Tonino Bello Danza la vita Antologia a cura di Maria Gabriella Carlino e Maria Occhinegro
Titolo | TONINO BELLO DANZA LA VITA Autore | Maria Gabriella Carlino e Maria Occhinegro (a cura di) Collana | Il Salento nella scuola Diretta | Prof Donato Valli e prof.ssa Maria Occhinegro
© Lupo Editore 2009 ISBN 978-88-95861-76-0 Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Editore
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Arti Grafiche Favia ottobre 2009
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Prefazione Nichi Vendola Il perché di una collana e di una Antologia Maria Occhinegro Gabriella Carlino
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La vita di Don Tonino Tonino figlio del Sud Il paese natale e l’infanzia Il seminario Gli anni del seminario di Molfetta A Bologna nel seminario O.N.A.R.M.O. Sacerdote ad Alessano e Vice Rettore nel seminario di Ugento Don Tonino Vescovo A capo dell’ONU dei poveri
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capitolo 1 Cinque lettere Gli invisibili nella società degli anni ’80 Leggiamo A Mario guardia campestre Riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Fabrizio De Andrè leggiamo A Massimo ladro riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Steno e Mario Monicelli Gli intellettuali negli anni ’80 leggiamo Trahison des clercs riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Elio Vittorini La realtà delle fabbriche negli anni ’80 leggiamo Al fratello che lavora in una fabbrica d’armi riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | La Beretta, fabbrica di armi Una risposta possibile leggiamo Homo ludens riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Roberto Benigni | Gianni Rodari capitolo 2 Stralci di pagine: ai giovani, ai politici, agli operatori di pace Accendere il fuoco dell’entusiasmo leggiamo Il fuoco della festa riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | I miti antichi | J. W. Goethe Trilussa | Jovanotti Spegnere il fuoco della guerra leggiamo Buon Natale Sarajevo riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Franco Battiato leggiamo Il prezzo delle vittorie riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | I tragediografi greci | Lucrezio Vladimir Majakovskij
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La Pace e i suoi operatori: i giovani leggiamo Per la pace fatti in quattro pure tu riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Aldo Capitini | Danilo Dolci Roberto Vecchioni La Pace e i suoi operatori: gli obiettori di coscienza leggiamo Obiezione di coscienza e società riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Aldo Capitini | Danilo Dolci Roberto Vecchioni La Pace e i suoi operatori: i politici leggiamo Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Alessandro Zanotelli | Gino Strada La Pace e le sue possibili vie: il Sud terra di Pace e non di mafia leggiamo La pace cammina sulle strade del sud riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Tiziano Terzani | Oriana Fallaci leggiamo La profezia oltre la mafia riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | I ragazzi di Locri | Roberto Saviano Franco Battiato capitolo 3 Articoli, corrispondenze, notificazioni: agli uomini di buona volontà La vita negata: miseria ed emigrazione leggiamo La povertà madre spietata delle guerre riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Helder Camara | Muhammad Yunus leggiamo … non lasciarsi sedurre dal piatto di lenticchie riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Mario Perrotta | Francesco De Gregori leggiamo Lettera a Rut: non passa lo straniero riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Sud Sound System
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La vita come speranza e come futuro leggiamo Morte promossa e vita bocciata riflettiamo Il fatto | L’opinione comune Don Tonino | Jerome David Salinger | Don Lorenzo Milani | Fabrizio De Andrè
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capitolo 4 Entriamo in laboratorio sezione 1 Fra le tipologie testuali: la lettera Una breve storia Le funzioni della lingua Laboratorio 1
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sezione 2 Analizziamo la lettera a Mario Le caratteristiche della lettera Rileggiamo la lettera a Mario Osserviamo e analizziamo Concludiamo Laboratorio 2
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sezione 3 Fuori dal testo: il contesto Gli anni ’80 La guerra civile in Jugoslavia
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Postfazione
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Bibliografia
Don Tonino Bello all’O.N.A.R.M.O
Don Tonino Bello nella sua casa di Alessano
Don Tonino Bello nel giardino della sua casa di Alessano
Don Tonino Bello premiato per una competizione sportiva
Prefazione di Nichi Vendola
Credo che il Salento sottovaluti il livello di alcune voci che nel ’900 sono rimbalzate come voci di livello planetario. Ne cito tre: Vittorio Bodini, Carmelo Bene, Tonino Bello. Tre voci che hanno travalicato i limiti territoriali, e che hanno fatto del Salento, non una piccola patria, ma un trampolino di lancio per rivolgersi al mondo, per tuffarsi in oceani più larghi. La prima cosa che mi ha colpito quando ho conosciuto Don Tonino Bello è stata la voce. Spero che voi abbiate l’opportunità di fare, in questo percorso di formazione, uso di materiali audiovisivi. Perché non si può capire lo spessore di questo personaggio se non si ascolta la sua voce. Alcuni discorsi possono sembrare specialistici, come le lezioni fatte ai catechisti, ma vi invito ad ascoltarle comunque, e soprattutto vi prego di ascoltare il documento vocalmente più struggente che abbia mai ascoltato in vita mia: l’ultima omelia, l’omelia del ti voglio bene, l’omelia del congedo, l’omelia dell’addio. La voce è il primo elemento. Il secondo elemento di Don Tonino, scusate se parto dalla fisicità, sono gli occhi. Capita a me oggi, avendo superato la soglia dei cinquanta anni, di riflettere in maniera un po’ più impegnata sulla malattia e sulla morte. La malattia e la morte bussano alle porte delle nostre case in maniera, diciamo, più pressante. E ho nei miei occhi quelli di Don Tonino in un giorno particolare, quello dell’ultima volta che l’ho incontrato, l’ultima volta che ho condiviso una lunga discussione con lui in una stanza di ospedale, al policlinico Gemelli di Roma, tre ore faccia a faccia. Di quell’incontro, per me, ancora oggi, è centrale lo sguardo. Don Tonino era smagrito, piagato dalla malattia, con i capelli rasi, aveva una canottiera. Quando ho bussato ed ho aperto la porta, si è girato, e quest’uomo consumato dalla malattia, era tutto occhi: vivi, assediati dalla sofferenza, eppure interrogativi, palpitanti. Gli occhi e la voce. In questi anni ho sempre pensato che bisognasse “usare” Don Tonino con molta cautela. Ho partecipato ad un convegno soltanto una volta, e soltanto per urlare una frase giovanile: «Non fatelo Santo!». Al primo convegno commemorativo ho urlato così. I santi stanno sulle nuvole e hanno un’aureola in testa. Noi li preghiamo non in quanto esempi di comportamento quotidiano, ma proprio perché stanno in cielo; li ammiriamo senza trarne alcuna conseguenza. Invece tutta la scrittura,
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l’esperienza, il percorso di Don Tonino sono il contrario di questa nuvola che si allontana e che ci guarda da una esemplarità irraggiungibile. Lui ci provoca, lui ci interroga, lui ci chiede di dire parole che abbiano significati, lui ci stimola, lui ci consola. Mi manca molto Don Tonino. La consolazione non significa l’uso retorico delle parole, la consolazione significa fare i gesti della fraternità, significa avere cognizione del dolore del mondo e avere cognizione del nostro reciproco dolore. La consolazione significa percepire la solitudine dell’altro. Qualche riflessione su Don Tonino. Danzare la vita, cosa significa danzare la vita? Il Dio che danza la vita era un’immagine che Don Tonino amava molto, e che apparteneva al pensiero e alla riflessione di alcuni straordinari protagonisti della vita religiosa italiana. David Maria Turoldo, Ernesto Balducci erano coloro che costruivano la loro scrittura sul tema del Dio che danza la vita. Che cos’è il Dio che danza la vita? È il contrario del Dio giudice, del Dio gendarme del mondo, del Dio implacabile che occhiuto entra nelle nostre vite, ci controlla, del Dio esattore delle tasse, del Dio che non ci fa sconti rispetto alla liturgia del dogma. Il Dio che danza la vita è innanzitutto il Dio che si fa compagno dell’umanità, che sente la bellezza della vita. Nella Genesi c’è una celebrazione infinita della bellezza della vita, come nel Cantico dei Cantici ed in tutto il contesto vetero testamentario. Un’esplosione di immagini che rappresentano la celebrazione della bellezza del genere umano, della bellezza del vivente, della bellezza della vita «...corri o mio fanciullo come la gazzella sul monte degli aromi», così si conclude il Cantico, il canto dell’uomo alla ricerca di un Dio, che lo accompagna danzando la vita. Se non c’è un poco di questa leggerezza nella fede, la fede giunge come una specie di camicia di forza, come una cintura di castità, pesante e granitica, e non come il tocco della Grazia. Questo significa danzare la vita, fare in modo che la fede non sia un impegno formale, una promessa cattiva. Don Tonino insegue il Dio che danza la vita. Quando Don Tonino diventa Vescovo della mia Diocesi, Molfetta-Terlizzi-Ruvo-Giovinazzo, sono anni difficili. C’è un grande fermento nella chiesa. In America Latina è stata costruita la straordinaria vicenda della Teologia della Liberazione, contro la quale la Curia romana lancia fulmini e saette. Don
