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Titolo / NOLENTE Autore / Tony Sozzo Copertina / Laura Giorgi Coordinamento editoriale / Donatella Neri Progetto grafico e impaginazione/ Rossana Scrimieri

ISBN: 978-88-95861-33-3

TUTTI I DIRITTI RISERVATI © Lupo Editore 2008 Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Editore Via Prov.le Copertino-Monteroni (km. III - cp. 34) 73043 Copertino (Lecce) • Tel/fax: 0832.931743 www.lupoeditore.it • email: lupo@lupoeditore.it


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Pensavo facesse meno freddo. Forse è meglio accettare quello che capita. Anche la buca sulla strada che non sono riuscito a vedere come si deve. Questa camicia e il suo collo attaccato alla mia pelle mi rendono nervoso. Ma non può essere colpa di una camicia. È colpa della mia abitudine ad avere da ridire ad ogni passo. La discussione di ieri sera ancora mi rimbalza addosso. Lo zio non doveva parlare così male delle speranze dei giovani. Il governo non ha fatto nulla, la globalizzazione, l’anello debole. Mamma accennava dei consensi che non avrebbe voluto. Mio padre provava a non dare soddisfazione al fratello senza riuscirci troppo. Sono un tipo che apprezza gli sforzi. Quelli inutili però dispiacciono. Perdere il tempo come ce ne fosse a bastimenti. Tanto, alla fine siamo rimasti tutti con l’impressione che sarebbe stato meglio un bel film. Ma quando zio beve un po’ non riesce a liberarsi dal suo latino. In vino veritas. Preferivo la campagna del nonno. Poi è morto, non ha capito nemmeno perché. Con lui se ne sono andate certe abitudini. Adesso quei posti non hanno più spazio. Inutile che questa città cerchi di convincermi. Non è nel giusto. Il giusto è da qualche parte in campagna, nascosto in una zona avvelenata. A piedi tutto è ancora più chiaro. Si riesce a vedere sotto le sottane di questo immenso concerto di case allineate e servizi. Meglio arrivare a destinazione. In fondo c’è gente che sta peggio di me. Stamattina mi sono sbrigato a lavarmi i denti. Bravo a non colorarmi col dentifricio. Sono uscito di casa prima che mi vedessero. Non avrebbero fatto domande, ma non si è mai troppo sicuri. 7


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Cerco di raggiungere la mia ex facoltà. Su una locandina di edicola si legge di un arresto per abuso d’ufficio. Mi sono sentito meglio. La locandina ha un bel colore. Anche l’edicolante non è male. È gentile, non si chiede perché. Va e viene, maneggiando spiccioli. Un vero esempio per tutti. Ieri lo zio mi ha detto: goditi la giovinezza, tu che ne hai ancora una. Hai un futuro vasto davanti. Come Manzoni pregherò in San Rocco. Per la mia povera ed arcigna moglie che non mi può sostenere, che non mi può ordinare di fare il forte nella fede. Gli studi sono passato protocollato. I miei si aspettano una decisione. Ergermi su qualcosa e dire: voglio essere questo. Aspettare e contare se ci sono più sorrisi, risa o pianti. Fa molto freddo. Non capisco perché ci sia il sole. Non mi va che d’Inverno si faccia vedere, che abbia quella faccia come se tutto stia andando per il verso giusto. È ignobile illudere uno come me. Avrei proprio bisogno di essere aiutato in un altro modo. Mi disturba, io in balia delle intemperie, o di una temperatura a cui non frega delle mie esigenze. Un altro automobilista che ha deciso di occupare il marciapiede con le sue ruote. Vicino al casolare del nonno non capitava. Sono costretto a cambiare traiettoria per un estraneo maleducato. Tra non molto il freddo finirà. I giovani si fissano su quella frase in cui si parla della pioggia che non ci sarà per sempre. Poi il via a pianti adolescenziali da copertina di rivista. Farebbero meglio a pensare al freddo. La pioggia al massimo bagna, fa tremare raramente. I giovani non sanno mai quando si tratta di un problema serio o quando non c’è nulla da temere. Non gli compete. Sono nei guai. Più invecchio, più non sopporto che mi possano rovinare mettendo di mezzo il mio corpo. È la parte più corruttibile, senza una personalità di base. Devo fare qualcosa per il mio stomaco logorato dalla smania di somatizzare. Un tempo ero sano in ogni dove. Non un affanno. I piedi scalzi in campagna avevano la loro parte. Vivevo di natura, come i miei progenitori, seminudi, semicontenti. Oggi la città non si è messa il vestito delle grandi occasioni. Forse non ne ha. Con me non si comporta come una di quelle. Lo ha fatto troppe poche volte per conquistare 8


