Approccio sistemico applicato ai campi di emergenza: focus sulle risorse idriche

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Applicazione dell’approccio sistemico ai campi di emergenza:

approvvigionamento e gestione delle risorse idriche di Stefania Brucco e Emanuela Ponte


Politecnico di Torino FacoltĂ di Architettura I Laurea magistrale in Design del prodotto Ecocompatibile in collaborazione con:

Corpo Militare di Croce Rossa Italiana


Applicazione dell’approccio sistemico ai campi di emergenza: approvvigionamento e gestione delle risorse idriche

Relatore Arch. Luigi Bistagnino

Correlatore Arch. Cristian Campagnaro

Candidate Stefania Brucco Emanuela Ponte



Ringraziamenti Desideriamo ringraziare il Prof. Gino Bistagnino che ci ha condotto dal lineare al sistemico, nonostante la nostra mentalità da ingegneri, e il Prof. Cristian Campagnaro che ci ha dedicato il suo tempo e ci ha guidate lungo il percorso. Un sentito ringraziamento va al Corpo Militare di Croce Rossa - fatto di persone il cui scopo di vita è l’aiuto del prossimo - in particolare al Comandante Ignazio Schintu, che ci ha fornito il materiale necessario senza il quale non avremmo potuto svolgere il lavoro, il Generale Dott. Raffaele Pepe che ci ha assistito, istruito ed interrogato, il Maresciallo Sergio Siddi, che ha fornito preziose testimonianze delle sue innumerevoli esperienze. Ringraziamo anche tutti i militari che ci hanno mostrato le attrezzature ed i funzionamenti dell’unità di risposta alle emergenze. Intendiamo poi ringraziare i volontari della Croce Rossa, il Commissario del comitato CRI di Gattinara Beppe Beltrametti per la particolare disponibilità, Franco Cappone che ci ha indirizzato sulla strada giusta, Alessio Mirani per la documentazione fornita e Gianluca Catalano per tutto ciò che ha condiviso con noi - le informazioni, i consigli, il sostegno. Inoltre, un ringraziamento va a Leonardo Capuano della Protezione Civile e all’antropologa Cristina Molfetta della Caritas, al gruppo di Ingegneria Senza Frontiere di Torino: hanno arricchito la nostra ricerca con esperienze di vita vissute sul campo. Infine, vorremmo esprimere la nostra sincera gratitudine all’Ing. Luciano Cordaro, che ha reso possibile l’impossibile, ricordandoci il significato della parola “fattibilità”, aiutandoci a far quadrare i conti e a concretizzare il nostro flusso dell’acqua.



Introduzione Si assiste quasi quotidianamente al verificarsi di eventi calamitosi di diversa natura, dalle emergenze naturali (terremoti, eruzioni vulcaniche, disastri di origine atmosferica o idrogeologica) e artificiali (come l’emergenza bellica). Tali eventi richiedono una risposta immediata ed efficace da parte di enti nazionali ed internazionali, preparati a gestire e ad affrontare le diverse tipologie di emergenze in modo da salvaguardare la vita e la dignità delle persone coinvolte. In particolare, l’organizzazione di un campo-tendopoli, che può ospitare un elevato numero di persone, richiede la gestione di numerose problematiche, dalla ristorazione, all’igiene, alla conservazione delle scorte alimentari, ai rifiuti, etc. In questo contesto, obiettivo del presente lavoro è l’applicazione di un approccio sistemico, e quindi sostenibile, all’organizzazione di un campo-tendopoli, al fine di ottimizzare l’impiego delle risorse - acqua, beni ed energia - e di riutilizzare o ridurre al minimo la produzione di scarti. E’ risultato necessario articolare l’analisi in sezioni volte a definire il contesto dell’emergenza, i tempi e le modalità di intervento, le caratteristiche dei luoghi in cui si muovono i soccorsi, i casi studio più significativi - e infine- le persone coinvolte, soccorritori ed ospiti. L’ipotesi temporale d’intervento è da sviluppare su due livelli: il primo - a breve termine - per una risposta immediata volta alla soddisfazione delle esigenze fondamentali, il secondo - per il lungo termine - finalizzato alla ripresa delle attività ed alla valorizzazione del territorio. Per un corretto inquadramento delle problematiche, fondamentale è l’analisi di un caso studio, così da individuare le possibili soluzioni in relazione alle tipologie di emergenza, in modo tale da evidenziare l’asportabilità delle risposte ai differenti contesti. Infine, attenzione particolare verrà posta alla gestione dell’acqua, in termini di riduzione dei consumi, riutilizzo e riscaldamento, in considerazione della significatività di tale tematica. Gli obiettivi del presente lavoro sono stati condivisi con il Corpo Militare di Croce Rossa e lo sviluppo del progetto si è avvalso della collaborazione di tale ente, che ha consentito di arricchire i contenuti apportando esperienza e dati utili al corretto dimensionamento di ciascuna tematica affrontata.


Indice

Introduzione

Capitolo 1: Le tipologie di emergenza

1.1 Emergenze naturali

Disastri di origine geofisica I terremoti Le eruzioni vulcaniche Gli tsunami Disastri di origine atmosferica Il tifone Le piogge torrenziali Disastri di origine idrogeologica Le frane Erosioni costiere e mareggiate Subsidenze e sprofondamenti Valanghe Altri disastri Incendi boschivi Siccità

1.2 Emergenze artificiali

1.3 Conclusioni

Allegati

Capitolo 2: La risposta al disastro, chi interviene e come

2.1 Chi interviene a livello Nazionale

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2.2 Chi interviene a livello Internazionale

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2.3 Come rispondono gli enti all’emergenza

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L’emergenza bellica

Protezione civile Vigili del fuoco Croce Rossa Italiana

Le nazioni unite: UNOCHA; UNDAC, UNHCR L’Unione europea: La protezione civile Movimento internazionale di Croce Rossa/ Mezza Luna Rossa Emergency response Unit ERU Organizzazioni non governative

I campi di emergenza per disastri naturali Pianificazione dell’emergenza Le aree per le emegenze Struttura dei campi di emergenza

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I materiali di pronto impiego La gestione logistica del campo I campi profughi per emergenze artificiali Premessa: Carta dei diritti, Spheree Project, La normativa Fonti normative cui si riferiscono i campi Struttura dei campi profughi

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2.4 Conclusioni

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2.5 Testimonianze

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Allegati

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Capitolo 3: Analisi di Casi studio e rispettivi interventi

3.1 Terremoto in Abruzzo

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66 66 68

3.2 Terremoto ad Haiti

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69 69 70

3.3 Terremoto in Cile

3.4 Terremoto in Cina

3.5 Tsunami nello Sri Lanka

3.6 Tsunami a Samoa e a Sumatra

3.7 Alluvione in Mozambico

3.8 Conclusioni

Allegati

La macchina dei soccorsi L’assistenza alle persone I progetti di ricostruzione

La macchina dei soccorsi L’assistenza alle persone I progetti di ricostruzione

La macchina dei soccorsi L’assistenza alle persone

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La macchina dei soccorsi e l’assistenza alle persone

La macchina dei soccorsi I progetti di ricostruzione

La macchina dei soccorsi e l’assistenza alle persone

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76 76

76

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La macchina dei soccorsi e l’assistenza alle persone I progetti di ricostruzione


Capitolo 4: Analisi del soggetto

4.1 Gli attori nel campo di emergenza

L’ospite Valutazione dei bisogni primari, analisi dei gruppi vulnerabili Psicologia del soggetto in emergenza L’informazione dell’ospite Il coinvolgimento degli ospiti in attività comuni Il soccorritore La formazione del soccorritore Le dinamiche di gruppo e la formazione La psicologia in emergenza: il soccorritore dopo l’evento La corretta comunicazione agli ospisti Il soccorritore volontario e la gestione dell’ansia

4.2 Conclusioni

111

Allegati

112

Capitolo 5: Stato attuale reale, caso studio Centi Colella

5.1 La collaborazione con il Corpo militare di Croce Rossa Italiana 124

5.2 Centi Colella: analisi La ristorazione

5.3 Identificazione e analisi dei problemi

5.5 Confronto tra standard minimi e Centi Colella

La scelta del caso di Centi Colella Cronologia degli eventi Ambienti e attività del campo

92 92 92 96 98 98 100 100 105 107 110 110

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L’igiene La conservazione degli alimenti Lo stoccaggio dei beni: il deposito non-food I luoghi di culto L’assistenza I luoghi per lo svago L’istruzione Il riposo La gestione dei rifiuti

I rifiuti I beni in entrata Le acque in entrata e in uscita Qualità e quantità degli output Identificazione dei main problems Parametri per la valutazione dei problemi Relazioni tra problemi e effetti sul campo Identificazione degli ambiti di intervento e linee guida

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131 133 133 134 134 136 136 136

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5.6 Conclusioni

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Allegati

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Capitolo 6: Proposta progettuale sistemica

6.1 Le soluzioni possibili

6.2 Focus: l’acqua nel campo

6.3 Flusso dell’acqua: scelta delle soluzioni

6.4 Soluzioni acqua: applicazione degli interventi al campo

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6.5 Disposizione degli interventi nel campo

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6.6 Valutazione costi - benefici

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Conclusioni

Bibliografia

Ricerca di soluzioni in base a contesto, tempo, luogo Possibili soluzioni: energia Riduzione dei consumi Produzione di energia Possibili soluzioni: beni e rifiuti Scelta e distribuzione di beni nel campo Raccolta dei rifiuti Possibili soluzioni: acqua Risparmio d’acqua Trattamenti dell’acqua Depurazione Potabilizzazione Prodotti per l’igiene non inquinanti Riscaldamento dell’acqua

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Possibilil soluzioni per le acque in input Possibilil soluzioni per le acque in output

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Relazione tra soluzioni e parametri di valutazione Definizione dei livelli di intervento

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Primo Livello di intervento Relazione dell’intervento con soggetto e luogo Secondo Livello di intervento Relazione dell’intervento con soggetto e luogo

Confronto tra i consumi Valutazione dei costi di investimento Considerazioni su costi - consumi - benefici



Capitolo1 Le tipologie di emergenza



Introduzione In questo capitolo vengono analizzate le tipologie di emergenza. Ci è sembrato opportuno, prima di affrontare la tematica del campo di accoglienza, conoscere a fondo il contesto che genera la necessità di allestire una tendopoli, e capire soprattutto in quali casi viene prevista l’evacuazione della popolazione e l’alloggiamento della stessa in campi. Abbiamo quindi studiato le catastrofi di origine naturale e di origine artificiale, suddividendo le prime in disastri di origine geofisica, atmosferica e idrogeolica. Per ognuno di questi, si è data la definizione scientifica, si sono analizzati gli aspetti riguardanti la previsione, la prevenzione, il monitoraggio dell’evento e si è cercato di capire come la Protezione Civile gestisca tali catastrofi. Infine si è fatta paricolare attenzione sulla situazione in Italia.


Le tipologie di emergenza

1.1 Le emergenze naturali Le emergenze naturali possono essere classificate in: disastri di origine geofisica, disastri di origine atmosferica, disastri di origine idrogeologica e altri disastri.

Disastri di origine geofisica I disastri di origine geofisica vengono divisi a loro volta in terremoti, tsunami ed eruzioni vulcaniche. Tutti questi eventi sono generati sostanzialmente dallo stesso meccanismo – la deriva dei continenti. La crosta terrestre o litosfera va infatti vista non come un insieme rigido, ma come una congregazione di « placche » solide che galleggiano su un substrato liquido (il mantello o astenosfera) in cui si formano enormi celle di convezione. Tali celle generano un movimento circolare che trascina con se le zolle continentali. Nuova crosta terrestre viene « generata » in continuazione a livello dei grandi solchi oceanici e contemporaneamente, le porzioni più vecchie della crosta sprofondano sotto le piattaforme continentali, venendo riassorbite. La zona del fondo oceanico dove la crosta terrestre « vecchia » sprofonda sotto la piattaforma continentale è detta zona di subduzione. Vediamo ora più nel dettaglio i diversi disastri geofisici.

I terremoti Il meccanismo che crea le zone di subduzione é responsabile del continuo movimento delle placche continentali e delle zolle in cui esse sono suddivise. Tale movimento provoca un accumulo di energia a livello delle cosiddette faglie. Superato un certo limite, questa energia viene poi rilasciata in maniera esplosiva dando origine ai terremoti. Il terremoto è in effetti la risultante al suolo dell’interazione delle onde di pressione che si propagano in linea retta, e dalle onde di deformazione che si propagano ad angolo retto rispetto alle prime. Queste due onde si combinano a livello della superficie generando le onde responsabili degli effetti visibili del terremoto. Viene definito ipocentro il punto in profondità in cui si verifica il rilascio esplosivo di energia. Logicamente, a parità di intensità, più profondo è l’ipocentro, meno gravi saranno gli effetti in superficie. Viene invece definito epicentro la proiezione dell’ipocentro a livello della superficie. Possiamo distinguere due tipi di movimenti delle placche che generano terremoti con caratteristiche differenti: nel caso in cui si abbia un allontanamento o uno scorrimento parallelo di due placche, i sismi sono piuttosto superficiali; mentre nel caso si abbia una compressione (una

4 placca scorre al di sotto dell’altra) si manifestano terremoti a profondità elevata (fino a circa 700 km). Un terremoto si manifesta con una sequenza di scosse che definiscono il periodo sismico: quel tempo che va dalle scosse che talvolta precedono quella principale, a quelle che quasi sempre la seguono. Queste scosse possono generare degli effetti indotti o secondari, quali frane, maremoti, liquefazione dei terreni, incendi, a volte più dannosi dello scuotimento stesso. L’ intensità dei terremoti viene misurata in maniera assoluta tramite la scala Richter, una scala logaritmica, i cui valori vengono computati in base all’ampiezza delle onde, ed in maniera relativa tramite la scala Mercalli, che misura l’intensità percepita. La scala Mercalli è divisa in 12 gradi: • I: rilievo strumentale, scossa non avvertita. • II: avvertito solo da poche persone in quiete, gli oggetti sospesi esilmente possono oscillare (Richter < 3.5) • III: avvertito notevolmente da persone al chiuso, ai piani alti degli edifici; automobili ferme possono oscillare lievemente (Richter 3.5) • IV: avvertito da molti all’interno di un edificio in ore diurne, all’aperto da pochi; di notte alcuni vengono destati; automobili ferme oscillano notevolmente (Richter 4.2) • V: avvertito praticamente da tutti, molti destati nel sonno; crepe nei rivestimenti, oggetti rovesciati; a volte scuotimento di alberi e pali (Richter 4.5) • VI: avvertito da tutti, istinto di correre all’aperto; spostamento di mobili pesanti, caduta di intonaco; danni lievi (Richter 4.8) • VII: istinto di fuggire all’aperto; danni trascurabili a edifici di buona progettazione e costruzione, da lievi a moderati per strutture ordinarie ben costruite; avvertito da persone alla guida di automobili (Richter 5.4) • VIII: danni lievi a strutture antisismiche; crolli parziali in edifici ordinari; caduta di ciminiere, monumenti, colonne; ribaltamento di mobili pesanti; (Richter 6.1) • IX: danni a strutture antisismiche; perdita di verticalità a strutture portanti ben progettate; edifici spostati rispetto alle fondazioni; fessurazione del suolo; rottura di cavi sotterranei (Richter 6.5) • X: distruzione della maggior parte delle strutture in muratura; notevole fessurazione del suolo; rotaie piegate; frane notevoli in argini fluviali o ripidi pendii (Richter 6.9) • XI: poche strutture in muratura rimangono in piedi; distruzione di ponti; ampie fessure nel terreno; condutture sotterranee fuori uso; sprofondamenti e slittamenti del terreno in suoli molli (Richter 7.3)


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Capitolo1

Veduta aerea sisma Abruzzo (fonte: Il Corrire.it)

• XII: danneggiamento totale; onde sulla superfice del suolo; distorsione delle linee di vista e di livello; oggetti lanciati in aria (Richter 8.1). E’ oggi possibile definire la pericolosità sismica di un territorio, conoscendo la sua sismicità, ovverò la frequenza e l’energia (magnitudo) associate ai terremoti avvenuti, ed attribuendo un valore di probabilità al verificarsi di un evento sismico di una certa magnitudo, in un certo intervallo di tempo. L’approccio alla valutazione della pericolosità può essere di due tipi: uno di tipo deterministico ed uno probabilistico. Il metodo deterministico si basa sullo studio dei danni osservati in occasione di eventi sismici che storicamente hanno interessato un sito. Nelle analisi però viene generalmente preferito un metodo di tipo probabilistico in cui la pericolosità viene espressa come la probabilità che in un dato intervallo di tempo si verifichi un evento con assegnate caratteristiche. In Italia lo stato ha quindi classificato il territorio sulla base della pericolosità sismica e ha previsto l’applicazione, nelle zone classificate sismiche, di speciali norme per le costruzioni. Sulla base di questa classificazione, vengono svolte attività di monitoraggio del territorio dall’Ufficio III del Dipartimento1 di Protezione Civile, anche in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), 1 Ufficio III del Dipartimento di Protezione Civile Valutazione, prevenzione e mitigazione del rischio sismico

che riguardano il monitoraggio sismometrico, il monitoraggio accelerometrico e il monitoraggio geodetico attraverso reti GPS (Global Positioning System). L’attività di sorveglianza sismica continua del territorio nazionale è affidata, attraverso un’apposita convenzione triennale, all’INGV. L’istituto ha sviluppato negli anni una rete sismometrica (Rete Sismica Nazionale), che permette di stimare accuratamente i parametri dei terremoti (localizzazione e magnitudo) per fini di protezione civile. La Rete Accelerometrica Nazionale (RAN), attualmente è costituita da 388 strumenti, installati nelle aree a maggiore rischio sismico del territorio nazionale. Per preparare le strutture di Protezione Civile a gestire l’emergenza e fronteggiare un evento sono necessari specifici piani di emergenza. In essi devono essere individuati gli obiettivi da conseguire per organizzare un’adeguata risposta di protezione civile al verificarsi dell’evento. Un piano di emergenza predispone, pertanto, un sistema articolato di attivazione di uomini e mezzi, organizzati secondo un quadro logico e temporalmente coordinato, che costituisce il modello di intervento. Il dimensionamento delle risorse da mettere in campo si costistuisce in base agli scenari di danno, ossia strumenti di previsione del possibile danneggiamento e del conseguente coinvolgimento della popolazione. Tali scenari devono essere definiti, oltre che sulla scorta dei


Le tipologie di emergenza

Crepa nel terreno (fonte: auto.fanpage.it)

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Tenda mensa (fonte CRI Piemonte)

Misurazione sisma (fonte: unicam.it)

Rischio sismico Italia (fonte: Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia)

dati territoriali di esposizione e vulnerabilità, sulla base di eventi di riferimento il cui verificarsi sia ritenuto più probabile a seconda dell’intervallo di tempo selezionato. Nell’ambito delle attività dell’Ufficio III del Dipartimento della Protezione civile sono stati promossi e condotti studi per lo sviluppo di procedure, metodologie e strumenti operativi in grado di fornire scenari sismici per l’intero territorio nazionale. La conoscenza di uno scenario di danno permette di ottenere un quadro territoriale dell’area coinvolta dall’evento fornendo, quindi, informazioni, quali la localizzazione e l’estensione dell’area maggiormente colpita, la funzionalità delle reti dei trasporti, delle vie di comunicazione e delle linee di distribuzione, oltre che le perdite attese in termini di vite umane, feriti, senza tetto, edifici crollati e danneggiati ed il corrispondente danno economico. Questi dati sono di fondamentale importanza nelle attività di pianificazione e di gestione dell’emergenza da parte della Protezione civile. Nell’ambito della pianificazione, gli scenari di danno consentono di identificare e descrivere l’evento di riferimento, allo scopo di dimensionare le risorse umane, i materiali da utilizzare e la loro allocazione da prevedere nel piano. In tale attività, il Dipartimento supporta le Regioni nelle loro funzioni di pianificazione e indirizzo nei confronti degli Enti Locali minori, di Province, Comuni, Comunità Montane, fornendo, per uno o più eventi di riferimento, a cui corrispondono

diversi livelli di attivazione dei piani di Protezione civile, le informazioni riguardanti il loro impatto sul territorio. Nell’emergenza, invece, gli scenari di danno forniscono una descrizione immediata dell’evento reale e del suo impatto sul territorio e sulla popolazione e permettono di organizzare adeguatamente i soccorsi. Il Dipartimento ha predisposto un sistema informativo territoriale (GIS) in grado di generare, in tempo semi-reale, uno scenario di simulazione delle conseguenze dell’evento sismico. In caso di un terremoto, di magnitudo 5 o superiore, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia trasmette al Dipartimento i parametri focali (magnitudo e coordinate) dell’evento, attivando una procedura automatica per la generazione del rapporto che viene reso disponibile entro 10 minuti dall’evento. Il rapporto contiene dati, mappe e informazioni relativi a tutti i comuni compresi in un raggio di 100 km intorno all’epicentro. Il primo obiettivo di un programma generale di protezione dai terremoti è la salvaguardia della vita umana. Per questa ragione è molto importante valutare il numero delle persone coinvolte, ossia dei morti e dei feriti. I motivi che determinano la perdita di vite umane possono essere di diverso tipo. Da alcune statistiche effettuate sui principali terremoti nel mondo è stato rilevato che circa il 25 % dei morti causati da un terremoto sono dovuti a danni non strutturali degli edifici e a fenomeni successivi al terremoto e innescati da


7 questo. Generalmente è possibile stimare quante persone sono rimaste coinvolte, attraverso calcoli che si basano sul numero degli edifici crollati o danneggiati. Per poter effettuare una stima di quante persone sono rimaste coinvolte si considerano: • il numero delle persone che abitano un edificio • l’orario in cui avviene il terremoto • la capacità di scappare delle persone o di proteggersi • il tipo di coinvolgimento che può subire la persona (morte o ferite subìte) • la possibilità di morire anche successivamente alle attività di soccorso. Nei giorni immediatamente successivi ad un evento sismico, le valutazioni degli effetti del terremoto continuano attraverso azioni sul campo diversificate e finalizzate a determinare l’intensità macrosimica in ogni centro abitato e gli effetti geologici e idrogeologici (frane, fagliazioni superficiali, etc.) e ad effettuare un’azione di monitoraggio di dettaglio del terreno delle strutture, e delle scosse successive, mediante strumentazioni mobili. Tali azioni vengono svolte da squadre specializzate di ricercatori e tecnici, coordinate per il raggiungimento degli obiettivi di protezione civile dal Dipartimento. Superata la prima fase dell’emergenza, ovvero quella del soccorso immediato ai terremotati, nei giorni che seguono vengono effettuati rilevamenti dell’agibilità delle costruzioni, che richiedono la standardizzazione delle procedure ed un attento controllo qualitativo.

Le eruzioni vulcaniche Le eruzioni vulcaniche si verificano quando il magma (materiale solido, liquido e gassoso ad alta temperatura), proveniente dall’interno della Terra, fuoriesce in superficie. Le eruzioni vulcaniche vengono suddivise in effusive (colate di lava) o esplosive (con frammentazione del magma in brandelli di varie dimensioni chiamati piroclasti). I fenomeni pericolosi connessi all’attività vulcanica sono: colate di lava, caduta di materiali grossolani (bombe e blocchi), caduta e accumulo di materiali fini (ceneri e lapilli), colate piroclastiche, emissioni di gas, colate di fango (lahars), frane, maremoti (tsunami), terremoti, incendi. Fra questi, i fenomeni più pericolosi sono le colate piroclastiche e le colate di fango. Le frane vulcaniche e gli tsunami possono essere catastrofici ma sono poco frequenti. Le eruzioni vulcaniche possono avere durata variabile da poche ore a decine d’anni (il vulcano Kilauea nelle isole Hawaii è in eruzione dal 1986), possono avvenire dalla stessa bocca (es. Vesuvio) o da bocche che si aprono in punti diversi (es.

Capitolo1

Campi Flegrei, Etna). Possono inoltre essere classificate sulla base dell’intensità (misura della massa di magma emessa dal vulcano per unità di tempo (può giungere fino a 10 kg/s), della magnitudo (misura della massa totale di magma emesso, che può arrivare a 15 kg), ed il VEI Volcanic Explosivity Index (indice empirico che classifica l’energia delle eruzioni esplosive, che varia da 0 a 8). Si può definire come rischio vulcanico il valore atteso di perdite (vite umane, feriti, danni alle proprietà e alle attività economiche) dovuti al verificarsi di un evento di una data intensità, in una particolare area, in un determinato periodo di tempo; il rischio quindi è traducibile nell’equazione: R = P x V x E dove: P = Pericolosità (Hazard): è la probabilità che un fenomeno di una determinata intensità si verifichi in un certo periodo di tempo, in una data area; V = Vulnerabilità: la Vulnerabilità di un elemento (persone, edifici, infrastrutture, attività economiche) è la propensione a subire danneggiamenti in conseguenza delle sollecitazioni indotte da un evento di una certa intensità; E = Esposizione o Valore esposto: è il numero di unità (o “valore”) di ognuno degli elementi a rischio (es. vite umane, case) presenti in una data area2. Quanto maggiore è la probabilità di eruzione, tanto maggiore è il rischio; così pure, quanto maggiori sono i beni e la popolazione esposta, tanto maggiore è il danno che ne potrebbe derivare e quindi il rischio. Mediamente in Italia l’uso del territorio vicino ai vulcani, non ha tenuto conto della loro pericolosità, permettendo l’instaurarsi di situazioni di alto rischio. Esistono nel territorio numerosi vulcani, sia estinti, sia quiescenti, sia attivi. La comunità scientifica internazionale ha adottato dei criteri per classificare i vulcani rispetto al loro stato di attività: • Vulcani estinti: quelli la cui ultima eruzione risale ad oltre 10.000 anni fa. I principali vulcani italiani che rientrano in questa categoria sono: Monte Amiata, Vulsini, Cimini, Vico, Sabatini, Isole Pontine, Roccamonfina, Vulture. • Vulcani quiescenti: sono vulcani attivi che hanno dato eruzioni negli ultimi 10.000 anni, ma si trovano attualmente in una fase di riposo da tempo più o meno lungo. Secondo una definizione più rigorosa, si considerano quiescenti quei vulcani il cui tempo di riposo attuale è inferiore al più lungo periodo di risposo registrato in precedenza. In Italia si trovano in questa situazione: Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Salina, Lipari, Vulcano, Isola Ferdinandea, Pantelleria. • Vulcani attivi: quelli che hanno dato eruzioni negli ultimi anni. In Italia: Etna e Stromboli. 2

Definizione Protezione Civile


Le tipologie di emergenza

Il Dipartimento della Protezione Civile, direttamente o in collaborazione con altri enti facenti parte del sistema nazionale di protezione civile, svolge attività volte a mitigare il rischio vulcanico sul territorio italiano, adottando le misure opportune per ridurre le perdite di vite umane e di beni in caso di eruzione. Le attività si possono suddividere in: • sorveglianza dei vulcani e previsione delle eruzioni. Prevedere un’eruzione vulcanica significa prevedere dove e quando avverrà e di che tipo sarà. 
Per far ciò è necessario installare delle reti di monitoraggio che rilevano una serie di parametri fisico- chimici indicativi dello stato del sistema vulcanico e ogni loro eventuale variazione rispetto al livello di base individuato.
I principali fenomeni precursori consistono nell’innesco di fratture (terremoti) causato dall’induzione di tensioni meccaniche nelle rocce, nel rigonfiamento o cambiamento di forma dell’edificio vulcanico provocato dall’intrusione del magma, nelle variazioni del campo gravimetrico e magnetico nell’intorno dell’edificio vulcanico, nell’incremento e cambiamento di composizione delle emanazioni gassose dai crateri e dal suolo, nelle variazioni delle caratteristiche fisico chimiche delle acque di falda. I fenomeni, che accompagnano la risalita del magma, possono essere rilevati da opportune reti strumentali fisse, in acquisizione 24 ore al giorno, oppure attraverso la reiterazione periodica di campagne di misura. La sorveglianza dei vulcani italiani è condotta e coordinata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che opera in convenzione con il Dipartimento della Protezione Civile, attraverso le proprie Sezioni preposte al monitoraggio vulcanico. Per la previsione dei possibili scenari eruttivi futuri occorre effettuare studi sulla storia eruttiva del vulcano in oggetto. Un altro importante contributo è dato dagli studi geofisici (gravimetrici e di tomografia sismica) volti a definire quale sia la struttura profonda del vulcano e il suo stato attuale. • prevenzione dal rischio vulcanico. Fra le attività di prevenzione rientrano gli studi di pericolosità: le previsioni sul tipo di eruzione attesa, la definizione degli scenari di riferimento e l’elaborazione di mappe di pericolosità e rischio. Una volta individuato il tipo di eruzione più probabile, è possibile predisporre scenari eruttivi e mappe di pericolosità e rischio. I piani di emergenza, stilati sulla base di uno o più scenari eruttivi e delle corrispondenti mappe di pericolosità, prevedono tutte le azioni da intraprendere in caso di crisi e contemplano l’evacuazione della popolazione dalle aree esposte a pericolo. Sono stati elaborati i piani nazionali di emergenza vulcanica per il Vesuvio e i

8 Campi Flegrei, mentre altri piani analoghi sono in corso di stesura per i vulcani siciliani. La Pianificazione territoriale è fondamentale per evitare nuove costruzioni nelle aree esposte; ma non solo, è necessaria un’attività di educazione e informazione delle popolazioni esposte: il Dipartimento della Protezione Civile promuove infatti lo sviluppo di iniziative educative, soprattutto nelle scuole, volte a incrementare la conoscenza dei rischi, dei piani di emergenza, delle norme di comportamento da osservare in caso di crisi; e infine è previsto in caso di eruzione dei vulcani italiani, che il Dipartimento della Protezione Civile intervenga con propri uomini e mezzi sui territori interessati dai fe nomeni vulcanici, per attuare i piani di emergenza, soccorrere le popolazioni esposte e mitigare gli effetti dannosi, attivando e coordinando iniziative di difesa attiva (es. deviazione delle colate laviche) o passiva (es. evacuazione pianificata, raccolta e smaltimento ceneri, distribuzione di dispositivi di autoprotezione per la caduta di ceneri). Inoltre il sito della protezione civile mette a disposizione una serie di norme comportamentali da tenere in caso di emergenza ed un elenco di informazioni utili per tutti coloro che potrebbero essere soggetti a questo tipo di calamità.

Gli Tsunami Quando un terremoto avviene al di sotto di un fondale marino, l’improvviso movimento verticale di una parte del fondo puó generare un’onda di marea detta tsunami. Tale onda si propaga anche a grandissime distanze e puó provocare gravi devastazioni nel momento in cui raggiunge le coste. L’energia di uno tsunami è costante, in funzione della sua altezza e velocità: quando l’onda si avvicina alla terra, la sua altezza aumenta mentre diminuisce la sua velocità. Le onde viaggiano a velocità elevate, senza essere notabili quando attraversano le acque profonde, ma la loro altezza può crescere fino a 30 metri quando raggiungono la linea costiera. La velocità di uno tsunami può arrivare a 500-1000 km/h in pieno oceano fino a ridursi a circa 90 km/h in prossimità delle coste. Alcuni tsunami riescono a propagarsi per migliaia di chilometri. Questi tsunami di grande lunghezza sono generalmente di origine tettonica, poiché gli scivolamenti del terreno in acqua e le esplosioni vulcaniche causano di solito onde di minore lunghezza che si dileguano velocemente. La forza distruttiva di uno tsunami è data dall’altezza della colonna d’acqua sollevata, perciò un terremoto in pieno oceano può essere estremamente pericoloso, perché può essere in grado di sollevare e spostare tutta l’acqua presente al di sopra del fondale marino, anche se solo di pochi centimetri. Questa enorme massa


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Eruzione vulcanica (fonte: ecologiae.com)

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Edificio dopo l’eruzione (fonte: blogspot.com)

Tsunami (fonte: acehtsunami.com)

Tsunami Australia (fonte: livesaildie.com)

d’acqua spostandosi in prossimità delle coste trova un fondale marino sempre più basso e perciò tende a sollevarsi ulteriormente. Nessuna barriera portuale è in grado di contrastare un’onda di questo tipo. Al momento non esiste alcun modello affidabile in grado di correlare il verificarsi di un evento sismico alla generazione di uno Tsunami. L’unico modo per misurare l’effettiva generazione di uno Tsunami è tramite la misurazione del livello marino. Attualmente misurazioni per l’inoltro di allarmi precoci, con il necessario livello di attendibilità, possono essere effettuate soltanto tramite l’impiego di sistemi posizionati sul fondo marino e capaci di trasmettere in tempo reale i dati acquisiti. A causa dell’elevata velocità di propagazione degli Tsunami sugli alti fondali e, supponendo di voler disporre di almeno un’ora di preavviso, sarà dunque necessario dispiegare le piattaforme ad una distanza di circa mille chilometri dalla costa che si intende allertare. Naturalmente in questo caso la sorgente tsunami-genica dovrà essere ad una distanza maggiore. Sono in corso al momento numerosi esperimenti volti alla determinazione di un modello affidabile capace di correlare le rilevazioni sismiche alla generazione di Tsunami. Nessuno di questi sistemi può proteggere completamente contro uno tsunami se questo è innescato da un fenomeno molto vicino alla linea di costa in quanto non sarebbe possibile allertare la popolazione in tempo. Un notevole

contributo potrà essere fornito dallo studio di Tsunami di piccola entità (baby Tsunami) e dalla loro correlazione con eventi sismici di modesta intensità, rilevati direttamente sul fondo oceanico in addenda alle reti sismiche terrestri. Progetti in tal senso orientati sono in corso anche in Italia.

Disastri di origine atmosferica Il meccanismo che genera i disastri naturali di origine atmosferica è alla base molto simile a quello che genera la deriva dei continenti. Come nell’astenosfera si creano celle di convezione in cui il magma più caldo dell’interno sale verso l’esterno, si raffredda, riscende verso l’interno dove si riscalda nuovamente, cosí nell’atmosfera le masse d’aria più calda che si trovano negli strati bassi hanno tendenza a salire, quindi a raffreddarsi, per poi discendere o disperdersi. Il meccanismo atmosferico ha peró due particolarità, che sono determinanti nella genesi delle catastrofi. Innanzitutto, il movimento dell’aria da zone più calde e di pressione più alta verso zone più fredde e di pressione più bassa non avviene con moto lineare come nelle celle di convezione classiche. L’aria segue un movimento a spirale simile al vortice. L’aria quindi segue un percorso molto più lungo tra alta e bassa pressione, e quindi deve muoversi più velocemente: quando la differenza di pressione è alta (come nei casi


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Le tipologie di emergenza

Tifone (fonte: Mainichi Shimbun)

estremi di uragani e trombe d’aria) si possono avere venti di velocità non lontana dai 500 km/h. L’altra particolarità è legata al concetto di umidità relativa. La quantità di acqua che puó essere contenuta in un determinato volume d’aria dipende dalla temperatura dell’aria stessa. Aria più calda puó contenere una quantità di acqua molto maggiore e quando quest’aria calda e umida si raffredda, l’acqua passa dallo stato gassoso a quello liquido, ovvero pioggia.

Il tifone Un tifone (definizione usata in Asia) o uragano (definizione usata nei Caraibi) o più generalmente ciclone è la manifestazione più violenta della dinamica dell’atmosfera. L’acqua degli oceani tropicali, riscaldata dal sole estivo, evapora, creando colossali masse di aria calda e molto umida che sale verso gli strati alti e freddi della troposfera. Con un differenziale di temperatura che puó arrivare facilmente a 80 gradi centigradi, tale movimento puó essere letteralmente catastrofico: il vento nelle zone immediatamente circostanti il cosiddetto occhio del ciclone puó, come abbiamo detto, raggiungere i 500 km/h. Nello stesso tempo, le enormi quantità d’acqua disciolte nell’aria calda degli strati bassi escono dalla sospensione e precipitano sotto forma di pioggie torrenziali nelle zone relativamente più periferiche del sistema.

L’intensità dei cicloni viene definita con la scala Safir/Simpson: • Categoria 1 (venti di 120/150 km/h). Danni principalmente ad arbusti, alberi con fogliame e casupole. Nessuno vero danno a altre strutture. Alcuni danni alla segnaletica leggera. Strade litoranee basse allagate, danno lievi alle banchine, alcune piccole imbarcazioni lacerano gli ormeggi. • Categoria 2 (venti di 150/180 km/h) Danno considerevole agli arbusti e alberi con fogliame; caduta di piccoli alberi. Danni a case mobili. Estesi danni alla segnaletica leggera. Alcuni danni ai tetti di edifici; finestre e porte. Nessun maggiore danno a edifici. Dalle strade basse della costa la fuga verso il retroterra inizia da 2 a 4 ore che arrivi il centro dell’uragano. Danno considerevole a banchine. Porticcioli allagati. Piccole imbarcazioni fuori dal porto lacerano gli ormeggi. Evacuazione delle residenze costiere. • Categoria 3 (venti di 180-210 km/h). Tutto il fogliame viene staccato, caduta di grandi alberi. Quasi tutta la segnaletica viene abbattuta. Tetti e porte di abitazioni danneggiati, e danni a piccole case. Case mobili distrutte. Consistenti allagamenti sulla costa, e piccole strutture adiacenti distrutte, strutture più grandi danneggiate dalle onde e frammenti galleggianti. Le strade basse costiere vengono


11 allagate da 3 a 5 ore prima dell’arrivo del centro dell’uragano. I terreni sopra il livello del mare di 5 feet, vengono allagati per 8 miglia o più. Evacuazione di interi isolati di abitazioni costiere. • Categoria 4 (venti di 210-250 km/h). Abbattuti arbusti e alberi e tutta la segnaletica. Danni estesi alle coperture, tetti e finestre e porte. Spazzati i tetti di molte residenze piccole. Completa distruzione di case mobili. I terreni sopra il livello del mare di 10 feet, vengono allagati per 6 miglia. Danni maggiori alle strutture vicino alla spiaggia dovuti a allagamenti e infrangere di onde e frammenti galleggianti. Le vie di fuga verso il retroterra vengono tagliate fuori da 3 a 5 ore prima che arrivi il centro dell’uragano. Considerevole erosione delle spiagge. Massiccia evacuazione di tutte le residenze fra 500 metri e la costa, dove necessario fino a 2 miglia dalla costa. • Categoria 5 (venti di 250 km/h e oltre). Arbusti e alberi abbattuti; considerevoli danni a tetti di edifici; tutti la segnaletica divelta. Danno molto severo e esteso a finestre e porte. Rovina completa di tetti su molte residenze e edifici industriali. Estese rotture di vetri di finestre e porte. Rovina di interi edifici. Edifici piccoli rovesciati o soffiati via. Distruzione completa di case mobili. Maggiori danni di tutte le strutture a non meno di 5 metri sopra di livello del mare a 500 metri dalla costa. Le vie di fuga verso il retroterra vengono tagliate fuori da 3 a 5 ore prima che arrivi il centro dell’uragano. Eventuale richiesta di massiccia evacuazione di aree residenziali su terreno basso fra 5 a 10 miglia dalla spiaggia.

Le piogge torrenziali Altri fenonemi atmosferici, simili nella genesi ma estremamente meno importanti per dimensioni, sono responsabili di altri gravi catastrofi naturali. Grossi temporali, anche relativamente localizzati, possono infatti scaricare quantità d’acqua assolutamente impressionanti in brevissimi spazi di tempo. Non è raro che, nel corso di questi eventi estremi, si registri nel corso di qualche ora una quantità di pioggia pari all’80-90% di tutta la piovosità media annuale. Le pioggie torrenziali, anche se di breve intensità, non vengono assorbite dal terreno montagnoso e precipitano a valle, aumentano drammaticamente la portata dei fiumi che possono superare gli argini ed inondare le zone circostanti. Questo fenomeno di inondazione puó propagarsi anche a grandissime distanze (migliaia di km) come nel caso delle pioggie monsoniche che cadono in Nepal e che ogni anno provocano devastanti inondazioni in Bangladesh, dove i grandi fiumi che nascono tra le montagne hanno

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i loro estuari. Per quanto riguarda i sistemi di prevenzione meteorologica, dal 1943 vengono effettuate missioni dell’aeronautica militare per misurare la velocità e la direzione del vento degli uragani, le dimensioni dell’occhio e le pressioni raggiunte al suo interno, nonché la struttura termica dell’intera perturbazione. Un sistema coordinato per seguire gli spostamenti degli uragani è stato sviluppato alla metà degli anni Cinquanta, e successivamente perfezionato. Radar, dispositivi di rilevamento su boe galleggianti, satelliti meteorologici in orbita geostazionaria e altri dispositivi, inviando dati ai centri di sorveglianza degli uragani, permettono di seguire lo sviluppo di queste tempeste fin dalle loro prime fasi. In Italia le alluvioni più importanti che hanno comportato un pesante bilancio sia in termini di vite umane che di danni, sono state quelle del Po nel Polesine (1951), dell’Arno (1966) e del Po nel Nord Italia (1994 e 2000). I fenomeni alluvionali censiti nella Banca dati del Progetto AVI (Aree Vulnerate Italiane) sono state nel periodo tra il 1918 e il 1994 oltre 28.000 ed hanno interessato più di 15.000 località. Inoltre, in un rapporto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e dell’Unione delle Province d’Italia del 2003 viene riportato che in Italia le aree a rischio elevato e molto elevato di alluvione sono diverse migliaia e coprono una superficie di 7.774 kmq, pari al 2,6 % della superficie nazionale. Il territorio italiano è interessato, con frequenza sempre maggiore, da alluvioni che avvengono con precipitazioni che possono anche non avere carattere di eccezionalità. Tra le cause dell’aumento della frequenza dei fenomeni vi sono senza dubbio l’elevata antropizzazione e la diffusa impermeabilizzazione del territorio, che impedendo l’infiltrazione della pioggia nel terreno, aumentano i quantitativi e le velocità dell’acqua che defluisce verso i fiumi, la mancata pulizia degli stessi e la presenza di detriti o di vegetazione che rende meno agevole l’ordinario deflusso dell’acqua. Molti bacini idrografici, presenti soprattutto in Liguria e Calabria, sono caratterizzati da tempi di sviluppo delle piene dell’ordine di qualche ora; per tale motivo, è fondamentale allertare gli organi istituzionali presenti sul territorio con il maggior anticipo possibile, al fine di ridurre l’esposizione delle persone agli eventi e limitare i danni al territorio.


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Le tipologie di emergenza

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Alluvione (fonte: live.com)

Disastri di origine idrogeologica L’idrogeologia è la disciplina delle scienze geologiche che studia le acque sotterranee, anche in rapporto alle acque superficiali. Con “dissesto idrogeologico” e “rischio idrogeologico” si definiscono i fenomeni e i danni reali o potenziali causati dalle acque in generale, superficiali o sotterranee. Le manifestazioni più comuni sono costituite da frane e alluvioni, seguite da erosioni costiere, subsidenze e valanghe. In Italia il rischio idrogeologico si presenta in modo differente a seconda delle caratteristiche geomorfologiche del territorio. I fattori naturali che favoriscono il manifestarsi di frane ed alluvioni, dipendono dalla conformazione geologica e geomorfologica. I territori caratterizzati da un’orografia giovane e da rilievi in via di sollevamento sono tra i più predisposti per questo genere di fenomeni. L’azione dell’uomo ha notevole influenza sul rischio idrogeologico, il quale risulta condizionato dalle continue modifiche del territorio. In alcuni tale azione ha favorito l’accadimento dei fenomeni, aumentando il rischio per gli individui incrementando la presenza di beni e di persone in zone in cui era più probabile il manifestarsi degli eventi (abusivismo edilizio, il disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, le cave di prestito, l’occupazione di aree di

pertinenza fluviale, l’estrazione di fluidi- acqua e gas- dal sottosuolo, il prelievo abusivo di inerti dagli alvei fluviali, la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua), amplificandone gli effetti catastrofici. Queste azioni hanno aggravato il dissesto territoriale aumentando la fragilità del territorio italiano. Il continuo verificarsi di questi episodi ha indotto una politica di gestione del rischio che affrontasse il problema non solo durante le emergenze. Si è così passati ad una cultura di previsione e prevenzione sull’individuazione delle condizioni di rischio e volta all’adozione di interventi finalizzati alla minimizzazione dell’impatto degli eventi. Sono state inoltre incrementate ed accelerate le iniziative volte alla creazione di un efficace sistema di allertamento e di sorveglianza dei fenomeni e alla messa a punto di una pianificazione di emergenza volta a coordinare in modo efficace la risposta delle istituzioni agli eventi. Il dissesto idrogeologico rappresenta per il nostro Paese un problema di notevole rilevanza, visti gli ingenti danni arrecati ai beni e, soprattutto, la perdita di moltissime vite umane.

Le frane “Frana”, in geologia, è il termine generico per indicare il distacco e la caduta lungo un pendio, con accumulo alla base, sia di masse rocciose sia di materiali sciolti, per azione prevalente della


13 gravità, in ambiente subaereo o sottomarino.” (Treccani 2010) Nelle frane si distinguono tre zone: • la zona o nicchia di distacco (luogo in cui si presenta il distacco di materiale); • la zona di scorrimento (il luogo di transito del materiale); • la zona di accumulo (dove cessa il movimento e il materiale si accumula). Le frane si caratterizzano in base alla tipologia ed alle cause del movimento, dalla durata e ripetitività del movimento, dal tipo e dalle proprietà meccaniche del materiale interessato, dalle caratteristiche e dalla preesistenza della superficie di distacco o di scorrimento. Frane di crollo: il termine si riferisce ad una massa di terreno o di roccia che si stacca da un versante molto acclive o aggettante e che si muove per caduta libera con rotolamenti e/o rimbalzi. Il movimento è estremamente rapido. Gli scorrimenti: caratterizzati da deformazione di taglio e spostamento lungo una o più superfici di rottura localizzate a diversa profondità nel terreno. La massa dislocata si muove lungo la superficie che rappresenta il limite tra la zona instabile e quella stabile. A seconda della morfologia della superficie di separazione, si distinguono due tipi di scorrimenti: rotazionali (superficie curva) o traslazionali (superficie piana o leggermente ondulata). I colamenti: si ha una deformazione continua nello spazio di materiali lapidei e sciolti; il movimento non avviene sulla superficie di separazione fra massa in frana e materiale in posto, ma è distribuito in modo continuo anche nel corpo di frana. I colamenti coinvolgono sia materiali rocciosi o detritici, che sciolti, ed in questo caso l’aspetto del corpo di frana è chiaramente quello di un materiale che si è mosso come un fluido. Questi ultimi tipi di colamenti sono molto rapidi (si parla, infatti, anche di colate rapide di fango). Dal punto di vista di Protezione Civile, le frane presentano condizioni di pericolosità diverse a seconda della massa e della velocità del corpo di frana: esistono, infatti, dissesti franosi a bassa pericolosità poiché sono caratterizzati da una massa ridotta e da velocità costante e ridotta su lunghi periodi; altri dissesti, invece, presentano una pericolosità più alta poiché aumentano repentinamente di velocità e sono caratterizzati da una massa cospicua. In Italia le frane sono molto diffuse a causa delle condizioni orografiche e della conformazione geologica del territorio, giovane ed in via di sollevamento. L’impatto socio-economico dei fenomeni franosi in Italia è rilevantissimo e fa sì che il nostro paese sia tra i primi al mondo nella classifica dei danni in termini economici e, soprattutto, in termini di perdita di vite umane.

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Le erosioni costiere e le mareggiate L’ambiente costiero è un sistema altamente dinamico dove i fenomeni di erosione, e quindi di arretramento, o di avanzamento della linea di costa sono controllati da numerosi fattori meteoclimatici, geologici, biologici ed antropici. Sebbene in generale il “clima” sia da considerarsi come il principale motore degli agenti modificatori, localmente ciascuno degli altri parametri può assumere una prevalenza significativa. Si può in particolare pensare a: • subsidenza naturale o indotta da estrazioni di fluidi dal sottosuolo; • ruolo di difesa delle piane costiere da parte dei sistemi dunali; • mancato apporto di sedimenti verso costa causato dall’alterazione dei cicli sedimentari per intervento antropico nei bacini idrografici (sbarramenti fluviali, regimazioni idrauliche, estrazioni di materiali alluvionali); • influenza sulla dinamica litoranea dei sedimenti intercettati dalle opere marittime (opere portuali e di difesa) e delle infrastrutture viarie e urbanistiche costiere. In un paese costiero quale l’Italia, il problema dell’erosione costiera è molto diffuso. Negli ultimi decenni, a causa dei prelievi indiscriminati di ghiaia e di sabbia lungo l’alveo di molti fiumi italiani, è diminuito l’apporto del trasporto solido fluviale recapitato alle spiagge. Per tale motivo, in numerosi litorali la linea di costa è vistosamente arretrata, portandosi a ridosso di infrastrutture viarie, edifici, insediamenti industriali, minacciandone la stessa esistenza e costringendo talvolta la popolazione ad evacuare l’area. Il problema è stato inoltre aggravato dalle mareggiate che, con frequenza variabile, si abbattono sulle coste e modificano, in modo anche sostanziale, la morfologia della linea di costa.

Le subsidenze e gli sprofondamenti La subsidenza consiste in un lento processo di abbassamento del suolo, che può coinvolgere territori di estensione variabile. Tale fenomeno è generalmente causato da fattori geologici, ma negli ultimi decenni è stato localmente aggravato dall’azione dell’uomo ed ha raggiunto dimensioni superiori a quelle di origine naturale. Le subsidenze prodotte o aggravate da azioni antropiche possono essere date da emungimento di acque dal sottosuolo, estrazione di gas o petrolio, carico di grandi manufatti, estrazione di solidi, etc...: in questo caso i valori totali possono essere anche di qualche metro. La subsidenza naturale è causata da molteplici fattori: movimenti tettonici, raffreddamento di magmi all’interno della crosta terrestre, costipamento di sedimenti, etc...;


Le tipologie di emergenza

i movimenti verticali di tipo naturale possono raggiungere valori di qualche millimetro l’anno. In Italia i fenomeni di lenta subsidenza si sono verificati lungo la fascia costiera adriatica da Rimini a Venezia (dove questo fenomeno è particolarmente noto), specialmente nei pressi del Delta del Po, ma anche nei dintorni di agglomerati urbani come Milano, Bologna e Modena, in questi casi soprattutto per l’estrazione di acqua dal sottosuolo. Casi più recenti sono stati segnalati in Puglia, nella Piana di Sibari e nella Pianura Pontina. Un problema solo per alcuni versi affine a quello della subsidenza, ma che ha, al contrario del primo, importanti ricadute di protezione civile, è quello degli sprofondamenti rapidi (sinkholes). Tali fenomeni sono dovuti sia a cavità naturali presenti nel sottosuolo che a cavità realizzate dall’uomo fin dall’antichità (cave in sotterraneo, ambienti di vario uso, depositi, acquedotti, fognature, drenaggi ecc). In Italia i fenomeni di dissesto provocati da cavità sotterranee sono frequenti ed hanno determinato spesso ingenti danni materiali e, in molti casi, anche la perdita di vite umane. Relativamente agli aspetti di Protezione Civile si sottolinea che il rischio legato alle cavità sotterranee è particolarmente diffuso nelle aree urbane dove l’azione dell’uomo ha portato alla creazione di vuoti nel sottosuolo per la maggior parte dei quali si è persa la consapevolezza dell’esistenza, a causa soprattutto della incontrollata crescita urbanistica degli ultimi decenni. In considerazione delle oggettive difficoltà che si incontrano in tali aree per addivenire ad una corretta analisi della pericolosità, il Dipartimento della protezione civile ha avviato un progetto finalizzato alla definizione dei criteri tecnicoscientifici per l’individuazione delle cavità, per l’analisi della loro pericolosità e per la definizione degli interventi più efficaci da realizzare sia in fase di emergenza che in fase di prevenzione a medio e lungo termine.

