI CONTROLLATI)
PLEUROTUS OSTREATUS
RACCOLTA DEI FUNGHI
5.4 I concept.
Proprio con questa caratteristica è stato proposto il primo concept: un’isola di lavoro adibita per la coltivazione su piccola scala. Questo prodotto poteva essere collocato fuori dall’abitazione, le sue dimensioni erano paragonabili a quelle di un tavolo per sei persone, per cui il posto migliore per il suo funzionamento poteva essere proprio la veranda o il giardino, senza andare troppo lontano da una presa di energia elettrica. Era previsto un piano di lavoro che caratterizzava tutta la sua struttura; questo piano era
costituito da una vasca in cui era possibile depositare uno strato di terriccio di circa 30 cm dove poter far nascere e curare specie vegetali differenti; sotto questo piano vari vani per riporre attrezzi e strumenti utili. Alle spalle di questo piano si alzava una parete fatta di tre moduli adatta per piante rampicanti, tutto questo rendeva spazio di lavoro dell’utente completamente circondato dal verde, in modo che il coinvolgimento nell’utilizzo del dispositivo fosse direttamente riconducibile alla cura che viene prestata alle attività della coltivazione.
213
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Al di là della parete per i rampicanti lo spazio era occupato dalla parte adibita al compostaggio: l’accesso per i rifiuti organici era laterale e lo sportello dove raccogliere il compost prodotto sottostante. Grazie a questa produzione di terriccio fertilizzante ci si poteva ricondurre alle attività di coltivazione sul piano di lavoro oppure alla zona
Figura 64. Prima proposta di concept
opposta dell’isola dove nella parte superiore era presente un’ambiente chiuso, ipotizzato con temperatura e umidità controllabili, per la coltivazione dei funghi. Al di sotto di questo spazio due moduli di dimensioni contenute per la compattazione di plastica e alluminio con il relativo stoccaggio, accessibile da uno sportello.
ia ga fun a luceta ll olla a d to ntr tet co pro idità e t m ien a u
Funghi
Organico
r ste po tare com tri
b am
Compost
Alluminio
Plastica
no pia avoro l di
st
po
e ion
com
raz
est
nio
mi
Consumo
allu
Packaging & stampa
ta ata col nzi raciffere are d att p com
a
stic
pla
Conservazione
ta ata col nzi raciffere re d tta pa com
SAPONIFICAZIONE VERMICOMPOSTAGGIO FUNGHI COLTURA
Organico Poli accoppiati Plastica
NUOVI PROCESSI
Alluminio Carta
Tritare Dividere Sminuzzare Compattare
214
RACCOLTA DIFFERENZIATA
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Il secondo concept presentato riguardava invece un dispositivo suddiviso in quattro moduli incassabile in una cucina tradizionale. In questo caso la proposta era fatta per prendere in considerazione le indicazioni dellâ&#x20AC;&#x2122;azienda di prendere in esame anche qualcosa che fosse piĂš in linea con la loro attuale
produzione: elettrodomestici. Rispettando principi produttivi tradizionali i quattro moduli risultavano elettrodomestici da incasso, indipendenti tra loro. Non erano presenti attivitĂ alternative e un modulo riguardava anche la raccolta e lo stoccaggio della carta.
Figura 65. Seconda proposta di concept da interno (scaratata)
Organico
Alluminio
Carta
Plastica
Compost
Organico
Organico
Alluminio
Carta
Plastica
215
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Indesit Polito Branch sceglie a questo punto il dispositivo outdoor interessandosi però anche alla caratteristica della modularità. Queste richieste sono state rispettate nel terzo concept presentato come un insieme di tre moduli, dall’ingombro equivalente, che riguardano rispettivamente il trattamento dell’alluminio, della plastica e dell’organico nella parte inferiore dell’isola, mentre nella parte superiore il piano di lavoro verde e le pareti per i rampicanti
si dispongono sui due moduli di sinistra, mentre il terzo è adibito alla coltivazione di funghi. Vengono messe in gioco anche due caratteristiche non presenti nelle proposte precedenti: la condivisione del macro componente relativo all’azione meccanica della riduzione del volume, presente in tutti e tre i processi, e l’ipotesi di un’alimentazione tramite fotovoltaico, grazie ad un pannello dalle dimensioni ridotte disposto sull’ambiente adibito alla funghicoltura.
Figura 66. Terza proposta di concept caratterizzata dalla modularità
Funghi
Carta
Compost
SMINUZZARE
SMINUZZARE COMPRIMERE
800 SMINUZZARE
COMPRIMERE
Alluminio
Plastica
Reputata questa proposta come la più interessante è stato successivamente scelto di dedicare uno spazio inferiore al trattamento dei rifiuti solidi, che in questo modo andavano ad occupare congiuntamente la parte inferiore del modulo sinistro relativo alla funghicoltura. Il
216
Consumo
Organico
Conservazione
Packaging & stampa
COMPRIMERE
problema della considerazione della carta non era ancora risolto: è stato ipotizzato nuovamente uno spazio, nella parte inferiore del modulo centrale, per il suo stoccaggio, zona facilmente accessibile per recuperare la carta utilizzabile come fonte di cellulosa per la funghicoltura.
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
5.5 La definizione del processo.
A questo punto è stato possibile definire meglio il processo, per fare chiarezza su tutte le esigenze da soddisfare, sul rapporto con l’utente e iniziare a definire le tecnologie necessarie. Probabilmente questo passaggio andava fatto a monte dei concept, ma non era stato possibile a causa delle idee ancora troppo confuse sulla definizione delle funzioni da svolgere. La definizione del processo può essere sintetizzata in questo schema suddiviso in questi step: - la provenienza del rifiuto differenziato, utile ad avere un quadro generale sul coinvolgimento di altri ambiti domestici o meno. - la tipologia di rifiuto differenziato da trattare o meno, nel caso del vetro. - sotto quale forma di output prodotto il rifiuto poteva giungere al dispositivo; questo passaggio vede la sua utilità nella definizione dei passaggi successivi: avere anche solo un idea di massima su che tipo di rifiuto ci troviamo davanti sarà importante per definire volumi,
pretrattamenti necessari e tecnologie impiegabili. - l’attività intermedia dell’utente rappresenta invece il pretrattamento da fare al rifiuto prima di processarlo, un esempio può essere quello del risciacquo. - l’azione richiesta rappresenta invece la vera esigenza da assolvere, azione relativa soprattutto alla riduzione di volume iniziale. - la tecnologia necessaria rappresenta un passo verso la concretizzazione del concept, approfondita ulteriormente prima del progetto definitivo. - il risultato ottenuto sposta l’attenzione sullo stoccaggio finale, l’output ottenuto avrà delle caratteristiche da tenere in conto per un deposito ottimale, non riconducibile alla semplice riduzione di spazio. - lo stoccaggio prende in considerazione che tipo di spazio è necessario e le relative caratteristiche. - l’ultimo step chiamato pulizia valuta invece il contributo dell’utente al momento dello svuotamento dello deposito, visto anche come azione preparativa ad un nuovo ciclo.
5.6 Le scelte tecnologiche. Dopo queste definizioni ancora grossolane era arrivato il momento di prendere in considerazione quali potevano essere le tecnologie da sfruttare e procedere con un progetto di massima più definito. La scelta tecnologica è stata fatta tra cinque proposte, derivanti dallo stato dell’arte attuale di dispositivi anche non propriamente appartenenti all’ambito del trattamento dei rifiuti. Il sistema di triturazione orizzontale è stato giudicato positivamente per la sua predisposizione strutturale, in quanto avrebbe consentito un buona ottimizzazione degli spazi avendo una conformazione orizzontale come i volumi di ingombro individuati. Purtroppo però alcune sue caratteristiche tecniche, come la griglia o le lame, rendevano difficile l’eventuale manutenzione o pulizia straordinaria. Il trituratore verticale, tipico del mercato statunitense, si presentava con un giudizio analogo ma per ragioni
opposte: se questo facilitava la pulizia o eventuali “disinceppamenti”, la sua struttura tendenzialmente verticale non era adeguata agli spazi individuati. Il trituratore monoalbero riusciva invece a far coesistere nella stessa tecnologia una buona predisposizione strutturale e un’ottima efficacia per il trattamento dell’organico. Purtroppo poteva presentare qualche difficoltà per pulizia e manutenzione, ma non come nel caso precedente. La cippatrice, proveniente invece dal campo agricolo, poteva vantare un buona predisposizione strutturale, una spiccata semplicità per la sua gestione, ma nel caso della condivisione del macrocomponente avrebbe presentato problemi di funzionamento con entrambi i rifiuti solidi. Il trituratore a rotazione non sembrava avere nessuna affinità con il dispositivo proprio per i suoi principi di funzionamento.
217
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
PROVENIENZA OUTPUT
Packaging & stampa
Conservazione
Consumo
Preparazione
TIPOLOGIA RIFIUTO DIFFERENZIATO
Lattine
Scatolame
Coperchi barattoli
Bottiglie
Barattoli
RISCIACQUO
RISCIACQUO
RISCIACQUO
RISCIACQUO
SCELTA SEPARAZIONE RISCIACQUO
Scarti preparazione
Posate-Piatti RISCIACQUO
Packaging SCELTA SEPARAZIONE RISCIACQUO
Coperti
Stampa SCELTA SEPARAZIONE
RISCIACQUO
Scatolame SCELTA SEPARAZIONE
RISCIACQUO
SCELTA SEPARAZIONE
ATTIVITAâ&#x20AC;&#x2122; UTENTE INTERMEDIA
Coperti
Packaging
OUTPUT PRODOTTO
Scarti avanzi
Organico
Vetro
Alluminio
Scarti pulizia
Plastica
Carta
AZIONE RICHIESTA Triturare
Sminuzzare
Compattare
(taglio in pezzi)
(ridurre in poltiglia)
Cippatrice
Trituratore monoalbero
Compattatore
TECNOLOGIA NECESSARIA
RISULTATO OTTENUTO carta/cartone tagliati
brandelli di plastica compatti
lattine schiacciate
bottiglie integre
organico misto sminuzzato
STOCCAGGIO PULIZIA
contenitore generico svuoto
svuoto risciacquo
svuoto risciacquo
contenitore tenuta stagna svuoto risciacquo
svuoto pulisco Funghi
Figura 67. Definizione del processo di funzionamento
218
Compost
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
predisposizione strutturale manutenzione
manutenzione disinceppamento struttura non predisposta
predisposizione strutturale azione facilitata sullâ&#x20AC;&#x2122;organico manutenzione
predisposizione strutturale semplicitĂ efficacia manutenzione
struttura non predisposta
Figura 68. Tipologie di tecnologie adatte alla triturazione rifiuti
219
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
5.7 La definizione del concept.
Figura 69. Rapporto con il soggetto
er e p ti ret an pa mpic ra o
aic
olt
ov
fot
Funghi
aia
g fun io no gg pia ppottività gio d’a r a ag pe rdin gia
ti
ia
ito
fer
500
rifiu
ti ifiu to a r ta trit men ali
300
to en lta tam co uo ac sv no r va
ore a nit agn nte st co nuta te
500
800
ia cc hia sc iuti ale rif ped a
450
pre p Sc araz a i Sc rti pu one art i a lizia va nz i rti
Pa cka C gin Sc ope g ato rti l Sta ame mp a
io no gg pia ppottività gio d’a r a ag pe rdin ia g
Pa ck Po C agin sa ope g te- rt Pia i tt Sc Lat i ato tin Co la e ba percme rat hi tol i
Compattatore
Sc a
brandelli di plastica compatti
Trituratore monoalbero
Organico
Carta
Alluminio
Cippatrice
Funghi
Compost
organico misto sminuzzato
450
Risultato ottenuto
220
Plastica
lattine schiacciate
organizzazione modulare 300
carta/cartone tagliati
vista frontale
gestione spazi e attività
vista laterale
Compost
Packaging & stampa
Tecnologia necessaria
Provenienza output
Conservazione
Preparazione
Consumo
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
A questo punto è stato possibile definire con più precisione il rapporto tra il dispositivo e l’utente e, successivamente, la gestione delle attività. Questi aspetti, riportati nelle figure seguenti, confermavano
la propensione di voler esplorare nuove tendenze per creare innovazione, ma non ancora del tutto consapevoli dell’utilità di valorizzare adeguatamente il dialogo con il territorio.
Funghi
ia ga fun a luceta ll a da oll to contr t e t pro ità te mid ien a u
b
am
Alluminio Compost Plastica
no pia avoro l di
r ste po tare m co tri
a stic
pla ta ziata l o c n raciffere re d tta pa m nio co mi u l l a ta ata colrenzi c a r iffe are d att p 30cm com
Carta
Organico
45cm
45cm
M 15 OcmDULO
Figura 70. Ultima proposta di concept
221
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Test. Smontaggio Coway.
Per aver ulteriori argomenti da presentare all’interlocutore di Indesit Polito Branch è stato proposta un’indagine sul campo, in modo da avere più elementi riconducibili ad un target interessato. Questa indagine infatti è stata eseguita in ambiente accademico con gli studenti della Laurea Magistrale in Ecodesign; la loro età era al di sotto dei trent’anni e la loro caratteristica più spiccata era quella di un interesse già predisposto verso queste tematiche di confronto. Ad un campione di 78 unità è stato presentato un questionario di 32 domande a risposta multipla riguardante il loro rapporto con l’attuale modo di trattare i rifiuti in ambito domestico, le pratiche da loro utilizzate e infine un’analisi dei due modelli di compostiere casalinghe analizzati inizialmente con lo smontaggio: Nature Mill e Coway. Nello specifico il questionario è stato suddiviso in 4 sezioni:
Figura 70. Alcunie schede rappresentanti i risultati del test
1. La raccolta generica dei rifiuti e la loro differenzazione. 2. il rapporto del soggetto con un eventuale ambito domestico dedicato alla coltivazione 3. L’atteggiamento specifico per la differenzazione dell’organico. 4. Il funzionamento dei due dispositivi analizzati. I risultati ottenuti hanno confermato la percezione di un interesse per queste tematiche, interesse soprattutto condivisibile con l’azienda. È possibile apprezzare più da vicino i dati ottenuti e i loro commenti nelle schede qui di seguito.