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la mia simpatia. Sembra quasi io non meriti le sue migliori grazie. Questo moto a buon mercato mi rende contento. Vivo senza lamiere intorno. Non un cruscotto davanti che parli degli accessori più in. Come vincere una rivoluzione. Ma le rivoluzioni non si vincono: si sognano. E per un sognatore la cosa più probabile è che gli si passi sopra con la macchina. Le ruote della carrozza del cicisbeo pariniano sono alla portata di tutti. Il sangue di chi non ha un soldo scorre a più rivoli. Non ci sono più gli anni di una volta. Me ne sono accorto ad un tratto, e non potevo più fare nulla. Mi sono sentito preso in giro, ma non l’ho detto a nessuno. Nemmeno ieri sono riuscito a trovare i miei amici. Stanno frequentando gente nuova, non vogliono mischiare le cose. Si sono resi conto che messo alle strette rivelerei i loro nomi a qualsiasi commissione. Il macellaio del quartiere ha rimesso in vetrina i polli tutti interi. Visti così è un’altra cosa che aromatizzati in un piatto. Cadaveri buoni. Lui è troppo abituato al sangue. Di notte non riesce a pensare alle sue vittime. C’è l’abbonamento, il figlio che trucca i motorini, quella maledetta gastrite. Gli occhi spenti delle vittime sono un fatto da stracciare. Avrei dovuto coprirmi con più attenzione. Il vento non mi fa un gran servizio. Freddo, inopportuno. Non è così importante, ma lo è, quando non ci sono altri discorsi che rubano la scena. La Tramontana è troppo arrogante per non darmi del rancore. Sono quisquilie, come tutto. Adesso ho bisogno di pensare a qualcosa di sciocco. Può bastare sapere che la Tramontana viene da lontano, che sta cercando la sua pace, che la troverà. Ha una tradizione che non dà scampo. Gelida, decisa. Anche i liberi professionisti fanno il loro dovere: riempirsi di carte di credito, essere rispettabili per sentito dire. È una mattinata un po’ confusa. I pensieri mi si stanno attorcigliando. Non faccio più in tempo a salvarne. Da tempo non ho una linea da seguire. Salto da un segmento all’altro. Sotto, un vuoto da rompere i piedi, a caderci. L’infortunio nell’ultima partita di calcetto non ha lasciato tracce. Ho un chilometro addosso senza fitte. Una bella notizia da farmi accontentare. Dei vigili si sono par9


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cheggiati con le moto ad un semaforo confusionario. Non c’è niente di meglio da rilevare. Le loro divise sono pulite. Le facce il solito. Abituati alla loro vita, senza quella voglia matta di scovare la poesia. Le parole di ieri non sono riuscite ad andarsene da casa mia. Era vestito come si deve, lo zio. Chissà che non significasse qualcosa. Speriamo di trovare un posto libero a lezione. Non mi va di passare in piedi tutta l’ora. Ritorno in quelle aule. L’altra volta sono stato tutto il tempo a sentire dolore ai piedi. Il vizio di deambulare porta fatica dolorosa. Ma mi fa libero. Non sono molte le cose capaci di tanto. Da piccolo ero più bravo a non fare confusione. Un bambino insieme agli altri bambini. Ora il cattivo ora il buono, senza eccellere nelle cose. Non vedevo facce scontente, per questo. Era il mio dovere. Farmi piacere i gelati, non capire tante cose degli adulti. Ora ho bisogni più schiumosi, brutti. Sarei proprio contento di trovare un posto. Mi accontento. Non è tanto semplice. Una sedia attaccata alle altre, in fila e in serie. Bravo a mantenere l’anonimato. Uno sguardo annoiato d’attesa, inserito tra una penna ed un quaderno d’appunti. Per il momento può bastare. Quanta gente estranea fa la stessa mia strada. Di corsa, al trotto, al galoppo, con la spina dorsale lievemente spostata. Mi dispiaceva vedere tanti volti passarmi accanto senza andare oltre, essere trattato come un manifesto pubblicitario strappato ai lati. Guardare facce mute distrae, non aumenta i ricordi. Potrei durare una vita con quelli di un anno. Persino quella tipa grassa, senza un vestito decente addosso sarebbe capace di concedermi del fascino. Ha un braccio pronto alle borse della spesa. C’è traffico. Serve a qualcosa. A tossire. Polveri sottili che non sai dove sono, da dove entrano. Il traffico è un modo per non intrecciare i passi. Vorrei essere un granchio. Uno scoiattolo. Qualsiasi cosa che non vada in giro vestito. Che non abbia un codice fiscale. Che se lo prendi comincia a dimenarsi per scappare, invece di trovare un sacco di scuse. Sono un tipo che non ride alle battute del progresso. Meglio concentrarmi su cosa fare della vita. Sono parte di una categoria diversa, sono ad una svolta non presa. È tutto in gioco. Papà non 10