Le valanghe Le valanghe (o slavine) sono costituite da masse nevose che si distaccano in modo improvviso dai pendii di un rilievo, precipitando verso valle ed accrescendosi di volume durante il percorso. Il pericolo delle valanghe è fortemente legato alla presenza turistica in montagna e quindi della maggiore esposizione sia delle persone che degli edifici e delle infrastrutture al rischio. La classificazione delle valanghe non è delle più semplici a causa delle notevoli variabili che entrano in gioco (tipo di distacco, tipo di neve, posizione del piano di scorrimento, etc...). Secondo la terminologia adottata in recenti pubblicazioni dell’AINEVA (Associazione Interregionale Neve

14 e Valanghe), con riferimento al tipo di distacco, si parla di distacco puntiforme, che genera una valanga di neve a bassa coesione oppure di distacco lineare che dà luogo ad una valanga a lastroni. E’ molto importante, per le valanghe (che possono essere sia spontanee che innescate), determinare se si tratti di valanghe di superficie o di fondo: se la rottura avviene all’interno del manto nevoso, si ha una valanga di superficie, mentre se avviene a livello del terreno, la valanga è detta di fondo. Le valanghe possono essere poi radenti (a contatto con la superficie) o nubiformi (queste ultime sono dette anche polverose e possono essere costituite da neve asciutta). In Italia, per quanto riguarda gli incidenti da valanga, i dati raccolti dall’AINEVA indicano che sulle Alpi in questi ultimi 25 anni sono morte mediamente una ventina di persone ogni anno sul versante italiano. Per proteggere in modo efficiente la vita dei cittadini e l’integrità delle infrastrutture, occorre prefigurare gli eventi possibili in un’area, individuando quali potrebbero essere i danni e le attività da porre in essere prima, durante e dopo un’emergenza: proprio per questo motivo le attività di previsione e prevenzione hanno acquisito maggiore rilievo rispetto a quanto avveniva in un pur recente passato. Le attività di previsione e prevenzione si basano su un collegamento sempre più stretto tra protezione civile ed il mondo della ricerca scientifica, con nuovi sistemi tecnologici di raccolta ed elaborazione delle informazioni, con centri di elaborazione dei dati in grado di segnalare con il massimo anticipo possibile le probabilità che si verifichino eventi catastrofici, con l’elaborazione di sofisticate ed efficienti cartografie di rischio, con la promozione di strumenti normativi e tecnici finalizzati alla prevenzione ed mitigazione dei danni. I Centri funzionali, il piano radar, il monitoraggio idropluviometrico, le reti di trasmissione dei dati sono solo alcuni degli strumenti che la protezione civile sta mettendo in campo al fine di meglio assolvere ai propri compiti istituzionali. Nel caso del rischio idrogeologico, le attività di previsione consentono di poter comprendere quali sono i fenomeni attesi, in particolar modo eventi meteorologici estremi. A tal fine concorre l’uso coordinato di tecniche e conoscenze sofisticate, quali la meteorologia applicata, con il perfezionamento di modelli meteorologici numerici, le immagini da satellite sia geostazionario che polare, i radar meteorologici, i modelli afflussi/ deflussi, i modelli idraulici, etc... Se la previsione è dunque orientata all’individuazione dei fenomeni e ad una predizione degli effetti attesi, la prevenzione è invece imperniata sul concetto di riduzione del rischio. Le attività di prevenzione sono volte dunque


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Frana (fonte: comunita-montana.re.it)

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Erosione costiera (fonte: panoramio.com)

Subsidenza (fonte: protezionecivile.it)

Valanga (fonte: aostasera.it)

all’adozione di provvedimenti finalizzati all’eliminazione o attenuazione degli effetti al suolo previsti. Gli interventi di tipo preventivo possono essere strutturali o non strutturali. I primi consistono in opere di sistemazione attiva o passiva, che mirano a ridurre la pericolosità dell’evento, abbassando la probabilità di accadimento oppure attenuandone l’impatto. Esempi di interventi strutturali sono costituiti da argini, vasche di laminazione, sistemazioni idraulico-forestali, consolidamento dei versanti, etc... Gli interventi non strutturali consistono in quelle azioni finalizzate alla riduzione del danno attraverso l’introduzione di vincoli che impediscano o limitino l’espansione urbanistica in aree a rischio, la pianificazione di emergenza, la realizzazione di sistemi di allertamento e di reti di monitoraggio. Gli strumenti previsionali insieme alle reti di monitoraggio idro-pluviometrico consentono di mettere in atto un sistema di allertamento e sorveglianza in grado di attivare per tempo la macchina di protezione civile nel caso di eventi previsti o in atto la cui intensità stimata o misurata superi delle soglie di criticità prefissate. Il superamento di tali soglie porterà alla realizzazione delle attività previste nella pianificazione di emergenza e in particolare di quelle per la tutela dell’incolumità delle persone. Il Dipartimento inoltre coordina iniziative tecnicoscientifiche, anche a carattere europeo, finalizzate alla conoscenza del rischio ambientale ed alla

mitigazione degli effetti degli eventi estremi. Ad esempio, Il Dipartimento della Protezione Civile si sta avvalendo in modo intensivo dei contributi e della consulenza della comunità tecnicoscientifica per la fase di realizzazione dei Centri Funzionali, una rete di centri regionali di raccolta e di elaborazione di dati di natura meteorologica, idropluviometrica, idrologica, idraulica e geologica, che costituisce fondamentale supporto alla decisione per l’emissione di messaggi di allerta per rischio idrogeologico ed idraulico (inondazioni, frane, valanghe, mareggiate, etc.), ed anche per il piano radar, consistente nell’acquisizione ed installazione di una rete radar nazionale in modo tale da “coprire” l’intero territorio nazionale, per effettuare previsioni a brevissima scadenza (nowcasting). Un efficace contributo viene fornito dalla meteorologia numerica applicata alla valutazione del rischio idrogeologico connesso ad un determinata classe di fenomeni definiti estremi. Conoscere in modo quantitativo i parametri atmosferici, in particolar modo l’intensità di precipitazione, la sua fase (acqua, neve, grandine), la tipologia dell’evento (convettivo, stratiforme, etc.) e la dinamica spazio-temporale dello stesso evento, consente di stimare, sia pur in modo approssimato, quali saranno i relativi effetti al suolo e le conseguenze per la popolazione, per i beni e le infrastrutture. La previsione di una situazione di avverse


Le tipologie di emergenza

condizioni meteorologiche viene effettuata tramite una approfondita analisi tanto del quadro a grande scala quanto degli scenari che si verificheranno a scale spazio-temporali più ridotte, tramite l’utilizzo combinato e fortemente interconnesso di numerosi supporti informativi ed informatici: da un lato i dati riguardanti le osservazioni al suolo ed in quota, utili a definire nel dettaglio lo stato presente dell’atmosfera in tutti i suoi strati, ed essenziali per formulare previsioni nel brevissimo termine, dall’altro i prodotti della modellistica numerica, indispensabili per comporre il quadro dei possibili scenari che si verificheranno nel breve e medio termine. Per quanto riguarda le osservazioni, ai convenzionali messaggi della rete di stazioni in quota ed al suolo, si affiancano i prodotti del telerilevamento: principalmente le immagini da satellite e le mappe prodotte dai radar meteorologici, che forniscono un insostituibile strumento osservativo e la cui copertura del territorio nazionale è prevista in decisivo aumento nei prossimi anni. Oltre che costituire un elemento essenziale per conoscere nel dettaglio lo stato presente dell’atmosfera (e quindi per inizializzare correttamente le previsioni a breve e medio termine), tutte queste informazioni di carattere osservativo sono ancor più direttamente indispensabili al fine di formulare accurate previsioni valide per l’immediato (riguardanti cioè l’arco temporale delle 2-3 ore immediatamente successive e scale spaziali ridottissime), fornendo quindi un importante supporto durante la fase di gestione di situazioni di allerta o di emergenza. Quando inizia un evento meteorologico, è fondamentale monitorarlo, seguirne il corso delle fenomenologie atmosferiche e degli effetti al suolo, in particolar modo, la quantità e la localizzazione delle piogge cadute e la variazione del livello idrometrico dei fiumi, per poter descrivere i fenomeni e delinearne anche l’evoluzione futura. A tal fine, viene installata una rete di monitoraggio, costituita da un certo numero di sensori in telemisura, in grado cioè di trasmettere in tempo reale i dati rilevati ai centri di raccolta e di elaborazione. Il monitoraggio serve dunque a fornire informazioni integrate che confermano la situazione prevista o la aggiornano in funzione di un’evoluzione imprevista. Tale fase viene assicurata con l’ausilio dei dati a terra integrati da dati di remote sensing, disponibili in tempo reale. Un esempio di remote sensing estremamente utile per il monitoraggio è costituito dai radar meteorologici, che consentono di rilevare fenomeni che interessino aree vaste con una risoluzione spazio-temporale di gran lunga maggiore di quella che si può ottenere con i satelliti geostazionari attualmente operativi. Lo sviluppo delle tecniche di monitoraggio si basa inoltre sulla messa a punto di una serie di

16 livelli di allerta pluviometrici (“soglie”) da definire caso per caso, a seconda delle condizioni climatologiche, geologiche e geomorfologiche. E’ essenziale a tal fine disporre di una fitta rete di sensori. Il territorio nazionale è coperto, sia pure in modo disomogeneo, da una rete di pluviometri e idrometri in telemisura.

Altri disastri Gli incendi boschivi L’ incendio è un fuoco (o combustione) non controllato che si sviluppa senza limitazioni nello spazio e nel tempo dando luogo, ove si estende, a: • calore • fumo • gas • luce Un incendio può essere provocato da diverse cause sia naturali (autocombustione, fulmini, ecc) che per mano dell’uomo per motivi casuali, leciti o illeciti (fortuito, provocato o doloso). Affinché avvenga un incendio è necessario che siano presenti tre elementi fondamentali (le “tre C” o triangolo del fuoco): • il combustibile: i materiali infiammabili sono classificati in base alla loro reazione al fuoco in 7 classi da 0 (incombustibile) a 6 • il comburente: ruolo svolto usualmente dall’ossigeno • il calore: è necessaria la presenza di un’adeguata temperatura affinché avvenga l’innesco Combustibile e comburente devono essere presenti in proporzioni adeguate definite dal campo di infiammabilità. Se non sono presenti uno o più dei tre elementi della combustione, questa non può avvenire e - se l’incendio è già in atto- si determina l’estinzione del fuoco. Le fasi di un incendio sono: • Ignizione: fase principale dell’incendio, dove i vapori delle sostanze combustibili, siano esse solide o liquide, iniziano il processo di combustione e la combustione è facilmente controllabile. • Propagazione: caratterizzato da basse temperatura e scarsa quantità di combustibile coinvolta; il calore propaga l’incendio e si determina un lento innalzamento della temperatura, con emissione di fumi. • Flash Over: brusco innalzamento della temperatura ed aumento massiccio della quantità di materiale che partecipa alla


17 combustione. • Incendio generalizzato: tutto il materiale presente partecipa alla combustione, la temperatura raggiunge valori elevatissimi (anche oltre 1000 °C) e la combustione è incontrollabile. • Estinzione: fase finale di conclusione della combustione per Esaurimento (termine dei combustibili) e/o Soffocamento (termine del comburente, solitamente voluta per l’auto estinzione di braceri ad alta temperatura). • Raffreddamento: fase, solitamente, postconclusiva dell incendio e che comporta il raffreddamento della zona interessata ed è in concomitanza con il solidificarsi al suolo delle sostanze volatili più “pesanti” dei residui della combustione. In Italia i boschi ricoprono oltre 9.800.000 ettari del territorio, pari a circa il 32% dell’intera superficie nazionale. Negli ultimi 20 anni gli incendi boschivi hanno distrutto circa 1.100.000 ettari di superficie boscata. Le cause del fenomeno sono per il 34% dovute a comportamenti errati e a disattenzione. Nella lotta contro il fuoco, riveste grande importanza l’attività di previsione e prevenzione. A tale scopo il Dipartimento della protezione civile ha diramato alle Regioni le linee guida per l’attuazione dei piani regionali antincendio boschivi. Questi piani, aggiornati ogni tre anni ed elaborati su base provinciale, portano alla realizzazione della cosiddetta carta del rischio: su di essa vengono indicati i boschi da difendere e viene segnalata la presenza di eventuali acquedotti, bacini e serbatoi d’acqua, piazzole per elicotteri, piste forestali percorribili da fuoristrada e così via. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, a norma dell’art.5, comma 2, della legge 9 novembre 2001, n. 401, ha emanato gli “indirizzi operativi per fronteggiare il rischio incendi” rivolti alle amministrazioni statali e regionali competenti.

La siccità Con il termine calamità naturali si è soliti indicare non solo le catastrofi che potremmo definire « ad insorgenza immediata » come terremoti, cicloni ed inondazioni, ma anche eventi che insorgono e si evolvono durante un periodo di tempo molto più lungo. È questo il caso della siccità, che rappresenta peró un argomento di accesa discussione tra gli specialisti. Non c’è infatti unanimità sul fatto se si possa considerare la siccità un evento naturale a pieno titolo. Come vedremo, la siccità, ed in particolare le sue conseguenze sulla popolazione, sono la conseguenza di scelte umane e di fattori politici, economici e sociali.

Capitolo1

La siccità è definita come il “decremento dell’acqua disponibile in un particolare periodo e per una particolare zona”3; secondo questa accezione si presenta, quindi, come un fenomeno sporadico che può colpire anche aree non aride. La siccità è, infatti, una normale e ricorrente caratteristica del ciclo idrologico e può verificarsi sia in regioni secche che umide. Differisce dall’aridità, la quale è invece ristretta ad aree geografiche con poca precipitazione e risulta pertanto una caratteristica permanente del clima. La siccità ha origine da una deficienza di precipitazione su un periodo di tempo esteso, di solito una stagione o più e viene valutata in relazione al bilancio locale tra precipitazione ed evapotraspirazione (evaporazione + traspirazione). É anche legata all’intervallo di tempo in cui si presenta (stagione di occorrenza), al ritardo dell’inizio del periodo delle precipitazioni, all’efficacia delle piogge, ovvero alla loro intensità ed al numero d’eventi piovosi. Altri fattori quali la temperatura, i venti e l’umidità dei terreni sono spesso associati alla siccità e possono contribuire ad aggravarne la severità. Una definizione operativa di siccità deve essere in grado di identificare l’inizio, la consistenza e la fine di un evento siccitoso. Tale definizione si basa solitamente sulla deviazione del campo di precipitazione dalla media calcolata sugli ultimi 30 anni di dati (secondo lo standard dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale). Di solito si distinguono le seguenti categorie di siccità: • Meteorologica: è definita sulla base del grado di siccità (in confronto ad una quantità media) e della durata del periodo siccitoso ed è considerata a livello locale, in quanto le condizioni atmosferiche che determinano deficienze di precipitazione sono altamente variabili da regione regione; • Agricola: collega varie caratteristiche di siccità meteorologica o idrologica agli impatti sull’agricoltura, focalizzandosi sulla scarsità delle precipitazioni, sulla differenza tra vapotraspirazione attuale e potenziale e sul deficit di acqua al suolo e nel sottosuolo. • Idrologica: è associata agli effetti dei periodi con deficit di precipitazione sul rifornimento idrico del suolo e del sottosuolo e ha frequenza e severità definite su scala di bacino fluviale o di spartiacque. • Idrologica in relazione all’uso del territorio: è definita oltre che in base al clima, che rappresenta il contributo primario alla siccità idrologica, anche in funzione di altri fattori come il disboscamento, la degradazione del suolo, la costruzione di dighe che possono influire sulle 3 Nell’emergenza: teoria e pratica degli aiuti umanitari, RufiniCalvi-Parisetti


Le tipologie di emergenza

caratteristiche di un bacino. • Socioeconomica: associa la domanda e l’offerta di qualche bene economico con elementi della siccità meteorologica, idrologica ed agricola. Differisce dai tipi sopraccennati di siccità perché la sua occorrenza dipende dai processi spaziotemporali della domanda e dell’offerta. Nella pratica la siccità socioeconomica si presenta quando la richiesta di un bene economico eccede l’offerta come conseguenza di un deficit nel rifornimento idrico dovuto alle condizioni atmosferiche. In Italia negli ultimi decenni, si è venuta a delineare una situazione meteo-climatica caratterizzata da una generalizzata diminuzione delle precipitazioni. In particolare, negli ultimi anni sono stati registrati prolungati periodi di scarse precipitazioni che hanno determinato situazioni di emergenza idrica in gran parte del territorio nazionale aggravando altresì situazioni già precedentemente in stato di crisi. Va ricordata tra i fattori che contribuiscono al determinarsi delle crisi idriche, l’inadeguatezza della rete acquedottistica che in Italia presenta una perdita dell’acqua addotta pari al 27%, con punte anche del 40%. Le emergenze idriche più gravi verificatesi recentemente in Italia sono state registrate nell’estate 2002 (soprattutto al Centro Sud) e nelle estati 2003 e 2006 (in particolar modo nelle regioni settentrionali). In queste situazioni, la carenza idrica ha determinato forti limitazioni non solo nel settore civile ma anche in quelli agricolo ed industriale. Il Dipartimento della protezione civile cura la valutazione delle condizioni di possibile criticità per la popolazione nel caso di eventi sia incidentali (sversamenti, disfunzioni etc.) che ambientali (siccità, per esempio), raccogliendo ed organizzando dati ed informazioni presso le competenti strutture tecniche esistenti sul territorio. In materia di previsione e prevenzione, la normativa prevede l’attribuzione alle Regioni delle funzioni relative alla predisposizione dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, sulla base degli indirizzi nazionali. Sono di competenza delle Province le funzioni relative all’attuazione, in ambito provinciale, delle attività di previsione e degli interventi di prevenzione dei rischi, stabilite dai programmi e piani regionali, con l’adozione dei connessi provvedimenti amministrativi. A loro volta, sono attribuite ai Comuni le funzioni relative all’attuazione, in ambito comunale, delle attività di previsione e degli interventi di prevenzione dei rischi, stabilite dai programmi e piani regionali.

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1.2 Le emergenze artificiali L’emergenza bellica Con il termine di “emergenza complessa o artificiale” si definisce “una crisi umanitaria che avvenga in un Paese, regione o società in cui si è verificato un crollo totale o considerevole dell’autorità costituita, come risultato di un conflitto interno od esterno, e che richiede una risposta internazionale che va al di là del mandato e delle capacità di ogni singolo attore”. Il concetto di emergenza artificiale implica che: • nelle situazioni di conflitto interno che caratterizzano le emergenze umanitarie moderne, il governo non esiste del tutto (p. es. Somalia) o è talmente indebolito da essere irrilevante ai fini pratici; • gli attori umanitari si sostituiscono alle strutture statali nel fornire tutti i servizi di base a grandi settori della popolazione; • gli operatori umanitari agiscono spesso in condizioni di grande insicurezza, mancando loro la protezione dei governi. I meccanismi e le dinamiche che determinano l’insorgenza dei conflitti sono: • differenze di appartenenza etnica tra diversi settori di una popolazione che abitano in una stessa zona o entità geografica; • differenze di lingua, religione, cultura; • differenze nell’accesso a risorse fondamentali come acqua e terra coltivabile; • differenze nell’accesso a educazione, servizi sociali, attività economiche. É importante sottolineare che queste cause sono fattori necessari ma non sufficienti all’insorgenza di un conflitto organizzato. La ricerca dimostra che perché vi sia una escalation di questi episodi verso una situazione di conflitto organizzato è necessaria la presenza di una élite politica che faccia leva sulle dinamiche esistenti per raggiungere un potere che non ha o per mantenere un potere che teme di perdere. Una guerra, in quanto fenomeno sociale, ha enormi riflessi sulla cultura, sulla religione, sull’arte, sul costume, sull’economia dei popoli coinvolti, i quali spesso sono costretti ad abbandonare il proprio paese (profughi). Operare nell’ambito di una guerra impone quindi una serie di approcci e di tecniche atte a valutare la possibilità di operare in condizioni di sufficiente sicurezza per gli operatori e per le vittime, e quella di non influire in modo negativo sulle dinamiche del conflitto.


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incendio boschivo (fonte: protezionecivile.it)

Capitolo1

Siccità (fonte: blogosfera.it))

Emergenza bellica (fonte: liberastoria.wordpress.com)

1.3 Conclusioni L’analisi svolta ha dimostrato come il tema dell’emergenza sia molto complesso e difficile da gestire da parte dell’uomo. Grazie all’attività di previsione degli eventi, oggigiorno sempre più attendibile, e all’attività di prevenzione, è possibile essere preparati ad affrontare una catastrofie naturale e poterne limitare i danni. Non tutti i disastri però sono prevedibili; in questi casi si può svolgere solo un’attività a posteriori di risposta all’emergenza. Le emergenze di origine geofisica e atmosferica hanno un maggiore impatto rispetto a quelle di origine idrogeologica. Terremoti e tzunami in particolare sono imprevedibili e con effetti devastanti sul territorio, alluvioni e tifoni causano a loro volta gravi danni, nonostante risultino essere più facilmente prevedibili dei primi. In entrambi i casi però è stato necessario nel passato far evacuare le popolazioni colpite, e quindi offrire loro un riparo, cibo, acqua. Invece emergenze di origine idrogeologica, come frane e valanghe, avvengono in un campo d’azione più puntuale e limitato, non necessitando interventi su larga scala, come l’accoglienza di intere città evacuate. Diverso è invece il discorso per le emergenze belliche che causano migrazione di popoli interi, che vanno accolti in altri Paesi. A fronte di queste migrazioni, vengono allestiti campi profughi.


Le tipologie di emergenza

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Allegati Le tipologie di emergenza


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TAV I.1 LE TIPOLOGIE DI EMERGENZA

Capitolo1



Capitolo2 La risposta al disastro: chi e come



Introduzione Dopo aver studiato quali possano essere le cause delle emergenze, in questo capitolo ci occuperemo delle figure che intervengono dopo il disastro. Le emergenze naturali ed artificiali, visto il contesto differente nel quale si sviluppano, richiedono risposte diverse ed organizzazione degli aiuti differenti. Vengono prese in considerazione le strutture organizzative sia a livello nazionale, a partire dalla protezione civile, vigili del fuoco e croce rossa, che internazionale, che a sua volta si suddivide in enti governativi e non governativi; vengono analizzate le tempistiche con le quali si muovono le macchine dei soccorsi, fino a giungere al fulcro dello studio: la realizzazione del campo di accoglienza. Le due tipologie di intervento, il campo di emergenza ed il campo profughi, sono state paragonate identificando di ognuna le caratteristiche principali: questo ha permesso di identificare gli elementi piĂš curati in un caso e trascurati nell’altro e viceversa. Scopo dell’analisi è stato quello di comprendere la struttura, la gestione del campo e la normativa di riferimento, al fine di delimitare i nostri confini di intervento per la fase progettuale.


Come rispondono gli enti all’emergenza

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Volontario di Protezione civile - scavi di notte all’Aquila (fonte photoreportage di R. Palumbo)

2.1 Chi interviene a livello nazionale Nessun Ente ha la capacità di gestire da solo le conseguenze di un’emergenza distruttiva; viene impiegato personale normalmente addetto ad altri compiti, preparato per la mobilitazione in caso di necessità, proveniente da ministeri, enti di ricerca, comuni, province e regioni, ecc. Questo personale necessita, al momento dell’impiego, di un forte coordinamento. Dai manuali di formazione della protezione civile, si sottolinea l’importanza dell’efficienza di tale coordinamento: tutte le persone che intervengono devono costituire un sistema integrato, avere una preparazione tecnica ed un addestramento elevato, conoscere le procedure. Il coordinamento avviene attraverso strutture operative organizzate in diversi livelli, fra di loro strettamente collegate: COC (Centro Operativo Comunale) E’ costituito presso ogni Comune per la direzione ed il coordinamento in ambito comunale dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione colpita. Più COC di territori vicini fanno riferimento ad un COM. COM (Centro Operativo Misto) E’ una struttura operativa intercomunale per la gestione ed il coordinamento degli interventi nei territori afferenti a più COC. Dipende dal CCS e vi partecipano i rappresentanti dei Comuni coordinati e delle strutture operative sovracomunali.

CCS (Centro Coordinamento Soccorsi) E’ l’organo di coordinamento a livello provinciale e viene insediato presso la Prefettura. Deve individuare le strategie d’intervento per il superamento dell’emergenza razionalizzando le risorse disponibili a livello provinciale, attivando e coordinando i COM. EMERCOM (COMitato Operativo per l’EMERgenza) E’ un organo collegiale interdisciplinare che affronta problemi organizzativi in occasione delle emergenze e si riunisce presso il Dipartimento della Protezione civile. E’ composto dai rappresentanti degli interni, della Difesa, dei Lavori Pubblici, ecc. Il Sindaco costituisce la prima linea di difesa e a lui devono pervenire, avvalendosi del COC, tutte le segnalazioni di danno e le richieste d’intervento. A sua volta, qualora non sia in grado di provvedere direttamente, le trasmette al COM. Il COM, agendo su aree più vaste, può razionalizzare l’uso delle risorse a disposizione e indirizzare i soccorsi verso le situazioni più critiche. L’esito delle valutazioni e degli interventi fatti deve sempre tornare al Sindaco, che in questo modo è sempre aggiornato sull’evolversi della situazione e può prendere i provvedimenti del caso. I COM a loro volta trasmettono i riepiloghi al CCS, in modo tale che le autorità di Protezione civile abbiano un quadro aggiornato delle necessità, e possano richiedere, se necessario,


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Capitolo2

Esercitazione comunale di protezione civile - 13 Marzo 2010 (foto: Assessorato alla Protezione Civile di Mestrino)

interventi straordinari (ad esempio l’impiego delle Forze Armate). Affinché il coordinamento sia efficace ogni struttura operativa deve essere collegata in andata e ritorno solo con quelle di livello immediatamente superiore ed inferiore, e questo è certamente molto difficile da realizzare in situazioni di forte emotività come quelle postterremoto. Per alleggerire il carico delle attività assistenziali e ripristinare una situazione di normalità è necessario conoscere al più presto lo stato degli edifici per permettere, dove possibile, il rientro una volta cessata l’attività. Per questo sono condotte delle campagna sistematiche di sopralluoghi agli edifici lesionati per la valutazione del danno e dell’agibilità. L’agibilità è, infatti, l’esistenza dei requisiti che rendono un edificio idoneo ad accoglierne gli occupanti; nel caso d’agibilità post-sismica l’edificio idoneo deve poter essere utilizzato lasciando protetta la vita umana anche in presenza di una successiva crisi sismica. Il danno e l’agibilità sono valutati da tecnici mediante sopralluoghi su: edifici pubblici per la loro importanza strategica per le funzioni stesse di protezione civile (ospedali, sedi comunali, Prefetture, caserme, ecc.) o perché contenitori di particolari tipi di popolazione (ospizi) o riutilizzabili per gli sfollati (scuole); chiese perché hanno spesso caratteristiche di pregio storico, artistico o architettonico o sono luoghi di riferimento per le popolazioni colpite;

edifici privati perché il loro danneggiamento costringe gli occupanti ad essere evacuati in tendopoli o villaggi provvisori. Devono poi essere rilevate eventuali altri fenomeni indotti, soprattutto in corrispondenza di abitati e infrastrutture. I sopralluoghi devono avvenire rispettando precisi comportamenti nel muoversi in territori danneggiati perché in genere la crisi sismica è ancora in atto e sono possibili repliche. La valutazione di agibilità in emergenza postsismica, è affidata all’esperienza ed alla professionalità dei tecnici rilevatori perché condotta in tempi limitati a causa dello stato d’emergenza ed in base alla semplice analisi visiva ed alla raccolta delle sole informazioni facilmente accessibili.

Protezione civile Quando si verifica una calamità di rilevanza nazionale è il Servizio Nazionale della Protezione Civile che coordina i soccorsi di tutto il sistema: il Dipartimento della Protezione Civile è una struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed orienta la legislazione sulla prevenzione dei rischi, prepara i provvedimenti normativi eccezionali e derogatori, le ordinanze indispensabili per far fronte alle calamità e ridurre al minimo i danni alle persone e alle cose. Il Dipartimento gestisce, inoltre, quella che chiameremo in seguito la “Fase 0”, ovvero la rete


Come rispondono gli enti all’emergenza

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Gruppo operativo speciale Movimento Terra - L’Aquila 7 aprile 2009 (fonte Vigili del Fuoco Belluno)

di monitoraggio per la previsione, prevenzione, valutazione e mitigazione dei rischi, e definisce le procedure di intervento e le azioni comuni a tutto il sistema. Sostiene le attività di formazione sul territorio nazionale. Promuove, infine, la diffusione della cultura di protezione civile per sensibilizzare l’opinione pubblica e favorire la crescita dell’associazionismo in questo campo. Il Sistema di Protezione civile italiana nasce dall’esperienza dei terremoti del 1976 in Friuli e del 1980 in Irpinia. In queste occasioni apparve evidente la mancanza di organizzazione, di informazioni e di risorse: era necessaria una struttura che gestisse le risorse umane e logistiche. E’ stato pertanto istituito il servizio Nazionale di Protezione Civile, con l’obiettivo di tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni derivanti dalle calamità naturali o da quelle causate dall’uomo. La Protezione civile svolge una funzione pubblica alla quale concorrono tutte le componenti dell’apparato statale: i comuni, che rappresentano l’autorità di base in caso di emergenza, l’amministrazione centrale attraverso il Dipartimento Nazionale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i vari livelli della pubblica amministrazione (Aggregazioni di comuni, Comunità montane e collinari, Province, Regioni). Ma ad essere chiamati in causa sono anche

i cittadini stessi, per tramite delle molte Associazioni di volontariato, ma anche attraverso comportamenti responsabili e il rispetto delle regole di sicurezza. Per questo le componenti del Sistema sono tenute ad operare costantemente perché si sviluppi una cultura di Protezione civile. Le strutture operative di cui si avvale il Servizio Nazionale di protezione Civile in caso di emergenza sono: Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, le Forze Armate, la Polizia di Stato, l’Arma di Carabinieri, la Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato, l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) il CNR, l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia, l’ENEA, la Croce Rossa Italiana, il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico. Questa struttura richiede un grande sforzo dell’unità centrale per l’organizzazione e gestione di tutte le parti; questo approccio garantisce coordinamento centrale unito ad alla flessibilità operativa sul territorio (attraverso il coinvolgimento degli Enti Locali),ma nello stesso tempo può essere soggetta alla problematiche di una struttura così ramificata e complessa. Per numero e composizione, in caso di emergenza risulta difficile gestire efficacemente tutte le sedi dislocate sul territorio, e la volontà di dare il proprio contributo può trasformarsi in ostacolo più che in risorsa. La gerarchia nel coinvolgimento delle parti va rispettata in qualunque occasione


31 di emergenza e non, per garantire una corretta gestione dei lavori. La molteplicità delle funzioni svolte dal Settore e la complessità del Sistema di Protezione Civile richiedono un’organizzazione che tenga conto delle diverse condizioni in cui ci si trova ad operare (ordinarietà, emergenza, post-emergenza). La struttura del Settore regionale di Protezione Civile si articola in diverse aree operative che promuovono, programmano e organizzano attività finalizzate nel loro insieme a prevenire i rischi e a mitigare gli effetti di eventi calamitosi. Durante le emergenze la struttura si mette a disposizione per fornire il necessario supporto tecnico-organizzativo1 alle funzioni previste dall’Unità di Crisi regionale. A questo fine sono state adottate le funzioni/specializzazioni previste in sede nazionale per la gestione delle emergenze (Metodo Augustus2). Riassumendo, quindi, la gestione dell’emergenza viene suddivisa dalla legislazione in tre ambiti di attività: Previsione e Prevenzione: riguarda le attività finalizzate a conoscere i rischi che minacciano il territorio (“Previsione”) e a ridurre ovunque possibile i danni derivanti da eventi calamitosi (“Prevenzione”) Soccorso: sono le azioni tradizionalmente associate alla Protezione civile, l’intervento in seguito allo scatenarsi di un evento. Ciò che cambia è l’approccio: l’intervento non è più organizzato a posteriori, ma accuratamente pianificato e sperimentato con esercitazioni e simulazioni che consentono di avere a disposizione personale addestrato ed efficiente, oltre a portare alla luce le criticità e risolverle Post-emergenza: sono le attività volte al ripristino delle condizioni minime per la ripresa della vita ordinaria nelle zone colpite da calamità. Il Dipartimento opera anche a livello internazionale, in accordo con le analoghe istituzioni di altri Paesi e nel quadro delle istituzioni internazionali a livello mondiale e soprattutto europeo, e partecipa ad interventi di protezione civile all’estero, che rappresentano un segno della solidarietà internazionale dell’Italia e della capacità operativa, tecnica ed umana degli uomini della nostra protezione civile. 1 Certificazione di qualità UNI EN ISO 9001, conseguita nel 2006. 2 Il coordinamento viene regolamentato dal metodo Augustus, che permette ai rappresentanti di ogni funzione operativa (sanità, volontariato, telecomunicazioni, ecc.) di interagire direttamente tra loro ai diversi “tavoli decisionali” e nelle sale operative dei vari livelli (COC, COM, DICOMAC, ecc.), avviando così in tempo reale processi decisionali collaborativi. I rappresentanti delle diverse funzioni sono coordinati da un Disaster Manager (dirigente del soccorso, i cui compiti principali sono: organizzare gli interventi, coordinare i soccorsi, coordinare tutte le componenti della Protezione Civile, coordinare i servizi alla popolazione). Fonte: HyperIspro di Protezione Civile.

Capitolo2

Vigili del fuoco Il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco nasce con il Regio decreto Legge del 27 Febbraio 1939, successivamente convertito in Legge 1570 del 27 dicembre 1941, ed è chiamato inizialmente “a tutelare la incolumità delle persone e la salvezza delle cose, mediante la prevenzione e l’estinzione degli incendi e l’apporto di servizi tecnici in genere, anche ai fini della protezione antiaerea”3. Il D.Lg. n. 139 dell’ 8 marzo 2006 stabilisce infine che: “Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è una struttura dello Stato ad ordinamento civile, incardinata nel Ministero dell’interno – Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, per mezzo del quale il Ministero dell’interno assicura, anche per la difesa civile, il servizio di soccorso pubblico e di prevenzione ed estinzione degli incendi su tutto il territorio nazionale, nonché lo svolgimento delle altre attività assegnate al Corpo nazionale dalle leggi e dai regolamenti, secondo quanto previsto nel presente decreto legislativo” (cfr. nota 3). I vigili del fuoco sono pronti ad intervenire a con reazione immediata per il soccorso di persone, a salvaguardia di beni, a tutela dell’ambiente: la rapidità di intervento si rivela fondamentale nell’opera di soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali o grandi eventi disastrosi. Il Corpo nazionale è costituito da soggetti con professionalità tecniche anche ad alto contenuto specialistico ed idonee risorse strumentali; tra i compiti, infatti, sono compresi: l’opera tecnica di soccorso in occasione di incendi, di incontrollati rilasci di energia, di improvviso o minacciante crollo strutturale, di frane, di piene, di alluvioni o di altra pubblica calamità, e l’opera tecnica di contrasto dei rischi derivanti dall’impiego dell’energia nucleare e dall’uso di sostanze batteriologiche, chimiche e radiologiche. In caso di eventi di protezione civile, il Corpo nazionale opera quale componente fondamentale del Servizio nazionale della protezione civile e assicura, nell’ambito delle proprie competenze tecniche, la direzione degli interventi tecnici di primo soccorso nel rispetto dei livelli di coordinamento previsti dalla vigente legislazione. Nell’ambito delle proprie competenze istituzionali, in materia di difesa civile: fronteggia, anche in relazione alla situazione internazionale, mediante presidi sul territorio, i rischi non convenzionali derivanti da eventuali atti criminosi compiuti in danno di persone o beni, con l’uso di armi nucleari, batteriologiche, chimiche e radiologiche; concorre alla preparazione di unità antincendi per le Forze armate; 3 Dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile. Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.


Come rispondono gli enti all’emergenza

concorre alla predisposizione dei piani nazionali e territoriali di difesa civile; provvede all’approntamento dei servizi relativi all’addestramento e all’impiego delle unità preposte alla protezione della popolazione civile, ivi compresa l’attività esercitativa, in caso di eventi bellici; partecipa, con propri rappresentanti, agli organi collegiali competenti in materia di difesa civile. L’organizzazione a livello centrale del Corpo nazionale si articola in Direzioni Centrali e Uffici del Dipartimento. Le strutture periferiche del Corpo nazionale si articolano nei seguenti uffici sul territorio: Direzioni regionali dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile istituite per lo svolgimento in ambito regionale delle funzioni istituzionali; Comandi Provinciali istituiti per l’espletamento in ambito provinciale delle funzioni istituzionali; Distretti, distaccamenti permanenti e volontari e posti di vigilanza, istituiti alle dipendenze dei comandi provinciali; Reparti e nuclei speciali, per particolari attività operative che richiedano l’impiego di personale specificamente preparato, nonché l’ausilio di mezzi speciali o di animali.

Croce Rossa Italiana L’Associazione Italiana della Croce Rossa è un ente di diritto pubblico non economico con prerogative di carattere internazionale, che ha per scopo l’assistenza sanitaria e sociale sia in tempo di pace che in tempo di conflitto. E’ posta sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, sottoposta alla vigilanza dello Stato e sotto il controllo del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali, del Ministero dell’Economia e della Difesa per quanto di competenza, pur mantenendo forte la sua natura di organizzazione di volontariato. La C.R.I. fa parte del Movimento Internazionale della Croce Rossa4. La Croce Rossa Italiana è la più grande organizzazione umanitaria del Paese, con 150.000 soci attivi, circa 5000 operatori e 30.000 soci ordinari. Le attività istituzionali si articolano in Pronto Soccorso, trasporti infermi, protezione civile, educazione sanitaria, donazione di sangue, assistenza sociale, solidarietà internazionale, diffusione del DIU5, raccolta fondi e promozione 4 Il Movimento è un’organizzazione internazionale non governativa, istituzionalizzata nel 1928 dalla XIII Conferenza internazionale dell’Aja, e coordina su scala mondiale il Comitato Internazionale della Croce Rossa, la Federazione Internazionale delle Società Nazionali di Croce Rossa e di Mezzaluna Rossa, le Società Nazionali. (International Committee of the Red Cross- ICRC) 5 DIU Diritto Internazionale umanitario: si concretizza in diverse tipologie di eventi quali corsi, giornate informative,

32 di immagine. La CRI sul territorio Nazionale si articola in Comitato Centrale (con sede a Roma), i Comitati Regionali, i Comitati Provinciali e i Comitati Locali. Le componenti della Croce Rossa Italiana sono sei (due ausiliarie alle FF. AA. e quattro a caratteristica civile). Corpo Militare (CM-CRI): che svolge le proprie attività anche all’estero, o in scenari operativi ad alto rischio; Corpo delle infermiere volontarie: le “crocerossine” (o “sorelle”), asse portante degli interventi sanitari più strutturati sia in Italia che all’Estero, si entra attraverso un corso di 2 anni riservato a donne dai 18 ai 45 anni; Volontari del soccorso: la componente più numerosa, rappresentano il “braccio operativo” della CRI nei servizi di trasporto sanitario ordinario e nel soccorso sanitario extraospedaliero (compreso il Servizio 118 - SUEM), si può diventare VDS al compimento del 26° anno d’età; Comitato femminile: componente a caratteristica femminile, che dedica grande attenzione al sociale, sostenendo economicamente i più bisognosi e ai programmi di autofinanziamento delle attività umanitarie Associazione, si può entrare a far parte del Comitato Femminile a partire dal 26° anno di età; Pionieri: composta da soci che si avvicinano al movimento da giovani (si entra dagli 8 ai 25 anni, ma è poi possibile rimanere anche oltre) dedicandosi in prevalenza all’educazione alla solidarietà dei loro stessi coetanei, all’educazione alla salute, in particolare verso i più giovani ed a supporto di tutte i collettivi vulnerabili della società; inoltre i Pionieri mirano a formare i leader del domani attraverso percorsi formativi specializzati (a seconda del settore di interesse del giovane) e gestiti dalla Scuola Nazionale di Formazione Pionieri CRI; Donatori di sangue: componente con lo scopo divulgare l’educazione alla donazione e raccogliere il sangue ed emoderivati alla quale si accede a partire dal 26° anno di età. Non rientrano nelle componenti, ma sono fondamentali al funzionamento operativo della CRI, i lavoratori dipendenti, inquadrati sia come civili che come militari CRI in richiamo, svolgono diverse funzioni sia amministrative che operative, in particolar modo nelle fasce orarie in cui è minore la disponibilità materiale del volontariato. Ciò che emerge dalla definizione delle componenti è innanzitutto l’approccio diverso alla figure operanti, approccio molto specifico e professionale: i soggetti, volontari e strutturati, devono frequentare dei corsi di preparazione Tavole Rotonde, ecc.; coordina sia i corsi che l’attività degli istruttori e fornisce a chi ne ha necessità materiale di carattere tecnico-scientifico. (cfr. S.A.I. Servizio Attività Internazionali Croce Rossa Italiana)


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Movimento internazionale di Croce Rossa e Mezza Luna Rossa (fonte CRI)

a seconda dell’indirizzo scelto. I corsi sono studiati in modo da adattarsi il più possibile alle esigenze di persone, solitamente lavoratori, che dedicano il proprio tempo libero a questa attività di volontariato; la complessità consiste quindi nel conciliare le necessità della preparazione a quelle del soggetto (cfr. capitolo 4).

2.2 Chi interviene a livello Internazionale In caso di emergenza, coloro che intervengono a livello internazionale si trovano ad operare all’interno di una comunità molto estesa in termini di numero e diversità degli attori.

Le Nazioni Unite: UNOCHA, UNDAC, UNHCR Oltre ad occuparsi degli aspetti relativi al supporto umanitario in caso di guerra, alcune delle organizzazioni delle Nazioni Unite intervengono nelle situazioni di disastro neturale. Vediamo di seguito le principali. UNOCHA (Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari) è responsabile della distribuzione e dell’organizzazione degli aiuti umanitari in caso di emergenza. La sua missione è di mobilitare

e coordinare le effettive e principali azioni nelle relazioni con gli attori nazionali e internazionali con lo scopo di alleviare la sofferenza umana nei disastri e nelle emergenze, difendere i diritti delle persone in difficoltà, promuovere la prevenzione e la formazione, facilitare soluzioni sostenibili. UNDAC (Squadra di assistenza e coordinamento disastri) è costituita da un team di professionisti di organizzazione dei disastri, che sono nominati e selezionati dai membri de OCHA, UNDP e dalle agenzie per le operazioni umanitarie delle nazioni Uniti quali WFP (Word Food Program), UNICEF (United Nations Children’s Fund) e WHO (World Health Organization). Su richiesta della nazione vittima di catastrofe, l’ UNDAC può intervenire in poche ore, garantendo il soddisfacimento dei bisogni primari e supportando le Auntorità e i coordinatori delle Nazioni Unite. I professionisti che intervengono hanno diverse specializzazioni, dall’ economia alle relazioni internazionali, almeno dieci anni di esperienza nell’ aiuto umanitario, ottima conoscenza delle tecniche di coordinamento, capacità di negoziazione e problem solving. Il loro compito è orchestrare le attività delle agenzie Onu responsabili dei diversi cluster di intervento, a partire da cibo, acqua, sanità, ricoveri di prima accoglienza, e delle ONG che partecipano alle riunioni di coordinamento. UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees) ha il mandato di dirigere e coordinare le


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operazioni internazionali di assistenza umanitaria e di protezione legale dei rifugiati.

34 Assessment and Coordination (UNDAC), e lo Inter- Agency Standing Committee (IASC), e sotto il coordinamento di OCHA.

L’Unione Europea: la protezione civile

Movimento internazionale di Croce Rossa L’Unione Europea é un attore molto importante e Mezza Luna Rossa nel panorama umanitario. La sua azione si espleta tramite l’ufficio di cooperazione EuropeAid e l’ufficio umanitario ECHO (Ufficio per gli aiuti umanitari). Il compito dell’ EuropeAid è quello di attuare gli strumenti di assistenza esterna della Commissione europea finanziati dal bilancio della Comunità europea e dal Fondo europeo di sviluppo. L’Ufficio è responsabile di tutte le fasi del ciclo del progetto (individuazione e prima valutazione di progetti e programmi, preparazione delle decisioni finanziarie, attuazione, controllo e valutazioni intermedie e finali di progetti e programmi) che garantiscono la realizzazione degli obiettivi dei programmi preparati dalle direzioni generali “Relazioni esterne” e “Sviluppo” e approvati dalla Commissione. Attraverso il suo Ufficio Umanitario (ECHO), la Commissione Europea ha erogato interventi di emergenza in Paesi in via di sviluppo. ECHO finanzia operazioni di “stretta emergenza”, cioè solo per il periodo in cui perdurano bisogni umanitari. Le operazioni umanitarie finanziate da ECHO vengono messe in opera da una varietà di attori, che comprendono le agenzie dell’ONU, le ONG, gli Stati membri, gli Stati destinatari dell’assistenza ed a volte la Commissione stessa. Con una decisione del 1999, la Commissione Europea dà seguito alle decisioni del Consiglio dell’Unione, creando un programma comunitario nel campo delle protezione civile, “per rafforzare i meccanismi di prevenzione, preparazione e risposta ai disastri naturali e/o provocati dall’uomo”. Nelle intenzioni, il Meccanismo dovrebbe concentrarsi sul miglioramento della risposta all’emergenza in ambito europeo. L’iniziativa si accompagna a quella della creazione di un Fondo di solidarietà europeo, della consistenza di circa un miliardo di euro, destinato a riabilitare immediatamente infrastrutture importanti quali l’energia, la fornitura d’acqua, le comunicazioni, i trasporti, i servizi sanitari; la sistemazione temporanea per gli sfollati e per le squadre di soccorso; la sicurezza di infrastrutture critiche come le dighe, ecc. Per quanto riguarda l’azione di coordinamento, la protezione civile deve integrarsi col sistema Nazioni Unite e con gli altri attori umanitari per l’esecuzione di azioni “complementari”, attraverso meccanismi come lo UN Disaster

Con quasi 100 milioni di persone – tra membri, volontari attivi e personale dipendente - sparse in praticamente tutti i Paesi del mondo, il Movimento Internazionale di Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa é la catena di solidarietà più grande del mondo. Il Movimento é costituito dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, dalla Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e di Mezzaluna Rossa e da 176 Società Nazionali di Croce Rossa (come la croce Rossa Italiana) e di Mezzaluna Rossa (nei Paesi di religione musulmana). Il movimento lavora sulla base di sette principi fondamentali (umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, servizio volontario, unità ed universalità) con l’obbiettivo principale di prevenire ed alleviare la sofferenza umana, senza discriminazioni, e di proteggere la dignità delle persone. Questi principi e la visione del mondo che essi esprimono, sono molto importanti in quanto sono stati incorporati nella filosofia, cultura ed azione di praticamente tutti gli altri attori del settore umanitario, diventando una fondamentale base di riferimento comune. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) é una organizzazione privata svizzera che agisce come intermediario neutrale in caso di conflitti armati, con la missione di proteggere ed assistere le vittime civili e militari sulla base di una stretta neutralità ed imparzialità. La Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e di Mezzaluna Rossa, fondata nel 1919, ha il compito di contribuire allo sviluppo delle Società che la compongono, rinforzandone le capacità di risposta in caso di calamità e sostenendone i programmi in campo sociale e sanitario. A livello internazionale, la Federazione ha il mandato di coordinare le attività del movimento nei soccorsi in caso di calamità naturali o disastri tecnologici, nelle emergenze sanitarie e nei programmi di assistenza ai rifugiati. La Federazione viene in aiuto alla Società Nazionale del Paese vittima di disastri naturali, assistendo tipicamente nella fornitura di acqua potabile e strutture sanitarie di base, nell’assistenza sanitaria di emergenza, nel creare strutture di accoglienza e nella distribuzione di aiuti alimentari ed altri generi di prima necessità. La Federazione é composta di un Segretariato, con sede a Ginevra ed uno staff internazionale di circa


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Tipologie di Emergency Response Unit: sanificazione dell’acqua, logistica e assistenza sanitaria (fonte IFRC)

250 persone, ed una presenza sul territorio molto articolata: 14 delegazioni regionali, 63 delegazioni in altrettanti Paesi, sei sotto-delegazioni e due centri logistici regionali.

• Prevenzione dell’AIDS. • Reclutamento di donatori di sangue volontari e gestione di banche del sangue. • Attività per giovani e volontari.

Le Società Nazionali agiscono in sostegno alle attività dell’amministrazione pubblica nei rispettivi Paesi e forniscono una vasta gamma di servizi che vanno dai soccorsi in caso di emergenza a programmi sociali e sanitari, fino ad arrivare all’assistenza alle vittime civili in caso di guerra. Le 176 Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa hanno un totale di circa 97 milioni di membri e volontari, impiegano oltre 300,000 persone ed assistono una media di ben oltre 200 milioni di persone ogni anno. I programmi delle Società Nazionali si dirigono verso bisogni a breve ed a lungo termine. Tipicamente essi comprendono: • Fornitura di alloggi, cibo e medicine in caso di emergenza. • Fornitura di acqua potabile e strutture igieniche di base. • Contatti tra membri della famiglia separati dall’emergenza. • Preparazione al soccorso in caso di emergenza. • Programmi sanitari a livello di comunità ed educazione sanitaria. • Attività e formazione nel primo soccorso. • Controllo e prevenzione delle malattie.

Emergency Response Unit ERU Le Emergency Response Unit (Unità di Risposta alle Emergenze) generalmente chiamate ERU (1994), sono unità standardizzate, composte da personale altamente qualificato e formato e dotate dell’equipaggiamento necessario, pronte a essere impiegate in brevissimo tempo in seguito ad un disastro. Le ERU possono essere chiamate ad intervenire in una situazione di emergenza, quando la Società Nazionale di Croce Rossa o Mezzaluna Rossa o la delegazione della Federazione Internazionale, non sono in grado di rispondere autonomamente al disastro. Le ERU possono fornire specifico supporto o direttamente servizi, quando le risorse locali sono state distrutte, sono insufficienti oppure non esistono affatto. Esistono differenti tipologie di ERU, impiegate a seconda delle esigenze: logistica, soccorso, Informatica e telecomunicazioni, trattamento acque e igiene, ospedale da campo, assistenza sanitaria di base e campo base. Le ERU sono uno degli strumenti di risposta alle emergenze della Federazione Internazionale, e sono finanziate e gestite da alcune Società Nazionali di Croce Rossa e


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Soccorsi in seguito al terremoto di Haiti, Gennaio 2010 (fonte MediciSenzaFrontiere, foto di K. Van Giel)

Mezzaluna Rossa. La Croce Rossa Italiana è inserita nel sistema di risposta internazionale ai disastri della Federazione con una ERU Base Camp (Campo Base). Le ERU sono state quindi create per rendere possibile una risposta alle emergenze standard, rapida e di alta qualità. Esse forniscono servizi essenziali e sono sufficientemente flessibili da adattarsi rapidamente alle norme e agli standard del paese colpito. Il concetto delle ERU si è sviluppato oggi in moduli specializzati, dotati di attrezzature standard e che impiegano volontari formati: servizi per la salute, acqua e impianti igienici, logistica, tecnologia, informazioni, telecomunicazioni. Le Unità sono autosufficienti per un mese e possono restare nel paese colpito per quattro mesi.

Lo spiegamento delle ERU dipende dai seguenti fattori: ampiezza della catastrofe ed evoluzione della situazione; necessità delle persone vulnerabili; capacità della Società Nazionale del paese ed altre risorse disponibili; risorse umane, finanziarie e materiali di cui la Federazione Internazionale dispone. Se la valutazione svolta dal Field Assessment and Coordination Team (Team di Valutazione e Coordinamento sul Campo), comunemente chiamato FACT, o il piano di risposta ai disastri, raccomandano l’impiego di una o più ERU, una specifica richiesta viene inoltrata affinché siano mobilitate le unità necessarie - per esempio, delle unità specializzate nell’alimentazione idrica, negli impianti igienici o nell’assistenza sanitaria di base. Le Società Nazionali che sostengono queste tipologie di unità possono quindi confermare


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la loro disponibilità. A questo punto, Ginevra prende la decisione finale riguardo all’impiego delle ERU, basandosi sul rapporto di valutazione e sulle raccomandazioni dei dipartimenti tecnici della Federazione Internazionale. Quando l’impiego è accordato, le ERU sono integrate nel dispositivo di soccorso di emergenza della Federazione Internazionale e sono coordinate da team leader. Entro 48 ore dal ricevimento dell’ordine di mobilitazione, la Società Nazionale che sostiene una ERU, deve essere pronta a spedire il materiale e l’attrezzatura necessaria. L’unità è operativa entro una settimana. Durante il primo mese di impiego la ERU è gradualmente integrata nel sistema e nelle strutture locali. Entro quattro mesi, tempo massimo di vita di una ERU, l’unità passa completamente nelle mani della

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Società Nazionale ospitante. I membri dell’unità potranno, quindi, fare ritorno nel loro paese, oppure saranno assorbiti dalla locale delegazione. Le ERU sono composte da professionisti come medici, infermieri, ingegneri, logistici e tecnici. Ogni unità conta da 3 a 25 membri, secondo i moduli, e dispone della propria attrezzatura di sopravvivenza - cibo, letti, tende, generatori di corrente, strumenti di comunicazione satellitare e attrezzatura da ufficio. Il tutto è trasportato con contenitori leggeri e maneggevoli e spesso classificati per colore. All’arrivo sul campo, il personale tecnico che forma la ERU è implementato dal personale locale, assunto dalla Croce Rossa o dalla Mezzaluna Rossa. La Società Nazionale che sostiene l’ERU paga i salari, le indennità, le assicurazioni ed i costi di viaggio durante i periodi


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di formazione e di missione. Nella costituzione delle squadre deve, inoltre, assicurarsi che i suoi membri abbiano le competenze e l’esperienza necessarie. Tutti i membri devono aderire al codice etico della Federazione Internazionale.

Le Organizzazioni Non Governative Le Organizzazioni Non Governative (ONG) hanno assunto un ruolo molto prominente sulla scena della cooperazione internazionale nel corso degli ultimi decenni. In particolare, dagli anni ’70, si é assistito ad una crescita esponenziale, una vera e propria esplosione nel numero e nell’attività delle ONG, sia nei Paesi sviluppati che nei PVS. Di seguito i principali orientamenti e il tipo ed il livello di intervento caratteristico delle diverse organizzazioni: Le ONG a carattere caritativo sovente adottano un approccio “dall’alto in basso”, con scarso coinvolgimento della popolazione destinataria degli interventi. Questa categoria comprende ONG che si occupano di bisogni essenziali: distribuzioni di cibo, indumenti, medicine e soccorsi in caso di emergenze. Le ONG con carattere di servizio si occupano di attività come la fornitura di prestazioni sanitarie, pianificazione familiare, educazione, in cui i programmi sono definiti dalla ONG e la popolazione partecipa alla loro messa in opera e, naturalmente, alla fruizione dei servizi. Le ONG a carattere partecipativo si occupano di progetti di auto-aiuto, in cui le popolazioni locali sono coinvolte nella messa in opera dei progetti tramite un contributo finanziario, o mettendo a disposizione utensili, terra da coltivare, lavoro, eccetera. Nei progetti a partecipazione comunitaria, i destinatari dell’aiuto fanno parte del progetto sino dalla fase di analisi dei bisogni, e continuano nelle fasi di concezione e di messa in opera . Le ONG che si occupano di aiutare le popolazioni svantaggiate a sviluppare una migliore comprensione dei fattori sociali, politici ed economici che condizionano le loro vite, e di promuovere l’autocoscienza delle comunità rispetto alla possibilità di determinare il proprio futuro. In questa modalità di cooperazione, il ruolo della ONG é minimo: il lavoro é fatto quasi esclusivamente dalle comunità destinatarie, e l’ONG ha il solo compito di facilitare il processo. In termini di dimensione e campo d’azione distinguiamo poi tre livelli: ONG comunitarie, che sorgono per iniziativa di individui o piccoli gruppi ed hanno carattere tipicamente locale. Si va da associazioni sportive a gruppi religiosi, da gruppi femminili a piccole organizzazioni per l’educazione.