La raccolta dei rifiuti e la loro differenziazione Rifiuti settimana/abitazione
100 l o più 22%
no 44%
20 l o meno 21%
circa 80 l 14%
circa 40 l 24% circa 60 l 19%
Rifiuti settimana/persona 0-20 litri 82% 21-40 litri 15%
41-60 litri 3%
Commento
Percezione produzione rifiuti
OK 56%
La percezione che attualmente i soggetti hanno a proposito della produzione dei rifiuti non è corretta e il 44% ne sottostima la quantità. Il nostro comportamento è così consolidato che viene eseguito automaticamente e in modo abitudinario. Un dispositivo per il trattamento dei rifiuti deve essere pensato in modo da entrare facilmente nella cultura di chi lo utilizza: intuitivo per facilitarne l’uso e rendere consapevoli gli
utenti.
222
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
La raccolta dei rifiuti e la loro differenziazione Svolgimento raccolta differenziata
La raccolta differenziata viene affrontata con coscienza da parte del campione analizzato.
Luoghi
Questo atteggiamento è ripetuto da parte dei soggetti in ogni momento della giornata e in svariati ambiti, viene comunque prediletta la raccolta differenziata in casa.
Casa, Scuola/lavoro 32%
Sì 94%
Casa 21% Casa, Scuola/ lavoro, Strada o luoghi pubblici 41%
No 6%
Categorie differenziate
carta , plastica vetro, alluminio organico, “speciali" 7% carta , plastica, vetro 6%
carta , plastica vetro, organico 15%
carta , vetro 1% carta , vetro
carta , plastica organico 1%
carta , plastica vetro, alluminio 20%
carta , plastica, alluminio, organico 1%
Altra 10%
carta , plastica 2%
carta , plastica, vetro alluminio, organico 42%
Casa, Strada o luoghi pubblici 5% Scuola/lavoro, Strada o luoghi pubblici 1%
I soggetti tendono ad impegnarsi nella raccolta differenziata in maniera indiscriminata, senza prediligere una determinata categoria di rifiuti. Nonostante ciò la percentuale dei
rifiuti organici differenziati risulta comunque più bassa rispetto alle
alluminio organico 1%
altre e si può notare che viene svolta da soggetti già attenti nel differenziare le altre categorie di rifiuti.
plastica, vetro alluminio 1% plastica, vetro alluminio, organico 3%
La raccolta dei rifiuti e la loro differenziazione
Quantità di rifiuti, suddivisa per categoria, prodotti in una settimana per abitazione
Quantità di CARTA per settimana/abitazione
Commento Quantità di ALLUMINIO
Quantità di VETRO per settimana/abitazione
per settimana/abitazione
sotto 20 litri 21-40 litri 73%
20%
94% 91%
sotto 20 litri
41-60 litri 61-80 litri 81-100 litri
3% 3%
sotto 20 litri
21-40 litri
21-40 litri
40-60 litri
6%
2%
3%
1%
Quantità di PLASTICA per settimana/abitazione
80-100 litri
4%
4%
4% 2%
Quantità di ORGANICO per settimana/abitazione
sotto 20 litri 21-40 litri
23%
sotto 20 litri
25%
21-40 litri
40-60 litri
55%
60-80 litri
15%
80-100 litri 3%
3%
oltre 100 litri
65%
40-60 litri 80-100 litri oltre 100 litri
1%
223
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Come viene affrontata la raccolta differenziata Commento
Il servizio di raccolta:
Isole ecologiche, Punto di raccolta 9% Isole ecologiche, Porta a porta 8%
Porta a porta 24% Altra 9%
Punto di raccolta, Porta a porta non si fa 1% 3% Isole ecologiche, Punto di raccolta, Porta a porta 5%
Isole ecologiche 50%
Uso di contenitori differenziati 17%
La raccolta differenziata richiede un discreto livello di impegno da parte dei soggetti che la svolgono. Questo impegno è suddiviso in due parti dal nostro campione: -
Una relativa all’agevolazione del servizio di raccolta.
-
Una relativa al trattamento preventivo di ciascun rifiuto prima dello stoccaggio domestico
sacchetti diversi sacchetti diversi e contenitori riutilizzabili
13%
contenitori riutilizzabili
70%
Come viene affrontata la raccolta differenziata
Il trattamento preventivo dei rifiuti riguarda principalmente tre azioni: -
Il disassemblaggio di alcuni rifiuti composti da più materiali che posso essere differenziati separatamente
-
La riduzione di volume per lo stoccaggio compattando i packaging
-
Il lavaggio di alcuni packaging che da sporchi comprometterebbero la loro differenziazione (normalmente alimentari)
Rifiuti suddivisi in componenti
tappi 26%
confezione più materiali, tappi 12% etichette 12%
etichette, tappi se facilmente 2% differenziabili 2% confezione più materiali, etichette, tappi 4%
Altra 8%
confezione più materiali 42%
Rifiuti compattati carta, plastica, tetrapak 6%
carta 8%
tetrapak plastica, tetrapak 3% 3%
plastica 30% Altra 21% carta, plastica 35%
224
Carta tetrapak Alluminio 5% plastica 5%
alluminio, carta 1%
Lavaggio rifiuti
alluminio, carta, plastica 1% alluminio, plastica, tetrapak 1% rifiuti organici 2%
Sì 85%
No 15%
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
I dispositivi per il trattamento dell’organico Conoscenza dei dispositivi
L’ultima sezione del questionario riguarda da vicino i nostri soggetti e i dispositivi per il trattamento dell’organico a loro presentati:
Conoscenza e famigliarità
11% 30%
7%
Nessuna conoscenza ma intuizione corretta sul funzionamento
52%
Nessuna conoscenza e intuizione errata sul funzionamento Nessuna conoscenza
Funzioni per il trattamento dell'organico compattare, compostare 16% compostare 24% compattare, compostare, triturare 35%
compostare, triturare 14%
- COWAY - NatureMILL - Tritarifiuti da lavandino generico Solo il 7% conosce effettivamente i dispositivi e il 52% riesce ad intuire correttamente la loro natura e la loro funzione. Pensando alle azioni necessarie per il trattamento del rifiuto organico viene individuato il compostaggio come il più importante
compattare, triturare 5% triturare 5% compattare 1%
SEZ.4
5.8 La conclusione del percorso progettuale.
Nonostante tanto impegno sul progetto, il percorso progettuale e la collaborazione con l’Indesit Company sono stati a questo punto bloccati conseguentemente alla decisione aziendale di interrompere i propri rapporti con il Politecnico di Torino e quindi anche con il nostro dipartimento. Questo imprevisto non ha avuto alcuna ricaduta negativa sulla conclusione del progetto ma piuttosto ne ha determinato la naturale evoluzione: è stato deciso di vedere questa circostanza come esempio rappresentante la situazione attuale del nostro modello produttivo, legato soprattutto al profitto intensivo. Se questo episodio è stato solo un piccolo particolare nelle varie scelte dell’azienda di quel periodo, da cui si poteva evincere un interesse prioritario nel delocalizzare e intensificare produzioni low cost, la progettazione del
dispositivo per il trattamento dei rifiuti è stata portata avanti puntando a pratiche alternative per la sua produzione, ipotizzando un modello diffuso localmente (descritto nella sezione 4) e una spiccata propensione del progetto a poter essere declinato diversamente a seconda del contesto territoriale in cui ci si trova. Prendendo come riferimento l’esploso con l’analisi funzionale dei componenti è possibile fare una distinzione, come quella riportata nelle ipotesi di Produzione Locale Diffusa, tra i componenti che possono essere prodotti in maniera alternativa ricorrendo a pratiche di autoproduzione di chiara ispirazione all’Open Design e quelli che invece richiedono l’intervento di un attore produttivo locale che operi su piccola scala, a volte di stampo artigianale.
225
5. PROGETTO_Trattamento rifiuti.
Figura 71. Le tavole finali riguardanti il dispositivo per il trattamento dei rifiuti
226
Nel caso specifico di questo dispositivo per i trattamento dei rifiuti il primo passo per aprire una collaborazione locale può essere fatto da un tavolo decisionale comunitario nei confronti dell’ente che si occupa della differenziazione dei rifiuti sul territorio. In questo frangente può essere esposto l’elenco di esigenze condiviso che chiama direttamente in causa questa nuova figura del progettista; d’altro canto le criticità analizzate nel percorso progettuale del dispositivo derivano dalle ipotesi di un’immedesimazione proprio di questo tipo: ecco perché, abbandonando la collaborazione con l’Indesit, la definizione del progetto si presta ad essere conclusa con queste supposizioni produttive. L’intervento del progettista viene richiesto di fronte ad un elenco di esigenze che prende in considerazione i soggetti della comunità, quindi con i loro bisogni derivanti dall’ambito domestico, e l’ente locale della raccolta differenziata che si fa portavoce di tutta una serie di vincoli provenienti dal territorio. I componenti che richiedono una produzione standardizzata e sono indispensabili per garantire il funzionamento del dispositivo sono: - la camera di compattazione e la pressa per quanto riguarda la gestione di plastica e alluminio. - la cippatrice e la camera di trasformazione organico con relativo braccio di mescolamento. - il fotovoltaico per l’alimentazione esterna nel caso sia richiesta. - il cablaggio dell’impianto elettrico. Nei primi due casi sarà possibile ricorrere o riscoprire quelle attività che fanno parte dell “indotto” dell’industria bianca italiana, da sempre molto versatili e sviluppate, come possono essere ad esempio dei componentisti, ai tempi contatti dalla stessa Indesit come collaboratori, già attrezzati per la produzione di elementi di questo tipo considerabili meccanici. Negli ultimi due casi un intervento più vicino alla sfera artigianale può rispondere perfettamente ad esigenze che, in questo caso, rigurdano prevalentemente la progettazione dell’impianto e il conseguente assemblaggio. Il restante numero di componenti può essere autoprodotto dall’utilizzatore finale se ne è in grado oppure tramite la riscoperta di tecniche artigianali direttamente derivanti dalla Cultura Materiale del Territorio. Proprio per il loro carattere poco elaborato e, sotto certi aspetti, rudimentale questi componenti rispecchiano marcatamente la configurabilità nella realizzazione da parte del Soggetto, che può quindi concretizzare le caratteristiche del progetto con ciò che trova a disposizione sul Territorio e con le tecniche che meglio padroneggia. Chiaramente questo intervento “attivo” del Soggetto può essere condiviso in rete sottolineando soprattutto i procedimenti più efficaci
per procedere con l’assemblaggio: questo infatti può essere fatto a livello di rete di vendita, come previsto nel modello di Produzione Locale Diffusa, ma potrebbe anche essere portato a termine dal Soggetto grazie ad un’adeguata condivisione delle istruzioni per questo proposito. Per quanto riguarda l’accidentale possibilità di guasti è relativa solo ai componenti “meccaniche” e potrebbe fare riferimento ad un tradizionale percorso di rigenerazione e riparazione dei componenti in questione. Il risultato finale, presentato in questa tesi di ricerca, trova quindi spazio all’interno del progetto più ampio del Sistema Casa, riguarda l’ambito “Trattamento Rifiuti” e trova la sua ragion d’essere nel favorire il dialogo con il territorio circostante attraverso la valorizzazione di scarti provenienti dagli ambiti di “Trasformazione Cibo” e “Coltivazione”. Per quanto riguarda i rifiuti solidi la principale funzione è la riduzione dell’ingombro con relativo stoccaggio; per quelli organici è l’accelerazione del processo di compostaggio attraverso l’aumento della temperatura congiunto all’azione meccanica di triturazionecippatura. La struttura del dispositivo è modulare, i tre insiemi di componenti relativi ai rispettivi rifiuti (plastica, alluminio e organico) possono essere utilizzati singolarmente oppure nella composizione presentata. I macrocomponenti relativi alle funzioni principali ottimizzano le loro azioni sfruttando principi meccanici base, facilmente producibili a livello locale. Il macrocomponente indicato nell’esploso come pressa meccanica è condiviso nella funzione di riduzione ingombro sia dalla parte relativa al “solido plastica” che dal “solido alluminio”. La struttura portante del dispositivo è configurabile da parte dell’utente. La sua conformazione “rudimentale” è facilmente riproducibile, anche attraverso pratiche DIY e riconosce la sua ragion d’essere nella caratteristica distintiva del “prodotto declinabile”. Il piano di lavoro previsto nella parte superiore del dispositivo mette in relazione le azioni svolte con altri ambiti del Sistema Casa: in questo caso è stato adibito alla coltivazione su scala ridotta, che comprende anche la coltura di funghi commestibili. Questa può essere un’opzione personalizzabile a discrezione del Soggetto utilizzatore. L’uso è previsto esternamente all’ambiente domestico e l’approvvigionamento elettrico è garantito da un fotovoltaico flessibile dimensionato in base ai consumi. Le connessioni sono reversibili. Tutte le parti strutturali che veicolano il dialogo con il Soggetto sono contraddistinte da un linguaggio cromatico e di comprensione facilitata senza ricorrere ad una vera e propria interfaccia.
POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
Analisi processo PROVENIENZA OUTPUT Packaging & stampa
Conservazione
Preparazione
Consumo
TIPOLOGIA RIFIUTO DIFFERENZIATO
Scatolame
Coperchi barattoli
Bottiglie
Barattoli
RISCIACQUO
RISCIACQUO
RISCIACQUO
SCELTA SEPARAZIONE RISCIACQUO
Scarti avanzi
Lattine RISCIACQUO
Scarti preparazione
Posate-Piatti RISCIACQUO
Packaging SCELTA SEPARAZIONE RISCIACQUO
Coperti
Stampa SCELTA SEPARAZIONE
RISCIACQUO
Scatolame SCELTA SEPARAZIONE
RISCIACQUO
SCELTA SEPARAZIONE
Coperti
Packaging
OUTPUT PRODOTTO
ATTIVITA’ UTENTE INTERMEDIA
Organico
Vetro
Alluminio
Scarti pulizia
Plastica
Carta
AZIONE RICHIESTA Triturare
Sminuzzare
Compattare
(taglio in pezzi)
(ridurre in poltiglia)
Cippatrice
Trituratore monoalbero
Compattatore
TECNOLOGIA NECESSARIA
RISULTATO OTTENUTO carta/cartone tagliati
brandelli di plastica compatti
lattine schiacciate
bottiglie integre
organico misto sminuzzato
STOCCAGGIO PULIZIA
contenitore generico svuoto
svuoto risciacquo
contenitore tenuta stagna
svuoto risciacquo
svuoto risciacquo
svuoto pulisco
Tecnologie trasformazione meccanica
predisposizione strutturale
predisposizione strutturale
semplicità
azione facilitata sull’organico
efficacia
manutenzione
manutenzione
Trituratore verticale
Trituratore orizzontaleTrituratore a rotazione
Cippatrice
Trituratore monoalbero
POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
raccolta plastica
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raccolta alluminio
raccolta organico
struttura
piano lavoro
contenitori attivitĂ
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POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
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POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
COMPENSATO RESINATO Azienda : Compensati Toro
www.compensatitoro.it
Semilavorato in legno costituito da cinque strati di spessore equivalente in faggio. La polimerizzazione irreversibile conferisce al pannello un elevato grado di impermeabilizzazione superficiale
Composizione: 10% 90%
collanti e finitura superficiale Curvabile faggio
compattare l’alluminio
compattare la plastica
Curvabile
VEGETALPLAST Azienda : Agrindustria
triturare l’organico
www.agrind.it
Materiale in granuli, composto da fibre di origine vegetale ottenute dagli scarti dell'industria alimentare e materiale termoplastici da scarti di produzione. Resistente ad acqua, agenti atmosferici e dimensionalmente stabile.