Tonino vive intensamente questi giorni, in una duplice dimensione. Da un lato è figlio del Concilio, figlio dell’enciclica Gaudium et spes, cioè di quella straordinaria vicenda che fu il Concilio Vaticano II; dall’altro si trova in una fase particolare, in cui comincia l’opera di normalizzazione nei confronti di una parte di questa predicazione sociale che aveva forse travalicato certi confini. Io lo guardai con sospetto, posso raccontarlo adesso. Lo vedevo come uno che usa belle parole per irreggimentarci. Avevo frequentato soprattutto tutto il cattolicesimo del dissenso, ero stato amico di don Giovanni Franzoni, avevo una corrispondenza con don Marco Bisceglie, con Davide Maria Turoldo, prendevo il treno per andare a Fiesole a sentire le prediche di Padre Balducci. Perché a vent’anni ero tanto innamorato di Dio quanto disamorato della Chiesa. E quando venne questo Vescovo, pensai, attraverso l’ascolto di queste parole fascinose, che fosse furbizia semantica, che stesse per fregarci. Lo contestai nel primo incontro. Lo contestai, contestando il suo rapporto con la Chiesa. Lui ascoltò l’intervento provocatorio di questo giovane, che era naturalmente tutto imbevuto delle teorie della Teologia della Liberazione, e non mi rispose dandomi in testa, come mi aspettavo, perché ero stato baldanzoso, e mi meritavo naturalmente di essere affrontato. No, mi rispose dicendomi che avrebbe voluto approfondire le parole, i discorsi, che avrebbe voluto venirmi a trovare, mi disse: «Ma tu frequenti una sezione di partito? Vengo a trovarti, vengo sull’uscio della tua sezione, sediamoci sul marciapiede, sui gradini, parliamo». Io pensai: «Ma guarda che tipo! Questo ci vuole fregare!». Qualche giorno dopo cominciò a fare dei gesti un po’ controcorrente. Aprì l’Episcopio. La sede del Vescovo, per noi di Molfetta, era più o meno il Castello dell’Imperatore, un luogo irraggiungibile. Ricordo quando il vescovo arrivava e i miei genitori mi portavano a vederlo e mi dicevano: «Guardalo lì», come si diceva ad un principe feudale, perché era irraggiungibile. Don Tonino aprì l’episcopio agli sfrattati, agli immigrati. Prese quella sua macchinetta scalcinata e cominciò a girare nei paesi della diocesi, a cercare barboni, alcoolisti, tossicodipendenti. Capitò a molti di noi di incrociarlo di notte, magari tornando da una discoteca, mentre lui era alle
prese con un fagotto umano, che stava recuperando, che stava consolando, che stava caricando sulla sua automobile, portandolo su di un giaciglio. Era come permanentemente sulla GericoGerusalemme, sempre su quel tragitto, tutta la sua vita dentro quel tragitto. Questo fu un primo scandalo. Molti rimasero turbati. Anche il clero rimase turbato. Un Vescovo deve parlare di poveri, deve dedicare le sue omelie ai poveri; ma un Vescovo che esce di notte, che si confonde con quella umanità marginale, un Vescovo che puoi incontrare in uno spigolo buio dove c’è un’umanità perduta, è un Vescovo particolare. Poi il bollettino diocesano, Luce e Vita. Andai a vivere a Roma e telefonavo tutte le mattine ad un mio amico d’infanzia, che era il Direttore di Luce e Vita, per farmi leggere gli editoriali di Don Tonino Bello, appunto la lettera al fratello ladro, le prime lettere sul razzismo, sui fenomeni delle nuove povertà. Con un’idea che fu anch’essa sconvolgente. Anzi due idee che segnarono quella vicenda: la prima il volto, l’etica del volto. Dov’è il Cristo? Nelle prediche? Nel tabernacolo? È in cielo? È avvolto in qualche magia della liturgia? Dov’è il Cristo? È nel volto, nel volto dei poveri. È nel volto di Massimo, che è ladro. È nell’etica del volto, l’etica più cancellata da questa cattiva modernità. Noi abbiamo sostituito l’etica del “Volto” con l’etica del volto, bisogna riscoprire quest’etica del “Volto”, e praticare l’irrinunciabile richiesta della ricerca del “Volto”. Questo era il punto decisivo. Non dimenticava mai Don Tonino, che il Tempio è il corpo di ogni persona, è la dignità di ogni persona. Questa è stata per noi una lezione sconvolgente, di cui abbiamo tanto bisogno oggi in cui si giudica “all’ingrosso”, in cui la vita delle persone viene divisa per appartenenza, in cui il genere umano si esprime con “contese” incandescenti su aspetti delicati che riguardano la fragilità delle vite. Oggi in cui rischiamo di tornare a considerare le persone diversamente abili o le persone di altra razza o fede come persone dotate di un grado di dignità o di diritti inferiore al nostro. Don Tonino oggi non è un santino, non è una bella giornata che ci concilia con sentimenti di bontà. È una provocazione contro il nostro conformismo, contro la nostra ipocrisia, contro la nostra pigrizia
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Prefazione di Nichi Vendola
culturale e contro l’idea che oggi siamo tornati ad un mondo nel quale sono importanti i segni del potere, mentre Don Tonino predicava il “Potere dei Segni”, che aprono percorsi nuovi. La seconda idea fu poi il tema della pace, che non fu semplicemente sciorinare delle citazioni, come quelle di Isaia, che dice «forgeranno le loro spade in vomeri», cioè trasformeranno strumenti della guerra in strumenti del lavoro. Aggiunge Isaia che nessun popolo leverà le armi contro un altro popolo, e nessun uomo si eserciterà più nell’arte della guerra. Isaia dice queste tre cose, che Don Tonino fa sue e che gli creeranno qualche problema con le gerarchie ecclesiastiche. Bisogna convertire l’economia di guerra in economia di pace. Bisogna educare i popoli alla risoluzione pacifica dei contenziosi tra le nazioni. Bisogna educare ogni individuo ad assumere la non-violenza come parametro della relazione con l’altro. Questo significa cancellare nella discussione pubblica la convinzione che l’altro interlocutore sia nemico. L’altro è diverso, ed è portatore della tua ricchezza. Il mondo nuovo che annuncia Don Tonino è il mondo della convivialità delle differenze, in cui le differenze non si fanno la guerra, ma si arricchiscono, si scoprono. Questo può appartenere al piano della suggestione letteraria. Ma Don Tonino fa firmare a tutti i Vescovi di Puglia un documento contro l’installazione degli F16 a Gioia Del Colle. Fa una battaglia contro la regione Puglia che aveva offerto alcune migliaia di ettari delle Murge per costruire dei poligoni militari, trasformando quindi un pezzo del territorio pugliese in delle servitù militari. Fa una battaglia contro l’ingrandimento del porto di Taranto per accogliere la nave militare Garibaldi. Dice nome e cognome degli oggetti che, sul suo territorio, contrastano concretamente il percorso di pace. E costruisce un documento, firmato da tutti i Vescovi pugliesi, che resta una pietra miliare della nostra storia civile, affinché la Puglia diventi non un arco di guerra verso i paesi del sud del mondo, ma diventi un’arca di pace. E sostiene fermamente, nell’epoca in cui Gheddafi lanciò un missile verso l’isola di Lampedusa, che non si poteva accettare quella provocazione per generare una risposta fatta di militarismo e di rincorsa delle armi. Fece tutto questo e scioccò la politica, il mondo dei benpensanti, con i giornali, con i loro più noti giornalisti, che scrissero di tutto contro Don
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Tonino, alla fine perseguitato. «Beati i perseguitati a causa di giustizia. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». Quante cose diciamo la Domenica che non hanno conseguenza nella nostra vita, perché per noi la fede è stato lo scudo di una grossa ipocrisia sociale. Don Tonino rompe questo scudo. C’è un’ultima cosa che ci tengo a sottolineare. Era la prima volta che mi capitava un prete, un Vescovo, che non aveva una specie di laser negli occhi. Quello che scruta nel recinto dei tuoi peccati. Era la prima volta che avevo di fronte un prete che, a modo suo, volesse convertirmi. Gli chiesi il perché, ma quel colloquio appartiene ai doni che Dio ha voluto dare alla mia vita. Io non capivo questa latitudine dell’amore che c’era in Don Tonino, poi l’ho capita leggendo i suoi testi. Che cos’è l’amore per Don Tonino? L’amore è una voce del verbo morire. Cos’è, pensai, letteratura sadomaso? Poi riflettei e fu bellissimo. Amore significava uscire fuori da sé, accogliere l’altro, per morire delle proprie certezze. Se tu vuoi accogliere, un po’ devi morire. L’atto dell’accogliere, l’atto dell’amore è un atto di grande cambiamento. Per questo, amore voce del verbo morire. È difficile detto così, ma lui l’ha detto in maniera più bella: «Dicono che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto, devono tenersi abbracciati per poter volare». È il volo più bello che con queste parole ci ha regalato Don Tonino, un volo che è difficile, chiusi come siamo nelle nostre classi, educati agli status symbol, al Grande Fratello, ai video-telefonini, con cui talvolta riprendiamo la povertà degli altri e le nostre miserie. Noi adulti che abbiamo poco insegnato ai più giovani. Però c’è un punto all’interno del quale ciascuno di noi deve fare i conti con la propria fragilità, con la propria solitudine. Un punto in cui ci accorgiamo di avere un’ala soltanto e di aver bisogno di quella che Don Tonino chiama un’ala di riserva. No, non ci sono ali di riserva, se vogliamo volare dobbiamo abbracciarci a qualcun altro. Solo così, ci ha detto Don Tonino, e gli siamo grati per questo, possiamo imparare a volare. Nichi Vendola Lecce 14 marzo 2009
Il perché di una collana e di una Antologia
