License Agreement Made Plain

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Paolo Fausone

License Agreement Made Plain Rischi e comportamenti dei web prosumer

Politecnico di Milano - Scuola del Design C.d.L. Design della Comunicazione , Sezione c2 Paolo Fausone, Mat. 733351 Laurea Triennale Relatore: Paolo Ciuccarelli



INDICE

INDICE

parte 1: la ricerca

parte 1: la ricerca

Introduzione

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Internet Il Web

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Il User Generated Content Il Social Network Il Collaborative Content

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L’Implicit Web Il Mobile Web Il Semantic Web

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Il copyright Il pirata Il mediatecario Il remixer

57 63 69 75

La privacy I conoscenti Il cyberstalker Il Big Brother

81 87 93 99

La filter bubble La net neutrality La responsabilità

105 111 117

La licenza d’uso L’utente Il servizio

123 129 135

parte 2: il sondaggio Chi legge le licenze?

parte 2: il songgio 140

parte 3: il progetto Introduzione: il servizio Pittogrammi: l’organizzazione in argomenti Colori e dimensioni: il sistema di valutazione Interfacce: le tipologie di utenti

parte 3: il progetto 148 149 155 157



parte i: la ricerca


introduzione

Questa prima sezione è il frutto di una ricerca sommaria su ciò che compone la vita di un tipico utente di Internet. Per riuscire a stabilire in maniera comprensiva quali sono i rischi e i comportamenti degli utilizzatori, ho scelto di partire dal presupposto che il lettore conosca poco o nulla di cosa è e cosa rappresenta Internet per la società dei nostri giorni, cercando di capire in maniera globale gli elementi che stanno alla base di questo universo. Ho scelto di trattare questo argomento usando un’analogia con il gioco delle carte dei tarocchi: ogni argomento saliente è rappresentato da una carta, descritto in un capitolo indipendente e serve ad indirizzare una particolare caratteristica della vita sul web.. Usando questa metafora ogni singolo capitolo assume un valore proprio, e può essere letto separatamente dagli altri. La scelta di questo espediente serve inoltre ad esprimere in maniera giocosa come le dinamiche del Web rappresentino per l’utente medio una prospettiva indistinta e imprevedibile, quasi come la lettura del futuro attraverso l’aiuto delle carte.

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illustrazioni di Paolo Fausone e Mattia Fontanella


i - internet

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i - internet.

Per i pochi che non lo sanno, Internet è una rete fisica costituita dall’allacciamento di tante più piccole reti di computer. Attraverso questa intricata rete è possibile, grazie a degli standard di comunicazione, trasmettere informazioni da un nodo all’altro. Il bello è che la strada da percorrere tra il punto di partenza e quello di arrivo è calcolata ogni volta che si rende necessario, quindi ogni nodo della rete è utile, ma nessuno è indispensabile. E con il numero elevato di computer collegati, la rete diventa facilmente flessibile e indistruttibile. Il successo di questa tecnologia consiste nell’aver abbattuto barriere di tempo e spazio come nessun altro mezzo d’informazione aveva fatto prima: l’accesso ai dati che risiedono all’interno della rete è istantaneo, quindi tutti gli utenti percepiscono qualsiasi informazione a portata di mano. Inoltre l’accesso e l’utilizzo di Internet sono presto diventati una commodity, per non dire fondamentalmente gratuiti. In brevissimo tempo la varietà di tipologie di informazioni si è sviluppata a tal punto da poter mettere a disposizione qualsiasi sorta di informazione reperibile in altri media. Non ci stupiamo quindi che lo sviluppo della rete sia stato, e che sia ancora, rapido e sostenuto quanto l’aumento di numero di utenti che accedono ogni giorno. Sempre per i pochi (purtroppo non così pochi) che non lo sanno, Internet e il Web non sono la stessa cosa. Il

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Web infatti non è altro che una struttura virtuale basata su un’insieme di risorse digitali che si presentano ai nostri occhi come pagine web. Per farla breve il Web è una delle molteplici applicazioni in esecuzione su Internet. Altre applicazioni con cui veniamo a contatto ogni giorno sono per esempio l’email e l’instant messaging, il Voice Over IP e le reti peer-to-peer o l’FTP per scaricare file direttamente da un server. Senza dubbio il Web continua a rappresentare la parte più comune e con cui veniamo più facilmente a contatto di Internet, basti pensare a quante volte utilizziamo un browser (il software che ci consente di visualizzare le pagine web) dopo aver acceso i nostri computer. C’è però una nuova sorta di applicazione che ultimamente riscuote un discreto successo, ed è tutto quell’insieme di programmi che vengono utilizzati sui dispositivi mobili: le applicazioni per iPhone e per tablet diventano sempre più importanti senza però coinvolgere il Web. Internet rappresenta per la nostra società l’espressione ultima della cultura dell’informazione, iniziata con la fine dell’era industriale e basata sostanzialmente sulla diffusione di tutti i grandi mezzi d’informazione, come la radio, la stampa o la televisione. Con l’avvento di Internet, tuttavia, il cambiamento ha preso una direzione totalmente innovativa e l’informazione ha assunto un ruolo di profonda importanza nell’economia e nella società. Mentre mezzi come la televisione contribuivano più ad incollare un significato alle cose, spostandosi dal valore intrinseco tipico dell’economia industriale ad un valore aggiunto assegnato ad ogni circostanza, Internet è riuscito a situarsi alla radice dell’informazione, diven-

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tando, nonostante la società non ne abbia ancora preso totalmente atto, il cuore pulsante del sapere del nostro tempo. Internet, a differenza dei suoi colleghi, è indispensabile e non rimpiazzabile con i vecchi sistemi basati sul broadcasting, in quanto ha dato la possibilità a chiunque di trasferire liberamente informazione e libero accesso alla conoscenza. È da Internet che le idee nascono, attraverso Internet che le notizie si diffondono e su Internet che la conoscenza si accumula. Internet è l’elettricità del 21° secolo.

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riferimenti 20thingsilearned.com about.com - Internet 101: Beginners Quick Reference Guide wired.it - Nazioni Unite, “internet diritto fondamentale� onlineschools.org/state-of-the-internet/

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ii - il web

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ii - il web

Il World Wide Web è un particolare sistema di informazioni accessibile attraverso Internet. Se Internet è l’insieme di reti e calcolatori interconnessi, il Web è l’infrastruttura costituita dalle risorse virtuali che risiedono in Rete come pagine web. Il sistema alla base di queste pagine è l’ipertesto. Ognuno di noi sa di cosa stiamo parlando se ha visto almeno una pagina web: ogni pagina è collegata ad altre pagine, a cui il lettore può immediatamente accedere cliccando parole chiave presenti su di essa. All’interno di queste pagine può trovarsi ogni tipo di contenuto, ed è per questo che la parte più visibile di Internet rappresenta per noi il Web nella maggior parte dei casi. Se Internet è la strada, il Web è composto dai mezzi in movimento. Le pagine di un libro, le parole scritte su di esse. Il contenitore, il contenuto. C’è Internet senza Web; non c’è Web senza Internet. Il Web ha permesso dalla sua creazione ed applicazione intorno al 1991, di condividere informazioni a chiunque potesse accedere alla rete con un’estrema facilità, dovuta sia all’aspetto tecnico quanto alla comprensibilità delle interfacce e del linguaggio adottato. Ma quelli che 30 anni fa erano documenti di testo contenenti perlopiù risultati di ricerche scientifiche, sono diventate oggi informazioni dalla natura e dalle funzioni più disparate. Grazie all’insieme di risorse costituite dal Web, oggi leg-

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giamo articoli di attualità o voci enciclopediche, guardiamo le foto di un nostro amico in vacanza o uno sciocco video di un gatto che suona il pianoforte. Ma non è finita qui, perché l’agglomerazione di questi diversi tipi di media ha dato origine ad una miriade di diversi servizi, che sono poi il cuore vero e proprio del Web e la funzione principale di Internet per la nostra società. Nella sua storia relativamente corta il Web ha avuto un’articolatissima evoluzione che lo ha spinto ad assumere forme diverse a seconda delle possibilità date dalla situazione. Il maggior cambiamento è avvenuto quando all’inizio degli anni 2000 è sorta l’opportunità, o forse la necessità, di organizzare i contenuti delle pagine in maniera dinamica: i siti web hanno cominciato a diventare sempre più flessibili ed adattabili all’esperienza dell’utente. La principale conseguenza è stata che mentre prima il Web era principalmente utilizzato in maniera commerciale e unidirezionale, dalle compagnie verso i clienti, ora qualsiasi utente poteva contribuire a fornire contenuti. Questo fenomeno venne chiamato con il termine ancora in voga di Web 2.0, dove chiunque può pubblicare le proprie opinioni e le proprie creazioni, incontrare altre persone e collaborare a progetti che prima non erano immaginabili. Si tratta di fatto della funzione principale svolta dal Web oggigiorno, e che ha ridimensionato il ruolo commerciale che aveva avuto così tanto successo fino allo scoppio della Dot-com bubble. Con l’avvento dell’ipertesto e con questo grosso cambiamento il Web non fatto altro che trasformare il nostro modo di pensare e di interpretare il mondo che ci circonda. Il valore dell’infor-

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mazione e l’uso che ne facciamo non è più lo stesso. La sequenzialità non è più uno standard, anzi, la comunicazione asincrona è diventata il nostro nuovo modello di relazione. È importante rendersi conto che il Web rappresenta il mezzo d’informazione forse più privilegiato della nostra epoca, non solo per l’importanza che ricopre nella nostra vita quotidiana quando lo utilizziamo per svolgere le nostre attività, ma anche quando, non usandolo direttamente applichiamo comportamenti non lineari e interazioni frammentarie e decentralizzate.

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riferimenti guardian.co.uk - Weekend Magazine Web 2.0 Special wired.com - The Web Is Dead. Long Live the Internet D. Tapscott, Grown up digital, McGraw-Hill, 2008 C. Mathwick, C. Wiertz, Social capital production in a virtual p3 community, Journal of Consumer Research, 2008

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iii - il user generated content

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iii - il user generated content

Uno dei più grossi cambiamenti nell’ambito dell’informazione degli ultimi dieci anni è indubbiamente il passaggio dal monopolio dei mass media, con un grosso controllo sulla qualità e il contenuto delle informazioni da parte di pochi professionisti, allo sciame indistinto degli innumerevoli citizen media generati e aggiornati direttamente dagli utenti comuni. I contenuti di natura sia creativa che informativa che risiedono sul Web dipendono ormai quasi completamente da persone comuni con particolari interessi che, per un motivo o per un altro, decidono di farsi broadcaster. Il prodotto di questo fenomeno è conosciuto con il nome di User Generated Content, e come è facile immaginare data la varietà di utenti presenti su Internet, esso consiste nelle più svariate forme di espressione. L’unico comune denominatore è che molti possono dire molto a molte persone, ma come lo facciano è un modello tuttora in piena evoluzione. I primi esempi di questa tendenza sono stati i forum, dove gli utenti possono partecipare a conversazioni asincrone pubblicando messaggi che si aggiungono alla discussione, seguiti poi da siti di recensione e dai portali domanda-risposta, in cui gli utenti si vengono in soccorso l’uno all’altro condividendo i propri interessi e il proprio sapere. Con il passare del tempo, però, gli utenti hanno cominciato non solo a riversare la propria

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conoscenza, ma anche ad esprimere la propria creatività. Sulla stessa onda del web dinamico, sono nate pagine e portali che hanno dato all’utente le risorse per pubblicare contenuti creativi di ogni genere. Stiamo parlando ovviamente del weblog, o blog, su cui le persone possono, come su un diario, aggiornare contenuti con regolarità e avere a disposizione una piattaforma di pubblicazione aperta a tutti. Con questa struttura l’espressione di sé diventa all’ordine del giorno: blog di poesia, blog di opinione e attualità, blog di musica, di cucina, canali video, diari fotografici, tumblelog di immagini, microblog, macroblog, blog di blogs, blog di link sono solo alcune delle varietà possibili di blog. Mettersi a cercare di capire quante forme un blog può assumere può rendersi difficile quanto cercare di individuare il profilo tipo di un utilizzatore del web: è impossibile stabilirlo in quanto cambia forma e colore a seconda di come lo si guarda e a cosa lo si mette in relazione. Ciò che distingue il User Generated Content è poi il rapporto che corre tra la persona che pubblica il contenuto e il fruitore del contenuto stesso. Non solo molto spesso si identificano, ma in più, a differenza dei media tradizionali, la fruizione avviene sempre in maniera asincrona rispetto alla distribuzione, frammentando ulteriormente il pubblico in una miriade di categorie. Mentre con la televisione tutti i contenuti hanno un significato univoco, dal momento che per motivi commerciali devo raggiungere un pubblico specifico, al contrario piattaforme come il blog permettono di ridistribuire i contenuti in ambiti completamente diversi.

