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Marco Glaviano
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MARCO GLAVIANO
Uno sguardo disincantato sul mondo, attraverso l'obiettivo
Che cos'è il bello? È un parametro oggettivo o soggettivo? MarcoGlaviano non ha dubbi, proprio lui checon la sua estrema sensibilità artistica haimmortalato alcune tra le più importanti supermodelle del XX secolo, per oltre 40 anni. Esteta della prima specie, "addestrato" fin dalla giovane età a riconoscere l'armonia, è stato capace di coniugare la perfezione dei canoni di bellezza classici all'innovazione della macchina fotografica digitale; un amante del bello in tutte le sue forme. Cindy Crawford, Paulina Porizkova, Anneliese Seubert sono solo alcune della lunghissima lista di bellezze che hanno posato davanti al suo l'obiettivo e che hanno gravitato intorno al suo mondo. Un mondo, quello della moda, che lui stesso ha aiutato a costruire negli anni della sperimentazione e del fervore creativo di una Milano sempre più centrale nel panorama internazionale.
La sua passione per la fotografia, ha raccontato, è nata quando era molto piccolo, a 6-7 anni. Quando ha capito che sarebbe diventato il suo lavoro?
Mi piaceva la macchina fotografica perché era un oggetto bellissimo, avevo una Leica tutta luccicante e mi affascinava che riuscisse a produrre immagini. Ho iniziato a ricevere complimenti dalla gente per le foto che scattavo, così ho continuato. In seguito, il mio sogno di diventare architetto mi ha portato a trascurare un po’ la fotografia in favore degli studi di architettura. In realtà, anche allora quella passione mi ha seguito, perché una delle mie tesi intermedie l’ho dedicata al rilievo fotografico della città siciliana di Cefalù, che è stato apprezzato e mi ha dato fiducia. Poi, fotografavo i miei amici musicisti: loro volevano le foto per metterle sulle copertine dei dischi e si offrivano di pagarmi per i miei scatti. Dopo quelle prime esperienze ho capito che la fotografia era la mia strada, con grande dispiacere del mio maestro di architettura. Lui mi disse: “Le foto sono effimere, i palazzi restano”, io gli risposi a tono, col mio solito carattere: “Purtroppo sì, come quello orrendo delle Poste a Roma che hai fatto tu”.
Quanto ha influito l’esser cresciuto in una famiglia come la sua nello sviluppo della sua sensibilità artistica e nella voglia di innovazione?
Moltissimo. Provengo da una famiglia della borghesia palermitana molto libera, aperta all’arte e al progresso. A casa mia entravano e uscivano artisti come Gino Severini, Leonardo Sciascia e Guttuso, avevo i muri di casa pieni di sue opere. I suoi nudi hanno fatto parte della mia vita fin da bambino, tant’è che quando qualcuno mi ha detto di non poter comprare una mia fotografia perché aveva dei bambini piccoli, ho risposto: “Devi comprarla proprio perché hai dei bambini in casa!”.
Secondo lei, esiste ancora il concetto di supermodella, considerando i tempi in cui viviamo (social, piattaforme etc.)? E la figura del talent scout ha ancora spazio?
No, quell’era è finita. Non è finita per la fotografia, ma dal punto di vista sociale, con tutte queste ragazze che si fanno i selfie. I talent scout ci provano, ma sembra che manchino di qualcosa. Se oggi le mie top model entrassero in una agenzia di moda le butterebbero fuori tutte, compresa Cindy Crawford. Sono le agenzie a non esistere più, non ci sono più quelle personalità che riuscivano a distinguere una bella donna da una top model. Chi lavora in questo campo, oggi, preferisce gli uomini alle donne: nelle pubblicità di Armani, ad esempio, gli uomini sono tutti muscolosi, oliati ed esposti a una luce stupenda, mentre di fianco le modelle sono magre scheletriche, producendo uno squilibrio evidente.
“La modella fa la metà del lavoro del fotografo”, ha detto: che cosa ha significato per lei lavorare con alcune delle più grandi top model di tutti i tempi? E se scegliere una modella è impossibile, c’è uno scatto – o i suoi retroscena – che ricorda con particolare affetto?
