Magazine ELLEDI

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Accademia di Belle Arti di Catania Dipartimento di: Progettazione di Arti Applicate - Editoria Progetto grafico: Manuela Laudani (manuela.laudani@gmail.com) Tutti i diritti sono riservati

Questa rivista è composta in Futura PT Disegnata dal type designer Vladimir Yefimov nel 1995 e in Adobe Claslon Pro.

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are alla luce qualcosa che è stato desiderato, atteso e sofferto comporta sempre una immensa emozione. ElleDi, attraverso le sue edizioni, desidera dare vita a un valido strumento per gli amanti del Design. Ogni numero di ElleDi, vuole essere un salotto e, davanti a un Tè o a uno Scotch, tentare di portare avanti i discorsi di una volta, senza mai tralasciare i risultati avuti dai maestri del passato. Creare idee, valutare, confrontare, scavare nel passato e trarre il meglio da tutto. Il primo numero, più adeguato chiamarlo NUMERO 0, vuole dare uno sguardo alla realtà e individuare quelle produzioni grafiche, editoriali ed artistiche che nascono dall’estro o dal senno di un artista contemporaneo e non. In questa uscita abbiamo messo insieme giovani designer e maestri del settore che hanno trovato la loro forma espressiva artistica attraverso l’uso dell’ironia nel design. Riccardo Falcinelli, Francesco Vullo, Chaz Hutton, Tim Parsons, Gudim Anton, questa la rosa di questo numero. Buona lettura!

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Contenuti

l’Extraordinary Routines nell’arte di Chaz Hutton 16 Riccardo Falcinelli: Design e Cultura Pop

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5000 copertine il record raggiunto da Riccardo Falcinelli, romano e poco più che quarantenne è uno dei grafici editoriali (e non solo) più prolifici e originali attivi nel nostro paese. Nell’arco di vent’anni ha cambiato l’immagine e dunque la percezione che il lettore ha di case editrici storiche come Einaudi e alcune più giovani come Minimum Fax; rifondando l’idea stessa di progetto grafico.

La visione ironica dell’attualità secondo Francesco Vullo

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La grande onda di Hokusai? Sta dentro una lavatrice. Il Cristo Redentore di Rio? Viene perquisito da poliziotti armati di tutto punto. Poi c’è lo squalo di Steven Spielberg che però a guardarlo bene è un ferro da stiro appoggiato verso l’alto. Benvenuti nel mondo del visual artist Francesco Vullo.

Ciò che è iniziato come una distrazione dalla sua routine lavorativa e che lo impegnava ogni giorno dalle 9 alle 17 è diventato ora prodotto di editoria e anche una carriera come creativo. È un cambiamento che continua a sorprenderlo poiché “non fa mai parte del piano”.


The Design Comedy: in difesa dell’ironia

La vita di routine come l’arte dell’illustratore Anton Gudim 26 18

Il design ironico, che fa affidamento su un abile sovvertimento del linguaggio visivo, è perfettamente adatto a soddisfare questo bisogno perché le sue immagini solitamente incuriosiscono.

La modestia è l’anima dell’ingegno. Non servono parole per descriverla ma la straordinaria ironia nell’arte dell’illustratore di Mosca Anton Gudim lo fa da solo. L’artista, che ha toccato anime di migliaia di utenti di social network, trasforma la routine quotidiana in illustrazioni sardoniche. A proposito, più recentemente il numero degli abbonati di Anton su Instagram ha raggiunto il punteggio di 100.000 follower!

L’ironia nell’Arte di Andy Warhol

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Harold Rosenberg, critico d’arte per The New Yorker, ha dichiarato che <<L’innovazione di Andy Warhol non consiste nei suoi dipinti ma nella sua versione della commedia dell’artista come personaggio pubblico>>.