38 ONG nazionali, generalmente riconosciute ufficialmente dal governo del Paese in cui operano. Ne Paesi donatori, le ONG nazionali con attività internazionali sono uno dei canali attraverso cui viene diretto l’Aiuto Ufficiale allo Sviluppo. Esse spesso ricevono una parte (anche sostanziale) del loro finanziamento da cittadini privati. Nei Paesi destinatari, le ONG nazionali sono partner privilegiati nella messa in opera di programmi di aiuto. Moltissime ONG nazionali nei Paesi donatori impiegano personale internazionale per le loro missioni e sono quindi una fonte significativa di posti di lavoro nella cooperazione internazionale. 3) ONG multi-nazionali, che hanno sezioni distaccate ed in certo modo autonome in vari Paesi donatori. Alcune di queste organizzazioni hanno un ruolo importante sulla scena della cooperazione internazionale. Vediamone ora alcune più nello specifico. Care International, che si definisce come un’organizzazione umanitaria globale, é una confederazione di 12 organizzazioni nazionali che assiste oltre 30 milioni di persone in 72 tra i Paesi meno sviluppati del mondo. Le sue attività spaziano dall’assistenza allo sviluppo di lunga durata agli interventi di emergenza. Gli obiettivi dell’organizzazione includono: • Migliorare la capacità delle comunità a rispondere autonomamente alle crisi. • Fornire opportunità economiche. • Fornire aiuti di emergenza. • Influenzare le decisioni politiche a tutti i livelli. • Lottare contro la discriminazione in tutte le sue forme. Medici Senza Frontiere (Médecins Sans Frontières, MSF) é un’organizzazione internazionale umanitaria che fornisce assistenza sanitaria durante le emergenze in oltre 80 Paesi del mondo. Le sedi nazionali reclutano i volontari, promuovono l’associazione, le campagne di stampa e di sensibilizzazione, fanno raccolta fondi contribuendo al finanziamento e allo svolgimento delle missioni. MSF si occupa di una vasta gamma di interventi, come la riabilitazione di ospedali, dispensari ed altre strutture sanitarie, programmi di vaccinazione e fornitura di acqua potabile e strutture igieniche di base. Medici Del Mondo (Médecins du Monde, MDM) é un’organizzazione per molti versi molto simile a MSF. L’organizzazione conta attualmente 7.000 membri, di cui quasi 400 sono impiegati, 1.200 sono volontari retribuiti in missione ed il resto volontari che prestano servizio nei Paesi dove le organizzazioni nazionali hanno sede.


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principali dell’intervento delle organizzazioni Save The Children sono educazione, lotta all’AIDS, lotta contro lo sfruttamento e l’abuso dei minori, interventi di emergenza in caso di conflitto o calamità naturali e lavoro di sostegno all’applicazione della Convenzione. ONG italiane: il ministero riconosce oggi ben 170 organizzazioni, che possiamo suddividere in cinque categorie: • ONG di volontariato classiche, dove è tuttora marcata la dimensione dell’impegno personale. • ONG che realizzano progetti di cooperazione internazionale, con l’invio di personale proprio. • ONG che assicurano sostegno tecnico economico ai Paesi in via di sviluppo, cofinanziando la realizzazione di progetti gestiti da referenti locali senza invio di volontari. • ONG specializzate in studi, ricerche e formazione di personale italiano o proveniente dai Paesi in via di sviluppo. • ONG che operano prevalentemente in Italia in attività di informazione ed educazione sui temi dello sviluppo, della cooperazione internazionale e della mondialità, rivolte alle scuole o ad altri segmenti di popolazione. Terremoto di Haiti - Infermeria, Gennaio 2010 (fonte Medici Senza Frontiere, foto di F. Sautereau)

OXFAM International é un’altra confederazione di 12 organizzazioni nazionali (Australia, Belgio, Canada, Germania, Regno Unito, Hong King, Irlanda, Olanda, Nuova Zelanda, Quebec, Spagna, Stati Uniti) con programmi di sviluppo ed emergenza in oltre 100 Paesi del mondo. Le priorità dell’organizzazione sono: • Sicurezza alimentare, reddito minimo e condizioni di lavoro decenti per tutte le persone, e la protezione dalle risorse ambientali da cui dipendono. • Servizi sociali di base, comprese sanità ed istruzione. • Protezione della vita e della sicurezza nelle situazioni di conflitto. • Uguaglianza di diritti per le donne ed altri gruppi marginalizzati. Save The Children Alliance (SCF) é una costellazione di organizzazioni nazionali (29 in questo caso), i cui obiettivi primari sono la protezione e l’assistenza ai bambini di tutto il mondo. Le 29 organizzazioni hanno programmi ed attività in oltre 120 Paesi del mondo. SCF incarna il cosiddetto rights-based approach all’assistenza allo sviluppo ed agli interventi umanitari. La base del lavoro delle organizzazioni, infatti, non é un atto caritativo ma l’obbligazione di fare rispettare i diritti sanciti a livello internazionale dalla Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia. Le aree

Le ONG italiane sono finanziate in parte dai contributi dello Stato, che prende in carico anche un certo numero di volontari retribuiti ed altre figure professionali (da qualche centinaio a circa 1.500 a seconda degli anni). Altre fonti importanti per il finanziamento delle attività delle organizzazioni sono i contributi della Commissione Europea e le donazioni dei privati cittadini. TAVOLA II.1 pag 56

2.3 Come rispondono gli enti all’emergenza Come introdotto nei paragrafi precedenti, in caso di emergenza vengono messe in campo le forze disponibili sul territorio; l’entità delle forze è direttamente proporzionale all’entità dell’emergenza: i primi ad essere mobilitati sono coloro che si trovano più vicini al luogo di rischio. Le unità di protezione civile del luogo compiono le prime valutazioni, e, in caso di necessità, possono richiedere l’intervento delle unità provinciali, regionali ed infine quelle nazionali. Nel momento in cui l’emergenza presenta dei caratteri distruttivi, si attiva immediatamente la macchina dei soccorsi. Le problematiche primarie riguardano la valutazione degli effetti sul territorio e la gestione dell’emergenza; la valutazione degli effetti è determinante per conoscere l’entità dei problemi da affrontare e dimensionare le risorse necessarie. La gestione dell’emergenza6 consiste 6 Da “La gestione dell’emergenza terremoto”, a cura di A. Annovi, Gruppo Comunale di Protezione Civile del Comune


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in una serie di azioni che possono essere riassunte in: studio dell’andamento del fenomeno; interventi di soccorso d’emergenza e assistenza alle popolazioni colpite; interventi di consolidamento e sgombero urgenti; rilievi del danno e dell’agibilità degli edifici; valutazioni economiche e indirizzi per la ricostruzione. Il ritorno alla normalità inizia con la ricostruzione/ consolidamento del patrimonio abitativo e il ripristino del tessuto socio-economico; termina, dopo un tempo più o meno lungo, quando si sono raggiunte almeno le condizioni esistenti prima del terremoto. Seguendo l’ordine cronologico, il primo intervento è quello dei Vigili del Fuoco: i comandi provinciali e le colonne mobili regionali, si dispiegano sul territorio in campi base; provvedono al soccorso, alle prime ispezioni speditive, alla rimozione delle parti pericolanti ed ai primi puntellamenti; rispondono alle chiamate dirette per campagne sistematiche di sopralluoghi. Un nucleo di primo intervento raggiunge le aree colpite entro 12 ore dall’evento, redige i primi resoconti dei danni, provvede al rilevamento macrosismico assegnando le intensità ai territori colpiti ed esegue le prime urgenti valutazioni di agibilità sugli edifici, in particolare quelli che dovranno ospitare le strutture di soccorso e coordinamento. La rete di monitoraggio viene infittita con strumenti mobili di registrazione degli aftershock consentendo all’INGV di studiare il fenomeno sismico. Il volontariato di Protezione civile si attiva per l’assistenza alle popolazion colpite, anche con l’intervento di colonne mobili provenienti da altre Regioni. Le Forze di Polizia istituiscono cancelli per l’accesso alle zone colpite ed autorizzano l’ingresso alle zone presidiate. In caso di necessità è previsto anche l’intervento delle Forze armate. La Croce Rossa nazionale viene mobilitata dall’unità di Protezione Civile: una volta valutata l’entità dell’emergenza, si stimano le quantità necessarie a sopperire ai bisogni immediati, in termini di risorse umane e risorse logistiche. Nel caso in cui i danni siano su larga scala, e le autorità del luogo non abbiano risorse sufficienti, si allarga lo stato di allarme alle zone limitrofe (da comune, a provincia, a regione) fino a coinvolgere l’unità nazionale qualora l’emergenza fosse di grandi proporzioni. Il primo soccorso viene garantito dai Vigili del Fuoco: sono i primi ad intervenire e si occupano del soccorso degli individui (cfr. par. 2.1.2). La Croce Rossa, viste le componenti molto di Modena, moproc.com, Protezione Civile Educational

40 articolate di cui è costituita, è in grado di fornire un servizio sia logistico che sanitario. Le unità di protezione civile si appoggiano alla Croce Rossa locale per tutti i servizi sanitari di primo soccorso e assistenza sociale. Come già anticipato, in caso di necessità l’allarme viene esteso a livello nazionale. Nelle basi logistiche italiane della Croce Rossa (come il centro polifunzionale del Corpo Militare di Croce Rossa Italiana, in cui abbiamo operato a Settimo Torinese) sono “pronti per l’utilizzo” container, cucine, tende e rifornimenti per garantire autonomia per 36 ore in caso di emergenza (come per il caso dell’Abruzzo, durante il quale hanno garantito assistenza entro 12 ore dalla prima scossa).

I campi di emergenza per disastri naturali Premessa: Carta dei diritti umanitari, Standard minimi e Sphere e Project, La normativa All’interno dei campi di accoglienza, oltre alle normative dello stato ospitante, vengono rispettati alcuni parametri imprescindibili dal benessere dei soggetti che si basano sulla Carta Umanitaria7, che si richiama ai principi e alle disposizioni del diritto internazionale umanitario, del diritto dei rifugiati e del Codice di condotta per il Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa e per le Organizzazioni non Governative (ONG) relativo alle operazioni di soccorso in caso di disastri. La Carta definisce i principi fondamentali che regolano l’azione umanitaria e riafferma il diritto alla protezione e all’assistenza delle popolazioni colpite da calamità, sia naturale, sia provocata dall’uomo (compresi i conflitti armati); riafferma inoltre il diritto delle popolazioni colpite da disastri a vivere con dignità. La Carta evidenzia le responsabilità legali degli Stati e delle parti in conflitto nel garantire il diritto alla protezione e all’assistenza. Quando le autorità competenti non sono in grado e/o disposte a onorare le proprie responsabilità, sono tenute ad autorizzare le organizzazioni umanitarie a fornire assistenza e protezione. Da qui sono stati sviluppati una serie di indicatori chiave e norme minime da rispettare nelle operazioni di assistenza in 7 La Carta si richiama ai seguenti strumenti: Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, 1948; Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, 1966; Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, 1966; Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, 1969; Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i due Protocolli aggiuntivi del 1977; Convenzione sullo statuto dei rifugiati, 1951 e Protocollo sullo statuto dei rifugiati 1967; Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, 1984; Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, 1948; Convenzione sui diritti dell’infanzia, 1989; Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, 1979; Convenzione sullo statuto degli apolidi, 1960; Principi guida sugli sfollati interni, 1998.


41 caso di disastri in cinque settori chiave (acqua e servizi igienico-sanitari, nutrizione, aiuti alimentari, rifugi e assistenza sanitaria). Le norme partono dal principio che le popolazioni colpite da disastri hanno diritto a vivere con dignità. Esse sono di natura qualitativa, universali e applicabili in qualsiasi ambiente operativo. Gli indicatori chiave, invece, possono essere di natura qualitativa o quantitativa e servono come strumenti per misurare l’effetto dei procedimenti applicati e dei programmi attuati. Senza gli indicatori chiave, le norme sarebbero poco più che dichiarazioni di buoni propositi, di difficile attuazione pratica. Le norme per i vari settori non sono isolate, ma interdipendenti. Vi è però un’inevitabile tensione tra la formulazione di Norme universali e la possibilità di applicarle nella pratica. Ogni contesto è diverso; in alcuni casi possono esservi fattori locali che impediscono l’attuazione di tutte le norme e degli indicatori. In questi casi, il divario tra le norme e gli indicatori presentati nel libro e quelli attuati nella pratica reale deve essere descritto, spiegando i motivi che lo hanno determinato e i punti che è necessario modificare. Il “progetto Sfera” dal 1997 si occupa di raccogliere il materiale necessario per arricchire le informazioni disponibili necessarie a delineare le norme minime: esperti, operanti sul campo e appartenenti ad organizzazioni umanitarie differenti, hanno contribuito a stilare l’elenco di tali norme. Alla base del Progetto Sfera vi sono due convinzioni fondamentali. La prima è che si debbano intraprendere tutte le iniziative possibili per alleviare le sofferenze umane provocate da calamità naturali e da conflitti; la seconda, che coloro che sono colpiti da un disastro abbiano diritto a vivere con dignità e, di conseguenza, abbiano diritto all’assistenza. Sfera è tre cose: un manuale, un ampio processo di collaborazione e l’espressione di un impegno volto alla qualità e all’assunzione di responsabilità. La struttura dei campi di emergenza rispettano gli standard minimi previsti dal progetto sfera nella maggior parte dei casi. Le attività assistenziali post-emergenza sono finalizzate ad assicurare alle popolazioni colpite le funzioni urbane e sociali preesistenti al terremoto, preferibilmente nelle località di abituale residenza, in attesa della ricostruzione. Oltre al primo soccorso ed agli aspetti sanitari d’emergenza è di fondamentale importanza l’allestimento di strutture in grado di assicurare un ricovero a coloro che hanno dovuto abbandonare la propria abitazione. Questo si realizza attraverso strutture improprie, ma idonee ad accogliere la popolazione (alberghi, centri sportivi, strutture militari, campeggi, ecc.); tendopoli e/o roulottopoli; insediamenti abitativi d’emergenza. La scelta di tende e roulotte costituisce la migliore

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e più veloce risposta possibile ai tempi imposti dall’emergenza, pur essendo all’ultimo posto in quanto a comfort. Tende e roulotte non rispondono però all’esigenza di ripresa dell’attività socioeconomiche che si può invece realizzare attraverso insediamenti abitativi d’emergenza. Questi consentono di mantenere la popolazione nei propri territori, necessità molto sentita dalle persone psicologicamente colpite dalla perdita della “casa” intesa come luogo della memoria e della vita familiare. Consente inoltre di mantenere le popolazioni interessate come “soggetti attivi”, in grado cioè di partecipare alla ripresa delle proprie attività, contribuendo in questo modo ad una più rapida ripresa sociale ed economica dell’area interessata dall’evento.

La pianificazione dell’emergenza La risposta del sistema di protezione civile è tanto più efficace quanto risulti preventivamente pianificata l’individuazione e la predisposizione degli spazi necessari per le opere di assistenza alla popolazione e al ripristino delle funzioni primarie di una comunità. Questo è pertanto uno degli obiettivi che le amministrazioni locali si devono prefiggere nell’ambito delle competenze in materia di programmazione dello sviluppo del territorio e di tutela della pubblica incolumità. Occorre assicurare gli spazi necessari alla gestione di una situazione di crisi legata all’alterazione violenta dell’assetto del territorio con un lavoro di interazione tra pianificazione territoriale e di emergenza, finalizzata a mitigare gli effetti a cui è esposto ed alla individuazione e predisposizione degli spazi necessari ad assicurare una rapida assistenza alla popolazione. L’individuazione degli spazi necessari alla gestione di una situazione di crisi connessa ad uno stato calamitoso con danni al territorio diventa pertanto uno degli obiettivi primari di una corretta pianificazione d’emergenza. L’analisi attenta degli elementi a rischio presenti sul territorio, sulle infrastrutture e sulle attività socioeconomiche che in esso si svolgono e la conseguente pianificazione d’emergenza può contribuire allo sviluppo di una consapevolezza in amministratori e tecnici degli Enti locali e nei professionisti operanti nel campo urbanistico che la sicurezza delle comunità non è un fatto delegabile alla sola fase esecutiva degli interventi edilizi, ma è un requisito che si modifica attraverso i modi d’uso del suolo e del patrimonio edilizio ed infrastrutturale. La pianificazione d’emergenza deve essere intesa come strumento fondamentale per consentire un’organizzazione territoriale rispetto ai possibili rischi cui è esposto e non solo intesa come “censimento delle risorse” o come


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A sinistra: area di accoglienza Italtel - A destra: area di accoglienza Colle Maggio

semplice “codificazione delle procedure di attivazione del sistema di protezione civile in caso d’emergenza”. L’analisi del territorio con l’individuazione delle cause dei possibili accadimenti deve essere realizzata con un approccio interdisciplinare delle funzioni tecniche, con la predisposizione, strutturale e non, della riduzione degli effetti in caso di evento.

Le aree per le emergenze E’ evidente pertanto l’esigenza di individuare e predisporre preventivamente “aree” idonee all’organizzazione delle operazioni di assistenza alla popolazione, come risposta del sistema di protezione civile, nel rispetto dei tempi d’intervento propri di una situazione di emergenza. Tali “spazi” possono esser così definiti: Aree di attesa o “meeting point”, come punto di raccolta della popolazione al verificarsi di un evento calamitoso. Aree di ammassamento, per l’invio di forze e risorse di protezione civile in caso di evento. Le aree di ammassamento sono le superfici individuate preventivamente dove far affluire i materiali, i mezzi e gli uomini necessari alle operazioni di soccorso. Nella individuazione e localizzazione di un’area di ammassamento su cui dovranno convergere le strutture di soccorso tecnico urgente sia

istituzionali che volontarie, dovrà essere scelto un sito servito da un sistema viario prossimo, capace di sopportare l’inevitabile affluire di mezzi e uomini nonché degli apparati di supporto logistico. Per i medesimi il Dipartimento di Protezione Civile ha indicato alcuni requisiti fondamentali che tali aree devono possedere per essere idonee agli scopi di protezione civile. Le caratteristiche tecniche richieste sono le seguenti: Dimensioni sufficienti per accogliere almeno una tendopoli per 500 persone e servizi campali. Collocazione in prossimità di un casello autostradale o comunque facilmente raggiungibile per strada agevole anche a mezzi di grandi dimensioni. Disponibilità nelle vicinanze di risorse idriche ed elettriche facilmente collegabili. Accertamento della sicurezza delle aree stesse in riferimento ai possibili rischi di inondazioni, dissesti idrogeologici o interruzione dei servizi e delle infrastrutture primarie. Individuare aree che siano al servizio di più realtà comunali, baricentriche rispetto ai rischi cui un determinato territorio è esposto. Definire l’individuazione e la realizzazione delle aree attraverso un lavoro congiunto tra gli enti aventi competenze specifiche sulla programmazione e gestione del territorio (Regioni, Provincie, Comunità montane, Comuni) e, qualora ritenuto necessario, società di gestione di pubblici servizi,


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Sopra: area di accoglienza di San Gregorio - Sotto: area di accoglienza Assergi

enti di bonifica, Autorità di bacino, ecc. Normare dal punto di vista urbanistico le aree rispetto alle diverse situazioni territoriali esistenti, emanando le necessarie istruzioni tecniche. Prevedere una programmazione economica degli interventi di adeguamento funzionale necessari alla destinazione d’uso. Poiché assoggettare una determinata area da utilizzare come “area in attesa” di un possibile evento, ai soli fini di protezione civile risulta limitativo, vincolante ed improduttivo, è possibile sfruttare il concetto di “polifunzionalità” delle aree inteso come l’individuazione di funzioni ed esigenze, nell’ambito di un determinato territorio, da poter sviluppare parallelamente alle attività di protezione civile, per la realizzazione di “aree attrezzate multifunzionali” di interesse generale (es. mercati all’aperto, manifestazioni all’aperto, ecc.), attraverso: l’individuazione delle funzioni realmente necessarie tra quelle idonee per la zona urbanistica in questione e la rilevazione articolata dei fabbisogni esistenti, nonché dei relativi bacini di utenza. le caratteristiche infrastrutturali dell’area in oggetto facendo particolare riferimento alla disponibilità di urbanizzazioni primarie quali la fognatura, l’acquedotto, la rete di distribuzione energetica, nonché al grado di accessibilità che presenta l’area in quanto una buona accessibilità costituisce requisito fondamentale.

Aree di accoglienza, per l’installazione di materiali e strutture idonee ad assicurare l’assistenza abitativa alle popolazioni. Al momento del verificarsi di un evento calamitoso uno degli aspetti fondamentali da affrontare, oltre naturalmente al primo soccorso ed agli aspetti sanitari di emergenza, riguarda l’assistenza delle persone, intesa come allestimento di strutture in grado di assicurare un ricovero per coloro che hanno dovuto abbandonare la propria abitazione. Le aree di accoglienza sostituiscono le abituali strutture di vita, distrutte o impraticabili a seguito di un evento catastrofico, con lo scopo di assicurare alla popolazione colpita le funzioni urbane e sociali preesistenti agli eventi calamitosi nelle località di abituale residenza. • Possono essere suddivise in: • Strutture di accoglienza • Tendopoli e roulottopoli • Insediamenti abitativi di emergenza Si rende pertanto necessario preventivamente individuare gli spazi necessari ad assicurare le operazioni di soccorso e di assistenza attraverso una pianificazione territoriale. Le strutture di accoglienza possono essere alberghi, centri sportivi, strutture militari, edifici pubblici temporaneamente non utilizzati, campeggi, ecc. Tali strutture andranno individuate nella fase di pianificazione dell’emergenza comunale con un periodico aggiornamento delle informazioni inerenti sia alle strutture pubbliche che private in


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Modulo base

grado di soddisfare le esigenze di alloggiamento temporaneo della popolazione interessata da un possibile evento. E’ inoltre necessario mantenere aggiornato un quadro dei vani liberi di proprietà privata nonché il variare delle disponibilità di abitazioni da assegnare da parte di Enti vari. Dovranno essere preventivamente individuate le procedure di accesso all’utilizzo delle strutture, anche attraverso accordi, convenzioni, ecc. Tutte queste informazioni rientrano tra le competenze del coordinatore della funzione di supporto previste dal Metodo Augustus, con l’approvvigionamento dei materiali necessari all’allestimento dei centri di accoglienza. Considerato che spesso il periodo di sosta delle persone interessate dall’evento supera il periodo di emergenza temporanea, sarà necessario adottare gli accorgimenti per assicurare un’adeguata vivibilità nel rispetto delle prescrizioni e standard indicati dalla competente Azienda Sanitaria Locale. Le tendopoli possono essere considerate la prima risposta rapida del sistema “soccorsi” alla necessità di dover accogliere la popolazione in situazione di emergenza. Pur non essendo la soluzione migliore per il confort, soprattutto in situazioni climatiche sfavorevoli (stagioni piovose, climi con elevate temperature o temperature molto basse), rappresentano un valido strumento d’intervento in ragione di una immediata disponibilità dei materiali presso i vari centri assistenziali di pronto

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Modulo base con bulbo illuminante

intervento (C.A.P.I.8) diffusi capillarmente sul territorio nazionale. Anche la relativa facilità di trasporto dei materiali stessi e la pressoché diffusa conoscenza da parte delle forze istituzionali e del volontariato delle tecniche di assemblaggio delle componenti, ha reso possibile la costruzione di aree di accoglienza in tempi molto brevi. Per la realizzazione di un “campo” sicuro e funzionale è importante ricercare un’area con caratteristiche idonee all’uso; le aree in esame possono suddividersi in tre categorie. aree destinate ad altre funzioni, già fornite, in tutto o in parte, delle infrastrutture primarie. Sono aree comunemente fornite di servizi, come zone sportive e spazi fieristici, diffuse sul territorio e rispondenti a criteri di rapida urbanizzazione (dimensioni sufficientemente ampie e misure 8 Centri assistenziali di pronto intervento C.A.P.I. sono stati istituiti sulla base del decreto del Ministero dell’interno, per le esigenze previste dalla Legge 8 dicembre 1970, n. 996; sono costituiti da magazzini (secondo le disposizioni contenute nel D.P.R. 9 giugno 1967, n. 903) per il deposito di materiali assistenziali da distribuire in caso di eventi calamitosi, secondo le indicazioni contenute nel D.P.R. 6 febbraio 1981, n. 66, regolamento di attuazione della Legge 966/1970. In tali magazzini sono conservati i seguenti materiali: tende P.I. 88 e P.I. 87, tende Roder, letti completi in contenitori di tela, brande, materassi, cuscini, coperte, lenzuola , federe, padiglioni igienici, gruppi elettrogeni, impianti elettrici, stufe, giacconi impermeabili, K-Way, badili, picconi, piumoni, tende P.I. 73, containers, carrelli elevatori , lampade d’emergenza, contenitori di tela vuoti per posti letto.


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Tenda PI88

certe; esistenza di opere di drenaggio; allacci con la rete elettrica, idrica e fognaria; impianto di illuminazione notturna; esistenza di vie di accesso; presenza di aree adiacenti, quali parcheggi, idonee all’eventuale ampliamento della tendopoli o per essere adibite ad altre attività dell’organizzazione dei soccorsi). aree potenzialmente utilizzabili individuate in serguito ad un evento calamitoso; è indispensabile valutare le aree da selezionare in funzione dell’evento accaduto o in fase di accadimento ed al potenziale rischio residuo (aree sicure e protette da rischi, con agevole fornitura di elettricità, acqua ed allacci fognari per le necessità tecniche ed igieniche del campo, come aree industriali/ commerciali in disuso, parcheggi di centri commerciali, scuole ed impianti di ricreazione, aree demaniali o terreni agricoli). aree da individuare, preventivamente, in sede di pianificazione dell’emergenza. La metodologia di analisi per l’individuazione e realizzazione di nuove aree necessarie all’installazione di tendopoli, prevede di determinare le esigenze e funzioni richieste dal territorio per applicare, a scala comunale, il principio della polifunzuonalità già espresso. Una volta individuata l’area si procedere ad una “progettazione” che consenta una ottimale dislocazione delle tende e dei servizi. A tal fine

si rende opportuno utilizzare degli schemi precostituiti, al fine di ottimizzare l’utilizzo degli spazi con la creazione di percorsi agevoli all’interno del campo, prevedendo itinerari di afflusso per le merci, oltre che la normale viabilità. Gli accorgimenti di cui tenere conto in fase di progettazione e allestimento sono: pochi percorsi carrabili principali di attraversamento dell’area, protetti con materiali (piastre metalliche, palanche, ecc.) atti ad impedire lo sprofondamento dei mezzi; aree di stoccaggio o magazzini-tenda dei materiali da posizionare ai bordi della tendopoli, per circoscrivere il transito di mezzi pesanti; eventuali tubazioni in superficie e non interrate.

Struttura dei campi di emergenza Schema di allestimento tendopoli Il Ministero dell’Interno – Direzione Generale della Protezione Civile e Servizi Antincendio - propone alcuni schemi precostituiti per procedere con una progettazione che consenta una ottimale dislocazione delle tende e dei servizi. Il primo schema fa riferimento a raggruppamenti di quattro tende denominati “moduli base” da impiegarsi, in funzione delle specifiche necessità, o come gruppi isolati, oppure aggregati tra loro. Nel modulo base le tende sono collocate in posizione simmetrica rispetto ad un punto centrale, in cui viene infisso il palo equipaggiato con un apparecchio con lampada con bulbo


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Ospedale da campo per Medici Senza Frontiere, 2005 (fonte: Eurovinil)

fluorescente da 125 W per l’illuminazione dell’area del modulo stesso, che funge anche da supporto per il quadro elettrico di zona (Qz). Ogni tenda occupa uno spazio di metri 4,5 x 6, con una distanza di 4,5 metri fra una tenda e l’altra secondo lo schema raffigurato. Il modulo base così composto avrà una dimensione di metri 15 x 15. Tale modulo potrà pertanto essere ripetuto per otto volte. Questa particolare configurazione consente di creare un campo di accoglienza con ampi spazi, ricreando percorsi simili a vie urbane e spazi simili a piazzette o corti che possono essere utilizzate per la vita sociale degli adulti o per il gioco dei bambini. Inoltre la distanza di rispetto fra le tende ed il particolare posizionamento delle stesse che evita l’accoppiamento speculare dei moduli e pertanto il ritrovarsi fronte a fronte dell’ingresso di due tende, permette il rispetto di una minima privacy fra i diversi nuclei familiari. Lo scostamento delle tende consente (distanza di 4,5 metri) la creazione di un corridoio separatore nonché una via di fuga o percorso per i mezzi di estinzione. Questa soluzione permette inoltre di sfruttare a pieno il materiale fornito dai C.A.P.I., considerato che gli impianti elettrici di distribuzione sono calcolati e realizzati secondo lo schema sopra descritto; il materiale predisposto è stivato all’interno di due minibox, contenenti i componenti per l’allestimento di 32 tende suddivise in moduli

da 4, impianto di riscaldamento e mezzi di estinzione compresi. I vari moduli base distanziati di 5 m uno dall’altro, formeranno una tendopoli avente dimensioni pari a metri 55 x 55, contenente 32 tende, per un totale di 192 posti letto. Accoppiando due sistemi composti singolarmente da 8 moduli, ci ritroveremo con una tendopoli avente dimensione di circa 120 metri di lunghezza e 55 metri di larghezza, ovvero le dimensioni di un campo da calcio regolamentare, in grado pertanto di accogliere 64 tende per un totale di 384 posti letto. Il secondo schema si pone l’obiettivo di dislocare le tende ed i servizi nel modo più funzionale possibile. Il modulo base delle tende è composto da 6 tende, disposte su due file da tre, che si affacciano su un percorso sufficiente al transito di u n furgone o similare. Ciascuna tenda necessita di una piazzola di circa metri 7 x 6. Separando di un metro le piazzole (per consentire le operazioni di pulizia e manutenzione ed il passaggio di cavi e tubazioni, l’intero modulo avrà la forma di un rettangolo di 2 metri 23 x 16 (368 m ). La capacità ricettiva di ciascun modulo è di 36 persone (6 persone per tenda), ma più realisticamente, considerata la composizione media nei nuclei familiari e le legittime esigenze di privacy, la possibilità di ricovero potrà variare da 24 a 30 persone. In tal modo, l’area necessaria


47 al solo attendamento di 500 persone dovrà avere 2 un’estensione di circa 6.200m . I MATERIALI DI PRONTO IMPIEGO La tenda MPI ‘88 La tenda mod. MPI ’88, denominata tenda “ministeriale” nasce dall’evoluzione della tenda mod. MPI ’73 concepita negli anni settanta come materiale di pronto impiego da utilizzare come prima risposta all’esigenza di ricovero per le persone sfollate o personale impiegato nei soccorsi. E’ costituita da un telo di copertura in cotone di colore blu impermeabilizzato, con falda a terra, a diretto contatto con il terreno, in tessuto poliestere spalmato PVC. La struttura portante è realizzata con una armatura componibile in tubi di acciaio; la camera interna è realizzata in tessuto di cotone con pavimento in tessuto di poliestere spalmato PVC. La camera interna è fornita di teli separatori e tasche portaoggetti che consentono la creazione di più ambienti. Nella parte alta anteriore e posteriore sono state anche ricavate due prese d’aria per permettere una ventilazione della camera d’aria formata tra il telo esterno costituente il tetto a doppia falda e la camera sottostante al fine di limitare la formazione di condensa. Nella parte posteriore inferiore è collocato un manicotto per consentire il passaggio dei cavi di alimentazione dell’impianto elettrico. Le tende pneumatiche La tenda a struttura “pneumatica” viene impiegata nelle realizzazioni di strutture in cui si richieda velocità e semplicità di montaggio. La tenda si compone di un telo sostenuto da una serie di tubolari gonfiabili sagomati ad arco sostituendo in tale modo l’armatura metallica presente nelle tende tradizionali; l’unica paleria presente è costituita da corte aste in alluminio, di peso ed ingombro limitato, aventi funzioni non portanti ma di distanziali fra gli archi di sostegno. La tenda può essere del tipo a 3, 4 o 5 archi pneumatici; ciascun tipo può essere realizzato nella configurazione a 2, 3 o 4 porte per aumentare la modularità e le possibilità di impiego operativo del sistema. La tenda, smontata e ripiegata, è agevolmente trasportabile per mezzo di tre colli contenenti le varie parti strutturali e gli accessori di montaggio. La modularità del sistema è assicurata dalla possibilità di collegare le tende tra loro mediante corridoi di unione e moduli d’ingresso. Le unità di carico Le unità di carico sono costituite da “contenitori” laddove si rende utile e necessario realizzare un sistema di trasporto combinato ovvero i diversi modi di trasporto imposti dal trasporto combinato intermodale.

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Gli effetti letterecci Gli effetti letterecci sono costituiti generalmente da una grossa valigia di canapone verde, che avvolge e contiene due brandine a gambe pieghevoli di rete, disposte a sandwich con frapposti due materassi in gommapiuma foderata, tra le quali trovano collocazione opportunamente disposti: n. 2 cuscini in gommapiuma foderata; n. 2 federe in cotone color bianco; n. 4 lenzuola di cotone color bianco; 4 coperte di lana. Il “pacco brande” è generalmente trasportato in appositi containers “minibox”. All’interno di un “minibox” possono trovare posto fino a 26 pacchi letto per un totale complessivo di 52 posti letto. Una volta svuotato il container può essere utilizzato come vano di deposito e immagazinaggio, chiudibile con lucchetto. Gli impianti elettrici di illuminazione e riscaldamento L’unità alloggiativa è dotata di un impianto di illuminazione e di riscaldamento, garantendo standard di sicurezza elettrica e di prevenzione incendi, in conformità alle specifiche vigenti normative. Le tende “MPI 88” grazie alla predisposizione di un apposito manicotto passacavo ubicato nella parte bassa della parete posteriore, possono essere dotate di uno specifico impianto elettrico che permette l’illuminazione dell’ambiente ed in condizioni metereologiche avverse, il riscaldamento del vano. E’ stato pertanto predisposto uno specifico impianto elettrico, costituito da: 2 radiatori elettrici ad olio con potenza elettrica 1000 + 1000 watt; 2 plafoniere con lampade al neon, complete di catenelle per la sospensione all’armatura della tenda; 1 torretta di distribuzione contenente le prese elettriche per l’alimentazione delle utenze e degli interruttori di protezione; il cavo elettrico premontato per il collegamento della torretta al quadro elettrico di distribuzione di zona con spina. I gruppi elettrogeni di potenza sufficienti a sopperire alla richiesta sono disponibili presso i C.A.P.I. e vengono forniti con il materiale elettrico. Sono costituiti da unità carrellate, non idonee alla circolazione stradale, equipaggiate con motore diesel ed alternatore racchiuso all’interno di una cofanatura insonorizzata, predisposte per le operazioni di trasporto, sia con tasche inferiori per la movimentazione tramite carrelli elevatori, sia di ganci sul tetto per il sollevamento tramite carro gru. Nel caso in cui l’ente distributore non sia in grado di fornire l’energia necessaria per cui renda indispensabile l’utilizzo dei gruppi elettrogeni, sarà necessario predisporre un servizio continuo


Come rispondono gli enti all’emergenza

interno al campo, in grado di provvedere: 1. all’approvvigionamento del carburante necessario al funzionamento dell’unità motrice; 2. al controllo dei parametri di funzionamento sia della sezione alternatore, sia dell’unità motrice; 3. agli interventi di manutenzione in caso di guasto. Servizi Igienici I servizi igienici sono realizzati con strutture mobili (tipo container), costruiti con pennellature coibentate in lamiera zincata preverniciata a caldo e isolato con l’utilizzo di poliuretano espanso. Ogni unità è suddivisa in due parti (uomini e donne), ciascuna fornita di 3 lavabi, 3 WC e una doccia. I moduli hanno le seguenti dimensioni: • Lunghezza 6 metri • Larghezza 2,4 metri • Altezza 2,5 metri Per calcolare il numero di unità necessarie bisognerà tenere presente le seguenti dotazioni minime: • 1 WC ogni 25/30 persone; • 1 lavabo ogni 10 persone; • una doccia ogni 30/50 persone. Indicativamente per una tendopoli atta ad ospitare 500 persone, saranno necessarie almeno 10 unità di servizio. L’intero modulo composto da due file affiancate di cinque container, separate da un percorso di servizio per manutenzione,copre una 2 superficie di 24 x 24 metri ovvero 576 m . Un’organizzazione dei servizi accentrati per moduli e non distribuiti fra le tende, consente: • un coinvolgimento minore dell’area attendamenti da parte dei mezzi pesanti; • una maggiore facilità di collegamento alle reti o per la raccolta dei liquami; • un controllo ed una manutenzione più efficaci; • la possibilità di sostituire rapidamente una struttura malfunzionante. La distanza tra i moduli tenda e quelli destinati ai servizi dovrebbe essere calcolato nell’ordine dei 50 metri. Rifornimenti Idrici L’acqua può essere ì portatrice di numerose malattie: il suo apporto controllato deve essere una priorità immediata nel momento in cui si prendono in carico persone sfollate e personale soccorritore. I bisogni tendono ad aumentare rapidamente e richiedono la creazione di una infrastruttura indipendente. Nella normale vita quotidiana i bisogni ottimali sono dell’ordine di 100-120 litri di acqua al giorno per persona in ambiente urbano di paese industrializzato (acqua da bere, per cucinare, per lavare le stoviglie, per l’igiene individuale e collettiva). Si parla di grave carenza idrica quando non

48 si disponga di 15 litri di acqua la giorno per persona. Pertanto si può stabilire che il minimo di acqua giornaliero per persona è di 15 litri di cui 5 litri di acqua potabile per bere e cucinare e 10 litri per l’igiene. I requisiti di potabilità sono regolamentati da specifiche normative di legge con parametri che esigono l’assenza di organismi patogeni, assenza di escherichia coli o di streptococchi fecali, mineralizzazione totale inferiore a 1,5 grammi per litro e assenza di corpi radioattivi. Se le reti di distribuzione preesistenti sono danneggiate è indispensabile il ripristino e la loro bonifica, rientrando pertanto nelle priorità della pianificazione. In alternativa possono essere utilizzati pozzi con acque non contaminate avente pertanto i requisiti di potabilità; anche le sorgenti che possono essere utilizzate per l’approvvigionamento idrico e nel caso di danneggiamento a seguito della catastrofe si dovrà procedere al loro ripristino, utile come base di partenza per l’installazione di una nuova rete. Le acque di superficie come stagni, laghi, fiumi, corsi d’acqua, possono essere utilizzate come ultima risorsa, a monte della zona di inquinamento e attingendo in profondità sotto la superficie dell’acqua. In questo caso diventa indispensabile trattare l’acqua con un potabilizzatore in grado di purificare l’acqua con rimozione delle particelle in sospensione, eliminazione di prodotti chimici, torpidità, sali e batteri e clorazione finale per renderla utilizzabile; è possibile provvedere alla distribuzione utilizzando delle insacchettatrici. Il servizio mensa Per quel che concerne gli impianti per il servizio mensa, non possono essere inseriti nel materiale standardizzato per le varietà dei materiali e delle possibili soluzioni adottabili. Ad esempio due grosse tende (12 x 15 metri) attrezzate con tavoli e panche, affiancate da una cucina da campo, rispondono ad esigenze di una tendopoli di semplice e veloce realizzazione. Le stesse strutture potranno essere anche utilizzate per qualsiasi attività a carattere sociale e ricreativo. LA GESTIONE LOGISTICA DEL CAMPO Le Sale Operative L’efficacia e l’efficienza di qualsiasi organizzazione complessa è basata su di un nervo centrale, da cui si diramano e dove arrivano tutti gli impulsi: questo vale in particolare per la macchina dei soccorsi. La sala operativa si occupa della partenza e l’arrivo di tutte le informazioni, le direttive, le richieste, le necessità e i dati rilevanti necessari allo sviluppo dell’attività, in corso e futura, è il centro che


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Capitolo2

Schema di gestione del campo

raccoglie le disponibilità del personale pronto all’impiego e ne organizza la mobilitazione. La Sala Operativa di Campo La sala operativa di Campo dovrà essere dislocata nella zona operazioni e gestita sotto la responsabilità del Capo Campo. Scopo di tale Sala Operativa è avere un costante controllo della gestione del Campo, ovvero le esigenze materiali alla gestione del personale, alla costante raccolta ed aggiornamento dei dati rilevanti relativi alle attività svolte, al personale e mezzi impiegati ed ai consumi effettuati. Tutta questa massa di informazioni deve essere custodita nell’”Archivio del Campo”, meglio se un archivio informatico, e trasmesse giornalmente, o a seconda delle disposizioni ricevute, alla Sala Operativa immediatamente superiore gerarchicamente. Struttura Organizzativa del Campo La struttura organizzativa del Campo potrà variare in funzione di molteplici fattori legati all’evento verificatosi e ai “bisogni” creatisi sul territorio. La struttura organizzativa più complessa prevede: una segreteria e una sala operativa, un funzionario Delegato, un nucleo di Pronto Soccorso e attività sanitarie, servizi sociali e attività speciali, un autoparco, impianti e servizi, cucina e magazzini viveri, un organigramma del Campo. Al fine di garantire la necessaria efficienza nella Sala Operativa di Campo dovranno essere ben definiti l’organigramma nominativo dei componenti

della Sala Operativa e le loro mansioni/compiti, identificando il responsabile della “funzione”. La direzione è affidata al “Capo Campo” coadiuvato da un “Vice Capo Campo”. La suddivisione interna del lavoro, sul tipo di quella adottata con il metodo “Augustus” per i COM, implica l’istituzione di Segreteria • Funzione 1: Materiali e Mezzi • Funzione 2: Volontari e Personale • Funzione 3: Donazioni e Assistenza • Funzione 4: Comunicazione • Funzione 5: Gestione Dati Nucleo Pronto Soccorso e Attività Sanitarie Il “Nucleo P.S. e Attività Sanitarie”, dovrà occuparsi delle seguenti attività: Allestimento di uno o più posti di pronto soccorso, infermerie e astanterie, dislocate ove possibile in locali idonei o qualora non disponibili in container o tende pneumatiche. Allestimento farmacia e gestione della stessa, controllo delle scadenze, flusso dei farmaci (richieste invio scorte in zona emergenza). Gestione del personale medico e paramedico in servizio al campo appartenente alla CRI o ad altre organizzazioni che eventualmente collaborano nell’ambito dell’assistenza sanitaria. Tutto ciò in stretta collaborazione con la Segreteria e Sala Operativa di Campo, al fine di pianificare le esigenze di presenza del personale medico e paramendico sia in termini quantitativi che di specializzazione.


Come rispondono gli enti all’emergenza

Organizzare visite a domicilio di soggetti bisognosi di cure sanitarie colpiti dall’emergenza. Gestione e controllo del campo per quanto attiene agli aspetti di “Igiene e Profilassi” sia degli ospiti (soccorritori e popolazione) sia delle cucine, dei viveri, dei bagni ecc. in stretta collaborazione con le Autorità (ASL, ARPA ecc.), con particolare cura agli aspetti epidemiologici dell’emergenza. Nelle maxi-emergenze che vedono impegnati reparti sanitari di altre organizzazioni (Forze Armate, Ass. Alpini, ANPAS, SMOM ecc.) collaborano allo svolgimento delle attività sanitarie in zona di emergenza. Nelle prime fasi di un eventuale soccorso sanitario, organizzano, in accordo con il 118 competente, l’intervento delle ambulanze, dei soccorritori, l’allestimento dei P.M.A. e le norne di evacuazione. Servizi Sociali e Attività Speciali Il settore “Servizi Sociali e Attività Speciali”, dovrà occuparsi delle seguenti attività: Installazione e gestione in zona di emergenza di magazzini di raccolta e distribuzione viveri, vestiario e attrezzature. Svolgimento delle attività di censimento delle necessità rivolto alle popolazioni colpite dall’evento. Organizzazione e svolgimento delle attività tipiche del settore socio-assistenziale quali: allestimento tende o locali adibiti alle attività sociali; attività di assistenza sociale e animazione delle fasce a rischio (anziani, bambini, handicappati), sia nelle strutture allestite a tale scopo sia mediante visite a domicilio; distribuzione degli aiuti ricevuti in zona di emergenza; Svolgimento delle attività di “supporto psicologico” rivolto sia alla popolazione che ai soccorritori svolto dal personale CRI qualificato per tale attività. Autoparco Il settore “Autoparco”, dovrà organizzare e gestire il parco automezzi, mediante lo svolgimento dei seguenti compiti: Allestimento di una officina mobile con minime capacità di risoluzione dei problemi meccanici ai mezzi operanti nell’ambito del Campo. Mantenimento dell’efficienza dei mezzi operanti, mediante periodici controlli ai mezzi stessi. Curare l’effettuazione dei rifornimenti di carburante ai mezzi di concerto con la funzione materiali e mezzi per quanto attiene le pratiche burocratico/ amministrative TAVOLA II.2

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I campi profughi per emergenze artificiali I campi per rifugiati sono luoghi in cui i rifugiati vengono ospitati. Il termine rifugiato comprende sia i rifugiati politici creati da eventi come guerre civili e discriminazioni etniche verso gruppi interi o anche rifugiati ambientali, la cui fuga dipende da disastri naturali o emergenze che portano al pericolo di vita di gruppi di persone, per motivi che non dipendono in maniera strettamente diretta da azioni umane. In questo paragrafo analizzeremo il caso dei rifugiati politici, cercando di sottolineare gli elementi che differenziano i campi profughi dai campi di emergenza, analizzati precedentemente. Questa analisi risulta particolarmente interessante dal punto di vista della gestione e dell’organizzazione del campo: come vedremo in seguito, nei campi profughi la partecipazione dei soggetti svolge un ruolo fondamentale. Da un lato, vista la possibilità di convivenza tra diversi diversi gruppi etnici, e tutte le differenze e ricchezze culturali che da qui ne conseguono, grazie alla partecipazione dei singoli e dei rappresentanti dei diversi gruppi nelle fasi di progettazione e realizzazione del campo si possono evitare eventuali tensioni, incomprensioni e il malcontento. Dall’altro lato, invece, dipendono tutti quegli aspetti pratici, come la necessità di risorse umane necessarie per i soccorsi: le figure specializzate, con una formazione specifica, svolgeranno la loro normale funzione, ma saranno sempre affiancate dagli individui del luogo. In questa maniera, secondo l’antropologa culturale Cristina Molfetta9, si garantisce un intervento con effetti e benefici a lungo termine, in cui i soggetti si sentono partecipi di un unico sistema.

Premessa: Carta dei diritti umanitari, Standard minimi e Sphere Project Nel caso dei campi di emergenza bellica, l’importanza della carta dei diritti ed il rispetto degli standard minimi definiti dallo Sphere Project, (cfr. par. 2.3.1) svolgono un ruolo fondamentale: è importante sottolineare che in questo tipo di emergenza, molto spesso i rifugiati vengono ospitati da nazioni diverse dalla loro, e non è nello specifico interesse dello stato il loro benessere. La loro ospitalità viene premiata, e incoraggiata, con sovvenzioni e finanziamenti, aiuti monetari 9 Maida Cristina Molfetta, antropologa culturale con 15 anni di esperienza nella cooperazione internazionale, lavora attualmente per l’Ufficio Pastorale Migranti dell’arcidiocesi e fa parte del coordinamento di associazioni che assistono i rifugiati alloggiati a Torino nelle case occupate. Ha trascorso più di dieci anni nei campi profughi di Croazia-Bosnia, Afganistan, Pakistan, Sudan, Darfur. L’antropologa si è occupata in particolare dell’organizzazione dei servizi sociali e del supporto ai rifugiati.


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Sopra: Campo profughi, Kenya 2008 (fonte: Oikos) - Sotto: campo profughi saharawi, deserto algerino (foto: S. Montesi)

per il mantenimento dei profughi; può capitare, in particolari situazioni di povertà, che il denaro destinato agli sfollati venga impiegato per altri scopi, e che quindi le risorse per i profughi siamo troppo ridotte. Con gli standard minimi quindi, si cerca di operare un controllo standardizzato su ciò che avviene in queste situazioni di emergenza, e si offrono delle linee guida per le organizzazioni umanitarie operanti sul luogo. L’estensione o la minimizzazione degli interventi Nel momento in cui nasce un campo profughi, in una particolare situazione di generale povertà della popolazione cui si faceva riferimento in precedenza, si devono valutare gli effetti dell’intervento e l’impatto sulla popolazione locale che non può beneficiare degli aiuti. All’interno di un campo, in queste particolari situazioni, gli individui sono in parte privilegiati, in quanto vengono rispettati i loro basilari “diritti umani”, cosa che non avviene in ogni parte del mondo anche in situazioni di normalità e vita quotidiana: hanno accesso ad acqua, cibo, assistenza sanitaria e sociale, viene offerto loro un ricovero. Per favorire l’integrazione dei profughi, e perchè siano ben accetti dalla popolazione locale (che, forse, in futuro dovrà offrire loro un impiego) è necessario minimizzare gli interventi a quanto stabilito per la sopravvivenza dei soggetti, oppure estendere l’intervento lasciando accesso anche al

resto della popolazione. Per questa ragione viene fornito il cibo in specifiche quantità, si crea una mensa solo se sono presenti casi diffusi di grave malnutrizione e così via. Per portare davvero un aiuto e favorire un miglioramento di vita dei profughi è necessario evitare questa percezione di favoritismi nei loro confronti da parte di chi, come loro, potrebbe non avere nulla.

Le fonti normative a cui si riferiscono i campi Si può affermare che le fonti normative hanno sempre inseguito le emergenze che si sono create dopo la seconda guerra mondiale. Prima della nascita dell’ACNUR10 (Alto Comissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) si può parlare quasi esclusivamente di diritti individuali a livello internazionale e fino al 1948, con l’approvazione della Dichiarazione universali dei diritti dell’uomo (10 Dicembre, Parigi) o del Diritto d’asilo, si parte da diritti individuali per creare le reti di protezione per i gruppi che necessitano protezione ed accoglimento temporaneo. È del 1951, la Convenzione sullo statuto dei rifugiati che definisce 10 L’agenzia delle Nazioni Unite specializzata nella gestione dei rifugiati, fornisce loro una protezione internazionale e assistenza materiale e persegue soluzioni durevoli alla loro drammatica condizione. È stata fondata nel 1950 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, iniziando ad operare dal 1° gennaio del 1951. Ha aiutato 50 milioni di persone e ha vinto due premi nobel per la pace, nel 1954 e nel 1981.


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Campo profughi, Kenya 2008 (fonte: Oikos)

cosa si intende per rifugiato. Si affianca a questo il protocollo relativo allo status di rifugiato del 1967 di New York. Successivamente si è esteso l’ospitalità dal rifugiato, che per definizione varca un confine di stato, anche agli sfollati. In pratica l’ACNUR organizza campi anche all’interno dei paesi di provenienza dei rifugiati. La complessità delle guerre e delle vicende umane non avrebbe permesso sempre lo status di rifugiato in caso di guerre civili o di emergenze ambientali o sanitarie. Oltre a ciò, all’ACNUR sono stati demandati compiti che non aveva al momento della sua costituzione e che non ricadono nelle competenze statutarie, per l’assenza di organismi sovranazionali che abbiano lo scopo a cui si è allargato. L’ACNUR dai rifugiato ha allargato la sua azione agli sfollati, ai rimpatriati, agli apolidi (una stima recente li valuta in nove milioni di individui) e dei richiedenti asilo. L’ACNUR venne istituita nel dicembre 1950 dall’assemblea delle Nazioni Unite, ed ebbe come primo scopo la gestione, per certi aspetti complessa, dei rifugiati in Europa dopo la seconda guerra mondiale. Sia la Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo di New York del 1967 definiscono il rifugiato, ma non determinano le procedure e le norme per riconoscerlo, pertanto viene lasciata ad ogni stato discrezione sul riconoscimento. L’ACNUR si è presa come compito una chiara definizione del rifugiato e delle figure allargate che segue, e cerca di arrivare il più possibile a definizioni e processi

condivisi fra i paesi, con una armonizzazione delle norme.

Struttura dei campi profughi L’organizzazione dei campi e l’autocostruzione I campi possono essere situati all’interno o all’esterno del paese di provenienza. A seconda del segmento di persone che abitano un campo, possono essere organizzati da organizzazioni diverse, solitamente ONG11 o agenzie delle Nazioni Unite. Il campo ha sempre un obiettivo di durata temporanea, al fine di tenere unite le comunità colpite in attesa della soluzione del problema o del ripristino di condizioni sufficienti per ritornare a vivere nel luogo di provenienza. Pertanto i campi per rifugiati hanno come caratteristica temporale una relativamente breve durata. Talvolta l’eccezionalità delle cause porta i campi ad avere durate superiori alle decine di anni come i campi per rifugiati palestinesi dal 11 O.N.G. sta per Organizzazione Non Governativa: indica un’organizzazione di cittadini che non sia stato creato da un Governo, cioè che non faccia parte di strutture governative, e che sia impegnato senza alcuno scopo di lucro nel settore della solidarietà sociale e della cooperazione allo sviluppo. Viene definito nella legge 49/87 che identifica quelle Organizzazioni che ottengono dal Ministero degli Esteri un riconoscimento di idoneità per la gestione di progetti di cooperazione. I progetti delle ONG si basano sul rispetto assoluto della giustizia e dell’ equità, intervengono a vari livelli, sulla politica estera, l’economia, la difesa dei diritti umani, la globalizzazione, la questione del debito estero, le relazioni tra Nord e Sud del mondo, ma, soprattutto, la pace.