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È così che nascono i meme e i fenomeni di Internet: dal momento che i contenuti non sono più vincolati alla modalità di distribuzione, esso diventa contenuto a sé stante, libero di circolare per il web a raccattare i significati più imprevisti e disparati (alzi la mano chi non ha mai visto un gatto buffo o Rick Astley a tradimento). In un ambiente di generazione di contenuti così dinamico, per non dire caotico, dove tutti pubblicano tutto, viene da sé che il concetto di creatività assume un valore completamente diverso. Ma quello che viene trascurato è che anche l’idea di merito e di attribuzione cambiano e di conseguenza il valore e il rispetto del copyright non funzionano come nel mondo fisico. Internet rimane una forma di pubblicazione e distribuzione, eppure gli utenti, rispetto ai professionisti spesso non danno la stessa importanza ai contenuti. O meglio, per metterla in un’altra prospettiva, ne danno un’importanza diversa.

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riferimenti guardian.co.uk - Weekend Magazine Web 2.0 Special guardian.co.uk - A bigger bang ohinternet.com - Meme S. Rosemberg, Say everything, Three rivers press, 2009

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iv - il social network

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iv - il social network Il Social Network rappresenta forse il simbolo più evidente di ciò che il Web è diventato per la società dei nostri giorni: questo tipo di servizi svolge la funzione di interconnettere gli utenti tra di loro attraverso reti di conoscenze all’interno e all’esterno del Web, rivoluzionando profondamente il modo di diffondersi delle informazioni. È stata fondamentalmente la struttura dei social network a riscattare il Web dalla sua funzione puramente commerciale, grazie al fatto che in un periodo brevissimo di tempo moltissime persone hanno cominciato a farne uso e a prendere l’abitudine di comunicare con altre persone attraverso questi canali. Ciò che capita sui Social Network è semplicemente un traffico, solitamente asincrono, di informazioni tra conoscenti, nulla di più. Eppure il potenziale di un’azione così semplice è enorme e si è velocemente espresso in tantissimi modi per tutti gli utenti di Internet. Le interazioni tra utenti consistono perlopiù in scambi di messaggi simili alla posta elettronica e all’instant messaging, costruiti solitamente attorno a comunità di persone dagli interessi simili. Inoltre i siti di social networking non sono solo nuovi canali di comunicazione alternativi ai vecchi mezzi quali i giornali o la televisione, ma hanno anche modificato la qualità e le modalità di produzione di informazione. La tipologia di informazione che viaggia attraverso questi canali ha la sostanziale differenza di essere basata sulle opinioni personali di utenti che sono venuti a con-

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tatto con essa, al contrario di quanto capita con i grandi mezzi di comunicazione di massa, dove poche persone decidono cosa trasmettere per un pubblico estremamente esteso. Alla radice della diffusione delle notizie e delle informazioni c’è un vero è proprio sistema di valutazione democratica, che determina il successo di ogni messaggio. Dal momento che il pubblico viene esponenzialmente frammentato in base ad ogni singolo interesse, vengono persi i vecchi segmenti di mercato basati sugli stereotipi, e vengono invece privilegiate tutte le culture che prima rimanevano nascoste. Si scopre così che ognuno ha interessi particolari lontani dalla cultura mainstream e che nessuno è disposto a rinunciarci, ma al contrario è fiero di farne sfoggio su tutti i canali a sua disposizione. Viene ad instaurarsi il nuovo paradigma di “share is the new create”, dove l’utente riceve riconoscimento e merito non per qualcosa che ha generato lui stesso, ma piuttosto per aver espresso un’idea attraverso qualcosa di già esistente. La condivisione di contenuti sta in effetti alla base del Web per come lo conosciamo e sta sempre più influenzando la direzione che la cultura del nostro tempo sta intraprendendo. Non solo il concetto di merito, così com’è concepito nelle leggi sul copyright, sta cambiando, ma l’economia stessa, per esempio, si sta sempre più adattando a queste nuove necessità dei consumatori. Nasce così il social media marketing, che parte dal presupposto di coinvolgere l’utente nei processi produttivi e di identità del brand, dove la percezione di ciò che la marca rappresenta diventa più importante del prodotto stesso. Il marke-

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ting assume un’importanza sempre meno trascurabile, nonostante ci si stia spostando lontano dal vecchio concetto di persuasione maliziosa del consumatore. Un altro considerevole fenomeno è l’influenza dei social media sul clima politico ed ideologico della società globale degli ultimi anni: ne sono esempi eccellenti la campagna elettorale di Barack Obama per la presidenza degli Stati Uniti, dove Internet ha giocato un ruolo fondamentale, e le recenti rivoluzioni del Maghreb, in cui Twitter e Facebook sono stati i principali mezzi di diffusione dell’informazione.

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riferimenti flowtown.com - Social Media Demographics A. Kaplan, M. Haenlein, Users of the world, unite!, Business Horizons, 2010 S. Rosemberg, Say everything, Three rivers press, 2009 D. Tapscott, A. Williams, Wikinomics, Portfolio, 2006

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v - il collaborative content

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v - il collaborative content.

Tra i molti esperimenti nati con l’avvento del Web 2.0, uno di quelli che ebbero più successo è stato quello di costruire un’enorme enciclopedia in una maniera del tutto nuova: sfruttando la conoscenza collettiva di milioni di esperti amatori, semi-esperti o anche semplici persone che ritengono di sapere qualcosa. Quest’enciclopedia è disponibile a chiunque ed è creata quotidianamente non da esperti e redattori a pagamento, ma da chiunque si senta di scrivere qualcosa. Essa è basata su una struttura software che permette a chiunque abbia accesso ad Internet di modificare, cancellare o aggiungere a ciò che è già online. Stiamo ovviamente parlando di Wikipedia. Il concetto alla base di questo servizio è, se ci si sofferma, quanto meno controverso: si tratta in effetti di un meccanismo che non ci aspetteremmo mai alla base di un’enciclopedia. Sin dalle origini infatti tutte le forme di conoscenza sono state redatte dagli studiosi e dagli eruditi, autorizzati dal loro prestigio a farlo. Storicamente diamo credito a ciò che ci ha tramandato Plinio il Vecchio proprio perchè è Plinio il vecchio, e non un passante qualunque. Wikipedia al contrario ha instaurato un modello basato sulla collettività: invece di avere uno studioso molto, molto sapiente o un gruppo ristretto di letterati, si permette di trasmettere conoscenza a decine di migliaia

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di persone di tutti i tipi, che vanno dagli effettivi esperti agli interessati di passaggio. Tutto questo viene reso possibile da una grande cerchia di curatori volontari che adottano voci enciclopediche e si prendono cura della loro evoluzione. In questa prospettiva 50 000 volontari di Wikipedia equivalgono ad un Plinio il Vecchio. Completamente indipendente dalla necessità di autorevolezza dell’informazione, Wikipedia si regge proprio sui principi di decentralizzazione ed autoorganizzazione: meccanismi tipici della mentalità opensource. Se poi si pensa alla combinazione tra l’infrastruttura wiki e la quantità di mani pronte ad aiutare, si ottiene un’enciclopedia che si corregge da sè, quasi come se fosse viva. Ai suoi inizi, quest’idea sembrava assurda. Nel lasso di 4 anni si è rivelata la più grande encyclopedia esistente, con più di 2 milioni di articoli solo per la lingua inglese (la Britannica ne contiene appena 120 000) e 5,3 milioni tenendo conto di tutte le lingue, tra cui curdo ed esperanto. Ogni articolo porta con sè il bottone Modifica, disponibile per chiunque. Ognuno di noi è un’esperto in qualcosa, e la bellezza di Wikipedia sta appunto nel dare la possibilità a tutti di contribuire: nessun argomento è troppo ristretto per non avere un articolo a riguardo. Ed è esattamente l’opposto di qualsiasi altra enciclopedia cartacea: se non trovi la voce di cui hai bisogno o la voce non è abbastanza approfondita, non c’è molto da fare a parte lamentarsi mandando una lettera agli editori, a cui probabilmente non si riceverà alcuna risposta. Con questi sistemi di collaborazione, al contrario, puoi contribuire tu stesso a migliorare o creare una voce, dando

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luogo ad un passaggio dalla passiva incapacità all’attiva partecipazione. Il modello di Wikipedia è senz’altro il più conosciuto proprio perchè per la sua semplicità riesce a toccare un numero incredibile di utenti, che siano direttamente interessati a collaborare o no. Ma le stesse dinamiche intervengono in moltissime altre occasioni sul Web, basandosi sull’immensa potenzialità di poter mettere in contatto utenti da tutto il mondo per produrre qualcosa che non sarebbe altrimenti possibile. Un altro famoso esempio è il caso del movimento Open Source, dove programmatori dagli interessi e dalle capacità più disparate si dedicano gratuitamente e volontariamente alla programmazione e correzione di errori per lo sviluppo di software di ultima generazione. Grazie a questi fenomeni si prende atto delle capacità del popolo di Internet per cui, come cita anche la legge di Linus, una sorta di motto per il movimento, con un numero sufficiente di occhi, qualsiasi bug diventa insignificante.

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riferimenti aaronsw.com - Who writes Wikipedia? D. Tapscott, A. Williams, Wikinomics, Portfolio, 2006 C. Anderson, The Long Tail: Why the Future of Business is Selling Less of More, Hyperion, 2008

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vi - l’implicit web

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vi - l’implicit web

Alla luce di tutti cambiamenti che si sono avvicendati sul Web, viene spontaneo chiedersi quali saranno le nuove direzioni intraprese da questa tecnologia. Ovviamente non è possibile sapere con precisione quale forma prenderà Internet nel suo futuro prossimo, proprio come si sono già rivelate inattese e sorprendenti tutte le innovazioni online al loro tempo. Ci sono però alcune tendenze che ci fanno prevedere una sorta di Web 3.0, soprattutto per il fatto che molti comportamenti degli utenti sono già diventati normali, nonostante non siano ancora riconosciuti come tali. Una di queste tendenze, che è tra l’altro la principale forma di sostentamento di tutti i grandi servizi online come Google o Facebook, è la loro propensione a raccogliere dati degli utenti ed organizzarli per crearne un profilo più o meno dettagliato. Questo profilo è sostanzialmente creato a partire dagli interessi specifici di ogni utente, definiti attraverso ogni azione seguita, registrata ed utilizzata per restituire valore e nuove informazioni all’utente. Questo fenomeno prende il nome di Implicit Web, dal momento che tutti questi movimenti di informazioni avvengono in maniera automatica senza che l’utente se ne possa rendere conto. L’implicit web è reso possibile dai click. Ogni volta che noi clicchiamo qualcosa, votiamo. Quando spendia-

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mo il nostro tempo su una pagina, votiamo. E quando copiamo ed incolliamo, votiamo ancora un po’. I nostri gesti e le nostre azioni rivelano ciò che vogliamo e come reagiamo. Nonostante per un algoritmo sia impossibile stabilire con certezza assoluta le nostre intenzioni, ci sono molti software che sono diventati parecchio bravi ad indovinarle. L’esempio che ha avuto più successo è probabilmente il caso di Last.fm: il motivo principale del suo successo è che, essendo completamente automatico, permette di inserire e memorizzare le canzoni che sono state ascoltate sul proprio database senza alcuna azione specifica da parte dell’ascoltatore. Basandosi su queste informazioni facilmente raccolte, il sito fornisce all’utente suggerimenti per altre canzoni ed altri artisti. È fondamentale che l’utente non debba fare nulla: ciò che accade è semplicemente conseguenza del normale comportamento della persona che usufruisce del servizio, in questo caso ascoltando la propria musica. Altri casi meno evidenti, e quindi, appunto, impliciti, sono quelli di Amazon e Google. Nel caso di Amazon, il sito sfrutta i movimenti dell’utente sulla piattaforma per creare, attraverso complessi algoritmi di calcolo, dei suggerimenti di acquisto, suddivisi in vari livelli. È per questo che è considerato come uno dei leader per lo shopping online, in particolare grazie ai suggerimenti automatici: il sito sfrutta i comportamenti dei vari utenti per tessere e dedurre informazioni che aiutano a creare relazioni tra i vari oggetti in vendita. Per quanto riguarda Google, invece, le informazioni vengono raccolte durante la navigazione attraverso i

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risultati delle ricerche online per migliorare l’eperienza dell’utente; queste informazioni vengono anche utilizzate per personalizzare le pubblicità presenti sulle pagine web che utilizzano AdSense. Il risultato del tener traccia di tutti questi movimenti si realizza nell’ottimizzazione delle azioni dell’utente e di un aumento della sua soddisfazione. Le due azioni fondamentali sul Web si distinguono in cercare ed esplorare: chi cerca sa cosa vuole, mentre chi esplora è alla ricerca di qualcosa di non ben definito. Con la sovrabbondanza di scelta di prodotti è sempre più difficile sapere cosa si vuole, e si tende a dare più importanza alle azioni esplorative. Aiutare a trovare ciò che si vuole è la chiave del mercato online, permettendo un’esperienza personalizzate che aiuta a scoprire cose nuove adattate ai propri interessi.