Lo spazio che, all’interno dell’autonomia scolastica, il Ministero dell’Istruzione ha aperto, affinché le istituzioni si attivino sul piano dello studio della cultura del territorio, è costituito dalla quota del 20% del monte ore annuale dei curricoli riservati alle scuole. Il Regolamento sull’Autonomia (D.P.R. n. 275/99, e Art. 3 del Decreto Interministeriale n. 234 del 26 giugno 2000) consente di individuare la Quota Regionale che può essere spesa per realizzare «compensazioni fra orientamenti nazionali e regionali, nell’ambito delle discipline e delle attività d’insegnamento previste dagli attuali programmi». L’apertura istituzionale conferma la necessità e l’importanza di dedicare un’attenzione sempre più qualificata agli autori della provincia. Tale opportunità, per essere praticata, necessita di percorsi e di strumenti. Strumenti didattici: antologie commentate, moduli omogenei o compositi (per genere, per tema, per autore, per spazio, per tempo), quaderni ricchi di esercizi letterari; anelli tutti della Collana, Il Salento nella scuola, che ci auguriamo acquisisca lo spessore per costituirsi come punto di riferimento, e cinghia di trasmissione continua della “civiltà letteraria salentina”. Strumenti questi che rendono, innanzi tutto, giustizia al lavoro indefesso svolto dalla critica accademica e militante. Essi muovono dal riconoscimento delle acquisizioni e le adeguano al linguaggio scolastico, attraverso una informazione operativa (così intendiamo l’attività didattica). Strumenti che percorrono le dirette derivazioni, o le semplici analogie, o le differenze profonde, e qualitativamente uniche, tra autori salentini e autori della letteratura nazionale ed europea, garantendo la continuità metodologica e la complementarietà provincia/nazione, utili a quella moderna formazione letteraria dei nostri alunni, che non può che essere europea anche attraverso la provincia. Strumenti che prendono il via dalla consapevolezza della stretta contiguità fra “civiltà letteraria” e “società civile”. L’offerta formativa delle scuole opera in quella fascia d’età delicatissima che va dai 13 ai 16 anni, propria di adolescenti bisognosi di motivazioni e di interlocutori, fra i quali un poeta conterraneo esercita il suo fascino. Strumenti cui rivendicare l’orizzontalità dell’operazione divulgativa, la continuità di metodo e di lavoro, su cui la scuola, se ci crede, può marciare con il complesso delle sue esigenze.
Giustificano la prudenza della divulgazione dei nostri poeti salentini in ambito scolastico vari motivi di diverso ordine. Ne ricordiamo solo alcuni. La pesante assenza, innanzi tutto, di spazi istituzionali in cui operare a pieno titolo, ora rimossa, come già detto, dai decreti legislativi dell’autonomia scolastica. L’atteggiamento per forza di cose subalterno alla letteratura nazionale che i programmi ministeriali hanno imposto nelle scuole fino all’avvento dell’autonomia. Essi consentivano scarsa libertà d’azione, e solo gli insegnanti e gli alunni più coraggiosi hanno percorso itinerari culturali salentini. Sebbene la ricchezza e la singolarità delle opere di Comi, di Bodini, di Pagano, della Durante, di Tonino Bello, tanto per citare solo alcuni nomi, meritassero di essere divulgate nelle medie e nei bienni, questi autori non hanno comunque trovato respiro lungo, cioè formativo. La conoscenza della letteratura salentina negli spazi della formazione dell’obbligo, è caratterizzata, nella stragrande maggioranza dei casi, dalla ignoranza totale degli autori, tranne che, lo ripetiamo, le solite rare, nonchè lodevoli, eccezioni antesignane. Continuiamo a pensare che le difficoltà non debbano naufragare nella rinuncia, ma che, anzi, debbano e possano trasformarsi in una sfida culturale e formativa; a tale scopo, la più valida motivazione non può che essere la consapevolezza critica di una mancata opportunità cognitiva per gli alunni salentini. Pensiamo sia irrinunciabile l’occasione d’incontro con un interlocutore della propria terra, se ha incrociato la letteratura nazionale, ed europea, esprimendo istanze poetiche ed umane, modernissime. Pensiamo sia necessaria, proprio tra i banchi di scuola, la consapevolezza del fatto che nella prima metà del ’900, nel clima letterario e poetico salentino, sostanzialmente tardo-carducciano, Comi, Bodini, Pagano, si colleghino direttamente con le avanguardie nazionali ed europee. Alla stessa maniera l’impegno nazionale ed internazionale della militanza politica ed umana di Tonino Bello, deve essere un punto di partenza obbligato, un patrimonio del dibattito scolastico. Questo affinché il contributo che autori conterranei offrono alla storia della civiltà letteraria, susciti nei giovani lettori insieme all’inevitabile orgoglio “identitario”, la consapevolezza della partecipazione culturale a circuiti, a meccanismi vasti, a forme d’arte, in cui la “provincia” smette di svolgere un ruolo “marginale” e
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Il perché di una collana e di una Antologia
diventa produttrice di differenze utili all’ampliamento del dibattito non solo letterario, ma civile. Forse già sappiamo in tanti che è così; ma alla istituzione scolastica interessa che questo entri profondamente nella coscienza degli alunni, non più soltanto i futuri cittadini dell’Italia, ma anche dell'Europa. L’interazione provincia-nazione-continente, alias Salento-Italia-Europa, nel villaggio globale non solo è possibile, ma auspicabile quando il materiale è la letteratura e gli obiettivi sono quelli che abbiamo scandito. L’insieme delle considerazioni svolte giustifica l’intento divulgativo e formativo della Collana Il Salento nella scuola (direttori il professor Donato Valli e la professoressa Maria Occhinegro), che dedicherà le forze a vari autori e momenti salentini. L’antologia Identità e scrittura nella poesia di Girolamo Comi, a cura di M. Occhinegro, Lupo Editore, 2008, è stata la prima pubblicazione (patrocininata dalla Provincia di Lecce) a cui fa seguito questa antologia Tonino Bello, Danza la Vita, a cura di M. G. Carlino e M. Occhinegro, Lupo Editore 2009. L’obiettivo che ci proponiamo è quello del “saper fare Salento” nelle scuole, attraverso un modello di didattica forte, utile allo scopo. La formazione della persona, per il conseguimento di capacità operative, fondate sul “saper fare”; la specificità dei contenuti regionali, a nostro modo di vedere, veicoli formativi eccellenti e contigui alla cultura degli alunni salentini; la strettissima relazione non solo fra didattica e contenuti, ma anche fra le dimensioni concentriche della regione, della nazione, dell’Europa, segnano il perimetro del nostro lavoro. Detto in altri termini, intendiamo formare l’alunno attraverso lo studio di Leopardi e di Manzoni, nonchè di Comi, vissuto nel clima delle avanguardie francesi, o di Bodini, ispanista di indubbia fama, tanto per citare solo qualche esempio, o di Tonino Bello, militante al servizio dell’uomo di tutte le nazioni. Perché questo intento si realizzi non è ammissibile alcuna discriminazione metodologica. Si studiano e si commentano i primi, così come si studiano e si commentano i secondi, con lo stesso metodo e la medesima attenzione. Se all’autore salentino dedicassimo poche e frettolose considerazioni critiche, già nelle scuole avremmo consolidato e legalizzato il minoritarismo cui, a torto, è condannata la nostra letteratura regionale, che ha almeno le medesime potenzialità formative di quella nazionale. Commentare Comi come se fosse Carducci, o Pascoli, o D’Annunzio, significa capire che Comi non è Carducci, non è Pascoli, non è D’Annunzio;
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distinzione che riscatta noi da qualsivoglia campanilismo gratuito, e la letteratura salentina da qualsivoglia minoritarismo. Mettere ben in evidenza le dovute specificità equivale a considerare la provincia produttrice delle differenze che fanno la civiltà letteraria. Dire che Comi non è un “carducciano”, vuol dire cogliere la sua diversità specifica rispetto al nostro poeta nazionale, eliminando ogni giudizio implicitamente riduttivo attraverso un confronto. Evidenziare le forti analogie fra Tonino Bello e, ad esempio, Elio Vittorini significa coniugare la specificità regionale con quella nazionale. La militanza di questa didattica va di pari passo con la militanza della critica, salentina e non, che ha riconosciuto lo spessore dei nostri scrittori. La didattica forte applicata a G. Comi e a T. Bello affronta i tratti peculiari della loro complessità culturale e linguistica; essa vuole porgersi come risposta al declino del saper fare, anche del saper fare confronto e dibattito, virtù ormai rara nella aule scolastiche. Muovendo da tale certezza sperimentata, e non da una volontà erudita a sé stante, essa punta alla specificità dei contenuti, con semplicità e precisione, per arginare la tendenza alla superficialità dell’approccio letterario. Questi criteri giustificano la scansione dell’analisi degli scrittori della collana, nei tre momenti canonici: autore, contesto, testo, in sintonia con il percorso nazionale. Ribadiamo, concludendo, che il lavoro letterario “regionale”, metodologicamente non deve e non può differire da quello “nazionale”. La struttura dell’antologia Italo Calvino in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Garzanti, 1988, propone alcune categorie intepretative per la letteratura del nuovo millennio, che nel 1985 quando l’autore scriveva, era distante da noi ancora quindici anni: «Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplcità». Chiunque conosca il testo concorda sulla lungimiranza, sulla forza, sull’intelligenza con cui l’autore affronta la complessità del postmoderno. «Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio».