53 1948 o Saharawi dal 1975. Il campo per rifugiati parte sempre come temporaneo, pertanto, anche per motivi di velocità di impianto, nelle emergenze la rapidità rappresenta la differenza fra la vita e la morte per un numero elevato di persone, prevede abitazioni per i profughi o sfollati in tende e baracche con un livello sufficiente di infrastrutture per l’igiene personale e collettiva, strutture mediche, strutture di comunicazione, e una logistica orientata a dare il sostentamento alimentare. Il tutto considerando una densità di popolazione elevata, e, rappresentando spesso un’isola di relativa tranquillità, tende a salire nel tempo. Nel campo dei rifugiati e dell’organizzazione e gestione dei loro campi operano numerose ONG, che svolgono il compito spesso come complemento necessario della loro attività principale. L’organizzazione che più di altre è presente nella gestione o nel supporto dei campi è Medici senza frontiere. Come per i campi per emergenze ambientali, anche in questo caso si predilige la scelta di luoghi in cui siano già disponibili acqua e energia (scuole ecc...). La popolazione viene coinvolta sin dai primi momenti per la progettazione del campo, in modo che non si creino disagi causati dalle culture differenti (es. uso delle latrine). Nel caso non siano disponibili strutture in loco, si tende a fornire il kit di sopravvivenza, dotato di fornellino, telo, coperte. In seguito, però, non appena la situazione lo consente, si passa alla vera e propria progettazione del campo, in cui la zona viene divisa in porzioni in cui si installano i gruppi delle diverse culture. Molto spesso sono i soggetti stessi a chiedere dei materiali per costruirsi una “casa” più confortevole; in tal caso l’equità è fondamentale, come più volte sottolineato da Cristina Molfetta: quando un gruppo fa una richiesta di questo tipo, si analizza la giusta quantità di materiale necessario per autocostruirsi una struttura, dopodichè si fornisce tale quantità ad ogni famiglia. L’autocostruzione è uno degli elementi fondamentali per la nascita dei campi profughi quando non vi sono strutture per il ricovero. Alleghiamo una ipotetica pianta di un campo profughi ideale: secondo le informazioni raccolte, il campo profughi cresce e si sviluppa seguendo la conformazione del territorio (contrariamente ai campi di emergenza precedenti, in cui si realizzano artificialmente grandi spiazzi per l’allestimento del campo se non ve ne sono). Le varie etnie che convivono all’interno del campo si suddividono rispettivamente in gruppi di appartenenza, all’interno dei quali eleggono il proprio rappresentante. TAVOLA II.4 pag 59

Capitolo2

2.4 Conclusioni L’analisi della struttura del campo, dei tempi di intervento e dei soggetti che intervengono, costituisce la base per l’intervento sistemico in fase progettuale. I limiti che sono stati identificati, riguardanti la disposizione delle tende, l’organizzazione del campo e la gestioneapprovvigionamento dei beni, verranno ripresi in seguito e saranno il centro dello studio per lo sviluppo del progetto. TAVOLA II.5-6 pag 60-61


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2.5 Testimonianze Abbiamo avuto la possibilità di raccogliere due testimonianze, una alla precedentemente citata Cristina Molfetta, operante nel settore da più di 15 anni, e l’altra a Giorgio Moro, volontario per 2 anni all’interno di alcuni campi costituiti durante la guerra nei Balcani. Gli intervistati hanno presentato brevemente le attività svolte all’interno dei campi, ed il loro ruolo; in seguito abbiamo posto alcune domande mirate, inerenti agli argomenti centrali per noi: l’approvvigionamento di risorse, acqua e energia, lo smaltimento dei rifiuti, e la qualità della vita degli individui. Riportiamo di seguito le informazioni raccolte.

Intervista a Cristina Molfetta, antropologa culturale Incontro con Cristina Molfetta, antropologa culturale che ha avuto un’ esperienza di 10-12 anni nei campi profughi in Croazia-Bosnia, Afganistan, Pakistan, Sudan. L’antropologa si è occupata in particolare dell’allestimento dei servizi sociali, in accordo con i rifugiati, tenendo conto delle diverse culture dei posti. “Buongiorno Sig.na Molfetta, ci piacerebbe condividere con lei la sua esperienza nei campi profughi. Sappiamo che ha lavorato per anni in un campo allestito su un’isola croata.” “ Si, nel 1995 lavorai su quest’isoletta croata, inizialmente era adibita a campeggio per gli scout ma, in questa occasione, le stesse strutture vennero utilizzate come campo profughi. Trattandosi di un’isola, la situazione che si creò fu quella di un “mondo a se stante”: il collegamento alla terra ferma consisteva in una sola barca; vi era un unico telefono fisso (non vi erano cellulari), del quale si poteva usufruire seguendo dei turni . In questo caso l’isolamento era accentuato dal luogo in cui ci trovavamo, ma in ogni caso, il profugo viene emarginato. Spesso infatti i rifugiati vengono visti come “privilegiati”, in quanto fruitori di una casa, di molti servizi ecc.. Inoltre si tratta di una comunità artificiale: si assommano persone con culture diverse, gli spazi disponibili sono limitati, è inevitabile che nascano problemi di convivenza. Nascerebbero anche se non fossimo in una situazione di emergenza.” “Come viene organizzato un campo? Si seguono delle norme nell’allestimento?” “Lo Stato decide insieme alla popolazione quali attività allestire nel campo: ad esempio se vi è una scuola nei pressi del campo, all’interno di questo non verrà allestita la tenda-scuola. In generale, per l’allestimento viene seguito lo “Sphere Project”: il campo è diviso in diversi settori-quartieri, per ognuno dei quali viene stabilita una posizione. Ad esempio il settore “donne” verrà posto più vicino alla polizia. Non si segue però uno schema fisso, come potrebbe essere quello di un campo militare. Un campo profughi nasce a poco a poco: chi si occupa del campo agisce in base alla propria esperienza, non seguendo norme rigide e lasciando libertà ai profughi. In Darfur gli stessi creano la propria casa: ad ogni famiglia vengono forniti i materiali necessari per la costruzione, garantendo condizioni di partenze eque e sono essi stessi a decidere dove porre l’abitazione, in base a dove vi è disponibilità di spazio, o dove il terreno è più favorevole ecc… “ Quali sono i servizi presenti in un campo? Vi sono aree comuni, d’incontro?” “In un campo profughi sono presenti fin dai primi giorni un ambulatorio medico, una mensa, i bagni, le docce, i lavatoi,e lo spazio per lo stoccaggio del cibo. Vengono poi, con il passare dei mesi, allestite aree per i bambini, per le donne e per gli anziani, in cui svolgere attività di sostegno, gioco e d’intrattenimento come il cucito, le carte ecc.. “Chi si occupa di attività come la cucina,la pulizia, la manutenzione del campo?” “Sono gli ospiti stessi a svolgere queste attività, ricevendo in cambio cibo o sigarette per esempio. E’ fondamentale che le persone abbiano delle attività da svolgere durante il giorno, e si sentano stimolati a continuare a vivere, nonostante la situazione in cui si trovano. L’aspetto umanitario e psicologico non va trascurato.


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E’ proprio per questa ragione che vi è anche un impegno nel cercare di inserire i profughi nel territorio in cui si trovano, nel cercare di creare un legame tra il campo ed il luogo, perché non si crei un ghetto. Per prima cosa è necessario fornire un servizio di trasporti che colleghi il campo con la realtà più vicina.” “Dal punto di vista invece della gestione delle risorse, in particolare, ci piacerebbe capire come viene gestita la fornitura di energia” “ Dipende da dove ci troviamo. Nel campo in Bosnia, ad esempio, la rete elettrica era già presente nelle strutture utilizzate. In Darfur invece non vi era questa disponibilità e perciò venivano utilizzati dei generatori elettrici, soprattutto nelle ore serali. E’ proprio da queste situazioni però, che nascono le differenze che rendono il profugo un privilegiato.” “E quella dell’acqua?” “ Se vi è la possibilità, il campo viene allestito dove è presente la rete idrica e quindi l’acqua potabile. In alternativa ogni quartiere ha a disposizione una cisterna di piccole dimensioni, oppure vengono sfruttate le acque presenti in loco, come quella di mari e fiumi. In un campo in Sudan, diversamente, sono i muli a portare l’acqua, esattamente come avviene abitualmente; sono inoltre abituati al risparmio di questa, riutilizzandola per altri scopi come l’irrigazione dei campi o l’abbeveraggio degli animali. Si cerca infatti di creare un campo il più possibile vicino alla vita del Paese in cui ci si trova, mantenendo le abitudine tipiche della cultura, come nella cucina, negli strumenti, nelle attività svolte, nei beni forniti ecc… E’ pero spesso avvenuto che si volessero utilizzare materiali provenienti dal Paese d’origine dei profughi , impiegano denaro per il loro trasporto. “E la raccolta dei rifiuti?” “ I rifiuti nascono dal benessere. In Paesi come il Sudan, la quantità di rifiuti è molto ridotta. Ogni prodotto viene destinato ad altro; l’organico, ad esempio, diventa cibo per animali. In altri casi invece, i rifiuti vengono raccolti settimanalmente. Nel campo sono presenti sparsi cassonetti per la raccolta.

Intervista a Giorgio Moro, volontario Incontro con Giorgio Moro, volontario nel 1993 nel campo profughi in Slovenia, organizzato da Percorsi di Pace. Il campo si trovava a Ajdioscina, a 20 km circa da Gorizia ed ospitava profughi provenienti dalla Bosnia. “ Sig. Moro sarebbe per noi interessante condividere con lei la sua esperienza in un campo profughi, per capirne l’organizzazione, la logistica, l’allestimento; ma anche le attività svolte all’interno, i servizi offerti, le condizioni di vita, l’aspetto umanitario.” “ Il campo in cui sono stato nel ’93 era stato allestito all’interno di una scuola: ogni aula era adibita ad abitazione ed era condivisa da più persone. Nel campo vi erano soprattutto donne, bambini e anziani, in quanto tutti gli uomini dai 16 ai 50 anni erano in guerra. Generalmente si tende a sfruttare luoghi già esistenti, come scuole appunto o cascine ed organizzarli a campo profughi, così da poter sfruttare la rete idrica ed elettrica presente, ed avere a disposizione servizi igienici e lavandini. La realtà di un campo è un “orrore”: tre famiglie condividono una sola stanza: scaturiscono quindi problemi di spazio, di convivenza, di intimità; sono necessari dei turni per gestire l’organizzazione delle docce, per esempio. Inoltre vi sono molte tensioni, non si conosce che cosa stia avvenendo in guerra, non si hanno notizie dei propri mariti. E’ necessario però cercare di andare avanti, svolgendo attività durante la giornata e tentando di inserirsi nel contesto locale in cui ci si trova, anche se non è il proprio Paese. Vi erano giovani che cercavano un lavoro in Slovenia, anche se spesso subivano discriminazioni razziste.”


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“Quali attività si potevano svolgere all’interno del campo?” “Le attività di sostegno per le persone, organizzate dai 250 volontari dell’ Associazione erano per lo più attività di gioco e divertimento sia per i bambini, per le donne, per gli anziani. Inoltre i volontari stessi vivevano nelle stanze con le famiglie, le supportavano nelle azioni di vita quotidiana. In quella situazione, un piccolo gesto vale molto.” “Dal punto di vista invece della gestione e dell’organizzazione del campo, era presente qualcuno che se ne occupasse?” “ Si, vi era un custode del campo che avrebbe dovuto occuparsi della manutenzione dello stesso, in caso di danni, e della pulizia. In realtà questa figura non era molto presente. Il campo era gestito dal governo sloveno, parte in causa nel conflitto, che non aveva grande interesse per le condizioni di vita dei profughi. Furono quest’ultimi ad occuparsi perciò della pulizia, ma non della manutenzione; le donne non avevano le capacità tecniche necessarie.” “Anche la fornitura di attrezzature e alimenti era gestita del governo sloveno?” “Si, ad esempio venivano fornite stufe a legna o a gas o elettriche e venivano poste nei corridoi dell’edificio. Anche il cibo proveniva dal governo che procurava il minimo indispensabile. Infatti coloro che riescono a trovare un lavoro all’esterno del campo, acquistavano del cibo per la propria famiglia.”


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Capitolo2

Allegati Chi interviene: gli attori nell’emergenza Come intervenire: allestimento di un campo Fasi cronologiche dell’emergenza Struttura del campo profughi Standard minimi di risposta in caso di disastri Confronto tra standard minimi e normativa


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TAV II.1 CHI INTERVIENE: GLI ATTORI NELL’EMERGENZA


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TAV II.2 COME INTERVENIRE: ALLESTIMENTO DI UN CAMPO

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TAV II.3 FASI CRONOLOGICHE DELL’EMERGENZA


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TAV II.4 STRUTTURA DEL CAMPO PROFUGHI

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TAV II.5 STANDARD MINIMI DI RISPOSTA IN CASO DI DISASTRI


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TAV II.6 Confronto tra normativa e standard minimi

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Capitolo 3 Analisi di casi studio e rispettivi interventi



Introduzione Il capitolo che segue ha come obiettivo quello di studiare alcune tra le catastrofi naturali più gravi e note avvenute negli ultimi anni. I casi studio sono stati scelti in base alla tipologia di emergenza di appartenenza, relativamente agli interventi attuati in risposta (vedi Cap 1). Ai fini della tesi, sono stati analizzati casi di terremoti, tsunami e inondazioni di gravità elevata e avvenuti di recente, che hanno provocato l’evacuazione di molte persone e l’organizzazione quindi di punti di accoglienza. Per quanto riguarda i sismi, segue l’ osservazione di quello dell’ Abruzzo avvenuto il 6 aprile 2009, quello di Haiti del 13 Gennaio 2010, quello in Cile del 27 Febbraio 2010, quello in Cina del 14 aprile 2010. Gli tsunami trattati sono quello dello Sri Lanka del 26 dicembre 2004 e quello del 26 settembre 2009 a Sumatra. Per concludere con il caso dell’inondazione avvenuta in Mozambico il 4 Febbraio 2000. Si è cercato di analizzare le catastrofi dal punto di vista della risposta data all’emergenza: le tempistiche dei soccorsi, l’organizzazione degli aiuti, la distribuzione di acqua e cibo, le condizioni delle vittime e l’attenzione portata alle stesse, con lo scopo di valutare l’efficacia degli interventi, in rapporto con quelli che sono gli standard di intervento previsti dagli “Standard Minimi”, descritti nel capitolo precedente e le normative riguardanti i campi di accoglienza allestiti in tali circostanze.


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

3.1 Terremoto in Abruzzo Il 6 Aprile del 2009 alle ore 3:30 di notte circa una scossa di 5,8 gradi della scala Richter ha colpito l’Abruzzo: l’epicentro è stato individuato a una decina di chilometri dall’Aquila. Il sisma è stato avvertito in tutto il centro-sud d’Italia, dalla Romagna a Napoli. Oltre ai morti e ai dispersi, i feriti sono stati circa 1.500 e si sono calcolati 70 mila sfollati. Sono stati circa dieci-quindici mila gli edifici danneggiati con pesanti danni al patrimonio storico e artistico della regione. Nei giorni successivi al 6 aprile sono state oltre duecento le scosse susseguitesi nell’Aquilano, le maggiori di magnitudo 3,8 e 4,5; scosse che hanno reso difficile l’organizzazione dei soccorsi, già compromessa a causa della completa distruzione della prefettura, della sede della provincia e di altri uffici regionali. Sono stati inoltre colpiti anche i paesi vicini al capoluogo: una delle situazioni più drammatiche fu ad Onna, dove il 50% delle case è crollato e l’altro 50% danneggiato.

La macchina dei soccorsi Alle prime luci dell’alba la situazione nel capoluogo si presentava drammatica: cadaveri estratti dalle macerie erano adagiati in terra coperti da un lenzuolo, per le strade vagavano centinaia di persone in stato di choc, molte con coperte sulle spalle, altre in pigiama. La Protezione civile ha diramato nel primo pomeriggio la lista dei luoghi dove si erano allestite le tendopoli. La Croce Rossa Italiana è intervenuta agendo attraverso il personale delle proprie sedi locali, inviando colonne di ambulanze e servizi d’assistenza sanitaria sul luogo. Il Commissario Straordinario è stato convocato nei 15 minuti successivi all’evento, dal Dipartimento della Protezione Civile per il coordinamento di tutti i servizi di pronto intervento, con l’obiettivo di fronteggiare l’azione di soccorso della popolazione colpita dalla calamità. In 4 ore dalla richiesta d’intervento, sul posto è arrivata una Cucina da Campo con possibilità di distribuire fino a 7.000 pasti, oltre a 150 volontari. Con questa mobilitazione, nel giro di poche ore dalle prime scosse, la prima unità di soccorso è stata in grado di fornire alla cittadinanza, oltre a una pronta assistenza medica, beni di prima necessità e conforto. Una colonna di mezzi, comprendente un’altra Unità Cucina, è stata poi inviata dalla Comitato Regionale C.R.I. Toscana e istallata presso il Campo di Collemaggio. Ulteriori 2 cucine in grado di somministrare 3.500 pasti al giorno sono state richieste sul posto per sopperire alle necessità della popolazione. Mentre una parte del personale lavorava ai soccorsi

68 e alla preparazione dei campi di accoglienza, l’altra parte, con competenze amministrative e logistiche, collaborava con i referenti per l’allestimento e organizzazione del Centro di Coordinamento, in un’area, ritenuta idonea ad essere utilizzata come centro operativo. Settantadue ore dopo l’evento la C.R.I. in sinergia con il coordinamento del Dipartimento di Protezione Civile, iniziava la fase di “stabilizzazione” dell’emergenza, cominciando a dedicare la propria attività alla preparazione del “dopo” evento. Sono stati in primo luogo realizzati più di 150 punti di fornitura elettrica per 60 campi di accoglienza, per sostituire i gruppi elettrogeni impiegati dalle prime ore, caratterizzati da una fornitura instabile, con ripetute interruzioni, rumorosità e consumi di combustibile. Le soluzioni adottate sono state molteplici: realizzazione di brevi tratti di linea, potenziamento di cabine esistenti, posa di nuove cabine nei pressi dei campi di accoglienza. Con il passare dei giorni i campi base sono diventati a poco a poco città vere e proprie di cui bisognava soddisfare qualsiasi bisogno. Da quelli amministrativi, sociali, culturali, religiosi senza tralasciare quelli primari: magiare, bere ed igiene. Secondo quanto stabilito dall’ordinanza del presidente del Consiglio dei Ministri (n. 3771 del 19 Maggio 2009), i sindaci dei Comuni colpiti potevano rivolgersi in via prioritaria e fino al 31 dicembre 2009 alle piccole imprese operanti nei territori colpiti dal sisma, «nel rispetto dei principi di trasparenza, rotazione e parità di trattamento per la fornitura in termini di somma urgenza dei beni e dei servizi necessari all’assistenza della popolazione ospitata nei campi di accoglienza». Le richieste da parte dei campi base venivano convogliate in una postazione comunale (costituita con la delibera di giunta del 28 aprile) di raccordo con la Dicomac (Direzione di comando e di controllo) che provvedeva a quantificare «l’esatto fabbisogno degli approvvigionamenti da affidare» e a girare la richiesta alla “Funzione Forniture e servizi”, dopo la verifica delle disponibilità in magazzino. Per ogni fornitura venivano poi individuate una decina (in alcuni casi anche meno) di aziende locali alle quali veniva inviata una “lettera d’invito” a proporre la propria offerta e partecipare alla gara.

L’assistenza alle persone Come già detto nel capitolo precedente, oltre all’assistenza sanitaria, svolta soprattutto nelle prime fasi dell’emergenza, nella fase di stabilizzazione della stessa è di fondamentale importanza l’attività di supporto offerta alle vittime. In Abruzzo sono stati svolti diversi progetti


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Capitolo3

Abruzzo primi soccorsi (fonte: wordpress.com)

all’interno dei campi di accoglienza, con particolari riguardi alle necessità degli ospiti e soprattutto a quelle dei gruppi vulnerabili. Riabilitazione in emergenza Attraverso il Progetto “Riabilitazione in Emergenza”, ad esempio, si è voluto fornire sostegno diretto alle popolazioni colpite dal sisma, distribuendo pasti caldi, vestiti e altri materiali, e cercando, nello stesso tempo, di stimolare le risorse presenti nella rete sociale, affinchè la popolazione colpita potesse ri-attivarsi per il proprio futuro. Si è trattato di interventi che hanno previsto la fornitura di beni o servizi immediati che rispondessero ai bisogni primari delle persone colpite dal sisma, quali l’erogazione del vitto (pasti), la fornitura di alloggi (tende), la possibilità di servizi igienici (docce, WC). Inoltre, in queste attività rientrano anche le azioni descritte nel Piano di Azione, quali: • Food support: (inizialmente attraverso il servizio mensa, ma inseguito è stata prevista la trasformazione graduale in soluzioni autonome, attraverso la fornitura di piccole cucine familiari o per 2-3 famiglie; questa modalità è stata fondamentale per passare da una condizione di assistito-oggetto a protagonisti di una quotidianità partecipata); • Fornitura di supporti per i più vulnerabili (carrozzine, stampelle, etc.);

• Fornitura degli alloggi familiari: tende familiari da 20m, tende cucina, materiali di cottura (kitchen set) e refrigerazione, fornitura del riscaldamento (lampade Alpinter), letti, e materiali letterecci; pacchi famiglia per i viveri; • Fornitura di alimenti per piccoli animali da compagnia e da cortile (galline, etc.); • Fornitura di attrezzi e sementi per l’orto (vanga, zappa, concimi, etc.). Infine, in questa linea di attività è rientrato anche il corretto mantenimento delle strutture da campo C.R.I. e la manutenzione dei veicoli C.R.I. impegnati dai primi momenti del sisma fino alla fine delle operazioni. Attività socio-assistenziale L’attività socio assistenziale, iniziata sin dai primi giorni dell’emergenza, è stata caratterizzata da numerose iniziative e progetti realizzati all’interno dei campi tendati. In sintesi: • Censimento della Popolazione colpita dal Sisma, in particolare nei campi tendati • Sportelli di raccolta delle esigenze della popolazione • Macroprogetto “Minori - Anziani - Banca del tempo per adulti” (reinserimento nelle normali attività quotidiane) • Servizio di recapito e consegna della Posta • Attività ludiche: Karaoke, concerti bandistici (Fanfara degli Alpini), Sagre varie, concerti di


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

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Tenda mensa (fonte CRI Piemonte) Abruzzo clown con bambini (fonte: splinder.com)

Abruzzo distribuzione cibo (fonte: Adim)

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vario genere musicale (liscio, classica, pop), feste di compleanno, battesimi, corsi di ballo Progetto “CINETV TENDE”, n. 3 tende cinema donate da NBC UNIVERSAL (Collemaggio, Centi Colella, San Gregorio), attività di animazione socio-culturale Redazione del Giornalino di campo Progetto “Ludobus” in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale de L’Aquila, nel campo di S. Gregorio Attività di supporto nei Ricongiungimenti familiari Supporto ed assistenza alle gestanti Coordinamento attività gruppi di ascolto della Caritas Attività di ascolto (ASA, Dottor Clown, SSEP) Pet therapy.

In particolare per i minori sono state organizzate ludoteche, vacanze studio, vacanze ricreative e, in collaborazione con il Dipartimento della Protezione Civile, attività sportive, doposcuola, corsi di pittura, corsi di lavorazione pasta di sale, corsi di recitazione con saggio finale, micro magia giocoleria (attività svolta costantemente con presenza giornaliera, dai dottor Clown). Per gli anziani invece nei primi due mesi dal sisma sono state organizzate attività specifiche come la creazione di luoghi freschi con all’interno giochi da tavolo, tv, giochi di società, tombolate, serate danzanti, attività di giardinaggio - creazione di

Abruzzo organizzazione in una tendopoli (fonte: laquilanuova.org)

un orto (campo Collemaggio), supporto nella risoluzione di problematiche burocratiche, attività di “Musicoterapia”. Per gli adulti infine fu ideato un progetto finalizzato ad un presto ritorno alla normalità per fuggire dall’ottica dell’assistenzialismo, con la creazione di spazi adibiti a lavanderia, inserimento nelle turnazioni di pulizia bagni, distribuzione pasti.

I progetti di ricostruzione Se da un lato si è agito sul fronte dell’assistenza alla popolazione, parallelamente si sono portati avanti progetti di ricostruzione delle abitazioni per garantire condizioni di riabilitazione della popolazione colpita dal sisma. Il 17 giugno 2009 è stata sottoscritta una convenzione tra il Commissario delegato per gli eventi sismici, la Provincia Autonoma di Trento (quale ente attuatore) e il Commissario straordinario della C.R.I. per la realizzazione urgente di abitazioni nelle zone terremotate dell’Abruzzo, che ha impegnato l’Associazione a garantire la copertura finanziaria degli oneri necessari alla esecuzione dei nuclei abitativi, Il primo progetto fu quello dei nuclei abitativi del villaggio di Onna. Si è trattato di 94 moduli abitativi, destinati a durevole utilizzazione e delle opere di urbanizzazione e servizi, secondo un progetto elaborato in accordo con l’Ufficio nazionale della


71 Protezione Civile, su un terreno individuato dal Comune e concesso in usufrutto gratuito. Un altro esempio fu quelo del paese di San gregorio, quasi interamente distrutto dal terremoto, la cui ricostruzione globale era stimata tra i 4 e i 10 anni. Il Comune dell’Aquila decise di urbanizzare un’area specifica per la comunità di San Gregorio al fine di costruire case di legno (chiamate MAP ovvero “Moduli Abitativi Provvisori”), e quindi fornire abitazioni temporanee a 88 nuclei familiari. Il costo di ogni casa è stata stimato in circa 55.000,00 Euro. Si tratta di abitazioni di due piani, a schiera. La Croce Rossa Italiana si è impegnata per la costruzione del centro di salute, la sala conferenze (centro civico) e alcune case. Le prime abitazioni sono state consegnate nei primi giorni del 2010. TAVOLA III.1 pag 79

3.2 Terremoto ad Haiti Un sisma di magnitudo 7 ha colpito il 12 gennaio 2010 Haiti (nazione dell’America situata nel Mar dei Caraibi) alle 16.53 (le 22.53 in Italia), con epicentro a 15 chilometri dalla capitale Port-auPrince. Contemporaneamente è stato diramato un allarme tsunami per tutto il quadrante caraibico, poi rientrato. Il terremoto, classificato dagli esperti come il settimo più disastroso della storia recente, ha messo in ginocchio un Paese che versava già in condizioni disastrose. Le vittime del sisma sono state 222.517, mentre i feriti 310. 928. Oltre 900.000 gli edifici distrutti, circa 1,5 milioni i bambini colpiti nelle zone coinvolte dal disastro, 1,3 milioni i senza tetto, di cui 302.000 sono bambini. Il sisma ha danneggiato anche gli edifici della polizia e questo ha reso più difficoltose le operazioni di coordinamento dell’attività di controllo e repressione delle azioni criminali.

La macchina dei soccorsi Nei primi giorni post disastro, nelle città era impossibile rimanere vicino alle proprie abitazioni e le famiglie si concentravano in campi spontanei costituiti da tende provvisorie fatte con teli trovati, con assi di legno e lenzuola, piazzate nelle aiuole, nei piccoli parchi o sotto qualche tettoia pubblica rimasta. La gestione dell’emergenza e la risposta ai bisogni della popolazione, è stata completamente dipendente dagli aiuti internazionali. Avvertendo immediatamente la gravità della situazione, subito sono stati attivati aiuti da parte di numerose nazioni, seguiti da appelli alla solidarietà lanciati da organizzazioni umanitarie internazionali. Dagli Usa, il Pentagono ha

Capitolo3

inviato navi e personale di sicurezza. Inoltre una squadra di 30 persone, che comprendeva ingegneri dell’esercito, è partita con personale dell’ambasciata, di Haiti, delle Nazioni Unite e i responsabili internazionali per valutare la situazione e facilitare il sostegno militare. Le organizzazioni umanitarie internazionali quindi hanno messo in campo uomini e competenze, suddividendosi i diversi interventi.

L’assistenza alla persone In generale gli interventi si sono incentrati su tre aspetti prioritari comuni alla maggioranza dei campi di Port-au-Prince: • Shelter o rifugi provvisori: varie istituzioni internazionali hanno distribuito teloni impermeabili resistenti alle forti piogge stagionali previste a partire dal mese di Aprile. Il team aiuti ha definito un modulo shelter base di 2.6 x 3.6 metri che può essere montato in poche ore utilizzando materiale locale facilmente reperibile e ad un costo unitario minimo. La struttura permette inoltre una giusta ventilazione – fattore fondamentale in climi caldi e umidi come quelli di Port-auPrince. Le dimensioni sono ridotte, al di sotto degli standard, per l’esigenza di sistemare un gran numero di senza tetto in campi piccoli e sovraffollati, garantendo comunque condizioni igieniche e sanitarie minime. Si è provveduto inoltre alla formazione di 30 persone nei campi CRESOF e Caradeux per l’allestimento degli shelter. In quest’ultimo campo, per mezzo del Comitato di autogestione, si sono identificate le famiglie più vulnerabili a cui si fornirà assistenza in forma prioritaria. • Acqua: installazione di water tank (capienza 2000 litri circa) nei campi, dove si trovavano accampate più di 1500 famiglie. Queste cisterne erano riempite d’acqua giornalmente. Pur non garantendo lo standard minimo di 15 litri/giorno per persona, permisero di migliorare significativamente le condizioni igieniche e di accesso all’acqua. • Latrine: per fronteggiare il problema, vennero realizzati 6 moduli di latrine a trincea, ciascuna con 4 latrine individuali, a campo, che rappresentavano un’esperienza pilota per insegnare agli sfollati come pulire e prendersi cura delle latrine. Si è stimato un fabbisogno di almeno una latrina ogni 100 persone. Le attività di educazione delle vittime avevano l’obiettivo di ottenere un gruppo di persone formate in ogni campo che potesse continuare con la fabbricazione e la manutenzione delle latrine in forma autonoma, per assicurare un uso continuo delle stesse. Le associazioni hanno fornito il materiale e la supervisione tecnica necessaria.


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

L’ incarico di coordinare tutte le attività umanitarie (agenzie Onu e principali Ong) nei settori dell’acqua e dell’igiene è stato dato all’’Unicef che aveva una sede operativa sull’isola. Dal 15 gennaio arrivarono acqua, tende, alimenti per l’infanzia, sali per la reidratazione orale, compresse per la potabilizzazione dell’acqua, teli impermeabili e beni di primo soccorso. Obiettivi primari furono garantire l’accesso all’acqua potabile (tramite la potabilizzazione delle scorte idriche), ripristinare servizi igienici di emergenza, per prevenire le epidemie, identificare e proteggere gli orfani. Inoltre è stato di fondamentale importanza per quanto riguarda il supporto psicologico, l’intervento di Agire, network che coordina 11 diverse Ong secondo il modello del comitato d’emergenza, ovvero aprendo una consultazione tra le varie realtà valutando in tempi rapidi i singoli contributi, in coordinamento con il Ministero Affari Esteri. Le Ong di Agire, come Actionaid, Cesvi, Cisp, Intersos, Save the children ecc… oltre alle attività di primo soccorso (come la distribuzione di acqua e generi di prima necessità, i programmi igienico sanitari, attraverso la costruzione di latrine e docce) hanno previsto azioni a medio termine che puntano a ricostruire il tessuto sociale, ripristinare i mezzi di sostentamento delle famiglie colpite, creare meccanismi di coinvolgimento delle comunità locali nel processo di ricostruzione e sviluppo, rafforzare la capacità di risposta alle emergenze. Quindi, le attività principali prevedevano supporto psicologico volto a sviluppare capacità di superamento del trauma vissuto; programmi di sicurezza alimentare e miglioramento delle condizioni di vita per 1.500 famiglie; tutela dei soggetti più vulnerabili (donne, bambini, anziani e persone con differenti forme di disabilità); miglioramento dell’accesso all’istruzione per i bambini delle famiglie più vulnerabili; riduzione del rischio e miglioramento della risposta alle emergenze da parte della comunità locale. L’Ong Coopi invece si è occupate di dare una risposta articolata e trasversale a supporto della popolazione haitiana. Dopo la prima fase di emergenza cronica, l’organizzazione si è impegnata in azioni di distribuzione di materiali (per abitazioni d’emergenza) e facilitazione di servizi (acqua, igiene e gestione dei rifiuti) che si rendono necessari nell’immediato postterremoto per supportare gli sfollati nei campi sorti spontaneamente. L’organizzazione, inoltre, ha portato avanti azioni tese al rafforzamento delle capacità di resilienza del sistema in ambito strutturale (gestione del rischio e preparazione ai disastri, valorizzazione delle risorse locali per la prevenzione delle catastrofi naturali). Oltre al supporto dato ai gruppi vulnerabili dalle associazioni sopra citate, sono state organizzate

72 delle attività di cash for work, letteralmente soldi in cambio di lavoro, che serviranno a dare un supporto economico, un piccola paga giornaliera, alle famiglie più vulnerabili. Il lavoro, organizzato in squadrette, ha permesso di cominciare a pulire le strade dalle macerie, raccogliere i rifiuti nelle strade e nei campi, scavare le fosse per le latrine, e tutto ciò che può essere fatto da manodopera non specializzata. Contemporaneamente venivano distribuiti kit igienici (sapone, shampoo, spazzolini, dentifricio, detersivo per panni, secchi per lavare) nelle località e formalizzate riunioni e incontri con la gente sui comportamenti igienici di base. E’ stato inoltre avviato un programma nutrizionale rivolto a bambini a rischio di malnutrizione grave e a supporto delle famiglie con bambini a rischio di malnutrizione più lieve. Si è svolto contemporaneamente un programma di attività ricreative e manuali per i bambini di supporto psicologico (per superare il trauma) per le persone che ne dimostravano la necessità. Infine perché i bambini potessero ripristinare il prima possibile la situazione di “normalità” è stato indispensabile riattivare i percorsi scolastici integrandoli con programmi ad hoc che prevedano training per il superamento dello stress post traumatico. Per questo le organizzazioni di AGIRE, accanto agli interventi educativi classici, ha privilegiato le attività psico-sociali attraverso la creazione di spazi sicuri per l’infanzia e la promozione dell’ambito ludico- ricreativo.

I progetti di ricostruzione Nella capitale Port-au-Prince sarà attuato un progetto di ricostruzione molto particolare che prevede il riutilizzo e il riciclo delle macerie dei palazzi crollati, per la costruzione dei nuovi e più resistenti edifici. Il progetto sarà realizzato dalla Indepedence Recycling of Florida. IRF: un’azienda che si occupa di riciclo di rifiuti edili ed è in grado di recuperare ogni anno circa tre milioni di tonnellate di calcestruzzo ed asfalto per trasformarli in nuovi prodotti. I rifiuti della capitale haitiana, sarebbero poi frantumati e riutilizzati per il confezionamento di prodotti edili da impiegare nella costruzione delle nuove abitazioni. E’ chiaro quindi come si assicuri in questo modo anche un significativo risparmio di denaro in una zona con grandi difficoltà economiche. Non è sempre questa, purtroppo, la linea che si adotta in occasione di calamità naturali quando tutti i detriti vengono indistintamente conferiti in discarica e non si pensa ai loro possibili riutilizzi nonostante la pratica di riutilizzarli sia economica e a basso impatto ambientale. TAVOLA III.2 pag 80


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Haiti campo spontaneo (fonte: UNICEF/Sverige)

Haiti maggioranza di donne e bambini (fonte: UNICEF)

3.3 Terremoto-tsunami in Cile Il Cile è stato colpito da un violentissimo terremoto - 8,8 della scala Richter – il 27 febbraio 2010. L’epicentro si trovava a circa 300 chilometri a sud della capitale cilena, 59 chilometri sotto il livello del mare. La scossa - avvenuta alle 7.34 ora italiana, quando in Cile erano le 3.34 del mattino - è durata un minuto e mezzo, seguita da due altre forti scosse di assestamento. La scossa più forte era stata preceduta, qualche ora prima, da un movimento tellurico di 6.9 gradi sull’isola giapponese di Okinawa. Il bilancio delle vittime è di circa 700 persone, 400 mila gli sfollati. Vi sono state 46 scosse nelle undici ore successive al devastante terremoto. Lo sciame sismico ha quattro localizzazioni principali lungo una fascia di fronte alla costa lunga circa 500 chilometri. Tra le scosse più forti dopo quella principale, le due immediatamente successive sono state una da 6.2 con lo stesso epicentro della prima, una da 6.0 al largo di Valparaiso, una da 6.0 nell’entroterra di Concepcion a Bio-Bio e una di 6.1 al largo di Concepcion, una da 5.6 al largo della costa di Aracaunia. Il sisma ha generato inoltre uno tsunami in tutto l’Oceano Pacifico. Onde di più di due metri hanno raggiunto la costa cilena nelle città di Talcahuano, Valparaiso e Coquimbo provocando ingenti i danni.

Capitolo3

Haiti bambini in tende scuola (fonte: santegidio.org)

Campo della Croce Rossa a Port au Prince (fonte: Tommaso Della Longa)

La macchina dei soccorsi All’inizio il presidente cileno Michelle Bachelet dichiarò in una conferenza stampa di non aver bisogno di aiuti internazionali. Successivamente però ha chiesto la loro collaborazione, in particolare per i seguenti settori: meccanica ponti, ospedali da campo con capacità chirurgica, telefoni satellitari, generatori, sistemi di depurazione dell’acqua salata, strutture di riparo per la popolazione, unità di dialisi, cucine da campo. La Federazione della Croce Rossa ha appoggiato quella cilena facendo attività di ricerca e soccorso delle persone intrappolate sotto le macerie ed ha inviato da subito un team per valutare la situazione e la necessità di inviare kit per l’igiene personale, kit per cucinare e coperte. L’invio delle tende per l’allestimento dei campi invece è stato più problematico inquanto molte di esse erano ancora allestite ad Haiti, si è scelto perciò di inviare teli in plastica da sostituire alla tenda. L’esercito cileno è stato poi dispiegato nelle zone colpite dal terremoto per assistere nella distribuzione umanitaria e soprattutto per garantire la sicurezza e prevenire gli episodi di saccheggio.

L’assistenza alle persone Dopo circa un mese dal sisma, si è iniziato ad occuparsi dell’assistenza psicologica delle


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Analisi di casi studio e rispettivi interventi

Cile (fonte: Avanguardie.info)

persone: ad esempio il Malteser International insieme all’Associazione cilena dell’Ordine di Malta e al Corpo di soccorso dell’Associazione “Auxílio Maltés”, ha organizzando interventi per proseguire l’aiuto umanitario per almeno un anno. Per il Malteser International è stato di particolare rilevanza l’assistenza psicosociale ai bambini, visto che più del 70% di questi aveva paura di tornare a scuola dopo il terremoto. Inoltre è stato creato e dotato di infrastrutture un centro di consulenza per persone con malattie respiratorie croniche. A Tubul, 60 km a sud di Concepcion, il Malteser International sostiene anche i pescatori che a causa dell’enondazione hanno perso tutte le loro attrezzature, e quindi la loro unica fonte di sostentamento. TAVOLA III.3 pag 81

3. 4 Terremoto in Cina Il 14 aprile 2010 la provincia del Qinghai, nel nordovest della Cina è stata colpita da un terremoto di magnitudo 6,9 sulla scala Richter (7,1 per l’istituto di geofisica cinese),causando circa 1100 morti e 10 mila feriti. Il terremoto è stato registrato alle 7.49 ora locale, poco prima dell’1 di notte in Italia, ed è stato seguito da tre forti repliche. L’epicentro è stato individuato a circa 380 chilometri a sud/ sudest della città di Golmud, a una profondità

di 46 chilometri, in una zona di alta montagna, circostanze che rendono più difficile e più lento l’ arrivo dei soccorsi. Più dell’85% degli edifici situati vicino all’epicentro, nella zona di Yushu, è crollato. La zona colpita dal terremoto, non lontana dalla regione autonoma del Tibet, accoglie circa 80.000 persone ed è ad alto rischio sismico: è abitata soprattutto da contadini e nomadi di etnia mongola e tibetana. Tra le vittime ci sono molti bambini delle scuole elementari che, quando si è verificato il sisma, erano da poco entrati nelle aule.

La macchina dei soccorsi e l’assistenza alle persone Circa 700 soldati, aiutati dai volontari locali, hanno scavato sotto le macerie, spesso con le mani o con attrezzi di fortuna, per estrarre le persone ancora vive. Altri cinquemila soccorritori, tra cui soldati e medici, sono stati mobilitati a raggiungere la zona colpita. Le operazioni di soccorso sono ostacolate dalle temperature polari e dai crolli di ponti e strade, comprese quelle che dall’ unico aeroporto della zona portano a Gyegu. L’ aeroporto, invaso da detriti, è stato aperto nel pomeriggio e sono state inviate tende, coperte e vestiti pesanti. Tre tende che possono ospitare una sessantina di persone sono state erette nel cortile della prefettura di Yushu.


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Capitolo3

Cina (fonte: wikio.it)

L’UNICEF ha ricevuto dalle autorità cinesi una richiesta di intervento e ha mobilitato le prime scorte di aiuti per la prima fase dell’emergenza come cibo, acqua, tende, alloggi, vestiti, coperte, trapunte,forniture mediche e attrezzature per il pronto soccorso; inoltre ha fornito soccorsi urgenti per i bambini colpiti, quali tende-scuola, vestiti caldi, coperte e kit scolastici. La risposta è stata coordinata con le altre agenzie delle Nazioni Unite. L’ospedale per la salute materno-infantile di Qinghai della contea di Yushu è completamente crollato a causa del terremoto. Vi era perciò un urgente bisogno di forniture mediche e di attrezzature per l’assistenza al parto. A 10 giorni dal sisma i soccorsi risultarono però male organizzati e spesso inadeguati, costringendo gran parte degli sfollati a passare le gelide notti in rifugi di fortuna, a 4mila metri di altezza. Molte vittime non avevano una tenda e molti tra coloro che l’avevano ricevuta non poterono montarla perché mancavano le barre di acciaio necessarie per erigerla. Tra le vittime ci si lamentava inoltre della diffusa disorganizzazione e la scarsa attenzione mostrata da chi dirige i soccorsi: la distribuzione degli aiuti era così caotica che le vittime si accalcavano e persino discutevano per avere riso, farina e altri generi. Le stesse autorità hanno ammesso di essere

state messe in gravi difficoltà per la gravità del disastro, al punto che più volte i camion carichi di aiuti sono stati mandati in luoghi errati e molte zone non hanno ricevuto nulla. TAVOLA III.4 pag 82

3. 5 Terremoto- Tsunami nello Sri Lanka Il maremoto dell’oceano Indiano del dicembre 2004 è stato uno dei più catastrofici disastri naturali dell’epoca moderna, causando circa 230.000 morti. Ha avuto la sua origine e il suo sviluppo nell’arco di poche ore in una vasta area della Terra: ha riguardato l’intero sud-est dell’Asia, giungendo a lambire le coste dell’Africa orientale. L’evento ha avuto inizio alle ore 00:58:53 UTC del 26 dicembre 2004 quando un violentissimo terremoto - circa 9,3 gradi della scala ML della magnitudo locale - ha colpito l’oceano Indiano al largo della costa nord-occidentale di Sumatra (Indonesia). Tale terremoto è risultato il più violento degli ultimi quarant’anni ed ha provocato centinaia di migliaia di vittime, sia direttamente sia attraverso il conseguente maremoto manifestatosi attraverso una serie di onde anomale alte fino a quindici metri che hanno colpito sotto forma di giganteschi tsunami vaste zone costiere dell’area asiatica tra i quindici minuti e le dieci ore successive al terremoto.


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Analisi di casi studio e rispettivi interventi

Sri-Lanka (fonte: alisonwright.com)

Sri-Lanka macerie (fonte: beeprepared.us)

Sri-Lanka (fonte: londonphoto.co.uk)

Gli tsunami hanno colpito e devastato parti delle regioni costiere dell’Indonesia, dello Sri Lanka, dell’India, della Thailandia, della Birmania, del Bangladesh, delle Maldive giungendo a colpire le coste della Somalia e del Kenya (ad oltre 4.500 km dall’epicentro del sisma). Il numero totale di vittime accertate causate da questa serie di cataclismi è di circa 226.000 esseri umani, mentre tra i tre ed i cinque milioni gli sfollati. Lo stato di emergenza è stato dichiarato nello Sri Lanka, in Indonesia e nelle Maldive. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che le operazioni umanitarie sono state le più costose della storia. I governi e le ONG hanno lanciato l’allarme sul fatto che il numero di vittime finale sarebbe potuto aumentare a causa di eventuali epidemie.

La macchina dei soccorsi e l’assistenza alle persone Data la dimensione del disastro naturale l’ONU ha lanciato un appello agli stati membri affinché contribuiscano generosamente. Dopo un’ iniziale lentezza, i governi dei principali stati hanno provveduto ad effettuare ingenti stanziamenti per l’emergenza. Tra aiuti pubblici e privati sono stati raccolti 2 miliardi di dollari statunitensi. La World medical association inoltre ha lanciato un appello a tutto il personale medico e sanitario del pianeta, affinché chiunque potesse collaborare

con la Croce Rossa Internazionale e la Mezzaluna Rossa. Medici senza frontiere ha mandato poi un team di persone a Banda Aceh (Indonesia), altre nello Sri Lanka , altre équipe di dimensioni in India, Thailandia, Malaysia e Birmania. Bisognava dare immediata assistenza ai superstiti, dando loro da mangiare, dormire, bere ed un’assistenza medica. I sopralluoghi effettuati sul posto hanno indicato la necessità di concentrare gli sforzi soprattutto nell’ambito medico, nella costruzione di campi per i senzatetto e nella disposizione di sistemi di potabilizzazione dell’acqua. Migliaia furono gli sfollati che hanno potuto trovare un riparo nelle tende allestite dai molti volontari di Protezione Civile, attivati e coordinati dal Dipartimento e giunti nelle aree di intervento assegnate dalle Autorità Locali. Nel Sud, tra Matara e Galle, sono stati allestiti 12 campi per un totale di 534 tende. Nel Nord Est le tende montate sono state 208, in 4 campi. La scelta del Dipartimento di creare dei campi è stata legata a due esigenze fondamentali: da un lato garantire degli standard di assistenza medica ed igienica comuni; dall’altro la volontà di ricreare un clima comunitario e familiare, indispensabile per riprendersi dallo shock della tragedia.

I progetti di ricostruzione

Per la realizzazione dei progetti di ricostruzione è avvenuta una collaborazioni tra il Dipartimento di


77 Protezione Civile, 16 ONG, Enti ed Associazioni. Al 15 giugno 2005 l’importo complessivo delle donazioni affidate al Dipartimento ammontava a 46.884.471,55 Euro, raccolti tramite le donazioni via SMS e telefonia fissa alle quali si sono aggiunte le offerte del Comitato “Un aiuto subito” ed altre donazioni di privati e gruppi. I progetti furono, come di consueto, concordati con i promotori delle sottoscrizioni ed approvati dal Comitato dei Garanti. Vediamone alcuni: 1. Progetto di ricostruzione delle case distrutte e di riparazione delle case parzialmente danneggiate La distruzione di case costruite a ridosso della spiaggia, prevalentemente ad uso di famiglie di pescatori e di piccoli commercianti, ad opera del maremoto, è stata elevatissima. Nelle aree individuate e concesse dal Governo per la ricostruzione, sono state reallizzate case durevoli (cioè non alloggi temporanei) costruite in mattoni per le famiglie colpite dallo Tsunami. 2. Riavvio di piccole attività economiche e produttive a conduzione familiare Al fine di permettere il rapido ritorno delle famiglie a “normali” condizioni di vita vennero riavviate quelle piccole attività produttive, prevalentemente nel settore della pesca e del commercio al dettaglio, che risultarono fondamentali per l’economia delle famiglie, poiché ne garantirono la sopravvivenza. 3. Centro medico per l’assistenza sanitaria di base ed il sostegno psicologico Insieme alla costruzione delle case è stata prevista la realizzazione di un Centro per l’assistenza medica di base ed il sostegno psicologico a favore delle fasce sociali più colpite dal maremoto, cioè i bambini, gli adolescenti e le donne. Il Centro garantirà l’accesso ai servizi sanitari primari e alle attività di cura del “post stress psychological disorder”. Il sostegno psicologico è stato previsto anche per le famiglie. 4. Centri di accoglienza residenziale per orfani e minori colpiti dallo Tsunami I Centri di accoglienza sono delle strutture che contribuiscono al rientro a normali condizioni di vita, alla promozione e al reinserimento sociale dei bambini e degli adolescenti colpiti dallo Tsunami. 5. Corsi di Formazione Professionale – Programmi di Sviluppo di capacità imprenditoriale L’inserimento della formazione professionale è orientato alla necessità di offrire ai minori l’opportunità di imparare mestieri utili alla ricostruzione delle proprie zone di provenienza, oppure di acquisire professionalità diverse rispetto a quelle della famiglia d’origine (come la pesca),

Capitolo3

per cambiare il proprio futuro investendo in altri settori professionali. 6. Scuole per l’Educazione primaria e secondaria. Educazione formale e non formale Sono stati previsti 17 progetti per le scuole, gestiti direttamente dal Dipartimento della Protezione Civile. Così i bambini ed i ragazzi cingalesi hanno potuto riprendere la loro formazione secondo migliorati standard sia sul piano edilizio che sul piano dell’offerta delle attività scolastiche (computer, palestra, laboratori scientifici ed artistici, mense e luoghi di socializzazione). TAVOLA III.5 pag 83

3.6 Tsunami a Samoa e a Sumatra Una serie di catastrofi naturali ha sconvolto nel settembre 2009 l’intera regione del Pacifico meridionale e dell’Indonesia occidentale. Il 26 settembre la capitale Manila e altre province delle Filippine sono state investite da una violentissima tempesta tropicale (denominata Ketsana) che, assunte le dimensioni di tifone, si è abbattuta successivamente su Vietnam, Cambogia e Laos, causando 600 vittime nei quattro Paesi asiatici e un milione di sfollati nelle sole Filippine centrali. Nella notte tra il 29 e il 30 settembre un forte sisma ha provocato altissime onde di tsunami che hanno spazzato le coste delle isole Samoa e Tonga, nell’Oceano Pacifico meridionale. Anche in questo caso 160 i morti e alcune migliaia i senzatetto. Il 30 settembre, infine, un violentissimo terremoto (7,6 gradi Richter) ha colpito la costa occidentale di Sumatra, la più grande isola dell’arcipelago indonesiano, la stessa in cui lo tsunami del dicembre 2004 aveva mietuto 130.000 vittime. Il bilancio più aggiornato del sisma è di circa 4.000 vittime, di cui tre quarti ufficialmente classificate come “dispersi” ma per le quali ormai sono state sospese le operazioni di ricerca. Sono circa 180.000 i bambini colpiti dalle conseguenze del sisma.

La macchina dei soccorsi e l’assistenza alle persone I danni e le numerose vittime causate dal terremoto hanno generato in tutto il mondo azioni di solidarietà verso le popolazioni colpite. La Commissione dell’Unione Europea ha inviato 3 milioni di euro di aiuti. Medici Senza Frontiere ha inviato un’equipe di emergenza con materiale medico da Bruxelles e da Parigi per dare aiuto alle popolazioni colpite: ha concentrato le sue attività sui bisogni sanitari


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

non ancora coperti, dalle cure chirurgiche alla distribuzione di generi di prima necessità come coperte, pentole, materassi, taniche di metallo e kit igienici; ha predisposto rapidamente un ospedale da campo gonfiabile , con due sale operatorie e dozzine di posti-letto per il ricovero dei pazienti; ha messo a disposizione uno psicologo. Fondamentale è stata inoltre l’azione dell’UNICEF su tutti i fronti della crisi sin dalle prime ore per portare aiuto all’’infanzia e alle famiglie, in costante coordinamento con i governi locali e le altre agenzie umanitarie per garantire aiuti di primo soccorso per i sopravvissuti. Anche la Croce Rossa Italiana è intervenuta, inviando operatori, principalmente logisti, e sanitari di supporto, con l’obiettivo di costruire presso Padang un Campo Base per accogliere circa 100 soccorritori PMI (Croce Rossa Indonesiana) e formare il personale PMI all’uso delle strutture. Sono state quindi acquistate 2 cisterne da 1000 l per fornire acqua ai bagni e costituito un sistema a pescaggio continuo, così da non richiedere il riempimento delle cisterne per il tramite di un’autobotte. TAVOLA III.6 pag 84

3.7 Alluvione in Mozambico Il 4 Febbraio 2000 piogge torrenziali si sono abbattute sull’Africa meridionale lasciando un percorso di distruzione: i fiumi sono fuoriusciti dai loro letti ed hanno causato la morte di molte persone e spazzato via strade, ponti e case. Quest’ultime e migliaia di ettari di terra sono stati distrutti, lasciando senza tetto un notevole numero di persone. Le aree più colpite furono la provincia di Maputo (Matutuine, Manhica, Magude e Marracuene) e la provincia di Gaza (Chibuto, Chokwe e Mabalane). La maggior parte di queste aree hanno avuto problemi con la fornitura di acqua potabile dopo che le cisterne e gli impianti di purificazione dell’acqua sono stati spazzati via dalla furia delle inondazioni.