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Riccardo Falcinelli: Design e Cultura Pop 5000 copertine il record raggiunto da Riccardo Falcinelli, romano e poco più che quarantenne è uno dei grafici editoriali (e non solo) più prolifici e originali attivi nel nostro paese. Nell’arco di vent’anni ha cambiato l’immagine e dunque la percezione che il lettore ha di case editrici storiche come Einaudi e alcune più giovani come Minimum Fax; rifondando l’idea stessa di progetto grafico. Dopo aver studiato al Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, Riccardo Falcinelli intraprende la sua attività di grafico a 24 anni presso uno studio romano il Gruppo Artigiano Ricerche Visive. Qui si occupa un po’ di tutto, svolgendo contemporaneamente attività in proprio. Nel 1999 quando inizia a lavorare per Minimum Fax ridisegna diverse collane e collabora alla pubblicazione del libro Fare i libri. Dieci anni di grafica in casa editrice. Nel 2011 avvia il suo studio Falcinelli & Co. e realizza progetti grafici per Laterza e Carocci. Il lavoro di Falcinelli ci insegna a valutare l’oggetto libro anche per la sua componente visuale, archiviando definitivamente, l’arcaico adagio secondo il quale un libro non si giudica dalla copertina. Come si definirebbe: un Graphic Designer o un Visual Designer? Essenzialmente lavoro in editoria: giornali, cataloghi, riviste ma soprattutto libri. In realtà ho iniziato disegnando fumetti con l’intenzione di fare l’animatore alla Disney in California.

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Con quest’idea in testa, dopo il liceo, sono andato a Londra dove, casualmente, durante un workshop alla scuola d’arte mi capita come docente un art director della Penguin Book. È stata una folgorazione, ho capito che quell’attività mi sarebbe piaciuta e avrei coniugato la passione per il disegno con quella per le storie e per i libri. Negli anni li ho disegnati, progettati, impaginati e anche scritti. Ho imparato a fare tutto: dalla ricerca iconografica per le copertine e per gli interni, alla scelta la carta, della legatura e perfino del tipo di colla. Spesso più che un grafico mi sento un redattore che lavora con altri mezzi. Poi, ovviamente, mi capita di fare anche altro. Continua a pagina 12


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Esiste una differenza tra Graphic Design e Visual Design? Visual Design è qualunque progettazione pensata per essere guardata da un pubblico di massa, quindi è una macrocategoria, ma non c’è nessuno che si occupa di tutti i settori, ogni designer tende a specializzarsi. Anche i fotografi da alcuni decenni possiamo considerarli Visual Designer, poiché sanno che le immagini verranno riprodotte in riviste e altri contesti, e ne tengono conto quando scattano una foto. Come nasce l’idea per un progetto grafico, come procede nel suo lavoro? Innanzitutto chiedo al mio committente che tipo di storia vuole raccontare e a chi vuole rivolgersi. Se devo ideare la copertina di un libro da 150 euro ragiono in modo diverso dalla progettazione di un tascabile. L’importante è conciliare le ragioni dell’editore (e dell’autore) e quelle del pubblico. A questo primo step, subentra lo stile personale e quindi decido come farla mia quella idea, sempre rispettando la volontà del committente. Si tratta di usare toni di voce diversi a seconda dell’editore e del pubblico. La vera maestria è trovare il tono giusto – dalla voce stentorea della conferenza al sussurro dell’intimità – e saperlo modulare. Il Visual Design è l’arte retorica dei nostri giorni. Se devo impaginare un classico della letteratura, so che sarà letto da un pubblico variegato e quindi uso un immaginario decifrabile da persone diverse per cultura, formazione e interessi; se invece lavoro al catalogo di un festival di cinema, parlo a un pubblico compatto culturalmente e quindi mi permetto scelte più sofisticate.

In effetti le tue copertine sono piuttosto lineari, poco caotiche e ridondanti, di grande impatto visuale, ma tutto sommato sobrie. Ci sono grafici che mettono al centro l’autorialità, di conseguenza qualunque cosa facciano è sempre molto riconoscibile. A me, al contrario, piace un po’ scomparire nel progetto. Nelle tue copertine preferisci lavorare con fotografie o con illustrazioni? La fotografia in copertina mi piace e spesso mi capita di scattare personalmente le immagini per poi usarle graficamente. Mi appassiona tagliare una foto per farla parlare meglio. Una delle copertine recenti cui sono più legato è quella de ‘La famiglia adolescente’ di Massimo Ammaniti: c’è tutta la mia filosofia in questa cover, frutto di molte prove e giocata in due tempi, come se fosse un movimento di macchina sul soggetto. Per Einaudi e Minimum Fax adopero spesso disegni in copertina e ho avuto la fortuna di lavorare con ottimi illustratori, da Gipi ad Emiliano Ponzi, da Agostino Iacurci a Shout a Valeria Petroni.