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parlerebbe con soddisfazione di me ad un collega. Tra colleghi può succedere. Mi sono guardato intorno: non vedo di meglio che ripormi tra le mie aule, qualche volta. Troverò tanta carne giovane che si riempie di esami, pronta alla felicità. Un calmante. La vita fa male. Un giorno vorrò essere qualcosa di meglio che un uomo che parla la solita lingua. Siamo fatti di dettagli mortali. Anch’io, che cammino infreddolito su questi marciapiedi sporchi di cicche e carte di cui nessuno sente la mancanza. Ho avuto tempo per pensare. Tre mesi. Sono bastati. Ieri lo zio non l’ha saputo. I miei non hanno precisato, la confusione è rimasta. Mi ha fatto piacere, tutta quell’ignoranza sulla mia biografia. Avevo pure delle parole che ho preferito conservare per momenti ancora peggiori. Tanto il destino della serata era segnato. Eppure, i discorsi non sono migliori di un tempo. L’acqua piovana indirizzata nei condotti scioglie, si screpolano i tubi, col sole che cade. Non ho conservato nulla per quando avrò più sete. Nichilista. Quella parola me la buttava addosso quel mio caro compagno di corso. Sembri nato per esserlo. Io allora non ci pensavo nemmeno. Non avevo le idee molto chiare. Poi ha cominciato a piacermi avere una parola per risparmiarmi una serie di discussioni. Nichilista. Il niente si è invitato da sé. Sapeva quello che faceva. Si ama la propria cancellatura accennata, per il momento. Il mio cuore pompa sangue. È caldo, scorre. Senza domande particolari. Lo fa, basta. È nato per questo. Quando tutto finirà non ci sarò io, non ci sarà lui. Sempre che la scienza ci lasci in pace. Sento in me gli ingranaggi di una macchina infame. Pronta a farmi vivere anche se non lo vorrò. Sono in trappola. Un tale per poco non mi mette sotto. Non si è girato. Deve succedergli di continuo. Si è allontanato imbrigliato nella sua velocità. Il mio prossimo: l’unica cosa di cui dovrei aver paura. Quel tizio deve essersi sentito bene a non aver avuto uno straccio di titubanza. La razza umana merita di essere buttata nel cesso, ad affogare senza decoro. Ha le mani sporche. Ci sono posti in cui vogliono lo sviluppo economico ed hanno tutti la pancia. Non sanno fin dove spingersi. Gente che venderebbe la madre per un po’ di sor11


