Atti del Convegno -- L’Europa dopo Lisbona: Il Programma di Stoccolma.

Page 1

CENTRO LUNIGIANESE DI STUDI GIURIDICI

Firenze, 4-5 giugno 2010 Palagio dell’Arte della Lana, Via Arte della Lana 1

L’Europa dopo Lisbona: Il Programma di Stoccolma. Uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini.


«Cittadino italiano dentro i confini, ma fuori dei confini cittadino europeo; questa può apparire oggi una frase puramente sentimentale, ma potrà domani diventare una realtà giuridica» (Piero Calamandrei, Stato federale e confederazione di Stati, ottobre 1947).

(Tiziano Vecellio, Il ratto d'Europa (1559-62). Olio su tela, 185 x 205 cm. Isabella Stewart Gardner Museum, Boston)

2


CENTRO LUNIGIANESE DI STUDI GIURIDICI

Firenze, 4-5 giugno 2010 Palagio dell’Arte della Lana, Via Arte della Lana 1

L’Europa dopo Lisbona: il Programma di Stoccolma. Uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini.

Venerdì 4 giugno 2010

Ore 15.00 Indirizzi di saluto DOTT. FABIO MASSIMO DRAGO (Presidente della Corte d’Appello di Firenze) DOTT.SSA ANTONIETTA FIORILLO (Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, Segretario Generale di Magistratura Indipendente) DOTT. ANTONIO PATRONO (Componente del Consiglio Superiore della Magistratura) Ore 15.30 Lectio Magistralis L’Europa del diritto. PROF. CESARE MIRABELLI (Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Ordinario nell’Università di Roma Tor Vergata) Ore 16.00 Prima Sessione L'accesso alla giustizia 3


Presiede: PROF. MARIO CICALA (Consigliere della Corte di Cassazione)

Introduzione. PROF. AVV. REMO CAPONI (Ordinario nell’Università di Firenze) La cooperazione giudiziaria civile. DOTT. ROBERTO CONTI (Giudice del Tribunale di Palermo, Comitato scientifico del Consiglio Superiore della Magistratura) Titolo esecutivo e procedure concorsuali. DOTT. COSIMO D’ARRIGO (Giudice del Tribunale di Messina) La cooperazione giudiziaria penale. DOTT. FRANCESCO LO VOI (Membro nazionale rappresentante dell'Italia presso Eurojust) Il sistema delle rogatorie nel quadro europeo. DOTT.SSA TERESA ANGELA CAMELIO (Magistrato di collegamento italiano in Francia) Lotta alla corruzione nel programma di Stoccolma. DOTT. FABRIZIO GANDINI (Giudice del Tribunale di Roma) I delitti transnazionali - Nuovi modelli di incriminazione e di procedimento all’interno dell’Unione europea. DOTT. ANTONIO LAUDATI (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari) Il diritto penale «flessibile». DOTT.SSA ANDREANA ESPOSITO (Ricercatrice nella Seconda Università degli Studi di Napoli) Ore 18.00 Seconda Sessione Il dialogo tra giudici Presiede: ON. CARLO CASINI (Eurodeputato, Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo) 4


Introduzione. DOTT. GUIDO RAIMONDI (Giudice della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) Corti sovranazionali e giudici nazionali. PROF. ALESSANDRO PALMIERI (Associato nell’Università di Siena) L’incidenza della giurisprudenza di Strasburgo e l’adesione dell’UE alla CEDU. DOTT.SSA PAOLA ACCARDO (Coagente del Governo italiano presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo)

I rapporti tra giudici e magistrati del pubblico ministero nella prospettiva del Consiglio d'Europa. La "Dichiarazione di Bordeaux". DOTT. ANTONIO MURA (Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Segretario Generale della International Association of Judges) La Corte di Cassazione e la Corte di Giustizia. DOTT. TINDARI BAGLIONE (Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione)

Ore 21.00 Cena di gala **** Sabato 5 giugno 2010 Ore 9.00 Terza Sessione Il dialogo tra giudici. Il rinvio pregiudiziale al giudice comunitario Workshop sui profili tecnici del rinvio pregiudiziale Introduzione e coordinamento: PROF. AVV. ROBERTO MASTROIANNI (Ordinario nell’Università di Napoli “Federico II”) 5


Ne discutono: DOTT. DANIELE DOMENICUCCI (Referendario presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Tribunale) DOTT. MATTIA MELLONI (Referendario presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Tribunale) DOTT. BRUNO GENCARELLI (Commissione Europea, Servizio Giuridico) DOTT. STEFANO GIAIME GUIZZI (Assistente di studio della Corte Costituzionale) DOTT. GIANLUIGI PRATOLA (Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario) Ore 11.00 Quarta Sessione Tavola rotonda Il Programma di Stoccolma: l'accesso alla giustizia, cittadinanza e i diritti fondamentali, sicurezza interna e politica migratoria. Le prospettive di politica del diritto Introduce e coordina: DOTT. ALESSANDRO GALIMBERTI (Giornalista de “Il Sole-24 Ore”) Ne discutono: ON. ANTONIO TAJANI (Vicepresidente della Commissione europea, responsabile di Industria ed imprenditoria) ON. ANDREA RONCHI (Ministro per le Politiche Europee) ON. MICHELE GIUSEPPE VIETTI (Deputato, Componente della Commissione Giustizia) SEN. SILVIA DELLA MONICA (Senatrice, Componente della Commissione Giustizia) DOTT. STEFANO DAMBRUOSO (Capo dell’Ufficio per il coordinamento dell'attività internazionale del Ministero della Giustizia) AVV. CELESTINA TINELLI Magistratura)

(Componente

del

Consiglio

Superiore

della

DOTT. COSIMO MARIA FERRI (Componente del Consiglio Superiore della Magistratura) DOTT. STEFANO SCHIRÒ (Consigliere della Corte di Cassazione, Presidente di Magistratura Indipendente) Ore 13.30 6


Colazione di lavoro Ore 15.00 Quinta Sessione La formazione dei professionisti della giustizia La formazione europea dei magistrati e la prospettiva di un’Accademia giudiziaria europea Presiede: PROF. MASSIMO VARI (Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale)

Ne discutono: M. SAMUEL VUELTA-SIMON (Directeur adjoint de l'Ecole Nationale de la Magistrature - ENM) PROF. HANS-W. MICKLITZ (Department of Law, European University Institute -EUI) DR. HEUSEL WOLFGANG (Director of the Academy of European Law - ERA) PROF. PASCUAL ORTUÑO MUÑOZ (Director de la Escuela Judicial Consejo General del Poder Judicial) DOTT. GIULIO ROMANO (Componente del Consiglio Superiore della Magistratura) DOTT.SSA MARGHERITA CASSANO (Consigliere della Corte di Cassazione) DOTT. FABIO LICATA (Giudice del Tribunale di Palermo, Comitato scientifico del Consiglio Superiore della Magistratura) Conclusioni: DOTT. CLAUDIO GALOPPI (Magistrato segretario presso il Consiglio Superiore della Magistratura, Rete Europea di Formazione Giudiziaria - REFG)

Con il sostegno della Fondazione della formazione dell’Ordine degli Avvocati di Firenze Ai sensi del Regolamento sulla Formazione professionale continua del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze del 16.12.2009 la partecipazione al corso consente l'attribuzione di n. 1 credito formativo per ogni ora di effettiva presenza.

Coordinamento scientifico Claudio Galoppi (Magistrato addetto alla segreteria del Consiglio Superiore della Magistratura) Gianluca Grasso (Giudice del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere)

7


Alessandro D’Andrea (Magistrato addetto all’Ufficio Studi del Consiglio Superiore della Magistratura) Leonardo Circelli (Magistrato addetto alla segreteria del Consiglio Superiore della Magistratura)

Segreteria organizzativa Filomena Di Santo, tel. 3204325481 - Loredana Scopino, tel. 3204325492 - loredana.scopino@virgilio.it

8


INDICE

Claudio Galoppi - Gianluca Grasso, Dopo Lisbona, verso Stoccolma: l’Europa del Diritto e della Giustizia. Franco Frattini, Intervento Michele Giuseppe Vietti, Intervento Roberto Conti, Come interpretare i regolamenti dell'UE in tema di cooperazione giudiziaria in materia civile. Teresa Angela Camelio, Le commissioni rogatorie e il ruolo del magistrato di collegamento nello spazio Shengen Fabrizio Gandini, Unione Europea e lotta alla corruzione Antonio Laudati, I delitti transnazionali. Nuovi modelli di incriminazione e di procedimento all’interno dell’Unione Europea Andreana Esposito, Il diritto penale flessibile Carlo Casini, Intervento Guido Raimondi, Il dialogo tra giudici: introduzione. Alessandro Palmieri, Il dialogo tra giudici nazionali e corti sovranazionali: lo stato dell’arte in Europa e le prospettive nell’ottica del Programma di Stoccolma Paola Accardo, Spunti problematici sull’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali Antonio Mura, I rapporti tra giudici e magistrati del pubblico ministero nella prospettiva del consiglio d’Europa. La “dichiarazione di Bordeaux”. Mattia Melloni, I requisiti formali delle decisioni di rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia dell’unione europea. Daniele P. Domenicucci, Sui profili patologici del meccanismo del rinvio pregiudiziale Stefano G. Guizzi, La pregiudiziale comunitaria nella giurisprudenza della Corte costituzionale dopo l’ordinanza n. 103 del 2008 Stefano Dambruoso, Programma di Stoccolma e le sue connessioni con il Trattato di Lisbona. Alcune iniziative e proposte del Ministero della Giustizia Cosimo Maria Ferri, L'Europa dei cittadini: lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia Celestina Tinelli, Intervento Samuel Vuelta Simon, L’évolution de la formation en Europe

9


Claudio Galoppi - Gianluca Grasso Dopo Lisbona, verso Stoccolma: l’Europa del Diritto e della Giustizia.

Sommario: 1. Dopo Lisbona, verso Stoccolma: il “grandioso” e “faticoso” processo verso l’unità giuridica europea. - 2. La Comunicazione della Commissione europea sulla formazione giudiziaria: “alimentare la fiducia in una giustizia europea: una nuova dimensione per la formazione giudiziaria europea”. - 3. Il Convegno di studi “L’Europa dopo Lisbona: il Programma di Stoccolma. Uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini”. - 4. La formazione giudiziaria in ambito europeo del Consiglio Superiore della Magistratura: il piano d'azione European Gaius.

1. Dopo Lisbona, verso Stoccolma: il “grandioso” e “faticoso” processo verso l’unità giuridica europea. Il “grandioso” e “faticoso” processo1 verso l’unità europea politica e giuridica ha in questi ultimi anni compiuto ulteriori, importanti, passi in avanti. Si sono, infatti, verificate alcune circostanze che stanno rapidamente modificando non solo la cornice di riferimento della formazione giudiziaria in Europa ma anche i suoi contenuti. Il primo dato fondamentale è che, secondo il Trattato di Lisbona, vi è una base legale per gli interventi dell'Unione europea nell'ambito della formazione giudiziaria (artt. 81, co. 2, lett. h) e 82, co. 1, lett. c), TFUE). Tale evenienza determinerà, da un lato, maggiori possibilità di finanziamenti e di progetti specifici in favore degli Stati membri dell'Unione per rafforzare la formazione del corpo giudiziario sui temi del diritto europeo, in ragione del principio di sussidiarietà. Priorità della Commissione, inoltre, a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è rappresentata dalla tutela dei diritti fondamentali e dalla loro effettività. Tali obiettivi non possono essere realizzati senza che vi siano dei giudici sull'intero territorio dell'Unione in grado di dare una pronta e puntuale attuazione alle domande di giustizia.

1

P. Grossi, L’Europa del diritto, Roma-Bari 2007, 253.

10


Il nodo fondamentale, pertanto, è costituito dalla conoscenza del diritto europeo da parte degli operatori della Giustizia e, in primo luogo, dei magistrati, chiamati ad applicare il diritto in caso di conflitto tra le parti. Si spiega in tal senso l'attenzione posta dalle Istituzioni dell'Unione alla formazione europea dei magistrati e l'ampiezza dei fondi disponibili. In questa prospettiva si muovono le azioni della Commissione europea, che culmina nella Comunicazione del 13 settembre 2011, e del Parlamento europeo, che ha commissionato uno studio sulla formazione giudiziaria in diritto europeo di prossima pubblicazione2, e che si appresta a varare un progetto pilota per favorire la cultura giudiziaria in Europa.

2. La Comunicazione della Commissione europea sulla formazione giudiziaria: “alimentare la fiducia in una giustizia europea: una nuova dimensione per la formazione giudiziaria europea”. Il 13 settembre 2011 la Commissione europea ha diffuso la Comunicazione sulla formazione giudiziaria: “alimentare la fiducia in una giustizia europea: una nuova dimensione per la formazione giudiziaria europea”. La formazione giudiziaria assume un ruolo fondamentale nell'ordinamento europeo, essendo strettamente funzionale allo sviluppo dello spazio giudiziario europeo3. La corretta applicazione del diritto dell’Unione, che

<https://www.era.int/cgibin/cms?_SID=9923c0a5e06abf4b0a3e01bbc9797a4138a616f000154699003521&_sprache=en&_bereich=artikel& _aktion=detail&idartikel=122256> 3 In dottrina, sulla formazione giudiziaria in ambito europeo: AA.VV., Come formare i magistrati: l’esperienza italiana ed europea, in Questione giustizia, 2004, 879 (con contributi di: M.G. CIVININI, La formazione dei magistrati: bilanci e prospettive; P. MOROSINI, I metodi della formazione; M. ACIERNO, Insegnare la deontologia: una sperimentazione; G. ICHINO, Quattro anni di formazione decentrata: una esperienza da non cancellare; L. VALGOLIO, La preparazione e l’aggiornamento professionale dei magistrati nella repubblica federale di Germania; C.G. MARTINEZ, Il rinnovamento della scuola della magistratura spagnola e M.-L. ROBINEAU, La formazione del magistrato francese); AA.VV., La partecipazione dell’Italia alla rete europea per la formazione giudiziaria - L’attività del consiglio superiore della magistratura (1998-2002), in Quaderni cons. sup. magistratura, 2002, fasc. 129, 3; AA.VV., Per una formazione europea dei magistrati (atti degli incontri di studio a carattere internazionale realizzati dal consiglio superiore della magistratura nel quadriennio 1998-2002), vol. V: tomo II, Roma, 13-16 maggio 2002, in Quaderni cons. sup. magistratura, 2003, fasc. 134, 755 (incontro di studio sul tema: «Seminario di informazione sul sistema giudiziario italiano (settore civile e penale) per magistrati di paesi membri dell’Ue», relazioni di: M. LAUDI, C. 2

11


dipende in larga misura - anche se non esclusivamente - dall'attività svolta dalle giurisdizioni nazionali, costituisce un elemento imprescindibile per il rispetto delle libertà sancite nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Le Istituzioni europee hanno nel tempo adottato diversi documenti di riferimento. Tra i principali atti4 vanno ricordati: la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, del 29 giugno 2006 sulla formazione giudiziaria nell'Unione europea (COM(2006) 356 def); la Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei

D’ARRIGO, F. MANGANO, T. MASSA, G. LEO, B. CAPPONI, F. DE STEFANO, A. DE MATTEIS, L. DE RENZIS; incontro di studio sul tema: «La cooperazione giudiziaria in materia penale: le problematiche di linguaggio giuridico (francese e inglese)», 24-28 giugno 2002, relazioni di S. OVEREND, M. MAHE, M. ADDEZIO, J.-D. SARCELET, D. CARPONI SCHITTAR, F. FRANCHI, L. VICHNIEVSKY, S. REGIS, E. BARBE; incontro di studio sul tema: «Secondo seminario sulla fase esecutiva del processo penale in Europa: sistemi sanzionatori a confronto e titolo esecutivo penale», 7-9 ottobre 2002, relazioni di I. KOECK, M.-F. BERRENDORF, J. FIGUEIREDO, F. KEANE, S. REIMER, M. C. CUNHA, M. C. SAJONZ e D. SERAN); AA.VV., Verso la scuola della magistratura, in Questione giustizia, 2009, fasc. 2, 87 (con contributi di: V. FAZIO, Introduzione (perché fare oggi il punto sulla formazione?); A. ORSENIGO, I nodi della formazione: questioni di metodo e scelte politiche; L. BARRECA, La formazione permanente dei magistrati: bilanci e prospettive; G. ICHINO, Perché una scuola della magistratura e R. MARINO, Formazione e scuola della magistratura nel contesto europeo); G. BRONZINI, Il giudice italiano come giudice europeo: informazione, formazione, partecipazione, in Dir. uomo, 2008, fasc. 2, 18; D. CAPPUCCIO-G. GRASSO-A. MUNGO, La Corte di giustizia vista da vicino: note, impressioni e spunti critici di tre giudici italiani, in Contratto e Impresa/Europa, 2010, 887; D. CIMMINO, In margine alla formazione del magistrato nel quadro dello spazio giuridico europeo, in Nuovo dir., 2005, 1000; G. CONSO, Il ruolo e la formazione dei giudici europei - Problemi e prospettive, in Documenti giustizia, 1993, 1907; R. CONTI, Giurisdizione, diritto europeo e ricerca di nuove strategie della formazione dei giudici, in <http://www.europeanrights.eu/getFile.php?name=public/commenti/Conti__diritto_europeo_e_formazione_ dei_giudici.doc> L. CRISTANELLI, Formazione e selezione del magistrato in un’analisi comparata di civil law, in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2008, 1515; A. D’ALTERIO, Formazione dei giudici, arriva la Rete europea di formazione giudiziaria (Refg), in Dir. e giustizia, 2004, fasc. 13, 102; G. DIOTALLEVI, La dimensione europea della formazione dei magistrati, in Questione giustizia, 2003, 1239; V. ESPOSITO, La libertà degli stati nella scelta dei mezzi attuativi delle sentenze della corte europea dei diritti umani, in Dir. uomo, 2002, fasc. 1, 17; S. FARO, Sistemi informativi per l’accesso transnazionale alla giurisprudenza dei giudici europei, in Informatica e dir., 2008, fasc. 1, 5; F. GIAMPIETRO, La conoscenza del diritto europeo e la formazione del magistrato, in Documenti giustizia, 1992, fasc. 1, 53; G. MUSCOLO, La formazione europea del magistrato francese, in Documenti giustizia, 1997, 1131; G. OBERTO, La formazione dei magistrati alla luce dei principi internazionali e dei profili di diritto comparato, Padova 2008, pag. XXII-232; G. OBERTO, La formazione professionale dei magistrati italiani nell’ottica della formazione del giurista europeo, in Riv. dir. privato, 2003, 173; S. SENESE, La formazione dei magistrati in Europa ed il ruolo dei sindacati e delle associazioni professionali - Quale formazione, per quale giustizia, in quale società?, in Foro it., 1991, V, 537; J. L. V. SOTELO, Sistemi giuridici e formazione di giudici e avvocati (la pratica forense in Europa), in Rass. forense, 1996, 43; C. STASI, La formazione dei magistrati nel panorama europeo e italiano, in Studi senesi, 2008, 465. 4 Tutti i documenti sono consultabili sul sito <http://eur-lex.europa.eu/it/index.htm> e sul sito dedicato dal Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) alla formazione giudiziaria nel settore europeo <http://www.csm.it/gaius/index.html> nell'ambito del progetto European Gaius (Consiglio Superiore della Magistratura, deliberazione, 13 aprile 2011, in Foro it., 2011, III, 341 con nota di GRASSO; il testo integrale di quest’ultima delibera, comprensiva dell’annesso studio allegato, si può leggere in Merito e Extra).

12


governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio relativa alla formazione dei giudici, dei procuratori e degli operatori giudiziari nell'Unione europea (2008/C 299/01); la Risoluzione del Parlamento europeo del 9 luglio 2008 sul ruolo del giudice nazionale nel sistema giudiziario europeo (2007/2027(INI)); lo Studio sul rafforzamento della formazione giudiziaria nell'Unione europea a cura dei servizi del Parlamento europeo (2009). Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel dicembre 2009, ha garantito una base giuridica allo sviluppo delle azioni in materia di formazione giudiziaria europea (artt. 81, co. 2, lett. h) e 82, co. 1, lett. c), TFUE). Nel dicembre 2009 il Consiglio ha adottato il Programma di Stoccolma - Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, con l'obiettivo, tra gli altri, di promuovere un'autentica cultura europea in materia giudiziaria e di applicazione delle legge. La Commissione europea ha di seguito adottato un Piano d'azione per l'attuazione del programma di Stoccolma (COM(2010) 171 definitivo). Il Parlamento europeo, da parte sua, ha adottato la Risoluzione del 17 giugno 2010 sulla formazione giudiziaria e il programma di Stoccolma (P7_TA(2010)0242), indicando le sue prioritĂ in materia. La Comunicazione del 13 settembre 2011 si inserisce in tale contesto, nella prospettiva di rafforzare la cultura giudiziaria europea. In preparazione della Comunicazione, alla fine del 2010, la Commissione europea aveva lanciato una vasta consultazione con lo scopo di ricevere commenti e punti di vista delle Istituzioni e degli enti che si occupano di formazione giudiziaria5. Secondo la Commissione europea, la formazione sull'acquis dell'Unione dovrebbe essere sistematicamente integrata nella formazione iniziale degli operatori del diritto, per riflettere il modo in cui il diritto dell'Unione e la legislazione nazionale interagiscono e influenzano la loro pratica quotidiana. La Commissione europea, pertanto, ha invitato gli Stati membri e i professionisti del diritto a garantire che gli operatori del diritto, specialmente giudici e procuratori, ricevano nel corso della loro carriera almeno una

Amplius: justice.europa.eu/newsManagement.do?idNews=25&action=show&plang=it&init=true> 5

13

<https://e-


settimana di formazione sull'acquis e sugli strumenti dell'Unione. Per il raggiungimento di questi obiettivi, rilevandosi che la strada per la formazione di una cultura giudiziaria europea non può che passare per una dimensione organizzativa sovranazionale, la Commissione ha dichiarato il suo intendimento di rafforzare la cooperazione tra i portatori di interessi e incoraggiare attivamente consorzi o raggruppamenti regionali di scuole forensi nazionali a sviluppare azioni comuni di formazione. Il futuro programma di formazione europea, diretto a sviluppare un'autentica cultura giudiziaria europea, si baserà, innanzitutto, su iniziative degli Stati membri. A questi ultimi, infatti, appartiene in primis la responsabilità della formazione giudiziaria. Si intende, in tal modo, partire dalle capacità esistenti al fine di sviluppare le attività di formazione sull'acquis dell'Unione promosse da scuole forensi o da professioni giuridiche. A tale apporto deve essere aggiunto quello degli altri soggetti che si occupano di formazione nel contesto europeo, quali le organizzazioni professionali a livello europeo, gli Istituti di formazione e la Rete Europea di Formazione Giudiziaria. Sul piano istituzionale, infine, si colloca l'azione della Commissione europea, che assume l'impegno ad incrementare il suo sostegno finanziario a progetti di formazione di alta qualità e a promuovere consorzi di scuole giudiziarie. L'obiettivo quantificato è quello di giungere a offrire una sessione di formazione giudiziaria europea o uno stage a 700.000 operatori del diritto entro il 2020 e di sviluppare l'uso di tecnologie moderne e in particolare del portale europeo della giustizia elettronica6. La Commissione europea ha invitato tutti gli interessati a prendere iniziative adeguate e ad assumere impegni chiari sul piano degli stanziamenti, della messa a disposizione del tempo necessario e sviluppando i necessari incentivi.

3. Il Convegno di studi “L’Europa dopo Lisbona: il Programma di Stoccolma. Uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini”.

6

<https://e-justice.europa.eu/home.do>

14


Il 4-5 giugno, a Firenze, si è tenuto il Convegno di studi organizzato da Magistratura Indipendente e dal Centro Lunigianese di Studi Giuridici sul tema “L’Europa dopo Lisbona: il Programma di Stoccolma. Uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadini”. Il seminario ha rappresentato un importante momento di confronto sul tema della Giustizia, cui hanno partecipato tutte le anime della Magistratura, l’Accademia e la classe forense. L’intento che ha spinto ad organizzare questo incontro di studi era quello di stimolare una riflessione sul nuovo contesto europeo in cui si troveranno ad agire gli operatori della Giustizia dopo le importanti innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona e che ha preso forma nel Programma di Stoccolma. Alla conclusione dei lavori possiamo dire che l’obiettivo prefissato è stato pienamente raggiunto. Hanno preso parte alle diverse sessioni alcuni tra i più autorevoli esperti dei temi europei e nutrita è stata la partecipazione ai lavori da parte di magistrati e di avvocati del libero foro. Le giornate di studio si sono articolate in tre sessioni principali: 1) l’accesso alla giustizia, nelle forme della cooperazione giudiziaria civile e penale; 2) il dialogo tra giudici, con particolare riguardo ai rapporti tra Corti sovranazionali e giudici nazionali e alla adesione dell’UE alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU); 3) la formazione dei professionisti della giustizia, con particolare attenzione alla formazione europea dei magistrati e alla prospettiva di un’Accademia giudiziaria europea. I lavori sono stati aperti dall’intervento del Ministro degli Affari Esteri On. Franco Frattini che ha delineato il quadro dei futuri interventi nel settore dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Ricca di spunti ricostruttivi è stata la lectio magistralis del Prof. Cesare Mirabelli, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Ordinario nell’Università di Roma Tor Vergata. 15


L’On. Michele Giuseppe Vietti (attuale Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura) ha offerto un intervento di ampio respiro sui temi della Giustizia tra ordinamento interno ed europeo. La sessione sull'accesso alla giustizia è stata presieduta dal Prof. Mario Cicala, Consigliere della Corte di Cassazione, con gli interventi del prof. Remo Caponi (Ordinario nell’Università di Firenze), del dott. Roberto Conti (Giudice del Tribunale di Palermo), del dott. Cosimo D’Arrigo (Giudice del Tribunale di Messina, attuale consigliere della Corte di Cassazione), del dott. Francesco Lo Voi (Membro nazionale rappresentante dell'Italia presso Eurojust), della dott.ssa Teresa Angela Camelio (Magistrato di collegamento italiano in Francia) e del dott. Fabrizio Gandini (Giudice del Tribunale di Roma) L’On. Carlo Casini, Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo, ha tenuto un intervento a margine della sezione sul dialogo tra giudici. La sessione su “Il dialogo tra giudici” ha visto il confronto tra il dott. Guido Raimondi (Giudice della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), intervenuto sul tema delle Corti sovranazionali

e giudici nazionali, il prof. Alessandro Palmieri (Associato

nell’Università di Siena) sia trattato il tema della incidenza della giurisprudenza di Strasburgo e l’adesione dell’UE alla CEDU, la dott.ssa Paola Accardo (Coagente del Governo italiano presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), e il dott. Antonio Mura (Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Segretario Generale della International Association of Judges e attuale Segretario Generale della Procura Generale), sui rapporti tra giudici e magistrati del pubblico ministero nella prospettiva del Consiglio d'Europa e la c.d. "Dichiarazione di Bordeaux". Nella giornata di sabato si è tenuto un importante workshop - coordinato dal Prof. Roberto Mastroianni, Ordinario nell’Università di Napoli “Federico II” - sui profili tecnici del rinvio pregiudiziale. Ai lavori haano partecipato il dott. Daniele Domenicucci (Referendario presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Tribunale), il dott. Mattia Melloni (Referendario presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Tribunale), il dott. 16


Bruno Gencarelli (Commissione Europea, Servizio Giuridico), il dott. Stefano Giaime Guizzi (Assistente di studio della Corte Costituzionale) e il dott. Gianluigi Pratola (Magistrato addetto al Massimario della Corte di Cassazione). Prima della tavola rotonda sulle prospettive di politica del diritto di Stato l'intervento dell’On. Antonio Tajani (Vicepresidente della Commissione Europea, Responsabile di Industria ed imprenditoria). La tavola rotonda ha visto il confronto tra la Sen. Silvia Della Monica (Senatrice, Componente della Commissione Giustizia), il dott. Stefano Dambruoso (Capo dell’Ufficio per il coordinamento dell'attività internazionale del Ministero della Giustizia) e i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, avv. Celestina Tinelli e il dott. Cosimo Maria Ferri. La sezione sulla formazione dei professionisti della giustizia, presieduta dal Prof. Massimo Vari, Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale, con la partecipazione di Samuel Vuelta-Simon (Direttore aggiunto de la Scuola Nazionale della Magistratura francese), del Prof. Hans-W. Micklitz (Istituto Universitario di Firenze), del dott. Wolfgang Heusel (Direttore dell’Accademia di Diritto Europeo – ERA), del Prof. Pascual Ortuño Muñoz (Direttore della Scuola della Magistratura spagnola), e del dott. Claudio Galoppi (giudice del Tribunale di Milano, all'epoca Magistrato addetto alla Segreteria del CSM e punto di contatto della Rete Europea di Formazione Giudiziaria). I diversi interventi e contributi hanno tracciato le linee di evoluzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, rimarcando come il processo di creazione di tale spazio sia entrato ora in una fase decisiva. Tra i vari obiettivi posti dal programma di Stoccolma si evidenziano: la priorità di promuovere la cittadinanza e i diritti fondamentali attraverso il reale godimento delle libertà sancite dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo; la tutela della sfera privata del cittadino oltre le frontiere nazionali, specie attraverso la protezione dei dati personali; il pieno esercizio dei diritti specifici dei cittadini europei e non, anche al di fuori dell'Unione; il rispetto delle particolari esigenze delle persone vulnerabili. Grandi sono le aspettative nei riguardi del nuovo quadro 17


pluriennale da parte dell’opinione pubblica e dei cittadini. Il fine è quello di avere gli stessi diritti e lo stesso senso di sicurezza in tutta l'Unione europea. In tale contesto appare essenziale la formazione degli operatori del diritto: magistrati, avvocati e personale amministrativo delle giurisdizioni. L’effettività del diritto europeo, infatti, passa attraverso l’interpretazione e l’applicazione delle norme e una sede privilegiata e fondamentale, proprio per consentire una piena attuazione dei diritti del cittadino e delle professioni in ambito europeo, è quella giudiziaria. L’obiettivo è quello di creare una cultura giuridica europea. Ogni giudice, ogni avvocato deve essere anche un giurista e un interprete europeo. Particolarmente sentito è il riferimento all’autorità giudiziaria da parte della Commissione Europea: «national judges must become true union law judges», come chiarito da Viviane Reding Vice Presidente della Commissione europea con delega per la giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza 7. Nell'ordinamento italiano, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) sta operando attivamente per realizzare una effettiva cultura giudiziaria europea.