Composizione: 20% 80%
Lavorabile per estrusione e stampaggio. 0.49 €/kg (con PP riciclato)
TERRACOTTA Composizione: argille fusibili cotte a bassa temperatura
100%
Lavorabile al tornio e per stampaggio. Con cottura finale. Argilla da tornio 0,4 €/Kg
Azienda : sul territorio Terracotta senza rivestimento superficiale. Naturale, duraturo nel tempo, adatto a contenere soluzioni liquide e acqua, appartenente alla concezione comune come materiale utilizzato nel giardinaggio.
Alimentazione elettrica tramite pannello fotovoltaico. 25 celle in silicio cristallino 50 x 50 mm Potenza elettrica 3 W/cella
Trituratore organico. Consumo elettrico 4W per ciclo.
ACCIAIO Composizione: acciaio generico riciclato
100%
Azienda : Ricrea
www.consorzioricrea.org/ Materiale di origine rigenerata ottenuto dagli scarti in acciaio raccolti in maniera differenziata. Le proprietà del materiale sono adeguate all’utilizzo strutturale e agevolano la risposta alle esigenze di pulizia e durevolezza nel tempo.
Lavorazioni e connessioni tipiche dell’acciaio tradizionale
Raccolta plastica compattata e raccolta alluminio compattato separate. Il vano di stoccaggio contiene fino a 60 bottiglie da 1,5 litri schiacciate o 150 lattine schiacciate.
Dispositivo per il monitoraggio della conservazione alternativa del cibo
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
6
Dispositivo per il monitoraggio della conservazione alternativa del cibo Il dispositivo è collocato nell’ambito “Conservazione cibo alternativa tramite azione batterica” sfrutta il processo di trasformazione della materia alimentare tramite fermentazione. Raccolte le informazioni (riassunte nell’analisi dei processi qui di seguito) relative a tre tipologie di fermentazione lattica: infusione, salamoia e scolatura è stato progettato un apparato in grado di monitorare i tre processi basandosi sul controllo dei parametri sensibili che hanno in comune: temperatura interna, temperatura esterna e livello di acidità. Il dispositivo rende possibile per il Soggetto il monitoraggio di questi dati in modo che possa intervenire sul processo per portarlo a termine con successo. Le informazioni vengono raccolte dalla scheda di controllo Arduino configurabile appositamente dal Soggetto; in seguito vengono visualizzati sul display sotto forma di un grafico la cui scala è dimensionale e controllabile in relazione alle tempistiche del processo. La struttura del dispositivo è adattabile a contenitori generici presenti nell’ambito domestico, permette l’immobilizzazione del cibo per evitare la sua ossigenazione, trattandosi di processi anaerobici, e il suo mescolamento tramite il componente “asta-mestolo”. La sua conformazione “rudimentale” è facilmente riproducibile, anche attraverso pratiche DIY e riconosce la sua ragion d’essere nella caratteristica distintiva del “prodotto facilitatore”. Il monitoraggio del processo è stato inteso come “passivo”, il dispositivo non produce le condizioni necessarie al suo svolgimento ma si limita al suo controllo, delegando questo compito al Soggetto che può sfruttare pratiche riconducibili alla cultura peculiare del territorio in cui si trova. Inoltre il Soggetto si relaziona con altri ambiti domestici valorizzando scarti che provengono da altri processi: come ad esempio la temperatura di altri dispositivi dispersa nell’ambiente interno.
234
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
INDICE DELLA SEZIONE
236 242 245 247
6.1 6.2 6.3 6.4
La conservazione alternativa del cibo. Il concept. Il prototipo. Test prototipo. Kefir.
CLASSIFICAZIONE PROGETTO
area asciugatura
lavaggio
riscaldamento
trattamento acqua
trattamento aria
conservazione
stoccaggio acqua
trasformazione cibo
trattamento rifiuti
coltivazione
Ambito Domestico
Relazione Sistemica
Dispositivo indipendente Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Rapporto con il Territorio
235
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
6.1 La conservazione alternativa del cibo.
L
a cultura legata ai processi di trasformazione del cibo nel corso del XX secolo è passata dall’essere un sapere locale fatto di ricette e metodi che richiedono manualità e profonda esperienza, a una pratica industriale che si appropria del processo e si fa carico della trasformazione, lasciando visibile solamente il risultato finale. Il cibo, materia rinnovabile per eccellenza, viene gestito dagli utilizzatori finali solo con pochi accorgimenti riguardanti preparazione, cottura e conservazione. In casa sono pressoché inesistenti le pratiche che stanno a metà tra la conservazione e la trasformazione, vale a dire i processi come la fermentazione e la lievitazione che da sempre hanno un ruolo centrale per ottenere materia prima per la cucina. L’aspetto interessante di questi processi è rilevante sotto il punto di vista sistemico e sta nella capacità di rigenerare in modo autonomo prodotti di scarto. Questa valorizzazione avviene normalmente grazie all’azione di batteri o funghi, tramite un bassissimo utilizzo di energia e con tempi piuttosto dilatati. Le opportunità sono numerose, questi processi potenzialmente coinvolgono una grande varietà di cibi e i loro risultati sono apprezzabili come metodi alternativi per la conservazione a lungo termine. Attualmente la conservazione alimentare in ambito domestico è soddisfatta dall’elettrodomestico frigorifero. In questo dispositivo sono confluite tutte le funzioni relative all’ambito della conservazione portate a termine in maniera “intensiva”: l’abbattimento della temperatura, ad un livello molte volte inferiore al necessario, allinea e banalizza tutte le peculiarità relative alla conservazione di prodotti differenti riducendole all’unica e sterile esigenza della refrigerazione. Il fattore tempo nel lungo periodo è invece gestito dal congelatore, dispositivo ausiliario le cui ricadute a
236
livello ambientale sono molto pesanti. Prodotti fermentati come il pane e la birra venivano già sicuramente prodotti dai Sumeri e dagli Egizi. In realtà la fermentazione è una forma di deterioramento che produce come risultato un alimento che, per qualche ragione, ha proprietà più desiderabili delle materie prime o ingredienti utilizzati per produrli. Spesso l’avvio delle fermentazioni è inevitabile: basta creare condizioni anche lievemente selettive (per esempio grazie all’aggiunta di piccole quantità di sale, con la creazione di un ambiente anaerobio, per aggiunta di alcune sostanze inibitorie) per favorire lo sviluppo degli agenti delle fermentazioni al posto degli agenti di deterioramento. Spesso gli agenti delle fermentazioni, oltre a competere efficacemente con i microrganismi indesiderati, rendono l’ambiente sfavorevole per lo sviluppo e la sopravvivenza di questi ultimi e possono produrre sostanze ad azione antimicrobica. Ancora oggi molti prodotti fermentati, anche nei paesi sviluppati, sono ottenuti utilizzando tecniche tradizionali, basate sulla presenza naturale della microflora desiderata e sull’uso di materie prime non pastorizzate. D’altra parte altri prodotti, come molti formaggi e latti fermentati, vengono prodotti in condizioni altamente standardizzate e con l’aggiunta di colture di avviamento (starter) contenenti i microrganismi desiderati, selezionati e spesso migliorati geneticamente. Anche se si usa il termine fermentazioni non tutti i processi impiegano microrganismi anaerobi e quindi veri processi fermentativi. Ripensare e attualizzare prodotti, per lo più di origine orientale, come il kefir, il miso, l’amasake, ma anche i più familiari yogurt, pane, birra e formaggi, può essere una opportunità per evolvere il nostro modello di consumo del cibo.
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
Questo orizzonte, quasi del tutto inesplorato se non dal punto di vista dell’autoproduzione casalinga, può essere ricco di spunti per il Soggetto consapevole che vuole mantenere sotto controllo la qualità del proprio cibo; inoltre l’interesse può essere trasmesso anche all’industria dell’elettrodomestico, che può osservare questo processo e spingersi verso un progetto per la conservazione alternativa, non un ennesimo elettrodomestico la cui forma e funzionamento sono standardizzati e globalizzati, ma un sistema di componenti progettato sulla base delle peculiarità culinarie di un territorio e che sfrutti processi e metodi direttamente derivanti dalla cultura materiale di quella comunità. Le fermentazioni conosciute nel Mondo Occidentale sono relativamente poche se paragonate a quelle del resto del pianeta, esse sono dedicate soprattutto a svolgere un ruolo preminente nella sterilizzazione e nella conservazione di cibi o bevande, oppure per garantire un discreto miglioramento gustativo e di digeribilità, come avviene ad esempio nel pane.
miceti per sostanze diverse quali legumi, vegetali, pesci, carni, ma soprattutto cereali: sesamo, miglio, riso, soia, teff). Queste fermentazioni sono usate prevalentemente per migliorare il contenuto nutrizionale delle sostanze di origine (proteine, e vitamine), producendo sostanze batteriologicamente pure (in termini di commestibilità), oltre che di sapore gradevole e durature nel tempo.
Figura 72. Birra di millet. Caroon. Figura 73. Bimba messicana che beve il pozol
Nel resto del mondo (Asia, America Latina, Africa) hanno invece una tradizione più forte, mantenuta ancora oggi, anche a livello industriale. In questi casi i tipi di fermentazione sfruttati sono moltissimi e vengono realizzati usando gli stessi agenti di fermentazione per sostanze diverse (come nei casi di sorgo (durrha) e mais) oppure diversificando sia gli agenti che i cibi da fermentare (quindi batteri o diversi
237
Approfondimento. I cibi basati sulla fermentazione dal mondo.
Africa
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Ogi. Sudafrica. Crema poco densa ottenuta da mais e sorgo.
Mawe. Africa Occidendale (costa atlantica). Pasta acida di farina di mais.
Mahewu. Sudafrica. Crema densa da mais e farina di frumento.
Injera. Africa Orientale. Focaccina da forno, spugnosa ed acida di farine di Teff e Frumento
Kishk. Egitto. Pasta acida da frumento in grani, e latte.
Kissra. Sudan. Pane basso, acido, da farina di sorgo.
Banku. Ghana. Pane acido da mais e Cassava.
Kenkey. Ghana. Panetti di sola pasta di mais fermentata.
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
Chicha. Zona andina. Bevanda a basso/medio livello alcolico, acida.
Pozol. Messico ed America centrale. Fermentazione dalla farina di mais.
Tesguino. America centrale. Bevanda acida, alcolica, da grani di mais.
Atole. Messico. Crema acida da granella umida di mais.
Chu. Cina. Agente fermentatore utilizzato in svariati modi.
Nuruk. Corea. Pastone di riso, grano, orzo fermentato.
Meju. Corea. Pastone di granella di soia, fermentata.
Koji. Giappone. Pastone tipo polenta da granella o farina di riso e grano.
America
Asia
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6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
skyr
Approfondimento. I cibi basati sulla fermentazione dalâ&#x20AC;&#x2122;Europa.
sauerkraut
pickled herring
Bubod. Filippine. Pastone fermentato di riso da granella o farina.
Ragi. Indonesia. Panetti compatti di riso, fermentazione micetica.
240
machetto
pissalat
Marchaa. India. Torta bassa di riso, fermentazione micetica.
trahanas
frutta secca
olive fermentate
ayran
labneh
machetto
boza
yayla corbasi
feta
aceto
tzatziki
smreka
kashk
kumis
rejuvelac
sauerkraut
kvass
rakfisk
stockfisch surstromming
filmjolk
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
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6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
6.2 Il concept.
Le ragioni che hanno animato questo progetto risiedono proprio nell’obiettivo di valorizzare adeguatamente una tale varietà di processi da sfruttare come metodi alternativi per la conservazione. In un Sistema Casa gli ambiti che hanno a che fare con la risorsa cibo sono molto importanti e recuperare questi tipi di processi, direttamente collegati con le Figura 74. Monitoraggio fermentazione batterica
usanze culinarie della comunità o con le materie prime alimentari presenti sul territorio, offre delle alternative molto interessanti ai processi di conservazione attuali che, come sottolineato in precedenza, vengono riduttivamente svolti con l’abbattimento della temperatura nel frigorifero o nel surgelatore.
PUT OUT ri COLTURA
Sistema CASA
Alt
Output alimentari da altri ambiti
CALORE
MICROBICA CO2
Periodo di TRASFORM
Materia prima alimentare
Sistema TERRITORIO
COL TURA Coltura MICROBICA microbica
AZION E
PRODOT T O commest ibile
FEEDBACK
A A PRI M MATE RI ri per alt processi
livello di acidità temperatura esterna temperatura interna
Figura 75. I tre processi controllati dal dispositivo messi a confronto
242
Il dispositivo progettato fornisce al Soggetto un semplice aiuto per poter mettere in pratica, o riscoprire, queste tecniche; consiste in un interfaccia in grado di monitorare alcuni parametri direttamente riconducibili al processo. Questa sua funzione cerca di supplire alla perdita del patrimonio conoscitivo e culturale su cui si basano questi processi proprio per poter aiutare l’utilizzatore nella sua riscoperta fornendogli un feedback immediato a proposito dello svolgimento del procedimento. Questo dispositivo in realtà può essere visto come un sistema di componenti ridotto all’essenziale, le cui caratteristiche specifiche permettono un utilizzo aperto e differenziabile in base alle esigenze del Soggetto. Per capire meglio di cosa si tratta è necessario partire dalla ricerca che identifica i metodi controllabili, questi sono essenzialmente di tre tipi:
La fermentazione lattica ottenuta per infusione. La fermentazione lattica ottenuta tramite la salamoia. La scolatura. Dagli schemi possiamo notare che questi procedimenti sono molto semplici e necessitano solo di alcuni accorgimenti: -l’assenza o la presenza di ossigeno; -la presenza di organismi starter, direttamente dipendenti dal substrato che si intende processare; -alcune caratteristiche del contenitore; -il controllo e il mantenimento di tre parametri fondamentali: la temperatura ambiente, la temperatura interna del prodotto fermentante e il suo livello di acidità (Ph).
