Le case di Giorgio

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Matteo e Giorgio Pelliti

La case di Giorgio “Stradario della memoria� in compagnia di mio padre

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Introduzione La mappa di una città racconta la storia della città. La sua toponomastica, poi, raccoglie la storia civile, culturale, religiosa, locale o nazionale che sia, sedimentata nel corso dei secoli. E le storie private, minime, individuali dove sono rappresentate? Occorre, per queste, un altro genere di mappa: sono mappe della memoria, “stradari della memoria” li potremmo chiamare; punti sensibili di una cartina immaginaria e visibili soltanto per chi ha vissuto in quei luoghi il succedersi dei piccoli e grandi accadimenti che formano le vite comuni: la nascita, i giochi d’infanzia, le scuole, gli amici, i parenti, i traslochi, le paure e i desideri, gli amori, l’iniziare ed il concludersi di una vita. Queste mappe hanno una “temperatura” emotiva tutta diversa dalle cartine ufficiali, dalle cartografie compresse nella specificità della loro funzione e della loro utilità. La facciata di una casa senza alcun interesse artistico, storico o architettonico diventa, allora, improvvisamente carica di significati, di storie, di memorie. Tracce che, con un piccolo o grande sforzo di ritraduzione in parola, in racconto, riemergono dal fotogramma del semplice ricordo privato per rianimarsi come cinema sulle facce di chi ha vissuto quei luoghi. Da questa semplice osservazione, ho preso l’idea di percorrere una mappa possibile dei ricordi di mio padre. L’idea era quella di camminare con lui, intervistandolo, per le strade di Sarzana (sua e mia città natale) alla ricerca delle case da lui abitate nel corso della vita e di alcuni angoli per lui significativi del centro storico. Il risultato non è “la vita” di mio padre, ma uno “stradario della memoria” possibile, uno tra i tanti “ritagliabili” tra i ricordi, gli aneddoti, le sensazioni, i racconti suscitati dall’accostarsi a certe case, a certe strade. Così, con una macchina fotografica ed un piccolo registratore, abbiamo fatto questa passeggiata indietro nel tempo (la cui versione ipertestuale è consultabile in un blog all’indirizzo http://sarzana.splinder.com ), di un tempo che non è “perduto”, perché capace ancora di arricchire e illuminare le nostre esperienze di oggi. E’ un percorso, io credo, che ognuno può tentare (per sé, per i propri affetti) e nel quale vedo, tra le altre cose, quasi un preciso compito della mia generazione: custodire e riconnettere tra loro memorie. Ringrazio mio padre per aver voluto condividere con me la sua. M.P.

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Siamo a Sarzana, Piazza San Giorgio: inizia da qui questo “stradario della memoria” percorso insieme a mio padre, Giorgio. M: Le prime cose che ti vengono in mente1 G: Le prime cose sono:….la ricostruzione della casa dopo la guerra, perché era stata bombardata e…. siccome una finestrella sulle scale era stata dotata di due…parapetti in ferro, due tubi poi praticamente, ma la vivevo come fosse il ponte di una nave, quindi sono i ricordi di gioco, ecco….. M: Quanti anni avrai avuto? G. Ehm….quattro o cinque anni. Oppure: affacciato alla finestra, vedere passare i camion americani, i primi “neri” li ho scoperti a guidare i camion americani che….le truppe, insomma, che tornavano indietro dal fronte e che ininterrottamente passavano, la sera, la mattina…..ma sono passati giorni e giorni con questi camion… M: Qui, tu, in pratica, sei nato in questa casa, no? G: Io sono nato qui e ci siamo stati fino a…..la terza media…dal ‘42 al ‘56 M: E il periodo..invece..in cui eravate “sfollati”? Cioè, la casa era stata abbandonata per i bombardamenti…. G. Una casa che ho abitato è qui in via Sobborgo Spina. Lì il ricordo è più legato agli animali che albergavano….: due cani, belli, grandi, da caccia….che venivano sotto la finestra e gli davamo da mangiare; noi abitavamo al secondo piano. E invece in casa, ricordo che una volta un topino andò sulle spalle del nonno, e lui lo mandò via: ma, insomma, mi sembrava che niente poteva aggradire il nonno, e quindi non mi faceva paura che ci fosse un topo in casa che gli era saltato sulle spalle. Oppure gli animali “dentro di me”, tipo Magritte (ride)….siccome avevo un attacco di…..come di…di vermi intestinali…e i vermi che avevo preso io, in montagna giocando con la terra erano quelli..unico, grande e quindi ricordo che me lo levò la nonna, mia mamma, mia madre (ridiamo forte entrambi) M. Poi questa la tagliamo…(ridendo) G. No: “gli animali”, vedi: ci sono delle cose…uno la memoria la deve organizzare M: Ma non eri qua? G: Ero in quella che che, venendo di là…ma ci andiamo. Invece questa era la casa che aveva davanti la Tettoia. (una struttura in ferro che un tempo copriva un mercato ortofrutticolo, e dove sua nonna materna vendeva frutta e verdura) So che avevo l’influenza il giorno in cui la demolirono. Ero alla finestra. E quindi qui ci giocavo con le tappe e con gli scatolini delle bibite e facevamo in questa piazza il Giro d’Italia col gesso, oppure qui salivo con la bicicletta le scale, perché avevo la bicicletta di Tina (una cugina) in prestito, e ho imparato ad andare in bicicletta in questa piazza.