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riferimenti alexiskold.wordpress.com - Last.Fm, Amazon, Google, Attention Trust edge.com - Better than free impl.emented.com - The Semantic, Implicit, Mobile or Distributed Web? C. Anderson, The Long Tail: Why the Future of Business is Selling Less of More, Hyperion, 2008

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vii - il mobile web

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vii - il mobile web

Un’altra delle componenti del potenziale Web 3.0 è lo spostamento graduale dall’utilizzo di Internet standard, che avviene attraverso l’interfaccia dei personal computer, ad un utilizzo che si affaccia attraverso nuovi dispositivi, quali smartphone smartphone, palmari e tablet. Siccome la funzione di Internet è cambiata grazie al miglioramento della velocità di trasmissione e all’innovativa dinamicità delle tecnologie, la fruizione di contenuti avviene attraverso nuove piattaforme e nuove modalità. Tutti i nuovi servizi presenti online, per esempio, mettono a disposizione un API (application programming interface)) che permette a delle applicazioni diverse dal browser di fare uso delle informazioni presenti su Internet. Così facendo, azioni che prima erano profondamente legate ad avere un computer, e quindi a particoalri momenti della giornata, diventano parte integrante della vita quotidiana degli utilizzatori. L’accesso alle informazioni diventa plastico, e viaggia attraverso diversi servizi che adattano e riadattano i dati che transitano per essi. Il traffico di dati generato da Twitter, per esempio, transita per più del 75% attraverso API e non sul sito ufficiale della piattaforma. Questo vuol dire che tutto ciò che passa al di fuori dei siti ufficiali è amalgamato in forme e aggregati del tutto diversi. E la capacità dei nuovi dispositivi di cambiare il ruolo dei dati non si ferma certo qui. Basti pensare all’insieme dei Location Based Services,

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che fondano la loro importanza sulla possibilità di legare informazioni ed azioni a luoghi fisici, e a partire da essi creare social networks, trovare persone vicine, informarsi su eventi e trasporti e mille altre possibili applicazioni. Quello che permette questo spostamento fuori dalla solita interfaccia del computer è che le persone hanno sempre meno bisogno di compiere azioni offline e di utilizzare applicazioni desktop, poiché é diventato possibile svolgere i compiti più semplici con l’aiuto di tanti piccoli servizi web. Poichè connettersi a Internet è sempre più facile e sempre meno costoso, ricorrere a soluzioni offline sembra obsoleto. Un’altra delle componenti del potenziale Web 3.0 è lo spostamento graduale dall’utilizzo di Internet standard, che avviene attraverso l’interfaccia dei personal computer, ad un utilizzo che si affaccia attraverso nuovi dispositivi, quali smartphone,, palmari e tablet. Siccome la funzione di Internet è cambiata grazie al miglioramento della velocità di trasmissione e all’innovativa dinamicità delle tecnologie, la fruizione di contenuti avviene attraverso nuove piattaforme e nuove modalità. Tutti i nuovi servizi presenti online, per esempio, mettono a disposizione un API ((application programming interface interface)) che permette a delle applicazioni diverse dal browser di fare uso delle informazioni presenti su Internet. Così facendo, azioni che prima erano profondamente legate ad avere un computer, e quindi a particoalri momenti della giornata, diventano parte integrante della vita quotidiana degli utilizzatori. L’accesso alle informazioni diventa plastico, e viaggia attra-

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verso diversi servizi che adattano e riadattano i dati che transitano per essi. Il traffico di dati generato da Twitter, per esempio, transita per più del 75% attraverso API e non sul sito ufficiale della piattaforma. Questo vuol dire che tutto ciò che passa al di fuori dei siti ufficiali è amalgamato in forme e aggregati del tutto diversi. E la capacità dei nuovi dispositivi di cambiare il ruolo dei dati non si ferma certo qui. Services Basti pensare all’insieme dei Location Based Services, che fondano la loro importanza sulla possibilità di legare informazioni ed azioni a luoghi fisici, e a partire da essi creare social networks, trovare persone vicine, informarsi su eventi e trasporti e mille altre possibili applicazioni. Quello che permette questo spostamento fuori dalla solita interfaccia del computer è che le persone hanno sempre meno bisogno di compiere azioni offline e di utilizzare applicazioni desktop, poiché é diventato possibile svolgere i compiti più semplici con l’aiuto di tanti piccoli servizi web. Poichè connettersi a Internet è sempre più facile e sempre meno costoso, ricorrere a soluzioni offline sembra obsoleto.

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riferimenti impl.emented.com - The Semantic, Implicit, Mobile or Distributed Web? wired.com - The Web Is Dead. Long Live the Internet knowledge.wpcarey.asu.edu - Cloud Computing: The Evolution of Software-as-a-Service streamingmedia.com - What is Streaming? nytimes.com - Would You Miss Windows With a Google Operating System? research.utoronto.ca - How does the iPad affect society?

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viii - il semantic web

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viii - il semantic web

Il semantic web è senz’altro la definizione standard per quanto riguarda il prossimo grande passo di Internet: un web in grado di attribuire significato ai contenuti presenti in linea senza l’aiuto di un umano. Fino ad ora il contenuto delle pagine web è sempre e solo stato trasmesso da una persona all’altra senza essere interpretato dalle macchine che ce ne mostravano il contenuto. Con il passare del tempo invece su affaccia all’orizzonte la possibilità di far effettivamente capire ai computer il contenuto delle pagine online. Le relazioni semantiche tra concetti e entità di un dato dominio possono essere descritte con l’aiuto di diverse logiche, basate su lingue e dizionari, dette ontologie che sono già state sviluppate e sono già in uso in alcuni servizi online. La grande sfida per gli attori del web semantico consiste quindi nel passare da un sistema che veicola dati ad un sistema che veicola intelligenza. Fino ad ora le forme di intelligenza si erano limitate alla cosiddetta folksonomy, uno dei tanti frutti del Web 2.0: i contenuti venivano classificati con tag e keyword dagli utenti di modo che chiunque ci si potesse riconoscere. Il semantic web è senz’altro la definizione standard per quanto riguarda il prossimo grande passo di Internet: un web in grado di attribuire significato ai contenuti presenti in linea senza l’aiuto di un umano. Fino ad ora il contenuto delle pagine web è sempre e solo stato trasmesso da una persona all’altra senza essere interpretato dalle macchine che ce ne mostravano il contenuto.

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Con il passare del tempo invece su affaccia all’orizzonte la possibilità di far effettivamente capire ai computer il contenuto delle pagine online. Le relazioni semantiche tra concetti e entità di un dato dominio possono essere descritte con l’aiuto di diverse logiche, basate su lingue e dizionari, dette ontologie che sono già state sviluppate e sono già in uso in alcuni servizi online. La grande sfida per gli attori del web semantico consiste quindi nel passare da un sistema che veicola dati ad un sistema che veicola intelligenza. Fino ad ora le forme di intelligenza si erano limitate alla cosiddetta folksonomy, uno dei tanti frutti del Web 2.0: i contenuti venivano classificati con tag e keyword dagli utenti di modo che chiunque ci si potesse riconoscere. Con il passare del tempo invece su affaccia all’orizzonte la possibilità di far effettivamente capire ai computer il contenuto delle pagine online. Le relazioni semantiche tra concetti e entità di un dato dominio possono essere descritte con l’aiuto di diverse logiche, basate su lingue e dizionari, dette ontologie che sono già state sviluppate e sono già in uso in alcuni servizi online. La grande sfida per gli attori del web semantico consiste quindi nel passare da un sistema che veicola dati ad un sistema che veicola intelligenza. Fino ad ora le forme di intelligenza si erano limitate alla cosiddetta folksonomy, uno dei tanti frutti del Web 2.0: i contenuti venivano classificati con tag e keyword dagli utenti di modo che chiunque ci si potesse riconoscere. Con il passare del tempo invece su affaccia all’orizzonte la possibilità di far effettivamente capire ai computer il contenuto delle pagine online. Le relazioni semantiche tra concetti

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e entità di un dato dominio possono essere descritte con l’aiuto di diverse logiche, basate su lingue e dizionari, dette ontologie che sono già state sviluppate e sono già in uso in alcuni servizi online. La grande sfida per gli attori del web semantico consiste quindi nel passare da un sistema che veicola dati ad un sistema che veicola intelligenza. Fino ad ora le forme di intelligenza si erano limitate alla cosiddetta folksonomy, uno dei tanti frutti del Web 2.0: i contenuti venivano classificati con tag e keyword dagli utenti di modo che chiunque ci si potesse riconoscere.

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riferimenti impl.emented.com - The Semantic, Implicit, Mobile or Distributed Web? J-L Lequeux, DĂŠployer un projet Web 2.0, Eyrolles, 2008

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ix - il copyright

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ix - il copyright

Quando creiamo qualcosa, che sia una foto, un racconto, una canzone, noi possediamo il copyright, abbiamo cioè un diritto esclusivo su quel lavoro in quanto autori. Controlliamo chi altri può utilizzare il nostro lavoro e in quale modo. Per esempio, si può dare il permesso a qualcuno di stampare una foto o adattare la una canzone ad un musical. Sostanzialmente, in nessun caso è permesso fare uso dei contenuti creati dall’autore senza il suo permesso. Invece di stabilire queste modalità con accordi verbali, è possibile distribuire il contenuto, la cosiddetta proprietà intellettuale, con una licenza che stabilisce le linee guida per il suo utilizzo. Una licenza viene spesso in aiuto alla protezione della proprietà intellettuale, soprattutto perché di fatto le leggi sul copyright sono spinose e complicate. Non è sempre facile infatti stabilire cosa costituisce reato e cosa no. Per esempio esiste un’eccezione ai diritti d’autore che permette di utilizzare un contenuto anche senza permesso, nel caso costituisca un utilizzo “leale”: si tratta di quelle situazioni che costituiscono “fair use” e non necessitano di particolare interesse da parte dell’autore. I contenuti che ricadono nel “pubblico dominio” invece non hanno un detentore di copyright, per cui è possibile utilizzarli, modificarli e ridistribuirli a piacimento. In linea di massima un lavoro entra a far parte

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del pubblico dominio solo dopo la morte dell’autore o se l’autore dichiara di voler rinunciare al copyright sul suo lavoro. In nessun caso il contenuto ricade nel pubblico dominio senza l’espressa volontà dell’autore, il che implica che qualsiasi lavoro è, per definizione, protetto da copyright. Questo rende la situazione difficile quando, per esempio nell’ambito del web, non è possibile utilizzare nulla a priori senza il permesso del detentore dei diritti. Ciò che evidentemente capita è che essendo troppo difficile tener traccia ad ogni momento di chi esercita diritti sul contenuto, si tende ad ignorarli completamente. Questa tendenza non rappresenta un problema nella maggior parte dei casi perché gli autori stessi dei contenuti non sono strettamente interessati ad esercitare particolari diritti sui contenuti generati, al contrario di ciò che farebbe un professionista. Di qui sorge il grosso problema di un comportamento molto diffuso ma sostanzialmente sbagliato di non considerare i diritti d’autore per confusione tra ciò che è protetto e ciò che, anche se protetto, non desta nessuna complicazione. La grande transizione da pochi creatori professionisti a molti creatori amatoriali generata dall’avvento del web ha buttato nel caos le poche cose certe rispetto alla proprietà intellettuale e ci si trova a violare i diritti di altre persone senza neanche rendersene conto. Ciò non significa necessariamente che il fenomeno di proliferazione e di reinterpretazione di contenuti che sta avendo luogo sul Web sia sbagliato, ma piuttosto mette in luce quanto le nostre norme riguardo alla proprietà intellettuale

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stridano con la realtà dei fatti. Due sono i grandi problemi e attori della scena del copyright contemporanea: coloro che esercitano i diritti prepotentemente e coloro che violano i diritti prepotentemente. Non c’è stato finora alcun accordo tra le due fazioni e ci troviamo ora a un passo dal poter esprimere tutte le potenzialità di una società creativa senza poterne godere. Da un lato la pirateria, l’accanimento contro i distributori di media, i sotterfugi informatici per poter imbrogliare chi ha il controllo, eterna satira e critica attraverso materiali preesistenti. Dall’altro gli autori, o meglio, quelli che fanno le loro veci, che si impongono anacronisticamente ad un fenomeno che non è solo largamente diffuso, ma è sostanzialmente considerato dall’opinione pubblica come un fatto normale. Chi vincerà la guerra del copyright sul web? Non è buffo che nessuno si sia ancora accorto che non è una battaglia, ma una trattativa diplomatica? Non ci resta che aspettare l’armistizio più adeguato.