TEMPISTICHE PROCESSO
Fermentazione Lattica: INFUSIONE
Fermentazione Lattica: SALAMOIA
SCOLATURA
Latte, Bevande
Verdure, Frutta, Semi, Legumi, Pesce
Yogurt, Formaggi
PREPARARE IL CIBO
PREPARARE IL CIBO
UNIRE LATTE/BEVANDA ALL’ORGANISMO STARTER
+
AGGIUNGERE SALE O ACQUA SALE
RIPORRE IL CIBO ALL’INTERNO DI UNA GARZA O UN TELO GENERICO
SCHIACCIARE CON FORZA STRATO DOPO STRATO RIEMPENDO IL CONTENITORE SOVRAPPORRE UN PESO AL CONTENUTO PER EVITARE IL GALLEGGIAMENTO DEL CIBO E IMMERGERE TOTALMENTE CON CURA
24
OSSIGENARE SQUOTENDO QUOTIDIANAMENTE FINO A INIZIO FERMENTAZIONE
h MANTENERE COSTANTE LA TEMPERATURA
72
FILATRARE E RACCOGLIERE LO STARTER
RIMUOVERE LE MUFFE FORMATE IN SUPERFICIE QUANDO NECESSARIO
OLTRE 3 gg
TEMPI A DISCREZIONE DEL SOGGETTO E DEI SUOI CONSUMI
48 h h
SOVRAPPORRE IL CIBO AVVOLTO AD UN CONTENITORE PER RACCOGLIERE IL SIERO
ESTRARRE IL CIBO CHE SI INTENDE CONSUMARE (LA SUA CONSERVAZIONE IN LUOGO FRESCO E ASCIUTTO DURA 6 MESI) COMPRIMERE IL CIBO RESTANTE OTTENENDO LA SUA TOTALE IMMERSIONE
CIBO FERMENTATO
APPENDERE E SCOLARE
FORMARE DELLE MASSE DI DIMENSIONI RIDOTTE CON L’IMPASTO OTTENUTO RIPORRE IN UN BARATTOLO RICOPRENDO CON OLIO AROMATIZZATO
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
Nozioni per il progetto. Ruolo dei microrganismi starter nei prodotti fermentati.
I microrganismi cosiddetti”starter” consentono di: -Rendere l’ambiente inospitale per i microrganismi indesiderati per abbassamento del pH (produzione di acidi organici per fermentazione), abbassamento dell’Eh, produzione di altri composti inibitori a basso peso molecolare, produzione di batteriocine. -Produrre acidi per fermentazione dei carboidrati, con alterazione del sapore e della struttura dell’alimento. -Produrre altri composti volatili o meno (etanolo, acetaldeide, CO2,diacetile, etc.) per fermentazione dei carboidrati con alterazione del sapore, dell’aroma o della
struttura dell’alimento. -Produrre sostanze sapide o aromatiche o loro precursori attraverso il metabolismo delle proteine e dei grassi. -Influenzare il colore dell’alimento per produzione di pigmenti o favorendo la produzione di sostanze colorate stabili. -Migliorare le caratteristiche nutrizionali di un alimento, distruggendo glucosidi tossici, oligosaccaridi, inibitori delle proteasi. -Produrre vitamine o migliorare la digeribilità delle proteine.
Nozioni per il progetto. Fattori selettivi nelle fermentazioni alimentari.
Parametri che possono determinare la riuscita del processo fermentativo: - bassi pH. - alte concentrazioni di zuccheri o di sale. - presenza di inibitori naturali. - presenza di conservanti. - atmosfera anaerobica. - competizione microbica. - temperature alte o basse.
È stato quindi scelto di intervenire sugli ultimi due punti perché traducibili dal punto di vista pratico in un dispositivo mentre i primi due vengono lasciati alla competenza del Soggetto poiché dipendenti nello specifico dal procedimento. Per quanto riguarda i parametri, comuni ai tre processi, sono stati riconosciuti al tempo stesso come i più semplici da comprendere per il Soggetto e come i più rappresentativi per il feedback da visualizzare. Data la loro discreta semplicità è possibile approcciarsi ad essi con strumenti altrettanto semplici, da questo nasce spontaneamente l’atteggiamento partecipativo richiesto all’utilizzatore che caratterizza poi l’intero progetto anche dal punto di vista produttivo. È possibile infatti misurare queste temperature e il Ph con normali sensori trovabili in commercio e archiviare questi dati attraverso la scheda di controllo Arduino per poi visualizzarli temporaneamente su un mini display collegato alla scheda. Dopo alcuni tentativi è stato chiaro che questo progetto poteva prendere vita in modo semplice ed immediato
244
ricorrendo a pratiche della cultura Open. Avendo chiaro il concept su cui sviluppare il progetto è stato scelto di mettere a punto direttamente un prototipo funzionante tenendo in conto solamente questi parametri ricorrendo ad un’essenzialità quasi rozza, ma che potesse essere riproducibile attraverso dinamiche D.I.Y. in qualsiasi condizione. Per questo motivo in un secondo momento anche il contenitore è stato accantonato volontariamente, in modo da non dare vincoli sui volumi e sulle quantità di cibo da processare. Quindi, se il contenitore è scelto dall’utilizzatore secondo le proprie esigenze, il dispositivo è munito di un componente adattabile ad esso che consente di mantenere in substrato fermentante sotto il livello del liquido in questione, funzione necessaria per la fermentazione lattica tramite salamoia, in quanto anaerobica; questo componente è la spirale che, grazie alla sua forma e ad un materiale flessibile, può aderire alle pareti interne di contenitori ci dimensioni diverse impedendo il galleggiamento.
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
6.3 Il prototipo.
La costruzione del prototipo impegna me e il Dottor Alessandro Balbo, Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Design (DAD) del Politecnico di Torino. Se nell’ideazione del concept la progettazione è stata condivisa in questo frangente il nostro contributo è stato complementare: da una parte è stata ha sviluppata la parte tecnica riguardante la scheda di controllo Arduino, la sua programmazione e il funzionamento dei sensori con la relativa visualizzazione dei dati sul display, mentre dall’altra è stata prodotta la “struttura” del dispositivo ricorrendo appunto a tecniche semplici, riproponibili facilmente e praticabili con strumenti alla portata di tutti: sono stati utilizzati unicamente sega, lima e trapano. Il box che contiene la scheda di controllo è stato ricavato da una scatola per impianti elettrici, adattata
con gli accessi necessari per il cablaggio dei sensori e una parete trasparente attraverso la quale è possibile osservare il display e accedere all’unico tasto di regolazione per l’azzeramento della raccolta dati e il refresh del relativo grafico. Da questo nucleo centrale, cuore del dispositivo, parte un tubo che andrà immerso nella soluzione e svolge la funzione di sede per i cablaggi dei sensori e eventuale mestolo per il mescolamento del substrato fermentante. La connessione tra il box e l’asta-mestolo è reversibile ad incastro e presenta un adattatore in gomma per garantire la tenuta stagna dove necessaria. Come accennato precedentemente il contenitore è generico e scelto dall’utilizzatore, al suo interno troverà sede il componente anti-galleggiamento a forma di spirale.
Figura 76. Schema di simulazione per la programmazione di Arduino
pH electrode
sensore TEMP interna
sensore TEMP esterna
245
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
Figura 77. Messa a punto della scheda di controllo Arduino
246
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
6.4 Test prototipo. Kefir.
Il prototipo è stato testato con la preparazione dello yogurt di kefir a base di latte. Il monitoraggio dei parametri è avvenuto nelle 24 ore successive alla preparazione, i risultati ottenuti sono stati costanti durante il processo e dopo solo un giorno di fermentazione il kefir era pronto per essere gustato. Fasi della preparazione:
Figura 78. Procedura di preparazione del Kefir con l’utilizzo del dispositivo
1. I grani di Kefir sono riposti in un contenitore domestico generico in vetro pulito e perfettamente asciutto. Per ogni cucchiaio di granuli di kefir sono stati aggiunti circa 250 ml di latte (come da dose consigliata, questa può variare a seconda dei gusti personali del Soggetto) 2. Il barattolo non è stato coperto volutamente perché il processo è aerobico. Una volta unito starter e substrato fermentante il contenitore è stato riposto in un luogo semi buio, senza luce diretta. 3. Dopo 24 ore il kefir è pronto; questo lasso di tempo può arrivare fino alle 78 ore se si desidera un prodotto più acido. 4. Il kefir è stato raccolto. In base alla tecnica utilizzata durante la raccolta si può ottenere anche in questo caso un risultato più o meno acido decidendo se mischiare oppure no il siero con il latte. I granuli rimasti possono essere riutilizzati con la stessa procedura. 5. Il Kefir filtrato è pronto per essere consumato. Può essere mangiato puro oppure con l’aggiunta di miele, frutta fresca, frutta sciroppata, cereali, caffè, cioccolato liquido o in scaglie oppure in qualsiasi altro modo si preferisca. E’ possibile tenerlo in un ambiente a bassa temperatura controllata per circa una settimana, oltre a questo tempo la sua acidità potrebbe aumentare troppo in quanto il suo processo di fermentazione continua lentamente.
247
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
misurazione (ogni ora)
Figura 79. Il dispositivo in funzione Figura 80. Il grafico rappresentante lâ&#x20AC;&#x2122;andamento dei parametri Figura 81. Sintesi dei risultati ottenuti. Elenco misurazioni ogni ora
248
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24
temperatura esterna
21 22 22 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 22
temperatura interna
16 17 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18 18
livello di aciditĂ
5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4 4
6. PROGETTO_Monitoraggio fermentazione.
Fermentazione Lattica: INFUSIONE
Fermentazione Lattica: SALAMOIA
SCOLATURA
Legumi
Olive
Tofu
Yogurt
Verdura
Formaggio fresco
Birra
Pesce
Caglio
Frutta
Conserva
Formaggio di yogurt
Aceto
Verdura cotta
Ricotta
Figura 82. Alcuni cibi diffusi la cui preparazione può essere monitorata con il dispositivo
249
Nozioni per il progetto. Il codice per la programmazione della scheda di controllo Arduino.
//area grafico TEMPERATURA TFTscreen.rect(0, altezzaGraphT, TFTscreen.width(), baseGraphT - altezzaGraphT); //area grafico PH TFTscreen.rect(0, altezzaGraphP, TFTscreen.width(), baseGraphP - altezzaGraphP);
// Example testing sketch for various DHT humidity/temperature sensors // DHT // Connect pin 1 (on the left) of the sensor to +5V // Connect pin 2 of the sensor to whatever your DHTPIN is // Connect pin 4 (on the right) of the sensor to GROUND // Connect a 10K resistor from pin 2 (data) to pin 1 (power) of the sensor // waterprof DS18B20 // Connect the red to +5V, // Connect the black to GND // Connect the white to the digital pin. Then, put a 4.7kohm resistor between the white wire and the +5V. // Analog pH 5V // Connect the pin analog 1 //libreria per scrivere sulla memoria #include <EEPROM.h> //libreria e roba per schermo lcd #include <SPI.h> #include <TFT.h> #define cs 10 #define dc 9 #define rst 8 TFT TFTscreen = TFT(cs, dc, rst); //libreria e roba per il sensore DHT #include “DHT.h” #define DHTPIN 2 // what pin we’re connected to #define DHTTYPE DHT22 // DHT 22 (AM2302) DHT dht(DHTPIN, DHTTYPE); float h1; float t1; int xPosT1 = 0; int yPosT1 = 0; //libreria e roba per il sensore DS18B20 #include <OneWire.h> OneWire ds(3); // on pin 3 (a 4.7K resistor is necessary) float t2; int xPosT2 = 0; int yPosT2 = 0; //libreria e roba per elettrodo pH #include <Wire.h> #include <DallasTemperature.h> #define ONE_WIRE_BUS 3 OneWire oneWire(ONE_WIRE_BUS); DallasTemperature sensors(&oneWire); int sensorPinPH = A1; float sensorPH = 0; int xPosPH = 0; int yPosPH = 0; // variabili for the potentiometer int sensorPotenzPin = A0; int sensorPotenz = 0; int sensorPotenzPre = sensorPotenz; float tacca; // coordinate Y per l’area del grafico PH int altezzaGraphP = 10; int baseGraphP = 55; // coordinate Y per l’area del grafico TEMPERATURA int altezzaGraphT = 60; int baseGraphT = 105; //primo indirizzo della memoria (quanti ce ne sono?) forse 1024! int addr = 0; long previousMillisEEPROM = 0; // will store last time LED was updated // the follow variables is a long because the time, measured in miliseconds, // will quickly become a bigger number than can be stored in an int. // 1000 = 1 sec // 60000 = 1 min // 3600000 = 1 ora long intervalEEPROM = 3600000; long days=0; long hours=0; long mins=0; long secs=0;
TFTscreen.setTextSize(1); dht.begin(); // inizializza per pH sensors.begin(); } void loop() { //il delay se non è mancata la corrente int pausaScreen = 2000; int pausaSensori = 2000; int pausaGrafico = 2000; int pausaEEPROM = 2000; unsigned long currentMillis = millis(); //------------ lettura dht (temp esterna) ------------------------------// Reading temperature or humidity takes about 250 milliseconds! // Sensor readings may also be up to 2 seconds ‘old’ (its a very slow sensor) h1 = dht.readHumidity(); t1 = dht.readTemperature(); //------------ lettura pH------------------------------// occhio, ha bisogno della temperatura per calcorale il pH, quella che legge qui è la temp ESTERNA! sensors.requestTemperatures(); sensorPH = 7.0 - (2.5 - analogRead(sensorPinPH) / 195.0) / (0.257179 + 0.000941468 * sensors.getTempCByIndex(0)); //Serial.print(“pH: “); //Serial.println(sensorPH); //Serial.println(“ “); //------------ lettura ds waterproof----------------------------------------------------------byte i; byte present = 0; byte type_s; byte data[12]; byte address[8]; if ( !ds.search(address)) { // Serial.println(“No more addresses.”); // Serial.println(); ds.reset_search(); delay(250); return; } // // // // //
Serial.print(“ROM =”); for( i = 0; i < 8; i++) { Serial.write(‘ ‘); Serial.print(address[i], HEX); }
if (OneWire::crc8(address, 7) != address[7]) { Serial.println(“CRC is not valid!”); return; } // the first ROM byte indicates which chip switch (address[0]) { case 0x10: //Serial.println(“ Chip = DS18S20”); // or old DS1820 type_s = 1; break; case 0x28: //Serial.println(“ Chip = DS18B20”); type_s = 0; break; case 0x22: //Serial.println(“ Chip = DS1822”); type_s = 0; break; default: Serial.println(“Device is not a DS18x20 family device.”); return; }
// variabile per delay int pausa = 2000;
ds.reset(); ds.select(address); ds.write(0x44, 1);
void setup() { Serial.begin(9600); Serial.println(“DHTxx test!”);
delay(1000); // maybe 750ms is enough, maybe not // we might do a ds.depower() here, but the reset will take care of it.