1Ho preferito lasciare la trascrizione esatta della nostra conversazione: troverete, pertanto, le imperfezioni e la frammentarietà di un parlato che, in più, è impegnato in uno sforzo rammemorante e….podistico.

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Da Piazza San Giorgio ci spostiamo verso via Sobborgo Spina, in cerca della casa abitata appena conclusa la guerra. Ma prima incontriamo un’altra casa legata alla storia familiare…. G: Qui ci venivo perché in questa casa c’era nato mio padre; ma siccome la nonna non andava d’accordo con la cognata del nonno, era una zona off-limits: non bisognava arrivarci. Oppure, l’altro era: un cugino del nonno aveva una figlia handicappata, che urlava sempre e che abitava nella stessa casa, qui. Quindi erano luoghi di sofferenza.

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In via Sobborgo Spina (strada nota in dialetto sarzanese come Er bersagion…) G: Questo, il ricordo è proprio vivido: i due cani. Uno nero, da caccia, alto, orecchie lunghe: si mettevano lì, aspettavano: in tempo di famedella guerra! E qui dietro c’era già allora questo fossato del Bastione di Porta Parma. Il Bastione San Giorgio, uguale a questo, invece, fu demolito per dar posto alla Piazza. M: Quindi questa è la casa in cui siete venuti finita la guerra in attesa che ricostruissero quella di Piazza San Giorgio…? Di proprietà… di chi era? G: Era del Comune, che aveva assegnato delle case. Siccome siamo qui davanti la casa, anche l’Asilo è una “casa” per i bimbi. Questo è il mio asilo, è l’asilo di mio padre. Questo Asilo Infantile Spina era un parco giochi stupendo…..

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M: Ti ricordi il primo giorno dell’asilo? G: Non ho pianto, il primo giorno d’asilo. Invece, siccome sono sempre stato goloso – e anche questo lo taglierai - rimasi colpito la prima volta che vomitai il minestrone (ride) perché era separarmi da un cibo che avevo…. M: Era la prima volta che vomitavi!? G: Che prendevo “consapevolezza” del.., e quindi rimasi colpito che il cibo poteva entrare ma anche riuscire in questa forma perché era……. E poi era buffo che…. avevamo i tavoli come sulle navi: con tutti i buchi, con i piatti d’alluminio che s’incastravano nei buchi, perché come bimbi non potessimo buttarli

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Proseguiamo verso un’altra casa abitata da mio padre, e passiamo da un vialetto dal quale si può vedere il retro della casa di Piazza San Giorgio e il retro della Chiesa del Carmine…. M: Di qua si vede il retro di Piazza San Giorgio, no? G: Sì, ora ci hanno fatto una pensione, le scale antincendio di sicurezza che…per me erano inutili, vedere una scala “di sicurezza” mi sembra un controsenso perché un altro ricordo è che nei mie sogni di bambino cascavo dall’ultimo piano, come fosse un volo, e un po’ di paura il volo lo dà, ma poi mi attaccavo agli ultimi rami di un caco che c’era nella chiostra, nel giardino, e riuscivo sempre ad atterrare indenne. Quindi una “scala di sicurezza”….perché era un sogno ricorrente, questo del volare dalla finestra e salvarmi attaccato ai rami…