Sono punti di vista che esulano dal campo specifico della letteratura, come dimostrano i saggi stessi di Calvino, strettamente letterari e capaci di abbracciare campi infinitamente più vasti della letteratura. Da qui la consapevolezza di cosa debba essere la didattica forte: una sottrazione di peso, la capacità di dare leggerezza a ciò che si insegna, offrendo strutture su cui navigare. L’Antologia Danza la vita, è una struttura di lavoro attenta alla analisi formale del testo (l’intratestualità), al rapporto fra i testi (l’intertestualità), al contesto (l’extratestualità). Essa ripropone i criteri guida dell’organizzazione di ciò che la collana ha pubblicato e di ciò che pubblicherà nel futuro. Tale scelta di metodo risponde ad una duplice esigenza: rispettare i valori dell’opera, fondandone lo studio su dati verificabili; condividere con, ed insegnare agli alunni un metodo d’analisi che eviti l’arbitrarietà del giudizio,delle opinioni, delle valutazioni, offrendo gli strumenti per l’acquisizione e l’esercizio di una interpretazione personale sì, ma anche fondata e critica. L’analisi formale non vuole esaurirsi nella letteralità del testo, anzi punta ad essere il mezzo con cui cogliere l’ampiezza del messaggio letterario. Ogni testo, in prosa o in poesia, è il punto di confluenza delle tendenze, non sempre concordi, di una complessa situazione storico-culturale. Attraverso le letture successive che nei vari periodi storici i lettori mettono in atto, essa incide sul sistema culturale delle società in cui si diffonde, e che esprime. Per questo le analisi formali per quanto abbiano l’obbligo di essere precise, per tanto non devono e non possono rimanere fine a se stesse, articolandosi con i contesti in cui testo ed autore operano o a cui rinviano. L’antologia Danza la vita L’antologia comprende le seguenti sezioni: - La vita di Don Tonino. - La raccolta antologica, divisa in tre capitoli. - Il laboratorio di analisi del testo e del contesto. Nella sezione dedicata alla vita abbiamo raccolto i dati selezionandoli dall’ampia bibliografia dedicata al nostro autore da numerosi critici. Lo specifico contesto biografico dell’autore e quello più ampiamente storico, nazionale ed europeo, hanno interagito con metodica costanza, nell’intento di assolvere ad uno dei tre criteri ordinativi di questa collana: l’extratestualità. La sezione dedicata alla raccolta antologica è divisa in tre capitoli, ordinati secondo un criterio di genere
e tematico. Il primo capitolo comprende cinque lettere indirizzate sia a personaggi della vita quotidiana (Mario, Massimo, l’Operaio, gli Intellettuali), sia a personaggi biblici (Sara, moglie di Abramo). La tipologia testuale della lettera, fra quelle usate da Don Tonino, (il saggio, il discorso, la predica, l’intervista) è stata scelta perché semplice, diretta, carica delle caratteristiche formali dominanti: sintassi semplice, formata da frasi brevi, prevalentemente coordinate; lingua molto chiara, ricca di termini propri del linguaggio di ogni giorno, che abbracciano e chiariscono qualche termine più specifico; ripetizioni incalzanti, cumuli densi di nomi, di aggettivi, di verbi; appelli così diretti al lettore da farlo diventare immediatamente e senza possibilità di scampo un interlocutore insostituibile nella costruzione del dialogo. Una preparazione quindi ideale alle successive letture, che in forme più o meno variate a questi cardini formali si rifanno. Una preparazione anche tematica perché in queste cinque lettere si definiscono i canoni generali del discorso umano di Don Tonino: l’attenzione agli umili (Mario il metronotte, Massimo il ladro, l’operaio di una fabbrica d’armi); il coraggio di parlare ai potenti (gli intellettuali, i proprietari della fabbriche d’armi); il sentimento militante della Bibbia (Sara, i riferimenti a Caino e Abele) intesa non come scrigno di verità dogmatiche, ma come la più alta pedagogia del presente, carico di contraddizioni e di negazioni dei più alti valori cristiani. Il secondo capitolo, comprende stralci di pagine (da lettere, discorsi, prediche). La frantumazione della tipologia testuale è direttamente correlata alla necessità della coerenza tematica impostata sul binomio guerra/pace. La scelta di trattare in maniera energica e chiara questi due temi è risultata prioritaria rispetto alla omogeneità formale. Scegliere solo discorsi, o soltanto prediche, o saggi, spesso comportava una deminutio dell’organicità tematica, alla quale non abbiamo voluto rinunciare, visto l’alto valore formativo dei temi: la guerra e la pace. Nella prima sezione il tema della guerra è impostato su di un’antinomia apparente (accendere il fuoco della festa, spegnere il fuoco della guerra), che si risolve in una profonda organicità logica (bisogna accendere il fuoco della festa, per spegnere quello della guerra). Nella seconda sezione domina il tema della pace, conseguenza logica delle azioni descritte nella precedente parte, articolato nella disamina dei suoi
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Il perché di una collana e di una Antologia
operatori (i giovani, gli obiettori di coscienza, i politici), e dei suoi spazi, come il sud da sottrarre al controllo della mafia. Nel terzo capitolo, costituito anch’esso da stralci di pagine, si affronta il tema della vita negata dalla miseria e dall’emigrazione, e della vita difesa come speranza, individuando il luogo che di questa speranza dovrebbe essere il principale punto di riferimento: la scuola. Ogni testo di questi tre capitoli è seguito dall’invito a riflettere. Nella sezione Riflettiamo, sono stati messi a confronto gli elementi basilari di un dibattito: i fatti e i punti di vista. La parola “fatto” è stata riferita sia a situazioni umane e sociali concrete, come la morte, il lavoro, l’emigrazione; sia a questioni più teoriche, come il tradimento degli intellettuali quando non parlano con chiarezza. I punti di vista, quello comune, quello di Don Tonino, quello di chi con Don Tonino concorda, hanno allestito una zona di dibattito scandita su posizioni fondamentali, preliminare ad un confronto più ampio che si spera nasca nel vivo contesto della classe. In questo spazio dell’antologia, che accompagna assiduamente ogni testo, si è esaudita la dimensione dell’intertestualità, piegandola ad esigenze non di confronto delle specificità formali, bensì tematiche. Il punto di vista comune è stato così sottoposto alla doppia trazione del parere di Don Tonino affiancato a quello, di volta in volta, di Fabrizio De Andrè, di Roberto Benigni, di Elio Vittorini, di Gianni Rodari, dei ragazzi di Locri, di Roberto Saviano, di J. D. Salinger. Infine il laboratorio. Dalla evoluzione della lettera nel tempo, breve storia che intende presentare le caratteristiche strutturali della tipologia testuale come conquista dell’uso del genere e non come frutto di regole astratte; alla ripresa delle funzioni della lingua, (fra le quali quella conativa è tipica della lettera di Don Tonino), corredate da un breve laboratorio propedeutico; all’analisi del primo testo (a scopo puramente esemplificativo, come modello da utilizzare per eventuali altre indagini formali), corredata da un laboratorio specifico; fino al contesto che propone il quadro di riferimento degli eventi fondamentali degli anni ’80 in Italia, e della guerra civile in Jugoslavia, drammatico momento cui Don Tonino partecipò poco prima della sua morte. È la zona dell’antologia che riprende il criterio dell’extratestualità, anticipato nella trattazione della vita dell’autore. Maria Occhinegro