La macchina dei soccorsi e l’assistenza alle persone Inizialmente gli aiuti tardavano ad arrivare, non vi era nessuno che li coordinasse: molti sfollati rimasero infatti per giorni al riparo dall’acqua su tetti di case o alberi, nell’attesa che qualcuno venise in loro soccorso. Inoltre aumentava il rischio di un’epidemia di colera o malaria. Successivamente sono poi intervenute le associazioni internazionali. Tutti gli sfollati sono stati portati in scuole ed edifici pubblici o raccolti in campi in aree collinose dove la terra era asciutta. Medici Senza Frontiere ha inviato team medici, forniture di medicinali, acqua e kit logistici a

78 Maputo e Matola. Un centro transiti, con acqua potabile e servizi sanitari per 5.000 sfollati è stato installato in una vecchia azienda agricola, vicino a Maputo. Sono stati allestiti 4 centri per il trattamento del colera - CTC - a Maputo e a Matola. Sono state compiute vaccinazioni. Più di 10 tonnellate di materiale sanitario, medicinali e cisterne per l’acqua sono stati inviati con cargo nel paese. MSF ha ricevuto 25.000 dollari da USAID per i soccorsi d’emergenza. Altri aiuti di varia natura sono giunti dal Sudafrica, dall’UNESCO, dal WFP, dall’UNICEF. Sotto il coordinamento di MSF, la Croce Rossa, attraverso le Red Crescent di Maputo e provincia, era attiva nel trattamento delle acque, spostamento della popolazione da zone di alto rischio a zone più sicure, campagne di educazione sanitaria, aiuti di prima necessità, fornitura e distribuzione di soccorsi, supporto psicologico alle persone colpite.

I progetti di ricostruzione Diverse associazioni tra cui AMURT (Ananda Marga Universal Relief Team) e UNICEFsi sono occupate di attività mirate a migliorare la qualità dell’acqua, i servizi igienici e sanitari dopo il disastro. Allo scopo di ridurre la prolificazione di parassiti e infezioni, vennero forniti servizi igienici a scuole e comunità e insegnato alle persone come mantenere l’acqua pulita. A questo fine, venero impartiti anche corsi d’istruzione nelle comunità su due temi di particolare importanza, igiene e misure sanitarie. TAVOLA III.7 pag 85

3.8 Conclusioni Confrontando gli interventi avvenuti nelle emergenze analizzate con quelli che sono previsti dagli standard minimi, abbiamo potuto notare come, in quasi tutti i casi, si cerchi di seguire la traccia degli standard, ma che molto spesso questo non sia del tutto possibile. Il contesto di emergenza è molto difficile da gestire, e soprattutto coinvolge molti enti diversi, difficilmente coordinabili tra loro. Ed è questa la causa per cui gli aiuti tardano ad arrivare in alcuni dei casi, non fornendo il cibo, l’acqua e il rifugio previsti nel tempo stabilito dagli standard. La situazione migliora nella fase successiva di stabilizzazione dell’emergenza, dove invece gli standard minimi vengono poi rispettati. E’ inoltre da sottolineare che in Paesi molto poveri come Haiti o Mozambico, il cibo, l’acqua e i rifugi forniti fossero inferiori agli standard, poiché non vi erano fondi sufficienti e disponibilità delle risorse; nel caso invece dei campi in Abruzzo, le quantità previste di acqua e cibo erano superiori rispetto a


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Tsunami Samoa (fonte: divinationpower.com)

Mozambico sfollati in scuole (fonte: UNICEF)

quelle previste. Un aspetto invece non trascurato (ad eccezione del caso del Mozambico) è quello riguardante l’assistenza sanitaria: fin da subito medici e volontari collaborano per l’assistenza e il soccorso delle vittime; nei mesi successivi al disastro viene poi offerto agli ospiti del campo anche il supporto psicologico, per tutti o in particolare per i gruppi vulnerabili. A sostegno del recupero psichico, sono previste dagli standard attività di coinvolgimento degli ospiti, e di partecipazione durante la gestione e la manutenzione del campo. In alcuni casi tali attività non sono state organizzate, in altri venivano svolte gratuitamente dagli ospiti, mentre in altri ancora era previsto un compenso. Abbiamo poi notato come l’aspetto riguardante lo sviluppo delle capacità locali non fosse tenuto in considerazione, ad eccezione del caso dello Sri Lanka, dove si era cercato di riavviare piccole attività economiche produttive locali a conduzione familiare. E’ del tutto trascurato infine l’aspetto relativo alla sostenibilità. TAVOLA III.8 pag 86

Capitolo3

Samoa dopo lo Tsunami (fonte: green.in.msn.com)

Mozambico soccorsi (fonte: UNICEF)


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

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Allegati Caso studio: Abruzzo Caso studio: Haiti Caso studio: Cile Caso studio: Cina Caso studio: Sri Lanka Caso studio: Samoa e Sumatra Caso studio: Mozambico Confrontro tra standard minimi e casi studio


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TAV III.1 CASO STUDIO: ABRUZZO

Capitolo3


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

TAV III.2 CASO STUDIO: HAITI

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TAV III.3 CASO STUDIO: CILE

Capitolo3


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

TAV III.4 CASO STUDIO: CINA

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Capitolo3

TAV III.5 CASO STUDIO: SRI-LANKA

3.9 Allegati Caso studio: Abruzzo Caso studio: Haiti Caso studio: Cile Caso studio: Cina Caso studio: Sri Lanka Caso studio: Samoa e Sumatra Caso studio: Mozambico Confrontro tra standard minimi e casi studio


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

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TAV III.6 CASO STUDIO: SAMOA E SUMATRA


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TAV III.7 CASO STUDIO: MOZAMBICO

Capitolo3


Analisi di casi studio e rispettivi interventi

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TAV III.8 CONFRONTO TRA STANDARD MINIMI E CASI STUDIO




Capitolo4 Analisi del soggetto



Introduzione Dopo aver analizzato il contesto dell’emergenza e, in particolare, i campi di accoglienza, è sorta in noi l’esigenza di andare a studiare i soggetti, le persone coinvolte, le vittime della tragedia. Lo scopo dell’analisi è stato quello di capire lo stato emotivo e fisico di coloro che sono costretti a vivere per molto tempo in un campo. Nozioni queste che si sono poi rivelate molto utili in fase progettuale: è stato infatti per noi fondamentale in fase di scelta delle soluzioni progettuali, avere chiaro lo stato delle persone che, come vedremo in seguito, diverranno uno dei parametri di giudizio, insieme al contesto, al luogo, al tempo, al costo.


Analisi del soggetto

4.1 Gli attori nel campo di emergenza In una situazione di emergenza all’interno di un campo di accoglienza, i soggetti presenti possono essere suddivisi in due gruppi: gli ospiti, ovvero la popolazione che è stata accolta dopo il disastro e i soccorritori, tutti gli operatori, per la maggior parte volontari, che prestano il loro servizio in aiuto dei primi. Vediamo di seguito l’analisi più specifica di entrambi. Si tratta di un approfondimento sulla figura dell’ospite e del soccorritore in generale, ovvero delle caratteristiche attribuibili all’essere umano in un contesto particolare quale l’emergenza. Non sono però da trascurare, nel caso di un emergenza specifica avvenuta in un luogo specifico, le particolarità della popolazione colpita, ovvero la sua cultura, il legame con il territorio ecc..

L’ospite Valutazione dei bisogni primari, analisi dei gruppi vulnerabili E’ fondamentale in ambito decisionale e organizzativo di un campo di accoglienza, il tener conto dei bisogni primari dell’ospite del

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campo da soddisfare. Ogni branca specialistica dell’assistenza umanitaria (cibo, acqua, servizi igienici, sanità, eccetera) ha sviluppato nel corso degli anni una serie di sofisticate tecniche di needs assessment (valutazione dei bisogni). La valutazione dei bisogni è un processo molto delicato e necessariamente soggettivo. L’individuo o piú spesso un gruppo di individui, (come un team composto da rappresentanti di diverse agenzie umanitarie in un Paese in crisi) devono svolgere un processo di integrazione tra i dati quantitativi provenienti dagli assessments e dati spesso molto piú qualitativi concernenti una serie di fattori: • DEMOGRAFIA: il prerequisito di ogni valutazione dei bisogni è la determinazione delle dimensioni, localizzazione e struttura demografica (divisione per sesso e classi di età) della popolazione dei beneficiari. • PROTEZIONE: è presente a tutti i livelli (proteggere la popolazione dalla morte o dall’essere feriti/uccisi, proteggerli dalla sete, proteggerli dall’essere discriminati, eccetera). • ACCESSO e SICUREZZA: le nozioni di sicurezza ed accesso sono strettamente legate a quella di protezione. • RISCHIO: nella prospettiva di stabilire priorità di intervento, è anche importante tenere presente la differenza tra i bisogni rappresentati dagli indicatori (come il tasso di mortalità) ed i rischi


95 a cui è soggetta la popolazione. Le priorità sono quindi priorità pesate dagli individui, il risultato della combinazione delle informazioni provenienti dagli indicatori e quelle provenienti dall’analisi dei rischi. • VULNERABILITÁ: Il rischio è definito come la probabilità di conseguenze negative derivanti dall’interazione tra un pericolo (nel nostro caso una calamità naturale o un’emergenza complessa) e condizioni di vulnerabilità. Una popolazione piú vulnerabile avrà quindi una maggiore probabilità di conseguenze negative se colpita dallo stesso evento. Le condizioni di vulnerabilità prima, durante e dopo una crisi variano considerevolmente, cosí come gruppi diversi all’interno della stessa popolazione presentano vulnerabilità diverse. Un’accurata analisi della vulnerabilità è quindi essenziale per avere un quadro globale dei bisogni e per potere stabilire corrette priorità di intervento. Per rendere questo complesso e delicato processo di integrazione il piú sistematico possibile (con lo scopo di minimizzare gli aspetti soggettivi e di rendere il risultato confrontabile tra situazioni

Capitolo4

di crisi diverse) a partire dal 2003 l’Inter-Agency Standing Committee (il massimo organismo di coordinamento politico delle agenzie umanitarie) ha intrapreso lo sviluppo di un sistema basato su una “matrice dei bisogni umanitari”. Segue lo schema generale della Needs Assessment Matrix. Questo modello di organizzazione dei bisogni – valido in una crisi umanitaria tanto come in condizioni normali – presenta verso l’alto le esigenze di sopravvivenza dell’individuo e poi, procedendo verso il basso, quelle della famiglia, poi della comunità sino ad arrivare al bisogno di una nazione di avere un governo funzionante ed infrastrutture adeguate. La stessa analisi puó essere fatta riguardo ai programmi che devono essere messi in atto per soddisfare le diverse esigenze: verso l’alto troviamo interventi di “pura emergenza”, diretti essenzialmente a salvare delle vite. Verso il basso troviamo programmi di sviluppo a lungo termine, che non appartengono strettamente al dominio degli interventi umanitari ma che è bene incorporare per quanto (e quanto presto) possibile nelle operazioni di emergenza.

Matrice dei bisogni umanitari, Innter Agency Standing Commitee


Analisi del soggetto

Nello specifico: POPOLAZIONE VULNERABILE: identificare particolari gruppi vulnerabili. Per ognuno di questi gruppi specificare la divisione per sesso ed età, vulnerabilità specifiche del gruppo. MORTALITÁ: analisi riguardo all’evoluzione del tasso grezzo di mortalità (CMR) e del tasso di mortalità infantile. MORBIDITÁ: analisi della situazione epidemiologica che includa l’evoluzione dei tassi di morbidità delle sei malattie piú importanti (evoluzione dell’incidenza e della prevalenza). La selezione deve comprendere malattie che possono non essere un problema al momento ma hanno il potenziale di generare esplosioni epidemiche e fornire una descrizione della situazione dell’HIVAIDS. STATO NUTRIZIONALE: analisi dell’evoluzione recente nella prevalenza di malnutrizione totale, malnutrizione moderata, malnutrizione grave. ACCESSO ALL’ACQUA POTABILE: valutazione del sistema di approvvigionamento idrico, del rispetto degli SPHERE standards concernenti accesso all’acqua e quantità, qualità dell’acqua, del sistema di distribuzione, dei problemi di protezione specifici come discriminazioni sull’accesso all’acqua basate su sesso o etnicità. IGIENE: valutazione dei sistemi per l’eliminazione delle feci, del rispetto degli SPHERE standards concernenti numero delle latrine ed accessibilità, controllo dei vettori a livello degli individui/ famiglie, controllo dei vettori a livello comunitario ed ambientale. CONSUMO DI CIBO: valutazione del rispetto degli SPHERE standards concernenti supporto nutrizionale (accesso e varietà dei cibi; bambini al di sotto dei sei mesi sono allattati al seno o con sostituti appropriati; bambini tra sei mesi e due anni hanno accesso a cibi energetici ad alto contenuto proteico); descrivere eventuali problemi di protezione specifici come discriminazioni sull’accesso al cibo basate su sesso, età o etnicità. ALLOGGI: condizioni di alloggio della popolazione; fornire una valutazione del rispetto degli SPHERE standards concernenti gli spazi abitativi; descrivere eventuali problemi di protezione specifici come discriminazioni sulla disponibilità di alloggi basate su sesso, età o etnicità. COMPORTAMENTI: valutazione del rispetto degli SPHERE standards concernenti comportamento igienico ed uso delle latrine, allattamento al seno,

96 sessualità protetta. SERVIZI SANITARI DI BASE: valutazione del rispetto degli SPHERE standards concernenti i servizi sanitari (riduzione della mortalità e morbidità); eventuali problemi di protezione specifici come discriminazioni sull’accesso ai servizi sanitari di base basate su sesso, età o etnicità. SICUREZZA ALIMENTARE: condizioni di accesso fisico ed economico al cibo per le famiglie; valutazione del rispetto della definizione della FAO di sicurezza alimentare (“tutte le persone hanno accesso in ogni momento al cibo di cui hanno bisogno”); eventuali problemi di protezione specifici come discriminazioni sulla disponibilità di alloggi basate su sesso, età o etnicità. STRUTTURE SANITARIE: sistema sanitario (a livello di famiglia, comunità, strutture periferiche, centrali e di riferimento); valutazione (scala da 0 a 5) del rispetto degli SPHERE standards concernenti la performance del sistema sanitario e competenza del personale sanitario. CONTESTO SOCIALE, ECONOMICO E CULTURALE: valutazione del grado di marginalizzazione delle donne rispetto al loro accesso a cibo, assistenza sanitaria, educazione, attività economiche; valutazione dell’impatto dell’assistenza umanitaria sulla marginalizzazione delle donne; valutazione grado di marginalizzazione dei bambini rispetto alloro accesso a cibo, assistenza sanitaria, educazione; valutazione dell’impatto dell’assistenza umanitaria sulla marginalizzazione dei bambini; le condizioni di accesso della maggioranza della popolazione ad attività economiche (a); le capacità della popolazione rispetto alla crisi (b); il livello di partecipazione della popolazione alle operazioni umanitarie (c). Come accennato nel primo punto, tra la popolazione vi sono persone soggette a bisogni maggiori e particolari. Tali persone rientrano in quelli che sono definiti gruppi vulnerabili che comprendono: i bambini, gli anziani, i disabili, le donne ei malati di HIV. • I bambini costituiscono spesso la maggior parte di una popolazione colpita da disastri, è fondamentale che i loro punti di vista e le loro esperienze siano non solo estrapolati nella fase di valutazione iniziale e pianificazione dell’emergenza, ma che se ne tenga conto durante l’erogazione, il monitoraggio e la valutazione finale del servizio umanitario. Sebbene la vulnerabilità in alcuni settori specifici (per esempio malnutrizione, sfruttamento,


97 rapimento e reclutamento in forze combattenti, violenza sessuale, mancata partecipazione ai processi decisionali) possa riguardare anche il resto della popolazione, i bambini e i giovani sono quelli che ne subiscono gli effetti più devastanti. In base alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, è considerato bambino un individuo di età inferiore ai diciotto anni. Tuttavia, vista la diversità dei contesti culturali e sociali, alcuni gruppi di popolazioni possono avere una concezione diversa del bambino. • Gli anziani secondo le Nazioni Unite sono uomini e donne di età superiore ai 60 anni. Il principale fattore di vulnerabilità per gli anziani nelle situazioni di disastro è l’isolamento. Insieme allo sconvolgimento delle strategie di sostentamento e sostegno della famiglia e della comunità, l’isolamento esaspera le vulnerabilità già esistenti dovute a problemi cronici di salute e di mobilità e a eventuali deficit mentali. In ogni caso, l’esperienza dimostra che gli anziani sono più portati a dare aiuto che a riceverne. Se sostenuti, possono svolgere un importante ruolo nella cura degli altri, nella gestione delle risorse e nella produzione di reddito, riversando le loro conoscenze e la loro esperienza nelle strategie di risposta efficace della comunità, contribuendo così a mantenerne l’identità sociale e culturale e favorire la risoluzione dei conflitti. • I disabili (che possono essere definiti come

Gruppi vulnerabili (fonte:prima da noi.it)

Capitolo4

persone con menomazioni fisiche, sensorie o emotive, o con difficoltà di apprendimento che rendono più problematico usufruire dei servizi di supporto) in qualsiasi disastro sono particolarmente vulnerabili. Perché possano sopravvivere a un periodo di allontanamento e sradicamento, è necessario che le strutture standard siano accessibili alle loro particolari esigenze, per quanto possibile. Occorre inoltre una rete che agevoli il supporto sociale, che in genere è fornito dalla famiglia. • Le donne: i pari diritti di uomini e donne sono esplicitati nei documenti sui diritti umani che stanno alla base della Carta Umanitaria. Donne e uomini, bambine e bambini hanno lo stesso diritto all’assistenza umanitaria; al rispetto della loro dignità umana; al riconoscimento delle loro pari capacità umane, compresa quella di compiere scelte; alle stesse opportunità di agire sulla base di quelle scelte e allo stesso potere di decidere del risultato delle loro azioni. Si arriva a capire tali differenze – come anche le disuguaglianze tra uomini e donne nei rispettivi ruoli e carichi di lavoro, nell’accesso e controllo delle risorse, nel potere decisionale e nelle opportunità di sviluppo delle capacità personali – attraverso l’analisi di genere. Quella del genere attraversa tutte le altre tematiche trasversali. Gli obiettivi umanitari di proporzionalità e imparzialità comportano la necessità di agire perché si raggiunga l’equità

Gruppi vulnerabili (fonte: giuseppevitale.com)

Abitanti di una tendopoli (fonte: giornalettismo.com)


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Analisi del soggetto

tra donne e uomini. • Malati di HIV/AIDS: in situazioni di forte incidenza di HIV/AIDS, i meccanismi di risposta efficace e la capacità di ripresa di una comunità possono risultare ridotti; di conseguenza, la soglia di sensibilità ai fattori esterni di stress può abbassarsi, mentre si allunga il tempo necessario alla comunità per riprendersi. Chi soffre di HIV/ AIDS è spesso oggetto di discriminazione; è pertanto imperativo mantenere la più stretta riservatezza e garantire la massima protezione. Questa malattia debilitante non tocca soltanto la singola persona, ma tutta la famiglia e la comunità, poiché colpisce in misura sproporzionata – fisicamente, psicologicamente ed economicamente – soggetti giovani e nei loro anni più produttivi, soprattutto donne. La diffusione del contagio e della mortalità modifica le caratteristiche demografiche della comunità, che registra un numero sproporzionato di bambini, molti dei quali orfani, e di anziani. Questi gruppi vulnerabili richiedono un’attenzione particolare, e può essere necessario modificare ad hoc i programmi di soccorso. TAVOLA IV.1 pag 113

Psicologia del soggetto in emergenza: trauma psicologico, reazioni immediate e successive, disagi fisici. La vittima che sopravvive ad una catastrofe, anche se supera l’evento senza subire danni o menomazioni fisiche, riporta in forma più o meno lieve danni non visibili, ma non per questo meno profondi e dolorosi quanto le ferite al corpo. Questi danni, chiamati insulti psichici, sono la causa di traumi che colpiscono la psiche (detti psico – traumatismi o traumi psicologici) e sono dovuti: • alla paura prodotta dall’evento (le scosse di terremoto, l’acqua del fiume che invade la casa, l’esplosione, il fuoco dell’incendio, ecc...); • alla paura che l’evento possa ripetersi (anche se non esistono concrete probabilità che ciò possa avvenire). Sigmund Freud formulò una definizione di evento traumatico per la psiche utilizzando termini economici: si tratta di una esperienza singola, o di una situazione protratta nel tempo, le cui implicazioni soggettive, cioè idee, cognizioni ed emozioni ad essa collegata, sono nel complesso superiori alle capacità del soggetto, in quel momento, di gestirle o di adeguarsi ad esse, cioè di integrarle nella psiche. Traumi tipici sono il lutto, la malattia, gli incidenti, la violenza fisica o la sua minaccia, altre violazioni o perdite di sicurezze personali. Anche l’assistere a questi fatti può costituire un evento traumatico

(si parla in questo caso di “vittime secondarie”, o anche di vittime “terziarie” nel caso dei soccorritori che assistono le vittime primarie). I traumi psichici sopra indicati possono generare reazioni immediate quali: • reazioni emotive esagerate che si manifestano durante e subito dopo l’evento. Questo reazioni sono normali, di breve durata, improvvise e quando scompaiono, non lasciano conseguenze. Ne è causa la paura: sensazione individuale che consiste in un’emozione, spesso preceduta da un senso di sorpresa, provocata dalla presa di coscienza di un pericolo presente e imminente che si avverte come una minaccia contro la propria incolumità. Costituisce una garanzia essenziale contro i pericoli, un riflesso condizionato che permette di sfuggire provvisoriamente alla morte. Le reazioni alla paura sono fondamentalmente due: la catalessi ovvero il rimanere immobili e insensibili agli stimoli sensoriali (le vittime di un disastro spesso sono totalmente incapaci di muoversi); l’Iperattività, conseguenza della disponibilità di energie finalizzate alla fuga o alla lotta. • reazioni nevrotiche che si manifestano con crisi d’ansia, crisi isteriche e angoscia. Sentimenti di insicurezza globale vissuti come attesa dolorosa di fronte a un pericolo, tanto più temibile quanto meno identificato. Mentre la paura deriva da una situazione nota alla quale si può far fronte, l’angoscia si riferisce ad un pericolo ignoto. Molto genericamente mentre il timore, lo spavento ed il terrore appartengono alla sfera della paura, l’inquietudine, l’ansietà e la depressione appartengono a quella dell’angoscia. • reazioni psicotiche gravi che si manifestano con stati di confusione mentale e nelle forme più gravi, constati deliranti. Il soggetto perde la percezione del proprio stato di salute (stato clinico) e l’istinto di conservazione. Inoltre va sottolineato che il comportamento individuale raramente si traduce in un comportamento collettivo, somma dei singoli comportamenti. In particolari situazioni la folla, cioè una collettività legata ad una precisa situazione spazio-temporale, diventa una specie di “organismo autonomo” dotato di un proprio comportamento rispetto agli individui che la compongono. Molto spesso i singoli individui assumono nella folla atteggiamenti imprevedibili e per essi inspiegabili, influenzati da qualcosa di “irrazionale” determinato dal comportamento degli altri. Ne è esempio il panico: a differenza della paura e dell’angoscia, esso è un comportamento collettivo derivante dal fatto che, in assenza di


99 precise informazioni o leadership, l’individuo adegua il proprio comportamento a quello degli altri che gli stanno accanto. Per panico s’intende un comportamento irrazionale della folla che si verifica quando ogni persona si convince che il suo comportamento immediato può garantirgli la sopravvivenza a scapito di quella degli altri. Oltre alle reazioni immediate, sopra elencate, vi sono reazioni tardive, chiamate reazioni successive, che si manifestano alcuni giorni dopo l’evento, conseguenti alla tensione accumulata. Queste si presentano successivamente al disastro, anche dopo mesi, in maniera blanda o più o meno intensa e sono: • Ansia: è’ una spiacevole sensazione di tensione e timore continuo, anche senza una ragione immediata che la possa giustificare. • Depressione: è costituita da una sensazione di stanchezza con la perdita di interesse per ciò che succede nel mondo esterno. E’ accompagnata da apatia e provoca una visione prevalentemente negativa di sé e degli altri. • Apatia: costituisce il blocco delle sensazioni. Insorge quando si prende coscienza della gravità della situazione. Si evita di pensare o di parlare dell’evento traumatico e ciò può essere interpretato, erroneamente, come segnale di forza d’animo o di insensibilità. • Paura: è causata dal timore di subire altri danni, dalla preoccupazione per la sorte dei famigliari, dal timore di essere lasciati soli, di dover lasciare i propri cari, di non farcela a superare il momento difficile. Inoltre, soprattutto nel caso di terremoti, é provocata dal timore che il disastro si ripeta. • Tristezza e dolore: sono causati dalla morte di persone care o conosciute, dalla vista dei feriti e dai danni provocati dall’evento. • Colpevolezza: insorge alcuni giorni dopo l’evento. E’ causata dal senso di colpa di essere sopravvissuto al disastro, di non essere rimasto ferito, di aver salvato parte dei beni, dal rimpianto per le cose non fatte. • Vergogna: insorge nella vittima nella fase immediatamente successiva all’emergenza. E’ causata dalla consapevolezza di essere sembrato indifeso, emozionalmente vulnerabile, irrazionale, bisognoso degli altri, per non essersi comportato come avrebbe desiderato. Questo sentimento è alimentato dalla sensazione di aver dedicato poca attenzione alle persone care che sono state ferite o sono scomparse. • Aggressività: è causata dalla rabbia irrazionale per quello che é successo, per l’ingiustizia e l’insensatezza dell’avvenimento, dal rancore per chi ha causato il disastro o ha permesso che accadesse, per chi si é dimostrato inefficiente nel portare i soccorsi, per la presunta mancanza

Capitolo4

di comprensione degli altri. • Alternanza di stati d’animo: nelle vittime di una catastrofe é molto frequente il passaggio repentino da uno stato di prostrazione, sfiducia e delusione, alla speranza quasi euforica, di futuri tempi migliori. • Iperattività mentale: pensieri invadenti sull’evento e le sue conseguenze, si alternano agli sforzi di evitarli. Questa iperattività mentale diventa la causa di forti tensioni psicologiche. Si rivive l’avvenimento ripetutamente (soprattutto nel sonno e nelle fasi di riposo in cui si è più rilassati) e ciò é faticoso per la psiche, anche se importante al fine di accettare l’evento. Questi disagi possono essere particolarmente intensi se il disastro ha causato molte vittime, se la scomparsa delle vittime é stata improvvisa e violenta, se i corpi delle vittime non sono stati recuperati, se il singolo sopravvissuto aveva dipendenza dalla persona scomparsa, se la relazione interpersonale tra sopravvissuto e persona scomparsa attraversava un momento difficile, se la tensione dovuta alla catastrofe si é sommata ad altre precedenti. I disagi psicologici indicati precedentemente possono essere accompagnati anche da una serie di disagi fisici quali: stanchezza, insonnia, incubi,affaticamento mentale (perdita temporanea di memoria e incapacità o difficoltà a concentrarsi), disorientamento, palpitazioni, tremori, difficoltà respiratorie, costrizioni alla gola ed al petto, nausea, diarrea, tensioni muscolari anche dolorose (ad esempio emicrania, dolori al collo e alla schiena, spasmi al ventre), irregolarità mestruali nelle donne, cambiamenti delle abitudini nella vita sessuale. Il dopo catastrofe infine può modificare l’equilibrio dei rapporti tra le vittime, sia nell’ambito famigliare, che nei rapporti interpersonali e di gruppo. Vivere un evento traumatico e tragico, da un lato può rafforzare i rapporti sia all’interno della famiglia, sia tra un gruppo di conoscenti o amici, dall’altro li può modificare, fino a tenderli, esasperarli e interromperli. I rapporti migliorano e si rinsaldano perché si é stati vittime dello stesso evento catastrofico, si sono condivise e superate grandi difficoltà, si é stati solidali con scambi reciproci di aiuti materiali e conforti morali. Le cause di tensioni e fratture nei rapporti interpersonali possono essere: la convinzione che gli altri non diano abbastanza, che ciò che danno é sbagliato, l’impressione di non essere in grado di dare ciò che gli altri si aspettano. L’insorgere di difficoltà nelle relazioni famigliari e interpersonali, può provocare reazioni quali: la diminuzione dell’efficienza nelle attività lavorative, aggressività, l’abbandono delle attività favorite,


Analisi del soggetto

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l’incremento dell’uso del tabacco e dell’alcool, l’uso di sostante psicotrope (droghe leggere).

L’ informazione dell’ ospite: dai piani di emergenza alla comunicazione all’ interno del campo Ogni comune, come già detto, deve stendere il proprio piano di emergenza, ovvero quel supporto a cui il Sindaco deve fare riferimento per non essere impreparato di fronte ad una calamità naturale. Un piano di emergenza può definirsi quindi come una serie di procedure per affrontare un disastro o un allarme. Gli obiettivi di un piano di emergenza sono: affrontare l’emergenza fin dal primo insorgere per contenerne gli effetti e riportare rapidamente la situazione in condizioni di normale esercizio; organizzare le azioni necessarie per proteggere sia il personale del Dipartimento sia le persone del pubblico; proteggere nel modo migliore i beni e le strutture. È fondamentale per raggiungere tali obiettivi che il cittadino delle zone direttamente o indirettamente interessate all’evento conosca preventivamente il piano d’emergenza del proprio comune e quindi sia a conoscenza dello scenario di rischio che insiste sul proprio territorio,delle linee generali del piano, dei comportamenti da assumere, prima, durante e dopo l’evento, e dei mezzi e dei modi attraverso i quali verranno diffuse informazioni ed allarmi. E’ infatti tra le principali competenze e responsabilità del Sindaco, quella di fornire un’adeguata informazione alla cittadinanza sul grado di esposizione al rischio e di attivare opportuni sistemi di allerta in caso di emergenza. L’informazione deve essere capillare e fornita con largo anticipo perchè possa essere efficace ed eviti di creare panico. A tale scopo è indispensabile presentare i dettagli del piano tramite riunioni dedicate e fogli informativi facilmente conservabili contenenti informazioni generali e informazioni dedicate al nucleo famigliare che lo riceve. E’ inoltre necessario comunicare tali dettagli anche durante l’emergenza stessa, per coordinare la popolazione. Gli organi di informazione da utilizzare in caso di evacuazione sono di tre tipi diversi: altoparlanti montati su autoveicoli, radio, campane. Si dovrebbe inoltre, se possibile, organizzare presso la sede municipale uno sportello di protezione civile. Il dipartimento della Protezione Civile è costantemente attivo nelle campagne di informazione, nell’organizzazione di mostre per la diffusione dell’informazione e nella formazione di tecnici per una corretta applicazione della normativa antisismica e soprattutto per le

operazioni di rilevamento danni/agibilità nei primi giorni di gestione dell’emergenza post terremoto. Per questo, è stata curata la predisposizione di materiale didattico di supporto alle attività formative e manualistica di supporto alle attività di rilevamento sul campo. Ciò ha avviato un processo di diffusione di standard e procedure, che attualmente consente di contare su un numero significativo di personale tecnico preparato ad espletare, secondo criteri condivisi e standardizzati, campagne di agibilità strutturale post – sisma. Inoltre il sito della protezione civile mette a disposizione una serie di norme comportamentali da tenere in caso di emergenza ed un elenco di informazioni utili per tutti coloro che potrebbero essere soggetti a questo tipo di calamità. La comunicazione prosegue poi all’interno del campo di accoglienza, dove ogni ospite ha bisogno di sapere il maggior numero di informazioni possibili, riguardanti sia gli aggiornamenti sul disastro, sia il numero dei dispersi, dei feriti, dei morti, sia l’organizzazione della tendopoli stessa. Il luogo in cui è possibile reperire le informazioni è la segreteria: è necessario quindi adibire uno sportello con un addetto alla gestione delle comunicazione; le figura di riferimento sono il capo campo e il gruppo dei volontari. Questi ultimi infatti, dal primo giorno di allestimento del campo hanno il compito di informare gli ospiti riguardo agli spazi e i tempi del campo stesso, ovvero comunicare in modo chiaro il regolamento del campo, i servizi presenti e la loro collocazione, gli orari dei pasti, i possibili turni delle docce ecc.. Spesso per maggior chiarezza viene istituita una bacheca a cui affiggere diversi cartelli. Inoltre per agevolare la movimentazione e l’orientamento all’interno del campo, ogni tenda viene numerata, spesso vengono dati i nomi alle vie create e installati dei cartelli direzionali.

Il coinvolgimento degli ospiti in attività comuni e attività di sostegno E’ necessario che le vittime di una catastrofe, superata l’emergenza dell’immediato postcatastrofe, affrontino al più presto la nuova realtà e riprendano il prima possibile le proprie abitudini. É opportuno quindi, appena la situazione lo permette, pensare o a programmi di sostegno come la ripresa dell’istruzione ad esempio. I programmi di insegnamento, infatti, sono importanti non solo per soddisfare i bisogni psicologici e sociali dei bambini, ma anche per fornire un quadro piú stabile all’intera comunità in situazione di emergenza. Le scuole diventano un primitivo nucleo di aggregazione ed agiscono come strutture di riferimento per tutta la comunità. Strutture famigliari come le scuole sono molto piú utili, in questo processo di normalizzazione


101 e strutturazione della società, rispetto a strutture nuove ed aliene come i centri di distribuzione del cibo o quelli di registrazione dei beneficiari. Per di piú, le scuole possono essere organizzate e gestite da parte della stessa comunità dei beneficiari, il che contribuisce ulteriormente a rinforzare il senso di fiducia nei propri mezzi della popolazione. Il sistema educativo, oltre a contribuire alla riedificazione delle strutture sociali comunitarie, deve anche provvedere ad una serie di funzioni accessorie: • diffondere le norme basilari necessarie per la sopravvivenza ed il benessere della popolazione (salute, igiene, alimentazione, rispetto delle risorse locali come la legna da ardere, eccetera). • dare tempo libero ai genitori perchè si possano occupare delle funzioni indispensabili alla sopravvivenza della famiglia. • fornire protezione in certi casi. • assicurare la continuità dell’educazione, e quindi favorire la reintegrazione una volta passata la situazione di crisi. In una prima fase, durante la fase acuta di un’emergenza, è generalmente sufficiente organizzare un semplice programma di attività ricreative ed educative per bambini ed adolescenti. Ció è possibile anche con mezzi alquanto limitati: il fatto stesso di riunire i bambini ogni giorno durante degli orari stabiliti è un ottimo punto di partenza.

Capitolo4

Inoltre è necessario coinvolgere in attività non solo i bambini, ma anche gli adulti. Dagli studi condotti, risulta che la vittima possa trovare sollievo se impiegata in attività pratiche di diverso genere, sia di aiuto agli altri sia per la comunità del campo. Vanno pensate azioni rivolte al sostenere l’attivazione di processi di aggregazione e di sviluppo di appartenenza alla nuova comunità realizzata all’interno del Campo. Va sostenuto un processo di responsabilizzazione e avvio ad una forma di “normalizzazione”. La popolazione può essere ad esempio impiegata nella costruzione o riabiltazione delle strutture e nella loro manutenzione, nella distribuzione dei pasti, nella pulizia dei servizi e delle strutture ecc… E’ bene, infine, con l’aiuto di esperti, creare delle attività di sostegno alla popolazione colpita, così che possa avere un supporto psicologico. Ne sono esempio l’organizzazione incontri di gruppo per informare ed aiutare gli abitanti a comprendere le reazioni proprie e altrui al trauma ed anticipare il decorso del normale processo di recupero; colloqui o interventi strutturati con l’utilizzo di tecniche specifiche per le persone a rischio di sviluppo di disturbi post traumatici ed eventuale invio a servizi territoriali per trattamenti più a lungo termine; attività con gli anziani, di sostegno al passaggio alla normalità tenuto

Attività di sostegno (fonte: alternainsieme.net)


Analisi del soggetto

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Alcune unità di soccorritori di Croce Rossa presenti nel campo: Volontari del soccorso, CRI militare, Pionieri (fonte O. Stocchetti)

conto della difficoltà nel pensarsi in una prospettiva futura; azioni di promozione della socializzazione e del ripristino di funzionalità psicofisiche. TAVOLA IV. 2-3,7 pag 114-115,119

Il soccorritore La prima differenza fondamentale che intercorre tra Ospite e Soccorritore è la Formazione. Il soccorritore, che fa parte di un ente, ha ricevuto una preparazione, più o meno adeguata, che gli consente di far fronte alle problematiche che possono presentarsi in una situazione di emergenza. Il Soccorritore in questione è una persona adulta, volontaria e non, che presta un servizio per la comunità. La tipologia di formazione alla quale si sottopone deve tenere conto di determinati parametri, della soggettività e della personalità matura dei soggetti cui si rivolge. Data la complessità e l’importanza di una corretta preparazione dei soccorritori, si fa riferimento all’AIF, Associazione dei formatori italiani che operano per la formazione. La missione dell’associazione è focalizzata sull’apprendimento degli adulti, in quanto operano o opereranno all’interno di una organizzazione.

La formazione del soccorritore Dalla collaborazione sopra citata, è nata la La formazione professionale è caratterizzata da una

forte componente di complessità. Riconoscere la complessità porta alla ricerca una nuova definizione dell’oggetto, così da ricondurlo ad una nota categorizzazione; il processo richiede una ri-formazione in merito all’oggetto del problema. Definire in cosa consista tale complessità, invece, è il procedimento che permette di categorizzare l’oggetto ricercando nuovi strumenti di definizione. La complessità è definita come “realtà multiforme e mutevole”. La formazione, com’è attualmente applicata, è orientata alla semplificazione: spesso si evitano livelli eccessivamente teorici, in favore di una condivisione di esperienze e di rielaborazioni critiche di informazioni. Il valore di ogni teoria consiste nel presentarsi come modello concettuale di riferimento con un riscontro operativo, spiegando in maniera immediata, chiara e riscontrabile in una realtà quotidiana, quanto esplicitato. Gli obiettivi devono garantire autonomia al soggetto. Ciò che si può insegnare è solo una parte di ciò che si può imparare (processo pedagogico); ciò che si può imparare è solo una parte di ciò che si può apprendere (esperienza soggettiva); ciò che si può apprendere dipende dalla globale capacità di apprendimento. L’andragogia Il termine andragogia è stato coniato originariamente da un insegnante tedesco, Alexander Kapp, nel 1833, ma è diventato di


103 moda grazie a Knowles1 che l’ha definita l’arte e la scienza di aiutare gli adulti ad imparare (Knowles, Malcolm S. 1970. The modern practice of adult education: Andragogy versus pedagogy). Knowles ha sottolineato che, man mano che le persone maturano e il loro concetto di sè diventa sempre più autonomo, accumulano un crescente bagaglio di esperienza che diventa anche una crescente risorsa per l’apprendimento. La loro prontezza ad apprendere si orienta allo sviluppo dei ruoli sociali e la prospettiva temporale di applicazione delle conoscenze si avvicina sempre più all’immediatezza. Ma forse l’aspetto più rilevante è che la motivazione dell’apprendimento da esterna diventa interna. L’apprendimento degli adulti tenderebbe quindi ad essere autoguidato, self-directed. Gli aduti vengono definiti come adulti come learners (soggetti in apprendimento) con le loro specifiche prospettive individuali; l’obiettivo dell’insegnamento-apprendimento viene definito come progressiva acquisizione di autonomia da parte degli individui, sia per svolgere i ruoli propri delle diverse fasi della vita (bisogno di imparare), sia per imparare ad imparare (self directed learning). Per sviluppare l’apprendimento in età adulta è necessaria una duplice conoscenza: quella delle caratteristiche degli adulti come soggetti, tentando di individuare come l’adulto impara e quella dei comportamenti che devono o possono essere attivati per promuovere e conseguire il risultato dell’apprendimento. Knowles . Knowles, identifica le differenziazioni del modello andragogico rispetto a quello pedagogico sulle base di sei presupposti (core principles): Il bisogno di conoscere Gli adulti sentono l’esigenza di sapere perché occorra apprendere qualcosa e a cosa possa servire. Il concetto di sè: gli adulti hanno un concetto di sè come persone responsabili delle loro decisioni, della loro vita e sviluppano un profondo bisogno psicologico di essere considerati e trattati dagli altri come persone capaci di gestirsi autonomamente. Da qui ne consegue che il compito del facilitatore di apprendimento è di aiutare i discenti a prendere coscienza del “bisogno di conoscere”: tale consapevolezza può essere accresciuta dalle esperienze reali o simulate in cui i discenti scoprono da soli il divario tra il punto in cui sono attualmente e quello dove vogliono arrivare”. Il concetto di sé Il concetto di sé, nel bambino, è basato sulla dipendenza da altri. Il concetto di sé nell’adulto 1 M. Knowles, Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia. Milano, Franco Angeli, 1997 (ed. or. 1973, aggiornata nel 1990)

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è vissuto come dimensione essenzialmente autonoma: “profondo bisogno psicologico di essere percepito come indipendente ed autonomo dagli altri”. L’adulto si trova in una situazione in cui non gli è concesso di autogovernarsi, sperimenta una tensione tra quella situazione e il proprio concetto di sé: la sua reazione tende a divenire di resistenza. Il ruolo dell’esperienza precedente Nell’educazione dell’adulto ha un ruolo essenziale l’esperienza, sia come attività di apprendimento sia come pregresso che, se negativo, costituisce una barriera di pregiudizi che fanno resistenza all’apprendimento stesso. Il nuovo apprendimento deve integrarsi con l’esperienza precedente. “Qualsiasi gruppo di adulti sarà più eterogeneo in termini di background, stile di apprendimento, motivazione, bisogni, interessi e obiettivi - di quanto non accada in un gruppo di giovani. Ciò significa che in molti casi le risorse di apprendimento più ricche risiedono nei discenti stessi. La maggiore enfasi va posta nella formazione degli adulti sulle tecniche esperienziali, tecniche che si rivolgono all’esperienza dei discenti, come discussioni di gruppo, esercizi di simulazione, attività di problem solving, metodo dei casi e metodi di laboratorio, rispetto alle tecniche trasmissive. Di qui, anche la maggiore enfasi sulle attività di aiuto tra pari”. La motivazione: le motivazioni più potenti dell’adulto sono le pressioni interne. La disponibilità ad apprendere L’adulto ha una disponibilità ad imparare mirata e, quindi, più limitata: la sua disponibilità è rivolta solo a ciò di cui sente il bisogno per i compiti che deve svolgere per realizzare il proprio ruolo sociale, come ad esempio il ruolo professionale lavorativo. Gli adulti sono disponibili ad apprendere ciò che hanno bisogno di sapere e di saper fare per far fronte efficacemente alla situazione della loro vita reale. L’orientamento verso l’apprendimento l’orientamento verso l’apprendimento negli adulti è centrato sulla vita reale. “Gli adulti sono motivati ad investire energia in misura in cui ritengono che questo potrà aiutarli ad assolvere dei compiti o ad affrontare i problemi che incontrano nelle situazioni della loro vita reale”. Infatti essi apprendono nuove conoscenze, capacità di comprensione, abilità, valori, atteggiamenti molto più efficacemente quando sono presentati nel contesto della loro applicazione alle situazioni reali. La prospettiva è quella di una immediata applicazione di quanto appreso: gli adulti sono motivati ad investire energia nella misura in cui ritengono che questo potrà aiutarli ad assolvere dei compiti o ad affrontare problemi con cui devono confrontarsi nelle situazioni della loro vita reale.


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(Notiziario Gemini Europa - Maggio 2002)

Motivazione Le motivazioni più potenti sono le pressioni interne: il desiderio di una maggiore soddisfazione nel lavoro, l’auto-stima, la qualità della vita. “Benchè gli adulti rispondano ad alcuni moventi esterni (lavoro migliore, promozioni, retribuzione più alta), le motivazioni più potenti sono le pressioni interne”. Knowles illustra come l’applicazione ti tali presupposti implichi un nuovo modello di progettazione e conduzione di programmi di formazione degli adulti nonché una nuova figura di docente. Il modello contenutistico, tradizionalmente utilizzato per la formazione, si occupa di trasmettere informazioni e abilità, mentre il modello di processo si occupa di fornire procedure e risorse per aiutare i discenti ad acquisire informazioni e abilità”. Ciò favorisce la capacità di apprendimento autodiretto e di acquisizione di competenze. Nel modello andragogico è centrale il richiamo alla responsabilità del discente e alla condivisione del progetto . Gli elementi fondamentali del modello andragogico vengono qui di seguito riportati. Assicurare un clima favorevole all’apprendimento: Relativamente all’ambiente fisico, all’accessibilità delle risorse materiali e umane e al clima umano e interpersonale. Creare un meccanismo per la progettazione

comune: un aspetto della prassi formativa che differenzia più nettamente la scuola pedagogica (“insegnare”) da quella andragogica (“facilitare l’apprendimento”) è il ruolo del discente nella pianificazione. Nel primo caso la responsabilità della programmazione è attribuita quasi esclusivamente a una figura di autorità (insegnante, esperto di programmazione, istruttore). Una delle scoperte fondamentali della ricerca applicata sul comportamento degli adulti è che le persone tendono a sentirsi impegnate in una decisione o in una attività in diretta proporzione alla loro partecipazione o influenza sulla sua progettazione e sul processo decisionale che la riguarda. Diagnosticare i bisogni di apprendimento: elaborando un modello del comportamento, della performance o delle competenze desiderate. Da qui un bisogno di apprendimento può essere definito come la discrepanza o il divario esistente tra le competenze definite nel modello e il loro livello di sviluppo attuale nei discenti. Secondo l’andragogia, l’elemento critico nella valutazione di questi divari è la percezione che gli stessi discenti hanno della discrepanza tra la situazione attuale e quella che vogliono (ed hanno bisogno di) raggiungere. Il passo conclusivo è quindi la formulazione degli obiettivi scelti dal discente stesso in quanto rispondenti ai bisogni formativi auto-diagnosticati. Progettare un modello di esperienze di apprendimento: in cui gli individui potrebbero


105 usare l’intera gamma di risorse umane (esperti, docenti, colleghi) e materiali (pubblicazioni, dispositivi e software per l’istruzione programmata, e mezzi audiovisivi) in maniera autonoma. Ciò presuppone che un alto grado di responsabilità per l’apprendimento sia assunto dal discente. Mettere in atto il programma (gestire le attività di apprendimento). Il fattore cruciale per il funzionamento del programma è la qualità dei docenti: il formatore non è colui che impartisce delle conoscenze ma è il “facilitatore del processo di apprendimento”. Egli diviene un organizzatore di risorse al servizio del discente. Valutare il programma: inteso come la re-diagnosi di apprendimento da parte dei soggetti in formazione che riesaminano modelli di competenze desiderati per rivalutare le discrepanze tra il modello e i loro nuovi livelli di competenze. Riassumendo quanto teorizzato da Knowles, una formazione di successo dell’adulto deve basarsi sulla partecipazione, sulla condivisione e sull’esercitazione comune. Rispettando la forte autostima del soggetto, le sue pregresse esperienze ed il fattore temporale che lo stesso è disposto ad offrire, è possibile generare una situazione di collaborazione virtuosa, in cui le singole esperienze rappresentano il cuore per la riformazione del sé in virtù di un obiettivo comune. Knowles propone il coinvolgimento diretto, anzi assegna un ruolo decisionale, ai soggetti dell’apprendimento in tutte le fasi del processo, a cominciare dalla determinazione degli obiettivi. Rivaluta tra le risorse dell’apprendimento, aspetti scontati come l’esperienza, ma anche altri che lo sono di meno come lo stato emotivo e affettivo degli individui, le loro reciproche interazioni e quelle con il contesto tanto di lavoro quanto di vita. “La posizione di Knowles, ove applicata coerentemente (e a noi piacerebbe che lo fosse in modo esteso, nelle aziende e fuori, prima e dopo di esse) rivoluziona di fatto la prassi formativa tradizionale e ancora largamente diffusa, in una direzione che i più avanzati educatori stanno già dichiarando (in molti) e sperimentando (in pochi): quella di una formazione rivolta all’uomo e alla donna interi; all’individuo in rapporto risolto con il suo lavoro, homo oeconimicus, certo, ma anche individuo carico di una sua propria storia, di una sua esperienza, di sue idee convinzioni esperienze, di affetti bisogni motivazioni interessi e perché no doveri.” La narrazione come stimolo per la ri-formazione dell’adulto La narrazione rappresenta uno stimolo ad utilizzare quella tipologia di pensiero narrativo che aiuta ad organizzare e riorganizzare le memorie, che permette di esprimere le emozioni conferendogli al contempo un senso e trasformandole da

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astratte, ignote e talvolta terrorizzanti sensazioni, in nominabili e controllabili immagini mentali. Utilizzata sin dall’antichità come forma preferita per esprimere emozioni forti personali e sociali, per comunicare messaggi indelebili nel tempo, la poesia è diventata oggetto di studi e dello sviluppo di metodi specifici che l’hanno trasformata in uno strumento di aiuto alla mente e in una vera e propria tecnica di aiuto in situazioni quotidiane o in presenza di disagi e sofferenze psico-fisiche. David Kolb e Long Life Learning Un altro importante contributo è quello dato da David Kolb, americano che nel 1984 ha fatto una sintesi delle ricerche sul processo di apprendimento fondato sull’esperienza, appoggiandosi alle teorie di John Dewey, Kurt Lewin e Jean Piaget: imparare è un processo di tutta la vita (life long learning). Descrivere l’apprendimento come una spirale che non è mai conclusa. Ogni anello della spirale ha quattro fasi distinte in ogni ciclo. 1. L’esperienza concreta: coinvolgersi pienamente, apertamente in esperienze nuove 2. L’osservazione riflessiva: riflettere su queste esperienze ed osservarle da molte prospettive 3. La concettualizzazione astratta: creare concetti che integrino le osservazioni in teorie di riferimento logicamente valide 4. La sperimentazione attiva: l’ipotesi e le sue alternative vengono testate attraverso l’azione. Il risultato delle ipotesi diventate azione produce delle conseguenze, delle nuove situazioni (o nuovi problemi). Quelli presentati sono i quattro orientamenti da cui vengono successivamente derivati i veri e propri stili di apprendimento. E’ infatti dalla combinazione degli orientamenti che vengono ricavati i profili combinati da cui derivano gli stili di apprendimento. Lo stile individuale di apprendimento è perciò una combinazione di tutte e quattro le modalità di base descritte in precedenza, secondo test e operazioni dettate dallo stesso Kolb, rappresentate nel seguente grafico. Si noti come nel grafico, un risultato delle due differenti operazioni (asse y e asse x) che dovesse avvicinare il punto all’intersezione degli assi corrisponderebbe a uno stile d’apprendimento equilibrato (P1); mentre, quanto più il punto si trova lontano dall’intersezione degli assi, tanto più l’apprendimento è caratterizzato da un determinato stile (P2). Di seguito è riportata la descrizione delle caratteristiche dei quattro stili di apprendimento proposti da Kolb. Stile Adattivo (SA + EC): chi possiede questo stile di apprendimento è orientato verso l’esperienza concreta e la sperimentazione attiva (spiccata propensione all’azione e all’esperienza,


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Grafico degli stili di apprendimento per Kolb (tratto e riadattato da Kolb, 1984).

capacità di assunzione dei rischi e di adattamento e quella di gestione in situazioni di incertezza e di cambiamento; problemi sono risolti in maniera intuitiva e se i fatti smentiscono la teoria sono pronti ad abbandonarla) Si trovano a proprio agio con gli altri, manifestando così una buona capacità sociale, ma vengono considerati spesso impazienti e pressanti per via della loro continua operosità e del loro continuo desiderio di modificare le situazioni esistenti. Stile Divergente (EC+OR): Chi possiede questo stile d’apprendimento manifesta un orientamento sia verso l’esperienza concreta che verso l’osservazione riflessiva. E’ capace di considerare la situazione da differenti punti di vista e di organizzare i diversi elementi di una situazione in un tutto coerente. Questo stile viene definito divergente in quanto caratterizza le persone capaci di produrre idee e soluzioni alternative alle situazioni attuali. Dal punto di vista delle relazioni sociali tali individui sono molto sensibili all’aspetto affettivo delle situazioni. Stile Convergente (CA+SA): Chi è dotato di questo stile di apprendimento è orientato contemporaneamente verso la concettualizzazione astratta e la sperimentazione attiva. E’ capace di risolvere problemi prendendo decisioni e applicando in maniera concreta le idee. Questo stile è denominato convergente in quanto caratterizza le persone capaci di trovare soluzioni

ai problemi che hanno un’unica soluzione corretta. Gli individui convergenti preferiscono il ragionamento deduttivo per cui, a partire da principi e idee generali, arrivano a focalizzarsi su aspetti particolari e specifici. Sono generalmente pacati e controllati nel manifestare le emozioni e prediligono affrontare problemi tecnici piuttosto che problemi di natura sociale o interpersonale. Stile Assimilativo (OR+CA): Chi possiede tale stile d’apprendimento è orientato verso la concettualizzazione astratta e l’osservazione riflessiva. Ha grandissima capacità di riunire in maniera sistematica e organica molti fatti differenti proponendo spiegazioni integrate e modelli teorici. Questi soggetti hanno spiccate doti razionali tendendo pertanto a focalizzarsi su idee e concetti estremamente astratti e teorici piuttosto che sull’utilizzabilità pratica di essi e sui rapporti con gli altri. Per Kolb l’apprendimento è un processo sociale: si può apprendere in qualsiasi situazione, non solo in quelle designate per l’apprendimento. La tesi del lavoro di Kolb è che l’apprendimento dall’esperienza è il processo attraverso cui avviene lo sviluppo umano. TAVOLA IV.4-5 pag 116-117


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Le dinamiche di gruppo e la formazione Il concetto di dinamica del gruppo è introdotto in psicologia da Kurt Lewin2, per indicare le relazioni che interessano un gruppo e che ne influenzano lo sviluppo e la condotta. Lewin ipotizza che il sistema delle relazioni e delle comunicazioni che caratterizza un gruppo possa essere considerato come una sorta di “campo3”, dove le forze si distribuiscono e si concentrano non casualmente per seguire andamenti legati ad equilibri e a tensioni connesse alla vita associativa. In seguito, Bruce Tuckman4 propose un modello di evoluzione della vita di gruppo, sviluppando la teoria delle Fasi di Sviluppo di gruppo: la teoria cerca di spiegare come si sviluppa un team nel tempo. Secondo Tuckman, tutte le fasi sono necessarie ed inevitabili - affinchè il team si sviluppi, affronti le sfide e i problemi, trovi le soluzioni, progetti il lavoro e raggiunga i risultati. Le cinque fasi di sviluppo sono: Forming- formazione, Stormingconflitto, Norming- strutturazione, Performingattività, Adjourning- aggiornamento. La formazione dell’adulto offerta all’interno degli enti, prevede momenti di interazione e condivisione; è quindi importante tenere conto delle dinamiche che possono o che normalmente intercorrono tra i componenti del gruppo di lavoro. Il gruppo5 è una totalità dinamica, e non la semplice somma degli individui che lo compongono; la sua strutturazione e il suo funzionamento dipendono dagli individui: il gruppo è definito dall’interazione e dall’interdipendenza dei suoi membri. L’interdipendenza dei suoi membri e la presenza di un obiettivo comune sono alla base dell’esperienza del “noi”. Si parla di dinamica di gruppo per intendere il fatto che il gruppo è una struttura che evolve nel tempo, nella quale avvengono delle continue regolazioni in seguito all’azione di ciascun membro, che è contemporaneamente un elemento regolatore e regolato. La vita di un gruppo è quindi caratterizzata da interazioni ripetute tra i diversi individui. Le interazioni mettono in evidenza il fatto che ciascuno di noi ricopre un ruolo. Il ruolo è un insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi una persona che occupa una certa posizione nel gruppo. Le 2 Kurt Zadek Lewin (1890-1947) psicologo tedesco, pioniere della psicologia sociale; sostenitore della psicologia della Gestalt. 3 T-Group Theory and Laboratory Method. (1964) 4 Bruce Wayne Tuckman, “Developmental Sequence in Small Groups”, 1965 5 Dalle dispense del corso per Operatore Socio Sanitario O.S.S. A.A. 2010, del Dott. Dario Scherini, Dirigente Sanitario Neuropsicologo Clinico, PsicoterapeutaPsiconcologo Perfezionato presso Università Cattolica di Roma, Facoltà di Medicina e Chirurgia e perfezionato presso Università degli Studi di Brescia, Facoltà di Medicina e Chirurgia.