Il suo approccio alle immagini non è per niente snob, anzi, ha dichiarato di essere interessato – soprattutto come studioso – al design «popolare», alla grafica di massa, dal volantino del supermarket alle etichette dei prodotti, dunque anche al contesto sociale in cui questo tipo di espressioni nasce e si sviluppa. Non che io non veda la differenza tra una grafica raffinata e una di massa, ma mi rendo conto che a lasciare una traccia non è il design «alto», bensì quello ingiustamente definito «brutto» o comune. L’esperienza del Bauhaus ha definito la classe colta e ha esercitato grande influenza su generazioni di studenti. Ma se Quali font ama usare? parliamo di grandi numeri a formare le persone, a costituire un No, non c’è una font che prediligo su un’altra. Dipende dalla immaginario sono state le riviste popolari. Per la comunicazio«storia» che sto raccontando. Così come non ci sono caratteri ne attuale contano sicuramente i quadri di Mondrian, ma anche che non mi piacciono. Non escludo nulla a priori. le copertine di Vogue o Sorrisi e Canzoni. Ci sono elementi costanti e ricorrenti dai quali si riconosce il suo stile? Gli elementi che mi appartengono e per i quali credo di venir riconosciuto sono un grande uso del vuoto: in una mia composizione c’è una sola cosa da guardare, mi piace dire una cosa per volta. E poi i forti contrasti tonali: utilizzo una tavolozza cromatica piuttosto vivace.

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Immagino che spesso il risultato finale non corrisponda a ciò che ha concepito all’inizio. Direi che un terzo del mio lavoro non mi rappresenta completamente, ma fa parte del gioco. Fare design non è come fare l’artista, devi comunque tenere conto del committente. In un paese come il nostro tragicamente spaccato tra prodotti di élite e consumi dozzinali, in cui troppi accademici scrivono libri in-


comprensibili e la televisione si livella sempre più in basso, c’è divulgata (termine orrendo) ma resa accessibile. Anche questo un grande bisogno di inventare progetti che siano di livello alto l’ho imparato da Hitchcock. pur parlando a un pubblico vasto. La cultura non deve essere di Bruno Di Marino

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Profilo d’autore

Nei nostri viaggi infiniti nel pianeta Instagram, siamo rimasti affascinati da un giovanissimo artista italiano, conosciuto nel web come fra_Vullo. Le sue illustrazioni, sempre sul “pezzo” ci hanno colpito per l’immediatezza e l’ironia del messaggio.

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La visione ironica dell’attualità secondo Francesco Vullo


La grande onda di Hokusai? Sta dentro una lavatrice. Il Cristo Redentore di Rio? Viene perquisito da poliziotti armati di tutto punto. Poi c’è lo squalo di Steven Spielberg che però a guardarlo bene è un ferro da stiro appoggiato verso l’alto. Benvenuti nel mondo del visual artist Francesco Vullo. Una pagina internet (francescovullo.com), 100mila follower su Instagram, due pagine Instagram seguitissime The pink lemonade (con oltre 550mila follower) e The blue lemonade (quasi 58mila follower): queste sono le cifre con cui bisogna fare i conti. Francesco è conosciuto dagli esperti d’arte, espone con la galleria d’arte Deodato (deodato.com), partecipa a collettive a Londra e lo chiamano dagli States per esaminare i suoi lavori. Ci racconti qualcosa su di te? Mi piace creare immagini con un concetto alle base, spesso combinando elementi provenienti da mondi differenti. Ottenere qualcosa di originale partendo da cose semplici. Oppure intervenire su qualcosa di già esistente stravolgendolo.

Quanto ti aiuta a livello professionale Instagram? Vivendo nell‘era del 2.0, ritengo che i social network siano un ottimo modo per farsi conoscere dagli altri. Uso Instagram come un vero e proprio portfolio, dove carico la maggior parte dei miei lavori cercando un riscontro da parte del pubblico online. È un mezzo potente che sostituisce il tradizionale “passaparola’’ con una modalità di comunicazione più veloce e diretta, anche in ambito lavorativo. Volendo possiamo paragonarlo alla vetrina di un negozio su una strada molto frequentata: molti passano e buttano solo un’occhiata, alcuni si fermano e comprano.