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Il “Bello” di Don Tonino Per conoscere l’autore ho lavorato sui testi nella loro stesura originale, così come proposti dal comitato scientifico dell’archivio Diocesano Molfetta, Ruvo, Giovinazzo, Terlizzi, ed. Luce e Vita, da cui ho tratto tutte le citazioni. Ho provato a raccontare ai giovani Don Tonino attraverso la mia sensibilità di laica, scegliendo tra gli scritti quelli che contemporaneamente denunciano l’emergenza etica e sociale del nostro presente, e ne enunciano la soluzione educativa e formativa. L’intervento sui brani è stato essenziale e concreto per due fattori. Uno di carattere etico, e cioè il rispetto per la sua fede che mi ha accompagnata in ogni passo di questo percorso, dalla lettura dei testi alla selezione che ne ho operato, sino alla scelta delle parole per illustrarli. Il secondo costituito dalla necessità di mediare tra Don Tonino e i ragazzi, e stretta fra l’uno e gli altri, ho sperimentato la difficile ansia della mediazione in un contesto complesso, sia dal punto di vista ideologico che sociale, come è quello delle classi di un istituto professionale di periferia. L’ho risolta in parte, la mia ansia, certa che l’incontro avviene introducendo con garbo semi di inquietudine e stimoli di approccio. Se mi è riuscito di proseguire è perché ho inteso come la sua parola annulli ogni pregiudizio e divisione ideologica. Ho inteso come il suo sentire libero da ogni dogmatismo annulli i preconcetti e le divisioni. Questo ha fatto cadere le barriere, che credevo esistessero, e mi ha collocata in una dimensione altra rispetto alla fede, dimensione che comprende l’essere persona, cittadina che avvicina il vivere degli altri senza pregiudizi e si presta al soccorso quando ne scorge necessità. Zona di profonda solitudine anche nelle scuole. Di fronte al giovane studente che in classe scrive sulla lavagna “Riina, santo subito”, vantandosene, io ho lavorato con Don Tonino. Il mio umanesimo tutto laico mi portava a sentire i limiti di una finitezza umana senza soluzione. Ma queste parole hanno esercitato su di me un fascino irresistibile: «Grazie a voi volontari laici, che pur non essendo sostenuti da sprone ultraterreno vi prodigate per alleggerire le croce degli uomini. Voi non lo sapete, ma quella è la croce di Dio. Ora camminate su strade senza luce e senza segnaletica ma sono ugualmente strade del Regno. Grazie per la vostra gratuità. A volte ci sembra più dura della nostra e siamo certi che un giorno la luce irromperà nei vostri occhi con tanta dolcissima violenza che sarete ripagati di tutte
le fatiche del viaggio». La nostra speranza è che anche gli alunni, gli insegnanti, i presidi di tutte le scuole possano lavorare insieme a Don Tonino. L’altro fattore, a proposito del mio impegno, è stato quello di essere concreta. Non ho cercato i suoi scritti tra quelli già mediati delle belle menti dei suoi studiosi o estimatori, ma ho voluto conoscere Don Tonino attraverso gli scritti originali, articoli, corrispondenze, lettere, discorsi che hanno accompagnato la sua esistenza di uomo e di pastore. Ho sentito che conoscerlo direttamente senza filtri fosse condizione ineludibile per produrre percorsi di studio e riflessione intellettualmente onesti da destinare ai ragazzi. Mi perdonerà Don Tonino se, per esprimere il mio stupore la mia gratitudine di fronte a tanta volontà d’amore che include e fa sentire solide mura intorno ad ogni singola solitudine, anche io penso di dovergli confidare la mia gratitudine attraverso una lettera, vedi postfazione. Don Tonino sacerdote e uomo normale o figura eccezionale, dunque? Non ero in grado di darmi una risposta, di certo sapevo che nel mondo cattolico la sua figura sedeva sul piedistallo del mito. I miti, pensavo, sono costruiti dalla fantasia e dalla scarsa fiducia in sé, poi magari conosci la persona e tutto si ridimensiona. Il mito muore e chi lo aveva venerato riacquista il senso del sé, recupera autostima. Mi è toccato invece di rivedere la mia opinione e capire quanto sia una figura speciale. Ho prima ricercato il suo volto, quello dell’uomo che è stato, tra le foto che spesso ne accompagnano le pubblicazioni. È emersa un’immagine cordiale e burbera che fa vedere in alcuni scatti una scontrosità levigata dalla cortesia, scontrosità di uno sguardo sospeso tra durezza e dolcezza. É il portavoce dell’umanità vera, degli ultimi, i dannati, i deboli gli oppressi. Per promuovere la pace si è rivolto ai soldati buoni, quelli che ripudiano la guerra, piuttosto che ai «buoni soldati». Non si è limitato a prospettare la pace sommessamente, come nella buona tradizione diplomatica, ma l’ha urlata ai politici, ai potenti, ai giovani a volte con immagini scabrose, che suscitano sensazioni avvolgenti di dolore, ma nello stesso tempo attivano stimoli, sempre offerti con la grazia di una penna dal fortissimo potere evocativo. In uno dei suoi ultimi discorsi, nell’accogliere a Molfetta i pellegrini per la pace, diceva: «La terra in cui vi trovate stasera è come una finestra aperta da cui osservare tutta le povertà che
incombono sulla storia. La speranza qui non la si enuncia, la si vive e la si testimonia pagando». Singolare anche il fatto che nelle sue parole non si scorge mai il compiacimento di una provocazione o dell’autoesaltazione rivoluzionaria, che sarebbero state fine a se stesse. Egli va a spiare dietro lo specchio nel quale gli uomini di cui parla cercano le risposte impossibili, pedine randagie di un gioco guidato da altri. Dietro si trovano il buio, l’ansia, la paura, tutte le debolezze umane, l’amore, la morte. Il mondo passa spesso maligno sulla testa dei destinatari di molte sue missive e distratto ne schiaccia il loro corpo. Lui, Don Tonino scrive parole di rimpianto per tutti, racconta di vite diverse che ci ha accompagnati a scoprire nella loro verità, riservandoci lo stupore di riconoscerle non più come vite sbagliate, ma solo come povere vite pregne di umanità. Maria Gabriella Carlino
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La vita di Don Tonino Tonino figlio del Sud Il paese natale e l’infanzia Il seminario Gli anni del seminario di Molfetta A Bologna nel seminario O.N.A.R.M.O. Sacerdote ad Alessano e Vice Rettore nel seminario di Ugento Don Tonino Vescovo A capo dell’ONU dei poveri
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La vita di Don Tonino
1. C. Ragaini (2003), Don Tonino fratello Vescovo, Paoline Milano. 2. Gli autori classici amati da Don Tonino sono Platone, San Tommaso, Sant’Agostino, Manzoni. 3. Compagni di corso di Don Tonino Bello furono Don Giuseppe Martello e Nicola Pende. 4. C. Ragaini, Op. cit.. 5. A.Bello, Diari e scritti pastorali, Mezzina, Molfetta, 2005. 6. L’O.N.A.R.M.O., Opera Nazionale Assistenza Religiosa e Morale agli Operai, ebbe le sue origini alla fine del 1922, fondata da Monsignor Baldelli con il nome di Comitato Romano Pro Emigranti. L’opera agì nel settore del lavoro, a sostegno delle classi meno abbienti, ignorate per i loro problemi, sia dallo Stato che dalla classe imprenditoriale, spinta più che mai nella corsa al profitto. Lo Stato non si preoccupava di tutelare i prestatori d’opera, che vivevano nella quasi completa assenza di uno stato sociale, ma che avevano trovato una valvola di sicurezza nell’emigrazione. A questi problemi si accostò però la chiesa attraverso l’agire di Monsignor Bonomelli e Monsignor Scalabrini e fu istituito presso la Sacra Congregazione Concistoriale “l’Assistenza Religiosa” agli emigranti all’estero. Da questa istituzione derivò il primo lavoro dell’Opera. La Sacra Congregazione agì anche negli Stati Uniti, attraverso l’opera di Monsignor Baldelli che vi si recò per conoscere lo stato degli emigranti italiani in America. Nacque anche il Comitato Romano Pro Emigranti con un consiglio direttivo composto da personalità della cultura e del mondo assistenziale. L’opera svolta consisteva nell’ospitalità agli emigranti in transito per Roma, nello svolgimento delle pratiche di espatrio e nell’orientamento. Negli anni a venire il fenomeno dell’emigrazione e dunque dell’assistenza fu fortemente osteggiato con misure restrittive e nazionali, quando l’economia del Paese si orientò verso l’assorbimento dei lavoratori