4. La formazione giudiziaria in ambito europeo del Consiglio Superiore della Magistratura: il piano d'azione European Gaius. Tra le più sollecite Istituzioni nell'introdurre il diritto europeo nella programmazione annuale, il CSM è stato tra i promotori della Rete Europea di Formazione Giudiziaria, nella consapevolezza del ruolo fondamentale della magistratura per la creazione di uno spazio giuridico europeo. Al fine di consentire ai magistrati italiani un salto di qualità in termini di conoscenza del diritto europeo, il CSM ha approvato nel corso del 2011 il piano d'azione European

Viviane Reding Vice-President of the European Commission responsible for Justice, Fundamental Rights and Citizenship A European Law Institute: an Important Milestone for an Ever Closer Union of Law, Rights and Justice Speech at the European University Institute Florence, 10 April 2010, in <http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=SPEECH/10/154&format=HTML&aged=0&langu age=EN&guiLanguage=en> 7

18


Gaius in tema di formazione giudiziaria con particolare riferimento al diritto europeo 8. Il progetto European Gaius, che trae spunto dal programma Eurinfra lanciato in Olanda nel 2000, rappresenta uno dei più ampi interventi organici in tema di formazione giudiziaria europea. L’intento è quello di rafforzare la conoscenza del diritto europeo da parte dei magistrati e delle strutture giudiziarie. Il progetto, che rappresenta il culmine e, al contempo, il nuovo punto di partenza dell'impegno nella formazione profuso dal CSM, con particolare riguardo ai profili di diritto europeo, propone un intervento formativo di largo respiro, da realizzare attraverso tre azioni mirate al fine di consentire ai magistrati italiani un salto di qualità in termini di conoscenza del diritto europeo. La prima azione riguarda l'incremento dei corsi destinati al diritto europeo in sede di formazione centrale e decentrata, con particolare riguardo ai profili linguistici, nonché la previsione, ove possibile, di specifiche sessioni di diritto europeo nell'ambito dei corsi riguardanti temi di diritto nazionale. La seconda azione concerne l'istituzione, presso gli Uffici dei Referenti per la formazione decentrata, accanto ai magistrati con specifiche competenze nei settori penale e civile, della figura del magistrato con competenza nel settore del diritto europeo. La terza azione attiene all'istituzione, nell'ambito del sito cosmag, di una pagina web (e-G@ius: electronic Gaius) che consenta un rapido e completo accesso alle azioni formative svolte e in corso di svolgimento, ai materiali didattici del CSM, a tutte le fonti europee e alla giurisprudenza nazionale e sopranazionale. Il progetto European Gaius è stato ufficialmente presentato a Roma durante il seminario di studi del 10 giugno 2011, organizzato dal CSM presso la Sala Conferenze. L'incontro, a cui hanno partecipato le principali Istituzioni nazionali che si occupano di formazione giudiziaria, unitamente alla Commissione europea, è stato promosso per condividere le diverse esperienze maturate a livello nazionale nell'ambito della Consiglio Superiore della Magistratura, deliberazione, 13 aprile 2011, in Foro it., 2011, III, 341 Il testo integrale di quest’ultima delibera, comprensiva dell’annesso studio allegato, si può leggere in Merito e Extra del Foro italiano nonché sul sito <http://www.csm.it/gaius/index.html>. 8

19


formazione giudiziaria in diritto europeo, con la finalitĂ di rafforzare la conoscenza del diritto europeo da parte dei magistrati e delle strutture giudiziarie. Gli atti del colloquio sono in corso di pubblicazione. Il piano d'azione si trova nella sua fase di attuazione. Le prime pagine del sito web sono state inserite sul sito <cosmag>, anche in versione inglese9.

9

<http://www.csm.it/gaius/index.html>

20


Franco Frattini

Ringrazio moltissimo Lei, Presidente, per le sue parole. Sono stato particolarmente lieto di accogliere questo invito, rivoltomi dal Segretario Generale di Magistratura Indipendente: saluto, quindi, il Segretario Generale, la Dottoressa Fiorillo, ma anche i componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, che sono qui, e, ovviamente, il Presidente Mirabelli. Certamente, la mia presenza oggi è, in primo luogo, l’occasione per dirvi quanto io abbia seguito il tema dell’incontro odierno. Dunque, il mio saluto sarà anche un po’ un’ opportunità per ritornare su una tematica che ho affrontato direttamente, da Vicepresidente della Commissione europea, fino agli inizi del 2008; vedo qui Lorenzo Salazar che ha con me vissuto quell’avventura nel mio Gabinetto di Bruxelles. È chiaro che il tema che voi avete scelto per questo incontro è un particolarmente vivo ed attuale. Probabilmente, il programma di Stoccolma, cui il Presidente della Corte d’Appello faceva riferimento, è uno dei settori su cui il Trattato di Lisbona ha consentito di fare i maggiori passi avanti rispetto alla situazione anteriore; quella che io mi trovai a dover sviluppare da Commissario Europeo, che comunemente veniva chiamata dagli addetti ai lavori “il programma dell’Aia”. Oggi abbiamo una strategia che, tra il 2010 e il 2014, dovrà in qualche modo guidare quel percorso di rafforzamento e di integrazione, attraverso un importante piano di azione del disegno europeo della giustizia, nella sicurezza e nel grande scenario che si è aperto con la Carta Europea dei diritti e delle libertà fondamentali. Noi abbiamo apprezzato il primo passo della Commissione europea, realizzato con un piano di azione, che vuole in qualche modo promuovere un’Europa, più aperta ma al tempo stesso sicura e al servizio della gente. L’obiettivo politico dell’Europa è quello di un’Europa che non mette in contraddizione sicurezza e libertà, ma che ritiene, anzi, che la giustizia, le regole, lo Stato di diritto siano strumenti per garantire ai cittadini dell’Europa, e ai cittadini in genere, 21


maggiore godimento, promozione e difesa delle libertà fondamentali. In tal modo, si sostanzia il concetto di un’Europa dei diritti, che cresce dal basso e che non viene calata dall’alto: il piano di azione vuole esattamente fare questo. Però, è chiaro che noi viviamo in un contesto europeo in cui abbiamo dei dati di fatto che in alcuni aspetti sono già acquisiti e che noi, proprio nell’Europa dei diritti e delle libertà, tendiamo qualche volta a sottovalutare. Stiamo per celebrare l’ennesimo anniversario, il 25° anno dalla firma dell’accordo di Schengen, un “piccolo” accordo che fu firmato in un piccolo Paese del Lussemburgo nell’85. Ebbene, oggi quell’accordo di Schengen permette a 27Stati, alcuni non europei ma aderenti a Schengen, penso alla Norvegia, o anche all’Islanda, di disporre del più grande regime di libertà assoluta di circolazione, che sia fruibile in qualsiasi parte della Terra; un regime che ci ha permesso, con l’allargamento dell’area Schengen, di espandere a molti dei nuovi Stati membri dell’Unione Europea il diritto di libera circolazione. Oggi abbiamo quindi una “key” fondamentale, che ha permesso da un lato di rafforzare la libertà delle persone, la libertà di circolazione, e dall’altra, con il sistema informazioni Schengen, di collegare in tempo reale il sistema di controllo sulla circolazione all’interno dello spazio Schengen, attraverso l’interconnessione delle frontiere, che è stata l’ultima fatica, come dire, che io ho compiuto lasciando la Commissione europea nel marzo del 2008 con l’allargamento di Schengen alla vigilia di Natale del 2007. Noi abbiamo oggi un altro dato di fatto, con cui ci dobbiamo confrontare: la nuova dimensione dell’immigrazione. È un ulteriore elemento, che entra nel sistema di un’Europa dei diritti e di un’Europa della sicurezza. Questo, evidentemente, riguarda i dati che ci fanno ormai parlare di un’Europa in cui l’immigrazione è una costante normale nei Paesi membri, un’Europa in cui 19 milioni di immigrati, il 4% della popolazione europea, lavorano e risiedono rispettando la legge. Tuttavia, considerando anche tra quattro milioni e mezzo e otto milioni di ulteriori immigrati non regolari, il tema dell’immigrazione costituisce, oggettivamente, una problematica da affrontare, ormai solamente a livello europeo e non più in ambito nazionale. 22


A questo aggiungiamo lo sviluppo delle dinamiche sulla legislazione europea per il diritto diasilo, guardando, come dato di fatto, una costante tra i 240 e i 260 mila richiedenti asilo in Europa ogni anno. Sono numeri già di per sé importanti, i quali evidenziano anche la dimensione che, personalmente a me, ma credo a tutti, possa interessare di più, ossia la dimensione umana del fenomeno migratorio, dei richiedenti asilo, di coloro che fuggono dalla disperazione, dalle guerre, che non possono ovviamente essere ridotti ad un fenomeno statistico. Ecco perché sicurezza e libertà sono due elementi che nell’Europa del programma di Stoccolma dovranno essere sempre tenuti in piena considerazione. C’è, comunque, il lato negativo della medaglia: con più libertà di circolazione, con un’Europa che si apre, certamente la criminalità organizzata transnazionale può approfittare di questo nuovo spazio, così come fruiscono delle libertà i cittadini onesti. Ed allora, dal terrorismo al crimine organizzato transnazionale, ancora una volta qualche dato ci aiuta. Abbiamo una recente pubblicazione interessante di Europol, la quale ci mostra come nel solo anno 2009, sul territorio europeo, circa 300 attacchi di più o meno grande dimensione o potenzialità che hanno però caratteristiche legate al terrorismo si sono verificati. Pochi lo sanno, ma i dati Europol ci mettono di fronte a un elemento preoccupante: tra azioni limitate e più ampie, 300 volte l’azione del terrorismo ha tentato di colpire il territorio europeo. Ed ancora un dato, la cui dimensione è in sé impressionante: Europol stima in un ammontare intorno ai 135 miliardi di Euro il patrimonio che le mafie amministrano o investono sul territorio europeo su base annuale. Sono dati che chiariscono perché le linee di azione su cui ci dobbiamo muovere nel piano del 2010 – 2014 debbano affrontare tutti i temi sensibili, dal rafforzamento della giustizia, alla riflessione sulla istituzione del Procuratore europeo. Siamo passati dalla formula timida del programma dell’Aia, che ricorderete tutti quanti, ad una formula un po’ più coraggiosa, che non si limita più a parlare di Eurojust come l’embrione di un qualcosa che forse solo domani potrà essere attuato, ma si parla, in modo più chiaro, di muoverci verso la creazione di un “Procuratore europeo”, sia pure

23


con una competenza per materia, limitata, nella prima fase del piano di azione 2010 – 2014, a delitti che hanno una caratteristica realmente transnazionale, europea. Accanto al tema della giustizia, ovviamente, ci sono i grandi argomenti della sicurezza, della lotta al terrorismo, del contrasto al crimine organizzato, della tutela delle libertà fondamentali. Non solo, ma insieme alle questioni proposte dall’immigrazione, non è da trascurare un tema drammaticamente di interesse in tutti i Paesi, come quello della condizione carceraria e dei sistemi penitenziari. Vi è poi, nel settore della giustizia, un altro importante tema da ricordare, su cui inizieremo a lavorare presto, quando la Commissione europea riceverà un mandato sulla propria proposta, quello dell’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU). Come sapete, è una problematica complesso; ieri e oggi i Ministri della giustizia ne hanno iniziato a parlare in Lussemburgo, al Consiglio Giustizia, e si sta preparando la mozione del mandato del Consiglio che permetterà di avviare il negoziato con Strasburgo per arrivare presto, io mi auguro, a una adesione dell’Unione Europea. Questo, evidentemente, ci permetterà innanzitutto di valutare attentamente i rapporti che si sono creati con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona tra queste due istituzioni, ma di valutare anche il peso della Corte di Strasburgo con un’importante riflessione supplementare sull’importanza che la Giurisprudenza della Corte dei Diritti dell’Uomo sia sempre in linea con i valori e con le identità che hanno fatto grande l’Europa e anche l’Europa dei diritti. Non è un mistero che, nei confronti di alcune pronunce della Corte di Strasburgo, ad esempio quella relativa all’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, noi abbiamo ritenuto che non si fosse seguita una linea adeguatamente rispettosa dei capisaldi culturali dell’identità europea e cioè le radici cristiane su cui l’Europa si è costruita.

24


È una problematica nella problematica, ma è chiaro che negoziare l’adesione dell’Unione Europea alla convenzione implicherà anche una riflessione accurata sul ruolo della Corte Europea per i diritti dell’uomo. In questo vorrei fare una breve sottolineatura su un concetto che in materia di diritti fondamentali è quello della cittadinanza europea. Io credo che il tema della cittadinanza europea verrà alla luce in questo periodo del piano di azione lanciato a Stoccolma, per completare la rimozione di tutte le barriere che possano essere ancora oggi di ostacolo al pieno godimento delle libertà e dei diritti fondamentali di ciascun cittadino membro di un paese dell’Unione Europea, e il rapporto tra i cittadini dei paesi membri e gli stranieri. Questo è un tema fondamentale, perché sulla cittadinanza europea si costruirà uno dei capisaldi dell’Europa politica del futuro. In questo ambito abbiamo il grande problema di completare lo spazio di libera circolazione con i due Paesi, Romania e Bulgaria, che sono recentemente entrati e che, come sapete, non sono ancora compresi dello spazio Schengen. Molto si dovrà fare per attuare meglio il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, che è uno dei pilastri della Key che cominciò nel congresso e nel Consiglio di Tampere, per poi proseguire all’Aia e svilupparsi a Stoccolma, ma è evidente che questo principio del mutuo riconoscimento dovrà avere una proiezione internazionale, a mio avviso, con il rilancio della cooperazione giudiziaria con i Paesi terzi. Noi ci troviamo spesso in situazioni difficoltose, in cui gli accordi tra l’Europa e i Paesi terzi stentano ad attuarsi e, ancora peggio, faticano ad essere perfino negoziati. Abbiamo alcuni punti che sono entrati nel programma di Stoccolma, su richiesta principalmente italiana, come quello di fare dell’Europa un territorio in cui il principio di collaborazione piena contro la criminalità mafiosa sia decisamente rafforzato, non solo per quanto riguarda la punibilità penale, ma anche le conseguenze patrimoniali, che nella legislazione italiana, sono applicate assai bene e che invece stentano a trovare un terreno