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presa. Per sentirsi più del giorno prima. Le mamme hanno solo le loro colpe momentanee. Non aver preso a schiaffi certi figli quando sarebbe servito a qualcosa. Ormai non si fa più in tempo. Al massimo, possiamo degli interventi intempestivi. Si sarebbe troppo goffi per risultare efficaci. Non si fa più in tempo. E la parola di quel compagno di corso è sepolta tra i miei trofei di carta. Oggi c’è più di un posto. Ho anche avuto l’imbarazzo della scelta. È stato un attimo ma mi ha dato fastidio. Non me lo aspettavo, non ho saputo cosa fare. Ho concluso il mio tempo qui. A domandarmi avrei molti problemi a rispondere. Non succederà. Qualcosa, qualcuno dovrebbe avvicinarsi, e non sono il tipo che attrae. Sono il modello senza accessori. I ragazzi che farebbero la fortuna di ragazze colme di pretese sono altri. Non faccio parte di quella cerchia. Io un bacio lo guadagno col sudore della fronte. Tutto sudato dove vuoi che vada? Non ho il coraggio di guardarmi intorno. Sono di troppo. Come se uno a quarant’anni andasse dal dentista con la mamma. Un mio sogno nel cassetto. Sul mio letto c’è un libro dimenticato aperto. Ho ancora in mente quelle pagine lasciate al loro destino. Mamma potrebbe andarlo a sbattere senza cura sugli altri. Di sicuro non userà gentilezze supplementari. Mi trova disordinato e sbadato. Non è giusto prendersela con degli innocenti. Io non andrei a vendicarmi di lei maltrattandole i trucchi. Ha il difetto di non aver capito suo figlio. E i suoi amichetti. Sparla di noi senza avere le idee chiare. Non si avvicinerà nessuno. Starò su una sedia, come si deve. Un intervallo di tempo limitato, passato bene. Un sortilegio in bilico, capace di rovinarsi subito. Da come vanno le cose anche un secondo può avere una forza devastante. Avrò la mia solitudine, come ho sempre fatto. Sono stato bravo, finora. Dall’asilo in poi. Non mi sono fatto rovinare da qualche bacetto ricevuto qua e là. Non me lo sarei perdonato. Meglio essere diffidenti con la manna che cade dal cielo. Che non si venda ai supermercati deve pur significare qualcosa. Accorti, è questo ciò che fa ruotare il mondo rimasto ancora vivo. 12


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C’è ressa vicino alla porta. Qualche risata troppo scontata. Le risate delle zio erano di un altro spessore. Dovute al mosto invecchiato, alla mamma che non aveva tenuto conto delle propensioni in famiglia. Tante storie singole si trovano ammassate, oggi. Da studente non pensavo che ai libri. Quando lo sguardo si spostava a guardare intorno, la poca forza attrattiva della vita reale mi faceva ritornare sulle righe allineate. Studiavo perché la vita non era nulla di speciale. Vivevo di riflesso. Allora me lo permettevano. Nessuno ancora sosteneva che mio dovere fosse allargare i gomiti e sgomitare come l’ultimo degli stupidi. Nessuno ancora si offendeva se non mi adeguavo. Adesso non è più così. È bastato laurearmi per ritrovarmi smarrito. Fare il proprio dovere porta più guai che altro. Adesso sono costretto a cercarmi un padrone. Sono bravi a nascondersi persino loro. Lo fanno per puro gusto. Le soddisfazioni si creano. Non so proprio cosa consigliarti, figlio mio, è stato gentile lo zio. Ieri sera mi ha guardato con gli occhi di un santo sbattuto dove non si merita. Nipote, non ho la ricetta di nulla. Posso solo parlare con te, vedere dove si può andare a sbattere. Grazie dell’interessamento, zio, ma non vorrei sbattere in compagnia. Non mi risolverebbe nulla. E la serata andava dalla mezzanotte. Tre ragazze si sono andate a sedere in prima fila. Hanno un trucco consapevole agli occhi, sulle labbra. Appoggiano le loro cose, cominciano la loro comunicazione consueta. Le ragazze hanno sempre un mistero in più degli uomini. Molto dell’interesse per loro accendeva le luci. C’era la loro graziosità sempre presente, quell’istinto a volerne qualcuna da abbracciare. L’Eros ci arrostiva senza tregua. Gridava più degli altri, e noi Italiani siamo nati servi e succubi. Ho anche avuto delle avventure, ai tempi. Verbali. Una ragazza bionda mi parlava in continuazione mentre prendevo appunti. Aveva bisogno di dirmi le cose che le succedevano a casa. Le sue parole si abbelliscono del passato. Sono propenso al passato. Sta là, si fa vedere. Lo si accarezza, lo si sceglie. E se sei stato bravo non sporca. Quella ragazza non l’ho più vista. Le sue parole graffiano ancora qualcuna delle mie orecchie. Avrei potuto essere più giusto. Invece si 13