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Proseguiamo verso via Brigate Partigiane Muccini… G: Dal traffico che andava verso Parma, al traffico che andava verso Genova: ma questa costante di avere i camion che passavano, gli autobus, non disturbava il sonno; ma questa casa non aveva più la finestra che mi ero rappresentato come il ponte di una nave, i giochi infantili, e quindi era.. … un’altra esperienza M: Ma era più grande? Rispondeva all’esigenza di avere più spazio? G: Mentre ci avviamo…. mi colpì il fatto che avesse una parte di casa fuori del portone ed una parte dentro e che quindi diventò che.. si potevano dare delle camere in subaffitto, perché era fin troppo grande per il nostro uso. E anche lì il ricordo è di animali perché una volta, non so se fu vinto…un pulcino, che fu allevato in soffitta e mi sembrava strano allevare un pollo in soffitta!! (ride)

M: Dicevi che non sono più“case”, queste… G: Sì, qui, nel piccolo centro di Sarzana, ho notato che le case che ho abitato sono diventate uffici, negozi, etc. oppure pensioni: non c’è più una famiglia che “ci sta”. Allora quella era la nostra casa: la prima (finestra) in fondo era la nostra camera…che poi abbiamo finito per stare nella stessa camera con Graziella (sua la sorella); poi c’era la camera del nonno e della nonna, poi c’erano altre tre camere; le due ultime erano esterne al portone d’ingresso della casa. E qui è tutto il periodo liceale. Ricordo dei…ricordi dentro la casa, sì: lo studio con gli amici, le amiche ; oppure, rientrare tardi la notte senza avere il rimprovero dei genitori perché ero stato a sentire un consiglio comunale, ero rientrato una mattina alle sei; oppure uscivo con gli amici, ma non c’erano rischi…

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Verso la casa alla “Stazione”… G: Ricordo il passaggio da questa casa a quell’altra che sembrava….signorile, come dominato dall’ambizione; ma la condividevamo, perché passavamo da una zona d’intenso traffico ad una con giardino. E allora, anche lì il trasloco fu fatto, però, con un carretto della frutta e verdura, perché era così vicino che poteva essere portato personalmente…. più di una volta… G: E’ una casa, magari, che ricostringere con la mameroia…perché c’è morto il nonno, e quindi è una casa triste. Ci sono tornato anche a vederla dentro ma…ci fu anche proposto che potevamo riaffitarla ma, l’anno che andammo a vivere a Pisa, ma… so che mi disturbava come…era una cosa del passato.

M. Quindi qui hai passato gli ultimi anni del liceo e l’università..? G. Ultimi anni del Liceo, Università e poi lasciata per essermi sposato ed essere andato in quella di via Terzi

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La stazione.... G: Questi giardini erano per noi giardini di gioco, perché con Graziella (sua sorella) da Piazza San Giorgio venivamo qui prendere il nonno (loro padre) che tornava alle cinque della sera dopo una giornata…lui si alzava alle sei, prendeva il treno per La Spezia e tornava alle cinque del pomeriggio, ed era orgoglioso che i figli… non tante famiglie..non tanti operai avevano i figli che andavano …poi ci dava la mano, a Graziella e a me, e insomma … era la giornata che in quel momento ricominciava con il nonno, con il padre via…. ………………………. E in attesa che arrivasse il treno, che poi era un treno a vapore venivamo…. e un gioco era: venire su questa passerella e aspettare che passasse il treno a vapore, perché si rimaneva avvolt in… una… nube bianca del vapore e quindi era una specie di…. “gioco magico” M. E io ci venivo a vedere i treni….