TFTscreen.begin(); TFTscreen.background(0, 0, 0); TFTscreen.fill(50, 50, 50);
// start conversion, with parasite power on at the end
present = ds.reset(); ds.select(address); ds.write(0xBE); // Read Scratchpad
// Serial.print(“ Data = “); // Serial.print(present, HEX); // Serial.print(“ “); for ( i = 0; i < 9; i++) { // we need 9 bytes data[i] = ds.read(); // Serial.print(data[i], HEX); // Serial.print(“ “); } // Serial.print(“ CRC=”); // Serial.print(OneWire::crc8(data, 8), HEX); // Serial.println();
TFTscreen.noFill(); // tacche orizzontali Temp TFTscreen.stroke(255, 255, 255); for (int i = 0; i < (baseGraphT - altezzaGraphT); i+=(baseGraphT - altezzaGraphT)/5) { TFTscreen.line(0, baseGraphT - i, 5, baseGraphT - i); } // tacche orizzontali pH TFTscreen.stroke(255, 255, 255); for (int i = 0; i < 12; i++) { float y = (baseGraphP - altezzaGraphP)/11; TFTscreen.line(3, altezzaGraphP + y*i, 3 + cos(radians((180 / 12)*i))*3, altezzaGraphP + y*i);
// Convert the data to actual temperature // because the result is a 16 bit signed integer, it should // be stored to an “int16_t” type, which is always 16 bits // even when compiled on a 32 bit processor. int16_t raw = (data[1] << 8) | data[0]; if (type_s) { raw = raw << 3; // 9 bit resolution default if (data[7] == 0x10) { // “count remain” gives full 12 bit resolution raw = (raw & 0xFFF0) + 12 - data[6]; } } else { byte cfg = (data[4] & 0x60); // at lower res, the low bits are undefined, so let’s zero them if (cfg == 0x00) raw = raw & ~7; // 9 bit resolution, 93.75 ms else if (cfg == 0x20) raw = raw & ~3; // 10 bit res, 187.5 ms else if (cfg == 0x40) raw = raw & ~1; // 11 bit res, 375 ms //// default is 12 bit resolution, 750 ms conversion time } t2 = (float)raw / 16.0; //------------ FINE lettura ds3------------------------------------------------------------
} // mostra sul grafico ---------------------------------------if (currentMillis - previousMillisEEPROM > intervalEEPROM) { previousMillisEEPROM = currentMillis; // scrivi Temp 1 (esterna) yPosT1 = map(t1,0,50,0,baseGraphT - altezzaGraphT); TFTscreen.stroke(255,255,0); TFTscreen.rect(xPosT1 -2, baseGraphT - yPosT1 -2, 5, 5); xPosT1+=5; // scrivi Temp 2 (interna) yPosT2 = map(t2,0,50,0,baseGraphT - altezzaGraphT); TFTscreen.fill(255,0,0); TFTscreen.stroke(255,0,0); TFTscreen.rect(xPosT2 -1, baseGraphT - yPosT2 -1, 3, 3); xPosT2+=5; // scrivi pH yPosPH = map(sensorPH,0,12,0,baseGraphP - altezzaGraphP); TFTscreen.fill(0,75,255); TFTscreen.stroke(0,75,255); TFTscreen.rect(xPosPH -1, baseGraphP - yPosPH -1, 3, 3); xPosPH+=5;
//t2 = 40; // check if returns are valid, if they are NaN (not a number) then something went wrong! if (isnan(t1) || isnan(h1)) { Serial.println(“Failed to read from DHT”); } else { Serial.print(“Humidity: “); Serial.print(h1); Serial.print(“ %\t”); Serial.print(“Temperature: “); Serial.print(t1); Serial.println(“ *C”); } sensorPotenz = analogRead(sensorPotenzPin); Serial.println(sensorPotenz); // TFTscreen.width() = 160 px int sensorPotenzMap = map(sensorPotenz, 0, 1024, 0, TFTscreen.width()); //tacca = TFTscreen.width() / sensorPotenzMap; // numero delle tacche tacca = sensorPotenzMap; Serial.println(TFTscreen.width()); Serial.println(tacca); // metti 3600000 per l’intervallo di un’ora // metti 60000 per l’intervallo di un minuto // metti 1000 per l’intervallo di un secondo // intervallo tra ogni tacca intervalEEPROM = 3600000; Serial.println(intervalEEPROM); // intervallo tra ogni rilevazione (5 px del cursore) OCCHIO intervalEEPROM /= (TFTscreen.width() / tacca) / 5; Serial.println(intervalEEPROM); if (abs(sensorPotenz - sensorPotenzPre) > 10) { // schermo nero TFTscreen.fill(0,0,0); TFTscreen.noStroke(); TFTscreen.rect(0,0,TFTscreen.width(),TFTscreen.height()); int sensorPotenzMap = map(sensorPotenz, 0, 1024, 0, TFTscreen.width()); tacca = sensorPotenzMap; for (int i = 0; i < tacca; i++) { float posX = i * (TFTscreen.width() / tacca); // sfumatura delle tacche float sfuma = 255 - (255 * abs(sin(radians(i*7.5)))); // tacche Temp TFTscreen.stroke(40 + sfuma/2, 40 + sfuma/2, sfuma/1.5); TFTscreen.line(posX, baseGraphT, posX, altezzaGraphT); // tacche pH TFTscreen.stroke(40 + sfuma/2, 40 + sfuma/2, sfuma/1.5); TFTscreen.line(posX, baseGraphP, posX, altezzaGraphP);
} }
char timePrintout[8]; dtostrf( i, 1, 0, timePrintout); TFTscreen.stroke(255,255,0); TFTscreen.text(timePrintout, posX * 24, 5);
sensorPotenzPre = sensorPotenz; //Serial.print(sensorPotenzMap);
// registra -------------------------------------------------EEPROM.write(addr, t1); addr = addr + 1; EEPROM.write(addr, t2); addr = addr + 1; EEPROM.write(addr, sensorPH); addr = addr + 1; } char dhtPrintout[8]; dtostrf( t1, 1, 1, dhtPrintout); //rettangolo nero per l’aggiornamento TFTscreen.fill(0,0,0); TFTscreen.noStroke(); TFTscreen.rect(0,120,TFTscreen.width(),10); TFTscreen.stroke(255,255,0); TFTscreen.text(“t est”, 0, 110); TFTscreen.text(dhtPrintout, 0, 120); char dsPrintout[8]; dtostrf( t2, 1, 1, dsPrintout); //rettangolo nero per l’aggiornamento TFTscreen.fill(0,0,0); TFTscreen.noStroke(); TFTscreen.rect(40,120,TFTscreen.width(),10); TFTscreen.stroke(255,0,0); TFTscreen.text(“t int”, 40, 110); TFTscreen.text(dsPrintout, 40, 120); char PHPrintout[8]; dtostrf( sensorPH, 1, 1, PHPrintout); //rettangolo nero per l’aggiornamento TFTscreen.fill(0,0,0); TFTscreen.noStroke(); TFTscreen.rect(80,120,TFTscreen.width(),10); TFTscreen.stroke(0,75,255); TFTscreen.text(“pH”, 80, 110); TFTscreen.text(PHPrintout, 80, 120); secs = currentMillis/1000; //convect milliseconds to seconds mins=secs/60; //convert seconds to minutes hours=mins/60; //convert minutes to hours days=hours/24; //convert hours to days secs=secs-(mins*60); //subtract the coverted seconds to minutes in order to display 59 secs max mins=mins-(hours*60); //subtract the coverted minutes to hours in order to display 59 minutes max hours=hours-(days*24); //subtract the coverted hours to days in order to display 23 hours max char clockPrintout[4]; // comando c++(?) per trasformare numeri in characters sprintf(clockPrintout, “%02d:%02d:%02d”, int(hours), int(mins), int(secs)); //rettangolo nero per l’aggiornamento TFTscreen.fill(0,0,0); TFTscreen.noStroke(); TFTscreen.rect(110,120,TFTscreen.width(),10); TFTscreen.stroke(255,255,255); TFTscreen.text(“tempo”, 110, 110); TFTscreen.text(clockPrintout, 110, 120); //delay(50); delay(pausa); }
POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
Analisi processo
Fermentazione Lattica: INFUSIONE
Fermentazione Lattica: SALAMOIA
SCOLATURA
Latte, Bevande
Verdure, Frutta, Semi, Legumi, Pesce
Yogurt, Formaggi
TEMPISTICHE PROCESSO
A
Si C
UNIRE LATTE/BEVANDA ALL’ORGANISMO STARTER
PREPARARE IL CIBO
PREPARARE IL CIBO
+
AGGIUNGERE SALE O ACQUA SALE
RIPORRE IL CIBO ALL’INTERNO DI UNA GARZA O UN TELO GENERICO
SCHIACCIARE CON FORZA STRATO DOPO STRATO RIEMPENDO IL CONTENITORE SOVRAPPORRE UN PESO AL CONTENUTO PER EVITARE IL GALLEGGIAMENTO DEL CIBO E IMMERGERE TOTALMENTE CON CURA
24
SOVRAPPORRE IL CIBO AVVOLTO AD UN CONTENITORE PER RACCOGLIERE IL SIERO
OSSIGENARE SQUOTENDO QUOTIDIANAMENTE FINO A INIZIO FERMENTAZIONE
ORE MANTENERE COSTANTE LA TEMPERATURA
72 ORE
FILATRARE E RACCOGLIERE LO STARTER
RIMUOVERE LE MUFFE FORMATE IN SUPERFICIE QUANDO NECESSARIO
OLTRE 3 GIORNI
TEMPI A DISCREZIONE DEL SOGGETTO E DEI SUOI CONSUMI
48 ORE
ESTRARRE IL CIBO CHE SI INTENDE CONSUMARE (LA SUA CONSERVAZIONE IN LUOGO FRESCO E ASCIUTTO DURA 6 MESI) COMPRIMERE IL CIBO RESTANTE OTTENENDO LA SUA TOTALE IMMERSIONE
CIBO FERMENTATO
APPENDERE E SCOLARE
FORMARE DELLE MASSE DI DIMENSIONI RIDOTTE CON L’IMPASTO OTTENUTO RIPORRE IN UN BARATTOLO RICOPRENDO CON OLIO AROMATIZZATO
c
POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
Monitoraggio trasformazione batterica
Sistema TERRITORIO Sistema CASA Output alimentari da altri ambiti
Materia prima alimentare COL TURA Coltura MICROBICA microbica
Schemi essenziali dei processi
MIGLIORAMENTI: RIDUZIONE DELL’ATTIVITÀ NELL’ ACQUA
Fermentazione Lattica: SALAMOIA
NE
AZIONE SUL CIBO: CAMBIAMENTO DELLE PROPRIETà NUTRITIVE CAMBIAMENTO ASPETTO
DBA
CK
R MA ZIO
PRODOT TO commestibile
ARIA CALDA
SALE
FEE
CALORE
TRA SFO
2
COLTURA MICROBICA
Per iod o di
Alt
PUT OUT CO ri
COSA POSSO CONSERVARE:
CIBO PESO ACQUA CALDA
MAT ERIA PRI MA per altri processi MIGLIORAMENTI: ALTERAZIONE DEL PH ALTERAZIONI CHIMICHE VARIE
Fermentazione Lattica: INFUSIONE
COSA POSSO CONSERVARE:
AZIONE SUL CIBO: CAMBIAMENTO DELLE PROPRIETà NUTRITIVE CAMBIAMENTO GUSTO CAMBIAMENTO ASPETTO
STARTER
CIBO
ACIDO LATTICO PESO
livello di acidità temperatura interna
temperatura esterna
MIGLIORAMENTI: ALTERAZIONE DEL PH ALTERAZIONI CHIMICHE VARIE
SCOLATURA
AZIONE SUL CIBO: CAMBIAMENTO DELLE PROPRIETà NUTRITIVE CAMBIAMENTO GUSTO CAMBIAMENTO ASPETTO
CIBO
OLIO
SIERO
COSA POSSO CONSERVARE:
POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
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struttura contenitore
sensori misurazione
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POLITECNICO DI TORINO
DAD - Dipartimento di Architettura e Design PhD Student - Allasio Ludovico
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Casi studio
7. Casi studio.
7
Casi studio
7.1 Rubrica dei casi studio.
Questa sezione è dedicata ad una serie di 32 casi studio con una relativa scheda di analisi sintetica spiegata nello schema qui a fianco. Gli esempi sono stati scelti in un panorama considerabile come l’attuale stato dell’arte in base ad alcune caratteristiche virtuose che li rendono simili o paragonabili al percorso progettuale che si è teorizzato nella tesi di ricerca. Questi dispositivi o strumenti si trovano in produzione oppure sotto le vesti di prototipo.