Come trovi le idee per i tuoi lavori? Per i miei lavori mi ispiro molto a temi attuali dove la gente può rispecchiarsi, condividere o criticare il mio pensiero. Solitamente uso l’immagine per veicolare un messaggio, altre volte per soddisfare un puro senso estetico. Cerco sempre di cogliere stimoli di ogni tipo utili ad alimentare la mia creatività e cultura personale. Musica, film, viaggi, libri o semplicemente una birra con gli amici si rivelano sempre veri e propri pozzi carichi di spunti da cui attingere. di Newsroom

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Profilo d’autore

Originario dell’Australia, l’artista Chaz Hutton viveva a Londra e lavorava come architetto quando iniziò a disegnare cartoni osservazionali su Post-it come un modo discreto per procrastinare. Adesso passa le sue giornate sui social cercando uno spunto da fissare su di un post-it.

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l’Extraordinary Routines nell’arte di Chaz Hutton


Ciò che è iniziato come una distrazione dalla sua routine lavorativa e che lo impegnava ogni giorno dalle 9 alle 17 è diventato ora prodotto di editoria e anche una carriera come creativo. È un cambiamento che continua a sorprenderlo poiché “non fa mai parte del piano”. Forse, più esattamente, non c’è mai stato un piano. <<Non mi piace davvero avere un piano perché penso che puoi diventare ossessionato da esso. Se c’è qualcosa che accade per caso ognuno è portato ad ignorarlo e forse si dovrebbe andare a dare un’occhiata>> dice Chaz <<non potrei davvero fare un piano di cinque giorni a questo ritmo! Mi sto solo mostrando>>. Chaz dimostra che possono accadere cose straordinarie quando ti sforzi a dedicare del tempo alle cose che si trovano a bordo campo. <<Per me, non è mai stata una mossa strategica fare di questo il mio lavoro. Era un progetto parallelo che era quasi come una zattera: ho avuto la mia carriera di architetto come scuderia, ma qualcun altro guidava sempre. Così ho fatto la mia piccola zattera per dare un calcio e spostarmi dal bordo, e anche se non fosse mai stata degna di un mare, era la mia cosa, il mio piccolo faro di speranza>>.

<<Non ho mai preso il rischio finanziario, anche se questa è la storia che in genere le persone vogliono sentire. Se stai lottando per pagare l’affitto e poi vai a lasciare il tuo lavoro, hai circa due settimane e mezzo prima di raggiungere il culmine. Pochissime persone hanno il lusso di smettere, quindi ho sempre fatto quello>> che sono stato finanziariamente in grado di fare in quel momento. Alla fine ha abbandonato la barca per la zattera a tempo pieno. Chaz scherza dicendo che <<gran parte della sua giornata poMentre un simile salto nell’abisso creativo viene spesso attri- trebbe essere percepita come un valzer in giro per la città, nel tentativo di disegnare cose e finire troppo spesso in bar>>. buito al rischio e all’audacia. Di extraordinaryroutines.com

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Cristina Bilsland e Kyla Elliott, entrambe diplomate al corso MA del Royal College of Art Products Design, hanno organizzato il dibattito “Is Irony Killing Design?” come parte di una serie intitolata Script, tenutasi al Design Museum di Londra all’inizio del 2006. Cristina e Kyla hanno gentilmente invitato me per parlare al dibattito. Avendo io stesso progettato prodotti che sono stati descritti come ironici, sono rimasto affascinato dalla negatività nei confronti di questo approccio al design implicito del titolo. La ricerca e la partecipazione al dibattito si sono rivelate illuminanti per me e il testo seguente cerca di racchiudere alcune delle questioni sollevate e le conclusioni tratte. Durante il dibattito un membro del pubblico ha osservato che si è verificata una graduale escalation nel senso dell’individuo che si è sviluppato nel dopoguerra. Fin dagli anni ‘50 le persone hanno espresso, più esplicitamente che mai, la propria personalità attraverso la scelta dei prodotti. Spirito, ironia e kitsch sono diventati tutti parte del kit di strumenti per i designer di oggetti domestici in mostra in casa. Dopo le spesso austere offerte del Movimento Moderno prebellico, il pop design degli anni Sessanta rispecchiava i valori più liberali della società con i designer che applicavano nuove materie plastiche a buon mercato nei dolci colori del negozio. Seguendo la guida degli artisti dell’epoca, i designer più all’avanguardia hanno usato metafora, pastiche e grandi cambiamenti di scala con gioia. Oggi, se gli spettacoli di laurea e gli integratori della domenica devono

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essere il barometro, un nuovo fronte di design ironico apparentemente sta spazzando la nazione. In ogni pagina c’è un prodotto scherzoso si lamentava un altro membro del pubblico. Ma è un design ironico sui prodotti di scherzo? Il mio sospetto prima del dibattito era che gran parte di ciò che stava alzando il naso della gente non era affatto un disegno ironico, ma un design che era disceso nel kitsch e che i confini tra i due erano diventati confusi. Sembra quindi importante tentare una definizione dei due in relazione al loro uso nel design. Il co-fondatore di Arch-modernist e Design Museum Stephen Bayley ha scritto sul kitsch suggerendo che “Kitsch implica quasi invariabilmente un adattamento da un medium all’altro, da appropriato a inappropriato...