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riferimenti L. Lessig, Free culture, The Penguin Press, 2004 mc-s-is, Copyright and human rights, Council of Europe, 2009 L. Lessig, Laws that choke creativity, TED, 2007

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x - il pirata

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x - il pirata

Con l’ascesa di popolarità di Internet e delle sue innovative caratteristiche, uno dei fenomeni che si è più velocemente diffuso è quello della pirateria, della distribuzione e dell’utilizzo, cioè, di materiali protetti da copyright in maniera illegale, violando i diritti dei legittimi distributori e aggirando i costi legati ai normali canali di distribuzione, fonte del profitto degli artisti e degli editori. Grazie alle tecnologie digitali, infatti, i costi della distribuzione dei contenuti si sono resi irrisori, mettendo in un certo senso in discussione il ruolo dei distributori nel contesto dell’intrattenimento. Questo fenomeno è stato ovviamente profondamente attaccato dall’industria dei contenuti, non solo facendo pressione sulla legislatura, ma cercando con i propri canali di comunicazione di paragonare la pirateria al furto di proprietà fisica. Sebbene la violazione dei diritti d’autore rappresenti un crimine, non si può però equipararla al furto: la pirateria infatti non sottrae nessun tipo di bene, neanche la proprietà intellettuale, ma ne fa una copia, non privando quindi il produttore del frutto del suo lavoro. Ciò di cui la pirateria priva invece è l’atto dell’acquisto del diritto di fruizione, che non consiste comunque nel sottrarre un bene, che sia tangibile o no. Indubbiamente è a causa della pirateria che l’industria ha subito un forte calo dei profitti, ma questo non implica necessariamente che abbia provocato una crisi

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del mercato: essa infatti non ha ridotto il numero dei consumatori ma, al contrario, l’ha aumentato rendendo consumatori coloro che in precedenza non sarebbero stati interessati. Quello che è capitato al mercato non è quindi una crisi, ma piuttosto un grande cambiamento nella concezione e nelle modalità di fruizione dei contenuti. Se ne conclude che la più probabile e la più sensata soluzione alla pirateria è incoraggiare con incentivi un comportamento corretto, e non punirla con inapplicabili sanzioni. Cercare di applicare vecchie soluzioni a nuovi problemi per il terrore di vedere precipitare i propri profitti non ha portato da nessuna parte. Troppi bastoni, troppe poche carote. E abbiamo visto che i bastoni non funzionano ad arginare un fenomeno così dilagante, che evidentemente non può essere fermato. Espedienti brillanti come l’iTunes Store, DVD dai contenuti speciali, siti di streaming come Last.fm o Spotify hanno non solo dimostrato di funzionare, ma anche di rafforzare il legame tra il fruitore e l’autore, con lo spontaneo desiderio di volere compensare l’artista per il suo merito. Il metodo del solo bastone al contrario pone accento sui distributori anziché sugli autori, contribuendo alla già presente diffidenza nei confronti della grande industria dei contenuti con cui ogni pirata si scusa. Uno dei motivi per cui questo problema si è presentato all’improvviso è che mentre prima dell’era digitale il rapporto domanda/offerta di rispetto del copyright era bilanciato, ora la disponibilità e il consumo di media è esploso, ma l’industria produttrice non ha avuto il tempo di adattarsi. Invece di evolversi in quanto fornitrice

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di media, trovando una soluzione alla enorme domanda di contenuti, si è rattrappita cercando di limitare ciò a cui i consumatori non hanno intenzione di rinunciare. La tensione tra i guerrieri (i protettori di contenuti) e i pirati (i consumatori abusivi di contenuti) impedisce poi la naturale tendenza degli utenti del web a diventare ‘prosumer’, contemporaneamente produttori e consumatori di contenuti. Finché la proprietà intellettuale è vista solo come un prodotto di consumo, non ci si può aspettare che i comportamenti di creazione, connessione e collaborazione degli utenti abitudinari del web si estenda alla società intera. Certo, non si può giustificare il fenomeno della pirateria, ma non bisogna neanche sottovalutarlo assimilandolo ad un reato molto diffuso, quando esso rende criminali consapevoli la maggior parte della popolazione. In questa situazione l’aspra punizione della pirateria non fa che danneggiare la nostra attuale cultura, che grazie al Web è sempre più basata sulla generazione di contenuti creativi.

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riferimenti piratpartiet.se - Pirate Party Declaration of Principles mybroadband.co.za - Greed drives online piracy lowendmac.com - Copyright Bullies May Win Some Battles but Must Lose Their War C. Gubitosa, Elogio della pirateria, Altreconomia, 2005 H. Jenkins, Convergence culture: where old and new media collide, New York University Press, 2006

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xi - il mediatecario

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xi - il mediatecario

Il principale scopo della conoscenza, intesa come l’insieme di informazioni che compongono il sapere umano, è darci gli strumenti per capire perché siamo come siamo, interpretare la nostra cultura e renderci conto di ciò che compone la nostra storia, evitando errori già commessi. Una delle espressioni più evidenti della nostra conoscenza sono ovviamente tutti gli artefatti creativi generati nel corso dei secoli, e viene da sé che più si ha accesso a questi artefatti, più si avrà consapevolezza e comprensione della cultura che li ha generati. Come ben sappiamo durante il XX° e XXI° secolo c’è stata un’esplosione di tipologie di artefatti culturali, che hanno contribuito ad una proliferazione di espressioni del sapere: giornali, canzoni, siti web, immagini, software, fotografie, film e cortometraggi, animazioni interattive hanno messo radice nella nostra società con l’avvento dell’era digitale. La verità però è che l’accesso alla maggior parte di queste espressioni, con l’avvento del copyright, si è reso complicato ed inevitabilmente legato all’aspetto commerciale degli artefatti. A causa dello status quo delle leggi, la protezione della proprietà intellettuale si è estesa oltre il necessario, incastrando i contenuti in un’area compresa tra lo sfruttamento economico e il dominio pubblico, dove praticamente nessuno può approfittarne. Al momento la conoscenza che riguarda l’era dell’in-

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formazione, così prospera di contenuti, è clandestina e soggiogata dalle società che amministrano la produzione nei media, lasciando disponibile solo ciò che è già ricaduto nel pubblico dominio. Il problema è che un’opera perde il suo valore commerciale molto prima che finisca nel pubblico dominio, anzi, alcune opere, benché difese con il copyright, non acquisiscono mai un valore commerciale. Perché questo è un problema? Perché un’opera senza valore commerciale ma protetta da copyright non sarà accessibile a nessuno se non ai detentori della proprietà intellettuale, andando persa prima che nessuno possa cercare di difenderla. Grazie alle nuove tecnologie digitali i costi di stoccaggio e di accesso di qualsiasi risorsa culturale sono diventati nulli. Questo implica che si potrebbe costruire la nuova biblioteca di Alessandria al servizio dell’umanità con una facilità inaudita. Qualsiasi tipo di contenuti potrebbe essere messo a disposizione di chiunque, permettendo una disseminazione della conoscenza mai permessa prima. Non c’è dubbio sul fatto che la cultura di ogni epoca è generata dalle culture precedenti e da quanto fossero accessibili alle persone di quella società. Quello che viene da chiedersi, alla luce dei limiti imposti dall’esasperazione della proprietà intellettuale, è come la prossima generazione formerà la nuova cultura a partire da ciò che si trova intorno: ad oggi più un contenuto ha valore commerciale, più esso è accessibile. Costruire un archivio dell’enorme conoscenza prodotta nel corso degli ultimi decenni implicherebbe liberarsi dalle dinamiche industriali che hanno influenzato il mondo della cultura tanto quanto quello dell’econo-

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mia. Lo sfruttamento economico della cultura, che non ha di per sé nulla di sbagliato, ha portato purtroppo alla trasformazione del pubblico in un’insieme omogeneo, dalla domanda di contenuti spesso scurrili, banali ed indifferenziati. Questo, certo, non vuol dire che la società si sia trasformata in un ammasso di persone stupide dagli interessi ottusi, ma piuttosto che il tentativo di gestire la cultura solo a comuni denominatori non può portare molto lontano. Le persone tendono ad essere molto simili nei loro interessi volgari, ma estremamente differenziate nei loro interessi nobili ed estetici. L’accesso incondizionato alla nostra cultura determinerebbe un cambiamento di direzione che prima di Internet non si poteva nemmeno immaginare: esso potrebbe dare finalmente la possibilità di riscattarsi dall’appiattimento della cultura tipico dell’era della televisione.

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riferimenti E. Von Hippel, Democratizing innovation, The MIT Press, 2005 L. Lessig, Free culture, The Penguin Press, 2004

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xii - il remixer

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xii - il remixer

Se la creazione di Internet ha reso tutti gli utenti distributori mettendoli in contatto con qualsiasi nodo dall’altra parte del pianeta, l’invenzione del Personal Computer aveva già ancor prima reso qualsiasi utilizzatore un creatore ed un produttore di contenuti. La possibilità di elaborare media grazie all’aiuto di mezzi digitali ha, infatti, dato la scintilla all’elaborazione di dati di qualsiasi genere, in forme e possibilità mai immaginate prima. Non solo i costi si erano ridotti drasticamente, ma le condizioni per diventare un professionista non erano mai state così favorevoli. Eppure, nonostante tutte queste potenzialità, i consumatori sono rimasti tali ancora per qualche tempo. Era necessaria una rivoluzione culturale, non una rivoluzione tecnologica: la separazione tra chi crea e chi fruisce era ancora troppo grande per grossi cambiamenti. Questa rivoluzione si è poi verificata con l’avvento del Web, in particolare del Web 2.0, quando la massa critica di utenti è andata oltre il consumo per prendere posto nella produzione. All’improvviso una quantità incredibile di informazioni si trovava alla portata di tutti pronta per essere condivisa nelle forme più disparate. Un tale ben di Dio di contenuti non poteva che portare a dove ci troviamo oggi, dove il linguaggio principale passa attraverso la reinterpretazione di messaggi già esistenti, l’attribuzione di significati sempre nuovi a simboli già

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riconosciuti. Se ci pensiamo bene, non è poi così strano: qualsiasi forma di creatività deriva dalle esperienze che l’hanno preceduta, dalle varie ispirazioni incrociate sulla strada. D’altronde, nulla ha significato se non quello che gli viene attributo dai significati che gli stanno intorno. E cos’è l’ispirazione se non una forma di emulazione e di reinterpretazione di significati che fanno parte dell’immaginario collettivo? Nonostante questo fenomeno, a cui molti danno il nome di “cultura del remi”, ci appaia così insolito, si basa in fondo su ciò che più è naturale nella formazione della cultura. Non è forse copiando che impariamo, fin da bambini? Purtroppo ci troviamo in una fase della nostra cultura dove ciò che ha un valore assodato assume una importanza tale da impedire di creare cose nuove a partire da vecchi significati. Si tende a pensare che il merito di un’opera di remix stia solo nella bravura di chi ha creato gli elementi che lo compongono, e che una ricombinazione di contenuti non aggiunga nulla ad un’opera già esistente. Eppure non è vero, perché l’insieme sempre, e non solo spesso, è più della somma degli elementi che lo compongono; le relazioni tra gli elementi posso sconvolgere un significato, invertendolo o creandone uno completamente nuovo. Questo è un linguaggio espressivo che ha trovato la sua piena manifestazione nella società dell’informazione fiorita sul Web. Una delle soluzioni più riuscite a questa situazione di tensione tra il nuovo e il vecchio, che si percepisce perlopiù nel contrasto tra il comportamento degli utenti e le leggi che lo regolano, è la nascita delle varie licenze

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copyleft, che si basano in generale su una più libera possibilità di distribuzione e modifica di proprietà intellettuali. Sono molti i movimenti paralleli a questo fenomeno, come il Free Software, l’Open Source o in particolare i Creative Commons. Ciò che questi movimenti spingono, al contrario del testardo mercato dei media, è una nuova maniera di concepire i contenuti creativi, dando il giusto peso al merito dell’autore e alle possibilità del consumatore. Consumatore che, ormai non è più un semplice fruitore di contenuti, ma sempre un potenziale autore, un potenziale remixer.