258
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
Descrizione:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Dispositivo indipendente Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
IL DISPOSITIVO INDIPEN DENT E NON HA NESSUN TIPO DI SCAMBIO O RELA ZIONE CON L’AMBITO DOMESTICO E ALTRI STRUMENTI AD ESSO APPART ENEN TI ENDE PART E AD UN IL DISPOSITIVO CHE PR IZZA UNA O PIÙ SIST EMA CONCRET AMBI SIST EMICHE TRA SC E H IC T IS ER T T RA CA IONI DI VARIO GENERE AZ L RE E E RS SO RI DI IL DIALOGO CON IL T ERRITORIO INDICA UN PROGETTO CH E FACILITA IL RAPP ORTO TRA SOGGETTO E CARATT ERIZZAZ IONE T ERRITORIALE DI APPART ENENZA LA VALOR IZZ VIENE SOT AZIONE DEGLI OUTP UT TOLINEATA COME PRES NECESSAR U IO PER CRE ARE UN SIS PPOSTO T EMA
ITATORE UN PRODOTTO FACIL IONE TRA AGEVOLA LA RELAZ A CASA E SOGGETTO, SIST EM E TRE RETI ALMENO UNA TRA L RATT ERIZZAZIONE CA A L O ON C IS IN F DE CHE T ERRITORIALE UN PROGETTO DEF INITO SULLA BASE DELLE PECULIARITÀ TERRITORIALI SI CONCRETIZZA CO N UN ALTO LIVELLO DI CONT ESTUALIZZAZIONE E TROVA LA SUA RAGION D’ESSERE PROPRIO IN QUEL CONT ESTO UN PRODOT TO CON METO DECLINABILE PUÒ ESS DI, M ERE FACILM EN CONT ESTO AT ERIALI E T ECNOL OGIE DIVERS T E REALIZZABILE IN CUI È CA E L A A SECONDA LE SUE PR IORITÀ FUN TO. VIENE DECLINATO D ZIONALI SENZA PER EL DERE
ULT ERIORE RA PPORTO INDAG ATO È LA PROFOND ITÀ DEL DIAL OGO CON IL T ERRITORIO S ECONDO CUI IL DISPOSITIVO S RELAZIONA C I ON LA CARAT T ERIZZAZION T ERRITORIAL E E
LA DESCRIZIO NE EMERGERE U VIENE AFFRONTATA CON N PARAGONE UN TAGLIO C CON QUANT RITICO CHE T O RIPORTATO NELLE SE ZIO ENDE A FAR NI DELLA RIC ERCA
Caratteristiche virtuose:
Produttore: Località:
Progettista: Località:
Tipologia
coltivazione
BITO NE DELL’AM IO Z A C I IF T N E ID CUI IL CASO IN O C I T S E TO. M O D E CLASSIF ICA R E S S E Ò U P STUDIO RISCONTRO IL E T N A T R O È IMP ELLA EORIZZATO N T O T N A U Q TRA SE ZIONE 4 DIO VIENE IL CASO STU E IN BASE ALL O T A IC IF S S A CL CHE POSSONO E H IC T IS R E I CARATT AL PUNTO D D E R O L A V N MICO AVERE U OCCIO SIST E R P P ’A L L E D VISTA
SO STUDIO
NOME DEL CA
UNA BREVE SCHEDA DESC RITTIVA INDICA LA TIPOL OGIA SECONDO CUI IL DISPOSIT IVO ASSOLVE PRECISE FU NZ IONI ALL’INT ERNO DELL’AMBITO DOMESTIC O IN CUI SI TROVA. VENGONO INDICATI IL PR OGETTISTA E LA RELATI VA PROVENIENZA E IL PRODUTTORE SE IL PROGETTO NON RIMANE A LIVELLO DI CONCEPT. LE CARATT ERISTICHE VI RTUOSE SOTTOLINEANO UNA O PIÙ PECULIARITÀ DEL PROGETTO GIUDICAT E INNOVATIVE
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Caso Studio
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Philips Eindhoven
Produttore: LocalitĂ :
Descrizione:
Cucina sistemica suddivisa in piattaforme funzionali: - Bio-digester island - Larder - Paternoster plastic waste up-cycler - Urban beehive - Bio-light i didpositivi sono connessi tra loro attraverso un ciclo sistemico che tende allo scarto zero.
Alto livello di consapevolezza del Soggetto
Caratteristiche virtuose: Sistema di piattaforme integrato nellâ&#x20AC;&#x2122;ambito domestico
Philips Design Unit Eindhoven
Progettista: LocalitĂ :
Facilitatore Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Prototipo funzionante di Sistema domestico suddiviso in aree
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Microbial home
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Philips Design Unit Eindhoven
Philips Eindhoven
Progettista: Località:
Produttore: Località:
Descrizione:
Facilitatore Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
grind wastes
PREPARING
organic garbage disposal
light
water
electricity
BIODIGESTER
shows energy reserves COOKING
Hub centrale della Microbial Home System. Biodigestore che converte gli scarti solidi del bagno e l’organico proveniente da frutta e verdura in gas metano utilizzabile come alimentazione per alimentare una serie di funzioni all’interno della casa. La sua struttura è mobile e permette all’isola di essere riposizionata con facilità nell’ambiente interno, include un piano di lavoro con accesso allo stoccaggio degli scarti organici dove questi vengono sminuzzati, un piano cottura, una serie di indicatori empirici in vetro per la misurazione di pressione, volume e avanzamento della decomposizione. I materiali utilizzati sono rame, acciaio, vetro e bamboo. Il Bio-gas è prodotto grazie all’azione di una colonia batterica che si ciba degli scarti organici, il gas prodotto è accumulato e successivamente usato per la combustione per alimentare il piano cottura o per il funzionamento di Bio-light. Il biodigestore deve essere alimentato continuamente con gli scarti e acqua. Il substrato rimanente può essere utilizzato come compost.
Alto livello di suggestione
Caratteristiche virtuose: Autoproduzione energetica
Biodigestore
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Bio-digester island [Microbial home]
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Philips Eindhoven
Produttore: Località:
Descrizione:
hot water heated by bio-digester water evaporation
sausage and garlic hanging
electricity
Il Larder è un tavolo da pranzo utilizzabile come piano di lavoro per la trasformazione del cibo che comprende anche alcuni vani per la sua conservazione a temperatura ambiente. In questo caso viene sottolineata l’importanza di conservare il cibo senza “ucciderlo” attraverso una conservazione sterilizzata a temperature eccessivamente basse e viene riscoperta la pratica della preparazione del cibo in chiave conviviale attorno al tavolo. In centro al piano è presente un sistema di raffreddamento tipo Pot-in-Pot con doppia parete in terra cotta e altri vani che mantengono condizioni di umidità e temperatura adatte alla conservazione di cibi in particolare La superficie esterna del contenitore in terra cotta è avvolta da tubi riscaldati con il metano del Bio-digester nella parte inferiore del tavolo per agevolare l’evaporazione su cui si basa il processo Sopra al piano di lavoro è presente un “giardino ceramico” dove coltivare modeste quantità di vegetali per la cucina.
Caratteristiche virtuose: Conservazione a temperatura ambiente e fresco
Philips Design Unit Eindhoven
Progettista: Località:
Facilitatore Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Piano di lavoro per trasformazione cibo Vani di conservazione a raffrescamento naturale
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Larder [Microbial home]
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Philips Eindhoven
Produttore: Località:
Descrizione:
fungal starter colture
plastic wastes
Dispositivo per il trattamento dei rifiuti che permette l’abbattimento del volume dei rifiuti plastici grazie all’azione digestiva del micelio di una particolare specie di funghi commestibili. Viene sottolineata la contraddizione del carattere durevole nel tempo dei packging in plastica e risolta ricorrendo ad un altro regno: quello dei funghi. Lo scarto polimerico viene introdotto nel dispositivo, ridotto in sfalci più piccoli tramite una cippatrice a manovella e mischiato con il micelio dei funghi. La durata della decomposizione dipende dallo spessore dello scartto e se non sono presenti metalli pesanti o altre componenti tossiche di origine chimica all’interno delle plastiche e dei loro inchiostri i funghi che cresceranno saranno commestibili.
polimeri
Caratteristiche virtuose: Utilizzo di funghi commestibili per la digestione dei
Philips Design Unit Eindhoven
Progettista: Località:
Facilitatore Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Dispositivo per smaltimento rifiuti plastici
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Paternoster [Microbial home]
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Philips Eindhoven
Produttore: Località:
Descrizione:
Urban Beehive è un concept che permette l’allevamento di api in ambiente domestico. La forma del dispositivo è concepita per rispettare i ritmi di vita e i comportamenti degli insetti; consiste in due parti: una esterna che comprende l‘entrata e un vaso per fiori e una interna in vetro che contiene vari piani con struttura ad alveare adatti per essere integrati con i piani in cera dell’alveare vero e proprio costruiti dalle api. La superficie fumè del vetro scherma la luce permettendo alle api di vedere agevolmente ed è predisposto per l‘ingresso di gas che serve per stordire le api quando è possibile raccogliere il miele prodotto. Il valore educativo di questo concept è notevole tendendo a conferire la giusta importanza delle api nel ciclo della vita grazie alla loro azione dell’impollinazione. Inolter costruendo il loro alveare le api producono prodotti molto utili come miele e propoli.
Caratteristiche virtuose: Coinvolgimento Soggetto e valore educativo
Philips Design Unit Eindhoven
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato
Dispositivo indipendente Dialogo con il territorio
Dispositivo per l’allevamento di api
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Urban beehive [Microbial home]
trasformazione cibo
trattamento aria
Philips Eindhoven
Produttore: Località:
Descrizione:
Bio-light consiste in un concept che produce effetti luminosi grazie ad accorgimenti tecnologici di origine biologica: come lo sfruttamento di batteri bioluminescenti che si cibano di metano proveniente dal Bio-digester e altri materiali in via di decomposizione. In alternativa le celle luminose posso essere alimentate con proteine fluorescenti che producono svariate frequenze di luce. Fisicamente il dispositivo è composto da varie celle in vetro che contengono le colonie batteriche ed emettono questi effetti bioluminescenti. La struttura in metallo che sostiene le celle può essere fissata alla parete e ogni cella è connessa alle altre tramite dei tubi in silicone alimentati con le risorse di cibo.
Caratteristiche virtuose: Utilizzo batteri bioluminescenti
Philips Design Unit Eindhoven
Progettista: Località:
Declinabile
Dispositivo indipendente Dialogo con il territorio
Dispositivo luminoso a luminescenza biologica
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
[Microbial home]
riscaldamento
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Bio-light
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Philips Design Unit Eindhoven
Philips Eindhoven
Progettista: Località:
Produttore: Località:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Descrizione:
Questo wc a secco separa le deiezioni solide da quelle liquide per alimentare il Bio-digester della Microbial Home system. Il filtraggio progettato comprende filtri a carboni attivi, a sabbia e filtri ceramici, inoltre prevede il supporto per diverse tipologie di piante. Il meccanismo sfrutta i principi dei normali wc a secco indiani, non utilizza energia elettrica e l’acqua utilizzata viene reintrodotta a fine ciclo con un livello di qualità non inferiore a quello in entrata.
sistema
Caratteristiche virtuose: Valorizzazione degli scarti per eventuali utilizzi nel
Wc a secco
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Filtering squatting toilet [Microbial home]
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Philips Eindhoven
Produttore: Località:
Descrizione:
Questi dispositivi sono il risultato di un programma di ricerca chiamato Philips Design Probes iche si sviluppava in cinque aree: politics, economics, culture, environmental issues and technology. I dispositivi ottenuti sottolineano l’importanza della relazione tra corpo umano e cibo. Utilizzano materiali e tecnologie dallo spiccato carattere innovativo. L‘Home Farming è un dispositivo per coltivazione e itticoltura domestica in piccola scala che suddiviso in una serie di mini-ecosistemi comunicanti fra loro che condividono filtraggio acqua, sostanze nutritive e altri processi di valorizzazione scarti. I piccoli elettrodomestici nelle immagini seguenti sono delle interfacce per la gestione del cibo proveniente dall’Home Farming.
Caratteristiche virtuose: Coinvolgimento Soggetto e valore educativo
Philips Design Unit Eindhoven
Progettista: Località:
Facilitatore
Dispositivo indipendente
Dispositivi per coltivazione e trasformazione cibo
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Design food probes
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
La Dimaxion House viene concepita e progettata negli anni ‘20 per poi essere realizzata nel 1945 da Fuller come soluzione per la domanda di una casa producibile in serie, efficiente, abordabile economicamente (costa come una Cadillac di quegli anni), facilmente trasportabile ed ecologicamente sostenibile. La sua struttura è a tensione sospesa su una colonna centrale e si sviluppa secondo un telaio in tubolare metallico. Il suo nome è ottenuto dalla combinazione delle tre parole su cui il progettista è stato focalizzato per tutta la sua carriera: “DY (dynamic), MAX (maximum), and ION (tension). Questo ambiente domestico nomade è riscaldato e raffreddato secondo flussi d’aria naturali senza avere alcun tipo di dispersione termica, produce l’energia di cui ha bisogno per funzionare, risulta sicuro in caso di terremoti o tempeste equatoriali e i materiali con cui è realizzato non necessitano di manutenzione ordinaria. Lo spazio interno è declinabile a seconda delle esigenze di spazio dell’utente
Caratteristiche virtuose: Alta efficienza nella sostenibilità ambientale
Richard Buckminster Fuller Stati Uniti
Progettista: Località:
Contestualizzabile
Sistema casa
Ambiente domestico nomade completo
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Dymaxion
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Whirpool Benton Harbor, Michigan, Stati Uniti
Produttore: Località:
Descrizione:
Il progetto Greenkitchen consiste in una cucina completa, che permette di risparmiare fino al 70% dell’energia necessaria a svolgere le varie operazioni di preparazione, cottura dei cibi e lavaggio delle stoviglie. La tecnologia che alla base del sistema di dispositivi consente di ottimizzare i consumi di acqua e calore, attraverso l’interazione tra essi. Il frigorifero ha zone differenziate in base alle temperature, per accogliere i vari tipi di cibo, è dotato di cassetti che permettono di non disperdere l’aria fredda quando si apre la porta, determinando un risparmio di energia del 50%. Il calore generato dal compressore del frigorifero è sfruttato per ottenere acqua calda da utilizzare con la lavastoviglie. La superficie del piano cottura convoglia il calore sulla la pentola, senza sprechi. La cappa si aziona solo in presenza di odori ed umidità e l’aria raccolta viene depurata e reimmessa nell’ambiente per riscaldarlo.L’erbario contiene il clima ideale per erbe e piante, ideale per tutto l’anno e raggiunto grazie alla combinazione tra calore residuo del forno, umidità stabilita dai sensori e acqua riciclata. Uno speciale dispenser offre acqua a temperatura ambiente, fredda, calda o frizzante, direttamente dal rubinetto, evitando l’acquisto, e quindi il consumo, di tante bottiglie di plastica. Quando si lascia scorrere l’acqua fredda in attesa che si riscaldi, uno speciale serbatoio la raccoglie per poterla impiegare per altri usi e nel lavello è presente un particolare filtro che raccoglie l’acqua ancora pulita e la indirizza verso una tanica di raccolta, da dove potrà essere riutilizzata, dopo essere stata sottoposta ad un trattamento antibatterico.