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è sparsa nella prima onda arrivata sulla battigia, senza una traccia, una bottiglia con un messaggio stagionato. I gruppi si sono formati senza patemi. Ora qui ora là. Ragazze si mobilitavano davanti ad un cellulare. Anche quando non si comportano per bene sono loro a dare senso ai vestiti. C’è dell’altro, basta anche questo. Ci sono delle cose con cui l’uomo non può lottare, ma andarci a letto. Uno capisce quanto sia simile alle tartarughe, che in amore sembrano giocare una partita a tennis da fondocampo. Ho guardato quei gruppi interessarsi di tasti non loro. Le acconciature si accaldavano nello spiegarsi questo funzionamento, quest’altro. Alcune non avevano trovato posto. Lente ed imprecise sostavano a qualche metro dagli eventi. Volevano ritagliarsi il loro spazio in quella storia striminzita, non far dire in giro che non avevano fatto parte di nulla. Mi sono accaldato a fare tutta quella strada a piedi. Non è stata la prima volta. Cosa mi ha preso? Sto aspettando, tra le altre cose, che si asciughi il sudore comparso addosso. Da piccolo giocavo a pallone ovunque, e dopo non mi sentivo appiccicaticcio o infastidito da quei vestiti umidi. In questo è la vecchiaia, nel perdere poteri e facoltà. Andavo alla ricerca di un altro gioco. Quando si cresce il problema è che nessuno ha la forza di non farlo. Tra un gioco e l’altro, da grande c’è sempre da pensare. C’è un rumore di fondo e sottofondo. In quest’aula si fa quello che potrebbe anche non servire. Qui hanno la loro parte di vita da portare avanti. La loro scena madre, tutti i loro accessori. Si sentono veri, al posto giusto. Non si sforzano di vociare, di fare movimento e confusione. È nella loro natura. Un decorso della vita. Un effetto collaterale delle poppate, degli omogeneizzati. L’aula non è grandissima, abbastanza alta. Non riuscirei a vedere il timpano di un pipistrello. I neon sono moderni, fiore all’occhiello. Non ci sono topi volanti all’ingiù, questa mattina. I pipistrelli hanno delle abitudini che mi affascinano. Degli istinti a cui non interessiamo. Dracula. Ha fatto girare film, scrivere libri. Ancora non è nato nessuno che nel sentire parlare di orrore non se lo veda davanti con i denti aguzzi, la chioma 14


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brizzolata. Con quell’aria aristocratica che spinge a pensare dolcemente alle tenebre. Vorrei essere ancora capace di godere di paura. Di quella esteticamente elevata. Sognare di Halloween, di una vecchia città americana assonnata di orrore. Mi sono grattato l’orecchio. Ho cercato di resistere ma non sono riuscito ad evitarlo. Qui sono il primo a farlo, oggi. Questi giovani sono troppo invischiati negli affari loschi dell’adrenalina. La scambiano per l’anima, la felicità, il paradiso. Brancolano nella penombra. Molto di quello che capita dipende da una pura e semplice produzione di sostanze chimiche. Non è altro che liquidi poco densi che scorrono qua e là. Questo corpo che scruto attraverso le mani mi tiene qui, in mezzo alle pareti. Sto aspettando un professore che se la prende comoda. Anche ai miei tempi camminavano lentamente per i corridoi. La loro conoscenza ingombrante gli appesantiva il passo. Sono qui per ascoltarne uno con la speranza che dica qualcosa per cui non dovermi pentire di essere venuto. Non hanno più in mano il mio destino. Non sono più di nessuno. Fa schifo dirlo in una società in cui si è bombardati da stimoli. Giocando alla Play Station ad un certo punto mi sono chiesto che ci avevo tanto da sparare. È inutile improvvisare una piccola conferenza stampa sul momento. Dei miei pensieri non se ne può fare niente. Devo trovare il buco destinato a me, la nicchia con il mio nome e cognome. Ho paura del lavoro. Con le sue ore uguali, da addizionare e sottrarre. Paura di doverlo fare, pagare. Solo paura. Mi basta. Non ho ancora trovato nulla di più forte. Non è da molto che non ho un ruolo nella società. Senza i disoccupati a Roma non parlerebbero del Sud. Puglia, Basilicata, facce sporche di sole, inadeguate al chiaro europeo. Non si muove una foglia. Almeno, la foglia che interessa a me. Tutto questo devo considerarlo tempo perso? Non credevo si facesse tanto ritardo. Un momento consueto che non sta arrivando. C’è gente che si veste e si denuda, giorno dopo giorno, secondo i casi. Si assomigliano. Molti di loro non fanno che spogliarsi e vestirsi tutto il giorno. Molti amici studiano ancora perché è semplice 15