Dipende dal fotografo ovviamente. C’è da fare una piccola precisazione: è il soggetto a fare la metà della foto, non la modella. E il soggetto può anche essere un paesaggio. La fotografia è un modo di vedere le cose che altri non hanno: non è il risultato o la tecnica, ma la capacità di passare davanti a qualcosa e capire che vale la pena fotografarla. Alcune delle mie foto preferite sono quelle che ho scattato ai jazzisti: hanno tutti uno sguardo e un carattere penetrante, glielo si legge in faccia ed è impossibile fargli una brutta foto. Sono cresciuto fin da piccolo suonando e ascoltando jazz, col terrore di mio padre che diceva fosse musica tremenda: un giorno mi ha chiuso il pianoforte a chiave perché mi ha trovato a suonare jazz piuttosto che musica classica, non ho suonato per sei mesi.
Crede che oggi esista ancora un effettivo ideale di bellezza? Le nuove generazioni hanno il senso del bello?
Ho paura che sia stato distrutto da questo oggetto infernale che è il telefono. Mi sembra strano che i giovani lo possano avere (il senso del bello ndr). Prima di tutto perché sono ignoranti al bello: magari non sono mai stati in un museo, non hanno mai comprato un libro d’arte… il senso del bello è un gusto che si coltiva negli anni, conoscendo e studiando il passato. A questo si aggiunge la dilagante ipocrisia che ci vorrebbe tutti uguali, ma non è vero: questo non giustifica assolutamente il disprezzo, ma quello della modella è un lavoro particolare e non è per tutte. È come se io avessi la pretesa di andare alle Olimpiadi a correre i 100 metri reclamando il mio diritto di farlo, anche se non sono assolutamente in grado. Ma io non sono ancora del tutto disilluso: sono convinto che la gente possa apprezzare le cose belle, basta che qualcuno gliele mostri.
Secondo lei, i giornali di moda hanno ancora lo stesso peso nel lanciare o consacrare la carriera di una modella o di un fotografo?
I giornali hanno completamente perso tutto il loro peso, ad oggi è a zero. Da quando Anna Wintour ha deciso di vendere Vogue nei supermarket americani, dove una rivista dal nome così importante non era mai stata, ha messo fine a tutto. Poi quelli che lavoravano da Vogue in quegli anni erano dei geni: prendevano una giacca di Chanel, dei jeans strappati (per davvero) e delle scarpe che non c’entravano nulla, creando un’immagine che chiamavano moda. Oggi invece c’è l’ufficio stampa che comanda tutto: dalla spilla alla scarpa, perfino il profumo (perché lo scrivono sempre!). Dov’è finita, allora, la creatività del direttore di una rivista di moda? Io ero amico della grande Anna Piaggi, che era un vero genio: una come lei non potrebbe lavorare oggi, una persona che da due stracci tirava fuori dei capolavori. Adesso invece arriva un pacchetto preconfezionato, dalla scarpa al cappello, con l’indicazione di vestirsi così, ma dov’è allora la moda?
La tecnologia di una macchina fotografica moderna semplifica il lavoro rispetto a 20 o 30 anni fa? Ci vuole meno, adesso, per fare il fotografo?
Non c’è più la macchina fotografica. Oggi ci vuole molto di più per essere un fotografo, proprio perché la macchina si è così evoluta da occuparsi di tutti gli aspetti tecnici. Se uno è davvero bravo, si può concentrare sul significato della fotografia, però in quanti lo fanno? Forse meno di zero… La presenza, poi, di tutte queste signorine che non fanno altro che fotografarsi il lato B e postarlo sui social aumenta la controversia sul tema del nudo, soprattutto nel contesto socioculturale di questi ultimi anni.
Crede che anche i fotografi di oggi siano ipocriti nei loro lavori?
Non li conosco, anche perché è impossibile conoscerli dopo l’estinzione dei giornali. Anche in quell’ambito, ormai tutti possono fare un giornale, basta un computer e un tavolino. Ai tempi lavoravano 80 persone nella redazione di Harper’s Bazaar e ad ogni numero tutti si fiondavano in edicola per scoprire chi fosse la donna del momento, era una finestra su Hollywood. Adesso questo mondo non esiste più.
Lei è stato il pioniere delle foto digitali ma ha sempre amato l’utilizzo della polaroid perché autentica. Possiamo dire che la prima l’ha creata per necessità mentre la seconda è passione?
Mi ha sempre affascinato la tecnologia, mi divertivo a scoprire le innovazioni, forse a causa dei miei studi di architettura e di fisica. La polaroid, però, è l’unica che non mente mai ed è rimasta nel tempo, proprio perché non è manipolabile. Eppure, quando mostro una foto di una bella donna, mi dicono: “Ma questo è Photoshop”…ma dove? Secondo me Photoshop ha danneggiato la fotografia: è un mezzo molto potente e molto utile, ma usato male è una disgrazia. Il 90% delle mie foto non è mai stato ritoccato.