Allo stesso modo, il kitsch riduce quasi sempre le dimensioni e le proporzioni.”. Egli conclude che è definito da “Adattamento senza spirito, diminuzione e indebolimento incessante...” . In breve, è l’uso inappropriato del linguaggio del design fine a se stesso. Un telefono a forma di Mickey Mouse è kitsch semplicemente perché non esiste una relazione razionale tra Mickey e il telefono. Guardando la definizione del dizionario, l’ironia può essere letta come simile: “Un’espressione di significato, spesso umoristica o sarcastica, con l’uso di un linguaggio di una tendenza diversa o opposta.” Il telefono Mickey Mouse utilizza chiaramente un linguaggio diverso o opposto per quello previsto nei telefoni. Tuttavia, la differenza fondamentale è che il design ironico applica il linguaggio inappropriato in un modo consapevole e quindi appropriato. Il fermaporta svizzero di plastica di Andrew Stafford a forma di cuneo di formaggio è ironico, non kitsch perché esiste un legame chiaro e ben osservato tra il materiale (plastica), la forma (formaggio) e la funzione (cuneo della porta). Il cuneo della porta di Stafford è stravagante ma innegabilmente affascinante. È una concisa illustrazione di come il significato può essere applicato con successo a un oggetto domestico banale.

Sembra anche bello raffigurato in una rivista o in mostra in un museo. Non abbiamo bisogno di usarlo per sapere che funzionerà in modo accettabile. La sua ragione d’essere è farci sorridere. La realizzazione tra i progettisti di prodotti di design assume un valore importante non tanto per il loro uso o per il valore percepito dei loro materiali, ma per la loro capacità di trasmettere chiaramente il significato sulla pagina o nelle esposizioni non è una novità. Il gruppo Memphis di Sottsass degli anni ‘80 sapeva che il loro lavoro aveva un grande “valore di mostra” e molti pezzi venivano venduti ai musei. La recente esplosione di interesse per il design contemporaneo - seppure in gran parte superficiale - da parte della stampa, della televisione e delle istituzioni artistiche ha alimentato un meta-mercato in cui c’è

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il desiderio di consumare l’immagine di un prodotto ma non la sua materia. Il design ironico, che fa affidamento su un abile sovvertimento del linguaggio visivo, è perfettamente adatto a soddisfare questo bisogno perché le sue immagini solitamente incuriosiscono. Il successo del gruppo olandese Droog Design testimonia il fatto che pubblicare immagini di prodotti avanguardistici e ironici, dato il contesto giusto e il lavoro giusto, può essere una formula vincente. Se il design si muove troppo in anticipo rispetto a ciò che la gente capisce, allora fallisce come consumatori e smette di consumare. La maggior parte del pubblico non si aspetta di trovare riferimenti ironici nei propri prodotti domestici e quando lo fanno, una parte è alienata e di conseguenza non compra. A mano a mano che il dibattito si è svolto, il quadro del tipo di prodotti sotto attacco è diventato più chiaro. Questi progetti riguardavano la ricerca di attenzione in modo che i loro creatori potessero ottenere un vantaggio nella carriera. È stato menzionato l’enorme numero di laureati di design ogni anno e il loro bisogno di distinguersi dalla massa. I prodotti sono stati conseguentemente associati a una mancanza di integrità da parte del progettista e visti come offerte egocentriche piuttosto che a tentativi genuini di aggiungere qualcosa di utile al panorama del prodotto. Ho iniziato a sentirmi piuttosto sulla difensiva riguardo ai miei motivi di design. Non si trattava di prodotti ironici, come li conoscevo, ma di prodotti in-your-face; cose progettate per fermare te o i tuoi visitatori, nelle loro tracce per la loro stravaganza pura; scherzi per i tuoi amici designer. I prodotti di Alessi sono venuti fuori come lo spremiagrumi Juicy Salif di Starck e non sono particolarmente ironici? Dopo aver discusso con un collega ho capito che mancava una parola importante nell’intero dibattito: la poesia. Ralph Ball definisce la poetica applicata al design come oggetti che sono elevati al di sopra del requisito pragmatico e formale dell’oggetto funzionale, e forniscono osservazioni ambientali in forma condensata per la riflessione e la contemplazione.