Tonino figlio del Sud Tonino Bello nasce il 18 marzo 1935, in pieno ventennio fascista, ad Alessano, piccolo centro del Capo di Leuca, a cinquanta chilometri da Lecce, ad appena dodici dal mare. Ringrazierà la sua Terra, piccola e povera, per averlo fatto nascere povero come lei; resterà sempre convinto che proprio per questo ha ricevuto l’incomparabile ricchezza di comprendere i poveri e mettersi al loro servizio. Il paese natale e l’infanzia È ad Alessano che Tonino trascorre la sua infanzia in un clima quasi incontaminato dalla propaganda del regime, dove i ritmi sono segnati dalla fatica, dalle ricorrenze liturgiche e dalle sagre al santo protettore, insieme ai piccoli e grandi oneri che ogni figlio di povero assolve nel quotidiano. La guerra e la tragedia incombono sul ragazzo Tonino che perde il padre a soli sette anni. Nella bellissima biografia di Claudio Ragaini,1 Don Tonino bimbo è ricordato portatore di mestizia e tristezza, per le morti che avrebbero funestato la sua infanzia. Perderà anche i due fratelli maggiori, restando insieme alla mamma adorata e ai due fratelli più piccoli Marcello e Trifone. In questi anni si distinguerà come fanciullo studioso, riflessivo, ma vivace e solare, pronto alla parola e all’amicizia. Il seminario La fine della scuola elementare segnava in quegli anni per ogni bimbo di paese un traguardo. Subito dopo si intraprendeva uno stile di vita del tutto uguale a quello degli adulti, lavoro e sacrifici. Raramente i figli del Sud proseguivano gli studi; per Tonino, però, si aprirono le porte del seminario di Ugento. Era intelligente, studioso; la madre insieme al parroco del paese, Don Palese, che ne aveva notato la rettitudine, pensò fosse giusto per lui continuare a studiare. Nel clima sereno ed operoso del seminario Tonino avrebbe letto in sé la vocazione che lo porterà poi al sacerdozio. Trascorrono cinque anni, durante i quali il ritorno in famiglia è raro, ma ogni volta che accade è come una rinascita. L’accoglienza, raccontano i fratelli, era tale che ogni ora, ogni giorno insieme divenivano “un Natale”. Da studente è brillante, è generoso con i compagni durante le verifiche in classe, ma è anche formidabile centravanti nel gioco del pallone, bravo musicista con la fisarmonica, sarà il primo della classe alla fine di ogni anno scolastico. È anche attento lettore di classici,2 oltre che di autori, moderni, come Trilussa, di cui amava “l’anima popolare”. Terminato il ginnasio, Tonino frequentò il liceo nel seminario regionale di Molfetta. Gli anni nel seminario di Molfetta
Quello di Molfetta fu un passaggio non solo di sede ma anche di vita. Inizierà ad avere chiara la sua scelta, sacerdotale perché supportata da studi superiori di teologia e filosofia, e da una grande curiosità e intelligenza. 14 |
Viene ricordato dai compagni di corso come portatore di una personalità superiore sia nei rapporti interpersonali che nelle discipline di studio.3 La lontananza è segnata da fitti rapporti epistolari con la famiglia. Nelle sue lettere di allora, riferisce Claudio Ragaini, si notano le rassicurazioni che Tonino fornisce alla madre per problemi pratici di piccola economia «informazioni sullo stato delle sue magre finanze, che evidentemente preoccupavano la mamma»,4 ma anche per testimoniarle l’affetto. «La Madonna povera di Javhè, che ha cantato il riscatto degli ultimi e quello di ciascuno di noi, pur nella fatica del viaggio e nelle delusioni della vita… ci conforti».5 La famiglia, la casa, il paese rimarranno per sempre i luoghi della sua anima. Conseguì la maturità col massimo dei voti. In lui sia il Rettore di Molfetta, Monsignor Corrado Ursi, che il Vescovo di Ugento, Monsignor Giuseppe Ruotolo, avevano visto talenti e potenzialità da spendere in campo sociale. Tonino quindi andò a studiare teologia a Bologna, presso il seminario di studi sociali dell’O.N.A.R.M.O.6 A Bologna nel seminario O.N.A.R.M.O.
Il seminarista Antonio Bello arrivò a Bologna nell’autunno del 1953. Il diario del seminario riporta: «La lontana Puglia ha mandato il suo rappresentante ed è bravo musicista e provetto calciatore». Così si esprimeva Monsignor Angelo Magagnali. «Giovane di grande intelligenza. Seminarista di soda pietà. Carattere ottimo, con forte capacità di restare in comunione con gli altri, senza perdere la propria identità. Facilità di riassorbire e dalla scuola e dall’esperienza di vita quanto di meglio trovava. Riusciva nel canto e suonava qualche strumento, specie la fisarmonica. Agilità nel nuoto e nel giocare a pallone». Il seminario O.N.A.R.M.O. impartiva la formazione ai Cappellani del Lavoro, l’azione riguardava tre ambiti: spirituale, culturale e pastorale. La vita spirituale si realizzava nella celebrazione della liturgia. I tempi erano regolati dalla preghiera, dalla meditazione, dalla lettura spirituale. L’ascolto comunitario della parola di Dio era un elemento caratterizzante la vita del chierico. Il corso triennale di studio, a perfezionamento delle discipline propedeutiche, comprendeva i seguenti argomenti: pensiero sociale della Chiesa; elementi di morale professionale; elementi di pastorale d’ambiente e di teologia del lavoro; storia economica; elementi di psicologia individuale e sociale; sociologia generale e industriale; storia dei movimenti sindacali e delle organizzazioni operaie; elementi di medicina del lavoro; principi di diritto pubblico e del lavoro. I programmi erano svolti sulla base del lavoro d’équipe, ossia attraverso l’elaborazione e l’approfondimento in gruppo dei temi introdotti dal relatore. Nei diversi gruppi era prevista la presenza di un sacerdote esperto, già operante nell’apostolato del mondo del lavoro, con la funzione di consulente. Suo compito era quello di facilitare la trasposizione in campo pratico dei principi teorici appresi. La formazione del cappellano operaio prevedeva 15
nell’industria dell’Italia centrale e meridionale. Accanto all’assistenza l’Opera curava l’elevazione spirituale dei lavoratori, da qui il monastero dei Cappellani del Lavoro. Dopo il 1928 il Comitato allargò la sua attività in tutto il territorio nazionale. Dal 1930 l’O.N.A.R.M.O. intensificò la sua azione spendendosi nelle grandi industrie pubbliche e private d’Italia, riuscendo anche con la sua grande diffusione a superare le difficoltà politiche di quel periodo. Nel 1939, il 19 dicembre a Bologna nascerà il Collegio di Santa Cristina per la formazione dei cappellani del lavoro. Allo scoppio della Grande Guerra l’O.N.A.R.M.O. accreditato presso la S. Congregazione, conosciuta sia dagli operai che dai datori di lavoro, mobilitò le sue risorse e riuscì a garantire la sua assistenza nelle fabbriche anche quando queste furono presidiate dal nemico. Gli operai furono accompagnati anche nei momenti più duri quando divennero disoccupati, sfollati, prigionieri o militanti nella resistenza. I “Servigi dell’Opera” furono riconosciuti con l’assegnazione di quattro medaglie d’oro al valor militare. Al 1942 risale la costituzione canonica dell’O.N.A.R.M.O. di Bologna, il Collegio dei Buoni Fanciulli diventerà seminario primo in Italia per la formazione dei cappellani di fabbrica. [www.matteotalbotonarmo bologna.it]
La vita di Don Tonino
7. Da www.webdiocesi. chiesacattolica.it