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riferimenti C. Anderson, The Long Tail: Why the Future of Business is Selling Less of More, Hyperion, 2008 L. Lessig, Free culture, The Penguin Press, 2004 M. Mason, The pirate’s dilemma, Free Press, 2008

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xiii - la privacy

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xiii - la privacy

C’è una sostanziale differenza tra la privacy comunemente intesa al di fuori del Web e la privacy corrente online. Questa differenza nasce dal fatto che il principale fattore di attrazione degli attuali servizi web si basa proprio sulla diffusione volontaria da parte degli utenti di informazioni personali al maggior numero di persone. Di conseguenza, mentre nel mondo fisico la privacy è solitamente legata a alla protezione della sfera quotidiana personale, la privacy su Internet consiste invece nel controllo della direzione delle informazioni, che sono comunque presenti online. Il concetto di privacy online non corrisponde quindi all’impedire l’accesso ad informazioni personali, quanto all’essere al corrente in dettaglio di chi, come e quando ne ha accesso. Questo ovviamente non vuol dire che la privacy offline e la privacy online siano due principi distinti, ma piuttosto prendere atto del fatto che l’atteggiamento degli utenti riguardo alle informazioni personali su Internet segue dinamiche molto diverse. Ciò che è sempre fondamentalmente vero per la privacy è che consiste nel diritto a “nascondere” fatti su di sé e decidere solo dopo aver esercitato questo diritto se svelarli a qualcuno oppure no. Questo paradossalmente, sembrerebbe andare nella direzione opposta di tutti gli altri diritti fondamentali: ci si arroga infatti la possibilità di impedire agli altri di conoscere una determinata

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informazione, che può potenzialmente nascondere un atto criminoso o moralmente riprovevole. Viene da sé che il primo scopo percepito della privacy è infatti tutelarci dal far sapere agli altri ciò che facciamo di sbagliato, ma questo non spiega perché dovrebbe essere un diritto fondamentale. La privacy infatti non si basa sul presupposto di coprire i misfatti personali per difendere una reputazione, ma sul fatto che la natura delle nostre relazioni interpersonali sia principalmente composta da ciò che sappiamo degli altri. Ogni volta che ci relazioniamo con qualcuno, infatti, scegliamo quale parte di noi mostrare, quale insieme di informazioni che ci riguardano vogliamo rivelare. Questo non dipende né dal voler nascondere ciò che è sbagliato in noi, né nel nascondere in sé e per sé: è semplicemente ovvio che non è possibile trasmettere tutto ciò che ci riguarda in maniera completa. Riuscire a controllare quali informazioni ogni persona che conosciamo possiede ci permette di scolpire l’immagine di noi che trasmettiamo all’esterno. Non è un fatto deplorevole o ipocrita, ma conseguenza del fatto che ogni diverso tipo di relazione è costituito da un diverso insieme di informazioni condivise. È come se avessimo una diversa maschera per ogni persona che conosciamo: Pirandello stesso ci insegna che non c’è un’altra persona che si nasconde dietro la maschera, perché la personalità sta nella maschera stessa. Il controllo delle nostre informazioni e quindi della nostra immagine determina sul web la nostra identità, tant’è che la maggior parte dei servizi online ci riconosce non attraverso la nostra email o il nostro username, ma

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attraverso le nostre preferenze e le nostre caratteristiche che ci distinguono da altri utenti. Queste informazioni possono rivelarsi utili ai siti, ma anche agli utilizzatori stessi, per cui la cessione di dati non coincide necessariamente con una violazione della privacy, proprio perché l’azione principale che avviene sul Web è proprio lo scambio di informazioni. La questione della privacy online si articola quindi su più livelli del solito: da un lato il rapporto tra ciò che si vuole far sapere e ciò che si vuole tacere, dall’altro la differenza tra l’accesso alle informazioni da parte di programmi automatici e l’accesso di persone fisiche.

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riferimenti schneier.com - The value of privacy web2fordev.net - The flip side of Web 2.0: Privacy J. Rachels, Why privacy is important, Princeton University Press, 1975 R. Wacks, Privacy: a very short introduction, Oxford University Press, 2010

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xiv - i conoscenti

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xiv - i conoscenti

Uno degli aspetti della privacy online che probabilmente interessa il maggior numero di utenti è quello che riguarda le persone che conosciamo, che si tratti della mamma, del fidanzato o del datore di lavoro. La nostra identità su Internet infatti è spesso frammentata attraverso siti e piattaforme che non riflettono necessariamente le relazioni interpersonali fuori dal Web. L’esempio più evidente è il social network: su di esso sono rappresentate talmente tante persone che spesso dimentichiamo come dirigere i nostri messaggi senza che vengano interpretati nella maniera sbagliata. La preoccupazione è sovente diretta a nascondere cose che certi conoscenti non devono vedere o sapere. Questo problema nasce dal fatto che molto spesso gli utenti, a differenza di quanto capita nella vita quotidiana, non si preoccupano di controllare il proprio modo di apparire online. Di norma ogni azione ha un valore attribuito e si fa molta attenzione a chi ne viene a contatto. Siamo tutti molto selettivi nel comunicare informazioni alle persone con cui interagiamo nella nostra vita quotidiana e ogni comunicazione rappresenta un saggio giudizio di quali informazioni vogliamo o non vogliamo dare all’interlocutore. Purtroppo questo non avviene sempre sul Web. È molto importante invece avere presente dove finisce l’informazione che si sta condividendo online in

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ogni momento e in ogni azione intrapresa, anche perché ogni comunicazione su Internet tende a rimanere memorizzata in forma scritta o visiva da qualche parte, dove le persone che conosciamo posso facilmente andare a recuperare. All’inizio dell’era del Web 2.0 questo ha rappresentato un problema non indifferente, proprio perché le strutture utilizzate dagli utenti non fornivano strumenti adatti alla tutela della privacy. Dal momento che questo problema è venuto a galla velocemente, tutti i principali servizi Web si stanno adattando ed oggi qualsiasi utente ha a disposizione tutto ciò di cui ha bisogno per controllare le proprie informazioni e l’accesso ad esse che i suoi conoscenti possono avere. Di conseguenza la questione della privacy rispetto ai conoscenti si sta spostando sempre di più dall’incompetenza dei siti web all’incapacità generale degli utenti di preoccuparsi della gestione delle proprie informazioni. Se c’è da incolpare i siti per il rapporto tra la privacy di un utente e i suoi conoscenti, non è certo per non dare agli utilizzatori i giusti strumenti per calibrare e controllare il fluire delle loro informazioni personali. Cosa può essere interessante notare è forse come il graduale raggiungimento di massa critica di utenti abbia spinto la società online a cambiare la propria attitudine nei confronti della privacy. Se prima tutto ciò che costituiva informazione riservata veniva nascosto gelosamente, ora gli utenti tendono a considerarla come un bene da sfruttare, e che con un certo sacrificio si ottengono altri benefici. Essere presenti ed attivi online è diventato sempre più importante e il tendere a difendere troppo

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le proprie informazioni può rivelarsi uno svantaggio. È per questo, per esempio, che servizi basati sulla geolocalizzazione (LBS) hanno riscosso un tale successo: non solo gli utenti hanno la possibilità di dire a tutti ciò che fanno e dove lo fanno, ma lo desiderano apertamente e ne fanno sfoggio. Ciò che capita quindi sul Web è un continuo tira e molla tra la ricerca di difendere la propria privacy dai propri conoscenti e il desiderio del “broadcast yourself ”, in cui gli utenti mettono in mostra la propria identità.

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riferimenti cnn.com - Privacy is dead, and social media hold smoking gun pcworld.com - Your boss is watching IBM, Ponemon Institute, Security, privacy and Web 2.0, 2007

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xv - il cyberstalker

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xv - il cyberstalker

Un altro ambito della privacy che interessa la vita dell’utente del web è sicuramente tutto ciò che riguarda i personaggi più o meno esperti dalle intenzioni di tipo criminale. Solitamente questo tipo di persone violano la privacy perché è appunto nel loro interesse raccogliere il maggior numero di informazioni riservate, che sia per molestare l’interessato o per sfruttare i suoi dati. In realtà il concetto di privacy sfocia nella sicurezza online in quanto si tratta a tutti gli effetti di crimini online. Al contrario delle altre problematiche riguardanti la privacy, i servizi online lottano esplicitamente contro questo tipo di inconveniente che non fa altro che nuocere ai consumatori impedendo la normale fruizione del servizio. In questo caso viene però comunque intaccata la sfera personale degli utenti e il problema è quindi assimilabile alle altre problematiche legate alla privacy, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei dati da parte dei siti e l’atteggiamento degli utenti nella tutela delle loro informazioni. Uno dei fenomeno che ha subito una crescita grazie all’adozione massiccia dei social network è stato quello del cyberstalking, di quel comportamento maniacale in cui una persona cerca in tutti i modi di raccogliere informazioni e di perseguitare l’interessato in tutti i canali che trova a sua disposizione. L’utente si ritrova oggetto di messaggi indesiderati o di manipolazioni di

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informazione per nuocere alla sua reputazione. In effetti gli scopi e le dinamiche del cyberstalking sono del tutto simili allo stalking offline, con la semplice differenza che le azioni avvengono attraverso la Rete. A seconda che lo stalker voglia tessere una relazione o vendicarsi di un torto subito, esso sfrutterà i mezzi e le informazioni a disposizione per alterare dati o addirittura rubare l’identità virtuale del soggetto, sommergerà l’utente di messaggi di posta elettronica o su piattaforme di instant messaging. Per quanto possa sembrare esagerato, l’ascesa di popolarità dei social network ha reso l’utente medio molto più interessato ad osservare particolari comportamenti in altre persone, in maniera che sarebbe sicuramente stata definita morbosa prima dell’avvento di questo tipo di servizi. L’ossessione del voler sapere chi ha fatto cosa si è velocemente sparsa per il web, in particolare tra le generazioni più giovani, che propendono così a ritenere un comportamento di controllo ossessivo tendenzialmente normale. Con l’avvento del Web 2.0 siamo tutti un po’ più ficcanaso e un po’ più stalker, dal momento che c’era qualcuno a legittimare gli utenti ad esserlo. D’altro canto esistono figure del Web dalle conoscenze estese e dagli interessi specifici che si approfittano dei bassi livelli di protezione degli utenti per raccogliere e sfruttare informazioni e dati, i cosiddetti cracker. A differenza dei cyberstalker, i cracker non hanno nessun rapporto con l’utente: mentre uno stalker è ossessionato nel cercare tutte le foto del suo beniamino ed essere aggiornato sui suoi ultimi movimenti, l’unico interesse del cracker è riuscire ad accedere al conto in banca della

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vittima. Uno dei metodi più utilizzati è il phishing, che consiste nell’imbrogliare l’utente inducendolo ad inserire i propri dati in siti che crede attendibili, dal momento che hanno lo stesso aspetto delle pagine a cui è abituato. Esistono poi ogni sorta di virus e malware che vengono utilizzati per sfilare all’utente in modo criminoso informazioni preziose. I rischi legati a queste problematiche che l’utente corre sul Web dipendono in fondo dal livello di cautela e di consapevolezza che egli mette in gioco. Una minima esperienza di vita sul Web esclude insidie così gravi, che sono per lo più dovute ad azioni ingenue e legate all’essere al corrente e ad una corretta applicazione di buon senso.

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riferimenti A. Adam, Gender, ethics and Information Technology, Palgrave Macmillan, 2005 H. Bigdoli, The Internet Encyclopedia (vol. 2), John Wiley & Sons, 2004 P. Bocij, The dark side of the Internet: protecting yourself and your family from online criminals, Praeger, 2006

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xvi - il big brother

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xvi - il big brother

Ciò che definisce in dettaglio l’identità dell’utente online è sicuramente l’insieme di dati che egli semina sul Web al suo passaggio sui diversi siti. Questo complesso di informazioni, per quanto possa a priori apparire confuso e disordinato, è al contrario ricco di significato in ogni diversa situazione sul Web: ogni utente ha effettivamente la sua unicità nel navigare il web e l’insieme dei suoi interessi agisce da filtro per definire ciò che egli riterrà importante o trascurabile. È per questo che moltissimi siti offrono la possibilità di memorizzare e personalizzare i contenuti utilizzati dall’utente. Questa nuova dinamica su cui i siti più innovativi si basano è profondamente legata al concetto di “attention economy”, in cui, essendo l’informazione presente in abbondanza, l’attenzione del consumatore diventa un bene fondamentale a cui nessun sito può rinunciare per la propria sopravvivenza. I servizi online tendono poi a creare relazioni tra le informazioni in loro possesso, per poter essere in grado di suggerire nuovi contenuti all’utente e personalizzare l’esperienza aumentando i livelli di soddisfazione. Si concatenano così eventi di scoperta di nuovi prodotti al consumo di contenuti simili a quelli già conosciuti e le potenzialità di personalizzazione e frammentazione del pubblico diventano incalcolabili. A questo punto il mercato non è più direzionato a definire dei target specifici e ad adattare i consumatori

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ad un gruppo definito, ma al contrario tutti possono scegliere liberamente ciò che più è apprezzato. Se i contenuti serviti agli utenti possono essere personalizzati, perché usare la stessa strategia con i modelli di business che sostengono i siti? Perché non adattare la personalizzazione per la pubblicità? È questo uno dei principali motivi del successo di Google e di Google AdSense, che permette di visualizzare pubblicità personalizzate sulla pagina che l’utente sta visitando. È vero che siti come questo sfruttano le informazioni in loro possesso per mirare agli utenti come potenziali consumatori, ma fino a che punto lo si può considerare un comportamento scorretto? Di fatto la violazione della privacy è messa in atto in maniera automatica e le conseguenze sono lontane dall’essere negative. Anziché essere oggetto di una massa indistinta di pubblicità, ci ritroviamo oggetto di messaggi che potrebbero effettivamente interessarci. Il marketing si rende molto più efficace, ma certamente non più disonesto di quanto non lo fosse già stato da anni. E come afferma uno dei comandamenti del Web più affermati e confermati, su Internet massimo profitto coincide con onestà. Cosa fa invece più preoccupare è l’accesso e il controllo di tutte le informazioni sensibili da parte dei governi e degli enti istituzionali. In linea di massima essi giustificano l’accesso a questi dati dicendo: “se non hai fatto nulla di sbagliato, non hai nulla da nascondere”. Il problema è che ciò che è sbagliato è definito dal governo stesso e la definizione cambia costantemente, non necessariamente seguendo il concetto di giusto e sbagliato che vige online. La privacy mantenuta sulle nostre

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informazioni ci garantisce di non venire perseguiti per crimini di cui non siamo neppure autori consapevoli. Quello che capita con le istituzioni inoltre è che, a differenza di società con fini commerciali che custodiscono gelosamente e rispettosamente i dati in loro possesso, non c’è nessuna garanzia che le nostre informazioni vengano usate propriamente. Il rischio di persecuzione e di diffamazione è molto più alto se ovviamente l’ente che lo mette in atto è governativo e non commerciale, e si potrebbe instaurare un sistema del tutto simile al famigerato 1984 di Orwell, dove i cittadini sono controllati in tutto ciò che fanno. Un’altra differenza tra le società commerciali e il governo è che in un caso i consumatori agiscono da controllo costante contro ogni tipo di abuso, mentre nell’altro nessuno ha la possibilità diretta di controllare i “controllatori”. Queste sono le due facce del Big Brother odierno: un rapporto di simbiosi commerciale e un rapporto di ambigua difesa dei nostri diritti.