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avere uno spartiacque che non faccia vedere le petroliere che arrivano. L’ho passata anch’io l’età in cui si è contenti senza un motivo. Poi le cose sono cambiate. Ho iniziato a cercare qualcosa da non disgustare troppo. Non sono stato bravo. Sono ancora alla ricerca, senza un metodo vincente. Nessuno è dalla mia parte, cerca una mia spalla per una pacca. Dopo, me ne ritornerò a casa. La solita linea disegnata con cura. Un’altra mattina in meno. La tristezza è venuta a cercarmi, mi ha trovato. Il ronzio ardente delle chiacchiere studentesche mi sveglia con la sua inutilità allegra. Sono spasmi senza una tattica. Si hanno, i risultati vanno a confondersi tra le cartacce di ogni giorno. Qualche ragazza qui butta il seno a pezzi, fuori. Quel vedere e non vedere si calma nelle mie reazioni sterili. Mi ritrovo a pensare al sesso per riposarmi. Molto triste. È la vita. Solo l’arte passa tutta l’esistenza nel vano tentativo di regalarci un po’ di dignità. Perché sto qui? Avrei le stesse soddisfazioni a strapazzarmi un uovo in cucina. Adesso li fanno cagare dalle galline con delle purghe metalliche. Povere bestie, ad esserlo tra gli uomini. Avrebbero potuto essere bestie per qualcun altro. A questo mondo non si è schiavi che degli uomini. Da quando sono sulla Terra non hanno fatto che cercare la maniera migliore per salvaguardarsi. Come se la loro sopravvivenza importasse a qualcuno. Non hanno saputo fare bella figura. Solo l’irreparabile, ciò che ci si aspettava. Adolescenti che a scuola danno il minimo che possono, tanto per non essere bocciati. Mi sta facendo male la testa. Questo tempo d’attesa in più è una possibilità che a quelli come me è meglio non dare. I pensieri si mischiano, nati da mamme diverse. Come mangiarsi della macedonia con maionese e pepe nero. Spero il dolore non aumenti. Conosco il grado che riesce a raggiungere. Quello che riesco a sopportare. Alcune ragazze si preparano per i loro appunti. Sono venute per questo. Il tempo se ne sta andando, autorizzato. Nessuno ha niente in contrario. Non si può vivere se non si paga con lo scorrere dei secondi. Bisogna dare ed avere. Cambiare le cose, trasformarle in energia di bassa qualità. Sento il fruscio dei 16


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fogli da riempire. Con la penna ci sono da fare cose migliori. E con tanto altro. Il meglio non è contemplato. Se lo è, potevano risparmiarselo. Il bene è lontano dai pensieri più vivi. Non si ha il talento di focalizzare il problema. Esagerano, fanno di tutta l’erba un fascio. Non mi fido. Gli altri sono passionali fino a commettere lo sbaglio più vistoso. Dopo gli studi, mio padre mi ha assicurato, lavorerò nell’azienda di un suo amico. Me lo ha confermato anche domenica a pranzo, sento dire a pochi metri. Una bionda si fa vanto della sua tranquillità davanti a degli occhiali con le trecce. Ho paura del futuro. Nemmeno m’immagino come possano aggiustarmi da qualche parte. Sono il pezzo che avanza in tutte le riparazioni. Non sono bravo abbastanza per nulla. Eppure ho premura a mantenermi in vita. Ho la sensazione di non essere tanto male. Tra tutte queste speranze di gioventù, poi, è come se ci sia il dovere di prospettarsi delle belle scenografie, begli sfondi, contorni prelibati. Non si vorrebbe rovinare lo sforzo di chi ha incanalato questi giovani slanci negli stessi ambienti tutti i giorni. È l’ultima volta che fingo di far ancora parte di tutto questo. Ci si stanca anche a scherzare con la propria vita, a difenderla dalle nuove forme sconosciute toccateci in sorte. Prima o poi, questione di giorni, sarò ancora più vicino alla mia nuova realtà. Il tempo pian piano è maturo. A casa non si sono ancora accorti che, come dicono loro, sono diventato un uomo che ha dei doveri. Un sacco di doveri, come non avere più tutto il proprio tempo da gestire, ma solo una parte, secondo la fortuna che si ha. Non ho conoscenze che possano darmi la vita più adeguata a me. È come in discoteca: ci deve essere quello che ti mette in lista. Sembra l’unica fortuna che possa capitare ad un uomo, essere l’amico di qualcuno. Da domani, da domani sarò di qualche elenco di persone da non chiamare assolutamente al telefono. Sono fermo, questa mattina. Tutti i miei anni hanno costruito questa calma prima di una tempesta pronosticata. M’illudo che il mondo non scalci mai più. La vita può portarmi lontano, se un tantino si impegna. Può fare quello che vuole. Non me la sento di spostarmi molto. Non so 17