un’azione apostolica in una zona industriale di Bologna, seguendo una precisa linea: studio sociologico della zona pastorale; inserimento nella vita liturgica domenicale delle parrocchie interessate; collaborazione con i movimenti cattolici impegnati nel mondo del lavoro; incontri con i lavoratori delle singole fabbriche; progressiva conoscenza degli ambienti di lavoro. Gli incontri con gruppi qualificati di laici impegnati nel mondo del lavoro e il contatto diretto con i problemi e le diverse attività del mondo industriale e imprenditoriale completavano l’iter formativo, contribuendo a realizzare una sintesi tra teoria e prassi. In questa fitta trama di relazioni e contatti, i nuovi cappellani conoscevano l’asperità della realtà sociale, verificavano così la loro vocazione misurandola su questo particolare modo di vivere il sacerdozio. Questa realtà fu terreno fertile per evidenziare quelle caratteristiche proprie dell’indole di Antonio Bello, generosità, rigore, intraprendenza. Monsignor Magagnali riporta a tal proposito: «L’impatto di Tonino con la pastorale del lavoro fu felice: il nostro non era un seminario dotato di tutti i crismi della modernità, ma era un luogo dove si insegnava a vivere da poveri, fiduciosi nella divina Provvidenza, con un intento solo: formarsi ad aiutare gli operai, i poveri di allora, ad accogliere il messaggio cristiano come l’unica salvezza. Non vi erano domestici nel seminario per cappellani del lavoro e, superiori ed allievi mangiavano alla stessa mensa curando i più umili uffici di casa. Tonino Bello accettò in pieno questo modo di vivere semplice: credo che l’educazione impartitagli dalla sua mamma continuasse a rivivere nel suo cuore e nella sua mente senza venire contraddetta dal nostro stile di vita». Le sue capacità intellettuali in questo contesto si misero ancora più in evidenza tanto che spesso potè scrivere sulla rivista dell’Istituto. Il giovane Bello ricevette gli ordini minori a Bologna e l’ordinazione Diaconale. Sacerdote ad Alessano e Vice Rettore nel seminario di Ugento L’8 dicembre 1957 Tonino fu ordinato presbitero da Monsignor Ruotolo. Mons. Cremonini, Padre spirituale del seminario O.N.A.R.M.O., così scrive il 6 dicembre 1957 alla mamma di Don Tonino: «Nella festa a noi tanto cara della Immacolata regina del cielo e della terra, sarà conferita una dignità divina e il potere di dispensare alle anime dei fedeli gli ineffabili doni della grazia al suo egregio ed amabile figliolo, dotato di speciali doti di mente e di cuore, ornamento del nostro Seminario».7 Rientra in diocesi con la carica di Vice Rettore e poi di Rettore al seminario diocesano di Ugento. Egli si presenta come un figlio del Sud che per indole e formazione si schiera decisamente dalla parte dei poveri. Un episodio del suo rettorato: ad una famiglia sfrattata il giovane Rettore darà ospitalità in seminario. Dopo il servizio in seminario sarà nominato Direttore dell’Ufficio Pastorale, parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Ugento e infine parroco della parrocchia della Natività della B.V. Maria di Tricase. Durante gli anni di permanenza nel seminario di Ugento decise di completare gli studi iscrivendosi al corso di laurea in filosofia presso la 16 |
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Lecce. Il mancato riconoscimento da parte dello Stato italiano della Licenza in Sacra Teologia, come titolo valido per l’ammissione alla Facoltà Universitaria, creò tra Don Tonino e il Rettorato problemi che gli impedirono la frequenza al corso di studi. In base all’articolo 40 del Concordato, su ricorso, risultò immatricolato l’anno successivo, in data 30 dicembre 1961. Malgrado questo, egli di fatto non poté sostenere gli esami, a causa della mancanza di una decisione definitiva da parte del Ministero della Pubblica Istruzione valevole per tutte le università del territorio. Il non poter sostenere gli esami presso l’Ateneo di Lecce, lo spinse il 5 aprile 1962 a scrivere una risentita lettera al Ministro e al Rettore dell’Università di Lecce, per stigmatizzare l’indifferente lentezza con cui si procedeva per appianare il problema. Dall’anno accademico 1962/63 al 1965/66, Don Tonino continuò a pagare regolarmente le tasse senza ottenere risposta. La contesa si “risolse” con la rinuncia agli studi presentata nel 1982. Per sopperire al suo bisogno di formazione, nel 1962 si iscrisse alla Pontificia Università Lateranense. Fu ammesso come studente non frequentante, perché docente presso il seminario di Ugento. Nei tre anni successivi, sostenne gli esami e lavorò alla tesi dottorale in teologia dogmatica, intitolata I Congressi eucaristici e il loro significato teologico e pastorale. Il 3 luglio 1965 discusse la tesi, avendo come correlatori Monsignor Filippo Caraffa e Padre Idelfonso Tassi. Gli anni di studio coincidono con lo svolgimento del Concilio Ecumenico Vaticano II. Nel suo lavoro di tesi, non sono un caso le citazioni e i riferimenti costanti al Concilio in corso.8 La sua tesi dottorale consta di tre parti: la prima fa riferimento alla storia dei Congressi Eucaristici. Si mette in evidenza il contesto storico a cavallo fra ’800 e ’900, quindi si delineano gli elementi portanti che caratterizzano i Congressi Eucaristici Internazionale e quelli Nazionali. Individuato il processo storico che porta ai Congressi Eucaristici, nella seconda parte se ne illustra il significato teologico. Attenzione va posta al metodo seguito da Don Tonino in questa sezione: egli parte dalla descrizione del culto eucaristico formatosi nella tradizione della Chiesa; poi passa a considerare le fonti magisteriali relative al dogma eucaristico; infine si sofferma sui fondamenti scritturistici. Egli conclude questa seconda parte affermando il primato della fede, non solo in riferimento al culto, ma anche in riferimento alla società. La terza parte si sofferma sulle prospettive pastorali; ed è proprio qui che vanno colti gli aspetti più originali del lavoro di Don Tonino. Egli, partendo dalle prospettive ecclesiologiche, spinge a considerare l’importanza dell’Eucaristia nell’ottica ecumenica, nell’ottica sociale (L’Eucaristia e la pace; l’Eucaristia e i lavoratori), quindi passa a considerare l’Eucaristia nell’ottica della formazione della comunità ecclesiale.9 Nel 1978 il vescovo Michele Mincuzzi lo nominò amministratore della parrocchia Sacro Cuore di Ugento, e l’anno successivo parroco della Chiesa Matrice di Tricase. Qui avrebbe mostrato una particolare attenzione nei 17
8. Il Concilio Ecumenico Vaticano II è il ventunesimo della storia della Chiesa cattolica e fino ad ora ultimo. Fu indetto da Papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, ebbe inizio l’11 ottobre 1962. Al suo annuncio seguirono tre anni di lavoro durante i quali una commissione preparatoria consultando tutti i vescovi cattolici - definì gli argomenti da trattare durante le sessioni plenarie del Concilio. Alla morte di Giovanni XXIII, nel 1963 il Concilio proseguì sotto la guida di Paolo VI. I documenti del Concilio Vaticano II si distinguono in 4 costituzioni, 9 decreti e 3 dichiarazioni. Le costituzioni sono: Sacrosanctum Concilium sulla liturgia (4 dicembre 1963), Lumen Gentium sulla Chiesa (21 novembre 1964), Dei Verbum sulla parola di Dio (18 novembre 1965), Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965); i Decreti: Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa (7 dicembre 1965), Apostolicam Actuositatem sull’apostolato dei laici (18 novembre 1965), Presbyterorum Ordinis sul ministero e la vita dei presbiteri (7 dicembre 1965), Optatam Totius sulla formazione sacerdotale (28 ottobre 1965), Perfectae Caritatis sul rinnovamento della vita religiosa (28 ottobre 1965), Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei vescovi (28 ottobre 1965), Unitatis Redintegratio sull’ecumenismo (21 novembre 1964), Orientalium Ecclesiarum sulle chiese orientali (21 novembre 1964), Inter Mirifica sui mezzi di comunicazione sociale (4 dicembre 1963); le Dichiarazioni Gravissimum Educationis sull’educazione cristiana (28 ottobre 1965), Nostra Aetate sulle relazioni con le religioni non cristiane (28 ottobre 1965), Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa (7 dicembre 1965). C.M. Martini, Parole sulla Chiesa meditazioni sul Concilio Vaticano II, Piemme, Milano, 2005. 9. Da [www.webdiocesi. chiesacattolica.it]
La vita di Don Tonino
10. T. Dell’Olio (1997), Bello Mons. Antonio, Dizionario di teologia della pace, Devoniane, Bologna.
confronti degli indigenti, sia con l’istituzione della Caritas sia con la promozione di un osservatorio delle povertà.
11. C. Ragaini (2003), op. cit.
Don Tonino vescovo
12. Il 7 agosto 1981 Comiso viene scelta dal Governo italiano come base strategica del piano di militarizzazione del Mediterraneo, in un contesto geopolitico ancora governato dalla Guerra Fredda tra Blocco Orientale e Occidente. In seguito nacquero numerosi movimenti di protesta pacifica, di cui un esempio è la marcia MilanoComiso guidata da Padre Turoldo.