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riferimenti faroo.com - Attention economy, the implicit web and myware projects.eff.org - A Declaration of the Independence of Cyberspace by John Perry Barlow scientificamerican.com - Don’t worry about who’s watching sindark.com - Government and secrecy S. Garfinkel, Database nation, O’Reilly & Associates, 2000

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xvii - la filter bubble

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xvii - la filter bubble

Da quando l’attention economy ha cominciato a plasmare i comportamenti dei grandi servizi online, uno strano fenomeno perlopiù involontario ha cominciato a concatenarsi: i siti diventano sempre più bravi a suggerirci ciò che ci piace. Sanno ciò che non conosco ma che mi piacerebbe scoprire, sanno quali sono i miei vecchi gusti, e sopra ogni cosa, sanno escludere ciò che non vogliamo vedere. Il fatto è che non si tratta solo di un genere musicale sgradito, ma di un vero e proprio filtro applicato a tutte le informazioni che ci pervengono. A forza di cercare ciò che ci piace, gli algoritmi di ricerca online ci escludono sempre di più dalle prospettive a noi estranee. Questo fenomeno ha preso il nome di filter bubble, quell’insieme di filtri, cioè che si sommano l’uno all’altro chiudendoci in una bolla assolutamente invisibile costituita dai nostri interessi. Cosa succede se non veniamo a contatto con opinioni diverse dalle nostre? Che succede se tendiamo ad incontrarci solo con persone simili a noi, senza neanche rendercene conto? Ciò che capita sui Social Network è semplicemente un traffico, solitamente asincrono, di informazioni tra conoscenti, nulla di più. Eppure il potenziale di un’azione così semplice è enorme e si è velocemente espresso in tantissimi modi per tutti gli utenti di Internet. Le interazioni tra utenti consistono perlopiù in scambi di

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messaggi simili alla posta elettronica e all’instant messaging, costruiti solitamente attorno a comunità di persone dagli interessi simili. Inoltre i siti di social networking non sono solo nuovi canali di comunicazione alternativi ai vecchi mezzi quali i giornali o la televisione, ma hanno anche modificato la qualità e le modalità di produzione di informazione. La tipologia di informazione che viaggia attraverso questi canali ha la sostanziale differenza di essere basata sulle opinioni personali di utenti che sono venuti a contatto con essa, al contrario di quanto capita con i grandi mezzi di comunicazione di massa, dove poche persone decidono cosa trasmettere per un pubblico estremamente esteso. Alla radice della diffusione delle notizie e delle informazioni c’è un vero è proprio sistema di valutazione democratica, che determina il successo di ogni messaggio. Ciò che capita sui Social Network è semplicemente un traffico, solitamente asincrono, di informazioni tra conoscenti, nulla di più. Eppure il potenziale di un’azione così semplice è enorme e si è velocemente espresso in tantissimi modi per tutti gli utenti di Internet. Le interazioni tra utenti consistono perlopiù in scambi di messaggi simili alla posta elettronica e all’instant messaging, costruiti solitamente attorno a comunità di persone dagli interessi simili. Inoltre i siti di social networking non sono solo nuovi canali di comunicazione alternativi ai vecchi mezzi quali i giornali o la televisione, ma hanno anche modificato la qualità e le modalità di produzione di informazione. La tipologia di informazione che viaggia attraverso questi canali ha la sostanziale differenza di essere basata

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sulle opinioni personali di utenti che sono venuti a contatto con essa, al contrario di quanto capita con i grandi mezzi di comunicazione di massa, dove poche persone decidono cosa trasmettere per un pubblico estremamente esteso. Alla radice della diffusione delle notizie e delle informazioni c’è un vero è proprio sistema di valutazione democratica, che determina il successo di ogni messaggio.

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riferimenti blogs.hbr.org - Seven things human editors do that algorithms don’t (yet) E. Pariser, The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You, Penguin Press, 2011

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xviii - la net neutrality

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xviii - la net neutrality

La net neutrality è uno dei principi più prossimi alla concezione di Internet come diritto fondamentale: essa consiste nell’impedire qualsiasi restirizione da parte dei provider o del Governo per l’accesso alle risorse online. Questo ovviamente implica pro e contro sia per gli utilizzatori che per i fornitori: quello che capiterebbe infatti se la net neutrality venisse applicata indistintamente, sarebbe che i provider non potrebbero privilegiare determinati flussi di traffico dati rispetto ad altri, come ad esempio limitare la trasmissione video per privilegiare le pagine web semplici. Ma il problema è ben più fondamentale di così: basti pensare alla situazione politica cinese, dove la livertà di espressione è limitata proprio attraverso l’impedire il raggiungimento della net neutrality. Quello che capita con le istituzioni inoltre è che, a differenza di società con fini commerciali che custodiscono gelosamente e rispettosamente i dati in loro possesso, non c’è nessuna garanzia che le nostre informazioni vengano usate propriamente. Il rischio di persecuzione e di diffamazione è molto più alto se ovviamente l’ente che lo mette in atto è governativo e non commerciale, e si potrebbe instaurare un sistema del tutto simile al famigerato 1984 di Orwell, dove i cittadini sono controllati in tutto ciò che fanno. Un’altra differenza tra le società commerciali e il governo è che in un caso i consumatori

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agiscono da controllo costante contro ogni tipo di abuso, mentre nell’altro nessuno ha la possibilità diretta di controllare i “controllatori”. La net neutrality è uno dei principi più prossimi alla concezione di Internet come diritto fondamentale: essa consiste nell’impedire qualsiasi restirizione da parte dei provider o del Governo per l’accesso alle risorse online. Questo ovviamente implica pro e contro sia per gli utilizzatori che per i fornitori: quello che capiterebbe infatti se la net neutrality venisse applicata indistintamente, sarebbe che i provider non potrebbero privilegiare determinati flussi di traffico dati rispetto ad altri, come ad esempio limitare la trasmissione video per privilegiare le pagine web semplici. Ma il problema è ben più fondamentale di così: basti pensare alla situazione politica cinese, dove la livertà di espressione è limitata proprio attraverso l’impedire il raggiungimento della net neutrality. Quello che capita con le istituzioni inoltre è che, a differenza di società con fini commerciali che custodiscono gelosamente e rispettosamente i dati in loro possesso, non c’è nessuna garanzia che le nostre informazioni vengano usate propriamente. Il rischio di persecuzione e di diffamazione è molto più alto se ovviamente l’ente che lo mette in atto è governativo e non commerciale, e si potrebbe instaurare un sistema del tutto simile al famigerato 1984 di Orwell, dove i cittadini sono controllati in tutto ciò che fanno. Se i contenuti serviti agli utenti possono essere personalizzati, perché usare la stessa strategia con i modelli di business che sostengono i siti? Perché non adatta-

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re la personalizzazione per la pubblicità? È questo uno dei principali motivi del successo di Google e di Google AdSense, che permette di visualizzare pubblicità personalizzate sulla pagina che l’utente sta visitando. È vero che siti come questo sfruttano le informazioni in loro possesso per mirare agli utenti come potenziali consumatori, ma fino a che punto lo si può considerare un comportamento scorretto? Di fatto la violazione della privacy è messa in atto in maniera automatica e le conseguenze sono lontane dall’essere negative.

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riferimenti savetheinternet.com - Frequently Asked Questions submit-link.org - How does Net neutrality affect you? rsf.org - Blocking of Twitter, YouTube, Flickr and Blogger deprives Chinese of Web 2.0

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xix - la responsabilitĂ

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xix - la responsabilità

Quello che intendiamo con “responsabilità” all’interno del discorso sul Web si riferisce soprattutto alla tendenza spontanea di simbiosi tra gli utenti e i maggiori siti web. In effetti non pensandoci piano piano gli utilizzatori massivi di servizi online sviluppano una dipendenza pratica dagli strumenti a disposizione, senza porsi la domanda di come sarebbe se all’improvviso un servizio sparisse. Si tratta in fondo del monopolio esercitato da poche compagnie innovatrici che sono riuscite a cambiare profondamente le abitudini degli utilizzatori. Il Web ha permesso dalla sua creazione ed applicazione intorno al 1991, di condividere informazioni a chiunque potesse accedere alla rete con un’estrema facilità, dovuta sia all’aspetto tecnico quanto alla comprensibilità delle interfacce e del linguaggio adottato. Ma quelli che 30 anni fa erano documenti di testo contenenti perlopiù risultati di ricerche scientifiche, sono diventate oggi informazioni dalla natura e dalle funzioni più disparate. Grazie all’insieme di risorse costituite dal Web, oggi leggiamo articoli di attualità o voci enciclopediche, guardiamo le foto di un nostro amico in vacanza o uno sciocco video di un gatto che suona il pianoforte. Ma non è finita qui, perché l’agglomerazione di questi diversi tipi di media ha dato origine ad una miriade di diversi servizi, che sono poi il cuore vero e proprio del Web e la funzione principale di Internet per la nostra società.

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Nella sua storia relativamente corta il Web ha avuto un’articolatissima evoluzione che lo ha spinto ad assumere forme diverse a seconda delle possibilità date dalla situazione. Il maggior cambiamento è avvenuto quando all’inizio degli anni 2000 è sorta l’opportunità, o forse la necessità, di organizzare i contenuti delle pagine in maniera dinamica: i siti web hanno cominciato a diventare sempre più flessibili ed adattabili all’esperienza dell’utente. La principale conseguenza è stata che mentre prima il Web era principalmente utilizzato in maniera commerciale e unidirezionale, dalle compagnie verso i clienti, ora qualsiasi utente poteva contribuire a fornire contenuti. Questo fenomeno venne chiamato con il termine ancora in voga di Web 2.0, dove chiunque può pubblicare le proprie opinioni e le proprie creazioni, incontrare altre persone e collaborare a progetti che prima non erano immaginabili. Per quanto possa sembrare esagerato, l’ascesa di popolarità dei social network ha reso l’utente medio molto più interessato ad osservare particolari comportamenti in altre persone, in maniera che sarebbe sicuramente stata definita morbosa prima dell’avvento di questo tipo di servizi. L’ossessione del voler sapere chi ha fatto cosa si è velocemente sparsa per il web, in particolare tra le generazioni più giovani, che propendono così a ritenere un comportamento di controllo ossessivo tendenzialmente normale. Con l’avvento del Web 2.0 siamo tutti un po’ più ficcanaso e un po’ più stalker, dal momento che c’era qualcuno a legittimare gli utenti ad esserlo. Questo problema nasce dal fatto che molto spesso gli utenti, a differenza di quanto capita nella vita quotidia-

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na, non si preoccupano di controllare il proprio modo di apparire online. Di norma ogni azione ha un valore attribuito e si fa molta attenzione a chi ne viene a contatto. Siamo tutti molto selettivi nel comunicare informazioni alle persone con cui interagiamo nella nostra vita quotidiana e ogni comunicazione rappresenta un saggio giudizio di quali informazioni vogliamo o non vogliamo dare all’interlocutore. Purtroppo questo non avviene sempre sul Web. Ăˆ molto importante invece avere presente dove finisce l’informazione che si sta condividendo online in ogni momento e in ogni azione intrapresa, anche perchĂŠ ogni comunicazione su Internet tende a rimanere memorizzata in forma scritta o visiva da qualche parte, dove le persone che conosciamo posso facilmente andare a recuperare.