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aspettative non riguardano solo come questo individuo deve agire nei confronti degli altri, ma anche quelle relative a come gli altri (i partners di ruolo) devono agire nei confronti di questa persona (Es. professore e studente). Ci sono diversi stili di ruolo. Ognuno interpreta il suo ruolo in maniera diversa a seconda delle caratteristiche personali, dei valori, dei modelli. I ruoli si possono differenziare secondo un’asse strumentale-espressivo: ci sono ruoli più centrati sul compito e ruoli più centrati sulla relazione, più giocati quindi sull’aspetto socioemozionale, che hanno lo scopo di allentare la tensione e di facilitare un clima distensivo, favorevole al raggiungimento dell’obiettivo. I ruoli nel gruppo servono a facilitare il raggiungimento dell’obiettivo del gruppo, dividendo la mole di lavoro tra i vari membri; servono a portare ordine e prevedibilità all’interno del gruppo, poichè si basano su aspettative condivise e in questo modo tutti sanno cosa aspettarsi e da chi; i ruoli contribuiscono alla nostra autodefinizione, alla consapevolezza di chi siamo per noi stessi e per gli altri. Nei gruppi si verificano dinamiche che evidenziano lo stile adottato da ciascuno nell’interazione con l’altro. Lo stile individuale può assumere tre forme: preminente o subalterno, positivo o negativo, propositivo o indifferente. Per comprendere le dinamiche interpersonali, bisogna considerare che l’esperienza di gruppo fa emergere nelle persone cambiamenti e reazioni sia di tipo razionale che emotivo che si esprimono nei comportamenti di: Competizione, che contraddistingue chi persegue l’obiettivo secondo il proprio punto di vista per cui si tende a far prevalere la propria opinione; Collaborazione, per cui si mettono in comune le proprie capacità, conoscenze ed esperienze per raggiungere l’obiettivo e si cerca di valorizzare il punto di vista proprio e quello degli altri; Compromesso, caratterizzato dall’attenzione a relazioni interpersonali soddisfacenti per cui si attua una mediazione tra i punti di vista anche se ciò va a discapito dell’efficacia della soluzione; Disponibilità, legato al desiderio di mantenere buone relazioni ed è basato sulla valorizzazione del punto di vista e dei sentimenti degli altri membri del gruppo per sottolineare le convergenze; Fuga, contraddistinto dalla passività, per salvaguardare la relazione tra i membri del gruppo ed evitare i conflitti. La collaborazione è l’opposto della competizione, dove gli individui sono posti gli uni contro gli altri. Nella collaborazione si scambiano risorse per risolvere un problema o per raggiungere un obiettivo prefissato. I membri di un gruppo di lavoro forniscono informazioni ed opinioni agli altri membri; pongono domande, chiedono informazioni e suggerimenti per aiutarsi reciprocamente a chiarire i problemi; propongono obiettivi e/o soluzioni a problemi, suggeriscono un


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modo di agire per l’area di propria competenza; creano un clima di sostegno e di fiducia attraverso comportamenti cordiali e partecipativi; cercano di mediare tra le parti e, in ogni caso, di mantenere aperti i canali comunicativi all’interno del gruppo. Le conoscenze fanno riferimento al sapere specifico richiesto dalla professione, alla cultura più generale e al sapere organizzativo (inteso come conoscenza del sistema e del processo organizzativo entro cui si colloca l’attività); le capacità sono le abilità professionali connesse allo svolgimento dell’attività di lavoro e all’utilizzo delle conoscenze; le qualità sono le doti più personali indispensabili per implementare le conoscenze ed orientare le capacità (pertanto il modo di porsi nei confronti del lavoro – realizzazione, determinazione, autonomia; la gestione delle relazioni – apertura, positività, affidabilità; la dimensione più soggettiva di sviluppo e crescita individuale –flessibilità al cambiamento, equilibrio, creatività). Le capacità delle persone di utilizzare risorse proprie e dell’organizzazione per mettere in atto comportamenti che consentono di affrontare con successo la varietà e la complessità delle situazioni lavorative sono il segno evidente del ruolo centrale delle competenze. Per l’azienda diventa vitale non solo prestare attenzione ai risultati e alle prestazioni dei singoli e delle unità, ma anche individuare, mantenere e sviluppare quello che le persone sanno, quello che sanno fare e come lo sanno fare. L’azienda deve quindi individuare competenze distintive, acquisirle e svilupparle in modo da mantenere ed aumentare la sua capacità di ottenere risultati sempre più efficaci ed efficienti. Nell’ambito del gruppo di lavoro si ha un costante scambio di conoscenze, esperienze e competenze, tale da integrare le reciproche lacune e da espandere le conoscenze. Ognuno di noi ricopre al meglio alcune aree, risultando invece meno idoneo in altre. Il lavoro di gruppo consente di giungere ad un determinato risultato grazie all’integrazione delle competenze. Nel gruppo i membri devono osservare e rispettare le differenze individuali, accettarle come punti di forza e costruire su di esse, compensare i punti di debolezza. Nell’ambito dei gruppi di lavoro possono sorgere situazioni di conflitto generate da una molteplicità di fattori, tra cui la competizione per le risorse limitate, la dipendenza da altri per lo svolgimento dei propri compiti, problemi di potere, mancanza di chiarezza nelle responsabilità. Si distinguono tre tipi di conflitto: il conflitto d’opinioni dovuto ad una divergenza relativa a idee contrapposte, il conflitto di ruoli riguardante la relazione lavorativa delle persone cioè la contrapposizione di ruoli, il conflitto d’interesse relativo alla scarsità di risorse da distribuire, all’aumento dei carichi di lavoro e all’assegnazione d’incarichi nel gruppo.

Il conflitto può essere un evento negativo che provoca stress, aggressività, inefficienza e calo motivazionale. Tuttavia bisogna sapere che una certa dose di conflittualità è sempre presente nelle organizzazioni: non necessariamente è un elemento negativo, ma è legato alle diversità tra le persone e può costituire un’occasione di crescita se viene riconosciuto ed affrontato in un clima di dialogo e di rispetto delle differenze. E’ quindi indispensabile che tra le persone ci sia una buona comunicazione, una disposizione all’ascolto e la capacità di comprendere e di tenere presente la prospettiva dell’altro affinché le divergenze di opinioni non diventino rigide contrapposizioni, ma occasioni di confronto e di crescita. In particolare, un confronto costruttivo può essere di stimolo alla creatività e all’innovazione, può essere un’occasione per discutere i problemi ed allentare le tensioni, per rafforzare i rapporti e aumentare la fiducia reciproca e l’autostima. La negoziazione è un processo in cui più persone, con posizioni divergenti, ma con un legame d’interdipendenza, sono impegnate a trovare una soluzione comune. L’obiettivo è risolvere insieme un problema utilizzando la logica vincitori/ vincitori, derivante dall’analisi transazionale, per cui gli individui si pongono in relazione tra loro su un piano di eguaglianza, cercando l’equilibrio e non la prevaricazione. Le caratteristiche della logica negoziale sono: prendere una decisione in comune che non esiste a priori, per decidere occorre ridurre lo scarto iniziale, l’obiettivo è trovare una strada comune, la logica è “se tu vinci, io vinco”, caratteristiche della logica competitiva, l’obiettivo è sconfiggere la controparte, la logica è “se tu vinci, io perdo”, si ricorre a tattiche di tipo emotivo (finte emozioni, minacce,rotture, far sentire in colpa, dilatazione del tempo per stancare), si legge e si interpreta la situazione per cogliere i rapporti di forza, è poco efficace se le parti hanno delle relazioni continuative. La negoziazione si basa su tre principi della negoziazione: scindere le persone dai problemi, concentrarsi sugli interessi reali e non sui principi, inventare insieme nuove alternative. Nelle organizzazioni per processi, lo sviluppo del lavoro in team e i nuovi bisogni di collaborazione, di comunicazione e d’integrazione rendono sempre più importanti le capacità relazionali, che consistono nell’essere presenti nella relazione, nel saper entrare in contatto con l’altro, di comprenderne le richieste, i bisogni, le emozioni e i punti di vista. La capacità relazionale è dunque la capacità di gestire la complessità derivante dai rapporti interpersonali e, pur non essendo una qualità innata, è insita in ciascuno di noi. Il suo sviluppo è legato al raggiungimento della maturità emotiva e di una maggiore consapevolezza di sé e del proprio funzionamento mentale. La capacità relazionale è strettamente collegata ai concetti di


109 ascolto attivo, di empatia e di assertività, come vedremo in dettaglio in seguito, e, grazie ad essa, l’individuo è in grado di comunicare efficacemente con gli altri membri del gruppo, arrivando ad una condivisione di valori, norme, modi di operare ed obiettivi e quindi stabilendo una collaborazione utile al raggiungimento dello scopo prefissato. La comunicazione, come scambio di significati, è uno degli elementi costitutivi di un gruppo. Senza comunicazione, gli individui si ritroverebbero isolati e il gruppo non esisterebbe. Attraverso comunicazioni ripetute, il gruppo crea una finalità comune e i suoi membri si scambiano non solo informazioni, ma anche idee, opinioni e valori, acquisiscono atteggiamenti comuni che rafforzano la coesione del gruppo. La comunicazione è infatti un processo dinamico che implica l’interazione tra gli individui e la trasmissione di informazioni. La comunicazione è inoltre un processo circolare che comporta l’emissione del messaggio da parte di un interlocutore e una comunicazione di ritorno da parte dell’altro, che innesca una nuova reazione. La rete di comunicazione è un insieme di possibilità materiali di comunicazione. La rete di comunicazione centralizzata, nella quale le comunicazioni sono rivolte in prevalenza verso un unico individuo, risolve un problema più rapidamente e in maniera più efficace se il compito è semplice. Se il problema è complesso, la rete decentralizzata è la soluzione più efficace in quanto le informazioni sono distribuite in maniera eguale tra i membri ed ognuno fornisce il suo apporto, sperimentando una maggiore soddisfazione personale: infatti, quando il problema è complesso, il leader della rete centralizzata si trova a gestire un numero troppo elevato d’informazioni ed è soggetto a un sovraccarico cognitivo che abbassa il livello della prestazione. Per arrivare ad un buon livello di collaborazione tra le persone di un gruppo, è indispensabile imparare ad utilizzare una particolare forma di modalità comunicativa: “la comunicazione efficace”. Per “comunicazione efficace” s’intende la capacità di trasmettere un messaggio in modo da permettere all’altra persona di attribuirgli lo stesso significato di chi lo ha trasmesso. Ciò comporta l’utilizzo di una terminologia adeguata all’interlocutore, la chiarezza, la concisione, la concretezza e l’accuratezza. Nel processo comunicativo, sono anche di grande importanza gli aspetti non verbali della comunicazione: il comportamento spaziale, la postura, il contatto corporeo, i gesti e i movimenti, le espressioni del volto, lo sguardo, l’emissioni vocali non verbali ( la paralinguistica). Nel contesto organizzativo il comportamento relazionale di una persona è determinato, oltre dal ruolo ricoperto nell’organizzazione e dall’interpretazione personale che se ne dà,

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anche dallo stile interpersonale che si mette in atto. Si distinguono: lo stile aggressivo, lo stile remissivo e lo stile assertivo. Lo stile aggressivo tende a svalutare, dominare e giudicare gli altri ed ad affermare il proprio punto di vista. Lo stile remissivo tende a svalutare le proprie esigenze e i propri desideri e a dare giustificazioni e spiegazioni, sminuendosi e nello stesso tempo adattandosi alle esigenze degli altri. Essere assertivi significa gestire i rapporti interpersonali senza farsi travolgere dall’emotività, affermare il proprio punto di vista, anche se contrario a quello dell’interlocutore, pur mantenendo con lui un buon rapporto. Gestione dei gruppi di apprendimento La trasformazione del modello organizzativo ha modificato il ruolo dell’individuo nel contesto lavorativo. La centralità delle risorse umane viene enfatizzata dall’importanza assegnata all’acquisizione di nuove competenze. In questo ambito i responsabili di processo devono fornire sostegno e fiducia dando feedback costruttivi: ogni persona ha bisogno di sentirsi apprezzata e ritiene che i suoi contributi siano importanti per la realizzazione dello scopo comune. Devono incoraggiare a vedere i problemi sotto una luce nuova, favorire la creatività e l’uso delle qualità intellettuali, favorisce le possibilità di apprendimento. Creano un’atmosfera positiva, di fiducia. Danno una visione chiara degli obiettivi, danno “senso” al lavoro dei collaboratori e assumono un atteggiamento partecipativo, ottenendo così una collaborazione attiva. E’ evidente quindi come, all’interno di un gruppo di lavoro, sia che si tratti di un momento formativo o di azione sul campo, sia fondamentale considerare quali siano le dinamiche che si sviluppano al suo interno, al fine di valutarne gli sviluppi ed intraprendere le migliori strategie per la collaborazione.

La psicologia in emergenza: il soccorritore dopo l’evento La Psicologia dell’Emergenza è una disciplina ampia, nata a partire dai contributi della psicologia militare, della psichiatria d’urgenza e dalla Disaster Mental Health; si è progressivamente sviluppata come insieme di tecniche d’intervento e di modelli di “inquadramento concettuale” degli eventi cognitivi, emotivi, relazionali e psicosociali tipici dell’emergenza. I modelli possono essere suddivisi in anglosassoni, che prediligono l’approccio cognitivo-comportamentale, protocollizzato e funzionalizzato (attraverso il paradigma del


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CISM6), i modelli europei propongono una visione integrata dell’intervento in emergenza, spesso anche su basi psicodinamiche. Questa materia si sviluppa a partire dall’esigenza di avere un modello di riferimento per tutti gli operatori che lavorano nel soccorso psicologico. La psicologia dell’emergenza, è una disciplina che si occupa dei processi psicologici e sociali che si sviluppano in situazioni di forte criticità, che si presentano come un trauma alla coscienza dell’individuo e della collettività e non rientrano nella norma. Situazioni come terremoti, attacchi terroristici, incidenti che comportano pericolosità chimica o nucleare, investono l’intero tessuto sociale, sono portatori di ansie a livello collettivo. In linea con il Manifesto di Carcassonne7, la psicologia dell’emergenza tratta la persona non come portatrice di un sintomo o una patologia da curare, ma di una sofferenza che emerge in modo acuto in seguito a un forte trauma. Inoltre gli individui non vengono presi in modo isolato, ma considerati nel contesto di provenienza (da qui l’importanza del valutare le dinamiche all’interno di un gruppo). In questo modo l’intervento psicologico assume una valenza psicosociale poiché considera i correlati collettivi del disagio post-traumatico. Questo significa fornire aiuto all’intera comunità colpita dall’emergenza. Il tipo di soccorso prestato assume diverse forme: dalla riconnessione del tessuto sociale, alla riattivazione dei servizi territoriali, alla semplificazione della comunicazione. Lo psicologo ed i soccorritori devono essere in grado di gestire i conflitti che possono originarsi all’interno della comunità, o tra diversi gruppi. E’ necessario incentivare la ripresa delle normali attività, oltre che per motivi di natura pratica, anche per sostenere la comunità colpita nel riprendere fiducia, gradualmente, nel futuro. E’ opportuno tenere conto delle diverse specificità della comunità in cui si va ad operare: sono indicatori della composizione della popolazione, dal numero degli anziani, a quello degli stranieri, delle coppie con figli, e del livello culturale. La psicologia dell’emergenza valuta anche l’impatto sui soccorritori (Croce Rossa, Esercito, Protezione Civile, Vigili del Fuoco, ANPAS e Forze armate in genere). Questi sono esposti a un lavoro ad alto grado di stress. A partire dai 6 CISM- Critical Incident Stress Management, è un noto protocollo clinico di prevenzione e trattamento delle reazioni psicologiche potenzialmente traumatiche, a fronte di eventi critici (disastri, violenze, decessi inattesi, calamità), Mitchell, 1983. 7 Manifesto di Carcassonne: La sofferenza non è una malattia, il lutto deve fare il suo percorso, un po’ di pudore da parte dei mass media, riattivare l’iniziativa della comunità colpita, valorizzare le risorse delle persone di ogni età, il soccorritore deve prendersi cura di se stesso, l’intervento psicologico indiretto e integrato, l’intervento psicologico diretto dei professionisti. Psicologi per i popoli, 2003

lavori di Mitchell negli anni ’80, la prevenzione e il supporto psicologico di chi svolge questo lavoro sono divenuti rilevanti al pari delle competenze tecniche. Il CISM è il protocollo più diffuso: ha Lo scopo è di fornire un’adeguata preparazione a scopo preventivo rispetto ai vissuti emotivi che vengono attivati dalle situazioni di emergenza. La sua struttura prevede fasi ed interventi precritici (formazione degli operatori altamente esposti a eventi di tipo stressogeno, che vengono istruiti sulle tipiche reazioni al trauma, in modo da avere una preparazione di tipo psicologico rispetto a quello che dovranno affrontare); pericritici (nell’immediato post-evento) in cui l’operatore viene preso in carico, spesso in gruppo, in modo da avere la possibilità di esprimere i propri vissuti e condividerli. In tal senso sono strutturate le tecniche di Defusing (colloquio di gruppo con uno psicologo) e Debrifing (si svolge nelle ore immediatamente successive all’evento traumatico, massimo 96 ore, analizza l’evento, cominciando dai fatti accaduti, in tutte le sue componenti: cognitive, emozionali e relative al vissuto esperienziale del soccorritore), postcritici (nel medio-lungo termine dopo l’evento) prevedono la presa in carico dei singoli, delle famiglie, eventuali invii a operatori sanitari, e incontri di follow-up. Come tutti gli operatori, anche lo psicologo dell’emergenza è sottoposto a ogni genere di stress, a cui vanno aggiunte richieste di risolvere tutti i problemi (oltre alla vocazione, propria della categoria, ad aiutare tutti). Il rischio del burnout8 (il punto di non ritorno) è molto alto, quindi per chi opera nelle emergenze, è necessario avere un gruppo di colleghi con cui discutere dei problemi e delle emozioni provate. Maslach e Leiter (2000) hanno perfezionato le componenti della sindrome da burnout attraverso tre dimensioni: • deterioramento dell’impegno nei confronti del lavoro, • deterioramento delle emozioni originariamente associati al lavoro • problema di adattamento tra persona e lavoro, a causa delle eccessive richieste di quest’ultimo. Il burnout interessa educatori, medici, insegnanti, poliziotti, vigili del fuoco, carabinieri, religiosi, infermieri, operatori assistenziali, psicologi, responsabili e addetti a servizi di prevenzione e protezione, personale della protezione civile, operatori del volontariato ecc. Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro stress personale e quello della persona aiutata. Ne consegue che, se non opportunamente trattati, 8 La sindrome da burnout (o più semplicemente burnout) è l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto (helping profession), qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere.


111 questi soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di “logoramento” o “decadenza” psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato. In tali condizioni può anche succedere che queste persone si facciano un carico eccessivo delle problematiche delle persone a cui badano, non riuscendo così più a discernere tra la propria vita e la loro. Caratteristici del burnout sono anche l’esaurimento emozionale, la depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta auto-realizzazione. Il soggetto tende a sfuggire l’ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi. L’abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout. Per misurare il burnout ci sono diverse scale; importante è la scala di Maslach: un questionario di 22 domande, atti a stabilire se nell’individuo sono attive dinamiche psicofisiche che rientrano nel burnout. A ogni domanda il soggetto interessato deve rispondere inserendo un valore da 0 a 6 per indicare intensità e frequenza con cui si verificano le sensazioni descritte nella domanda stessa. Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta generalmente seguendo quattro fasi.

Capitolo4

La prima, preparatoria, è quella dell’entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale. Nella seconda (stagnazione) il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L’entusiasmo, l’interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire. Nella terza fase (frustrazione) il soggetto affetto da burnout avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall’ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso. Nel corso della quarta fase (apatia) l’interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all’empatia subentra l’indifferenza, fino ad una vera e propria “morte professionale”.

Volontari di Croce Rossa (fonte: lungotevere.org)


Analisi del soggetto

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La corretta comunicazione agli ospiti: gestualità e linguaggio Durante un’emergenza la figura del soccorritore è di fondamentale importanza per gli ospiti: la divisa ed il ruolo che ricopre diventano un punto di riferimento, favoriscono la calma ed il senso di protezione nella popolazione. L’identità stessa del soccorritore, l’età, l’aspetto, la competenza o la mansione, sono fattori che possono influire sulla comunicazione tra i due attori (ospite e soccorritore). Come viene indicato nei manuali e nelle istruzioni per i soccorritori, in situazioni di emergenza si deve tenere un comportamento rassicurante, fornendo tutte le informazioni necessarie, con decisione, sottolineando, nella giusta misura, il proprio ruolo così da dare veridicità al messaggio che si trasmette9; la popolazione sarà più propensa a dare ascolto a chi trasmette un comunicato con la giusta autorevolezza: nelle situazioni ansiogene, fornire indicazioni precise serve per stimolare la persona ad analizzare il problema in maniera ragionevole e per incoraggiare l’adozione di risposte appropriate. Chi riferisce il messaggio, o, in linea generale, chi deve comunicare con gli ospiti del campo, deve prestare attenzione anche alla propria gestualità (tesa, protesa, distesa, scomposta), deve rispettare gli spazi e la distanza (prossemica) da tenere dall’interlocutore, deve catturare l’attenzione e mantenerla onde evitare una scorretta interpretazione del messaggio. La gestualità potrà influire sulla comunicazione in maniera positiva se utilizzata correttamente: alcuni gesti emblematici,possono sostituire la parola, così come altri, descrittivi, possono arricchirne il senso. Altri elementi caratteristici della voce potranno trasmettere specifiche emozioni a seconda del timbro, oppure potranno rafforzare il valore emozionale con un tono differente; il volume, la chiarezza e le espressioni utilizzate saranno tutti elementi che potranno influire sulla buona comunicazione. Il soccorritore offre diversi tipi di sostegno: Il sostegno cognitivo è fornito da una pertinente e tempestiva offerta delle informazioni di cui l’utente ha bisogno per capire e per prendere decisioni che lo riguardano (consenso informato). Il sostegno cognitivo è caratterizzato da una cura particolare del contenuto da trasmettere, e da una definizione precisa, per quanto possibile, della natura, gravità, durata, e delle condizioni degli eventi che si stanno verificando. All’interno di questa tipologia di sostegno si distinguono le categorie delle regole di cooperazione conversazionale, ovvero: regole 9 Psicologia dell’emergenza negli eventi catastrofici annunciati: LA COMUNICAZIONE EFFICACE, Corso di formazione per volontari di protezione civile, a cura di Consuelo C. Casula, Specialista Psicologia del Lavoro, Psicoterapeuta

di quantità (dare informazioni sufficienti affinché l’interlocutore comprenda), regole di qualità (affermare cose credibili, veritiere, basate su dati certi, conosciuti), regole di relazione (essere pertinenti, rispondere alle domande, rimanere nel tema che si sta trattando senza cambiare argomento, allargare o generalizzare), regole di modo (essere perspicui, parlare in modo conciso, semplice e chiaro, comprensibile per l’utente), ed, infine, le regole di cortesia. Il sostegno valutativo è dato dall’osservazione esperta della gravità di quanto sta per accadere e delle azioni da intraprendere. Per fornire questo sostegno è importante rimanere lucidi nel valutare le distorsioni cognitive, gli errori logici, i pregiudizi. Il sostegno strumentale chiede ai volontari di protezione civile di suggerire o di fornire agli utenti gli strumenti necessari per affrontare quanto sta per accadere. Il sostegno emotivo è indispensabile per comprendere gli stati d’animo, le emozioni delle persone e aiutarle a gestire l’ansia. I fattori ansiogeni possono essere valutati o come minaccia o come sfida, secondo le opzioni di gestione a disposizione. I sostegni emotivi tendono a stimolare le energie per affrontare ciò che si può e deve affrontare, a ristrutturare le emozioni limitanti in emozioni evolutive e a dare sollievo quando l’evento catastrofico non può essere né modificato né controllato. TAVOLA IV.6 pag 118

Il soccorritore volontario e la gestione dell’ansia ”L’ansia è quella apprensione o spiacevole tensione data dall’intimo presagio di un pericolo imminente e di origine in gran parte sconosciuta”10. L’ansia è perciò un’emozione anticipatoria caratterizzata da una reazione di allarme di fronte a una situazione che si teme di non saper affrontare adeguatamente: è una reazione aspecifica di tipo fisiologico, emotivo, cognitivo e comportamentale a stimoli considerati minacciosi del proprio benessere. E’ la risultante dell’interazione tra variabili ambientali e variabili soggettive mediate dalla valutazione. Le componenti dell’ansia sono: l’evento annunciato, le preoccupazioni e le valutazioni che stimola, la reazione all’ansia fisiologica, emotiva, cognitiva comportamentale, le caratteristiche personali, le risorse, gli schemi abituali di comportamento, la percezione circa la propria responsabilità nella gestione, le capacità e le limitazioni che la persona considera di avere. In una situazione di emergenza il soccorritore è il punto di riferimento per i soggetti colpiti dalla 10 Charles Spielberger, psicologo noto per il suo trattato sull’ansietà (State/Trait Anxiety Inventory-STAI)


113 catastrofe. Per i volontari in modo particolare, in fase di formazione è necessario preparare il soccorritore ad un carico emotivo negativo molto elevato per evitare che ansia e stress prendano il sopravvento impedendogli di svolgere la sua funzione. La figura del soccorritore volontario è di fondamentale importanza all’interno degli enti, ed in particolare nella Croce Rossa costituisce quasi il 90%: per questa ragione la formazione si focalizza sulle emozioni, comuni a tutti i soggetti, piuttosto che conoscenze tecniche; attingendo da una risorsa così grande e variegata, l’ente deve fare presa su elementi condivisibile e di rapida comprensione, per poter formare efficacemente e velocemente. La buona gestione di questa risorsa determina l’efficienza del servizio in caso di emergenza, o l’inefficienza, in caso contrario.

4.2 Conclusioni Lo studio svolto sullo stato fisico e psichico degli ospiti del campo ha rivelato come si tratti di soggetti in un momento molto particolare della loro vita, in un luogo che non è la loro casa, con persone con cui forzatamente si condividono spazi e tempi. In fase progettuale quindi è di fondamentale importanza non dimenticare tutte le problematiche relative ai soggetti: da un lato è nostro scopo risolvere tali problematiche, dall’altro è necessario che le soluzioni da noi proposte non vadano a peggiorare ulteriormente la loro situazione.

Capitolo4


Analisi del soggetto

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Allegati Analisi dei gruppi vulnerabili Psicologia dell’ospite in emergenza I problemi dell’ospite in emergenza Psicologia del soccorritore in emergenza I problemi del soccorritore in emergenza Comunicazione tra ospite e soccorritore Psicologia della comunità in emergenza


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TAV IV.1 ANALISI DEI GRUPPI VULNERABILI

Capitolo4


Analisi del soggetto

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TAV IV.2 PSICOLOGIA DELL’OSPITE IN EMERGENZA


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TAV IV.3 I PROBLEMI DELL’OSPITE IN EMERGENZA

Capitolo4


Analisi del soggetto

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TAV IV.4 PSICOLOGIA DELSOCCORRITORE IN EMERGENZA


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TAV IV.5 I PROBLEMI DELSOCCORRITORE IN EMERGENZA

Capitolo4


Analisi del soggetto

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TAV IV.6 COMUNICAZIONE TRA OSPITE E SOCCORRITORE


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TAV IV.7 PSICOLOGIA DELLA COMUNITA’ IN EMERGENZA

Capitolo4



Capitolo5 Analisi del caso studio di Centi Colella



Introduzione In questo capitolo si analizza il caso studio del campo di emergenza di Centi-Colella, nostro riferimento per lo sviluppo delle proposte progettuali. Abbiamo analizzato la realtà del campo, le attività svolte al suo interno e le strutture a disposizione, al fine di delineare uno schema rappresentativo della realtà considerata, utile a valutare l’efficienza e l’efficacia dei sistemi di gestione e la logistica interna. Dall’analisi sono emerse delle criticità, alcune proprie della realtà dell’emergenza ed altre relative alla gestione delle risorse, con conseguenze differenti a seconda della tipologia di problema (conseguenze ambientali, sociali ed economiche). L’impatto delle problematiche riscontrate è stato valutato in relazione a quattro parametri: il tempo, ovvero la durata della situazione di emergenza, il contesto, inteso come realtà della vita nel campo dopo l’emergenza sismica, il luogo in cui è avvenuto il disastro, con le relative positività o negatività del territorio, ed, infine, le persone, considerandone lo stato emotivo, psichico e fisico. L’interazione di questi parametri con le criticità riscontrate, ha permesso di identificare i settori di intervento e di delineare le opportunità di inserimento di nuove soluzioni nei diversi ambiti critici. Lo studio ha fatto emergere, come problematica principale, l’inadeguatezza a monte delle risorse impiegate, in termini di approvvigionamento e di distribuzione: per sopperire in tempi brevi alle necessità, sono stati utilizzati beni tipici di una realtà fissa e stabile, non adatti ad una situazione di emergenza, temporanea e a breve-medio termine. Questa è stata identificata come una delle cause principali dei problemi di gestione dei rifiuti, di gestione logistica e di distribuzione dei beni agli ospiti del campo.


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Analisi del caso studio di Centi Colella

Campo di Centi Colella (fonte I. Schintu)

5.1 La collaborazione con la Croce Rossa Militare Durante le prime fasi di analisi e ricerca, sulle tipologie di intervento da parte degli enti in casi di emergenza, abbiamo avuto la possibilità di collaborare con l’unità di Croce Rossa Militare con sede a Settimo Torinese, nel Centro Polifunzionale della Croce Rossa Italiana. Il centro è stato inaugurato il 7 giugno 2008, ed è situato sull’ex cantiere dell’alta velocità. Grazie all’iniziativa del Comune di Settimo Torinese è stato possibile stipulare un accordo che ha coinvolto anche la Provincia di Torino, il Comitato Provinciale di Torino della CRI e il Comando del I Centro di Mobilitazione. La struttura ha come obiettivo primario divenire modello e polo di eccellenza per l’intera Protezione Civile nazionale. Nel centro sono stati attivati corsi specifici per la formazione dei volontari della Protezione Civile locale. La CRI lo utilizza come base logistica e per le attività contemplate nel proprio statuto quali formazione sanitaria, legale e giuridica. Il Comandante in Capo del primo centro di mobilitazione del Piemonte, Ignazio Schintu, ha collaborato attivamente per fornirci tutti gli strumenti per svolgere una valutazione, un’analisi ed, infine, una proposta progettuale basata su un campo di emergenza abruzzese, attivo dall’aprile 2009 al novembre 2009.

La scelta del caso di Centi Colella Dalla collaborazione sopra citata, è nata la possibilità di analizzare nel dettaglio il campo di emergenza di Centi Colella, allestito dall’unità di Protezione civile, del corpo militare CRI, a L’Aquila, subito dopo il devastante terremoto del 6 aprile. Questo caso si è rivelato particolarmente interessante in quanto al suo interno erano presenti tutte le strutture standard di un campo di emergenza autonomo, a partire dalla cucina, la mensa, l’ambulatorio, le strutture per lo svago e per il riposo. Di questo, è stato possibile raccogliere i dati specifici relativi alla logistica e alla gestione durante tutta la sua attività, durante ben sette mesi (dato significativo, si scontra con i tre-quattro mesi ipotizzati come vita media di un campo analogo). Lo studio di questo caso ha permesso di considerare molte delle variabili da valutare in caso di allestimento di una simile struttura, proprio per la sua complessità e completezza nel servizio offerto. All’interno del campo hanno trovato rifugio 500 persone, tra terremotati e operatori volontari; solo otto sono stati, invece, gli operatori ordinari del corpo militare, tra cui il capocampo Ignazio Schintu.


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Capitolo5

Disposizione delle tende (fonte I. Schintu)

Cronologia degli eventi La prima squadra di soccorso del Centro di Mobilitazione di Settimo è stata allertata poche dopo la scossa più forte, nella notte del 6 aprile. Riunito il gruppo, a quattro ore dall’emergenza, sono partiti i soccorsi con una scorta di viveri ed acqua sufficiente per 250 persone per 36 ore, poiché le informazioni delle prime ore non avevano fornito dati significativi sulla gravità dell’evento, sulla disponibilità di risorse in loco e sui danni subiti. Intanto sul posto erano già intervenute le autorità locali, i Vigili del fuoco, il soccorso sanitario e le unità logistiche per i sopralluoghi (con il compito di definire ed identificare l’intervento richiesto e gli aiuti necessari). La legge prevede che ogni comune provveda a redigere un Piano di emergenza1 dettaglio, in cui si stabiliscano gli estremi per un intervento in emergenza, le vie di fuga, le unità di soccorso di riferimento, i materiali necessari, i luoghi da adibire a campo per dare rifugio agli ospiti, la propria struttura di intervento, l’individuazione dei ruoli responsabili ed operativi, delle persone, dei servizi e delle procedure di comunicazione applicabili, sulla base delle emergenze, naturali 1 Legge 24 febbraio 1992, n. 225, per il coordinamento e l’indirizzo per le attività di previsione, prevenzione e soccorso nell’ambito del Servizio Nazionale; Legge 267 del 3.8.98, comporta inoltre l’obbligo per le Autorità competenti di realizzare piani di emergenza specifici.

od antropiche, ipotizzabili. Contrariamente a quanto previsto, una volta sul posto la squadra ha provveduto a identificare un luogo idoneo all’installazione del campo, poiché non ne era stato previsto uno adatto in precedenza. Seguendo la normativa per la scelta del luogo che rispondesse alle necessità, è stato selezionato un centro sportivo nei pressi dell’Aquila, dotato di numerose palestre, strutture fisse ed un campo da calcio adeguato per l’installazione delle tende PI88. A partire dall’8 aprile 2009 il campo di Centi Colella ha svolto le attività di sostegno alla popolazione, organizzando un campo di accoglienza con svariati servizi alla persona.

Gli ambienti e le attività del campo Nello specifico, all’interno del campo sono stati allestiti gli ambienti per svolgere le funzioni principali: il riposo, 82 tende mod. PI88 6.20x4.55m della capacità di 6 persone, normalmente suddivisi in base ai nuclei familiari (prediligendo la separazione nuclei diversi, e sfrattandole per numeri minori, 4/5 persone); la socializzazione, per la quale è stata adibita una tenda 15x10m finalizzata all’incontro, allo svago e all’unione tra ospiti e soccorritori, un bar 5x5m (luogo di incontro più importante) posto all’esterno del campo ed una ludoteca assistita


Analisi del caso studio di Centi Colella

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Tenda segreteria (fonte CRI Piemonte)

Tenda mensa (fonte CRI Piemonte)

Tenda cucina (fonte CRI Piemonte)

Tenda istruzione (fonte CRI Piemonte)

per bambini accompagnati dai genitori; l’assistenza sanitaria, un tenda per l’assistenza alle persone ottenuta riadattando un Punto Medico Avanzato, una tenda per l’assistenza psicologica 5x5m, una tenda per l’assistenza veterinaria posta al fondo del campo atta ad accogliere gli animali domestici degli ospiti del campo (area delimitata da recinzione); la segreteria, tenda 4x3m, fulcro di gestione del campo, la quale svolgeva i compiti di anagrafe, polizia, punto informativo, radio comunicazioni; le aree di stoccaggio merci, usufruendo di una delle palestre presenti, erano organizzati in magazzini per il deposito di beni di primo consumo e la conservazione di alimenti a temperatura ambiente; la ristorazione, costituita da due tende una cucina ed una tenda mensa per la preparazione dei cibi, la conservazione refrigerata degli alimenti, il consumo dei pasti; l’igiene, per la quale sono stati collocati dei moduli bagno (lavandini e docce) ad un estremo del campo; per espletare le funzioni primarie, invece, da aprile a luglio sono stati utilizzati 90 wc chimici, in affitto da una grande azienda, la quale si è occupata anche della gestione e della sanificazione giornaliera: da luglio, a causa delle alte temperature, i wc chimici sono stati sostituiti ti da venticinque moduli bagno, ciascuno atto a soddisfare le necessità di 20 persone; era inoltre presente una tenda lavanderia con 6 lavatrici a

disposizione degli ospiti del campo; i luoghi di culto, suddivisi in due tende 3x4m (una Chiesa ed una Moschea, vista la presenza di gruppi religiosi differenti); la gestione, area costituita da una tenda segreteria la quale svolgeva anche le funzioni di anagrafe, polizia e punto informativo, oltre alle funzioni di check in delle merci in entrata ed uscita; l’istruzione, organizzata all’interno di una tenda scuola per venti bambini, attrezzata con banchi e sedie e rifornita di materiale didattico. Le attività del campo sono state coordinate dal capocampo Schintu, con la collaborazione degli operatori fissi e dei volontari; solo per attività come la pulizia dei moduli bagno o la gestione della lavanderia è stata richiesta la collaborazione attiva degli ospiti. Le altre funzioni, segreteria, stoccaggio, preparazione e distribuzione degli alimenti e delle scorte, sono state svolte dai volontari di Croce Rossa. A differenza di altri casi, analizzati nel dettaglio nel Capitolo 3, anche per il montaggio del campo stesso non vi è stata partecipazione da parte della popolazione, ma solo del personale addestrato. TAVOLA V.1 pag 140


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Vista aerea del Campo di Centi Colella (fonte I. Schintu)

Capitolo5


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Analisi del caso studio di Centi Colella

5.2 Centi Colella: analisi dello stato attuale, rilievo olistico delle attività del campo Per comprendere i flussi di input ed output del campo considerato, abbiamo analizzato le attività svolte al suo interno singolarmente, relazionandole in seguito le une alle altre, per identificare le connessioni ed i passaggi di materia (o energia) tra i diversi luoghi. L’analisi svolta è stata finalizzata allo studio delle azioni e dei processi svolti all’interno dei diversi ambienti, per poter circoscrivere eventuali problemi legati agli ambienti stessi o ai processi svolti. Per ogni ambiente abbiamo identificato alcune costanti in input: l’energia, impiegata per l’alimentazione di dispositivi tecnologici o elettrodomestici per la conservazione dei cibi. Nei primi periodi dal disastro gli operatori sono ricorsi all’uso di due generatori a gasolio (dimostratisi, più volte, insufficienti alla produzione dell’energia richiesta dall’intero campo. In seguito è stato ripristinato il riallacciamento alla rete; il consumo energetico totale per tutta la durata del campo (aprile - novembre 2009) è stato stimato intorno a 104000 kWh la presenza di dispositivi per l’illuminazione interno od esterna; l’utilizzo di radiatori ad olio per il riscaldamento degli ambiente (fatta unica eccezione per i moduli bagni, in cui sono stati impiegati condizionatori a pompa di calore); i condizionatori, per delle tende;

il raffrescamento

l’acqua potabile, rete unica per l’approvvigionamento e la distribuzione nel campo, usata per la pulizia degli ambienti, per il lavaggio e la preparazione degli alimenti, per l’igiene personale; inizialmente prodotta attraverso un potabilizzatore e confezionata con un’insacchettatrice, in seguito ricavata dalla rete idrica locale; il consumo di acqua potabile totale per tutta la durata del campo (aprile - novembre 2009) è stato stimato intorno a 14.682.220L, ovvero 30000L a testa in 217 giorni;

i detergenti e disinfettanti, usati in quantità massicce per la sanificazione degli ambienti, con unica differenza nella frequenza di lavaggio (cucina: più volte al giorno, container refrigerato: quando necessario ecc...). Le attività sono state analizzate, quindi, per unità tematiche, come segue.

La ristorazione L’attività di ristorazione era composta innanzitutto dall’ambiente cucina, luogo in cui si effettua il lavaggio, la preparazione, la cottura degli alimenti e parte della conservazione refrigerata. A Centi Colella è stata impiegata una cucina militare da campo, per un uso giornaliero di 8 ore. Questo modello di cucina consente la preparazione di 250 pasti l’ora ad un consumo di gasolio di 50 litri al giorno. All’interno della cucina lavorano sei operatori. Gli stessi si occupavano della pulizia degli ambienti tre volte al giorno, il lavaggio dei piani di lavoro oltre 6 volte al giorno, il lavaggio delle stoviglie e dei materiali per la preparazione dei pasti 3 volte al giorno. Questo ambiente era affiancato dalla mensa, all’interno della quale si effettuava la distribuzione dei cibi, mantenuti in temperatura da uno scaldavivande elettrico. La mensa poteva ospitare fino a 300 persone, sempre sufficienti grazie all’orario dei pasti che consentiva di diluire l’afflusso degli ospiti. TAVOLA V.2-3 pag 142-143

L’igiene Nell’ambito dell’igiene abbiamo raggruppato ciò che concerne l’igiene personale, il lavaggio degli indumenti e l’espletamento di funzioni fisiche. Per risolvere il problema dei wc già dalle prime ore, gli operatori sono ricorsi all’uso di wc chimici, noleggiati da una nota ditta che li produce (Sebach) e che si occupa della gestione degli stessi; sono stati sostituiti, però, con l’arrivo della stagione estiva, per via delle temperature e degli odori che si sviluppavano all’interno dei moduli. Sono stati quindi utilizzati dei moduli bagno (1 ogni 20 persone) realizzati su container, più confortevoli rispetto ai wc chimici. Inoltre questo campo è stato attrezzato con 6 lavatrici, poste in una tenda “lavanderia”, disponibili all’uso 24h/24, regolamentate da turni per ogni nucleo familiare. TAVOLA V.18-21 pag 158-161

La conservazione degli alimenti: il deposito food Il campo di Centi Colella è stato posto in un centro sportivo con a disposizione numerose palestre, riconvertite a deposito nei mesi dell’emergenza.


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Deposito food (fonte CRI Piemonte)

Capitolo5

Deposito non food (fonte L. Noviello)

Pulizia della mensa (fonte CRI Piemonte)

Tenda mensa (fonte L. Noviello)

Gran parte della conservazione refrigerata, lo stoccaggio e la gestione dei beni in entrata (alimentari e non) è stata collocata all’interno di questi ambienti, ed ordinata in scaffali, pallet e scatoloni. Gli addetti alla cucina hanno avuto a disposizione un container a scoppio refrigerato (spento nelle ore notturne a causa del rumore prodotto dal motore), un abbattitore per la conservazione degli alimenti una volta cucinati, una cella freezer e due forni: gran parte del consumo energetico va attribuito a questi elettrodomestici ad elevato assorbimento. Per lo stoccaggio degli alimenti a temperatura ambiente sono stati utilizzate scaffalature portate appositamente sul posto. Sei operatori, parte dei quali assegnati anche alla cucina, si occupavano delle attività del deposito food, e svolgevano le pulizie degli ambienti una volta al giorno; il frigorifero veniva sanificato con prodotti specifici una volta settimana (operazione che implica lo svuotamento dell’ettrodomestico, il lavaggio, il tempo di attesa per la disinfezione, e quindi nuovamente lo riempimento).

accesso laterali fungeva da punto di distribuzione, la quale è avvenuta su richiesta da parte degli ospiti per tutta la durata dell’emergenza. Alcune dati relativi al consumo di beni primari danno l’idea di come questa gestione abbia creato delle difficoltà sia per l’approvvigionamento che in fase di smaltimento: i consumi procapite al giorno erano in media di 6 bottiglie di acqua da 0.5L, un rotolo di carta igienica, una confezione di shampoo-bagno schiuma... Le pulizie venivano effettuate quotidianamente, con detergenti disinfettanti ed acqua potabile. Sei operatori erano stati assegnati al deposito e svolgevano le mansioni di competenza di quell’area.

TAVOLA V.10-13 pag 150-153

Lo stoccaggio dei beni: il deposito non food

TAVOLA V.8-9 pag 148-149

I luoghi di culto Appena la situazione lo ha consentito, sono stati predisposti due luoghi di culto, una Moschea ed una Chiesa, per via delle presenza di diversi gruppi religiosi: ogni tenda era dotata di un termosifoni ed un condizionatore, ed ogni giorno venivano effettuate operazioni di pulizia attraverso l’uso di carta assorbente, detergenti ed acqua potabile. Un operatore era addetto a tali operazioni. TAVOLA V.6-7 pag 146-147

All’interno delle stessa palestre del deposito food erano presenti i pallets e le scaffalature dei beni e delle donazioni provenienti dagli aiuti esterni. Un


Analisi del caso studio di Centi Colella

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Ludoteca (fonte F. Barbero)

L’assistenza

I luoghi per lo svago

L’assistenza agli ospiti è stata suddivisa in assistenza sanitaria, assistenza psicologica e assistenza veterinaria. Nei primi periodi dell’emergenza il campo è stato attrezzato con un PMA (punto medico avanzato) e nelle fasi successive è stato convertito in infermeria e farmacia, con la presenza costante di un medico e personale di supporto; si occupavano autonomamente della pulizia degli ambienti. Per la gestione dello smaltimento dei materiali speciali avevano accesso ad un circuito speciale, ed erano indipendenti dal resto del campo. La struttura era inoltre corredata di un’area per il sopporto psicologico, o area di ascolto, essenziale nelle situazioni di emergenza, sia per gli ospiti (i quali hanno subito il trauma) che per i soccorritori (che si trovano i situazione di continuo stress). La pulizia degli ambienti avveniva una volta giorno, da parte degli operatori stessi. Inoltre, il campo è stato attrezzato per ospitare gli animali degli ospiti presenti, seguiti da veterinari e sistemati in un recinto al fondo del campo: questa scelta ha avuto effetti benefici importanti su molti soggetti. L’igiene era una priorità e veniva curata più volte al giorno per evitare diffondersi di infezioni o malattie.

A parte la tenda mensa, luogo in cui si raccoglievano gli ospiti per consumare i pasti, e comune luogo di aggregazione, all’esterno del campo è stata montata una tenda di “socializzazione”, attrezzata con proiettore per trasformarsi, all’occorrenza, in tenda cinema. Essendo una tenda di grandi dimensioni, era dotata di quattro radiatori ad olio e due condizionatori, e la pulizia veniva effettuata giornalmente da tre operatori. Accanto alla tenda di socializzazione era stato installato un bar, vero centro di unione anche se posto fuori dal campo, una delle prime iniziative realizzate, in ordine cronologico, che non riguardassero il soccorso immediato, proprio per le sue caratteristiche particolarmente apprezzate dagli ospiti ed il suo collegamento con la “normalità” dell’immaginario collettivo: si occupava della distribuzione di pochi prodotti, ed era dotato di attrezzature di base (macchina per il caffé, frigorifero e freezer). Anche in questo caso la pulizia veniva gestita dall’operatore del bar, e avevano una frequenza elevata durante la giornata. Per il gioco dei bambini era a disposizione, oltre alle palestre del centro sportivo, una tenda allestita a ludoteca, internamente al campo. Un operatore si occupava dell’assistenza ai bambini, i quali dovevano essere accompagnati dai genitori: questa attività, a differenza della precedente, non

TAVOLA V.4-5 pag 144-145


133 ha avuto grande successo, in quanto capitava spesso che i genitori non seguissero i bambini nelle loro attività. I materiali utilizzati provenivo da donazioni di enti nazionali, o singole diocesi. TAVOLA V.16-17, 22-23 pag 156-157, 162-163

L’Istruzione In occasione dell’emergenza, il ministro della pubblica istruzione ha decretato che gli studenti delle scuole elementari, medie inferiori e superiori, avessero la possibilità di accedere all’anno successivo pur non completando il ciclo scolastico annuale. Ciononostante, nel campo di Centi Colella una tenda è stata adibita a scuola ed attrezzata di conseguenza. L’attività era gestita dalle insegnanti del luogo che intendevo portare a termine il servizio, e da volontari preparati. La pulizia veniva effettuata una volta al giorno dal personale addetto. TAVOLA V.16-17 pag 156-157

Il riposo Le tende per il riposto, le precedentemente citate PI88, erano dotate di due termosifoni ad olio ed un condizionatore. Nell’assegnazione delle tende si è cercato di separare, ove possibile, nuclei familiari diversi, per semplificare la convivenza. Era sconsigliato permanere all’interno delle tende durante il giorno, per motivi di integrazione e di recupero post-trauma; da questo derivavano i frequenti controlli ed il costante supporto ai singoli che esprimevano qualche sorta di disagio. La gestione delle tende private spettava agli ospiti della tenda stessa; veniva fornito il necessario per la pulizia e disinfezione dell’ambiente. TAVOLA V.16-17 pag 156-157

La gestione dei rifiuti Per il numero di persone e per la gestione delle risorse, la quantità di rifiuti era tale da richiedere ogni giorno diversi passaggi di raccolta: indifferenziato- due volte al giorno, plastica- tre volte al giorno, organico- tre volte al giorno, cartauna volta al giorno, wc chimici- tre volte al giorno, per un totale di circa 2600 passaggi di mezzi per la raccolta dei rifiuti. La gestione dello smaltimento, invece, spettava alle aree limitrofe competenti. Una volta analizzate singolarmente le attività e gli ambienti, abbiamo costruito una mappa astratta, in cui abbiamo rappresentato il rilievo olistico del campo nella sua totalità, da cui è emerso il percorso dei beni, di energia e di acqua al suo interno, l’uso ed il consumo nelle diverse aree ed infine la raccolta e lo smaltimento degli output. Il campo nel suo funzionamento, agisce come

Capitolo5

una piccola città, le azioni svolte al suo interno, seppur slegate le une dalle altre ed attuabili anche in maniera autonoma, influenzano interamente il campo per ciò che riguarda la gestione dei beni e la distribuzione degli stessi. In fase di analisi delle criticità sarà quindi importante valutare gli impatti reciproci di attività apparentemente non connesse. TAVOLA V.24-25 pag 164-167

5.3 Identificazione e analisi dei problemi Al termine della prima parte di analisi, ovvero lo studio delle attività, abbiamo considerato le criticità delle azioni svolte, dei materiali utilizzati per svolgere tali azioni e della gestione delle risorse. Identificati i problemi, abbiamo suddiviso gli stessi in sottogruppi, per tematica, e di ciascuno, partendo dal problema, abbiamo rilevato la causa e gli effetti nel campo, sia ambientali che sociali. Le macrocategorie sono state pertanto suddivise in problematiche legate alla gestione, alla distribuzione ed alla raccolta di beni materiali, ovvero i rifiuti ed i beni in entrata (con particolare attenzione al tema dei tensioattivi, che ha ripercussioni sia sulle possibilità di utilizzo dell’acqua che sull’ambiente); le problematiche dell’acqua in entrata, la distribuzione nel campo e l’analisi dell’acqua in uscita; le criticità relative alla produzione energetica ed il consumo di energia; ed infine le aree comuni, strettamente connesse alla psicologia del soggetto nel campo di accoglienza.

I rifiuti I rifiuti sono stati analizzati per tipologia come segue. Indifferenziato I problemi legati ai rifiuti riguardo le grandi quantità di rifiuti indifferenziati, l’unione di qualità diverse di che generano problemi per lo smaltimento e gli errori nella differenziazione. Le cause di queste problematiche sono da ricercare nell’uso di packaging difficilmente separabili e differenziabili, nell’uso di materiali difficili da identificare e collocare nel raccoglitore apposito, ma anche in fattori legati all’attenzione dei soggetti, quali svogliatezza e disinteresse nella differenziazione dei propri rifiuti (determinate dalla condizione di emergenza), nella gestione della raccolta, a causa di controlli insufficienti da parte degli operatori e nella distrazione dei soggetti al momento di gettare i rifiuti.