25


comune europeo, ancora con riferimento per esempio agli investimenti mafiosi in paesi dell’Unione Europea. Noi crediamo che questo programma di Stoccolma si dovrà realizzare con una normativa europea: il principio della sequestrabilità e della confiscabilità dei patrimoni mafiosi in ognuno dei Paesi dell’Unione Europea, secondo lo stesso principio che noi applichiamo in Italia ai sequestri e alle confische dei beni e dei patrimoni della criminalità organizzata, è una richiesta italiana come italiana è stata la richiesta di dare rilievo alla condizione penitenziaria e carceraria. C’è una normativa importante che si sta sviluppando, c’è una decisione quadro europea che adottammo e che ancora subisce le riserve parlamentari in alcuni paesi ma io credo che molti paesi, come l’Italia, abbiano una larga percentuale di detenuti stranieri provenienti da Paesi membri dell’Unione Europea, e quindi il principio che la detenzione vada applicata nel paese di residenza, anziché nel paese dove la condanna è stata comminata, credo che sia un principio su cui dovremmo marciare risolutamente. Soltanto per darvi un dato statistico, siamo a oltre 4500 detenuti comunitari secondo le statistiche di fine aprile. Due ultimi punti li dedico ad un breve cenno all’immigrazione, materia ormai certamente europea, che l’Italia ha contribuito a portare all’attenzione dell’Europa. In quella sede il piano Berlusconi – Sarkozy, nello scorso dicembre ha condotto a quello che chiamiamo ormai il patto europeo sull’immigrazione. Questo sarà un asse centrale del programma di Stoccolma, con il rafforzamento dell’Agenzia europea per le frontiere esterne. L’Agenzia avrà un’antenna meridionale e mediterranea in Grecia, e un ufficio europeo unificato per l’asilo che avrà una sede a Malta. Questa strategia permetterà di andare avanti su una politica europea, per quanto riguarda l’immigrazione, ma anche di rafforzare gli accordi tra Europa, Paesi di origine e Paesi di transito. Questo è il punto chiave per una politica europea dell’immigrazione di successo e i 5 anni del piano di Stoccolma, credo, ce lo consentiranno. 26


Quando sono arrivato a Bruxelles alla fine del 2004 eravamo a zero e ho lasciato la Commissione europea con accordi in materia di immigrazione e di riammissione degli immigrati regolari che riguardano Paesi di grande importanza, penso alla Federazione Russa o all’Ucraina, o Paesi di notevole interesse strategico, come il Pakistan, che sono purtroppo Paesi di origine spesso di un flusso migratorio al cui interno si mescolano esponenti di organizzazioni estremiste. Dobbiamo, ora, negoziare un rapporto con la Libia, dobbiamo negoziarne un altro con il Marocco, stiamo realizzando degli accordi quadro e li abbiamo già portati in vigore tutti con tutti i Paesi dei Balcani occidentali per cui non a caso il flusso di immigrazione clandestina si è fermato. Abbiamo previsto un codice europeo per l’immigrazione: questo sarà un altro deciso passo avanti. Credo che in tutto questo nuovo quadro in costante evoluzione, il ruolo svolto della magistratura sia, e sarà sempre di più, un ruolo fondamentale. Ritengo che la chiave per quello che noi chiamammo un processo formativo europeo dei magistrati sia quella di favorire e promuovere gli scambi di conoscenze e di saperi specialistici, insieme alle esperienze tra magistrati nazionali. A tale scopo attivammo a Bruxelles un circuito europeo per la formazione dei magistrati. Inoltre, proposi una comunicazione che incentivasse gli Stati membri a favorire gli stage formativi, presso le istituzioni giudiziarie europee, il Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia in secondo luogo. Ma è chiaro che occorrono ancora maggiori esperienze formative comuni, è necessaria una conoscenza migliore e più partecipata delle regole europee. Vi cito soltanto un caso, indicativo di questo bisogno di rafforzare gli scambi di esperienze formative fra i magistrati europei, e parlo di fronte a Magistrati che sanno di che cosa stiamo parlando. Vi sono talvolta norme di derivazione europea (in particolare regolamenti), applicabili direttamente dagli Stati membri, che non sono sufficientemente conosciute e quindi imprecisamente applicate. In una occasione, ci trovammo di fronte ad 27


una situazione imbarazzante, in cui in alcuni Stati membri la normativa sulla giurisdizione per la questione delicatissima che riguarda i figli sottratti da un genitore a un altro genitore e portati in un altro Paese era pressoché ignorata. Quindi, abbiamo Stati membri dell’Unione, in cui i magistrati non applicano il regolamento Bruxelles 2 semplicemente perché non lo conoscono, e quindi negano sostanzialmente la possibilità che la decisione del primo giudice faccia stato definitivo sull’affidamento del figlio sottratto all’uno o all’altro genitore. È un esempio su cui io mi confrontai personalmente, ma che dà l’idea di come la conoscenza e la partecipazione formativa siano, a livello europeo, fondamentali. Quindi è chiaro che riflessioni di questo tipo sono essenzitali per creare una figura di magistrato davvero europeo, aperto alle esperienze di confronto con i colleghi degli altri Paesi, ma pronto anche a misurar con le nuove problematiche aperte dal Trattato di Lisbona, che, come sapete, consente al giudice, non solo a quello di ultimo grado, di sollevare, dinanzi alla giurisdizione europea questioni pregiudiziali interpretative del diritto europeo. Anche questo è un tema di grandissima rilevanza, considerando che, ora, abbiamo assoggettato, con il trattato di Lisbona, al cosiddetto “vecchio primo pilastro” la materia della giustizia e della sicurezza, che non è più materia sottratta ai criteri interpretativi comunitari: è uno straordinario passo avanti verso una proiezione europea del sistema delle tutele giurisdizionali e dei magistrati che attuano le nuove regole. Insomma, con queste brevissime riflessioni ho voluto dire: anche in Europa siate veramente, come siete già in Italia, protagonisti assoluti nel portare avanti questa apertura di un autentico spazio europeo di giustizia. Vi ringrazio molto.

28


Michele Giuseppe Vietti

Grazie Presidente, grazie agli organizzatori che mi hanno consentito questo slittamento rispetto al calendario programmato da domani ad oggi ma purtroppo devo tornare stasera a Torino per un altro impegno. Un saluto davvero amichevole a tutti gli amici di Magistratura Indipendente, al Presidente Cicala che presiede questa sezione di cui ho piacere e l’onore di intrattenere da tanti anni rapporti di amicizia e di stima. Un saluto anche ad Antonietta Fiorillo. E' ….. un vero piacere essere qui oggi a questo convegno sia per il rapporto che mi lega da tanti anni al gruppo di Magistratura Indipendente e sia perché come ricordava il Prof. Mirabelli il tema che avete scelto è un tema di particolare rilevanza. Credo che il programma di Stoccolma non sia un passaggio ordinario nel calendario dell’agenda dell’Unione Europea in vista della costruzione di uno spazio comune di libertà e sicurezza e di giustizia. Il quadro istituzionale è mutato proprio come il trattato di Lisbona, le istituzioni europee hanno assunto nuove responsabilità in quanto tali, e questo assegna alle loro azioni una rilevanza diversa da quella di ieri. Fino a ieri molto o tutto era affidato alla cooperazione internazionale che si rimetteva a progressive sfere di armonizzazione delle legislature nazionali sulla condivisione progressiva di strumenti operativi. Oggi, ora, tutto questo diventa parte a pieno titolo delle competenze proprie dell’Unione e delle sue istituzioni. Nel documento preparatorio del convegno voi avete giustamente ricordato i limiti dell’azione dell’Unione nella costruzione di questo spazio comune, e anche il mancato raggiungimento di alcuni obiettivi che il Consiglio Europeo si era dato …. all’Aia. Credo però, e questo credo che sia lo spirito anche del convegno, che l’auspicio di tutti sia che questi limiti possano essere superati grazie al nuovo quadro istituzionale che dà nuovi strumenti all’Unione e alle sue istituzioni. 29


Tra l’altro gli aspetti più innovativi legati al rilievo che ha assunto la Carta dei diritti nel quadro del diritto comunitario. E ricordo solo come il programma di Stoccolma si iscrive felicemente nella tradizione di quelle polis dell’Unione che nel solco dei precedenti … dell’Aia oggi si pongono con una consapevolezza nuova: la consapevolezza che l’Unione può fare di più di quello che è stato fatto nel decennio che abbiamo alle nostre spalle. E dunque questo programma che guarda al 2014, ricordava Mirabelli un orizzonte, lo sguardo ampio che parla a 500 milioni di cittadini europei, che lancia una sfida dell’integrazione di 27 paesi di tradizioni, di culture, di lingue diverse. È un dato di straordinaria rilevanza. Le priorità politiche che il programma individua mi sembrano fuori discussione, la cittadinanza europea, di cui anche Frattini ha parlato, i diritti fondamentali, un’Europa unita nel diritto e nella giustizia, la sicurezza comune di fronte alle minacce vecchie e nuove, la sfida della globalizzazione, la responsabilità e la solidarietà, la responsabilità e la solidarietà nei confronti dei fenomeni migratori e dell’ospitalità dei richiedenti asilo. Tutti

temi

imprescindibili

che

rappresentano

passi

indubbiamente

avanti

nell’operatività europea della costruzione dello spazio comune. In questa sessione e in queste due giornate ci si chiede più specificamente di confrontarci sulle politiche della giustizia a livello europeo, partendo da tre priorità che il programma individua: accesso alla giustizia, dialogo tra gli uomini e formazione degli operatori. A Tampere si era registrato il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e della armonizzazione legislativa come strumento per facilitare la cooperazione e la tutela giurisdizionale dei diritti dei cittadini, anticipando quell’idea del riconoscimento reciproco, considerato come pietra angolare della cooperazione giudiziaria in Europa, di cui oggi parla in termini più puntuali il programma di Stoccolma. All’Aia, il Consiglio aveva posto in modo più pragmatico l’accento sulla effettività del principio di riconoscimento reciproco e sugli strumenti per rafforzare quella fiducia

30


reciproca tra operativi, istituzioni e cittadini che è indispensabile per realizzare quella cultura comune e condivisa della giurisdizione di stampo europeo. Sul dialogo … mi pare che si possa dire che il processo di armonizzazione del diritto in Europa ad integrazione dei sistemi giurisdizionali, la stessa costruzione istituzionale europea sono stati negli anni passati il risultato, l’ha ricordato magistralmente Mirabelli, di una comunicazione, prima ancora che normativa tra le istanze giurisdizionali nazionali e tra quelle nazionali e quelle europee, più intensa di quanto alcune interpretazioni formaliste dei confini dei rispettivi ordinamenti avrebbero consentito. Merito questo degli operatori del diritto, certamente, lo dico non per piaggeria in una sede di associazione di magistrati, merito degli operatori del diritto, che si sono mossi con accortezza e con intelligenza alla scoperta, alla ricerca di questo nuovo diritto comune; e merito anche, una volta tanto, anziché criticare magistratura e politica, diamo atto di qualche merito, …. dei padri fondatori politici di quella Unione Europea, che hanno impostato il processo di unificazione con un metodo funzionale, cioè lasciando alla realtà viva della giurisdizione la possibilità di aprire progressivamente nuove strade, nuove vie, verso lo sviluppo dell’integrazione. Stoccolma si pone in linea con questa storia, dandosi l’obiettivo di semplificare ancora questo dialogo, semplificare gli strumenti e le procedure della tutela dei diritti, ricordando che se molto ha fatto l’evoluzione giurisprudenziale, certamente ci sono responsabilità del legislatore, del legislatore europeo, del Consiglio, della Commissione, che non possono essere indefinitamente lasciate come “patate bollenti” nelle mani dei giudici, e da questo punto di vista mi sembrano significative le indicazioni che Stoccolma dà per il superamento della frammentazione degli strumenti del settore penale e l’attenzione ai diritti della vita quotidiana nel diritto civile. Ugualmente importanti mi sembrano gli altri due punti richiamati alla nostra attenzione, l’accesso alla giustizia e la formazione degli operatori. Pragmaticamente si pongono il problema di come la fiducia nelle istituzioni e tra gli operatori può manovrare e può rendere effettivo lo spazio comune. 31


Da questo punto di vista alle indicazioni di massima del programma di Stoccolma hanno già fatto seguito alcune specificazioni che si trovano nel piano di azione che ha definito la Commissione. Accesso alla giustizia e formazione degli operatori viaggiano sulle gambe della informatizzazione e degli scambi delle esperienze. Credo che anche questa sia un’indicazione condivisibile, sul presupposto che dall’efficienza e dall’affidabilità del funzionamento della giustizia in ambito europeo dipende anche molto dalla legittimazione delle istituzioni nazionali e sopranazionali agli occhi dei cittadini europei. Una considerazione finale in materia più specificamente di giustizia. Stoccolma ha dato l’indicazione che la cooperazione deve fare un salto di qualità abolendo gli impedimenti burocratici per il mutuo riconoscimento delle sentenze al di là delle frontiere. Abbiamo fatto, lo ricordava Frattini, un passo importante con il mandato di arresto europeo, abbiamo ridotto sensibilmente i termini di estradizione da un anno a un periodo che varia tra undici giorni e sei settimane, organismi che rafforzano questa collaborazione esistono, Europol, Eurojust, Frontex sono stati tutti citati. Stoccolma incoraggia anche la soppressione del riconoscimento legale degli atti autentici ed incoraggia l’utilizzo della cosiddetta e-justice, come per esempio le videoconferenze per non obbligare le vittime a compiere spostamenti inutili. Si chiede che il programma Erasmus sia applicato alla formazione dei nuovi magistrati e dei nuovi poliziotti, immaginando anche un nuovo codice dei visti e i cosiddetti passaporti biometrici. Si dà conto a proposito dei rischi sulla sicurezza di una dura contrapposizione al crimine organizzato nel terrorismo, in particolare alla lotta contro la tratta. Voglio ricordare che proprio ieri la Camera dei Deputati ha approvato con lettura definitiva la ratifica della convenzione europea della lotta contro la tratta degli esseri umani. È stata votata, una volta tanto, all’unanimità della Camera, eravamo in ritardo ancora una volta in questo recepimento ma, come dire, possiamo dire con soddisfazione che ci siamo messi in ordine. 32


Internet è una grande frontiera che offre opportunità e anche rischi, ecco perché Europol ha pervisto portali di condivisione dei dati per offrire alle polizie postali la possibilità di agire in modo coordinato contro pedopornografia, cibercriminalità etc.. Un accenno mi sia consentito, perché l’ha fatto anche Frattini, all’immigrazione. Ha ricordato il Ministro che a fronte di 18,19 milioni di extra-comunitari in Europa regolari, circa 8 sono irregolari. Stoccolma ci richiama all’esigenza che questi cittadini, questi immigrati abbiano uguali diritti in tutti gli stati dell’Unione e indica l’esigenza di un monitoraggio a livello comunitario sia dei flussi migratori sia dei dati occupazionali e di lavoro. Questo problema è complesso; io ho apprezzato che il Ministro Frattini lo abbia, seppur di sfuggita, accennato nella sua reale dimensione di complessità. Le politiche dell’immigrazione sono politiche di integrazione, sono politiche di diritto di asilo, su questo fronte forse Stoccolma è ancora troppo prudente, un po’ incerto, si limita a raccomandare l’armonizzazione interstatale, orientamenti comuni, forse memore del fatto che su questa questione Consiglio e Parlamento si erano già scontrati ai tempi della direttiva rimpatri ma sul piano del diritto di asilo si dice con chiarezza che ci vuole una formazione comune per gli agenti incaricati di confrontarsi con i richiedenti asilo; si deve tendere ad un’unica procedura sul diritto di asilo; anche se obiettivamente molta incertezza c’è ancora sulla identificazione dello status di rifugiati, si individua uno strumento che è l’ufficio europeo di sostegno per l’asilo che sia di supporto per affrontare questo tema. Ora se, come dice Frattini e io sono d’accordo, la problematica dell’immigrazione è diventata a tutti gli effetti problematica europea, qualche eccesso di semplificazione, qualche soluzione a slogan, qualche demagogica affermazione che qualche volta specula sul tema per guadagnare qualche consenso, viene ricondotta alla sua giusta dimensione. La prospettiva è quella europea, la complessità è quella che dal documento di Stoccolma emerge, chi vuole in un eccesso di semplificazione fare di questo argomento, una barriera propagandistica è certamente fuori strada. 33