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l’utente

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l’utente

Uno dei più grossi cambiamenti nell’ambito dell’informazione degli ultimi dieci anni è indubbiamente il passaggio dal monopolio dei mass media, con un grosso controllo sulla qualità e il contenuto delle informazioni da parte di pochi professionisti, allo sciame indistinto degli innumerevoli citizen media generati e aggiornati direttamente dagli utenti comuni. I contenuti di natura sia creativa che informativa che risiedono sul Web dipendono ormai quasi completamente da persone comuni con particolari interessi che, per un motivo o per un altro, decidono di farsi broadcaster. Il prodotto di questo fenomeno è conosciuto con il Content, e come è facile immanome di User Generated Content ginare data la varietà di utenti presenti su Internet, esso consiste nelle più svariate forme di espressione. L’unico comune denominatore è che molti possono dire molto a molte persone, ma come lo facciano è un modello tuttora in piena evoluzione. I primi esempi di questa tendenza sono stati i forum, dove gli utenti possono partecipare a conversazioni asincrone pubblicando messaggi che si aggiungono alla discussione, seguiti poi da siti di recensione e dai portali domanda-risposta, in cui gli utenti si vengono in soccorso l’uno all’altro condividendo i propri interessi e il proprio sapere. Con il passare del tempo, però, gli utenti hanno cominciato non solo a riversare la propria

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conoscenza, ma anche ad esprimere la propria creatività. Sulla stessa onda del web dinamico, sono nate pagine e portali che hanno dato all’utente le risorse per pubblicare contenuti creativi di ogni genere. Stiamo parlando ovviamente del weblog, o blog, su cui le persone possono, come su un diario, aggiornare contenuti con regolarità e avere a disposizione una piattaforma di pubblicazione aperta a tutti. Con questa struttura l’espressione di sé diventa all’ordine del giorno: blog di poesia, blog di opinione e attualità, blog di musica, di cucina, canali video, diari fotografici, tumblelog di immagini, microblog, macroblog, blog di blogs, blog di link sono solo alcune delle varietà possibili di blog. Mettersi a cercare di capire quante forme un blog può assumere può rendersi difficile quanto cercare di individuare il profilo tipo di un utilizzatore del web: è impossibile stabilirlo in quanto cambia forma e colore a seconda di come lo si guarda e a cosa lo si mette in relazione. Ciò che distingue il User Generated Content è poi il rapporto che corre tra la persona che pubblica il contenuto e il fruitore del contenuto stesso. Non solo molto spesso si identificano, ma in più, a differenza dei media tradizionali, la fruizione avviene sempre in maniera asincrona rispetto alla distribuzione, frammentando ulteriormente il pubblico in una miriade di categorie. Mentre con la televisione tutti i contenuti hanno un significato univoco, dal momento che per motivi commerciali devo raggiungere un pubblico specifico, al contrario piattaforme come il blog permettono di ridistribuire i contenuti in ambiti completamente diversi.

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È così che nascono i meme e i fenomeni di Internet: dal momento che i contenuti non sono più vincolati alla modalità di distribuzione, esso diventa contenuto a sé stante, libero di circolare per il web a raccattare i significati più imprevisti e disparati (alzi la mano chi non ha mai visto un gatto buffo o Rick Astley a tradimento). In un ambiente di generazione di contenuti così dinamico, per non dire caotico, dove tutti pubblicano tutto, viene da sé che il concetto di creatività assume un valore completamente diverso. Ma quello che viene trascurato è che anche l’idea di merito e di attribuzione cambiano e di conseguenza il valore e il rispetto del copyright non funzionano come nel mondo fisico. Internet rimane una forma di pubblicazione e distribuzione, eppure gli utenti, rispetto ai professionisti spesso non danno la stessa importanza ai contenuti. O meglio, per metterla in un’altra prospettiva, ne danno un’importanza diversa.

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xx - la licenza d’uso

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xx - la licenza d’uso

Se la creazione di Internet ha reso tutti gli utenti distributori mettendoli in contatto con qualsiasi nodo dall’altra parte del pianeta, l’invenzione del Personal Computer aveva già ancor prima reso qualsiasi utilizzatore un creatore ed un produttore di contenuti. La possibilità di elaborare media grazie all’aiuto di mezzi digitali ha, infatti, dato la scintilla all’elaborazione di dati di qualsiasi genere, in forme e possibilità mai immaginate prima. Non solo i costi si erano ridotti drasticamente, ma le condizioni per diventare un professionista non erano mai state così favorevoli. Eppure, nonostante tutte queste potenzialità, i consumatori sono rimasti tali ancora per qualche tempo. Era necessaria una rivoluzione culturale, non una rivoluzione tecnologica: la separazione tra chi crea e chi fruisce era ancora troppo grande per grossi cambiamenti. Questa rivoluzione si è poi verificata con l’avvento del Web, in particolare del Web 2.0, quando la massa critica di utenti è andata oltre il consumo per prendere posto nella produzione. All’improvviso una quantità incredibile di informazioni si trovava alla portata di tutti pronta per essere condivisa nelle forme più disparate. Un tale ben di Dio di contenuti non poteva che portare a dove ci troviamo oggi, dove il linguaggio principale passa attraverso la reinterpretazione di messaggi già esistenti, l’attribuzione di significati sempre nuovi a simboli già

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riconosciuti. Se ci pensiamo bene, non è poi così strano: qualsiasi forma di creatività deriva dalle esperienze che l’hanno preceduta, dalle varie ispirazioni incrociate sulla strada. D’altronde, nulla ha significato se non quello che gli viene attributo dai significati che gli stanno intorno. E cos’è l’ispirazione se non una forma di emulazione e di reinterpretazione di significati che fanno parte dell’immaginario collettivo? Nonostante questo fenomeno, a cui molti danno il nome di “cultura del remi”, ci appaia così insolito, si basa in fondo su ciò che più è naturale nella formazione della cultura. Non è forse copiando che impariamo, fin da bambini? Purtroppo ci troviamo in una fase della nostra cultura dove ciò che ha un valore assodato assume una importanza tale da impedire di creare cose nuove a partire da vecchi significati. Si tende a pensare che il merito di un’opera di remix stia solo nella bravura di chi ha creato gli elementi che lo compongono, e che una ricombinazione di contenuti non aggiunga nulla ad un’opera già esistente. Eppure non è vero, perché l’insieme sempre, e non solo spesso, è più della somma degli elementi che lo compongono; le relazioni tra gli elementi posso sconvolgere un significato, invertendolo o creandone uno completamente nuovo. Questo è un linguaggio espressivo che ha trovato la sua piena manifestazione nella società dell’informazione fiorita sul Web. Una delle soluzioni più riuscite a questa situazione di tensione tra il nuovo e il vecchio, che si percepisce perlopiù nel contrasto tra il comportamento degli utenti e le leggi che lo regolano, è la nascita delle varie licenze

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copyleft, che si basano in generale su una più libera possibilità di distribuzione e modifica di proprietà intellettuali. Sono molti i movimenti paralleli a questo fenomeno, come il Free Software, l’Open Source o in particolare i Creative Commons. Ciò che questi movimenti spingono, al contrario del testardo mercato dei media, è una nuova maniera di concepire i contenuti creativi, dando il giusto peso al merito dell’autore e alle possibilità del consumatore. Consumatore che, ormai non è più un semplice fruitore di contenuti, ma sempre un potenziale autore, un potenziale remixer.

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xxi - il servizio

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xxi - il servizio

Alla luce di tutti cambiamenti che si sono avvicendati sul Web, viene spontaneo chiedersi quali saranno le nuove direzioni intraprese da questa tecnologia. Ovviamente non è possibile sapere con precisione quale forma prenderà Internet nel suo futuro prossimo, proprio come si sono già rivelate inattese e sorprendenti tutte le innovazioni online al loro tempo. Ci sono però alcune tendenze che ci fanno prevedere una sorta di Web 3.0,, soprattutto per il fatto che molti comportamenti degli utenti sono già diventati normali, nonostante non siano ancora riconosciuti come tali. Una di queste tendenze, che è tra l’altro la principale forma di sostentamento di tutti i grandi servizi online come Google o Facebook, è la loro propensione a raccogliere dati degli utenti ed organizzarli per crearne un profilo più o meno dettagliato. Questo profilo è sostanzialmente creato a partire dagli interessi specifici di ogni utente, definiti attraverso ogni azione seguita, registrata ed utilizzata per restituire valore e nuove informazioni all’utente. Questo fenomeno prende il nome di Implicit Web Web, dal momento che tutti questi movimenti di informazioni avvengono in maniera automatica senza che l’utente se ne possa rendere conto. L’implicit web è reso possibile dai click.. Ogni volta che noi clicchiamo qualcosa, votiamo. Quando spendia-

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mo il nostro tempo su una pagina, votiamo. E quando copiamo ed incolliamo, votiamo ancora un po’. I nostri gesti e le nostre azioni rivelano ciò che vogliamo e come reagiamo. Nonostante per un algoritmo sia impossibile stabilire con certezza assoluta le nostre intenzioni, ci sono molti software che sono diventati parecchio bravi ad indovinarle. L’esempio che ha avuto più successo è probabilmente il caso di Last.fm Last.fm:: il motivo principale del suo successo è che, essendo completamente automatico, permette di inserire e memorizzare le canzoni che sono state ascoltate sul proprio database senza alcuna azione specifica da parte dell’ascoltatore. Basandosi su queste informazioni facilmente raccolte, il sito fornisce all’utente suggerimenti per altre canzoni ed altri artisti. È fondamentale che l’utente non debba fare nulla: ciò che accade è semplicemente conseguenza del normale comportamento della persona che usufruisce del servizio, in questo caso ascoltando la propria musica. Altri casi meno evidenti, e quindi, appunto, impliciti, sono quelli di Amazon e Google. Nel caso di Amazon, il sito sfrutta i movimenti dell’utente sulla piattaforma per creare, attraverso complessi algoritmi di calcolo, dei suggerimenti di acquisto, suddivisi in vari livelli. È per questo che è considerato come uno dei leader per lo shopping online, in particolare grazie ai suggerimenti automatici: il sito sfrutta i comportamenti dei vari utenti per tessere e dedurre informazioni che aiutano a creare relazioni tra i vari oggetti in vendita. Per quanto riguarda Google, invece, le informazioni vengono raccolte durante la navigazione attraverso i

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risultati delle ricerche online per migliorare l’eperienza dell’utente; queste informazioni vengono anche utilizzate per personalizzare le pubblicità presenti sulle pagine web che utilizzano AdSense. Il risultato del tener traccia di tutti questi movimenti si realizza nell’ottimizzazione delle azioni dell’utente e di un aumento della sua soddisfazione. Le due azioni fondamentali sul Web si distinguono in cercare ed esplorare: chi cerca sa cosa vuole, mentre chi esplora è alla ricerca di qualcosa di non ben definito. Con la sovrabbondanza di scelta di prodotti è sempre più difficile sapere cosa si vuole, e si tende a dare più importanza alle azioni esplorative. Aiutare a trovare ciò che si vuole è la chiave del mercato online, permettendo un’esperienza personalizzate che aiuta a scoprire cose nuove adattate ai propri interessi.

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parte 2: il sondaggio


chi legge le licenze?

Lo scopo di questo sondaggio è giustificare e verificare alcuni dei comportamenti osservati negli utilizzatori tipici del Web, in particolare per quanto riguarda la legalità e il rapporto con i contratti di Licenza. Il sondaggio è stato proposto a 449 persone, attraverso i principali canali di comunicazione via Web: posta elettronica, social network, forum di discussione e passaparola. L’insieme d’inchiesta è piuttosto eterogeneo, sia dal punto di vista di età che di provenienza geografica. Nella pagina a fianco ci si può rendere conto di quali siano le statistiche demografiche degli intervistati, per una migliore lettura dei risultati specifici sui comportamenti online. Ciò che emerge da questa inchiesta è innanzitutto che, come lo si può facilmente immaginare, l’utente medio non si cura dei contenuti delle licenze e in linea di massima non è al corrente delle problematiche attuali che riguardano Internet. Allo stesso tempo le risposte dimostrano come il Web sia già ancorato nella nostra società e sia facile immaginare quanto si sia già reso indispensabile. Possiamo concluderne che la necessità di presa di coscienza rispetto ai temi caldi di Internet non si è ancora fatta sentire, e l’evoluzione dei comportamenti e dei rischi degli utilizzatori è ancora assolutamente in corso.

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più di 60 0-14 26-35

36-60

15-19

Età 20-25

meno di 30 minuti

più di 4 ore

circa 1-2 ore

Tempo speso su Internet quotidianamente

2-4 ore

più di 30 10-30 0-5

Numero di account web posseduti

5-10

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Download

Forum

Fruizione di contenuti

93%

Strumenti e utility

eCommerce

Creazione di contenuti

Social network

eMail

97%

Tipologia di account web posseduti

56%

45%

34% 31% 30% 29%


sĂŹ

14%

86%

no

Quando ti sei iscritto ottenendo un nuovo account, hai letto il Contratto di Licenza?

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77% sì Contr

ibuisc i di for alla redazi um e wiki? one

74%

no

no

Secondo te i 'Giganti del Web' sono cattivi? Hanno cattive intenzioni?

56% no sì

87%

no

ti contenu i spesso Condivid l networks? su socia

re la egge ? t o r p le ttua ante sì port à intelle m i iet eni Riti a propr tu

57% sì

52%

no Ti ritieni interess ato e al corrente sulla legalità nel Web?

no

i loro servizi Approvi i siti che basano i interessi? tuo su ciò che sanno di te, sui

57%

sì Riti

eni la c Web ompra ve poc o sic ndita s ul ura?