Paradossalmente, i nudi dei grandi fotografi sulle riviste di spicco sono diventati dei tabù, ma allo stesso tempo tutti si spogliano…
Insieme al gruppo di fotografi con cui siamo diventati grandi - che sono tutti amici - abbiamo pubblicato foto che oggi sarebbero impensabili. Se dovessi postare le mie foto su Instagram verrebbero censurate, eppure le ragazze possono farlo: non capisco come funzioni questa dinamica. Secondo me esiste un’ipocrisia galoppante, è ciò che mi disturba di più di questo mondo: forse perché io amo dire le cose come sono, ma siamo rimasti in pochi in mezzo a tutti gli altri che raccontano balle.
Lei ha lavorato con le più celebri top model di sempre: cosa ci può dire di queste modelle, anche dal punto di vista umano?
Per la maggior parte erano davvero ragazze fantastiche, anche perché quello della moda era un mondo molto competitivo, in cui non bastava essere belle, bisognava anche difendersi dagli sgambetti delle altre in passerella. Io le ho sempre trovate delle donne eccezionali, alcune molto sfortunate, tra manager o fidanzati sbagliati. Anche se ci vuole tanta intelligenza e tanta personalità, quando fondi la tua vita sull’essere bella basta svegliarsi un giorno con un brufolino e sei rovinata. Quando finisce tutto, a cinquant’anni, ci si trova di fronte a un bel problema.
Prima ha parlato delle foto che ha scattato ai jazzisti all’inizio della sua carriera. Che cosa cercava invece nelle foto che scattava alle modelle?
La mia è una formazione classica; quindi cercavo prima di tutto lo sguardo, poi le forme. C’è una fontana a Palermo davanti alla quale passavo tutte le mattine per andare a scuola, c’erano un centinaio di statue di nudi bellissime. Quelle immagini mi sono rimaste impresse nella mente da subito, non avrei mai potuto fare una foto sgraziata, mi dà fastidio. Oggi sembra che sia giusto così, ma io non riesco, ho in testa l’armonia delle forme, la matematica della proporzione aurea. In tutte le arti la bellezza ha radici matematiche: la Ferrari è così bella perché è una scultura con le ruote. La bellezza non è soggettiva, esiste di per sé. La frase che odio più di qualsiasi altra cosa è “Non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace”: non è vero, se una cosa è bella lo è in assoluto, come ci sono le cose brutte. All’assunto che “è una questione di gusti” rispondo che è una questione di cattivo gusto. Non è una questione di canoni di bellezza, perché ci sono delle donne, ad esempio, che pesano il doppio di quanto dovrebbero pesare, ma sono bellissime così.
È suo il più famoso e forse iconico ritratto di Giorgio Armani, re della moda italiana. Come si è costruito ed evoluto il vostro rapporto lavorativo ed umano?
Ho fatto tanti ritratti di Giorgio, forse uno è diventato particolarmente famoso, anche se nessuno mi ha mai detto che quel ritratto fosse iconico. Del resto, lui è talmente bello, ancora oggi. Alla fine degli anni Sessanta abbiamo iniziato tutti insieme: io venivo da Palermo, Giorgio da Milano, Versace dalla Calabria e così via, tutti abbiamo iniziato a lavorare per costruire qualcosa a Milano, perché prima il centro di tutto era solo Parigi. Ognuno faceva il suo lavoro, si collaborava e crescendo insieme abbiamo stretto dei legami forti, anche se non tutti sono rimasti nel tempo: non è mai bastato essere soltanto bravi, nemmeno per i migliori. Infatti, le carriere più longeve le hanno avute le coppie di lavoro stabili, formate da un creativo e da un businessman.
Lei crede che esista ancora quella genuina passione nella moda di oggi?
Secondo me, stranamente, la moda è una delle poche discipline che si sta salvando dal casino del mondo contemporaneo: quando assisto alle sfilate di oggi, vedo delle cose molto interessanti. Sarebbe bello vedere questa vitalità anche nella musica, nella pittura o nella fotografia. Del resto la fotografia commerciale è sempre stata legata a doppio filo con la moda.
Se potesse dare un consiglio ai giovani fotografi di oggi, quale sarebbe?
È difficile, non saprei davvero da dove cominciare, perché la fotografia come la conosco io non esiste più. Mi sembra che manchino i mezzi e le destinazioni della fotografia, anche le modelle sembrano essersi trasformate in segretarie, si comportano come tali. Non hanno più lo spirito giusto.