Don Tonino fu ordinato vescovo il 30 ottobre 1982 e fece il suo ingresso nella diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi il 21 novembre dello stesso anno. La sua azione pastorale si distinse subito per la sua valenza rivoluzionaria, per il coraggio profetico con cui fu capace di indicare le strade, per la giustizia e la pace. Il suo concetto di pace si coniugava sempre con il servizio e la solidarietà ai più poveri, riportando una visione di Chiesa che si rifà al Vangelo, nella sua accezione più vera. Rimane famosa la sua definizione della “Chiesa del grembiule”, di una comunità cristiana che sa chinarsi umilmente ai piedi degli uomini senza tralasciare di analizzare in profondità le cause delle nuove povertà.10 Il suo servizio conosce le fasi della denuncia e dell’annuncio come momenti dinamici di una stessa missione che si propone all’intera comunità. Si tratta di una ecclesiologia fondata sul Vangelo del servizio e della pace che egli ha proposto ed incarnato sia negli ambiti pastorali cui è stato chiamato a servire, sia nella società a contatto con gli ultimi. Egli giunse a Molfetta sulla sua Cinquecento con al collo una croce in legno che campeggiava sul girocollo nero. Aveva al dito un anello vescovile ricavato dalla vera nuziale della madre. Tutto era diverso rispetto al Salento che aveva lasciato. La realtà sociale di Molfetta era caratterizzata da crescita disordinata, periferie degradate, quartieri a rischio, disoccupazione, tutto aggravato dalle facili suggestioni consumistiche ricercate sempre più da giovani senza valori. Molfetta era città natale di quel Salvemini che sarà poi onorato come “galantuomo” da Don Tonino, era cittadina laica, di una cultura però secolarizzata dove il sacro era solo ritualità e forma.11 Nei giorni successivi al suo insediamento Don Tonino da grande anticonformista quale era scese accanto ai pacifisti che transitavano verso Comiso, guidati da Padre Turoldo per manifestare contro l’installazione dei missili.12 Don Tonino in strada accompagnò il corteo di manifestanti incoraggiando le ragioni del disarmo. A questa seguirono uscite da parte del Vescovo che apparvero clamorose ai formalisti e ai benpensanti: raggiunse a Giovinazzo gli 850 operai delle Acciaierie Pugliesi, che da tempo non percepivano lo stipendio. Alcuni di questi operai da giorni attuavano lo sciopero della fame davanti ai cancelli. Tutto il territorio del Comune era stato mobilitato, bloccata la stazione ferroviaria, gli operai erano stati denunciati per l’interruzione del pubblico servizio. Con la semplicità degli uomini concreti Don Tonino si presenterà di fronte agli operai chiedendo di far parte della loro assemblea. Il suo comportamento immediatamente fu oggetto di incredulità e ironia ma quando prende la parola per esprimere la sua solidarietà e adesione di uomo e di Pastore al problema degli operai questi lo includono nella loro lotta. Il suo aiuto giunge a fargli prelevare una ingente 18 |
somma dal fondo diocesano che consegna agli operai in affanno. Nei giorni a seguire scriverà di concerto con i Sindacati una lettera al Ministro Pandolfi chiedendo accoratamente «non deluda gli ultimi, io non li abbandonerò».13 Di fronte al Giudice Magrone, che segue la denuncia contro gli operai, dichiara «sono correo di tutti i reati che saranno addebitati agli operai delle Acciaierie in lotta per il loro lavoro. La prego di procedere anche nei miei confronti».14 Ma il suo anticonformismo aveva anche aspetti giocosi che portava spesso il Vescovato a risuonare della musica della sua amata fisarmonica quando riceveva amici e giovani. Nel 1985 col consenso della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana fu chiamato a succedere a Monsignor Luigi Bettazzi vescovo di Ivrea, nella guida di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace.15 Anche in questa opera Don Tonino impresse il suo stile. Avrebbe, infatti, guidato il Movimento con il calore umano fatto testimonianza di vita e con la parola carica di profezia. La sua spiritualità salda ancorata alla Parola di Dio ha dato alla sua azione energia vitale in sintonia anche con la mistica francescana (faceva parte dell’Ordine Francescano Secolare). Con una delle sue originali ed appropriate intuizioni linguistiche egli tracciava le linee per una spiritualità di quello spessore definendola “contemplativa”. Riferendosi alla simbologia giubilare della porta, Don Tonino ebbe a sottolineare la necessità di un rovesciamento simbolico per favorire l’ingresso della Chiesa nella navata del Mondo. «Cari fedeli, vorrei indire quest’anno giubilare aprendo la porta di bronzo non dalla parte della piazza come abbiamo fatto stasera, bensì dalla parte della chiesa. Sì, perché oggi il problema più urgente per le nostre comunità cristiane non è quello di inaugurare porte che si aprono verso l’interno degli spazi sacri, grazie a Dio, non c’è bisogno di molte simbologie per sottolineare questa convergenza universale verso il Signore, visto che oggi, più di quanto non accadesse in passato, si avverte un insopprimibile bisogno di lui, si accentua la fame e la sete della sua parola e forse c’è un ritorno alle sorgenti del Vangelo che fa ben sperare anche per il futuro. Il problema più drammatico dei nostri giorni, invece, è quello di aprire le porte che dall’interno del tempio diano sulla piazza. È di questa simbologia che abbiamo bisogno».16 Tutto questo valse nei riguardi di Don Tonino numerose incomprensioni tanto nel mondo laico, così come nel mondo ecclesiale, che spesso lo accusava di ingenuità o spregiudicatezza. Non dimenticherà da Vescovo le radici della sua formazione presso l’O.N.A.R.M.O. che nato con l’obiettivo di assistere gli emigranti lascerà in Don Tonino impresso questo valore che lo spingerà spesso in giro per il Mondo. Raggiungerà gli emigranti molfettesi in Australia e raccoglierà le note del suo viaggio nel volume Sotto la croce del Sud, rapporto pastorale sull’emigrazione molfettese in Australia: «Ai molfettesi d’Australia perché perdonino un’assenza di molti anni. Ai molfettesi d’Italia perché perdonino l’assenza di pochi giorni».
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13. C. Ragaini (2003), opera citata. La lettera al Ministro Pandolfi fu scritto nel 1982. 14. C. Ragaini (2003), op. cit. 15. Pax Christi- Movimento Cattolico Internazionale per la Pace che nacque nel 1945 per opera di Monsignor Théas e di M.me Dortel-Claudot per favorire la riappacificazione tra i francesi e tedeschi. In Italia nasce per volere di Monsignor Montini, poi Paolo VI nel 1954. Sin dalla sua nascita si propose di perseguire la tutela dei diritti civili, umani, culturali tramite la solidarietà sociale per l’affermazione della pace nel Mondo. Dal 1985 la presidenza è stata ricoperta da Don Tonino che ha operato riunendo intorno a sé tutti i movimenti pacifisti nazionali sino all’anno della sua morte, 1993. 16. Da [www.giovaniemissione.it]
La vita di Don Tonino
17. V. Santoro (1993), Manifesto di pace, Manni, Lecce. Santoro raccoglie i diari del viaggio a Sarajevo di Don Tonino, pubblicati da Il Manifesto, col titolo Diari di guerra e pace, il 15 dicembre 1992. 18. I diari di quel viaggio furono contemporaneamente pubblicati nel 1993 dalla rivista Mosaico di Pace, organo di Pax Christi, col titolo Viaggio di pace. 19. A. Bello (1997), Scritti di pace, Mezzina, Molfetta. 20. A. Bello (1997), op. cit. 21. Il 9 dicembre 1992, con l’operazione Restore Hope, i marines americani sbarcarono in Somalia, per fornire gli aiuti umanitari alla popolazione stremata dalla guerra. Lo sbarco avvenne sotto lo sguardo delle televisioni di tutto il Mondo. Vedere l’articolo di Alberizzi, I Marines a Mogadiscio, in Il Corriere della Sera, 9 dicembre 1992.
A capo dell’ONU dei poveri Gli orizzonti morali di Don Tonino erano troppo vasti per essere pienamente compresi nell’attualità delle sue azioni. Il tempo ha sottolineato la fatica profusa da un Pastore, anche uomo, che per conquistare quegli spazi assoluti di pace che popolavano i suoi pensieri, insieme a 500 matti, così li definì la stampa nazionale, il 7 dicembre 1992 partì per Sarajevo assediata. Accanto aveva giovani, anziani, credenti e non credenti, sindaci, religiosi ispirati da quel miraggio folle di pace che li fece somigliare ad un esercito di folli. Don Tonino era già gravemente ghermito da quel “drago” che gli era stato diagnosticato nell’agosto del 1991. Porta appesa al collo la sua croce di legno. Di quel “meltin’pot” di vite animate dalla stessa aspirazione alla pace, Don Tonino dirà: noi siamo un esempio degli eserciti di domani, composti da soldati di pace. La traversata del mare avviene in una grande bufera e Don Tonino sarà uno dei pochi passeggeri capaci di sopportare quel terribile viaggio, ancora una volta il mare gli sarà amico. Della spedizione di pace Don Tonino lascia un diario pubblicato successivamente sia dal Manifesto17 che dalla rivista di Pax Christi.18 Raggiungere Sarajevo significherà passare il posto di blocco croato ma anche quello serbo. Spesso i pullman che trasportano i 500 ambasciatori di pace sono costretti a tornare indietro. Le trattative con le autorità serbe saranno lunghissime. Il miracolo sarà nell’accoglienza che la gente del luogo riserverà a questa “crociata di pace”. Il freddo della notte sarà riscaldato dal tè offerto dagli abitanti che accoglieranno anche gli autisti croati nelle loro case di Serbia. Don Tonino riferisce nel suo diario di un invito a pranzo ricevuto da un uomo che, accogliendolo nella sua casa afferma: «Io sono serbo, mia moglie è croata; queste mie cognate sono musulmane eppure viviamo insieme da tempo, senza problemi: ma chi la vuole questa guerra?». L’emozione espressa da Don Tonino di fronte a questa coralità di uomini gli farà affermare: «Ho toccato con mano la convivialità delle differenze».19 Attraversare la Serbia per giungere a Sarajevo comportò da parte dei pacifisti più che la giustificazione del loro atto, l’ascolto delle ragioni serbe per la guerra. I 500 entreranno a Sarajevo nel buio della notte in una realtà spettrale nella quale da ben nove mesi neanche le camionette ONU mettevano piede dopo le quattro del pomeriggio. Ricorda Don Tonino. «Stasera c’è un’altra ONU: quella dei popoli, della base. A quest’ONU dei poveri che scivola in silenzio nel cuore della guerra, sembra che il cielo voglia affidare un messaggio: che la pace va osata».20 Sarà riferito a Don Tonino dai rappresentanti locali del Centro della Pace che ben 300 famiglie avevano atteso la carovana dei 500 per dare loro ospitalità. La stampa italiana aveva dato scarsa rilevanza al viaggio a Sarajevo. Oreste Delbuono, esprimendo una considerazione acuta, evidenzia la forza rivoluzionaria di questi manifestanti silenziosi in contrasto con lo sbarco eclatante dei Marines a Mogadiscio sotto i riflettori della tv.21 20 |