geografia IUAV

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IUAV Venezia -Corso di laurea in architettura: tecniche e culture del progetto Laboratorio d'anno 1 - I Semestre – a.a. 2013-‐ 14 Corso di “Geografie del territorio contemporaneo” Docente: Prof. Franco Farinelli Collaboratrice didattica: Arch. Claudia Faraone

Esercitazione

– Le Motte di Castello di Godego


Le Motte costituiscono la più antica e vasta testimonianza della presenza dell'uomo nel territorio del Comune di Castello di Godego, risalente all'età del bronzo; ancora nei piani comunali degli anni sessanta la presenza di queste ''motte'' veniva segnalata, tuttavia lo stato della cultura urbanistica non consentiva altro che la mera individuazione con disposizioni più vicine alla raccomandazione che al precetto normativo di tutela. Una diversa sensibilità per la storia del territorio e per il complesso dei segni che esso conserva accompagna l'attività conoscitiva svolta dalla Regione del Veneto. La redazione del Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) se n'è avvalsa per ricavare sintesi ed indicazioni progettuali. Il lavoro di ricognizione sulle zone archeologiche vincolate, compiuto d'intesa con la Soprintendenza competente, conclusosi con l' edizione congiunta di un loro repertorio. Le Motte sono uno dei sei ambiti che il PTRC individua come meritevoli di essere costituiti in riserva archeologica regionale. Ciò è dovuto alla straordinaria importanza culturale di una struttura urbanistica e territoriale che documenta la capacità tecnica dei primi colonizzatori della pianura veneta in tema di organizzazione dello spazio insediativo, di misura del tempo e di lettura degli assetti astronomici, cui venivano correlati il ritmo della vita, i cicli produttivi e la stessa topografia territoriale. Ripensando ai diversi scenari storico-paesaggistici si può immaginare che il quadrangolo arginale sia stato innalzato in quella prateria maculata di bosco, ove i Paleoveneti solevano allevare cavalli e poi sia diventato una invariante al mutare dell'assetto agrario che i Romani resero intensivo e centuriato per la cerealicoltura e gli altri usi bucolici e georgici; esso servì forse nei secoli bui da rifugio o da occasione di incastellamento in un contesto peraltro inselvatichito e degradato nel governo delle acque e in quello agrario, per poi ritrovare regola spaziale e poderale attraverso le sistemazioni medioevali, rinascimentali e veneziane.


La proposta di riserva archeologica è un'occasione di recupero e valorizzazione di beni culturali avvertiti come elemento iniziale dell'avventura insediativa. Le caratteristiche del sito e la fragilità del rilevato impongono una progettazione integrale attenta alla protezione e alla conservazione della natura complessa dell'ambiente nelle sue diverse componenti. La morfologia territoriale va colta come sovrapposizione e sequenza di numerosi e successivi paleo-paesaggi agrari, tutti presenti attraverso qualche persistenza o condizionamento operato sulle modificazioni posteriori. Per cui grande parte delle indicazioni di tutela vanno riferite al rapporto manufatto/paesaggio, che ovviamente è mutato nel tempo, pensando di rivalutarne gli elementi e i particolari utili alla comprensione dell'assetto storico con la possibilità di ripercorrere la storia che testimonia l'inizio della civiltà nella nostra terra.

Le Motte precisamente sono situate sul confine tra i comuni di Castello di Godego (Treviso) e San Martino di Lupari (Padova) in prossimità della strada statale che congiunge Cittadella a Castelfranco Veneto. Alcuni studi condotti sul nostro territorio mediante mappe e satelliti hanno consentito di rilevare una serie di allineamenti ed equidistanze che ci fanno ipotizzare l’inglobamento delle motte, sparse nel nostro territorio, in un sistema territoriale più complesso con possibili funzioni del sito come luogo di culto con aspetti astronomici e solari. Le Motte di Castello di Godego sono ubicate in corrispondenza di un aggere (terrapieno difensivo ottenuto con lo scavo di un fossato esterno) di forma quadrangolare con assi interni lunghi 230206 metri (le misure prese da M. Rizzi nel 1879 indicavano 232x240 e un totale di 55.680 mq), alto in media 4 metri e con sezione approssimativamente trapezoidale. L'area interna è lievemente sopraelevata rispetto al livello campagna.