Caratteristiche virtuose: Efficienza nell’ambiente cucina.
Whirpool research unit Benton Harbor, Michigan, Stati Uniti
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Sistema cucina con dispositivi in relazione tra loro
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Greenkitchen
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Electrolux Stoccolma
Produttore: Località:
Descrizione:
Il concept Egg presenta sotto una veste formale direttamente ottenuta dalla sintesi delle azioni che il soggetto può compiere attorno al dispositivo alcune tecnologie per la preparazione cibo molto efficienti. La sua struttura è divisa in tre “petali” che assolvono alle esigenze di tre passaggi fondamentali per la preparazione del cibo: il lavaggio, la lavorazione manuale a freddo e la cottura rispettivamente secondo quest’ ordine:Vapor Washing Wing, Preparation Wing e Induction Wing. Inoltre il futuristico nucleo centrale, chiamato Holographic Projector, crea ologrammi per la visualizzazione in 3d le ricette che il soggetto scegliere di imparare e riprodurre. Purtroppo questo dispositivo lascia poco spazio alla consapevolezza del soggetto e non agevola il suo rapporto con il territorio circostante ma rimane nella dimensione degli elettrodomestici attuali, infatti è alimentato da una batteria alla base del nucleo centrale.
Caratteristiche virtuose: Utilizzo di tecnologie avanzate
Electrolux Design Lab Stoccolma
Progettista: Località:
Facilitatore
Dispositivo indipendente
Dispositivo per la trasformazione del cibo
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Egg concept
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Artigiani vari Scandinavia
Produttore: Località:
Descrizione:
Le due studentesse svedesi definiscono questo progetto come “unconventional back-to-basics food storage system”. Root prende in considerazione in maniera molto precisa tutti gli accorgimenti necessari per conservare il cibo nel tempo sfruttando semplicemente temperatura, umidità e interazione tra i cibi stoccati. Il disposiivo è diviso in quattro sezioni dove questi parametri sono controllati in maniera indipendente. La “top zone” è dedicata ai cibi secchi, presenta buste per il pane, un magnete dove attaccare eventuali latte di cini in scatole e lo sportello incorpora una parete per la coltura idroponica di erbe e vegetali per la cucina. La “middle section” consiste in un ambiente isolato controllabile a vista attraverso lo sportello in vetro dove frutta e verdura possono essere stoccati in recipienti in terra cotta. La sezione sottostante è l’unica che sfrutta dell’energia elettrica per rinfrescare il minimo necessario l’ambiente dove è possibile conservare carne e pesce. L’ultimo scomparto è dedicato invece avegetali e tuberi da radici, questi posso essere conservati piantati in appositi recipienti con un substrato. Il consumo energetico è minimo, la conservazione è agevole ed efficiente, il dispositivo rispetta i vincoli dimensionali per essere incastonato in normali cucine.
Alto coinvolgimento per il soggetto
Caratteristiche virtuose: Consumo energetico minimo
Gabriella Rubin, Kornelia Knutson della Lund University Lund
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Dispositivo indipendente Dialogo con il territorio
Dispositivo per la conservazione dei cibi
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Root
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Artigiani vari Scandinavia
Produttore: Località:
Descrizione:
L’obiettivo del progettista era quello di capire se un dispositivo ad un basso contenuto tecnologico possa rispondere in modo efficiente alle esigenze del nostro attuale modello di vita. Il risultato che impiega solamente legno e metallo, come da tradizione scandinava, sembra raggiungere questo obiettivo in maniera interessante: non viene sfruttata alimentazione elettrica, il dispositivo funziona esclusivamente manualmente, impiega una modesta quantità d’acqua e sfrutta detersivi naturali.
Alto coinvolgimento per il soggetto
Caratteristiche virtuose: Nessun consumo energetico
Jang Qian della Lund University Lund
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Dispositivo indipendente Dialogo con il territorio
Dispositivo per il lavaggio di vestiti
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Lo-fi washer
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Art Design Feldkirch
Produttore:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio
Descrizione:
Il progetto “mobile hospitality” cerca di interrogarsi sull’aspetto dell’iniziativa personale in spazi pubblici, aspetto molto interessante dal punto di vista progettuale in quanto questo spazio è stato trattato come appartente al soggetto che lo vuole occupare con azioni tipiche della sua vita quotidiana. Il linguaggio formale di questa cucina nomade è quello tipico dell’autoproduzione DIY. Gli strumenti e i componenti sono essenziali e concepiti in legno massello, lel oro funzioni sono integrate da ulteriori accorgimenti pratico-funzionali che si concretizzano in ulteriori appendici come la pompa per recuperare l’acqua inutilizzata dal lavandino e portarla sulla modesta parte dedicata alla coltivazione di spezie. I progettisti intendono anche sottolineare l’importanza di coinvolgere il soggetto tramite provocazione e divertimento per comunicare come culture e tradizioni culinarie siano a rischio nel nostro attuale modello di consumo.
Caratteristiche virtuose: Coinvolgimento Soggetto e valore educativo
Cucina mobile
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Mobile Gastfreundschaft
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Facilitatore Contestualizzato
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Cucina sistemica con aree di trasformazione cibo, conservazione, lavaggio, trattamento acqua e rifiuti Mauricio Carvajal, Tatiana Martínez, Andrés Naranjoeindhoven (Politecnico di Torino, Ecodesign) Torino
coltivazione
Descrizione:
Pachamama è una cucina sistemica contestualizzata in Colombia. I dispositivi presenti comunicano tra loro attraverso relazioni e flussi di materia. Questo dialogo si basa sul principio sistemico della valorizzazioni degli output, provenienti da un’attività, riutilizzabili per un nuovo processo. Il rapporto con il territorio è molto forte: vengono riprese pratiche tradizion ali di conservazione, preparazione cibo e cottura. Anche i materiali utilizzati provengono dal contesto territoriale mentre gli strumenti e le tecnologie sono riprese dalla cultura materiale tradizionale del posto. Senza ulteriori sviluppi progettuali questa cucina non è declinabile su altri territori perchè la sua progettazione è stata focalizzata sul contesto colombiano.
Caratteristiche virtuose: Realazioni di scambio e dialogo nel sistema
Località:
Progettista:
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Pachamama
•J•r111
LAVAGGIO
('IJ~(
I I I I I I
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Gas Naturale
0 0,72m
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3
al giorn o
0 4m
3
Ill
di Biogas
al giorno
auto-prod otto risparmio del
35°/o di gas naturale
Yo r1spetto al
consumo attuale
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
L’acquario consente l’allevamento domestico di pesci di taglia media in un acqua purificata grazie al contributo dei vegetali coltivati idroponicamente negli spazi superiori. L’obiettivo del progettista è quello di agevolare il soggetto nella pratica di autoproduzione del cibo. Questo concept si presenta formalmente come una installazione artistica che comprende acquario, allevamento di pesci e coltura idroponica di verdure. Il suo aspetto più interessante può essere quello di accoppiare sistemicamente il regno dei vegetali e quello animale per ottenere le condizioni adatte al loro sviluppo.
Caratteristiche virtuose: Coinvolgimento Soggetto e fascinazione
Mathieu Lehanneur‘ Francia
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Dispositivo refrigerante e acquario per coltivazione e allevamento
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Local River
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
Il progettista francese propone un dispositivo per la depurazione dell’acqua (in questo caso degli acquari) che funziona in modo naturale senza l’impiego di energia. Questo si basa sull’azione concomitante di un filtro in sabbia dallo spessore di 5cm e di una coltivazione idroponica di piante in grado di eliminare gli scarti di nitrato prodotti dai pesci e in questo caso utilizzati come nutrimento per le piante. Il vero carattere innovativo di questo progetto è la concreta efficacia di un trattamento per le acque che può essere sfruttato anche per bisogni diversi dalla semplice depurazione dell’acqua di un acquario.
Caratteristiche virtuose: Efficienza totale ottenuta in modo naturale.
Benjamin Graindorge Francia
Progettista: Località:
Facilitatore Declinabile
Dispositivo indipendente Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Sistema di trattamento acque
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Floating garden fish tank
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Studio Grom Milwaukee
Progettista: Località:
Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Descrizione:
La cucina Flow è un concept compatto che rivisita in chiave sistemica la cucina attuale. Utilizza tecnolgie semplici e mette in relazione tra loro i vari dispositivi presenti basandosi sulla valorizzazione sistemica degli scarti riutilizzabili per altri processi: per questo i progettisti hanno definito il suo ciclo lavorativo come continuo. I vari sistemi comprendono il riciclo dell’acqua immediato dalla scolatura dei piatti, la conservazione del cibo a temperature appropriate non intensive ricorrendo al range fresco-freddo, una compostiera per gli scarti organici dall’accesso facilitato direttamente sul piano di lavoro.
Caratteristiche virtuose: Funzionamento garantito da una tecnologia modesta
Cucina sistemica
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
The Flow Kitchen
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
GCD per la ricerca Project F di Whirlpool Italia
Produttore: Località:
Descrizione:
BioLogic può sostituire la lavatrice a tutti gli effetti ma non usa né elettricità né detersivi, perchè si basa sui principi di fito-depurazione. Il cuore del dispositivo è un autentico ecosistema costituito da piante vive, che riproducono i delicati equilibri degli ambienti naturali acquitrinosi. Improponibile al mercato per i costi, le dimensioni ed i tempi di lavaggio, "BioLogic" rimane allo stadio di "concept". L’eliminazione delle impurità avviene attraverso processi fisici ( filtrazione meccanica da parte delle piante), reazioni chimiche (assorbimento delle sostanze inquinanti), e meccanismi biologici (degradazione batterica e anabiosi). Le piante hanno una doppia funzione, utilizzando parte dei sottoprodotti della depurazione come nutrimento (fosforo e azoto), e ospitando al contempo nelle loro radici i batteri aerobici che producono uno di questi due elementi, l’azoto. “BioLogic” sfrutta inoltre la tecnologia a cella-combustibile per alimentare i display ed i motori che muovono i flussi d’acqua all’interno del sistema. L’energia è interamente elettrochimica (attrazione tra idrogeno e ossidanti) e proviene dalle piante stesse. Il funzionamento pratico del dispositivo si basa su una serie di sei contenitori che accolgono i panni, corrispondenti ad altrettante fasi del lavaggio. Si possono così distribuire i carichi nei vari contenitori e sovrapporre diversi cicli in un flusso continuo. Prevede una serie di celle che puliscono lentamente ad acqua con andamento ciclico; terminato il programma di lavaggio, piante speciali purificano l’acqua perché possa essere riutilizzata. Il sistema di fitodepurazione che purifica l’acqua prevede che: l’acqua pulita e depurata passi da un serbatoio di raccolta allo scomparto del lavaggio dove è impiegata per lavare e risciacquare il bucato. Da qui, l’acqua viene trasferita in una autentica piantagione acquatica che la depura e, nel mentre, l’acqua stessa rilascia sostanze nutritive che mantengono in vita le piante. Una volta ripulita, l’acqua ritorna nel serbatoio di raccolta per essere conservata e utilizzata per un nuovo ciclo di lavaggio.
Caratteristiche virtuose: Coinvolgimento Soggetto e valore educativo
Località:
Patrizio Cionfoli, Giuseppe Netti e Ruben Castano per Whirpool Centro design di Cassinetta, Italia
Progettista:
Contestualizzato Declinabile
Dispositivo indipendente Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Dispositivo per il lavaggio di vestiti
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
BioLogic
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Indesit Fabriano (Italia)
Produttore: Località:
Descrizione:
L'orto verticale Urb-Garden è una struttura adottabile dentro o fuori casa, si sviluppa in modo semplice ed essenziale e le sue connessioni sono facilmente reversibili per uno smontaggio praticabile in qualsiasi momento. Il dispositivo èdotato di cestelli dove collocare le verdure e gli ortaggi e presenta un sistema autosufficiente di irrigazione interno. Urb-Garden interagisce con l’ambito della preparazione cibo in quanto dotato di uno spazio per stoccaggio dei rifiuti organici e un compostatore dove questi posso essere trasformati in compost per la coltivazione. Un sistema di irrigazione a goccia provvede poi ad alimentare le piante senza l’intervento dell’utente.
Caratteristiche virtuose: Coinvolgimento Soggetto e valore educativo
Xavier Calluaud per Innovation & Digital Design Indesit Fabriano (Italia)
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Orto verticale
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Urb-garden
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Indesit Fabriano (Italia)
Produttore: Località:
Descrizione:
Aqualift è un dispositivo per il lavaggio che integra la funzione di lavaggio strumenti da cucina al lavello. La struttura si basa sul normale lavello domestico agevolando il soggetto con un unico accesso condiviso.t Vertigo è un dispositivo per la cottura del cibo, simile ad un tradizionale forno da cucina ma integra la cappa per il trattamento aria. Multicook' è un piano cottura con un ampia scelta di accessori che presenta una spiccata versatilità potendosi anche trasformare in piano di lavoro.
Caratteristiche virtuose: Condivisione funzioni
Innovation & Digital Design Indesit Fabriano (Italia)
Progettista: Località:
Facilitatore
Parte di un sistema
Dispositivi per il multi-lavaggio e trasformazione cibo
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Aqualift, Vertigo & Multicook
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
Concept ingombrante dall’aspetto elegante in grado di produrre energia, ospitare la coltivazione di piante aromatiche e fungere da area relax per il soggetto. Loop è stato progettato per rendere concreto un sistema di riciclo atto all’ autoproduzione energetica domestica. Conferiti gli scarti organici al dispositivo è possibile ottenere energia da un processo di biodigestione per alimentare la cottura della seguente preparazione cibo oppure altri elettrodomestici. Inoltre il dispositivo è disegnato in modo da poter ospitare e far crescere un mini-orto nella cucina dove è possibile sfruttare il compost del biodigestore. è presenta anche una seduta ergonomica a riscaldata attraverso una membrana, alimentata dal calore prodotto con il biodigestore.
Caratteristiche virtuose: Autoproduzione energetica diffusa localmente
Stillebacher e Dejaco Austria
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato
Dispositivo indipendente Valorizzazione output
Centrale energetica domestica
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Loop
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Sebastian Popa Stoccolma
Electrolux Design Lab Stoccolma
Progettista: Località:
Produttore: Località:
Descrizione:
Micro è un’isola compatta in grado di svolgere le funzioni più utilizzate di una normale cucina. Tramite una condivisione di componenti il suo volume è ridotto al minimo indispensabile. Il progetto presta attenzione a tutti gli accorgimenti che possono diventare potenzialmente pericolosi durante l’utilizzo e comprende una piano lavoro, un lavandino per il lavaggio generico, un dipositivo per il lavaggio delle stoviglie e uno spazio per la conservazione (intesa come quella attuale con uno sfruttamento energetico intensivo.