TOT. 136370 €

Gestione 15150 €

Costo di raccolta, trasporto e smaltimento da aprile ‘09 novembre ’09

plastica

134

Analisi del caso studio di Centi Colella

lavorazione termica meccanica, chimica

OUT

diossine

monomeri per la produzione di nuove materie

carta

Gestione 2300 €

ORGANICO

em is si 2 on i

Raccolta+trasporto 86000 €

sbiancamento

O

CARTA

selezionamento

C raccolta rifiuti 3 volte al giorno

TOT. Gestione 50370 €

organico

campo

Gestione 11000 €

INDIFFERENZIATO

Gestione 13020 €

conferimento diretto in discarica emissioni

OUT

vetro-alluminio

VETRO-ALLU

OUT

materiali spuri

indifferenziato

EFFETTI ambientali e sociali

PLASTICA

cellulosa

bio-ossidazione

OUT

ammendante agricolo

Gestione 15150 €

frantumazione PERCOLATO agenti contaminanti CH4

fusione

sabbia, soda, calcare

OUT

materia prima

CH2 METANO

Ipotesi di processo di smaltimento e relativi costi di raccolta e gestione dei rifiuti prodotti nel campo in 210 giorni.

Rifiuti Plastici Per quanto riguarda i rifiuti plastici, invece, abbiamo rilevato delle gravi problematiche relative al quantitativo di packaging in plastica ed alle grandi quantità di stoviglie monouso in materiale plastico non recuperabile. Per ogni pasto sono stati utilizzati più di 500 set di posate, composti da cucchiaio, forchetta e coltello in plastica non recuperabile, e più di 500 copri-vassoio (parte a contatto con gli alimenti) in plastica biodegradabile. Al termine del pasto ogni ospite ha gettato nei rifiuti indifferenziati plastica non recuperabile, plastica recuperabile ed organico, L’uso di plastiche di qualità differenti per lo svolgimento di una unica attività è stato causa di errori nella differenziazione dei rifiuti, ed ha fatto si che grandi quantità di materiale recuperabile non potesse più essere riciclato e, da qui, un grande spreco di risorse. E’ da sottolineare, inoltre, l’utilizzo di bottigliette dal 0.5 l per la distribuzione di acqua potabile: le dimensioni contenute hanno causato sprechi di acqua e packaging (potenzialmente riutilizzabili), andando ad aggiungersi alla già grande quantità di rifiuti plastici. Rifiuti organici I rifiuti organici provengono principalmente da due attività: dalla preparazione degli alimenti e dal consumo degli stessi. Le fasi di preparazione causano grandi quantitativi di scarto, sia di origine animale che vegetale, il consumo, invece,

rappresenta la vera criticità di questo ambito: per ovviare alla già situazione di emergenza spesso si preferisce rendere disponibili maggiori quantità di beni, per esaltare l’abbondanza e dare sicurezza in una situazione percepibilmente precaria e provvisoria, come spesso sottolineato dal cuoco di Centi Colella “Sergio Siddi” (del Corpo Militare di Croce Rossa, cuoco presso il campo abruzzese per tutta la durata dell’emergenza). Inoltre, come accennato in precedenza, grandi quantità di rifiuto organico, avanzi dei pasti, sono stati gettati nell’indifferenziato, creando gravi problematiche nella fasi di deposito in discarica: difatti, la presenza di materiale organico in discarica favorisce la produzione di gas nocivi, quali CH2, CH4, percolato e metano. Rifiuti in carta Come per i rifiuti plastici ed indifferenziati, anche per la quantità di rifiuti in carta è possibile ricondurre la causa all’utilizzo improprio dell’usa e getta. Infatti, per svolgere le pulizie degli ambienti, in primo luogo per la pulizia della cucina, è stata utilizzata la carta assorbente, portando così ad un grande consumo di carta impregnata di sostanze disinfettanti e saponate, non smaltibili con il resto della carta. TAVOLA V.30 pag 171


135

I beni in entrata I beni in entrata sono caratterizzata da criticità a monte del problema stesso che generano. L’approvvigionamento dei beni avviene, generalmente, per due vie parallele: da un lato vi sono le richieste effettuate ufficialmente dal capo campo, relative alle necessità dei soggetti assistiti, in relazione al luogo in cui è stato installato il campo e per questo specifiche della realtà creatasi in seguito all’emergenza; dall’altra parte abbiamo, invece, tutti gli aiuti inviati da comunità, diocesi, organizzazioni e singole aziende che decidono di mobilitarsi ed inviare il proprio supporto autonomamente. Tale autonomia genera spesso problemi nella gestione dei beni nel campo, come ad esempio l’eventuale grande quantità di uno stesso prodotto che non può trovare impiego in tempi brevi e permane, quindi, nei depositi a lungo, occupando spazi destinati alle prime necessità. Stoccaggio e donazioni Le grandi quantità di beni stoccati nel magazzino, richiedono tempi lunghi per la loro sistemazione in scaffali, sui quali vengono disposti in ordine di scadenza, o di arrivo, a seconda della tipologia. Per questa ragione la sistemazione degli alimenti deve essere riorganizzata ad ogni nuovo arrivo. Per ciò che concerne gli aiuti alimentari provenienti da donazioni o raccolte le difficoltà sorgono nei formati differenti o poco adatti all’emergenza: i packaging non adeguati e la varietà di prodotti ampia in quantità o troppo abbondanti o non sufficienti a soddisfare la richiesta. Può accadere inoltre, che grandi aziende considerino le donazioni come alternativa al deposito per l’invenduto, il che spesso causa grandi quantità di rimanenze non utilizzate nel deposito del campo. La gestione della distribuzione viene controllata dagli operatori addetti a tale mansione, solitamente volontari; a causa della condizione di precarietà, come avviene anche nella distribuzione del cibo, si tende a fornire una quantità ingiustificata di beni, per sopperire alle mancanze generiche proprie di un campo di accoglienza. In questa situazione le richieste dei soggetti sono, nella maggior parte dei casi, superiori alla necessità e finalizzate all’accumulo di beni fruibili in seguito: la popolazione colpita è in una condizione di stress, e la percezione di continuità del soccorso risulta complessa. La mole di beni di cui si è parlato necessita, quindi, di molti operatori addetti allo stoccaggio, e causa, nella distribuzione, disparità di quantità fornite al singolo. In conclusione, i mezzi e i processi tipici di una realtà basata su nuclei familiari, applicati impropriamente ad una realtà costituita da una comunità e l’inadeguatezza dei beni ricevuti e la modalità di gestione inadatta alla situazione

Capitolo5

(poiché tipica di una realtà stabile e fissa, come la distribuzione all’interno delle rete cittadina) comportano grandi difficoltà nella gestione dei beni, grandi sprechi durante la fruizione e inutilizzo di risorse portate sul luogo appositamente ma, in realtà, non necessarie. TAVOLA V.33 pag 174

Le acque in entrata e in uscita L’acqua rappresenta la maggiore priorità in situazione di emergenza. I primi soccorsi, dopo il salvataggio di persone, hanno l’incarico di fornire acqua e riparo alle persone, e, qualora sia possibile, un pasto caldo. Per questa ragione si sceglie di collocare un campo di emergenza in punti in cui sia effettuabile, con facilità, la connessione alla rete idrica. Fino a quando non sia possibile ripristinare la rete (o siano necessari accertamenti per verificare che le falde acquifere non siano non state contaminate e le tubature corrotte) si fa uso di un potabilizzatore alimentato a gasolio. L’acqua così ottenuta viene utilizzata per svolgere tutte le funzioni che richiedano acqua (preparazione cibi, pulizia personale, pulizia degli ambienti): l’acqua potabile viene utilizzata anche dove sarebbe utilizzabile acqua con qualità minori. Questa scelta trascura lo spreco di risorse a favore della praticità di una rete unica di distribuzione all’interno del campo, nello stesso tempo de-responsabilizza i soggetti nell’uso dell’acqua, favorendo comportamenti non sostenibili. Il consumo di acqua dall’inizio di aprile alla fine di giugno (90 giorni ca.) è stato di 3780 m3, equivalenti a 4650 €, consumo che ha visto un notevole incremento dal mese di luglio, con l’installazione dei moduli bagno ad uso di tutti gli ospiti del campo ( da 42 m3/gg a 67 m3/ gg, per un totale di 10050 m3 pari ad un costo di 12.400€). Non è trascurabile, inoltre, il fattore psicologico, il quale ha influito negativamente sul consumo di acqua: la condizione di emergenza, la sistemazione in tende, il terreno polveroso/ fangoso a seconda delle condizioni atmosferiche, hanno accentuato la percezione di sporcizia in tutti gli ambienti, portando ad un utilizzo maggiore del necessario di acqua, detergenti e disinfettanti. Per la pulizia di una tenda di 28 m2 è stato utilizzato lo stesso quantitativo di acqua di un appartamento da 80 m2, ma con il doppio del detersivo (200 ml/gg circa). L’uso di detersivi con tensioattivi sintetici, oltre ad avere effetti negativi sull’ecosistema, rende più complesso il processo di depurazione dell’acqua, richiedendo un numero maggiore di trattamenti e un tempo maggiore di sedimentazione. Un’altra problematica rilevante è legata all’uso di acqua calda: ogni modulo bagno, di serie, è dotato di un boiler da 80 litri, assolutamente non sufficiente a soddisfare la richiesta delle utenze.


Analisi del caso studio di Centi Colella

136

Oltre a comportare un cattivo funzionamento della struttura, questo aspetto critico influisce negativamente sulla componente psicologica dell’ospite (come evidenziato dal dott. Raffaele Roberto Pepe, medico-chirurgo, Generale del Corpo Militare di Croce Rossa, il quale ha prestato servizio per 21 giorni presso il campo di Centi Colella). Per ciò che riguarda l’acqua in uscita, le cause delle criticità sono da ricercasi a monte: l’uso di tensioattivi sintetici e l’unione di acque grigie con acque nere in fogna, rendono più complesso ed oneroso il processo di depurazione, ed impediscono il riutilizzo, seppur parziale, delle acque all’interno del campo. TAVOLA V.31-32,34 pag 172-173,175

Qualità e quantità degli output L’approccio sistemico considera l’output di una attività come input per un’altra attività. Per valutare le potenzialità degli output prodotti dallo svolgimento delle attività del campo, abbiamo analizzato la qualità degli scarti in uscita e le relative quantità. Come si può vedere dalle tavole riassuntive, le maggiori quantità di scarti generati sono organici e indifferenziati. Gli scarti organici sono generati principalmente in cucina durante la preparazione dei cibi e in mensa, quali avanzi degli ospiti e cibi preparati e non consumati. Gli scarti organici sono costituiti da bucce di frutta e ortaggi, carne, pesce, formaggio, pasta e pane per un totale di 700 kg al giorno. Gli scarti indifferenziati sono circa 620 Kg al giorno e sono costituiti dai rifiuti raccolti nei moduli bagno, dai packaging di materiali non reciclabili dei prodotti alimentari, da oggetti non monomaterici utilizzati nella tenda sociale e da tutti quei rifiuti gettati per errore e per disinformazione nell’indifferenziato. Sono proprio questi ultimi a generare la maggior parte dei rifiuti, circa 420 Kg al giorno. All’interno del campo sono inoltre presenti, in minori quantità, altre tipologie di rifiuti quali carta, plastica, vetro e alluminio. I rifiuti in carta sono in totale 290 Kg al giorno e sono costituiti da: carta assorbente utilizzata per la pulizia e quindi impregnata di detersivi e disinfettanti; tovaglioli provenenti dalla mensa,sporchi di rifiuto organico; packagimg primario e secondario dei prodotti stoccati in carta e cartone; e infine fogli di carta, utilizzati nella tenda istruzione e nella tenda dell’amministarzione e della segreteria. I rifiuti in plastica sono 370 kg al giorno: la maggior parte è costituita dai packaging primari dei prodotti alimentari e di consumo, quali bottiglie d’acqua (distribuite da 0,5 l), confezioni di shampoo e di sapone, flaconi di detergenti, disinfettanti e così via. Un’altra cospicua parte è data dalle posate monouso, utilizzate quotidianamente per tre volte al giorno. Infine una minima quantità di plastica è dovuta alla pellicola

trasparente degli imballaggi e all’attrezzatura medica e veterinaria.I rifiuti in vetro e in alluminio sono circa 230 Kg, costituiti dai packaging primari dei prodotti alimentari quali scatolette e bottiglie. ene infine raccolto separatamente l’olio di cottura utilizzato in cucina, e smaltito come rifiuto speciale. Dopo aver analizzato qualitativamente e quantitativamente i rifiuti, lo stesso è stato svolto per le acque in uscita dal campo, quali anch’esse output del sistema e potenzialmente riutilizzabili. La quantità totale di acqua in uscita giornaliera è di 66.860 l. Le acque sono di due tipologie: acque grigie, ovvero saponate, in uscita dagli scarichi dei lavandini, delle docce del bagno e della cucina; e acque nere, ovvero quelle dello sciacquone del water. Le acque grigie sono tali in quanto inquinate dai tensioattivi presenti nei detergenti e nei disinfettanti. Per le acque provenienti dalle cucine si tratta di tensioattivi cationici, per le acque provenienti invece dal lavaggio degli ambienti, dalle docce e dai lavandini del bagno si tratta di tensioattivi anionici. Differente invece è la composizione delle acque nere provenienti dai wc (25.000 l al giorno), al cui interno vi è una percentuale di urina e Una di feci. Dall’analisi degli output e dalla visione generale del “sistema campo”, all’interno del quale avvengono i passaggi e le trasformazioni di energia e materia, sono emersi i problemi principali, ovvero quelli che, a catena, ne generano altri o che sono più rilevanti per dimensioni e conseguenze. TAVOLA V.27-28-29 pag 168-170

Identificazione dei main problems Il “sistema campo” è caratterizzato da un equilibrio che si stabilisce nelle prime ore dalla nascita del campo stesso. In questa realtà artificiale si ricorre all’uso di mezzi propri di comunità stabile, che si pongono in contrapposizione con la comunità eterogenea cui si fa riferimento in questo caso. Analizzando le criticità sviluppate nel campo, vediamo che, spesso, le cause di alcuni problemi sono da ricerca nella natura degli input in entrata. Grande quantità di rifiuti e differenziazione inefficace L’enorme quantità di rifiuti prodotti nel campo affonda le sue radici a monte, nella scelta di prodotti monouso, sebbene si tratti di una situazione destinata a protrarsi nel tempo, e nell’impiego di risorse non adatte ai grandi numeri. Le stoviglie in materiale plastico (riciclabile e non), di bottigliette d’acqua da 0,5 l, le confezioni di detergenti e saponi per la pulizia personale e degli ambienti, rispondono perfettamente alle necessità di singoli nuclei familiari, ma creano difficoltà se si trasferiscono tali soluzioni su larga scala; infatti, l’organizzazione per la raccolta dei rifiuti all’interno del campo, non è paraganabile a quella cittadina,


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Capitolo5

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Parametri di valutazione della gravità delle criticità rilevate

e richiederebbe soluzioni specifiche per facilitarne la gestione. Questa problematica implica una serie di altri problemi ad essa connessi, tra cui la raccolta: i passaggi frequenti dei mezzi per lo smaltimento dei rifiuti generano disagi sia agli operatori che agli ospiti del campo. Uso a lungo termine di gruppi elettrogeni e grande consumo energetico L’uso di gruppi elettrogeni in maniera prolungata e il grande consumo di energia denotano un cattivo utilizzo della risorsa in un momento di instabilità, in cui si dovrebbe ridimensionare la domanda in base alle disponibilità (più che adattare il sistema a carichi maggiori). Acqua calda insufficiente L’acqua calda sanitaria, rivelatasi di gran lunga inferiore alla richiesta, ha rappresentato un grande problema fino all’installazione di collettori solari, avvenuta dopo alcuni mesi. I boiler da 80 litri, presenti nei moduli bagno, non erano in grado di produrre acqua calda a sufficienza, sia per l’inadeguatezza del mezzo (adatto ad un appartamento), che per la quantità d’acqua richiesta dai soggetti (maggiore di quella normalmente consumata nella propria abitazione). Grande consumo di acqua potabile Il dispendio di acqua potabile maggiore del necessario, e l’uso di tale risorse anche dove non richiesto, hanno portato ad un consumo pari a 100 litri al giorno per abitante. Questo dato diventa significativo se si considera che

sono stati impiegati 10.500 m3 d’acqua potabile durante l’intera durata del campo, di cui 3.750 m3 esclusivamente per gli sciacquoni dei wc. Da ciò si deduce che l’uso scorretto dell’acqua potabile, impiegata per scopi per i quali non era necessaria, ha portato non solo uno spreco di risorse, ma anche uno spreco economico rilevante: nella provincia dell’Aquila, l’acqua ha un costo di 1,23 €/m3, il che significa che più di 4.600 € sono stati utilizzati per gli sciacquoni. Inoltre, si è evidenziata la mancanza di frangi-getto o riduttori di flusso, altra componente essenziale per contenere i consumi. Questi sono due esempi che fanno emergere la mancanza di sistemi per il risparmio dell’acqua e per una differenziazione basata sulle qualità delle risorse necessarie per svolgere specifiche funzioni. Le problematiche che stanno alla base delle criticità identificate, in tutti i casi, sono da ricondurre alla modalità di approvvigionamento e gestione delle risorse, che si dimostrano, spesso, inadatte a soddisfare le necessità di una comunità che vive a stretto contatto, in una situazione di stress generale. L’uso di mezzi e processi tipici di una realtà basata su nuclei familiari, applicati impropriamente alla realtà comunitaria, creano difficoltà nella gestione e nella distribuzione delle risorse ai soggetti, con la possibilità di generare malcontento e tensione. TAVOLA V.37 pag 178


Analisi del caso studio di Centi Colella

138

Parametri per la valutazione dei problemi Per la valutazione della gravità delle problematiche sopra elencate, non si può prescindere da alcuni parametri, utili a definire la situazione specifica cui si fa riferimento. Sono state analizzate, perciò, le singole criticità in relazione alla tipologia di emergenza, in questo caso, di origine sismica ed alla quale gli enti hanno prontamente risposto con la creazione di punti di accoglienza: la condizione di emergenza si relaziona con la realtà della tendopoli e delinea il contesto di riferimento, nel quale si articolano le problematiche. Ogni azione svolta nel campo, è correlata con le persone che lo abitano, caratterizzate da uno stato fisico, emotivo e psicologico differente, e sottoposte a fattori stressogeni elevati. Nella valutazione si deve considerare il fattore tempo, ovvero la durata dell’emergenza: determinate soluzioni non presentano particolari difficoltà se utilizzate per tempi brevi, ma solo se vi si ricorre in maniera prolungata. Infine, tutto il sistema deve relazionarsi in maniera coerente con il luogo in cui viene installato il campo, tenendo conto delle caratteristiche del territorio e delle risorse disponibili in loco. I parametri considerati, ci hanno consetito di avere un quadro di valutazione generale, al quale fare riferimento in fase progettuale.

Relazioni tra problemi ed effetti sul campo Le criticità evidenziate si relazionano generando effetti su diversi aspetti relativi al campo; tali effetti sono stati raggruppati in logistici, sociali, sull’ambiente ed economici. I problemi rilevati hanno ripercussioni su molteplici aspetti, come nel caso della raccolta rifiuti: la grande quantità di scarto influenza influenza gli aspetti logistici, richiedendo raccolte frequenti ed occupando l’area carrabile, si ripercuote sui soggetti residenti nel campo, procurando disturbo per il frequente passaggio dei mezzi ed incrementa notevolmente i costi di gestione e smaltimento. La connessione tra i beni in entrata e lo smaltimento risulta quindi evidente; in una situazione di approvvigionamenti di beni non controllato, si favorisce una gestione scorretta dello scarto, per cui spesso è difficile differenziare parti di uno stesso packaging, oppure riconoscere un materiale e distinguerlo da un altro. La stessa analisi è stata svolta anche per le acque: si sono evidenziate particolari difficoltà nella depurazione delle acque, innanzitutto per l’unione di acque grigie ed acque nere, ed in secondo luogo per la carica di tensioattivi che risulta particolarmente elevata. Anche in questo caso, le relazioni tra problemi ed effetti sono strettamente correlate, ed influenzano sia aspetti logistici (rendendo più complessa la

gestione delle acque in uscita), ambientali (poichè vengono introdotti in ambiente elementi chimici nocivi) e sociali (limita la possibilità di riutilizzo delle acque, diminuendone la disponibilità per i singoli). Oltre alla qualità dell’acqua, vediamo che anche il grande consumo di acqua è collegato alla modalità di distribuzione: l’inutilizzo di sistemi per la riduzione dei consumi si ripercuote sull’intera gestione del campo e sullo smaltimento delle acque che grava sull’interno comune. Questi casi sono esemplificativi della complessità che caratterizza la gestione del campo, e delle ripercussioni di azioni non controllate sull’esterno. La realtà del campo, benchè provvisoria, non ha un basso impatto, né tanto meno è trascurabile, vista la situazione in cui si inserisce: valutare attentamente i risvolti positivi e negativi delle scelte operate, può facilitare una ripresa più veloce dopo una catastrofe. TAVOLA V.38 pag 180

Identificazione degli ambiti di intervento e definizione delle linee guida Per ogni macro-area (beni-rifiuti, energia ed acqua) abbiamo relazionato i problemi emersi con le rispettive cause. La condizione di emergenza, lo stato emotivo e psicologico dei soggetti, la durata del campo, portano alla definizione delle linee guida dalle quali non si può prescindere se si desidera ottimizzare la gestione del campo, una sorta di guida per lo sviluppo successivo di idee progettuali. Energia A fronte delle problematiche inerenti all’energia, sono stati individuati diversi ambiti di intervento. In primo luogo il sistema con il quale si produce energia, ovvero il generatore, non è adatto se utilizzato per lunghi periodi; vi è dunque la necessità di attuare un sistema per la produzione di energia adatto al medio e lungo termine. Il generatore inoltre consuma un’elevata quantita di combustibile fossile, che andrebbe sostituito da fonti rinnovabili e non inquinanti. E’ stato inoltre riscontrato un elevato consumo energetico, causato sia da sistemi errati per il contesto d’emergenza, quali stufette, condizionatori, boiler, sia dalla mancanza di regolamentazione nell’utilizzo dei sistemi stessi, accessi contemporaneamente e durante l’intera giornata, anche se non necessario. Un possibile intervento è quello quindi di regolamentare l’utilizzo dei sistemi ad energia, rendendo gli ospiti del campo maggiormente consapevoli dell’energia utilizzata e sprecata. Beni e rifiuti Gli ambiti di intervento identificati per la macro-area beni e rifiuti pongono l’attenzione sulle tipologie di beni da introdurre nel campo, prediligendo beni che consentano il riutilizzo immediato o il facile


139 riciclo a posteriori, ed inoltre invitano a regolare in maniera più attenta la distribuzione degli stessi: in una situazione di emergenza, spesso si preferisce soddisfare ogni richiesta al fine di placare lo scontento, benchè questo spesso porti ad una cattiva gestione delle risorse e non riesca nel suo intento. La naturale gratuità che viene percepita, favorisce lo spreco e nell’immaginario dei soggetti può sottrarre valore ai beni offerti. La scelta dei beni, come già accennato in precedenza, influenza tutta la gestione dei rifiuti prodotti; pertanto, si è evidenziata la necessità di agevolarne la differenziazione per evitare errori (e, di conseguenza, facilitare lo smaltimento) e di prediligere alternative ai prodotti monouso, come nel caso delle posate. Un altro elemento che incrementa la quantità di rifiuti, è lo scarto di organico; la preparazione eccessiva di alimenti per il consumo genera una mole di avanzi ingiustificata: la necessità di valutare meglio le quantità di cibo cucinato può ritrovare un facile riscontro nei riferimenti forniti dagli standard minimi (secondo i quali un individuo dovrebbe assumere in media 2100 kcal al giorno). Acqua Analizzando la macroarea dell’acqua, abbiamo visto come, similmente all’energia, anch’essa è caratterizzata da un elevato consumo ed, in particolare, da un elevato spreco di acqua potabile per usi non necessari, quali ad esempio lo sciacquone dei wc, le lavatrici ed il lavaggio degli ambienti. Il problema all’origine è la disponibilità di un’unica fonte di approvigionamento d’acqua potabile: per semplificazione infatti si predilige il ripristino della rete presente sul territorio che fornisce unicamente acqua potabile. E’ necessario quindi intervenire in tal senso, fornendo fonti di approvigionamento di acque potabili e non, da utilizzare per diversi scopi, in base alle necessità: sfruttare ad esempio l’acqua meteorica raccolta in loco, o riutilizzare le acque in uscita (raccolte separatamente in base alle qualità) per usi in cui non è richiesta l’acqua potabile. Il riutilizzo delle acque in uscita va agevolato da una scelta corretta dei saponi, non contenenti tensioattivi nocivi e di difficile smaltimento. Inoltre è opportuno regolamentare il consumo stesso dell’acqua ai fini di ridurre notevolmente gli sprechi e rendere gli ospiti del campo maggiormente consapevoli del consumo. Infine vi è la necessità di utilizzare un sistema alternativo per la produzione di acqua calda: i boiler attualmente utilizzati non erano sufficienti a soddisfare la richiesta. TAVOLA V.39-40-41 pag 181-182-183

Capitolo5

5.4 Confronto tra standard minimi e Centi Colella I campi di accoglienza rispettano, più o meno rigidamente, le normative di riferimento ed i regolamenti stabiliti dal ministero. In situazioni di emergenza, eventuali incongruenze con tali normative sono giustificate da posizioni particolari (come nel caso di ...), o anche da spaccati di società altrettanto complessi (unione di persone di estrazione sociale molto differente). La figura del capocampo svolge un ruolo fondamentale nell’adattare i regolamenti alla situazione specifica al fine di sfruttarli come base per lo sviluppo del campo, anziché come limite. All’interno del campo di Centi Colella ha soggornato una popolazione per lo più rurale; le strutture sono state, quindi, gestite in modo da soddisfare le necessità in modo puntuale, con mezzi e strumenti facenti parte delle dotazioni standard. Confrontando ciò che è stato messo a disposizione della popolazione all’interno della struttura di emergenza con gli standard minimi citati nel capitolo 2 (cfr. paragrafo 2.3 Come rispondono gli enti all’emergenza: premessa), vediamo che il livello del servizio fornito è stato molto superiore di quanto previsto dagli standard minimi2, per tutto ciò che concerne l’igiene (oltre al lavatoio previsto dallo standard, era presente una tendalavanderia, dotata di lavatrici), la ristorazione con il servizio mensa, assistenza sanitaria e sociale, lo staccaggio e la conservazione dei beni in entrata. Alcuni differenze si notano, invece, per ciò che concerne lo svago ed il riposo: nel campo di Centi Colella sono state proposte numerosissime attività per bambini ed anziani, giochi ed eventi, a discapito, però, di semplici luoghi di aggregazione, in cui fosse possibile socializzare e interagire liberamente. A differenza di quanto consigliato dagli standard, gli spazi liberi a disposizione dei soggetti (come i citati punti di incontro per i gruppi vulnerabili, quali anziani, bambini, donne e ragazzi), si sono ridotti alla tenda mensa, all’interno della quale non era possibile permanere nelle ore di pulizia, alla ludoteca, gestita dai volontari, ed al bar, posto all’esterno del campo. Le attività di svago risultavano quindi gestite da terzi, e disincentivavano, quindi, l’iniziativa personale. Questa modalità di gestione del soccorso, finalizzata al servizio totale, in determinate condizioni rende più difficile la convivenza perchè tende ad adattarsi alla condizione più che a 2 Standard minimi: come da intento del Progetto Sfera, e come dice la parola stessa, gli standard minimi si propongono di definire il minimo che si deve garantire ad una “popolazione generica” in emergenza, per assicurarne la dignità ed il sostentamento. Tali standard risultano di livello spesso troppo basso per la popolazione italiana, abituata ad uno stile di vita molto diverso da quello di altre popolazioni (si pensi all’emergenza Haiti, ed alla tipologia di soccorso offerto). Il soccorso deve essere adeguato al soggetto da soccorrere.


Analisi del caso studio di Centi Colella

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stimolare l’adattamento dei singoli. In questo sistema di servizio totale, inoltre, il logoramento psicologico del volontario (cfr. paragrafo 4.1 Il soccorritore) viene accelerato, rischiando di compromettere il servizio di base ed il benessere del soggetto all’interno del campo. TAVOLA II.6 pag 61

5.5 Conclusioni L’analisi della situazione attuale del campo, ovvero la tipologia dei mezzi, la gestione, le risorse impiegate, ha portato all’ideantificazione delle problematiche principali che si sono sviluppatte nell’arco dei 210 giorni di vita del campo. Nella realtà specifica e speciale del campo di emergenza, l’utilizzo di sistemi per la produzione di energia e per l’approvvigionamento d’acqua, propri di una città fissa e stabile, si contrappongono con elementi tipici, invece, di situazioni provvisorie, caratterizzate da brevi durate. La nutura del campo richiede risposte puntuali, adatte non solo ad un’emergenza generica, ma anche al territorio in cui si sviluppa. Non si possono perciò trascurare le sue caratteristiche, in quanto punto di partenza per la ricostruzione. L’uso di mezzi e risorse inadatte rischia di compromettere ulteriormente un territorio già in difficoltà: è essenziale, quindi, ricorrere a sistemi che favoriscano l’impiego di risorse locali e che evitino gli sprechi. L’emergenza, se si sviluppa in situazione critiche già in partenza, può trasformarsi in un’opportunità per investire in soluzioni durature, che facilitino il recupero dopo la catastrofe o che possano diventare fonte di risparmio, o guadagno, in un futuro prossimo. Come già detto nel primo capitolo, l’Italia è caratterizzata da aree geografiche soggette ad ogni tipo di calamità, per la sua conformazione In quest’ottica, in un momento in cui l’Italia (e molte altre parti del mondo) sta mobilitando i comuni, le regioni, e così via in ordine di competenza, per ampliare i piani di risposta all’emergenza, è necessario introdurre il tema della sostenibilità nell’emergenza, come elemento che faciliti la corretta gestione e l’utilizzo intelligente delle risorse all’interno dei campi.


141

Capitolo5

Allegati Attività e ambienti nel campo Input e output Identificazione delle relazioni tra le attività e dei problemi Analisi degli output Analisi dei problemi legati ai rifiuti Analisi dei problemi legati all’acqua in input Analisi dei problemi legati all’acqua in output Analisi dei problemi legati all’energia Analisi dei problemi legati dei beni in entrata Analisi dei problemi legati ai tensioattivi Analisi dei problemi legati ai servizi e ai beni comuni Problemi: visione sintetica Problemi: relazioni ed effetti Parametri per la valutazione dei problemi Energia: valutazione dei parametri e identificazione delle necessità Acqua: valutazione dei parametri e identificazione delle necessità Beni e rifiuti: valutazione dei parametri e identificazione delle necessità


Analisi del caso studio di Centi Colella

TAV V.1 ATTIVITA’ DEL CAMPO

142


143

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

144

TAV V2 INPUT|OUTPUT RISTORAZIONE: CUCINA E MENSA


145

TAV V.3 PROBLEMI RISTORAZIONE: CUCINA E MENSA

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

TAV V.4 INPUT|OUTPUT ASSISTENZA

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147

TAV V.5 PROBLEMI ASSISTENZA

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

148

TAV V.6 INPUT|OUTPUT LUOGHI DI CULTO


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TAV V.7 PROBLEMI LUOGHI DI CULTO

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

150

TAV V.8 INPUT|OUTPUT DEPOSITO NON-FOOD


151

TAV V.9 PROBLEMI DEPOSITO NON-FOOD

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

152

TAV V.10 INPUT|OUTPUT DEPOSITO FOOD


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TAV V.11 PROBLEMI DEPOSITO FOOD

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

154

TAV V.12 INPUT|OUTPUT DEPOSITO FOOD T째 AMBIENTE


155

TAV V.13 PROBLEMI DEPOSITO FOOD T째 AMBIENTE

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

TAV V.14 INPUT|OUTPUT GESTIONE

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TAV V.15 PROBLEMI GESTIONE

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

158

TAV V.16 INPUT|OUTPUT AREA NOTTE E ISTRUZIONE


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TAV V.17 PROBLEMI AREA NOTTE E ISTRUZIONE

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

160

TAV V.18 INPUT|OPUT SERVIZI IGIENICI E PULIZIA - da aprile a luglio


161

Capitolo5

TAV V.19 PROBLEMI SERVIZI IGIENICI E PULIZIA - da aprile a luglio


Analisi del caso studio di Centi Colella

162

TAV V.20 INPUT\OUTPUT SERVIZI IGIENICI E PULIZIA - da luglio a novembre


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Capitolo5

TAV V.21 PROBLEMI SERVIZI IGIENICI E PULIZIA - da luglio a novembre


Analisi del caso studio di Centi Colella

164

TAV V.22 INPUT|OUTPUT LUOGHI PER LO SVAGO


165

TAV V.23 PROBLEMI LUOGHI PER LO SVAGO

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

TAV V.24 RILIEVO OLISTICO TOTALE

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167

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

168

TAV V.25 PROBLEMI DEL RILIEVO OLISTICO TOTALE


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Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

TAV V.27 ANALISI DEGLI OUTPUT

170


171

TAV V.28 ANALISI DEGLI OUTPUT

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

TAV V.29 ANALISI DEGLI OUTPUT

172


173

TAV V.30 ANALISI DEI PROBLEMI: I RIFIUTI

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

174

TAV V.31 ANALISI DEI PROBLEMI: ACQUA IN INPUT


175

TAV V.32 ANALISI DEI PROBLEMI: ACQUA IN OUTPUT

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

176

TAV V.33 ANALISI DEI PROBLEMI: BENI IN ENTRATA


177

TAV V.34 ANALISI DEI PROBLEMI: TENSIOATTIVI

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

178

TAV V.35 ANALISI DEI PROBLEMI: ENERGIA


179

TAV V.36 ANALISI DEI PROBLEMI: AREE COMUNI

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

180

TAV V.37 ANALISI DEI PROBLEMI: VISIONE SINTETICA


181

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

182

TAV V.38 PROBLEMI: RELAZIONI ED EFFETTI GRANDI QUANTITA’ DI INDIFFERENZIATO

accesso impegnato dai mezzi

RIFIUTI ORGANICI GETTATI ERRONEAMENTE NELL’INDIFFERENZIATO

no recupero materiali potenzialmente riciclabili,emissioni

GRANDI QUANTITA’ DI RIFIUTI ORGANICI

disturbo per i soggetti

CONTINUI RITIRI PER RACCOLTA RIFIUTI

costi di smaltimento

GRANDI QUANTITA’ DI CARTA NON RECUPERABILE

accesso impegnato dai mezzi

CONTINUI RITIRI PER RACCOLTA RIFIUTI

no recupero materiali potenzialmente riciclabili,emissioni

RACCOLTA UNICA DELLE DIVERSE QUALITA’ DI CARTA GRANDE CONSUMO DI PRODOTTI PER L’IGIENE E PER LA PULIZIA CONTENENTI TENSIOATTIVI

disturbo per i soggetti

costi di smaltimento

CONTINUI RITIRI PER RACCOLTA RIFIUTI

disturbo per i soggetti costi di smaltimento

COMPLESSO PROCESSO DI SMALTIMENTO E IMPOSSIBILITA’ DI RIUSO DELLE ACQUE

TA L

difficoltà nel riutilizzo delle acque grigie

USO A LUNGO TERMINE DEL GENERATORE (carburante fossile, emissioni, rumore) GRANDE CONSUMO ENERGETICO

IC I

M

immissione di tensioattivi nocivi nella rete

EN BI

SCARICO UNICO IN FOGNA

EFFETTI AM

GRANDE CONSUMO DI PRODOTTI PER L’IGIENE E PER LA PULIZIA CONTENENTI TENSIOATTIVI

gestione complessa delle acque grigie non separate dalle nere

SO

I

RACCOLTA UNICA DELLE DIVERSE QUALITA’ DI PLASTICHE IMPOSSIBILITA’ DI RECUPERO DI PLASTICHE RICICLABILI PERCHE’ MISCHIATE CON ALTRE

MPO CA L DE

AL CI

no recupero materiali potenzialmente riciclabili,emissioni

LOG I ST IC A

accesso impegnato dai mezzi

GRANDE QUANTITA’ DI PLASTICA

I

EC

rottura dell’impianto sottodimensionato emissioni del gruppo elettrogeno rumore del generatore e interruzioni di energia spesa elevata del combustibile fossile

GRANDE QUANTITA’ DI PLASTICA RACCOLTA UNICA DELLE DIVERSE QUALITA’ DI CARTA BENI IN ENTRATA NON ADATTI ALL’EMERGENZA PROLUNGATA (monouso)

difficoltà di stoccaggio, grandi quantità di packaging Stress causato da utilizzo per un lungo periodo di prodotti adatti al breve termine spreco di prodotti e alimenti

GRANDE CONSUMO DI ACQUA POTABILE RETE UNICA DI DISTRIBUZIONE DELL’ACQUA

necessario processo continuo di potabilizzazione spreco di risorse

O ON


183

TAV V.39 ENERGIA: PARAMETRI E NECESSITA’

Capitolo5


Analisi del caso studio di Centi Colella

184

TAV V.40 BENI E RIFIUTI: PARAMETRI E NECESSITA’


185

TAV V.41 ACQUA: PARAMETRI E NECESSITA’

Capitolo5



Capitolo6 Proposta progettuale sistemica



Introduzione L’analisi svolta sul campo di accoglienza di Centi Colella ha permesso di delineare le problematiche principali in relazione all’approvvigionamento ed alla gestione delle risorse. In questa sezione abbiamo operato una valutazione dei provvedimenti attuabili, relativi alle criticità evidenziate. Siamo giunte alla definizione delle linee guida per la scelta e la distribuzione di beni all’interno del campo, per un’approvvigionamento energetico che prediliga fonti a basso impatto e che favorisca il risparmio di energia, ed, infine, abbiamo affrontato la tematica dell’acqua in ottica di riduzione dei consumi e differenziazione della rete in input. Su quest’ultimo tema, di particolare interesse per la natura dei problemi e le possibilità di intervento, è stato fatto un focus grazie al quale sono stati elaborati due livelli d’azione. Il progetto è stato articolato in un livello primario, caratterizzato da soluzioni facilmente trasportabili e dalla velocità di installazione: questo primo step costituisce una traccia precisa, che si basa su componenti predisposti all’utilizzo, permette un intervento sistemico già a pochi giorni dall’emergenza ed abbatte l’impatto di consumi ed output. Il livello secondario, invece, intende proporre soluzioni a lungo termine, sfruttando la necessità di intervento per l’applicazione di elementi destinati a permanere sul territorio, valorizzandolo.


Proposta progettuale sistemica

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6.1 Soluzioni possibili In questo paragrafo vengono analizzate le possibili soluzioni ai problemi identificati nel capitolo 5. La ricerca è stata svolta per macro-tematiche, raggruppando le criticità in tre ambiti principali: energia, beni e rifiuti ed acqua. Per ogni tema sono state analizzate le soluzioni sia a monte, per eludere il problema, sia a valle, nel caso in cui non fosse possibile eliminare la problematica a priori.

Ricerca di soluzioni in base a contesto, tempo e luogo Le molteplici possibilità, riportate di seguito, sono alternative le une alle altre, e sono caratterizzate da elementi positivi o negativi: scopo della valutazione, al fine di scegliere la possibilità migliore, è stato quello di capire quali di queste si relazionassero al meglio con i nostri parametri specifici. Ciò che emerge è che non tutte le opzioni si confanno alle necessità del luogo in cui è sorto il campo: i limiti di spazio, le risorse reperibili in loco e le caratteristiche climatiche, costituiscono i margini all’interno dei quali attenersi per la scelta. Il contesto di emergenza ed i limiti di tempo spostano l’attenzione su soluzioni che si adattino alla situazione, che permettano upgrade o downgrade agevoli e che siano trasportabili facilmente. Il fattore temporale influisce notevolmente sulla scelta, favorendo tecnologie dal funzionamento immediato e prolungabile a seconda della necessità. Le opzioni sono state suddivise, quindi, in base alla durata del campo: alcune risultano attuabili nell’immediato, poiché prevedono modifiche a priori di strutture esistenti (risultando indipendenti, quindi, dalla durata del campo), oppure perché consistono nell’installazione di supporti da nuovo. In altri casi, le soluzioni proposte hanno un valore positivo nel caso in cui vengono utilizzate per il breve termine, e siano destinate a rimanere attive solo per parte della durata totale del campo. Infine abbiamo identificato alcune opzioni per il medio e lungo termine: queste ultime, richiedono interventi a livello strutturale di dispositivi esistenti, oppure possono necessitare di investimenti più consistenti a livello economico; per questa ragione sono state classificate “a lungo termine” perché in grado di offrire benefici se utilizzate per periodi più lunghi. Di seguito vengono analizzate le tre macrotematiche.

Energia Analizzando le problematiche dell’energia del caso studio di Centi Colella, sono state evidenziate alcune necessità, finalizzate ad evitare i risvolti negativi causati dagli strumenti utilizzati. Riduzione dei consumi Visti i grandi consumi, per regolamentare la distribuzione di energia e per rendere percepibile il consumo, si è ipotizzato di ricorrere a dispositivi per la gestione dell’accensione e lo spegnimento automatici dell’impianto di riscaldamento e raffrescamento. Per ovviare al problema della dispersione termica e per preservare il microclima interno delle tende, si presenta la necessità di migliorare la coibentazione delle strutture (ricorrendo, ad esempio, ad una copertura per la tenda stessa). Infine, l’impianto di condizionamento attuale, costituito da un condizionatore tradizionale, causa di assorbimenti energetici molto elevati, è fonte di un vero e proprio spreco di risorse: l’utilizzo di un condizionatore a pompa di calore potrebbe svolgere le funzioni di riscaldamento che quelle di condizionamento, economizzando così su consumi e strumenti (diminuendo, inoltre, i tempi di montaggio). Queste sono solo alcune delle opzioni possibili (compatibili con i parametri valutativi) per il contenimento dei consumi, e prevedono un investimento di partenza che permette di innovare strutture esistenti con tecnologie nuove.


191

Capitolo6

TAV VI.1 INTERVENTI POSSIBILI ENERGIA: RIDUZIONE DEI CONSUMI


Proposta progettuale sistemica

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Energia Per rendere disponibile nell’immediato l’energia elettrica, in situazioni di emergenza si ricorre all’utilizzo di gruppi elettrogeni. Come già evidenziato nel capitolo precedente, tale strumento si dimostra non adatto allo svolgimento della sua funzione nel momento in cui venga utilizzato per periodo lunghi. Abbiamo quindi valutato alcune possibilità a breve e lungo termine, per ovviare alle problematiche sopra descritte. Produzione di energia Accanto, sono state elencati alcune alternative al gruppo elettrogeno a gasolio, ed all’utilizzo successivo della rete elettrica. L’uso di un generatore a metano o a idrogeno può essere utilizzato immediatamente al manifestarsi dell’emergenza e consente di contenere le emissioni nocive in atmosfera; tuttavia, è da sottolineare che questi generatori comportano maggiori difficoltà di gestione di quello a gasolio, a causa dello stoccaggio della materia prima. Per il lungo termine, invece, sono state elencate diverse soluzioni, che prevedono l’utilizzo di fonti rinnovabili, dall’etanolo cellulosico utilizzabile come bio carburante, ai pannelli fotovoltaici, fino ad un sistema di biodigestione per la produzione di gas naturale e, contemporaneamente, lo smaltimento dei reflui del campo. Queste soluzioni richiedono un consistente investimento iniziale ma offrono autonomia energetica all’intero campo, riducendo l’impatto dei consumi.


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TAV VI.2 INTERVENTI POSSIBILI ENERGIA: LA PRODUZIONE

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

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Beni e rifiuti Le criticitĂ legate ai rifiuti sono, spesso, da attribuirsi alla scelta errata dei beni introdotti del campo: come sottolineato nel capitolo 5, si ricorre spesso all’utilizzo di prodotti pensati per singoli nuclei familiari, e tale scelta sfocia in un quantitativo di rifiuti sproporzionato rispetto al numero di persone nel campo. In questa sezione vengono perciò analizzate delle soluzioni sia per i beni in entrata nel campo, che per gli scarti in uscita, tenendo conto della stretta relazione che intercorre tra i due. Scelta e distribuzione dei beni nel campo Nello studio riportato nella pagina accanto, vengono elencate alcune delle possibilitĂ che permettono di ovviare ai problemi di distribuzione dei beni e di fruizione diretta. Vengono presentate delle opzioni che favoriscono il riutilizzo o il recupero dei materiali, e che agevolano la raccolta differenziata.


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TAV VI.3 INTERVENTI POSSIBILI BENI : LA DISTRIBUZIONE

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

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Beni e rifiuti Raccolta e smaltimento dei rifiuti La selezione operata per i prodotti in input, o meglio, la selezione “non operata” comporta problemi nella gestione dei rifiuti prodotti. I passaggi dei mezzi per la raccolta degli scarti richiedono, innanzitutto, il ripristino del normale circuito di raccolta rifiuti, che può risultare difficile soprattutto per i primi giorni dall’emergenza. La scelta a monte di prodotti con packaging e materiali riutilizzabili o riciclabili, invece, ne facilita lo smaltimento sia per il fruitore che per l’operatore: l’uso di prodotti monomaterici semplifica la differenziazione e, evitando gli errori (spesso causati dall’impossibilità di riconoscere un materiale), a catena rende più semplice il riciclo del materiale stesso. Tutto ciò che entra nel campo ha delle conseguenze in fase di uscita: per questa ragione è necessario agire sia su quanto viene introdotto che sui sistemi per la raccolta.


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TAV VI.4 INTERVENTI POSSIBILIRIFIUTI: LA RACCOLTA

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

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Acqua La tematica dell’acqua è forse la più complessa: come già detto nel capitolo precedente, sono molti i possibili interventi attuabili in tale ambito. Nella ricerca delle possibili soluzioni, è stato per noi necessario suddividere ulteriormente il tema dell’acqua in micro interventi che rispondessero alle necessità specifiche: il risparmio idrico a monte la depurazione delle acque in uscita e il loro riutilizzo la potabilizzazione delle acque depurate il riscaldamento dell’acqua la scelta di prodotti non inquinanti le acque Il risparmio dell’acqua Come si può notare dalla tavola a fianco, le soluzioni analizzate sono di due tipi: adatte ad un campo di breve durata o ad un campo di mediolunga durata. Nel primo caso, si tratta di interventi sulle strutture utilizzate attualmente dai soccorsi con modifiche di poco impatto: è possibile ad esempio regolamentare i consumi di acqua con docce a tempo o riduttori di flusso, e limitarne la disponibilità con gettoni o fasce orarie. Nel secondo caso si tratta invece di soluzioni più complesse che permettono, non solo la diminuzione dei consum, come nel primo caso, ma sostituiscono l’utilizzo dell’acqua proveniente dalla rete idrica, il cui allacciamento è causa spesso di molti disguidi, con acqua piovana o di recupero. Tali soluzioni permettono inoltre di avere diverse fonti di approvigionamento di acqua con qualità diverse (non solo potabile) da utilizzare in base alle necessità.


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TAV VI.5 INTERVENTI POSSIBILI ACQUA: IL RISPARMIO

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

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Acqua La depurazione dell’acqua Se ci focaliziamo invece sulle acque in uscita ( acque grigie e acque nere) e sulla possibilità di riutilizzarle come imput, è necessario ipotizzare dei trattamenti depurativi, che consentano il riutilizzo delle stesse ove non è necessario l’uso di acqua potabile (lavaggio dei pavimenti, lavatrici, sciacquoni ad esempio). Le acque nere possono essere depurate attraverso un impianto a fanghi attivi o con un depuratore anaerobico UASB, mentre le acque grigie con depuratori a carbone attivo o fitodepurazione.


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TAV VI.6 INTERVENTI POSSIBILI ACQUA: LA DEPURAZIONE

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

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Acqua Potabilizzazione dell’acqua Data la grande necessità di acqua potabile per usi quali l’igiene personale, la cottura dei cibi è opportuno pensare per campi a lungo termine di potabilizzare parte delle acque depurate. I metodi di potabilizzazione possono essere diversi: l’ozonizzazione, la clorazione e la potabilizzazione a raggi UV.


203

Capitolo6

TAV VI.7 INTERVENTI POSSIBILI ACQUA: LA POTABILIZZAZIONE


Proposta progettuale sistemica

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Acqua Prodotti per l’igiene non inquinanti Per facilitare la depurazione delle acque è necessario introdurre nel ciclo delle stesse sostanze poco inquinanti, naturali e facilmente biodegradabili. Rispondono a queste esigenze tutti quei prodotti per la pulizia e per l’igiene personale costituiti da tensioattivi naturali, facilmente smaltibili. E’ necessario inoltre regolamentare l’utilizzo degli stessi, rendendo gli ospiti del campo maggiormente consapevoli dell’uso che ne fanno.


205

Capitolo6

TAV VI.8 INTERVENTI POSSIBILI ACQUA: PRODOTTI PER L’IGIENE


Proposta progettuale sistemica

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Acqua Il riscaldamento dell’acqua A fronte del problema riscontrato riguardante l’inadeguatezza del sistema di riscaldamento dell’acqua, si è pensato all’utilizzo di collettori solari.


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TAV VI.9 INTERVENTI POSSIBILI ACQUA: IL RISCALDAMENTO

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

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6.2 Focus: acqua nel campo Analizzate le tre macrotematiche energia, beni e acqua, abbiamo deciso di focalizzare la nostra attenzione su quella dell’acqua. Le ragioni che ci hanno spinte a scegliere tale tema sono varie: è maggiormente interessante e ricca di spunti progettuali; alcune delle soluzioni ipotizzate sono semplici e realizzabili con interventi poco costosi e poco impattanti per le strutture già attualmente utilizzate dai soccorsi; il tema poi è strettamente legato con le altre due macrotematiche in ambiti quali la produzione di acqua calda e quindi il consumo di energia, la distribuzione di acqua da bere e di saponi non nocivi e quindi la gestione dei beni. Scelto il tema, abbiamo poi analizzato nello specifico tutte le possibili soluzioni alla problematiche connesse al tema stesso, agendo quindi sia sulle acque in input nel campo, sia sulle acque in output, permettendone il riutilizzo e quindi la trasformazione in input nel sistema campo stesso.

Possibili soluzioni acqua in input Le soluzioni elencate appartengono allo spettro del possibile; non tutte verranno applicate in fase progettuale, ma verranno scelte le più adatte. A fronte della necessità di ridurre gli sprechi di acqua potabile, vi sono diversi interventi attuabili: • regolazione dei consumi con limitatori di tempo di erogazione, o con erogatori a basso flusso, o stabilendo fasce orarie; • consapevolizzazione degli ospiti dei consumi, attraverso l’uso di distributori d’acqua a gettoni, o contatoria vista; • riduzione della quantità d’acqua usata negli sciacquoni con wc a secco, sacchetti salva acqua, doppio sciacquone. Riguardo alla necessità di avere acque di diverse qualità in ingresso (potabile e non), le nostre soluzioni possibili prevedono: • la raccolta di acqua meteorica (da strutture temporanee del campo, da strutture fisse, da ausilii per la raccolta) • la raccolta di acqua fluviale (a 150 m dal campo di Centicolella è presente il fiume Aterno). Infine per quanto concerne la fornitura di acqua calda, si è pensato all’utilizzo di collettori solari.


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TAV VI.10 ACQUA IN INPUT

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

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REGOLARIZZARE CONSAPERVOLIZZARE

TAV VI.11 REGOLARIZZAZIONE CONSUMI - CONSAPEVOLIZZARE I SOGGETTI

PRO • risparmio idrico acqua potabile • risparmio economico • risparmio di tempo utilizzato dagli ospiti per la doccia (doccia a catenella) • non percepito dai fruitori (erogatori a basso flusso) • sensibilizzazione dei fruitori (contatori a vista) CONTRO • da adattare alle strutture esistenti • possibilita’ di percezione negativa da parte dei fruitori (fasce orarie, gettoni) • risparmio non del tutto assicurato (fasce orarie) • nuova gestualità dei fruitori (docce a catenella, gettoni)

Per regolarizzare i consumi di acqua potabile, è possibilie applicare dei limitatori di tempo di erogazione, facendo si che l’acqua venga effettivamente erogata solo quando necessario. Si tratterebbe però di una gestualità nuova che potrebbe provocare negli ospiti un senso di precarietà. Un’altra soluzione è quella degli erogatori a basso flusso (portata dell’acqua a 9 litri al minuto) che riducono i consumi del 50%. A differenza della soluzione precedente, questi non vengono percepiti dai soggetti. Le soluzioni delle fasce orarie e dei gettoni da un lato limiterebbero i consumi ma dall’altro non garantirebbero un risparmio e potrebbero causare una percezione di limitazione nei fruitori del servizio. Infine i contatori a vista hanno lo scopo di sensibilizzare gli ospiti.


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Capitolo6

PRO • non inquina il suola perchè non necessita di scarichi idrici né di fosse biologiche • privo di costi di sprugo perchè funziona senza alcun serbatoio settico • consente un risparmio di acqua di 50 l/gg ca. CONTRO • costo iniziale di investimento • nuova gestualità per il soggetto che lo utilizza • necessario smaltimento periodico

Il wc a secco consente di eliminare l’intero consumo di acqua solitamente utilizzata per lo sciacquone; considerando il numero di ospiti del campo, questa soluzione consentirebbe di risparmiare 25 m3 d’acqua potabile al giorno, ovvero 3750 m3 se si considerano i 150 giorni in cui sono stati utilizzati i moduli bagno. Questa opzione comporta, però, una gestualità nuova per i fruitori del servizio: prima dell’uso è necessario versare nel sacchetto, che si posiziona automaticamente chiudendo l’asse del wc, una polvere contente sostanze naturali gelificanti e deve essere asportato ad ogni utilizzo. Un altro elemento, che può essere discriminante in fase decisionale, è il costo iniziale di investimento.