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La prima casa da sposato, Via Terzi G: Questa è la casa che abbiamo abitato da sposi con Gabriella (mia mamma)…quelle due finestre…con, molto precari…supplenti annuali, e avevamo aspettato qualche mese che ci dessero questa casa, che era sempre occupata dalla proprietaria che si stava facendo questa… villa… e quindi ci lasciò quella casa….era nel ’68, appena dopo sposati: quella è stata la prima casa dopo il matrimonio… M: Quindi la prima dove avete potuto comprare qualcosa… G: Siì!…. Ma ero orgoglioso di poter ospitare i suoceri, di poter…erano tre ambienti…magari arredati…il lampadario di polistirolo, molta creatività (sorride) il letto fatto personalmente. Oppure: una svendita di pittura verde che ci permise di fare un verde scurissimo le pareti di casa (ride)

M: Dentro!!?? Verde scurissimo? E cos’era? (ridiamo) G: Le pazzie e la creatività dei giovani! Poi ricordo che qui davanti, al mercato, una cassetta di pesche costava all’ingrosso 20 lire. M: E piaceva alle rispettive famiglie, questa casa? G: Sì sì, dicevano che era una casa dignitosa, costruita con poco…con l’aiuto dei mobili nelle cantine delle famiglie (sorride) M: Ti ricordi quanto pagavate d’affitto e quant’era la proporzione tra l’affitto e lo stipndio del tempo? G: Allora, l’affitto era di 17.000 lire il mese; e gli stipendi di allora, un professore di scuola…era 150.000 lire, quindi un pochino più di un decimo dello stipendio. Oggi non ci sarebbe proporzione, perché una casa così verrebbe…500 euro al mese, se non di più anche 700…

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Il Viale della Stazione….. G: In questo viale il nonno lavorò come stradino, a fare…diciamo.. la massicciata, perché non esisteva….era una via sterrata questa, anche nelle vecchie foto si vede come via sterrata e allora pensare che l’aveva fatta mio padre ..ed era la strada che portava sia alla stazione che alla scuola,… mi sembrava una cosa ancora più familiare

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Le scuole elementari… G: Alle elementari non ricordo di aver avuto compagne di scuola: eravamo in classi separate. Noi entravamo di qua. Dal centro, credo che entrassero gli insegnanti, il Direttore, che era…un omone… M: E fare il preside di questa scuola ti sarebbe piaciuto? G: No, la figura di quel direttore non mi è mai tornata in mente legata al lavoro che poi ho fatto perché erano tempi…..comunque… dicevo, il primo ricordo era quando crollò il soffitto Il ricordo che mi balza agli occhi è: siccome era crollato per la festa della Madonna, dell’8 dicembre, il soffitto di alcune classi, compresa la mia… e praticamente.. noi non c’eravamo ma allora, come continuano a fare oggi i maestri, i giochini dei bimbi venivano “sequestrati”……. E avendomi sequestrato il maestro, una pistolina, una macchinina e altri giocattolini, e li teneva in un cassetto della scrivania, quando crollò il soffitto il dispiacere era che erano sequestrati i miei giochi in questa classe (sorride) e allora feci una cosa che mi riempì d’emozione perché ci permisero di andare a prendere, pochi alunni per volta, i quaderni che avevamo lasciato sotto i banchi e quando andai infransi un tabù e penetrai nel cassetto e mi ripresi i miei giocattolini perche era …insomma di fornte ad un cataclisma come era accaduto, la caduta del soffitto, mi ritenevo autorizzato…. M: Ma quanti anni avevi? G: Era laa… terza elementare, o quarta elementare…