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come si regolerà. Ha i suoi punti saldi da cui non transige. Mi sta facendo sbuffare per ogni nonnulla di cui è fatta. Una donnaccia. Con me si comporta male, sputa a terra, fa la voce alta. C’è qualcosa che mi nasconde. La gente sta parlando di tutte le sue piccole questioni. Il brusio è diffuso, non smetterà di far parte dell’aria. Qualche battuta di qua, qualche pettegolezzo di là. Per poi rimanersene da soli nella propria coscienza. Sempre che si sia riusciti ad arredarne una. Un tale ha addosso una felpa colma di colore. Tra le orecchie un orecchino vistoso. Vive di apparizioni corpose. Anche i gesti parlano di uno che vuole fare chiasso al proprio passaggio. La sua corte è abituata a certi spettacoli. Cerca di capirci il segreto di tutto. È quasi applaudito da un paio di tipe. Ne è contento. E chi non lo sarebbe, con quella faccia incollata a quel modo. Mi sono sistemato sulla sedia. Ho l’aria innocente. Lo sono. Non ho mani in pasta da nessuna parte. Sono lì, ferme, consapevoli di essere nate per compiti estranei alla mia direzione. Non sto facendo crimini, non investo in borsa. Sarei potuto essere uno di quelli che lo fanno. Invece cerco solo di sbadigliare, di russare senza essere ascoltato. Mi guardo intorno. Devo avere tutto ben sistemato, per funzionare. Ho una serie di manie che mi porteranno in guai che non oso immaginare. Per questo cerco di occupare la vita senza progetti troppo avanti nel tempo. Non ho fiducia in una mia durata decente. Ho paura di trovare sofferenza e morte, in quantità elevata. Spero nelle attenuanti. Al momento il mio avvocato ha solo balbettato. Kafka mi ha insegnato che i processi di solito finiscono male soprattutto per chi non ne sa niente. Nemmeno lo zio ha emesso una sentenza di quelle per cui si va tutti a festeggiare. Nemmeno quando papà ha tentato di sbadigliare. Non mi fa più male la gamba sinistra. Seduto va meglio. Bisogna convivere col malessere, non lamentarsi troppo. Non è bello fare polvere per qualcosa che si sa alla partenza, ad ogni metro, all’arrivo. Tra poco cambierò di nuovo idea. È questa la vendetta che si concede l’esistenza: non permette di mantenerci intorno alla cassa da morto, se ne siamo abbastanza convinti. Intorno gli studenti si organiz18