RIDURRE I CONSUMI

TAV VI.12 WC A SECCO


Proposta progettuale sistemica

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RIDURRE I CONSUMI

TAV VI.13 SACCHETTO SALVA ACQUA E DOPPIO PULSANTE

PRO • Possibilita’ di inserimento nelle vaschette dei wc presenti • Prezzo del sacchetto 1 euro • Facilmente posizionabile • Adattabile alle strutture esistenti • Consente un grande risparmio di risorse CONTRO • Modifica del pulsante nelle vaschette dei wc presenti • Non è garantito l’uso corretto del dispositivo a doppio pulsante da parte dei soggetti

La problematica dell’acqua potabile, utilizzata per scopi che non richiedono una qualità d’acqua elevata, è stata particolarmente sentita nel campo, visto il numero di ospiti all’interno. Le due possibilità presentate consentono un grande risparmio di acqua; il sacchetto salva-acqua, è costituito da un semplice sacchetto in plastica della capienza di un litro, che non permette alla vaschetta di riempirsi completamente, così da rendere ogni risciacquo meno abbondante. La seconda possibilità, invece, prevede la sostituzione del pulsante classico, con uno a scarico differenziato.


213

Capitolo6

PRO • risparmio idrico • risparmio economico • assenza di depositi calcarei nelle condutture e nelle resistenze elettriche delle macchine di lavaggio e conseguente risparmio sui consumi elettrici • risparmi di detersivi per la maggiore durezza dell’acqua CONTRO • installazione del sistema di raccolta e di conservazione delle acque (preferibile interrare il serbatoio) • installazione sistemi di filtraggio e trattamenti di affinamento (in base agli utilizzi)

Per soddisfare la richiesta d’acqua per usi dove non è necessaria potabile, è possibile, vista la piovosità dell’Abruzzo, raccogliere l’acqua meteorica. Le strutture quali moduli bagno e docce, si prestano all’installazione dei canali di raccolta, così come gli edifici già presenti in loco. Inoltre potrebbero essere utilizzati dei collettori d’acqua mobili, allocati ogni 4 tende, per un utilizzo immediato dell’acqua raccolta. E’ da sottolineare però che l’acqua meteorica necessita di trattamenti di affinamento prima di poter essere utilizzata per usi quali: lavatrici, lavaggi pavimenti, sciacquoni e inoltre è necessario conservarla in serbatoi possibilmente sotto terra.

USO DI RISORSE NATURALI

TAV VI.14 RACCOLTA DI ACQUA METEORICA


Proposta progettuale sistemica

214

USO DI RISORSE NATURALI

TAV VI.15 RACCOLTA DI ACQUA FLUVIALE

PRO • risparmio idrico • risparmio economico • risorsa sempre disponibile • possibilita’ di potabilizzazione CONTRO • sistema di raccolta con autobotte • installazione sistemi di filtraggio e trattamenti di affinamento (in base agli utilizzi)

A 150 m dal campo di Centi Colella si trova il fiume Aterno. Tale risorsa può essere sfruttata per sopperire all’esigenza idrica: grazie ad un’autobotte (già disponibile nei mezzi dei soccorsi), l’acqua del fiume può essere raccolta e utilizzata nel campo per usi dove non è necessaria l’acqua potabile, oppure potabilizzata per mezzo di un potabilizzatore. Come per l’acqua meteorica, sono però necessari un sistema di filtraggio e uno di trattamento di affinamento.


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Capitolo6

PRO • semplice installazione e costo di investimento moderato • uso di una fonte energetica rinnovabile • possibilità di riutilizzo in emergenze successive • evita emissioni di CO2, ossidi di zolfo, azoto, e di pm10 • alto rendimento termico • CONTRO • costo iniziale di investimento • prossimità dei collettori alle utenze (per evitare lunghe tubature all’interno del campo)

La fornitura di acqua calda può avvenire grazie all’utilizzo di collettori solari: dispositivi atti alla conversione della radiazione solare in energia termica. L’irraggiamento in Abruzzo nei mesi di interesse è sufficiente per la produzione di acqua calda. Un metro quadrato di pannello fornisce 250 l/gg d’acqua calda. In base alla richiesta nel campo, si esige di 40 m quadrati di collettori. L’investimento iniziale è abbastanza elevato ma vi è la possibilità di riutilizzare i pannelli in altre emergenze.

USO DI RISORSE NATURALI

TAV VI.16 RISCALDAMENTO DELL’ACQUA SANITARIA


Proposta progettuale sistemica

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Possibili soluzioni acqua in output Seguono ora le possibili soluzioni applicabili alle acque in uscita dal campo. In output abbiamo acque grigie e acque nere. In primo luogo è fondamentale per poterle riutilizzare, separarle, e quinidi intervenire modificando il sistema di tubature, presente nei moduli bagno. Una volta separate, è possibile depurare sia le acque nere che le acque grigie, per poterle poi riutilizzare per usi in cui non è necessaria acqua potabile, o potabilizzarle. A facilitare tali processi, potrebbero essere scelti prodotti per l’igiene a base di tensioattivi naturali. I possibili metodi di depurazione delle acque nere sono: • Depurazione a fanghi attivi • Digestione anaerobica UASB La depurazione delle acque grigie può avvenire con: • Sistema di depurazione SBR • Fitodepurazione • Depurazione a carbone attivo Le acque depurate potabilizzate: • Clorazione • Ozonizzazione • Raggi UV solari • Raggi UV artificiali

possono

poi

essere


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TAV VI.17 ACQUA IN OUTPUT

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

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DIFFERENZIAZIONE DELLE ACQUE

TAV VI.18 TUBATURE SEPARATE

PRO • possibilità di adattare i moduli esistenti con • componenti standard e facilmente reperibili • possibilità di raccolta (e riuso) delle acque grigie • consente il risparmio di acqua potabile • predisposizione dei moduli prima della emergenza • connessioni con tubature predisposte durante il montaggio del campo CONTRO • necessità di adattare i moduli esistenti

La separazione delle acque è la condicio sine qua non senza la quale non sarebbe possibile il recupero ed il riuso delle acque grigie in uscita. Separando le tubature di scarico di acque grigie e acque nere, è possibile convogliare le prime al trattamento con sistemi di depurazione. Questo adattamento della struttura esistente non comporta costi elevati di manodopera in quanto il moduli bagno prefabbricati hanno un facile accesso alle tubature, ed il costo delle materie prime è contenuto.


219

Capitolo6

PRO • tensioattivi ottenuti da grassi e olii non inquinanti • degradazione completa veloce • eliminabili in impianti di depurazione biologica • limitazione sugli sprechi CONTRO • necessità di ricezione prodotti specifici da parte dei donatori

Per facilitare lo smaltimento delle acque grigie e favorirne la depurazione è oppurtuno introdurre nel ciclo dell’acqua prodotti non nocivi per l’ambiente e facilmente degradabili. Rispondono a tale richiesta i saponi con tensioattivi naturali biodegradabili. Sarebbe inoltre opportuno controllare la distribuzione dei prodotti, per evitare gli sprechi. L’aspetto più complesso infine da gestire è la ricezione dei prodotti, spesso frutto di donazioni da parte di aziende.

PRODOTTI NATURALI

TAV VI.19 TENSIOATTIVI NATURALI


Proposta progettuale sistemica

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TAV VI.20 ACQUA: AGENTI CONTAMINANTI

Prima di analizzare le possibilità relative alla depurazione ed alla potabilizzazione dell’acqua, è necessario fare una premessa sull’acqua da trattare. Vi sono diverse tipologie di agenti contaminanti che possono essere presenti, e si suddividono in agenti microbiologici (microrganismi organici), agenti chimici organici (spesso cancerogeni, derivanti dall’inquinamento del sottosuolo), agenti chimici inorganici (come metalli pesanti o sostanze

presenti in scarti organici). Ciascuno di questi elementi viene eliminato con trattamenti specifici, ad esempio ozono, raggi uv o carboni attivi: in ogni caso non è sufficiente un unico trattamento ad eliminare ogni contaminante, ma si ricorre ad almeno due procedimenti. Un elemento comune a tutti i processi di depurazione o potabilizzazione, è la prima fase di sedimentazione, coagulazione e filtrazione.


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Capitolo6

TAV VI.21 ACQUA: PRETRATTAMENTI DEPURATIVI

PRO • eliminano dall’acqua le particelle di dimensioni maggiori • offrono in output acqua idonea per la depurazione CONTRO • necessità di strutture apposite • richiede manutenzione

I pretrattamenti elencati sono comuni a tutti i processi di depurazione, sia che provengano da precipitazioni, sia che si tratti di acque grigie. La sedimentazione trattiene le particelle più grandi; con l’aggiunta di cloruro ferrico, solfato di alluminio e solfato ferrico, vengono assorbite le impurità. La filtrazione con ghiaia e sabbia, permette di trattenere anche le particelle più piccole. A questo punto l’acqua ottenuta può essere depurata.


Proposta progettuale sistemica

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DEPURAZIONE ACQUE NERE

TAV VI.22 IMPIANTO DI DEPURAZIONE A FANGHI ATTIVI

PRO • utilizzo di risorsa che andrebbe sprecata • risparmio economico • processi naturali possono compiersi in un periodo di tempo breve, poichè accellerati dalla flora microbica CONTRO • installazione del sistema di raccolta e di depurazione delle acque • necessità di spazio • necessità di manutenzione

I fanghi attivi sono una sospensione in acqua di biomassa attiva (batteri saprofiti, protozoi, amebe, rotiferi e altri microrganismi), solitamente sotto forma di fiocchi. Tali fanghi sono alla base degli impianti di depurazione a fanghi attivi. Nel trattamento si realizza in vasche un sistema dinamico aerobico controllato, che riproduce in ambiente artificiale gli stessi meccanismi biologici che avvengono in natura per la depurazione delle acque inquinate da sostanze organiche biodegradabili. L’impianto richiede però molto spazio e le vasche andrebbero interrate.


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Capitolo6

PRO • basso costo energetico e impiantistico rispetto agli impianti biologici tradizionali (non occorre insuflare ossigeno) • possibilità di abbattere carichi organici anche estremamente elevati CONTRO • abbattimento degli inquinanti non è tale da permettere lo scarico diretto dell’acqua depurata • lunghi tempi di raggiungimento dello stadio stazionario

UASB è l’acronimo inglese per Up-flow Anaerobic Sludge Blanket, ossia trattamento anaerobico dell’acqua reflua. Indica una tecnologia di trattamento dei reflui organici ad alto COD basato sulla fermentazione in carenza di ossigeno in un digestore anaerobico. Dalla fermentazione delle sostanze solide, viene prodotto del biogas, utilizzabile per l’alimentazione stessa del digestore e come biocombustibile; un altro output è inoltre il fertilizzante. L’aspetto più critico è dovuto al fatto che le acque in uscita non sono depurate, ma è necessario affiancare all’impianto un depuratore.

DEPURAZIONE ACQUE GRIGIE

TAV VI.23 IMPIANTO DI DIGESTIONE ANAEROBICA UASB


Proposta progettuale sistemica

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DEPURAZIONE ACQUE GRIGIE

TAV VI.24 SISTEMA DI DEPURAZIONE BIOLOGICA SEQUENZIALE SBR

PRO • consente di recuperare interamente (100%) l’acqua grigia • non vengono utilizzati prodotti chimici • l’acqua ottenuta è inodore e insapore, priva di germi e batteri • consumi contenuti CONTRO • costo iniziale di investimento • necessità di adattare l’impianto

Il sistema SBR consente di recuperare l’acqua grigia trasformandola in acqua depurata. Il trattamento è composto da quattro fasi: il prefiltraggio (in cui un filtro trattiene le particelle più grandi), il trattamento biologico (l’acqua viene depurata grazie all’introduzione di ossigeno atmosferico, ed i microorganismi che si sedimentano danno origine a processi di metabolismo per la depurazione e la riduzione delle sostanze degradabili), sedimentazione (viene rimosso l’eccesso di fango biologicamente attivo, formatosi durante il trattamento biologico), disinfezione UV (neutralizza i germi e i batteri). L’acqua riciclata è conforme alla Direttiva Europea n° 76/160EWG per le acque di balneazione. Il processo permette il riuso delle acque grigie.


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Capitolo6

PRO • riutilizzo dei reflui depurati • possibilità di valorizzare il territorio con strutture che permangano dopo l’emergenza • possibilità di utilizzare vasche prefabbricate ad avviamento rapido CONTRO • costo iniziale di investimento • tempi di installazione

La fitodepurazione è un processo di depurazione che utilizza le piante come filtri biologici. I trattamenti di fitodepurazione sono, quindi, di tipo biologico e sfruttano la capacità di autodepurazione degli ambienti acquatici in cui si sviluppano particolari tipi di piante, che favoriscono la crescita dei microrganismi preposti alla depurazione. Nei sistemi di fitodepurazione si ricostruiscono artificialmente gli habitat naturali in cui si sviluppano le piante idonee alla depurazione delle acque reflue. Le piante macrofite acquatiche fungono da substrato per le popolazioni batteriche che operano gran parte del processo di degradazione della sostanza organica e di ammonificazione e nitrificazionedenitrificazione dell’azoto, e che filtrano il materiale in sospensione.

DEPURAZIONE ACQUE GRIGIE

TAV VI.25 FITODEPURAZIONE


Proposta progettuale sistemica

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TAV VI.26 IMPIANTO A CARBONE ATTIVO

DEPURAZIONE ACQUE NERE

PRO • autonomia dell’impianto, indipendente dalle condizioni circostantI CONTRO • costo elevato dell’impianto • non efficacie quando l’acqua da trattare contiene olii, grassi, idrogeno solforato, gas metano, ferro organico, oltre 50 ppm di sostanze organiche.

I filtri a carbone attivo hanno la capacità di assorbire il cloro e tutte le sostanze per via chimico-fisica nei micropori di tale carbone, che si presenta in forma granulare o in polvere, restituendo un’acqua priva di tutte le particelle assorbite. I filtri a carbone tuttavia non modificano le concentrazioni dei sali minerali, e perciò lasciano passare senza alcuna alterazione anche sostanze indesiderate: per esempio i nitrati, i nitriti, i solfati, molti metalli pesanti.


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Capitolo6

PRO • sistema molto economico • efficacia anche in condizione improvvisate • no dipendenza da elettricità o macchinari • manutenzione pressoché nulla • processi naturali possono compiersi in un periodo di tempo breve, poichè accellerati dalla flora microbica CONTRO • efficaci nella potabilizzazione dell’acqua dai batteri e dai virus, ma non nella potabilizzazione da sostanze chimiche • acque troppo torbide o bottiglie danneggiate riducono l’efficienza • dipendenza dalle condizioni atmosferiche

La SOlar water DISinfection (conosciuto anche come SODIS) è una metodica di disinfezione dell’acqua ottenuto con l’utilizzo della luce solare e delle comuni bottiglie di plastica in polietilene (PET). È un sistema economico ed efficiente per il trattamento dell’acqua in zone isolate, solitamente applicato a livello familiare. Non è però efficacie nella potabilizzazione dell’acqua da sostanza chimiche. Necessarie quantità di bottiglie elevate.

POTABILIZZAZIONE ACQUE

TAV VI.27 POTABILIZZAZIONE CON RAGGI UV NATURALI


Proposta progettuale sistemica

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POTABILIZZAZIONE ACQUE

TAV VI.28 IMPIANTO DI CLORAZIONE

PRO • possibilità di potabilizzazione di acque depurate • elimina la possibilità di infezioni batteriche CONTRO • processo di potabilizzazione che richiede materie prime specifiche • necessità di numerosi controlli sulla qualità dell’acqua

Il cloro è uno dei disinfettanti il più comunemente usati per la disinfezione dell’acqua. La pratica tradizionale prevede diversi metodi di trattamento: preclorazione (per ossidare i composti inorganici, eliminare sapori ed odori, migliorare il processo di coagulazione del materiale sospeso e ridurre la proliferazione delle alghe nell’impianto); disinfezione primaria (per distruggere i microrganismi patogeni); clorazione residua (per mantenere un residuo di cloro libero nell’acqua); superclorazione (per trattamenti d’emergenza, per eliminare parassiti particolari).


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Capitolo6

PRO • migliora odore e sapore dell’acqua • potabilizza acque depurate • azione rapida CONTRO • necessità di filtraggio • non può essere l’unico trattamento disinfezione • processo e materia prima costosi • necessità di strumenti adatti • necessità di controlli

di

L’ozono si usa per il trattamento, per la deferrizzazione e per la demagnetizzazione dell’acqua, e ossida preferibilmente le materie organiche. Distrugge la maggior parte dei composti che generano dei cattivi odori, ed in particolare i composti fenolati. L’agente disinfettante, può essere aggiunto direttamente all’acqua grezza in ingresso, od a valle della filtrazione; esso consente di prevenire la formazione e lo sviluppo di popolazioni batteriche ed algali e di mantenere tutte le sezioni dell’impianto in condizioni di massima pulizia.

POTABILIZZAZIONE ACQUE

TAV VI.29 IMPIANTO DI OZONIZZAZIONE


Proposta progettuale sistemica

230

POTABILIZZAZIONE ACQUE

TAV VI.30 POTABILIZZATORE A RAGGI UV ARTIFICIALI

PRO • molto sicuro: non ci sono agenti chimici da dover maneggiare • costo di implementazione ed operatività molto basso • impianti molto facili da installare e mantenere efficenti CONTRO • investimento iniziale • necessità di controlli periodici della qualità dell’acqua • necessità di introduzione periodica nel sistema acqua limpida per garantire buona qualità

I raggi UV distruggono il DNA dei batteri e dei virus e gli impediscono di riprodursi. Senza la riproduzione, i microbi diventano molto meno pericolosi. La radiazione ultravioletta con la lunghezza d’onda di 240 - 290 nm agisce sulla timina, una delle quattro basi azotate del DNA. Il dimero di timina impedisce agli enzimi di leggere il DNA e di copiarlo, neutralizzando così l’azione del microbo.


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6.3 Scelta delle soluzioni Le soluzioni analizzate per le acque in input e le acque in output sono state rivalutate in base alle condizioni relative al tempo, al contesto, alle persone e al luogo. Abbiamo introdotto, inoltre, un altro parametro per la valutazione delle soluzioni: i costi. Questo fattore, in taluni casi, costituisce il fattore discriminante per la scelta di una certa soluzioni rispetto ad un’altra, in quanto ha degli effetti immediati sull’investimento richiesto. Nelle tavole che seguono, sono riportate le diverse opzioni con accanto i relativi parametri, in base agli effetti ed all’importanza che possono ricoprire per la scelta, o l’esclusione, di una soluzione.

Relazioni tra soluzioni possibili e parametri di valutazione Come è emerso dagli approfondimenti delle opzioni, le soluzioni relative alla regolarizzazione dei consumi richiedono un adattamento delle strutture esistenti, in quanto è necessario modificare l’attuale impianto idrico dei moduli bagno. I costi però rimangono comunque contenuti, in quanto le materie prime sono poco costose e non è richiesta manodopera altamente specializzata. E’ da sottolineare che attualmente la manutenzione delle strutture del Corpo Militare di Croce Rossa vengono svolte direttamente dai militari a disposizione, sia per ciò che riguarda la sanificazione degli strumenti, che le eventuali modifiche da effettuare sugli impianti. Questo aspetto è significativo nel momento in cui si calcolano i costi di un intervento in quanto, a meno che non sia espressamente necessario il contrario, viene svolto dal personale in servizio (come nel caso degli adattamenti delle tubature, nella sostituzione degli erogatori ecc.). Per quelle soluzioni in cui si sia riscontrato un particolare impatto sui soggetti fruitori del servizio, invece, si è tendenzialmente interpretato questo effetto come potenzialmente negativo. Infatti, nella scelta delle opzioni più adatte, sono state scartate quelle che potessero coinvolgere fisicamente gli ospiti, o che potessero influenzarne la percezione. E’ questo il caso delle fasce orarie per l’utilizzo dell’acqua calda, l’uso di gettoni per l’acqua per consapevolizzare il consumo. Altre, che hanno un minor impatto sul soggetto, e non rischiano di urtarne la sensibilità, come i contatori a vista, sono stati valutati come positivi, e quindi selezionati per la fasi progettuali successive. Sono state scartate anche quelle soluzioni che richiedessero, per il loro funzionamento, figure professionali particolari. Infine, contesto e luogo, hanno costituito l’ultimo filtro per la selezione. Benché certe soluzioni fossero particolarmente economiche, o potessero apportare un grande beneficio a basso impatto,

Capitolo6

per ragioni di spazio, o condizioni atmosferiche sfavorevoli, non sono state perseguite. Ne è un esempio l’impianto di depurazione a fanghi attivi: la struttura richiede personale altamente qualificato sia per l’installazione che per la manutenzione ordinaria; inoltre, necessita di ampi spazi dedicati, ed un terreno con particolari caratteristiche. Restrizioni di questo tipo non sono accettabili in situazioni di emergenza, in cui non è possibili con largo anticipo determinate variabili.

Definizione dei livelli di intervento Le soluzioni proposte agiscono in modalità diverse non solo per tipologia, ma anche per le tempistiche richieste, sia per l’attivazione che per il periodo d’uso. Per questa ragione abbiamo dovuto lavorare su due livelli differenti, in base alle caratteristiche proprie del sistema da applicare. Nel primo livello di intervento vengono applicate tutte quelle soluzioni disponibili nel breve o brevissimo termine, ed il cui utilizzo può protrarsi nel tempo. Queste opzioni, generalmente, hanno comportato modifiche a monte delle strutture, non influenzando, quindi, i tempi di intervento restrittivi dell’emergenza. Altre, sempre appartenenti a questo categoria, non possono essere predisposte con anticipo, ma grazie alla trasportabilità ed alla facilità di montaggio e messa in opera, possono anch’esse essere utilizzate non appena giunte sul luogo. Il secondo livello di intervento nasce dall’evoluzione del primo: questa proposta sistemica si basa su soluzioni destinate a permanere in loco al termine dell’emergenza, e propone un intervento in ottica di miglioramento della condizione del territorio in cui sorge il campo. Nella maggior parte dei casi, i terreni destinati a questo scopo vengono distrutti durante l’utilizzo, e, una volta sgomberati, necessitano di lavorazioni per il ripristino. Il secondo livello propone perciò una valorizzazione di queste aree, al fine di trarre effetti positivi nel tempo. Per questa ragione l’ordine di grandezza delle soluzioni appartenenti a questa categoria supera di gran lunga quelli del primo livello: richiedono investimenti maggiori a fronte di benefici prolungati.

Scelta delle soluzioni In questa sezione sono state selezionate le soluzioni in base alle loro caratteristiche singole: sarà quindi necessario analizzare le interazioni che si creano per valutare veramente gli effetti, positivi e negativi.


Proposta progettuale sistemica

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TAV VI.31 SOLUZIONI - PARAMETRI: SCELTA SOLUZIONI ACQUA IN INPUT


233

Capitolo6

TAV VI.32 SOLUZIONI - PARAMETRI: SCELTA SOLUZIONI ACQUA IN OUTPUT


Proposta progettuale sistemica

234

6.4 Applicazione degli interventi al campo Dopo aver selezionato le soluzioni più adatte al campo di Centi Colella, in relazione ai parametri di contesto,persone, tempo, luogo e costo, il passo successivo è stato quello applicare le stesse al campo, creando un sistema. Se l’organizzazione del campo allo stato attuale è di tipo lineare (gli input d’acqua in ingresso nel campo, una volta diventati output, vengono smaltiti in fogna), con l’applicazione delle soluzioni scelte, si è passati ad un’organizzazione sistemica, in cui gli output di acque grigie e acque nere vengono riutilizzati, poiché aventi ancora delle qualità. Le diverse soluzioni scelte sono state quindi messe a sistema e, in particolare, sono stati delineati, come già detto precedentemente, due livelli di intervento. Il primo livello è pensato per essere applicato fin da subito, appena vi è l’esigenza di allestire il campo; il secondo livello invece è adatto a campi di lunga durata ed è costituito da soluzioni che vanno allestite successivamente in quei casi in cui il campo si appoggi a strutture fisse locali, le quali, una volta terminata l’emergenza, possano continuare ad usufruire del sistema. In entrambi i casi abbiamo poi verificato le interazioni tra le diverse soluzioni, per risolvere possibili problematiche generatesi. Le soluzioni infine, finora applicate ad ambiti differenti da quello dell’emergenza, necessitano di un adeguamento e un dimensionamento a tale contesto. Ad esempio, gli strumenti per il trattamento delle acque devono poter essere trasportati facilmente sul luogo del disastro e devono poter connettersi alle tubature dei moduli bagno. Quindi sulla base dei dati raccolti e sulle quantità d’acqua riscontrate in un campo di 500 persone, è stato verificato che la portata e le dimensioni degli strumenti scelti fossero facilmente gestibili in un campo e che gli interventi sulle strutture esistenti riguardanti tubature e rubinetterie e raccolta di acqua piovana fossero facilmente applicabili. Vediamo ora più nel particolare i due livelli di intervento.

Primo livello di intervento Il primo livello di intervento è costituito da strumenti disponibili nell’immediato: non appena viene deciso il luogo adatto per il campo di accoglienza, possono essere allestite tutte le soluzioni proposte. I moduli bagno infatti sono già attrezzati per la raccolta dell’acqua meteorica e connesi con il serbatoio di raccolta della stessa. Vengono poi sistemati, ogni 4 tende, i collettori d’ausilio per

incrementare la raccolta della pioggia, che verrà utilizzata per il raffrescamento delle tende. Si prevede di fornire il primo approvigionamento idrico attraverso la raccolta dell’acqua dal fiume Aterno, posto a 150 metri dai terreni del campo. I litri prelevati devono essere sufficienti per sopperire alla richiesta d’acqua di: sciacquoni, pulizia ambienti, lavatrici, docce e lavandini, lavaggi e preparazione dei cibi in cucina. L’acqua fluviale viene sottoposta al trattamento di potabilizzazione grazie al potabilizzatore a raggi UV, alimentato a corrente elettrica (fornita dal generatore a gas). L’acqua calda è disponibile entro la prima giornata, utilizzando i collettori solari: i 40 m2di collettori forniscono acqua calda per la cucina e per i bagni. La richiesta totale d’acqua è minore rispetto a quella attuale poiché con l’applicazione dei riduttori di flusso ai rubinetti, vi è un risparmio del 50%. Contribuisce inoltre alla riduzione del consumo la scelta del doppio sciacquone (si risparmiano fino a 30 l al giorno a persona) e del sacchetto salva acqua (risparmio di 1 litro a sciacquone). I detergenti utilizzati per la pulizia personale e per il lavaggio degli ambienti, dei panni e delle stoviglie sono a base di tensioattivi naturali, biodegradabili, per permettere una depurazione delle acque meno complessa. Grazie all’intervento sulle tubature dei moduli bagno è possibile raccogliere separatamente le acque saponate da quelle nere, proveienti dagli sciacquoni. Le prime vengono raccolte in un serbatoio, le seconde invece all’interno di un digestore anaerobico UASB. In esso, grazie ad un processo di fermetazione, le sostanze solide produco biogas; a fine processo, ciò che non è fermentato, raggiunto lo stato liquido viene utilizzato come fertilizzante. Il biogas prodotto viene utilizzato per l’alimentazione del digestore stesso, ma anche come combustibile per il generatore. L’acqua in uscita dal UASB non è depurata, ma necessità di un trattamento successivo per poter essere riutilizzata, così come le acque grigie raccolte nel serbatoio. E’ previsto quindi l’utilizzo di un dispositivo SBR che possa depurare tali acque in uscita. Quest’ultimo, come anche il potabilizzatore UV, di cui si parlava prima, possano essere alimentati con il combustibile biogas prodotto dal UASB. Il dispositivo SBR produce acqua depurata che viene adoperata per quegli scopi in cui non è richiesta acqua potabile ovvero: gli sciacquoni, la pulizia degli ambienti e le lavatrici; la restante invece viene potabilizzata e utilizzata per docce, lavandini e cucine. In questo modo non è più necessario


235 l’approvigionamento dal fiume poiché l’acqua in uscita viene completamente depurata e in parte impiegata come tale, e in parte anche potabilizzata. Il ciclo è ripetibile molte volte, eseguendo periodicamnete dei controlli sulla qualità dell’acqua e , in caso di necessità, integrando con acqua di fiume. Si tratta in questo modo di un sistema senza output: le acque in uscita, i fanghi prodotti dal depuratore, il biogas e il fertilizzante ottenuti dal digestore, trovano nel sistema un nuovo impiego. Il sistema è inoltre autonomo e indipendente da strutture preesistenti: non è necessario l’attacco alla rete idrica (viene riutilizzata l’acqua del fiume) e alla rete elettrica (dopo i primi giorni, grazie alla produzione di biogas, il sistema si autoalimenta).

Primo livello di intervento: relazione con il soggetto e con il luogo Il sistema è stato pensato per il campo di Centi Colella, ma è adattabile anche ad altri campi. Le soluzioni infatti che lo compongono sono utonome e, come già detto, non dipendono dal luogo in cui vengono installate. Le dimensioni dei dispositi sono state ipotizzate in base alle quantità d’acqua necessarie per 500 persone, ma in caso di campi con un numero diverso di ospiti, possono essere variate. Si è cercato inoltre di non perdere mai di vista i soggetti a cui ci riferiamo, ovvero persone che hanno subito un trauma e sono costrette a vivere in campi di accoglienza ( vedi cap 4). Ogni soluzione cerca quindi di non influenzare negativamente i soggetti e non modificarne le abitudini. Gli accorgimenti pensati infatti sono quasi impercettibili, come ad esempio gli erogatori a basso flusso, ma allo stesso tempo fanno si che vi siano grandi benefici e risparmi. E’ comunque opportuno cumunicare agli ospiti che l’approccio utilizzato nel campo segue linee guida del design ecocompatibile e illustarne loro i benefici, così da sensibilizzarli alla tematica.

Capitolo6

DISPOSITIVO

ACQUA

DIMENSIONI

850 l/gg

25 moduli bagno 460 m2

60 l/gg

1 ogni 4 tende d=80 cm h= 90 cm

raccolta fino a 16.000 l in un giorno

2 serbatoi da 8.000 l

35.240 l/gg

40 m3

22.790 l/gg

0,004 m3

23.890 l/gg

3 serbatoi da 8.000 l

11.395 l/gg

40 m2

risparmio di 1 litro a sciacquone

1 sacchetto a wc

risparmio 50% d’acqua

1 a lavandino

10.500 l/gg

4 m3

WC

Raccolta meteorica

Raccolta meteorica

Serbatoio meteorica

Depuratore SBR

Potabilizzatore UV

Serbatoio Grigie

Collettori solari

Segue tavola. Sacchetto wc

Riduttori flusso

Digestore UASB

ingresso d’acqua continuo




Proposta progettuale sistemica

238

Secondo livello di intervento Il secondo livello di intervento è stato elaborato applicando le soluzioni, selezione precedentemente, caratterizzate da elementi che richiedono interventi a livello strutturale, o onerosi dal punto di vista economico. Questo livello si sviluppa partendo dal primo livello di intervento: si è ipotizzato di intervenire non appena l’emergenza si sia placata, e siano stati portati sul luogo tutti gli strumenti essenziali. Per la natura delle soluzioni scelte, non essendo legate a bisogni primari, si suppone di applicarle dopo un primo periodo in cui si raggiunga stabilità nella nuova realtà del campo. Intervenendo in maniera più profonda sia sul territorio che sulla dimensione del campo, è possibile operare delle modifiche che valorizzino il luogo. Tutti gli elementi applicati nel primo livello, vengono ripresi ed approfonditi: gli elementi utilizzati non giungono sul luogo per offrire un servizio e andare via, ma per restare. Questo sistema ha un valore nel caso in cui nel luogo scelto per la costruzione del campo vi siano strutture fisse, funzionanti, che possano beneficiare dei nuovi elementi una volta terminata l’emergenza. In caso contrario, è preferibile limitarsi al primo livello di intervento. Prendendo il caso della raccolta delle acque meteoriche, introducendo nuovi supporti per la raccolta posti sugli edifici fissi presenti nel centro sportivo di Centi Colella, è stato possibile aumentare notevolmente la quantità d’acqua raccolta e utilizzabile prima della depurazione, oppure per la depurazione stessa. Abbiamo elaborato tre opzioni per la gestione del flusso d’acqua: due relative all’utilizzo dell’acqua in uscita per scopi alternativi, ed uno per ciò che riguarda l’approvvigionamento di acqua potabile, che può essere auto-prodotta oppure presa dalla rete. Andando nell’ordine, nella prima opzione si ipotizza di attivare (o meglio di dare continuità al suo funzionamento, visto il precedente avviamento avvenuto nel primo livello) il ciclo con l’introduzione di acqua potabile, per soddisfare la richiesta delle utenze che necessitano di acqua potabile. Come nel primo caso, l’acqua di scarto raccolta in tubature separate, viene convogliata in un serbatoio di raccolta delle acque grigie; tale serbatoio consente di regolare il flusso in entrata nel sistema depurativo: la vasca di fitodepurazione. Le acque grigie qui convogliate vengono depurate da piante autoctone selezionate (Phragmites australis (Cav.) Trin., Carex contigua L., Scirpus sylvaticus L., Juncus bufonius L., Juncus inflexus L.), con tempi di residenza in vasca variabili tra 5 e 25 giorni. Il dimensionamento del sistema di fitodepurazione è stato calcolato tenendo conto dei giorni necessari per la completa depurazione, ed è quindi idoneo ad accogliere il quantitativo

d’acqua, prodotto in un mese, in uscita dal campo. L’acqua depurata così ottenuta, può essere utilizzata per la pulizia degli ambienti, gli sciacquoni e le lavatrici, come nel primo livello di intervento; in questo caso, però, l’acqua in eccesso viene utilizzata per scopi differenti. Abbiamo selezionato due particolari ambiti, che, tra le varie possibilità, possono portare i benefici maggiori: l’edificazione di una vasca di itticoltura, popolata da specie come la trota iridea e la carpa, che si adattano facilmente a diverse condizioni climatiche; la possibilità di adibire una porzione di terreni alla coltivazione di prodotti ortofrutticoli pregiati, caratteristici delle zone limitrofe dell’Aquila. L’intento di queste due iniziative è quello di offrire un’opportunità di sviluppo futuro, e di promuovere attività per la ripresa dell’economia del luogo. La raccolta dell’acqua piovana può tramite le apposite strutture movibili (moduli bagno ed ausili per la raccolta) affiancati, però, da cisterne per la raccolta di acqua meteorica che sfruttino i tetti del centro sportivo. In questa maniera si ottiene un incremento del 45% nel quantitativo d’acqua disponibile. Seguendo invece, il flusso delle acque nere, queste possono essere raccolte grazie al sistema di tubature separate, già sfruttato nel primo livello, ed essere quindi convogliate nel sistema di digestione anaerobica UASB. Da questa soluzione, come già detto in precedenza, si potrà ottenere fertilizzante (proveniente dallo scarto della fermentazione), acqua depurata (che viene re-introdotta nel ciclo di fitodepurazione) e soprattutto biogas, utile per l’auto-alimentazione del digestore e per altre utenze che richiedano la produzione di energia. Gli scarti provenienti dalla serra, come le ramaglie, o quelli della vasca di itticoltura, come i fanghi, vengono incanalati nel UASB insieme alle nere, tramite opportune connessioni, e contribuiscono anch’essi alla produzione di biogas. Come nel primo livello, la depurazione delle acque è resa possibile dall’uso di detergenti e disinfettanti a base di tensioattivi naturali, che vengono eliminati in minor tempo e non costituiscono una minaccia per l’ambiente in cui vengono introdotti (trattandosi di depurazione mediante vegetali). Nel caso in cui si intenda potabilizzare l’acqua con il sistema a raggi UV, il campo potrebbe diventare completamente indipendente, in quanto slegato dalla rete ed in grado di sopperire autonomamente sia alla domanda d’acqua potabile e depurata, che alla necessità di smaltimento dei rifiuti organici provenienti da wc ed attività esterne. La soluzione presentata è caratterizzata da un alto livello di interazione tra i componenti scelti, ma essendo elementi separati, in caso di malfunzionamento o cambiamento improvviso delle quantità d’acqua immesse nel sistema,


239 è possibile accedere facilmente alle singole parti, adattandole alle nuove situazioni. Queste soluzioni a lungo termine consentono una gestione indipendente dei propri input e degli output prodotti, così da non gravare sulla gestione locale.

Secondo livello di intervento: relazione con il soggetto e con il luogo L’impatto del sistema sui soggetti presenti e sul luogo in cui vengono installati è più elevato di quello del primo caso: il coinvolgimento degli ospiti nelle nuove attività proposte è condizione necessaria e sufficiente a garantire un seguito agli investimenti operati. La condizione di emergenza può aver colpito in maniera particolare coloro che avevano delle attività proprie; vista la popolazione locale, rurale e spesso costituita da agricoltori, risulta interessante proporre attività che offrano la possibilità di partecipare al mantenimento delle attività proposte (serra e acquacoltura). Questa partecipazione può trasformarsi in una vera e propria opportunità di impiego, in cui viene assegnata alla popolazione la gestione delle attività. In quest’ottica, la risposta all’emergenza diventa un’opportunità di ripresa per la popolazione e per il territorio. Segue tavola.

Capitolo6

DISPOSITIVO

WC

ACQUA

DIMENSIONI

850 l/gg

25 moduli bagno 460 m2

60 l/gg

1 ogni 4 tende d=80 cm h= 90 cm

800 l/gg

375 m2

raccolta fino a 16.000 l in un giorno

2 serbatoi da 8.000 l

10.500 l/gg

625 m2

23.890 l/gg

3 serbatoi da 8.000 l

11.395 l/gg

40 m2

risparmio di 1 litro a sciacquone

1 sacchetto a wc

risparmio del 50 %

uno a lavandino

10.500 l/gg

360 m3

Raccolta meteorica

Raccolta meteorica

Raccolta meteorica

Serbatoio meteorica

Fitodepurazione

Serbatoio Grigie

Collettori solari

Sacchetto wc

Riduttori flusso

Digestore UASB 1.000 m2 Serra 22.790 l/gg coesistenti o in alternativa

1.000 m2

Itticoltura 0,004 m3 Potabilizzatore UV




Proposta progettuale sistemica

242

VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO

TAV VI.38 APPROFONDIMENTO ACQUACOLTURA

PRO • Possibilità di usufruire dei frutti della pasca: alimentazione, vendita • Possibilità di utilizzo dell’impianto anche ad emergenza terminata CONTRO • Installazione del sistema • Necessità di spazio

Nel secondo livello si prevede l’attacco alla rete idrica; in questo modo non è necessario l’utilizzo del potabilizzatore. Così le acque grigie, che nel primo livello venivano potabilizzate, sono ora in eccesso. Abbiamo quindi ipotizzato due impieghi per tale quantità d’acqua depurata: l’ itticoltura e l’ irrigazione di una serra. Se invece non si è interessati, si prosegue con l’utilizzo del potabilizzatore, come nel primo livello. L’itticoltura è un’attività produttiva che si occupa dell’allevamento e della riproduzione dei pesci.Tra le specie di acqua dolce quelle più allevate sono: trota iridea, carpa e Tilapia, quest’ultima solo in climi tropicali. Il costo del pesce è stato calcolato in base ai Prezzi all’ingrosso dei prodotti ittici (Dal 01/08/2010 Al 15/08/2010) del mercato ittico all’ingrosso della città di Torino.


243

Capitolo6

PRO • possibilità di impiego per ospiti del campo • acqua per irrigazione da depurazione • valorizzazione del territorio • creazione di prodotti “dell’emergenza” tipici del luogo CONTRO • necessità di permesse per uso dei terreni • investimento iniziale

L’installazione della serra consente di coltivare prodotti autoctoni di qualità, con la possibilità di eticattatura specifica per il luogo di produzione. Altri ortaggi come pomodori, carciofi, peperoni, sono tipici della provincia dell’Aquila, ma i due selezionati, Aglio rosso di Sulmona e Zafferano, si prestano in modo particolare alla creazione di prodotti “dell’emergenza”. Con la coltivazione di questi prodotti pregiati, si offre la possibilità di impiego per i soggetti che, a causa dell’emergenza, hanno perso l’impiego. L’attività, inoltre, è particolarmente indicata per gli ospiti del campo di Centi Colella in quanto, in parte, agricoltori.

VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO

TAV VI.39 APPROFONDIMENTO SERRA


244

Proposta progettuale sistemica

Disposizione degli elementi nella situazione attuale

6.5 Disposizione degli interventi nel campo Il passo successivo alla definizione del sistema è stato quello di localizzare le soluzioni all’interno del Campo di Centicolella. Sono stati rivisti quindi i criteri di prossimità tra i diversi servizi. Nel primo livello di intervento, i moduli bagno e la tenda lavanderia, ad esempio, richiedono in ingresso acqua depurata, quindi andranno posti vicino al depuratore. L’acqua in uscita dai wc verrà convogliata nel digestore UASB che quindi sarà posto nei pressi. L’acqua utilizzata dalla cucina e dai bagni deve essere invece potabilizzata, quindi i servizi verranno posti vicini e affianco verrà posizionato il potabilizzatore. Verranno poi sistemati i serbatoi di raccolta: quelli della piovana vicino ai moduli wc e ai moduli doccia; quelli per le acque grigie vicino alla cucina, ai moduli bagno e alla tenda lavanderia. Infine i collettori solari saranno posizionati nei pressi di cucina e moduli bagno. Perché il sistema funzioni nel migliore dei modi e affinchè le tubature dell’acqua di collegamento tra i diversi dispositivi non siano d’intralcio nel campo, è stato necessario creare un’area bagni-lavatrici, affiancata all’area lavandini/docce e cucina. Sul perimetro di tali aree possono essere posizionati le attrezzature per il trattamento delle acque: il potabilizzatore, il depuratore, il digestore. Le aree create sorgono vicino alla cucina, posta a

lato del deposito alimenti, ricavato in una palestra (fissa). Nel caso invece del secondo livello di intervento, abbiamo verificato che nei pressi della struttura vi fossero spazi aperti che potessero ospitare la fitodepurazione, la vasca dell’itticoltura e la serra. In questo caso, inoltre, sarebbe necessario incrementare i lavori di installazione, creando una piccola rete di tubature interrate che consenta il collegamento tra le strutture fisse e gli elementi introdotti: gli scarichi di acque grigie dovrebbe essere collegati alla vasca di fitodepurazione, così come l’acqua in uscita depurata, andrebbe convogliata nelle rete dell’acqua in entrata nelle strutture. Se i terreni fossero di proprietà di privati, bisognerebbe gestirne l’affitto o l’acquisto.


245

Ipotesi di disposizione degli interventi Livello I

Ipotesi di disposizione degli interventi Livello II

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

246

LIVELLO 2

LIVELLO 1

STATO ATTUALE

TAV VI.40 FLUSSO ACQUA: PARAGONE


247

Capitolo6

LIVELLO 2

LIVELLO 1

STATO ATTUALE

TAV VI.41 SCHEMA RIASSUNTIVO FLUSSO ACQUA: PARAGONE


Proposta progettuale sistemica

248

6.6 Valutazione costi - benefici Confronto tra i consumi allo stato attuale e In questo paragrafo ci occupiamo della valutazione dei costi degli interventi proposti nella sezione precedente. Nel primo livello sono stati calcolati tenendo conto degli anni di ammortamento degli strumenti necessari per il funzionamento del sistema, primi fra tutti il depuratore SBR ed il potabilizzatore a raggi UV. A seconda della tecnologia considerata, l’ammortamento è variato da pochi anni, da uno a cinque, fino a vent’anni per gli elementi più complessi e longevi. Nonostante si tratti di dispositivi per campi di accoglienza, sono elementi in grado di funzionare anche singolarmente, se introdotti in altri sistemi. Questo permette di sfruttare la strumentazione anche quando non sia in corso un’emergenza. La valutazione dell’impatto economico degli interventi a lungo termine del secondo livello è risultata più complessa: non è stato possibile raccogliere i dati relativi all’attività svolta nelle strutture fisse del centro sportivo (nel quale è sorto il campo di Centi Colella); per questa ragione sono stati calcolati i costi in base alla vita media dei dispositivi, come verrà spiegato in seguito. All’interno di questa sezione abbiamo rapportato i costi con i benefici ottenuti grazie ai progetti sistemici: ne sono emersi sia vantaggi economici che ambientali. L’analisi è stata suddivisa in tre parti principali: dapprima sono stati paragonati i consumi d’acqua e le fonti di approvvigionamento nei tre casi (situazione attuale, livello 1, livello 2); in seguito sono stati calcolati i costi degli interventi dei due progetti sistemici; infine sono stati paragonati i consumi in base ai casi.

nei livelli di intervento

In seguito allo studio progettuale abbiamo verificato che le modifiche apportate avessero degli effetti positivi sull’intera vita del campo, ovvero sui 210 giorni a partire da aprile fino a novembre. Nella tabella riportata a fianco, abbiamo riassunto le quantità d’acqua consumate, suddividendole in base alla qualità utilizzata ed ai relativi costi. Grazie all’applicazione del depuratore SBR (Sequencing Batch Reactor) è possibile attivare il ciclo dell’acqua e quindi chiudere il circuito riciclando le acque in output. Questo consente la piena autonomia del campo, che diventa indipendente dall’attacco alla rete. Il sistema di depurazione, inoltre, fa si che non vi siano sprechi d’acqua con elevate qualità (potabile): si ha un guadagno dal punto di vista economico, in quanto è meno costosa la depurazione rispetto all’allacciamento alla rete più il costo dell’acqua, e dal punto di vista ambientale, perché si evita l’utilizzo di acqua potabile per scopi in cui non è necessariamente richiesta (sciacquoni, lavatrici e per il lavaggio ambienti). Nel secondo livello, invece, visto che si suppone che sia una situazione destinata a durare a lungo nel tempo, in termine di anni, si ha la possibilità di ripristinare il riallacciamento alla rete: anche questa possibilità ridurrebbe drasticamente le spese, e conferirebbe al territorio un valore aggiunto per la sostenibilità delle iniziative. La raccolta dell’acqua meteorica, in quest’area geografica, è risultata poco favorevole vista la scarsa piovosità: per questa ragione gli interventi del primo livello prevedono la raccolta esclusivamente dagli elementi pre-adattati per tale scopo (moduli bagno) e attraverso gli ausili di raccolta disponibili ogni quattro tende. Nel caso del secondo livello, si è voluta estendere la raccolta ad un edificio fisso presente sul luogo, e non a tutti, proprio per via degli scarti quantitativi accumulabili. Seppur in piccole quantità, l’acqua così raccolta può assolvere a funzioni, come il raffrescamento delle tende o l’irrigazione, senza gravare sulla richiesta d’acqua del resto del campo o, successivamente, delle strutture presenti. Il digestore anaerobico contribuisce all’indipendenza del campo e riduce i consumi energetici, grazie al biogas ottenuto. L’impianto previsto per soddisfare le necessità del secondo livello di intervento è di dimensioni maggiori, e può diventare un punto per lo smaltimento di scarti organici per le strutture della zona (al termine dell’emergenza). Le soluzioni proposte nel primo livello di intervento, sono tutte facilmente trasportabili e pronte all’uso, ed una volta giunte sul luogo possono entrare subito in funzione, rimanendo sul mezzo di trasporto sul quale sono giunte: così facendo i tempi di montaggio si azzerano ed il servizio può essere immediato.


249

Capitolo6

TAV VI.42 CONFRONTO CONSUMI STATO ATTUALE - LIVELLI DI INTERVENTO


Proposta progettuale sistemica

250

Costi di investimento nel primo e nel secondo livello di intervento La tavola a fianco riassume gli interventi svolti per la realizzazione dell’intero sistema. Per ogni soluzione sono stati ipotizzati i costi di investimento iniziale, ammortati sugli anni di vita ipotetici di ogni dispositivo. Si è scelto di ammortare i costi sugli anni di vita e non sul numero di emergenze in cui si potrebbero utilizzare, poiché non è possibile ipotizzare il numero di catastrofi future con certezza. Inoltre alcune soluzioni potrebbero essere utilizzate, nel nostro caso, nel Centro Polifunzionale di Settimo Torinese. Per quanto riguarda il primo livello di intervento, si è valutata la spesa nei 7 mesi di vita del campo, periodo effettivo di utilizzo delle soluzioni. Nel secondo livello invece l’ammortamento è calcolato in base agli anni di vita delle soluzioni, poiché è previsto che, anche ad emergenza terminata, restino in loco e vengano utilizzate dal Centro Sportivo. Dal punto di vista economico, possiamo notare come la spesa maggiore nel primo livello sia dovuta all’acquisto dei collettori solari, del depuratore SBR, del digestore anaerobico. Attrezzature che però ci permettono di riutilizzare le acque in uscita, non allacciandoci alla rete idrica locale e quindi di risparmiare la spesa totale di consumo di acqua potabile. Allo stesso modo, nel livello 2, i maggiori investimenti sono dati dal digestore, dai collettori,dalla fitodepurazione, dall’itticoltura e dalla serra. Quest’ultime attività, anche se inizialmente molto costose, sono una fonte di guadagno sicura, che può favorire la ripresa del luogo dopo l’emergenza subita.


251

TAV VI.43 COSTI DI INVESTIMENTO LIVELLO I E LIVELLO II

Capitolo6


Proposta progettuale sistemica

252

Considerazioni su costi e consumi totali Lo schema, riportato a fianco, ha lo scopo di paragonare le spese nei tre casi e verificare che il progetto sistemico proposto, oltre ad avere dei benefici sull’ambiente e sul campo stesso, generi un risparmio economico. Allo stato attuale vengono spesi in totale nei 7 mesi di campo 24.100 €, di cui 11.700 € per la fornitura da rete idrica di acqua potabile (in Abruzzo il costo dell’acqua è di 1,23 € al m3 ) e 12.400 € per la produzione di acqua calda (energia consumata dai boiler 7.100 € , costo dell’acqua 5.300 €). Nel primo livello di intervento, il costo del consumo dall’acqua è di 0 €, in quanto non è previsto l’attacco alla rete idrica, la prima fornitura d’acqua è data da acqua fluviale e nei successivi giorni viene sempre riutilizzata la stessa, dopo essere stata trattata. Sono stati quindi considerati come spese, i costi di investimento ammortati di tutte le soluzioni che permettono l’azzeramento dei costi di consumo, ovvero: potabilizzatore, depuratore, raccolta dell’acqua meteorica, collettori solari, raccolta fluviale, tubature separate, riduttori di flussi, detergenti naturali, digestore e generatore a gas. Il totale è di 11.710 € , e inoltre viene prodotta una quantità di biogas pari a 2.400 €. Abbiamo quindi un risparmio rispetto allo stato attuale di € 12.390 €, più del 50%. Nel secondo livello, la spesa totale indicata è quella annuale, poiché il sistema permane nel luogo anche ad emergenza terminata. In totale vengono spesi 23.500 €, che però vengono coperti poi dai ricavi che si generano grazie alle attività di itticoltua e vendita dei prodotti tipici del luogo, coltivati in serra.

TAV VI.44 RISPARMIO TOTALE ACQUA


253

TAV VI.45 TOTALE COSTI - CONSUMI

Capitolo6



Conclusioni Nel corso di questa tesi, si è cercato di applicare l’approccio del design sistemico ad un contesto particolare, quale il campo di accoglienza-tendopoli, allestito in caso di emergenze naturali. Grazie alla collaborazione con il Corpo Militare di Croce Rossa Italiana, si è potuto capire la realtà di una tendopoli (quella di Centi Colella,Abruzzo, allestita dopo il terremoto del 2009), la sua organizzazione e soprattutto le problematiche che in essa si generano, riguardo l’impiego delle risorse, quali acqua, energia e beni. In particolare si è scelto di intervenire sulla gestione delle acque, proponendo soluzioni progettuali che permettano la diminuzione dei consumi, la riduzione degli sprechi, l’utilizzo delle risorse naturali come l’acqua meteorica, l’acqua fluviale, l’energia solare, il riuso delle acqua di scarico. Il sistema acqua proposto offre benefici sia dal punto di vista ambientale che economico: le soluzioni proposte, inoltre, possono essere facilmente applicate ai dispositivi già attualmente utilizzati dai soccorritori; i costi di investimento sono contenuti e soprattutto vengono compensati dal risparmio economico che si ha riutilizzando più volte la stessa acqua ( output del sistema diventa input dello stesso), senza la necessità di approvigionamento dalla rete idrica locale. Gli stessi principi sistemici applicati alla gestione delle acque, potrebbero essere applicati anche ai beni e all’energia, che rappresentano uno spunto per lo sviluppo futuro di soluzioni adatte a risolvere i problemi riscontrati, riguardanti la scelta e la distribuzione dei beni e gli elevati consumi energetici. In conclucione, in questo momento in cui si stanno rifacendo i piani per non farsi cogliere impreparati da un futuro disastro, è probabilmente il momento migliore per introdurre il tema della sostenibilità per agevolare la gestione delle risorse in emergenza e, forse, come opportunità di ripresa per il territorio colpito.



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Capitolo 1: Le tipologie di emergenza

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Capitolo 2: La risposta al disastro, chi interviene e come

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Capitolo 3: Analisi di Casi studio e rispettivi interventi

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Capitolo 4: Analisi del soggetto

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Capitolo 5: Stato attuale reale, caso studio Centi Colella

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Capitolo 6: Progetto sistemico

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