Con l'accesso alla giustizia, ... maggiori diritti ... vengono riconosciuti agli imputati sul tema degli interpreti, traduttori, più ampio accesso all’informazione e all’assistenza legale e così via. Anche i temi nell’impegno nella lotta al razzismo e alla xenofobia sono indicativi di una strategia di politica giudiziaria.... Chiudo davvero Presidente con una considerazione finale, che non uso per andare fuori dal seminato, ma credo che sarebbe ipocrita non farne un cenno qui oggi, nel programma c’è un’attenzione particolare alla revisione della legislazione europea sulla privacy e sulla protezione dei dati che è alquanto risalente, al 1995, oltre che al tema di rinegoziazione con gli Stati Uniti della condivisione delle informazioni finanziarie. Bene, a parte l’introduzione di rilevanza penale per il furto di identità perpetrato con i sistemi di informazione e l’indicazione di un obiettivo di un sistema unico di protezione dei dati personali con una certificazione a livello europeo delle tecnologie prodotte e servizi a tutela della privacy, sarei ipocrita se non dicessi che anche da questo punto di vista il legislatore italiano farebbe bene a guardare un po’ oltralpe; in tutta la lunga polemica che ha occupato nei mesi scorsi, anzi per la verità quasi due anni scorsi, il Parlamento intorno al tema delle intercettazioni, scarsa attenzione è stata data alle indicazioni europee sul tema della privacy, che pure è uno dei valori portanti, ovviamente insieme a quello della sicurezza e dello svolgimento delle indagini su questa materia. Io mi auguro che, come abbiamo letto sui giornali di questa mattina, ci si avvii ad una soluzione condivisa sulla riforma delle intercettazioni anche conformemente agli auspici del Capo dello Stato. Certo non posso non pensare, poiché il punto di approdo sembra essere quella mediazione di cui oggi gli organi di stampa parlano, se forse non era possibile a quella mediazione arrivare un po’ prima ed evitare a tutti quanti, alla Magistratura, alla politica, agli operatori e ai mezzi di informazione lo stress a cui sono stati sottoposti in tutto questo periodo. Ovviamente è un giudizio possibilista, largamente sospeso, perché nero su bianco ancora non è stato visto niente.

34


Se il programma di Stoccolma è il modo con cui a livello europeo si è deciso di condividere e di camminare insieme tra mondi, culture e tradizioni che in qualche modo si sono guardate di sottecchi per molto tempo, ... gelosi, peraltro anche ragionevolmente, della propria sovranità e dei propri poteri, ma questo è stato possibile perché la bussola che ha affidato a tutti è stata quella del merito dei problemi da un lato e del bene comune e dell’efficienza del sistema dall’altro, penso che questo possa essere un utile insegnamento anche per noi italiani. E nel “noi” mi permetto di mettere sia la Magistratura che la politica. Il mio è un “grazie” non formale per la scelta di questo tema, perché è un tema di respiro ampio, di respiro europeo, che ci porta un po’ fuori dalle anguste beghe di cortile, ansia a cui siamo abituati quando in Italia si parla di giustizia. Esiste in questo paese, purtroppo ormai da decenni, la tendenza a considerare il tema della giustizia come una sorta di lite di condominio in cui sembra che i condomini siano soltanto magistrati, avvocati e politici con qualche disattenzione in realtà per il mondo che sta fuori e con l’assoluto misconoscere il mondo che sta al di là delle Alpi. Ecco che allora noi continuiamo a discutere di circoscrizioni giudiziarie obsolete che risalgono all’800, diritti che si sono moltiplicati in modo farraginoso che nessuno riesce più a dipanare, di sistemi processuali generalizzati, con garanzie che probabilmente sono superfetazioni, con notifiche che non si riescono ad effettuare, con imputati irreperibili, che sono uno spreco enorme di risorse che non portano a niente, con una politica criminale che da un lato proclama “basta con il panpenalismo” ed ogni mese, ogni settimana, il Parlamento introduce nuove fattispecie criminali; soltanto negli ultimi due anni abbiamo introdotto decine e decine di nuovi reati, alla faccia della generale invocazione che dobbiamo depenalizzare; e dunque sembra che, anziché andare nella direzione che tutti auspicheremmo di un abbassamento del livello della criminalizzazione, e quindi della scelta delle oblazioni, delle condotte riparatorie e così via, noi andiamo nella via della continua moltiplicazione dei reati minacciando più carcere per tutti, e poi, come ricordava Antonietta Fiorillo, scopriamo improvvisamente che le carceri non ci sono, che non ci sono 35


più, che sono fatiscenti, che sono sovraffollate, che non hanno posti; e la recente soluzione che si immaginava di affidare agli arresti domiciliari anticipati, alla messa alla prova è franata miseramente e quel poco che arriverà a destinazione sarà stato svuotato completamente di contenuto e, soprattutto non avrà copertura finanziaria che prevedeva l’assunzione di personale di polizia e di personale di agenti di polizia penitenziaria per controllare quelli che avrebbero dovuto andare agli arresti domiciliari. Più carcere per tutti come politica criminale in una contraddizione schizofrenica rispetto all’idea che invece dobbiamo depenalizzare, salvo scoprire che le carceri non ci sono e che non riusciamo a farle. Bene, rispetto a questo il tema che ci avete posto all’attenzione ci consente un respiro, ... ci consente di scoprire che in Europa i criteri di allarme sociale che presiedono all’individuazione dei reati sono nel frattempo profondamente cambiati rispetto a quelli che continuiamo ad applicare nel nostro paese. Dunque libertà, sicurezza e giustizia ... rispetto a tentazioni nostrane in cui qualcuno vorrebbe soltanto la libertà con poca considerazione per la sicurezza e nessuna per la giustizia; qualcuno sembra preoccuparsi solo della sicurezza immaginando che, messo mano alla sicurezza e garantito l’ordine pubblico, tutti i problemi siano risolti, e qualche volta qualcuno anche, consentitemi questo piccolo accenno che ovviamente non è polemico ma che è amichevole, fa parte di un atteggiamento corporativo, immaginate che ci sia soltanto una giustizia che può essere soltanto una sorta di torre d’avorio che può non parlare .... E dunque Stoccolma nel ricordarci che questi tre concetti stanno insieme credo ci dia una chiave di lettura anche per operare nella politica giudiziaria nazionale. Io sono molto scettico, lo dico con franchezza, sul fatto che si possa realizzare in questo paese quella mitica riforma della giustizia tra virgolette in cui poi nessuno sa neppur bene che cosa c’è dentro perché ciascuno la riempie dei contenuti che stanno a cuore a lui. Ma probabilmente, se usciamo dal cortile domestico e guardiamo all’Europa, vediamo che questa mitica riforma della giustizia nel frattempo ... sta arrivando proprio grazie all'Europa, che anche per questo dobbiamo ringraziare. 36


Roberto Conti Come interpretare i regolamenti dell'UE in tema di cooperazione giudiziaria in materia civile.

Il taglio del presente intervento

è volutamente rivolto

a tralasciare gli aspetti

particolari legati alle discipline che il legislatore dell'unione europea è andato progressivamente inserendo all'interno della macro area della cooperazione giudiziaria civile, avendo il programma del Convegno previsto specifici approfondimenti. Nel prosieguo, pertanto, si farà solo qualche fugace riferimento al Reg.2201/2003 in materia di competenza giurisdizione e riconoscimento dei provvedimenti in materia di responsabilità genitoriale e crisi matrimoniale 10. L'obiettivo che si intende qui perseguire è dunque indirizzato a chiarire alcune aspetti di ordine sistematico che potrebbero e dovrebbero valere allorché l'operatore si imbatta in una controversia ove è necessario applicare i contenuti introdotti all'interno dei singoli Regolamenti in materia di cooperazione civile. In tale prospettiva, un'importanza per chi scrive notevole è necessario dare al tema dell'interpretazione dei testi normativi. Si tratta, all'evidenza, di un tema sicuramente battuto nella teoria generale del diritto11 che, tuttavia, all'interno della materia che qui si esamina assume contorni e significati ancora più particolari12.

Sul Reg. 2201/2003 in dottrina v. S. M. Carbone, M. Frigo, L. Fumagalli, Diritto processuale civile e commerciale comunitario,Milano, 2004; Peroni Giulio, Ricorso in Cassazione per i provvedimenti di volontario giurisdizione e Regolamento (CE) N. 2201/2003, in Riv.dir.intern. priv. proc., 85;Lanciotti Alessandra, L'entrata in vigore del nuovo regolamento comunitario sulla competenza, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, in Rass.giur.umbra, 2005 fasc. 1, 305; Fittipaldi Onofrio,Regolamento CE 2201/2003 ed esecuzione delle decisioni di modifica dell'affidamento di un minore trasferito all'estero: tuttora si rende necessario l'exequatur del giudice straniero, in Fam.dir., 2007 fasc. 7, 697; LONG JOELLE,Riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti stranieri de potestate alla luce del regolamento (CE) n.2201/2003 (con cenni al tema della validità dei divieti di espatrio e degli obblighi di soggiorno)", in La nuova giur.civ.comm., 2007, fasc. 9, p. 1, 971 . 11 Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971; id., Teoria generale dell'interpretazione, Milano, 1990. 12 Cfr., di recente A. Tancredi, ; M. Ruvolo, A. Gambaro, 10

37


Al giudice nazionale chiamato ad applicare il diritto eurounitario13 si pongono una serie di problemi assolutamente preliminari rispetto a quello di decidere il caso posto al suo vaglio sulla base del testo normativo emanato dal legislatore comunitario. Se maggiori perplessità sorgono quando è il legislatore domestico a provvedere ad attuare nell’ordinamento interno un provvedimento normativo destinato a realizzare una mera armonizzazione fra le legislazione dei Paesi membri attorno ad una serie di principi contenuti in una direttiva comunitaria, dovendo qui il giudice considerare la norma interna, procedere alla sua interpretazione conforme al diritto comunitario ed eventualmente disapplicare il precetto che ha trasposto in modo non corretto il precetto eurounitario, il procedimento ermeneutico cui è chiamato il giudice che deve applicare un regolamento dell'UE è generalmente più agevole, anche se non privo di aspetti problematici. Col regolamento, è noto, il legislatore dell'Unione non si limita ad armonizzare, ma intende piuttosto uniformare le legislazioni dei Paesi membri attorno ad un nucleo di principi valevoli erga omnes all’interno dell’Unione. E se il giudice- coma anche le autorità amministrative- chiamato ad applicarlo è sgravato dal compito di controllare la conformità della normativa interna di trasposizione che appunta generalmente manca 14- con i principi sovranazionali,

non per questo può astenersi da quell’attività interpretativa che

caratterizza l’esercizio della funzione giurisdizionale. Qui cominciano i problemi, volta che anche a volere lasciare da parte quelli di traduzione, che pure sussistono del testo adottato in lingua inglese e francese e poi nella lingua di ogni Paese dell’Unione ove il regolamento deve essere applicato, l’interprete ha la tentazione, solo talvolta inconsapevole, di leggere il testo regolamentare come se si trattasse di una norma nazionale, ad esso attribuendo il significato di nozioni e termini tratto dalla legislazione interna.

Ci si permette di utilizzare l'espressione, coniata da Antonio Ruggeri, per individuare il diritto dell'Unione europea dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha abolito la Comunità Europea. 14 Ma è noto che la cooperazione giudiziaria in materia civili richiede (rectius, richiederebbe), spesso, un adeguamento della normativa interna che passa, dunque, talvolta, per la rimodulazione dei testi interni. 13

38


L’errore di prospettiva nel quale si cade se così si imposta l’attività esegetica, sembra evidente. Si rischia, infatti, di far saltare quell’idea di uniformazione che invece il legislatore comunitario intendeva perseguire attraverso lo strumento regolamentare. Sicché la corretta attività interpretativa dovrà muovere dal dato eurounitario, leggendolo in base ai principi di quel sistema ed alle finalità che

quel

legislatore

intendeva perseguire. Realizzare uno spazio giudiziario europeo in materia civile improntando l’attività interpretativa alla ricerca di esegèsi legate alla tradizione nazionale del Paese in cui è applicato il regolamento significherebbe tradire l’idea che sta alla base della cooperazione giudiziaria stessa e, dunque, solo per esemplificare, del Reg.2201/2003 , come anche degli altri coevi e del Reg.44/2001. Ecco che i principi generali del diritto eurounitario ed i principi generali dei diritto rintracciabili negli ordinamenti interni15 devono allora governare l’attività interpretativa del giudice nazionale. Ci si accorge, così, che i concetti utilizzati nel test eurounitario necessitano di un’interpretazione autonoma, sganciata da influenze interne ed invece protesa a ricercare il significato fatto proprio o nell’ambito dello stesso testo normativo o alla luce di altri istituti similari già presenti nell’ordinamento dell'UE. In questo modo “solo adottando tali nozioni comunitarie o comunque formalmente elaborate secondo criteri autonomi…si evita che i termini impiegati assumano significati differenti negli ordinamenti degli Stati comunitari volta a volta rilevanti in funzione del luogo di applicazione del sistema in esame”16. Solo in via residuale sarà possibile procedere ad un’interpretazione del dato eurounitario alla stregua dell’ordinamento interno e sempre che le soluzioni così raggiunte

15 16

Cfr.Carbone,il nuovo spazio giudiziario europeo, Torino, 2002, 39 cfr.Carbone, op.ult.cit., 40

39


non pregiudichino la portata della disposizione comunitaria e risultino dunque conformi ai principi fondanti del sistema comunitario. Su questi tematiche Corte giust.16 luglio 2009 , causa C-168/08,Laszlo Hadadi (Hadady) ha avuto modo di occuparsi dell’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento (CE) del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201. Il giudice remittente, in particolare,

intendeva ottenere un chiarimento circa il

giudice competente a decidere il divorzio pronunziato da un giudice ungherese nei confronti di due soggetti dotati entrambi di doppia cittadinanza-ungherese e francese- ed aventi la residenza abituale in Francia.Il problema si era posto avendo una parte sollecitato il riconoscimento in Francia della sentenza resa da un giudice ungherese anteriormente all’entrata in vigore del regolamento n.2201/0317. Orbene, la Corte di giustizia ha ribadito che tanto l’applicazione uniforme del diritto comunitario quanto il principio di uguaglianza esigono che una disposizione di diritto dell'Unione europea

che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati

membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, nell’intera Comunità, ad un’interpretazione autonoma e uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione stessa e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi. A tale riguardo il giudice comunitario ha rilevato che l’art. 3, n. 1, del regolamento n. 2201/2003, non contiene alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per determinare la portata esatta del criterio relativo alla «cittadinanza». Né tale strumento