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Piazza Garibaldi e il teatro Impavidi G: Ricordo che la nonna era amica della moglie del sindaco, il sindaco di Sarzana, allora, era una figura popolare e io, non so..forse, avevo chiesto a mia madre ….ma avevo 4-5 anni, cosa “fosse” il Sindaco…dato che lei parlava sempre del Sindaco, marito della sua amica, e me lo presentò e disse: “Ecco, vedi, un Sindaco è così fatto” (ridiamo). Lui rise. Fortunatamente è ancora vivo, e lo saluto tutte le volte che lo incontro. L’ho sentito in una conferenza, recentemente, sulla Resistenza e la Guerra in Spagna… E qui, invece, al Teatro: ci portarono, oppure venni, a vedere uno spettacolo che era tratto dal libro Cuore, forse Dagli Appennini alle Ande, ed era una scena buia…con qualcuno che moriva in scena: io ero in un palchetto, so che confondevo realtà e ….insomma, emozionarmi ed avere paura per le figure che c’erano, era....un approccio da bimbo col Teatro. Mentre ho invece… ho vivido il discorso che, siccome era anche cinema, e a mio padre piacevano le opere, si venne a vedere “I Pagliacci”, in versione cinematografica. E ricordo che mi attraeva così la musica che, quando c’erano vari intervalli etc…. mi misi a fare tipo…ma avevo...4 anni, il direttore d’orchestra; con mio padre che mi guardava un po’ beato di questa immagine. E questo mi rassicurava come se avessi fatto una cosa importante… M. Eravate in platea o in un palco? G: No, eravamo in piedi, in platea, perché era così affollato, ho proprio l’impressione, sulla destra c’era un po’ di posto, e con la luce accesa, ero ancora pieno della musica , tanto che continuavo nella testa questa musica de “I Pagliacci”.

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La casa di un compagno di scuola… G: La casa di Silvio, dove andavo ogni pomeriggio per fare i compiti con il mio amico di scuola, era anche la casa dei giochi e della pratica sportiva: si faceva allenamento alla boxe cercando di rispettare regole della nobile arte….come arbitro c’era Donato, il fratello più grande di Silvio. A merenda, quasi sempre c’era un panino con… salsiccia cruda, una vera golosità, le salsicce facevano bella mostra in cucina appese come gigantesche collane al camino….2*

2“Ciao Matteo, rispondo con sollecitudine, per non bloccare la pubblicazione, con le note che mi richiedi, anche se a freddo e non in presenza dei luoghi non è come i ricordi detti all’impronta” (ho chiesto a mio padre di integrare alcune foto con dei ricordi che sono rimasti esclusi dalla registrazione audio. I testi asteriscati sono frutto, pertanto, di ricordi “a freddo”

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In bici, verso la località Bradia, appena fuori dal centro‌.

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La casa dove sono nato io…..(Sarzana - frazione Bradia) G: Per la casa della Bradia, ovviamente in tuo onore, mi vien da ricordare che feci il trasloco mentre tu nascevi, anzi avevamo preso quella casa essendo arrivato il primo figlio; ma in verità il primo ricordo, e si usa dire che non si sa perché un ricordo ci venga in mente se non c’è l’analista a spiegarcelo, dicevo che il primo ricordo è che, per un piccolo rigagnolo c’era una vera infestazione di zanzare e il metodo per combatterle da me scelto era stato quello, in verità poco ecologico e rispettoso dell’ambiente, di… versare olio esausto di automobile nell’acqua in maniera da formare una pellicola che non facesse attecchire le larve di zanzara, fu per qualche tempo efficace ma ancora me ne vergogno.*

(M: Purtroppo non possiamo avvicinarci di più alla casa: rispetto a trent’anni fa ora c’è una recinzione ed un cancello (segno dei nostri tempi…) che circonda la zona. Abbiamo abitato qui dal marzo del 1972, cioé quando sono nato, fino al 1978. Poi ci siamo trasferiti in un’altra città. Quanto ai ”miei” ricordi” su questa casa spero, ovviamente, di poterli raccontare un giorno ad una figlia o ad un figlio. E che lui, o lei, sia interessato almeno un po’ ad ascoltarli...)

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La casa attuale…via della Fortezza……

G: La parola che sulla rubrica del cellulare ho associato alla casa attuale è “homeless” perché ha poco la mia impronta o il mio lavoro, ora che ho messo sul tetto una casa molto provvisoria: un gazebo, ne sono orgoglioso, anche perché assorbe molto le mie cure. E’ stato divelto da una tromba d’aria e già l’ho rimesso in piedi più forte “di pria”, e poi mi hai colto mentre alla sua ombra vi facevo una sonora dormita.*

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Titoli di coda

Mio padre ed io - Sarzana, via della Fortezza, 20 agosto 2005

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