Il lato sud-orientale è stato quasi completamente spianato nel dopoguerra per ricavarne inerti. Nel 1900 il manufatto era ancora essenzialmente completo. Dai disegni dell’epoca è possibile rilevare la presenza, ancora oggi riscontrabile, di tre aperture degli argini del terrapieno. Si può notare inoltre la peculiare struttura del lato sud-orientale, in parte composto da tre rialzi tumuliformi ai lati dell'apertura a S-E, allineati con la direzione dell'argine, quasi a formare una porta. All'interno del vertice orientale appare un rialzo a forma di tumulo, oggi in parte spianato. Da qui potrebbe provenire un pugnaletto ritrovato dopo lo spianamento. È visibile inoltre una fascia interna di terra sopraelevata adiacente ai tre Iati S-0, N-O, N-E. Tale fascia, lievemente inclinata verso il centro dell'area arginata, va gradualmente assottigliandosi nel senso antiorario ed è attualmente in parte gradonata. E' presente anche una striscia esterna agli argini lievemente più bassa del piano campagna che abbraccia tutto il lato S-0 e buona parte dei Iati N-O e S-E. ln tale fascia si osserva l'emersione di materiali ghiaiosi. Probabilmente il terrapieno è stato edificato con materiali presi in parte da questa zona, che forse è stata oggetto di riscavo in epoca romana e tardo antica. Appare inoltre connessa all'aggere una strada rettilinea orientata in direzione N-O che partendo perpendicolarmente al lato nord-occidentale del terrapieno prosegue, sia pure con varie interruzioni, nella campagna per circa due chilometri. Attualmente l'intera area interna e quella esterna prossima al terrapieno sono adibite a coltura cerealicola. Sull'argine cresce una vegetazione spontanea in cui compaiono acacie, aceri e roveri. L'interessante microtoponimo Orto delle Streghe caratterizza una zona a ovest dell'aggere. Esso rientra nell'associazione diffusa tra toponimi e leggende connesse a streghe, diavoli, tesori sepolti e strutture protostoriche.

In passato le Motte si pensava fossero un castrum (accampamento romano), poi ci si rese conto che dovevano essere antecedenti perché i romani avevano centuriato questa zona e l’orientamento della motta non seguiva le linee ortogonali del sistema viario della colonia. Dopo la formulazione di più ipotesi, il ritrovamento di alcuni importanti reperti appartenenti all'età del Bronzo (es. cocci di rozzo impasto, un pugnaletto ecc.) consentì di datare il sito all’epoca protostorica (a partire dalla fine del XIV a.C,) poi abitato, sempre stando ai reperti, fino all’epoca romana. Frutto di interventi successivi, l’aggere sembra risalire al XII secolo. Per le sue dimensioni dovette richiedere un notevole impegno comunitario da parte di uno o più nuclei di popolazione, forse anche di insediamenti vicini. Dopo l'erezione del terrapieno, l'abitato sembra si sia sviluppato principalmente al suo interno. L'aggere presenta fenomeni di degrado che prevedono già a quel tempo interventi di restauro, come la gradonatura del versante interno. Il nuovo insediamento che persiste fino alla prima età del Ferro (fine IX - inizio VIII sec. a.c.) sembra abbia occupato solo l'area interna meglio conservata del sito. Le Motte di Castello di Godego – San Martino di Lupari, nella loro sorprendente singolarità, sono insieme un racconto, una poesia civile e uno spettacolo teatrale che ci comunica l'idea del ''fare delle muse''. Tali dovrebbero diventare anche i nonluoghi della modernità, ricchi di immagini e vuoti di sostanza; bisognerebbe essere capaci di scorgere in essi la presenza di nuove potenzialità, benchè nella loro spontaneità si costituiscono quasi esclusivamente come esaltazione del potere ermetico e dionisiaco del denaro.


occupazione sito

20 10 0 VIII secolo

VII secolo

VI secolo

este III D

epoche

IV periodo ateatino

IV periodo ateatino

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Dal Rinascimento ai giorni nostri (XV-XX sec.) Età romana (I sec. a.C. – II sec. a.C.) Seconda età del ferro (V-IV sec. a.C.)