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Il buon design ironico trascende la novità e mira a un tocco più intelligente e sottile. Può essere oscuro e umoristico e spesso utilizza familiarità per creare significato in un contesto particolare. Ad esempio la sedia per sedili trattori di Castiglioni e il campanello Droog realizzati con due calici da vino sono entrambi celebrazioni di forme archetipiche e una reazione contro la sfrontatezza del minimal design italiano. Le metafore sono azzeccate e gli oggetti sono costruiti con una leggerezza tattile che ne focalizza il significato; poesia in tre dimensioni. Inoltre sono perfettamente funzionanti. I motivi alla base di tali prodotti sono assolutamente onorevoli e i loro creatori devono essere rispettati e applauditi, non tarati con lo stesso pennello di quelli per la pubblicità. A prima vista, l’approccio può sembrare simile: si butta in un ready-made o si plasma qualcosa per assomigliare a qualcos’altro, ma la differenza è quanto bene i prodotti resistono alla domanda “Perché?” E con quale grazia il loro messaggio è stato comunicato. Le affermazioni trite e pesanti che sembrano aver dato un design cattivo a un design ironico potrebbero essere state create dal desiderio di nutrire i media e fare soldi, ma potrebbero anche essere il risultato di un senso prevalente di apatia. I principali movimenti di design del XX secolo sono stati sfatati in un senso o nell’altro e i progettisti sono lasciati a raccogliere i fili e tessere la propria rete di sicurezza ideologica. Progettare brutti scherzi può essere un’attività di spostamento nella continua ricerca di direzione. Tim Parsons

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Come molti altri campi, la grafica ha un vocabolario tutto suo e può sembrare una lingua straniera per chiunque si trovi al di fuori del mondo del design compresi familiari, amici, clienti e colleghi. “IL DESIGN È BELLO SE È UTILE Il graphic design – che evoca la simmetria di Vitruvio, la simmetria dinamica di Hambidge, l’asimmetria di Mondrian; che è buona Gestalt; generato dall’intuizione o da un computer, dall’invenzione o da un sistema di coordinate – non è un buon design se non collabora come strumento al servizio della comunicazione.” Paul Rand, Pensieri sul design

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Profilo d’autore

Gudim Anton è un ingegnere di Mosca che per Hobby fa l’illustratore, sul suo profilo Instagram racconta con sarcasmo ed ironia le situazioni limite in cui spesso ci troviamo o di cui sentiamo parlare, concentrandosi in modo particolare su quelle imbarazzanti circostanze dove non sappiamo se ridere o piangere.

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La vita di routine L’arte di Anton Gudim


La modestia è l’anima dell’ingegno. Non servono parole per descriverla ma la straordinaria ironia nell’arte dell’illustratore di Mosca Anton Gudim lo fa da solo. Internet è pieno delle tue opere e penso che sia arrivato tempo per tutti gli utenti dei social media di scoprire di più sulla persona che illustra la loro vita. Credo di non avere un talento speciale per inventare idee. Tutti possono trovare qualcosa di interessante o strano nel suo ambiente, devi solo cercare di guardare la cosa in modo più accurato e muoverti in questa direzione. Hai decisamente il tuo stile. Come lo descriveresti? Il mio stile è stato formato senza la mia partecipazione. Ho solo disegnato, e vive la sua vita. Ho iniziato con le stampe e le ho disegnate in un vettore, quindi il mio stile corrisponde a questo. Parlaci del tuo progetto più interessante. Il mio :-). Ho appena disegnato e firmato Gudim in fondo. La cosa migliore è che non ci sono limiti.

Puoi dare un consiglio ai principianti su come distinguersi dalla massa e diventare un autore riconoscibile, come hai fatto tu? Devi solo disegnare molto. Ognuno ha un periodo di vita in cui smetti di vedere il significato delle cose che fai. Penso che sia completamente normale, semplicemente non smettere mai e continuare a fare quello che fai. di SFG

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Profilo d’autore

Andy Warhol è l’ironia. Era un abile social network e un esperto di pubblicità. Era affascinato dal potere dei media e abilmente costruito la mistica della sua personalità. Il suo successo fu esaltato dalla sua implacabile ambiguità, deliberata mistificazione e completa separazione dal suo stesso lavoro.