Va rammentato che l’art. 3, n. 1, del regolamento CE n.2201/03, intitolato «Competenza generale», stabilisce che «Sono competenti a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro: a) nel cui territorio si trova: – la residenza abituale dei coniugi, o – l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o – la residenza abituale del convenuto, o – in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o – la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o – la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, ha ivi il proprio “domicile”; b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, del “domicile” di entrambi i coniugi». 17

40


stabilisce una distinzione a seconda che una persona possieda una sola o, se del caso, più cittadinanze. Si è così ritenuto che in caso di doppia cittadinanza comune, il giudice adito non può ignorare il fatto che gli interessati possiedano la cittadinanza di un altro Stato membro, di modo che le persone aventi la doppia cittadinanza comune verrebbero trattate come se possedessero la sola cittadinanza dello Stato membro del giudice adito. Al contrario, nel contesto dell’art. 64, n. 4, nel caso in cui i coniugi possiedano, al tempo stesso, la cittadinanza dello Stato membro del giudice adito e quella di un altro Stato membro, detto giudice deve tener conto del fatto che i giudici di questo altro Stato membro, considerato che gli interessati possiedono la cittadinanza di quest’ultimo Stato, avrebbero potuto essere aditi con piena competenza conformemente all’art. 3, n. 1, lett. b), del regolamento n. 2201/2003. In precedenza, sempre sul concetto di interpretazione autonoma riguardo al Reg.n. 2201/2003, può ricordarsi Corte giust. 2 aprile 2009, causa C-523/07, p. 34. Anche in tale occasione la Corte di Lussemburgo , scrutinando l’art. 8, n. 1, del regolamento anzidetto, ha ritenuto che detta disposizione non contiene alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del senso e della portata della nozione di «residenza abituale», tale determinazione dovendo essere effettuata alla luce del contesto delle disposizioni e dell’obiettivo del regolamento, in particolare quello che emerge dal suo dodicesimo ‘considerando’, secondo il quale le regole di competenza da esso accolte si informano all’interesse superiore del minore e, in particolare, al criterio di vicinanza. E' semmai utile rammentare che in tale occasione il giudice europeo non ha ritenuto di poter "esportare" la nozione di residenza abituale coniata in altri settori del diritto dell'Unione europea, proprio in ragione della peculiarità della materia trattata.Si è così sostento che nel valutare la residenza abituale dei minori, ai sensi dell’art. 8, n. 1, del

41


regolamento, non si può direttamente trasporre la giurisprudenza della Corte sulla nozione di residenza abituale relativa ad altri settori del diritto dell’Unione europea18. Ne è conseguito che la «residenza abituale» del minore, ai sensi dell’art. 8, n. 1, del regolamento, deve essere stabilita sulla base delle peculiari circostanze di fatto che caratterizzano ogni caso di specie.Si è così ritenuto che

oltre alla presenza fisica del

minore in uno Stato membro, vanno presi in considerazione

altri fattori idonei a

dimostrare che tale presenza non è in alcun modo temporanea o occasionale e che la residenza del minore denota una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare 19. La Corte di Giustizia può dirsi essersi indirizzata ormai tralaticiamente verso il concetto di interpretazione autonoma anche con riguardo a numerose espressioni contenute nelle Convenzione Bruxelles I. Basti, all'uopo ricordare Corte Giust. 14 novembre 2002 causa C-271/00, Gemeente Steenbergen c. Luc Baten

che, proprio con

riguardo alla nozione di “materia civile”, ha ribadito la necessità di definirla in maniera autonoma, ribadendo il principio che le norme della Convenzione di Bruxelles, e prima fra tutte l'art.1, servono a garantire, per quanto possibile, l'uguaglianza e l'uniformità dei diritti e degli obblighi da questa derivanti agli Stati contraenti ed ai soggetti interessati.Il che esclude il rinvio al diritto interno dell'uno o dell'altro degli Stato in questione per comprendere la portata precettiva delle espressioni e degli istituti ivi previsti ed orienta, invece, verso l'individuazione di una nozione autonoma della norma che tenga conto degli

Cort giust. 15 settembre 1994, causa C‑452/93 P, Magdalena Fernández/Commissione, Racc. pag. I‑4295, punto 22; Corte giust. 11 novembre 2004, causa C‑372/02, Adanez-Vega, Racc. pag. I‑10761, punto 37, e Corte giust. 17 luglio 2008, causa C‑66/08, Kozłowski, Racc. pag. I‑6041. 19la Corte ha aggiunto che si deve in particolare tenere conto della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato. Si deve in particolare tenere conto della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato. 18

42


obiettivi della Convenzione e dei principi generali desumibili dal complesso degli ordinamenti nazionali20. Sulla base di tali principi, la Corte ricorda di avere altra volta escluso l'applicabilità della Convenzione nelle cause fra la pubblica amministrazione ed un soggetto di diritto privato nelle quali la prima agisca nell'esercizio della sua potestà d'imperio (citate sent. LTU, punto 4, e Rüffer, punto 8). Un altro snodo fondamentale, sul versante dell'interpretazione, è quello connesso al collegamento che i regolamenti adottati in tema di cooperazione hanno con precedenti accordi internazionali che regolavano, fuori dalla cooperazione, la materia fra singoli Stati. Quanto al collegamento fra la Convenzione Bruxelles I ed il Reg.44/200, 1la Corte di Giustizia ha avuto modo di pronunziarsi di recente, chiarendo che In particolare, Corte di Giustizia, sentenza 23 aprile 2009, causa 167/08, Draka NK Cables e altri, par. ha così statuito “Poiché il regolamento n. 44/2001 sostituisce ormai, nei rapporti tra Stati membri, la convenzione di Bruxelles, l’interpretazione fornita dalla Corte per quanto riguarda le prime disposizioni vale anche per le seconde, quando le disposizioni della convenzione di Bruxelles e quelle del regolamento n. 44/2001 possono essere qualificate come equivalenti. Emerge inoltre dal diciannovesimo ‘considerando’ del regolamento n. 44/2001 che deve essere garantita la continuità tra la convenzione di Bruxelles e detto regolamento”. Analoghi nessi di collegamento si riscontrano fra il Reg.2201/2003 e la Convenzione Bruxelles II, a sua volta preceduta dal Reg.1347/200021.

Cfr. Corte Giust. 14 ottobre 1976, causa 29/76, LTU, in Racc.,1976, pag. 1541, punto 3; Corte giust. 22 febbraio 1979, causa 133/78, Gourdain, in Racc.,1979, pag. 733, punto 3; Corte giust. 16 dicembre 1980, causa 814/79, Rüffer, in Racc.,1980, pag. 3807, punto 7, e Corte giust.21 aprile 1993, causa C-172/91, Sonntag, in Racc., 1993, pag. 1963, punto 18 21 Va infatti rimarcato che il considerando 6 del Reg.1347/2000 chiariva che tale strumento è figlio di quella Convenzione, tanto che “è opportuno salvaguardare la continuità dei risultati conseguiti nell’ambito dei negoziati per la conclusione della convenzione” proprio perché il regolamento “ recepisce sostanzialmente il contenuto della convenzione”.Nella Relazione della Prof.Alegria Borràs alla Convenzione del 1998 si comprende, del resto, che la Convenzione del 1998 costituisce parametro interpretativo ineludibile per il reg.1347/2000.Ed è infatti leggendo tale Relazione che si trova conferma di quanto detto a proposito del metodo da seguire.Infatti, più volte ci si accorgerà non solo dell’identità di istituti nozioni e termini utilizzati nella Convenzione e nel Regolamento, ma anche del rinvio, costante, che la Relazione fa 20

43


Particolarmente rilevante appare il riferimento, contenuto nei regolamenti dei quali qui si discute, alla necessità di tenere nel debito conto i diritti fondamentali tutelati dalla Carta dei diritti fondamentali approvata a Nizza e riproclamata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, ora dotata di immediata precettività per effetto dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Si pensi, sul punto, all’ultimo considerando n. 33 del Reg.2201/2003 che «riconosce i diritti fondamentali o osserva i principi sanciti in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» (e in particolare di quelli riconosciuti dall’art. 24)>> .Nella stessa prospettiva, il considerando n. 19, ribadisce l’importanza della audizione del minore ai fini dell’applicazione del regolamento, individuando il

riferimento proprio

nell’art. 24 della Carta che sul punto ha recepito vari strumenti internazionali 22. Si coglie, d'altra parte, una particolare attenzione verso l’interesse del minore ad intrattenere regolari e stabili relazioni con i propri genitori, come vuole l’art. 24 della Carta di Nizza: un interesse che doveva necessariamente governare le scelte legislative sui meccanismi di attuazione delle decisioni in tema di visita, mediando tale istanza con l’altrettanto importante esigenza di bilanciare il rapporto genitori-figli con il superiore interesse del minore applicati dai giudici nazionali. Il tema è estremamente rilevante, poichè il rilievo della Carta di Nizza potrà essere vario, nel senso che, acquisita la vincolatività propria del Trattati, scaturirà il duplice effetto correlato alla natura "costituzionale" della Carta, collegato all'interpretazione della norma eurounitaria in modo conforme alla Carta ed all'obbligo di disapplicazione della disposizione della normativa interna attuativa dei Regolamenti che dovesse ritenersi contraria alla Carta di Nizza. D'altra pare il sistema è ancora in movimento se si considera che l'Unione europea aderisce alla Cedu e che da tale adesione, nelle forme che saranno individuate da un

alle norme della Convenzione di Bruxelles del 1968 e, soprattutto, alla giurisprudenza della Corte di giustizia che sulle stesse si è pronunziata. 22 V. art. 12 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo 20 novembre 1989 ratificata dall’Italia con legge 27 luglio 1991, n. 176; art. 13 par. 2 Conv. L’Aja 1980.

44


nuovo Trattato, deriverĂ l'assoggettamento del diritto eurounitario e delle sue istituzioniivi compresa la Corte di Giustizia- alla giurisdizione della Corte europea dei diritti umani.

45


Teresa Angela Camelio Le commissioni rogatorie e il ruolo del magistrato di collegamento nello spazio Shengen

1.Il Magistrato di collegamento. Questa figura é stata creata dall’ Azione Comune GAI 96/277 del 22 aprile 1996, adottata dal Consiglio Europeo sulla base dell’Art. K.3 del trattato sull’Unione Europea, allo scopo di creare un quadro di scambio di magistrati volta a realizzare un miglioramento nella cooperazione giudiziaria e facilitare la comprensione reciproca fra i Paesi membri dell’Unione Europea. Nel Preambolo de l’Action Commune, il magistrato di collegamento é definito un anello indispensabile della cooperazione internazionale, che a sua volta é il maillot centrale , il cardine centrale della lotta alla criminalità organizzata. 23 Curiosamente, mentre nessuna disposizione specifica, in Italia, si occupa del magistrato di collegamento, in Francia tutte le convenzioni e circolari diffuse dal Ministero della Giustizia e delle Libertà che disciplinano la materia dell’entraide internazionale, si riferiscono anche a questa figura. Il Magistrato di collegamento francese , come tutti gli altri colleghi sopra menzionati, é designato con decreto del Ministro della Giustizia e, dal punto di vista amministrativo, é un magistrato distaccato presso il Ministero degli affari Esteri. In effetti, questi é sottoposto all’autorità dell’Ambasciatore francese in Italia e, contemporaneamente, esercita le sua funzioni presso il Ministero della giustizia del paese di accoglienza. In Francia, é organicamente inquadrato presso il Servizio Affari Europei ed Internazionali (SAEI) del Ministero della Giustizia francese e dura in carica 3 anni rinnovabili.

23

All. 1 Pag. 20

46


Sostanzialmente lo stesso regime é in vigore per magistrati collegamentoprovenienti da : Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Germania, Stati Uniti, Canada, Marocco, Quebeq.

Il magistrato di collegamento italiano, é nominato su proposta del CSM, previo concerto invertito, dal Ministro della Giustizia per una durata di 6 mesi rinnovabili secundum voluntas principis. Diversamente dal suo omologo francese, dipende funzionalmente dal Gabinetto del Ministro della Giustizia italiano e, strutturalmente, se non organicamente, é inquadrato nell’ufficio II del Dipartimento Affari Giustizia.

L’attività del magistrato di collegamento , come sopra precisato, non é regolamentata. Se si eccettua la funzione di anello di comunicazione nella materia delle commissioni rogatorie internazionali , estradizioni e mandati europei, evidenziata con enfasi nel Preambolo della decisione GAI 1996, per il resto si tratta di un’attività libera ed affidata alla creatività dello stesso magistrato. Eppure é proprio questa accennata attività collaterale che permette la realizzazione di una produttiva collaborazione con il paese di accoglimento, e, talvolta, anche con altri paesi europei ed extraeuropei. Il magistrato di collegamento deve conoscere il reaseau ministeriale, ma soprattutto i colleghi delle varie giurisdizioni francesi. Solo il contatto diretto e personale con i colleghi du “terrain”, in forza presso le varie corti d’appello, permette di ottenere le necessarie informazioni nel più breve tempo possibile, di accelerare l’esecuzione delle commissioni rogatorie, che, per loro intrinseca caratteristica sono urgenti : o perché riguardano « vecchi cadaveri » giacenti che vengono riesumati (chi non ne ha nel cassetto !), o perché i tempi delle indagini stanno per scadere, o perché l’oggetto della ricerca verrebbe vanificato da un ritardo nell’esecuzione.

47


Il M.d.C deve essere a disposizione dei colleghi italiani ed al contempo dei colleghi francesi: cio’ implica, in effetti, da parte sua, la serena rassegnazione ad una sorta di « turno » permanente. Questo fa si’ che possa funzionare non solo da tramite, il che sarebbe veramente riduttivo, ma da « collante », piuttosto, fra il proprio paese d’origine ed il paese d’accoglimento, cercanbdo di realizzare un’osmosi fra culture giuridiche diverse. La partecipazione a convegni per la formazione dei magistrati a l’Ecole Nationale de la Magistrature, cosi’ come a conferenze e dibattiti presso Università o altri Enti giuridici rappresentano delle occasioni estremamente favorevoli e costituiscono degli ottimi veicoli di informazione, permettendo sia di « esportare » i nostri strumenti giuridici , sia di « importare » nel nostro paese suggerimenti su pratiche e legislazioni in vigore oltralpe.

2. Le commissioni rogatorie secondo il sistema Schengen Mi é stato proposto di illustrare il sistema delle commissioni rogatorie nel quadro europeo dando risalto alla figura del magistrato di collegamento, che é il ruolo che da due anni svolgo in Francia per conto del Ministero della Giustizia italiano . Sarebbe, credo, un’offesa per l’alto livello di questa assemblea che mi onora del suo ascolto, partire dal dato codicistico e tenere una sorta di lezione di procedura penale sulle comissioni rogatorie : basta leggere il codice. Sia titolo di questo convegno, l’Europa dopo Lisbona, sia la mia funzione, mi impongono di parlare di confience mutuelle, di fiducia reciproca , concetto sul quale in seguito ritornero’, e di passare oltre, dando per scontato il sistema rogatoriale previsto dal codice di procedura penale dagli artticoli 723 CPP e ss. (rogatorie dall’estero) e 727 e ss . (rogatorie all’estero) , che prevede il pasaggio obbligatorio al Ministero della Giustizia, sia delle rogatorie passive che di quelle attive (previo inoltro in via diplomatica in questo caso e decisione favorevole, nel primo, della Corte d’appello del luogo in cui si deve procedere).