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Prima età del ferro (IX-VIII sec. a.C.) -> II manutenzione e ristrutturazione a gradoni dell’aggere Età del bronzo finale (XI-X sec. a.C.) -> I manutenzione dell’aggere Età del bronzo recente evoluto (XII sec. a.C.) -> Erezione dell’aggere

Progressivo degrado dell’aggere -> -> frequentazione e sfruttamento del sito a a fini agricoli

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Villaggio fortificato con aggere

Età del bronzo recente (XIII sec. a. C.) -> Villaggio non arginato (I e II fase) Età del bronzo medio (XIV sec. a. C.) -> Frequentazione del sito


Attraverso una consultazione degli abitanti del luogo si è notato che l’aggere è frequentato molto nel periodo primavera-estate mentre si presenta completamente abbandonato nelle altre stagioni. Giovanni: ‘ .. in questi ultimi anni questo luogo è molto cambiato sia attraverso riqualificazioni sia attraverso problematicità celate (persone che approfittano del luogo nascosto per drogarsi o per effettuare sfruttamento alla prostituzione rappresentando negativamente la comunità e declassando il territorio comunale). Le autorità non fanno abbastanza per eliminare situazioni spiacevoli presenti e chi abita qui prima di uscire sta molto attento, però alla fine vivere in piena campagna significa anche questo.. i tempi non sono più quelli di una volta..’ Elisabetta: ‘..questo luogo lo frequento spesso per far jogging e mi piace perché mi porta lontano dalla frenesia cittadina che sono costretta ad affrontare quotidianamente. Questo luogo è stato rinnovato con nuovi sentieri e percorsi ristabiliti secondo la storia che interessa il luogo … sembra un posto sperduto tra la natura tanto che spesso incontro sia comitive di ragazzi che passeggiano, organizzano pic-nic, giocano, .. è bello stare in questo ambiente perché riporta alle origini ma allo stesso tempo alla socializzazione.’ Stefano: ‘..io coltivo la terra posta in questa zona e molto spesso capita, ancor oggi, di ritrovare reperti archeologici mentre effettuo i miei usuali lavori.. per me questa non è una situazione favorevole perché rappresenta un disagio. ..questo luogo mi ricorda costantemente le mie origini e questi continui reperti che affiorano ricostruiscono l’identità del luogo e di chi per primo lo ha colonizzato, sprecarlo sarebbe uno sbaglio.. bisogna saperlo mantenere curandolo ad ogni costo e io tento di far proprio questo ..talvolta anche insegnando l’educazione ai turisti che visitano questo luogo lasciando immondizia sparsa..’

Sito ricco di potenziale agronomico e per questo fonte di insediamento di numerosi gruppi umani che nelle diverse epoche abitarono tale area. Oggi questo luogo tutelato rappresenta una notevole area verde ricca di storia e un ritorno alla valorizzazione del territorio agrario sia grazie alle aziende agricole circostanti sia ai limiti regionali e comunali imposti.


Come l'incanto che è magia, seduzione, mistero scaturisce dal rapporto tra terreno e celeste, visibile e invisibile, e soprattutto dalla consapevolezza ''del carattere non esaustivo di tale rapporto, dalla coscienza dell'incommensurabilità.. e differenza di natura, di statuto ontologico'' tra i due piani; infatti il simbolo allude, non mostra tutto, non esaurisce in sé ciò di cui vuole essere rappresentazione che rimane pertanto il non-detto, il non-visto che affascina ed attrae. Il disincanto corrisponderà all'affermarsi della prospettiva moderna e alla riduzione di un complesso di cose visibili, materiali, unicamente funzionali, non più simboli. La città del disincanto, lo spazio che rappresenta l'intervallo metrico lineare standard all'interno del quale tutte le parti sono equivalenti ha preso il posto del luogo. All'unicità del centro in un luogo de-finito è subentrata la frantumazione in centri residenziali, commerciali, industriali, direzionali, parchi di divertimento, tutti uguali, che tendono ad estendersi senza limite in un territorio che non è più paesaggio ma labirinto di tangenziali e capannoni. Ritornare al luogo, riconoscerlo nella sua specificità attuale e conferirgli nuovo senso, conservando memoria dell'eredità del passato, sembra indispensabile per riuscire a non perdersi nel labirinto e orientarsi nella complessità del presente. Ritornare al luogo con una nuova visione significa perciò fornire, come in questo caso alle Motte, una funzione diversa ad esempio le escursioni che si possono intraprendere tra la natura o ancora le osservazioni astronomiche come gli antichi romani e quant'altro possibile in questo luogo del nostro territorio cosi significativo.




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