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Harold Rosenberg, critico d’arte per The New Yorker, ha dichiarato che <<L’innovazione di Andy Warhol non consiste nei suoi dipinti ma nella sua versione della commedia dell’artista come personaggio pubblico>>. Mentre Warhol era probabilmente l’artista più pubblico, ha rivelato molto poco di se stesso e della sua ispirazione. Come disse a un intervistatore, <<Preferirei rimanere un mistero, non mi piace mai dare il mio background e, comunque, faccio tutto diverso ogni volta che mi viene chiesto>>. Il curatore Henry Geldzahler ha commentato il successo di Warhol nel creare la propria immagine e ha affermato che <<gli amici intimi di Warhol di venti o più anni hanno le stesse domande sull’intenzione e il controllo dei significati di Warhol nel suo lavoro come fa il pubblico informato>>. In effetti, Warhol negava costantemente ogni significato dietro il suo lavoro. La sua ambiguità e la presentazione impeccabile di se stesso e del suo lavoro lo hanno reso irresistibile nell’attrarre un pubblico e nel mantenere la sua pubblicità. Nella rivoluzione concettuale nell’arte del ventesimo secolo, Galenson discute l’accusa di un innovatore concettuale come un imbroglione. Con la giusta risposta dell’artista, l’effetto degli attacchi può essere invertito e trasformato in una forza positiva nello stabilire l’importanza dell’arte... Di fronte a queste accuse, gli artisti sono rimasti in silenzio o hanno offerto solo dichiarazioni enigmatiche o ellittiche in difesa del loro lavoro. In questo modo, questi artisti hanno guadagnato pubblicità non solo inizialmente, a seguito delle critiche che hanno accolto il loro

lavoro, ma anche successivamente, a seguito del dibattito che è scaturito dal fatto che il loro lavoro debba essere liquidato come una bufala o valutato come un nuovo contributo all’arte. Per questi artisti, l’ambiguità è diventata una forza positiva e potente nello stabilire il valore della loro arte e nel far progredire la loro carriera. Il fatto che abbia chiamato il suo studio The Factory è anche ironico. Andy Warhol non aveva fatto arte in uno studio; l’aveva rivelato con regolarità di montaggio in un laboratorio popoloso che chiamava The Factory. di Nesta so

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Why man creates diretto da Saul Bass, 1968

Il grande Saul Bass spiega il processo creativo in questo filmato di 25 minuti (qua sopra il video completo) in cui — non accreditato — c’è pure un giovane George Lucas alla macchina da presa.

Linotype

diretto da Doug Wilson, 2012

Un documentario sulla linotipia e sulla sua lunga e gloriosa storia, che fino agli anni ’70 ha accompagnato quella dei quotidiani di tutto il mondo.

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Shape

diretto da Johnny Kelly, 2015

Un film sul design. Se per un giorno avessi il potere di far funzionare meglio il tuo mondo, cosa cambieresti?

Milton Glaser: To Inform and Delight

diretto da Wendy Keys, 2008 Interamente dedicato a mr. Iď ˇNY, uno dei piĂš grandi designer viventi.

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Critica portatile al Visual Design di Riccardo Falcinelli Questo libro, concentrato di sapere utile ed esemplificazioni visive verificata di continuo dalla pratica dell’autore, Visual Design, dal Rinascimento all’attuale Impero delle immagini.

Guardare, pensare, progettare Neuroscienze per il design di Riccardo Falcinelli Per designer, illustratori, registi, fotografi, architetti e per tutti quelli che vogliono scegliere un colore o una font con maggiore consapevolezza.

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Fantasia. Invenzione, creatività e immaginazione nelle comunicazioni visive di Bruno Munari È possibile capire come funzionano queste facoltà umane? Munari spiega tutto ciò con moltissimi esempi.

Comunicare con le immagini di Carlo Branzagliai Questo libro vuole spiegare come si fa a comunicare con le immagini, in che modo gli elementi percettivi, iconografici, simbolici e stilistici s’incastrano in una grammatica degli effetti, nella capacità di trasmettere informazioni.

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Alla fine del percorso di formazione è previsto l’esame di Certificazione Adobe

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Ironic Self Help Posters by Caio Orio


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