48


Nondimeno, non sarebbe corretto, ma addirittura giuridicamente inesatto ritenere che questo sistema non sia più in vigore. In tema di rapporti giurisdizionali con le autorità straniere, l’art. 53 della convenzione del 19 giugno 1990 di Applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, ratificata con legge 30 settembre 1993 n. 388 -secondo il quale per i paesi ad esso aderenti, le richieste di assitenza giudiziaria possono avere luogo direttamente tra autorità giudiziarie e nello stesso modo possono essere inviate le risposte- non ha reso inoperanti per il nostro Paese, le disposizioni di rito penale, se non nella parte riguardante i poteri del Ministro della Giustizia, al quale non é più obbligatorio trasmettere le domande di assistenza giudiziaria, e non é più da ritenere tramite indispensabile fra autorità giudiziaria richiedente (in caso di CRI passive) ed autorità italiana. Ne consegue che le disposizioni di diritto interno, in forza del quale é demandato alla Corte d’appello del luogo in cui deve procedersi agli atti richiesti il diritto di exequatur, sono tuttora in vigore e che é legittimo il provvedimento con cui detta Corte delega per l’esecuzione della rogatoria il giudice per le indagini del luogo in cui le indagini devono compiersi. Fatta questa premessa, vorrei fare riferimento, scorrendole rapidamente, alle norme internazionali che regolano la materia della collaborazione internazionale,con riferimento alla Francia, e , naturalmente al ruolo del M.d.C 24. In particolare, vorrei richiamare l’attenzione sulla circolare del Ministro della Giustizia e delle Libertà francese dell’11 febbraio 200925, che disciplina specificamente la trasmissione diretta da Autorità giudiziaria ad autorità Giudiziaria , indicandone le modalità esecutive , e cio’ in base alla disposizione degli artt. 6.1 e 5 della Convenzione d’Entraide del 20 maggio 2000 entrata in vigore in Francia il 23 agosto 2005. Dalla lettura della richiamata convenzione ,non possiamo non notare che , per quanto riguarda la convenzione di collaborazione penale, mentre per l’Italia sono ancora

24 25

All. 2, pag. All. 3 : Pag. 15 e traduzione

49


in vigore gli artt. 52 e 53 della convenzione del 19 giugno 1990 di Applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, ratificata con legge 30 settembre 1993 n. 388, che peraltro prevedono la trasmissione diretta delle CRI in casi di urgenza, questi articoli non sono più in vigore in Francia, in quanto espressamente abrogati dall’art. 695 del codice di procedura penale, novellato dalla Legge Perben II. come espressamente disposto dall’art. 2 della Convenzione. Tuttavia, sulla base di quella che possiamo definire « cortesia internazionale » nonché dell’efficacia relativa delle convenzioni internazionali, detta circolare consente che il principio della trasmissione diretta da Autorità giudiziaria ad Autorità giudiziaria possa vare luogo anche con paesi quali l’Italia , Cipro e la Grecia, che non hanno ratificato la convenzione di collaborazione penale del maggio 2000. Non si puo’ omettere di osservare che la mancata ratifica, da parte dell’Italia , della suddetta Convenzione comporta, per cio’ che attiene la lotta alla grande criminalità organizzata, l’impossibilità di costituire le Squadre di Investigazione Comuni, strumento operativo interforze, che prevede la collaborazione delle JIRS ( Juridictions intérrégionales spécialisées) con i colleghi di altre procure in Europa, Europol, Eurojust, Magistrati di collegamento .

3. Ancora sulle Commissioni rogatorie secondo il sistema Schengen Il sistema dell’inoltro diretto delle commissioni rogatorie da autorità giudiziaria ad autorità giudiziaria, previsto dal c.d. sistema Schengen implica la collaborazione necessaria del MC. In accordo con il Ministero della Giustizia, abbiamo messo a punto un metodo di trasmissione che permette, da un lato, di velocizzare la trasmissione delle richieste , dall’altro, consente all’ all’autorità rogante di controllare, proprio attraverso il tramite del magistrato di collegamento, lo stato di esecuzione delle domande di collaborazione. Questo sistema , per quanto riguarda la Francia , consiste in una prima presa di contatto con il M.d.C, le cui coordinate sono reperibili sul sito del Ministero della 50


Giustizia, che riceve una sommaria informazione telefonica del tipo di richiesta da parte del collega italiano . Quindi viene attivato uno scambio di coordinate via e-mail, con il quale il M.d.C invia un modello di collaborazione penale in italiano ed in francese, fornendo alcune necessarie precisazioni, nonché, sulla base delle ulteriori precisazioni ottenute, il numero di FAX e l’indirizzo dell’A.G. alla quale inviare direttamente la rogatoria. Prima dell’inoltro, l’AG. invia in modo del tutto informale una copia della richiesta tradotta al MC per una lettura ed un eventuale parere su eventuali aggiunte o sostituzioni. Le prime informazioni, sono fornite nell’immediatezza,cosi’ come l’ultimo controllo sulla bozza tradotta. La richiesta di collaborazione, una volta tradotta, deve essere inviata, quindi, via fax, all’autorità giudiziaria indicata, (che é generalmente la Procura della Repubblica del luogo di esecuzione, o a seconda dei casi, la Procura Generale o, ancora il Decano dei giudici istruttori che provvederanno, a loro volta, a smistarla alla Procura della Repubblica competente o al Giudice istruttore, a seconda della complessità della CRI ), nonché, per conoscenza, all’Ufficio II del Ministero della Giustizia e, via e-mail, al magistrato di collegamento. Nei casi in cui le autorità richiedenti siano le varie DDA, una copia della richiesta deve essere inviata per conoscenza anche alla DNA. L’esito della rogatoria verrà inviato direttamente all’autorità richiedente, via fax. Cio che é opportuno sottolineare, é il fatto che, una volta deciso di adottare la scelta della collaborazione « diretta », vale il principio per cui « electa una via non datur ricursus ad alteram » . L’errore che, del tutto in buona fede, molti colleghi commettono, ritenendo che la meta sia più facilmente raggiungibile percorrendo nel contempo due strade diverse, o magari tre, é quella di inviare la richiesta contemporaneamente, al Ministero della Giustizia per l’inoltro in via diplomatica, all’Interpol, e, in aggiunta, secondo il sistema Schengen . 51


In questo caso, non si avrà affatto l’auspicato effetto di una riduzione dei tempi, poiché, necessariamente, la commissione rogatoria dovrà seguire il percorso prioritario previsto dal codice di procedura penale , e non si tratterà più di collaborazione diretta fra autorità giudiziaria ad autorità giudiziaria, ma di inoltro secondo la via diplomatica. A quel punto, neppure l’intervento del M.d.C, eventualmente richiesto dall’AG richiedente per sollecitare i tempi di esecuzione potrà risolvere la situazione perché, verosimilmente, la domanda giacerà ancora nei meandri del Ministero della Giustizia ricevente in attesa di essere veicolata all’Autorità competente. Il M.d.C « entra in gioco » , invece, grazie anche al suo livello di conoscenza della “carta giudiziaria” francese e dei personali rapporti con i colleghi del paese ospitante per “seguire” il corso della rogatoria diretta, chiedendo periodicamente, su sollecito dell’AG richiedente , informazioni sull’esito e, se necessario, fornendo informazioni scritte sul sistema penale, o civile, sostanziale e/o processuale , italiano, a seconda dei casi. In appendice ho allegato i modelli di entraide con relativa traduzione che vengono utilizzati nelle rogatorie italo/ francesi .26

4.Problemi pratici nella trattazione delle commissioni rogatorie Un tema di grande attualità , e, direi, la materia prima dell’odierno convegno, é quello della « confience mutuelle » , ossia della « fiducia reciproca » fra i paesi dell’Unione europea per cio’ che attiene le iniziative e decisioni giuridico/giurisdizionali . Senza entrare nel dettaglio, ritengo che non vi possa essere confience mutuelle se non vi é, a monte, la conoscenza reciproca. La conoscenza dei reciproci sistemi giuridici é a base della fiducia reciproca fra i paesi e, quindi, della collaborazione stessa. Alcuni esempi possono, a mio avviso, servire a dimostrare, a contrario, quanto « pesi » il difetto di conoscenza nell’ambito della collaborazione penale.

26

Allegato 3 pag :

52


 Di

recente, ho dovuto interporre miei buoni uffici per “sboccare” una commissione

rogatoria che il collega giudice istruttore parigino non voleva assolutamente darsi la pena di eseguire. Si trattava, come nella maggior parte dei casi, di una rogatoria urgente in materia di terrorismo, dove i fatti erano asai risalenti nel tempo. Veniva richiesto l’esame di alcuni poliziotti che avevano redatto a suo tempo dei processi varbali che non erano stati acquisiti agli atti per mancanza di accordo delle parti. Il Giudice istruttore francese, dove vige ancora il sistema inquisitorio, si rifiutava di « perdere il suo tempo prezioso » per sentire come testimoni dei poliziotti che avevano già redatto un verbale. Non voleva accettare l’esistenza di un sistema diverso, che imponeva di interrogare come testi, anche i poliziotti, e soprattutto di accettare che il giudice non disponesse di quei verbali nel suo fascicolo processuale.  Altro esempio. Sempre nel corso di una commissione rogatoria per fatti di terrorismo, veniva richiesto dall’autorità giudiziaria italiana (il processo era già nella sua fase dibattimentale) di interrogare l’imputato , il cui esame era stato richiesto dal PM, con le garanzie previste dal codice. Durante l’incontro preliminare avuto con il collega delegato all’esecuzione della CRI, mi sono state manifestate alcune perplessità che, fortunatamente , avevo intuito e mi avevano indotto a sollecitare quell’incontro. Il collega riteneva la richiesta di rogatoria nulla poiché non erano indicate le circostanze sulle quali avrebbe dovuto vertere l’interrogatorio : non conoscendo il sistema processuale italiano, non poteva sapere che il giudice italiano non « puo’ » sapere i anticipo quali domande verranno poste dal PM (o comunque dalla parte che ha chiesto l’interrogatorio) , non essendo lui a condurlo, dovendo limitarsi a garantirne la correttezza. La commissione rogatoria, quindi, non era nulla, ed avrebbe ben potuto svolgersi secondo le regole del nostro codice di procedura penale, che pure ammettono, nel caso in 53


cui le parti siano d’accordo, che sia il giudice a condurre l’esame. Ovviamente nel caso specifico, il giudice delegato alla rogatoria si sarebbe limitato, come é in effetti avvenuto, a porre le domande su richiesta del PM. Il collega, dopo avere ricevuto una sorta di lezione di diritto processuale, si é « arreso » ed ha riconosciuto il suo errore di valutazione. La conoscenza reciproca ha consentito la mutua collaborazione.

5. I rapporti del magistrato di collegamento con Eurojust La convenzione 22 maggio 2000 sopra menzionata, non ancora ratificata dall’Italia, come ho accennato, assegna un ruolo determinante nell’ambito delle ECE Equipes Communes d’Enquête , o Squadre d’Investigazione Comune, al magistrati di collegamento. Ovviamente non é il caso di parlare di un testo che ancora « non ci appartiene » e che sul suolo francese ci attira tante critiche. Questo non significa, pero’, che l’Italia, con la sua legislazione all’avanguardia, per quanto riguarda la legislazione sulla confisca e le misure di prevenzione dei patrimoni mafiosi, non riesca a fare inchieste di portata non solo europea, ma internazionale nel campo della criminalità organizzata. In questi casi, che vedono sovente implicate le magistrature e inquirenti e le forze di polizia

le

di

vari

paesi

,

é

imprescindibile

il

riferimento

ad

Eurojust.

In questi casi, il ruolo del MC deve essere, a mio parere, della massima collaborazione possibile. Essendo « radicato » nel paese di accoglienza, potrà fornire, se richiesto, tutte le informazioni necessarie che raccoglierà in « loco » dai colleghi e che trasmetterà senza ritardo al Rappresentante italiano di Eurojust e, per conoscenza,al Ministero della Giustizia ed altresi’ alla DNA se si tratta di informazioni che la riguardano . Altre volte, puo’ accadere che il MC e Eurojust siano raggiunti dalle medesime richieste concernenti il solo paese di accoglienza del MC. 54


In questo caso, appare opportuno, previa intesa con il Rappresentante Italiano, che sia il MC a gestire la richiesta, essendo inutile che Eurojust deleghi quest’ultimo ovvero si carichi di un dossier che puo’ essere più agevolmente trattato dal magistrato che ha un contatto immediato con le autorità richieste. Anche in questo caso, la collaborazione é frutto della conoscenza delle rispettive funzioni, del rispetto reciproco, della disponibilità reciproca.

6. Le commissioni rogatorie in altri paesi, accenno Come tutti voi sapete, ci sono attualmente Quattro magistrate di collegamento: in Spagna, Regno Unito, Romania e Francia.  Per quanto riguarda la Spagna , il magistrato di collegamento é Leo d’Agostino. Anche in Spagna é utilizzato l sistema dell’invio diretto della rogatoria seono il c.d. sistema Schengen. La situazione é simile a quella italo/francese, poiché anche la Spagna, come la Francia, ha ratificato la Convenzione 22 maggio 2000, che é la disciplina attualmente in vigore , consentendo l’utilizzo di questo « doppio binario » per l’Italia inadempiente. Il MC italiano in Spagna riceve le richieste di rogatoria italiane e le trasmette ai colleghi spagnoli, che sono in genere pubblici ministeri o giudici istruttori, a seconda del tipo di attività che viene richiesta (le intercettazioni telefoniche e le attività più complesse rientrano nella competenza dei giudici istruttori).

 In Romania il magistrato di collegamento é Roberto Amorosi. Non viene seguito un sistema unico, sia quello dell’inoltro diretto fra AA.GG, (anche via e-mail !) , sia quello previsto dal codice di procedura penale. Nel primo caso il Ministero deve ricevere copia della richiesta di rogatoria per conoscenza, e cosi’ pure il MC.

 Nel Regno Unito,il magistrato di collegamento é Sandro Ricci. 55


Ovviamente i britannici non seguono la trasmissione da AG ad AG. Le rogatorie vanno indirizate alla UK Central Authority se sono indirizzate in Inghilterra e Galles. Diverse autorita’ centrali operano in Scozia ed Irlanda del Nord. Quanto poi alle isole del Canale, Gibilterra e territori d’oltremare (BVI per esempio) bisogna inoltrarle per via diplomatica indirizzandole all’Attorney General.

56


Allegato 1 RÉFÉRENCES

Acte

Entrée vigueur

Action commune 96/277/JAI

en

Transposition dans

les

membres

27.04.1996

-

États

Journal Officiel

Journal officiel L 105 du 27.04.1996

Dernière modification le: 16.05.2007 • circulaire SAEI n° 97-04 du 14 novembre 1997 sur le rôle et les attributions des magistrats de liaison.