83% no sì

tidiana vita quo rnet? a u t la che Inte Ritieni a senza la stess e b b e r sa

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no

58% sì

no

Se generi contenuti, ti capita di utilizzare materiale di altre persone per generare nuovi contenuti?


67% online

offline In generale, se puoi scegliere se mettere informazioni personali online o no, cosa preferisci?

64% sì

no Ti ritieni preoccupato rispetto ai contenuti delle Licenze?

60% sì

no

60%

Pratichi pirateria dig

itale?

no sì

57%

sì Generi

ria sia e la pirate ? Pensi ch li g sba ata una cosa

conten

uti di n

no

atura c r

eativa

76%

online

?

sì Ti piacere no bb il contenu e sapere e capire d i più to dei Con tratti di L icenza?

68% no sì

ternet?

In vendi su

Compri/

57%

sì 69% sì

no

Sai cosa sono le licenze "Creative Commons"?

no Ti fidi dei 'Giganti del Web' di cui fai uso?

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parte 3: il progetto


introduzione

LAMP, License Agreement Made Plain, consiste in un sito dinamico che permette agli utenti, registrati e non di consultare le opinioni di altri utenti riguardanti i contratti di Licenza di siti online. Questo è reso possibile da un’interfaccia che permette di tradurre graficamente la reputazione di una licenza. Questa traduzione grafica viene chiamata lamp, che è lo strumento principale della piattaforma. Il sistema è basato sulla suddivisione della licenza nelle singole frasi che la compongono, che vengono catalogate a seconda dei 16 argomenti disponibili. Ogni frase può quindi essere votata da un utente registrato, che con il suo voto contribuirà a stabilire la reputazione di ogni licenza e di ogni argomento contenuto nella licenza. Questo è reso possibile da un sistema di valutazione basato sui commenti espressi dagli utenti registrati, che quando commentano devo dare un voto alla “correttezza” della frase nei confronti degli utilizzatori. L’interpretazione grafica che costituisce la lamp consiste nella visualizzazione dell’insieme delle valutazioni usando simboli, colori e gerarchie di dimensioni.

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pittogrammi: l’organizzazione in argomenti

La prima fase del progetto è stata dedicata alla lettura di una selezione di contratti di licenza, per rendersi conto di quali potessero essere le problematiche tipiche all’interno di essi. Ciò che è venuto alla luce è stata una serie di argomenti comuni trattati in pressoché tutti i contratti. A questo punto si è cercato di riunire questa serie di problematiche comuni in categorie, per creare una struttura comune su cui basare la valutazione dei contratti. Si è così scelto di riunire tutti i possibili argomenti secondo 4 criteri, che stabiliscono chi è il diretto interessato per ogni argomento trattato. I 4 attori sono quindi il servizio online, l’utente, le informazioni dell’utente e la licenza stessa. Da questi 4 attori sono state create 4 icone di base che rappresentassero un punto di partenza nella comunicazione degli argomenti, che sono di per sè difficili da capire:

A partire da queste icone, integrando segni più specifici si è creato l’intero insieme dei pittogrammi che rappresentano 16 diverse tematiche individuate. Si noti che le icone non sono in alcun modo concepite per essere

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mostrate senza didascalia, appunto perchè il significato degli argomenti è particolarmente astratto e difficile da intendere.

Questo insieme di icone rappresentano il principale linguaggio visivo con cui l’utente si relaziona: esse servono per indicare di cosa si sta parlando all’interno di un passaggio specifico di un contratto, ma anche viceversa per informarsi sui contenuti di un contratto riguardo ad un particolare argomento. Si è scelto di prediligere uno stile visivo semplice ad un tentativo di cercare di essere esaustivi a livello concettuale, proprio perchè lo scopo dei pittogrammi è di ricordare all’utente ciò che conosce grazie ai testi che ha già letto. Il tentativo di usare segni autoesplicativi finirebbe comunque per non risolvere l’ambiguità semantica di concetti così complessi come gli argomenti di un contratto di licenza.

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service liability

La service liability consiste nella responsabilità da parte del servizio nei confronti dell’utente: può trattarsi per esempio di chiarimenti su cosa il servizio non può fare.

assets

Per assets si intendono tutte le risorse concesse dal servizio all’utente, quali spazio di memoria virtuale, numero mensile di brani eseguibili o immagini da caricare quotidianamente.

fees and obligations

L’insieme degli obblighi implicati dall’impiego del servizo finiscono sotto la categoria fees and obligations, dove possono esserci clausole economiche e non.

modification of the service

Questo argomento riguarda modifiche attuate al servizio dopo la firma del contratto.

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intellectual property of the service

Intellectual property of the service concerne il rispetto del copyright sul servizio stesso, contro reverse engineering o copie non autorizzate, per esempio.

liability of the user

Tutto ciò che riguarda le responsabilità che ricadono sull’utente a causa delle sue azioni fanno parte della categoria liability of the user.

honest behaviour

Buona parte delle licenze consiste in affermazioni elementari riguardo all’utilizzo del buon senso al momento dell’impiego del servizio, si tratta di honest behaviour.

website democracy

La website democracy ha a che fare con il livello di coinvolgimento degli iscritti alle decisioni che riguardano l’organizzazione del servizio stesso.

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geographic location

Tutte le clausole che coinvolgono la posizione geografica dell’utente ricandono sotto la categoria geografic location.

age

Tutte le clausole che coinvolgono l’età dell’utente ricandono sotto la categoria age.

access to data

Access to data coinvolge per lo più questioni di privacy, quali chi ha accesso a quali informazioni e con quali modalità.

use of data

Use of data ha a che fare con clausole che riguardano il copyright e la privacy dei contenuti caricati dall’utente. Stabiliscono come i contenuti possone essere utilizzati.

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loss of data

Nel caso informazioni dell’utente vadano perse, le clausole della licenza che riguardano la responsabilità della perdita sono catalogate come loss of data.

unwelcome content

Tutte le clausole che hanno a che vedere con file e contenuti illegali, offensivi o pericolosi fanno parte della categoria unwelcome content.

additional terms

Nel caso esistano altre licenze o documenti da leggere in aggiunta alla licenza in uso, le clausole che lo indicano vengono segnate come additional terms.

modification of terms

Questa parte della licenza specifica come rapportarsi ad eventuali modifiche delle clausole che sono state accettate nella licenza.

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colori e dimensioni: il sistema di valutazione

Il principio fondamentale alla base della comunicazione della reputazione di una licenza è il rapporto tra colori e dimensione delle icone. La palette colori infatti è stata semplificata al massimo per permettere di prendere nota della variazione dei colori in funzione della valutazione di un determinato servizio o di uno specifico argomento.

sabbia #a59073 arancio #f29610 Il colore di base dell’intero sito è il color sabbia, colore neutro che cerca di non distrarre, appunto perchè è utilizzato nella maggior parte degli elementi. Il colore dell’enfasi è invece l’arancione, che viene utilizzato per porre l’attenzione sulle parti di licenza che hanno una cattiva reputazione e a cui l’utente deve prestare particolare attenzione. Il colore di ogni elemento significativo viene assegnato a partire da un gradiente che va dal sabbia all’arancione a seconda di quanto è stato segnato come pericoloso. Il rapporto tra questi due colori nasce dall’idea di usare due colori contrastanti quali il rosso e il verde, ma dal momento che si vuole porre particolare accento sulle cose negative, e non quelle positive a cui l’utente non

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sarebbe interessato comunque, si è scelto di sostituire il colore brillante con un colore neutro.

meno pericoloso

più pericoloso Abbiamo quindi stabilito che il colore identifica quindi la reputazione degli elementi; la dimensione, al contrario rappresenta la popolarità degli argomenti, intesa come quantità di commenti presenti per un determinato argomento.

meno popolare

più popolare

Può essere quindi che un argomento sia particolarmente popolare, ma non necessariamente considerato come scorretto. In questo caso l’elemento sarà di una dimensione maggiore, ma il suo colore non tenderà per forza all’arancione.

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interfacce: le tipologie di utente

Le varie interfacce del sito sono state costruite per svolgere poche funzioni alla volta, semplificando il flusso di azioni che l’utente deve capire per poter utilizzare la piattaforma. Un’altro espediente per semplificare la forma è stato quello di annulare la necessità di distinguere l’over the fold e l’under the fold: la pagina viene sempre visualizzata nella sua interezza fino alla minima misura della finestra del browser di 1024x768 pixel, quando cioè diventa troppo piccola per permettere di visualizzare tutti gli elementi. La gerarchia delle pagine è organizzata a matrioska: più l’utente è interessato, più egli ha la possibilità di andare nello specifico pagina dopo pagina. L’intento, però, è di permettere all’utente meno interessato di riuscire lo stesso a ricevere qualche informazione nella forma più semplice possibile. Questra struttura gerarchica a livelli ci permette inoltre di distinguere i diversi tipi di utilizzatori, a seconda delle funzioni che possono esercitare.

home

lamp

topic

contri bute

Lo scheletro della piattaforma è organizzato su 4 livelli: l’homepage, dove si può cercare qualsiasi licenza liberamente; la lamp, che è un’interpretazione grafica di una sola licenza; la topic page, la pagina in cui si vedono

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nel dettaglio i commenti che riguardano un particolare argomento all’interno della licenza; e infine la contribute page, dove solo pochi utenti possono interagire all’interno del sistema per modificare e creare nuove lamp. Ogni pagina mira a soddisfare le esigenze di un diverso tipo di utente, attraverso le funzione che rende disponibili. Nel caso della homepage, viene visualizzata una selezione delle lamp più popolari al momento disponibili. Se l’utente è interessato può semplicemente cliccare un’icona o cercare la lamp di cui ha bisogno nella grande barra di ricerca. Una volta cliccato su una delle icone, si viene reindirizzato sulla pagina della lamp vera e propria, dove in primo piano viene visualizzata la reputazione del sito in questione. Al centro della pagina appare una cloud di icone, ognuna rappresentante uno specifico argomento interno alla lamp. La dimensione e il colore dell’icona ci informano su quale ruolo uno specifico argomento gioca nella reputazione completa del sito. Se poi il visitatore è incuriosito o ancora interessato a sapere cosa rende una lamp discutibile o accettabile, può cliccare una delle icone. La didascalia di ogni argomento appare solo quando il mouse si sofferma sull’icona, mostrando anche la reputazione specifica di quella categoria. Cliccare su una delle icone di porterà alla topic page, il cuore del sistema di valutazione delle lamp. Qui, oltre ad esserci la definizione dell’argomento che è stato cliccato, figura sulla destra la licenza nella sua interezza. Il visitatore può usare il mouse per scorrere i paragrafi e soffermarsi sulle frasi evidenziate, quelle cioè che ri-

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A lato: screenshot della home page. Da qui è possibile ricercare la licenza da esaminare.



guardano l’argomento che stiamo leggendo. Se si clicca su una delle frasi evidenziate, infine, verrano mostrati i commenti di altri utenti riguardo a quella frase. Fino a qui chiunque, che sia registrato o no, può vedere tutte le informazioni riguardanti la lamp. Questo è il tipo fondamentale di utente, che capita molto probabilmente per caso sul sito e se ci passa del tempo è più per curiosità che per interesse. La topic page, però è focalizzata su un altro tipo di utente, l’utente registrato, che conosce la struttura del sito e visita per lasciare commenti. L’azione del commentare implica tutto un altro meccanismo: si entra nell’ottica di esprimere un opinione e dare una valutazione. Le due cose, infatti avvengono simultaneamente, dal momento che ogni utente che pubblica un commento deve anche dare una valutazione di pericolosità. La reputazione di una lamp intera deriva quindi dall’insieme di tutti i commenti espressi riguardo ad una specifica licenza, facendo una media dei voti espressi dagli utenti registrati. L’ultimo livello corrisponde all’utente privilegiato, il contributing user, che ha raggiunto la sua posizione grazie al feedback positivo ricevuto nel tempo dagli altri utenti. Questo tipo di utilizzatore può, come tutti gli utenti registrati, commentare e valutare frasi e commenti, ma in più ha accesso ad una pagina particolare in cui può creare nuove lamp a partire da una licenza non ancora inserita nel sito. Egli può quindi catalogare le frasi che compongono la licenza assegnando ad ognuna di esse un’icona rappresentante un argomento e in più può suggerire ai curatori del sito nuove lamp e

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A lato: screenshot della lamp. Notare le differenze in colore e dimensione di ogni argomento.


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nuovi potenziali argomenti che mancano tra i 16 già esistenti. Può darsi infatti che con l’ampliarsi delle scelta delle lamp disponibili si renda necessario creare nuove icone e nuovi argomenti. Il sistema di valutazione e di contibuzione basato sugli utenti registrati rende la piattaforma LAMP sostenibile sia perchè si mantiene sostanzialmente da sola, sia perchè si evolve e cresce grazie all’apporto di persone esterne.

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A lato: screenshot della topic page. Qui l’utente può leggere le singole frasi, commentarle e valutarle.


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Paolo Fausone, 2011



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