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zano come possono, per il tempo che gli è rimasto. Sono gli ultimi scatti in avanti. Solo un attimo. Queste facce lisce. Dicono le stesse cose, quelli stupidi le stesse cose stupide, quelli più o meno intelligenti le stesse cose più o meno intelligenti. Succede anche tra gli adulti. Loro non hanno l’audacia dei giovani, né certe speranze. Non sono pericolosi gli uomini, ma quello che hanno. E sono sempre molto contenti di avere qualcosa in mano. Non vedono l’ora di occupare anche i piedi. Di pensare: si sta andando a ruba. Di sfilare disinvolti tra ali di persone capaci di sorprendersi per stupidaggini. Ho osservato abbastanza, questa mattina. Non riesco a vedere qualcosa che mi aiuti a sperare. Le loro risate non mi lasciano tranquillo. Si vede da lontano che nascondono altro. Che i loro istanti più veri non sono mai scoperti, che rimangono ammassati nelle loro stanze. Si è bisognosi in senso stretto, da uomini. Non c’è nemmeno da imparare nulla. Basta lasciare che le cose vadano per il loro verso. Giusto per farsi qualche risata. Si è seduta accanto una coppia di amiche. Le cose non andavano secondo le previsioni, i buchi tra le file erano evidenti. Una di loro ha un’eleganza accentuata nel vestire. Non le chiederò spiegazioni. Anzi, è lei che mi rivolge la parola. Non è un mio sogno vedermi lo sfarzo davanti. Peccato mortale abbellire il mondo con l’aiuto dei sarti, per quanto sia un buon modo per riempire la vita. E per dare senso ai soldi. Un vestito ha sempre dei discorsi da fare. La mia attenzione è sui suoi rivestimenti. Drappi moderni. La ragazza non ha bisogno di altri atteggiamenti. Di sforzi prolungati. Sembra starci bene. Non ha problemi o rischi da temere. Sono amiche. Deve essere carino pensarci su ed avere un nome da fare se qualcuno ti chiede di chi hai fiducia. Fanno parte di quella razza. Hanno sempre qualcuno a cui fare un regalo a Natale. Una preghiera già data prima di addormentarsi. Mi viene di metterle alla prova. Forse non ne vale la pena. Le ragazze sono tutte un po’ portate ad apparire senza difetti appariscenti. Il trucco a vari livelli fa mi19


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racoli. Me ne ritornerei a casa con un niente di fatto. Fanno prima a respirare e non prendono buche. Le donne, brave a sistemarsi al meglio. Ognuno si regola secondo i casi. Non c’è una legge scritta, forse non si è avuto tempo. La donna è riuscita a prepararsi bene, per certe circostanze. Sembra in difficoltà, distrae i suoi antagonisti. Alla fine riesce a cadere in piedi, più volte, senza sentirsi troppo capace. Di che anno sei?, mi chiede una delle due. È molto carina. Mi sento pronto ad essere dell’età che preferisce. Non ci vuole molto a stare bene per un paio di occhi. Non c’è bisogno né di essere intelligenti, né di aver lasciato qualcosa in pegno. I suoi vestiti le donano, ma ha tanto, sono aggiunte pleonastiche. Sono laureato, ho risposto. Non avevo intenzione di dire bugie. Perché contraffare la vita quando è già fin troppo falsa? Far piovere sul bagnato non è nel mio stile. Nei loro occhi ho notato invidia e stupore. Adesso mi aspetto che siano sospettose, che si allontanino, che seguano meglio la lezione anche per me. Che mi vadano a denunciare. Non c’è motivo per rimanere lì, ad occupare un posto mentre qualche studente sta cercando di trovare uno spiraglio per scorgere almeno la cravatta del professore. Lo so. Qualcosa è arrivato anche a loro. La regolarità della logica mi uccide senza drammi. E allora, perché segui questa lezione? Proprio quello che mi aspettavo. Dovrò rispondere, chiarire la mia posizione, essere esauriente. Cominciare con le mie piccole tragedie di percorso. Non ci voleva. Non me lo aspettavo da un incontro quasi galante. Risponderò. Non ho scelta, e se ce l’ho, non riesco a vederla. Non deve essere poi così difficile, anche se non ho l’allenamento di una volta. Avevo ragione quando pensavo mi sarebbe potuto servire parlare con qualcuno ogni tanto. Ormai è tardi per recuperare. Sarà uno dei miei rimpianti. Da un po’ non ho contatti con una ragazza. Ho perso certe sensazioni: essere contento di vedermi sorridere di fronte. In pubblicità ci si spinge molto al di là. È semplice riuscire ad individuare le zone erogene del mondo. Difficile è preparare la salsa giusta. Comunque, ci si riesce sempre. Si ha tutto il tempo di questo mondo. La ragazza ha un nome, un cognome. Anche a volerlo, 20


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