Facilitatore
Parte di un sistema
Caratteristiche virtuose: Condensazione e condivisione di funzioni
Cucina compatta
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Micro
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Electrolux Stoccolma
Produttore: Località:
Descrizione:
Swash è un concept che sfrutta la tecnologia “air wash” per lavare gli indumenti senza utilizzare l’acqua. Questa tecnologia ancora in fase di sperimentazione, ricorre ad un getto continuo d’aria calda e umida che investe gli abiti riposti nel tamburo centrale.
Caratteristiche virtuose: Utilizzo di tecnologie avanzate
Electrolux Design Lab Stoccolma
Progettista: Località:
/
Dispositivo indipendente
Concept per il lavaggio degli indumenti
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Swash Air Wash Machine
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
Il progetto rielabora in chiave attuale accorgimenti provenienti dalla cultura materiale passata per ottenere una sana conservazione dei cibi nel breve periodo e realizzabile senza ricorrere all’abbattimento della temperatura intensivo. Viene preso in considerazione l’aspetto che frutta e la verdura respirano sprigionando anidride carbonica, vapore acqueo e calore e continuano a vivere anche dopo che vengono raccolte. Regolando temperatura e umidità, è possibile rallentare questa respirazione e controllare maggiormente i tempi di conservazione. Il coinvolgimento del soggetto risulta quindi fondamentale per il dispositivo. Per i prodotti ortofrutticoli è predisposta una mensola che fornisce uno spazio adeguato e, irrigando le verdure quotidianamente, le mantiene fresche più a lungo. L’acqua non solo apporta la giusta quantità di umidità, ma raffredda anche i prodotti, assicurando una temperatura superiore a quella del frigorifero ma inferiore a quella della stanza. Verdure e ortaggi a radice vengono disposte in verticale, questo accorgimento permette di mantenerle fresche più a lungo inoltre i vasi con la sabbia consentono di mantenere un livello di umidità adatto alla conservazione.
Efficienza completa con accorgimenti tecnologici basilari
Caratteristiche virtuose: Coinvolgimento Soggetto e valore educativo
Jihyun Ryou Design Academy di Eindhoven
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Dispositivo indipendente Dialogo con il territorio
Dispositivo per la conservazione di cibo
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Save-Food-From-The-Fridge
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
Questo concept trae ispirazione dalle pratiche di volo degli uccelli. Viene così concretizzato un dispositivo per il trattamento e la purificazione dell’aria in ambiente domestico. Viene utilizzato il succo di limone per eliminare il 99,96% delle sostanze sgradite o dei batteri nell’aria che allo stesso tempo deodora l’ambiente. Il suo funzionamento è garantito dall’energia cinetica ottenuta con semplici spinte a mano.
Caratteristiche virtuose: Efficienza senza utilizzo di corrente elettrica
Tomasz Siemek (Istituto Gliwicka Wyzsza Szkola Przedsiebiorczosci) Polonia
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Dispositivo indipendente Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Dispositivo per il trattamento aria
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Gull air purifier
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
EcoWash è un concept che si pone l’obiettivo di poter lavare stoviglie e strumenti per la preparazione del cibo in qualsiasi contesto dove non sia presente la corrente elettrica. Questo progetto riesce a mettere in pratica in maniera efficiente un lavaggio stoviglie ad energia cinetica generata tramite manovella, questo principio può non essere limitato a questo impiego ma potrebbe anche essere adottato per altri ambiti di lavaggio.
Caratteristiche virtuose: Funzionamento senza energia elettrica
David Stockton, Massey University School of Design Nuova Zelanda
Progettista: Località:
Facilitatore
Dispositivo indipendente
Dispositivo per l’allevamento di api
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
EcoWash Dinner Set
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Nilay Shah India
Veneta Cucine, Italia
Progettista: Località:
Produttore: Località:
Descrizione:
Il concept si presenta come un’isola per la trasformazione cibo dall’aspetto non sofisticato in quanto realizzata con pratiche artigianali che possono riprendere materiali e metodi di lavorazione tipici del territorio e facilmente declinabili a seconda del contesto. Sono presenti spazi differenti per la conservazione dei cibi, un’area di lavaggio per ortofrutticoli e un apposito vano per lasciare asciugare i prodotti. Inoltre è presente un’area di lavoro e un piano cottura. In questo modo tutti gli ambiti domestici che hanno a che fare con il cibo sono a disposizione del soggetto ma senza essere messi in relazione tra loro attraverso scambi di risorse.
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Dispositivo indipendente Dialogo con il territorio
Caratteristiche virtuose: Struttura declinabile territorialmente
Cucina sistemica
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
I-green kitchen
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Electrolux Stoccolma
Produttore: Località:
Descrizione:
Il dispositivo è stato progettato con una struttura modulare componibile dall’utente secondo le proprie esigenze. Ogni vano adibito alla conservazione cibo presenta valori differenti ed indipendenti per quanto riguarda temperatura ed umidità. Risulta interessante il linguaggio esterno per comunicare con il soggetto attraverso un linguaggio cromatico. Il dispositivo si alimenta dalla rete elettrica come un tradizionale frigorifero.
Caratteristiche virtuose: Ambiente peculiare per la conservazione differenziata
Stefan Buchberge Austria
Progettista: Località:
Facilitatore
Dispositivo indipendente
Dispositivo per la conservazione di cibi
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Flatshare
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
Questa piattaforma sistemica svolge in modo molto efficiente le funzioni di una cucina domestica riutilizzando direttamente tutti gli scarti prodotti. La struttura modulare è suddivisa in blocchi funzionali chiamati “micro-plant” dedicati a specifiche attività: 1. Raccolta differenziata di rifiuti solidi, stoccaggio e riduzione di volume attraverso processi meccanici; 2. Utilizzo, stoccaggio, trattamento e riciclo dell’acqua; la risorsa idrica è presa in considerazione a seconda della qualità necessaria per il processo di impiego, viene quindi differenziata più volte nei vari cicli di impiego; 3. Stoccaggio scarti organici, processo, valorizzazione e riutilizzo per la coltivazione; i rifiuti organici vengono processati in una compostiera che sfrutta la digestione dei lombrichi per la trasformazione in “vermi-compost”.
sistemiche
Caratteristiche virtuose: Concretizzazione efficiente di svariate relazioni
Victor Massip e Laurent Lebot (Studio Faltazi) Francia
Progettista: Località:
Facilitatore Contestualizzato
Parte di un sistema Valorizzazione output
Cucina sistemica
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Ekokook
/
• • ..
( (
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
Il dispositivo Colo occupa l’ambito del lavaggio coprendo la funzione di lavaggio stoviglie e quella di utilizzo generico della risorsa idrica nel lavabo domestico. Il progetto ripone la sua attenzione nella successione delle azioni che il soggetto compie per lavare le stoviglie, le decontestualizza per poi riorganizzarle nel nuovo elettrodomestico in cui la maggior parte delle funzioni sono condivise con un normale lavabo da cucina. L’utilizzo di Colo è molto semplice ed immediato, la sua struttura essenziale non lascia spazio ad errori e il soggetto entra subito in confidenza con esso anche perchè i suoi accessori sono studiati proprio per favorire l’attività conviviale in ambito domestico. I piani intercambiabili ne sono un esempio: tutto l’occorrente per apparecchiare una tavola da più coperti può essere facilmente spostato, lavato, riposto o riutilizzato senza dover mettere ordine tra le stoviglie prendendole in mano singolarmente; il processo stesso di lavaggio acquista interesse attraverso una vera e propria spettacolarizzazione.
Caratteristiche virtuose: Immediatezza, essenzialità, facilità
Peter Schwartz e Helene Steiner Berlino
Progettista: Località:
Facilitatore Declinabile
Dispositivo indipendente
Dispositivo per il lavaggio domestico generico e lavaggio stoviglie
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Colo dishwasher
trasformazione cibo
trattamento aria
riscaldamento
trattamento rifiuti
conservazione
area asciugatura
Descrizione:
Questo progetto rudimentale prende in considerazione la valorizzazione degli scarti organici e dell’acqua definita “grigia”. Il loro riutilizzo avviene in maniera molto semplice per alimentare la coltivazione di piante direttamente a fianco dell’isola. Il piano di lavoro e gli spazi dedicati al lavaggio sono di immediato accesso così come il vaso contente la pianta da alimentare. La struttura essenziale è facilmente riproducibile attraverso metodi DIY direttamente contestualizzabili sul territorio.
Caratteristiche virtuose: Efficienza con contenuto tecnologico quasi assente
Località:
Alexandra Sten Jørgensen (Buckinghamshire Chilterns University) Inghilterra
Progettista:
Facilitatore Contestualizzato Declinabile
Parte di un sistema Dialogo con il territorio Valorizzazione output
Dispositivo per l’allevamento di api
coltivazione
Tipologia
Rapporto con il Territorio
Relazione Sistemica
Ambito Domestico
stoccaggio acqua
trattamento acqua
lavaggio
Ethical kitchen
Epilogo
8. Epilogo
8
Epilogo In questa sezione conclusiva vengono messe in evidenza alcune considerazioni finali sul percorso di ricerca svolto. Sono inoltre elencati tutti i riferimenti presi durante lâ&#x20AC;&#x2122;attivitĂ di ricerca.
Dialogo; Sistema Casa, Sistema Territorio, Approccio Sistemico, Progettazione per Componenti, Contaminazione, Metodologia, Percorso Progettuale.
314
8. Epilogo
INDICE DELLA SEZIONE
316 317 325
8.1 Conclusioni 8.2 Riferimenti 8.3 Ringraziamenti
315
8. Epilogo
8.1 Conclusioni.
L
e informazioni, i dati e le pratiche prese in considerazione nelle prime tre sezioni della tesi, riguardanti rispettivamente il Territorio, il Modello di Consumo e l’Open Design, sono state elaborate nell’ultima parte, relativa alla metodologia progettuale e alla sua applicazione teorica, rendendo disponibili alcuni risultati apprezzabili come sviluppi progettuali. È possibile riconoscere alcune evidenze preliminari come risultato del percorso affrontato. La metodologia. Questo progetto di ricerca conferma il valore della tendenza spontanea alla contaminazione reciproca delle metodologie progettuali utilizzate dal gruppo di ricerca di Ecodesign del Politecnico di Torino: l’Approccio Sistemico e la Progettazione per Componenti. Questa tendenza, che può apparire banale in fase conclusiva, non è mai stata data per scontata lungo il percorso di ricerca e, al contrario, è stata verificata passo per passo soprattutto dal punto di vista della sua efficacia rispetto agli obiettivi che man mano si sono delineati con sempre maggiore precisione. Il dialogo vivace e costruttivo tra le due metodologie si è rivelato uno strumento versatile e molto potente nelle mani del progettista, attitudine confermata anche in campo didattico dove gli studenti, o più semplicemente giovani designer, vengono affascinati e coinvolti con facilità dall’entusiasmo che contraddistingue la scoperta di queste pratiche progettuali. Il Dialogo tra la Casa e il Territorio. L’importanza di questa relazione è stata cercata fin dal primo momento che ho dedicato a questa ricerca. In principio poteva apparire come un concetto confuso e difficile da mettere a fuoco ma procedendo con la sua
316
definizione è stato spontaneo riconoscere il suo valore a livello progettuale. Il significato di questo rapporto è coerente con le tematiche trattate e proprio grazie a questa coerenza può fungere da trait d’union tra la sfera teorica e quella pratica del progetto. Approfondire questa relazione tra Sistema Casa e Sistema Territorio conferisce il giusto peso ad un atteggiamento progettuale sensibile al cambiamento e alla sua sostenibilità. La validità del Dialogo. Con lo schema interattivo dinamico del Sistema Casa la validità di questo rapporto è stata dimostrata con notevole solidità soprattutto grazie alla versatilità che esso presenta cambiando i parametri che definiscono rispettivamente i singoli Sistemi. Ciò significa che cambiando il contesto territoriale anche l’ambito domestico muta con esso e la coerenza di queste trasformazioni rimane valida indipendentemente dal caso studio preso in considerazione. Innovazione attraverso il territorio. Il contesto territoriale risulta un’ottima fonte di innovazione per il progetto. Il valore di questo carattere innovativo è apprezzabile: - a livello sociale nel rispetto delle tradizioni della Comunità insediata, delle sue usanze e della sua Cultura Materiale. - a livello economico producendo nuovi spunti adottabili per i nostri futuri Modelli di Produzione e di Consumo. - a livello di benessere di un Soggetto sempre al centro del progetto. - a livello di sostenibilità ambientale perché apre concretamente la strada verso uno sviluppo sostenibile nel rispetto di regole produttive e riproduttive di lunga durata.
8. Epilogo
8.2 Riferimenti.
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8. Epilogo
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8. Epilogo
8.3 Ringraziamenti.
Dedico quest’ultimo capitolo ai ringraziamenti di tutte le persone a cui, in un modo o nell’altro, questa tesi di ricerca deve qualcosa. Non importa se il loro contributo sia stato tangibile o meno, ciò che conta è che sicuramente è stato importante. Si sa che queste, in fin dei conti, sono sempre le stesse, ma proprio perché le trovi al tuo fianco quotidianamente non tieni sempre presente la loro importanza. Ringrazio: Gino, per la libertà che mi ha lasciato nella scelta della strada da percorrere in questa ricerca. Guida consolidata del mio impegno e fonte inesauribile di insegnamento. Fulvio e Daniela, senza il cui appoggio tutto sarebbe più difficile ancora una volta mi hanno dimostrato che sono ciò che di più caro ho. Ale, compagno di lavoro ammirevole che con grande pazienza mi ha affiancato nel fare e soprattutto molte volte mi ha insegnato ad essere. Gli studenti seguiti nei vari moduli di componenti, che con il loro entusiasmo hanno contribuito a mantenere vivo il mio interesse su queste tematiche. Dario, con i suoi confronti costruttivi e le lunghe chiacchierate a proposito di come gira la questione, non lo capiremo mai. Fede, che ha messo a disposizione la sua grande capacità di identificare immagini offrendomi fotografie inedite per l’impaginazione. Chi vive nel triangolo rosso, che con la sua inarrestabile vitalità dimostra che cambiare è possibile e fermarlo si deve.
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