57


Allegato 2

Convenzioni adottate dalla Francia

Conventions internationales 

Convention unique des Nations-Unies sur les stupéfiants, faite à New-

York le 30 mars 1961 (fiche de synthèse) 

Protocole portant amendement de la convention unique des Nations-Unies

sur les stupéfiants de 1961, conclu à Genève le 25 mars 1972 (fiche de synthèse) 

Convention des Nations-Unies contre le trafic illicite de stupéfiants et de

substances psychotropes, adoptée à Vienne le 19 décembre 1988 Entrée en vigueur le : 23/12/1983 

Convention des Nations-Unies sur les Droit de la Mer

Montego Bay 10 decembre 1982 Entrée en vigueur: 16 Novembre 1994 Accéder au texte de la convention Etat des signatures et des ratifications 

Convention des Nations Unies contre la criminalité transnationale

organiséeadoptée à New York le 15 novembre 2000 Conventions européennes Union Européenne 

Accord de Schengen du 14 juin 1985

Convention d'application de l'accord de Schengen du 14 juin 1985 entre

les gouvernements des Etats de l'Union économique Benelux, de la République Fédérale d'Allemagne et de la République française relatif à la suppression graduelle des contrôles aux frontières communes signé le 19 juin 1990

58


Convention du 10 mars 1995 relative à la procédure simplifiée

d'extradition entre les Etats membres de l'Union européenne 

Convention du 27 septembre 1996 relative à l'extradition entre les Etats

membres de l'Union européenne 

Décision-cadre du Conseil du 13 juin 2002 relative au mandat d'arrêt

européen et aux procédures de remise entre États membres (2002/584/JAI) 

Convention du 29 mai 2000 relative à l'entraide judiciaire en matière

pénale entre les Etats membres de l'Union européenne 

Protocole du 16 octobre 2001 à la convention du 29 mai 2001 relative à

l'entraide judiciaire en matière pénale entre les Etats membres de l'Union européenne

 Conseil de l'Europe 

Convention européenne d’extradition du 13 décembre 1957

Ratification ou adhésion : 10/02/1986 Entrée en vigueur le : 11/05/1986 (JO :15/05/1986 p.6343) 

Convention européenne d’entraide judiciaire en matière pénale du 20

avril 1959 Ratification ou adhésion : 23/05/1967 Entrée en vigueur le : 21/08/1967 

Convention européenne de 1964 pour la surveillance des personnes

condamnées ou libérées sous condition Ratification ou adhésion : 16/09/1968 Entrée en vigueur le : 22/08/1975 

Convention européenne pour la répression des infractions routières

59


Ratification ou adhésion : 16/09/1968 Entrée en vigueur le : 18/07/1972 

Convention européenne pour la répression du terrorisme du 27 janvier

1977 Ratification ou adhésion : 21/09/1987 Entrée en vigueur le : 22/12/1987 

Protocole additionnel à la convention européenne dans le domaine de

l'information sur le droit étranger Ratification ou adhésion : 22/09/1983 Entrée en vigueur le : 23/12/1983  

Protocole additionnel à la convention européenne d'entraide judiciaire en

matière pénale Ratification ou adhésion : 01/02/1991 Entrée en vigueur le : 02/05/1991 (JO : 25/04/1991 p.5476) 

Convention de 1983 sur le transfèrement des personnes condamnées

Ratification ou adhésion : 11/02/1985 Entrée en vigueur le : 01/07/1985 Lettre française du 29/11/1999 notifiant la levée de la réserve Entrée en vigueur le :22/12/1999 (JO:27/05/2000)

Décret no 2000-451 du 22 mai 2000 portant publication de la lettre française

du 29 novembre 1999 notifiant la levée de la réserve portant sur la convention sur le transfèrement des personnes condamnées, faite à Strasbourg le 21 mars 1983 

Convention européenne relative au dedommagement des victimes

d'infractions violentes

60


Ratification ou adhésion : 01/02/1990

Textes nationaux Lois 

Loi du 10 mars 1927 (art.30 à art.39)

Loi du 23 juin 1999 renforçant l'efficacité de la procédure pénale

(voir aussi : note de synthèse et Circulaire du 29/12/1999) 

Loi du 29 avril 1996 relative au trafic de stupefiants en haute mer et

portant adaptation de la législation française à l'article 17 de la convention de Vienne du 20 décembre 1988 

Loi du 13 mai 1996 relative à la lutte contre le blanchiment et le trafic de

stupefiants et à la coopération internationale en matière de saisie et de confiscation des produits du crime

CIRCULAIRES EN MATIERE D'ENTRAIDE PENALE INTERNATIONALE 

Circulaire du 10 août 2005 relative au gel de biens et d'éléments de preuve

résultant de la loi 2005-750 du 4 juillet 2005 portant diverses dispositions d'adaptation au droit communautaire dans le domaine de la justice (N° NOR :

61


JUS-D05-30117C) Annexe 1 : Certificat de décision de gel (formats : word - wp - pdf) Annexe 2 : tableau des Etats membres de L'EU ayant transposé la décision du 22/07/2005 Annexe 3 : Principaux articles de procédure civile d'exécution 

Circulaire du 23 janvier 2006 concernant l'applicabilité à la France de la

convention relative à l'entraide judiciaire en matière pénale entre les Etats membres de l'Union européenne du 29 mai 2000 et de son protocole du 16 octobre 2001 entre ces mêmes Etats 

Circulaire-mémento sur l'entraide pénale internationale (avril 2004)

Circulaire du 7 mai 1991 relative à l'entraide répressive internationale en

matière pénale 

Circulaire du 13 octobre 1998 relative aux formulaires des demandes

d'extraits de casier judiciaire dans le cadre de l'entraide judiciaire internationale 

Circulaire du 29 décembre 1999 relative à l'entraide judiciaire

internationale TEXTES NATIONAUX D'APPLICATION DE LA CONVENTION DE SCHENGEN 

Circulaire du 21 mars 1995 relative à la mise en œuvre de la convention

d'application de l'Accord de Schengen 

Circulaire du 24 mars 1995 relative à la mise en œuvre de la convention

d'application de l'Accord de Schengen 

Circulaire du 23 juin 1995 commentant les dispositions des articles 39, 40 et

41 de la Convention de Schengen 

Circulaire du 23 juin 1995 commentant les dispositions des articles 39, 40 et

41de la Convention de Schengen

62


Circulaire du 9 novembre 1995 commentant les dispositions des articles 67,

68 et 69 de la Convention de Schengen CIRCULAIRES EN MATIERE DE LUTTE CONTRE LE BLANCHIMENT ET LE TRAFIC DE STUPEFIANTS 

Circulaire du 28 septembre 1990

Mise en oeuvre de la loi n° 90-614 du 12 juillet 1990 relative à la participation des organismes financiers à la lutte contre le blanchiment de capitaux provenant du trafic de stupéfiants 

Circulaire du 19 juin 1991

Lutte contre le trafic de stupéfiants et des substances psychostropes. Renforcement de la coordination entre les services des Douanes et les parquets 

Circulaire du 10 juin 1996 commentant la loi du 29 avril 1996 relative au

trafic de stupefiants en haute mer et portant adaptation de la législation française à l'article 17 de la convention de Vienne du 20 décembre 1988 

Circulaire du 10 juin 1996 commentant la loi du 13 mai 1996 relative à la

lutte contre le blanchiment et le trafic de stupefiants et à la coopération internationale en matière de saisie et de confiscation des produits du crime 

Circulaire du 25 octobre 1996 tendant au renforcement de la coopération

judiciaire franco-néerlandaise en matière de lutte contre la drogue 

Circulaire du 17 juin 1999 relative à la lutte contre le trafic de stupéfiants

TRANSFEREMENT 

Circulaire du 6 avril 1989

Modalités d'application des conventions internationales sur les transfèrement de personnes condamnées 

Note du 17 juillet 1990

Modalités d'application des conventions internationales sur le transfèrement des

63


personnes condamnées 

Note du 28 mai 1991

Modalités d'application des conventions internationales sur le transfèrement des personnes condamnées.

64


Allegato3

65


66


Traduzione : La convenzione di applicazione dell'accordo di Shengen a posto il principio della trasmissione diretta fra autorità giudiziarie delle domande di collaborazione senza urgenza (art.53.1) 27 In virtu' dell'art. 695 cpp, questa trasmissione diretta si operava per quanto riguarda la Francia, per il tramite del Procuratore Generale. Questo articolo é stato abrogato. L'art. 695 comma 1 dello stesso codice, in applicazione di quanto espressamente affermato dall'art. 4 della convenzione del 29 maggio 200028 che ha consolidato questo principio della trasmissione diretta senza condizione d'urgenza fra autorità giudiziarie, dispone ormai che le domande di collaborazione siano trasmesse fra autorità giudiziarie e che i documenti siano scambiati direttamenti fra le A.G. Territorialmente competenti per la relativa consegna ed esecuzione. Il nuovo regime permette oramai ad una autorità straniera di inviare ad un giudice istruttore o ad un procuratore della repubblica una domanda di collaborazione senza che sia necessario ravvisare l'urgenza, né inviare per conoscenza una copia della domanda al Ministero della Giustizia. Questo principio si deve applicare anche agli stati del stimema Shengen ai quali la convenzione del 29 maggio non si applica ancora . In effetti, poiché l'art. 695 cpp é statp abrogato dalla legge del 9 marzo 200429, conviene ritenere che le autorita prese in considerazione all'art. 53 comma 1 della convenzione di Shengen sono, per quanto riguarda la recezione della domanda, in Francia,

27 In realtà, letto secondo il punto di vista « italiano », detto articolo, non prevede affatto l'obbligatorietà della trasmissione diretta, ma, il suo opposto, ossia, la « facoltatività della trasmissione diretta fra A.G. 28 La convenzione di Bruxelles non ratificata dall'Italia, che prevede, fra l'altro, la costituzione del e « famose » equipes communes d'enquête ... 29 La c.d. « Loi Perben » di riforma della giustizia

67


quelle previste dall'art. 694 comma 1, ossia, il Procuratore, il Giudice Istruttore ed il Procuratore Generale

68


Fabrizio Gandini Unione Europea e lotta alla corruzione

1.1 Unione europea e lotta alla corruzione prima del Trattato di Lisbona: il Trattato di Maastricht ed il c.d. terzo pilastro.

La relazione si propone di esaminare il tema delle competenze in materia di corruzione attribuite alla Unione europea (d’ora innanzi: UE) a seguito del Trattato di Lisbona30. Preliminarmente, ci sembra opportuno svolgere qualche considerazione sulla lotta alla corruzione nel contesto del precedente Trattato sull’Unione europea, adottato a Maastricht il 7 febbraio 1992, con le modifiche successivamente apportate31. Come è noto, la UE ha la natura giuridica di una organizzazione internazionale alla quale –per mezzo dei trattati istitutivi- gli Stati membri hanno attribuito delle competenze per conseguire i loro obiettivi comuni32. La UE è informata al principio delle c.d. competenze di attribuzione, in base al quale essa agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Ne deriva pertanto che: “Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.”33. Si tratta di un principio già previsto, seppure in forma larvata, anche dal Trattato sulla UE nella versione ante-Lisbona34. Uno dei meriti del Trattato di Lisbona è stato proprio quello di renderlo esplicito, dettandone una disciplina dettagliata.

Cfr. : “Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull'Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea”, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009. 31 In particolare, quelle introdotte dal Trattato di Amsterdam firmato il 2 ottobre 1997. 32 Cfr. l’art.1 della versione consolidata del: “ Trattato sull’Unione europea”, a seguito delle modifiche disposte per mezzo del Trattato di Lisbona (d’ora innanzi, TUE). 33 Cfr. art.5 § 2 TUE. 34 Cfr. art.5 § 1 del vecchio TUE. 30

69


Nel vigore del Trattato di Maastricht, pur in mancanza di disposizioni ad hoc dettate in materia di lotta alla corruzione, una feconda base giuridica veniva trovata nel Titolo VI del Trattato, che disciplinava per la prima volta la materia della cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni (c.d. terzo pilastro, GAI), ed in particolare nell’articolo K 3, che consentiva l’adozione di convenzioni tra gli Stati membri UE nelle materie di cui al precedente articolo K 135. L’azione in materia di corruzione trovava inoltre una concorrente base giuridica anche nell’art.209 A del Trattato istitutivo delle Comunità europee (TCE 36), laddove si prevedeva l’adozione di misure da parte degli Stati membri per la tutela degli interessi finanziari delle Comunità. Tale ultima ratio, ossia la necessità di tutelare il c.d. bilancio comunitario, portava dapprima alla: “Convenzione elaborata in base all'articolo K.3 del trattato sull'Unione europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee”, adottata il 26 luglio 1995 (c.d. Convenzione TIF). La convenzione de qua non prevede disposizioni in materia di corruzione, ma viene citata perché tali disposizioni sono invece espressamente previste dal suo Primo protocollo, adottato il successivo 27 settembre 1996. Il Primo Protocollo TIF trova la propria giustificazione nella consapevolezza del fatto che gli interessi finanziari delle Comunità europee possono essere lesi o minacciati non solo dalle frodi (come previsto dalla Convenzione del 1995) ma anche da altri illeciti penali; ed in particolare da quelli costituenti atti di corruzione commessi da funzionari sia “Ai fini della realizzazione degli obiettivi dell'Unione, in particolare della libera circolazione delle persone, fatte salve le competenze della Comunità europea, gli Stati membri considerano questioni di interesse comune i settori seguenti: (…) 7) la cooperazione giudiziaria in materia penale; (…) 9) la cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta contro il terrorismo, il traffico illecito di droga e altre forme gravi di criminalità internazionale, compresi, se necessario, taluni aspetti di cooperazione doganale, in connessione con l'organizzazione a livello dell'Unione di un sistema di scambio di informazioni in seno ad un Ufficio europeo di polizia (Europol).” 36 V. in seguito l’art.280 TCE, come modificato dal Trattato di Amsterdam, che espressamente prevede: “La Comunità e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari della Comunità stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri.”. 35

70


nazionali sia europei, o a danno di questi, responsabili della riscossione, della gestione o della spesa dei fondi comunitari ovvero del loro controllo. Il Protocollo prevede per le parti contraenti l’obbligo di incriminazione delle condotte di corruzione passiva ed attiva commesse da/nei confronti di funzionari delle Comunità e/o degli Stati membri, a condizione che si tratti di condotte che ledono o potrebbero ledere gli interessi finanziari delle Comunità. La stessa ratio di tutela delle entrate e delle spese comunitarie ha portato poi alla istituzione dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), istituito con decisione del 28 aprile 1999 al fine di lottare contro la frode, la corruzione e qualsiasi attività illecita lesiva degli interessi finanziarie della CE. La necessità di migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale

37

costituiva

invece la base giuridica della: “Convenzione sulla base dell'articolo K.3, paragrafo 2, lettera c) del trattato sull'Unione europea relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea”, adottata il 26 maggio 1997. Mentre la Convenzione TIF del 1995 ed il suo Primo Protocollo hanno per oggetto solo quelle condotte criminali che pregiudicano o possono pregiudicare gli interessi finanziari delle CE, la Convenzione del 1997 –essendo fondata su una ratio diversaprescinde da tale condizione, prendendo in considerazione tutti gli atti di corruzione nei quali sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o funzionari degli Stati membri in genere, purchè presentino una dimensione transfrontaliera. Restano dunque escluse dal campo di applicazione della convenzione le sole condotte di corruzione interna ad uno Stato membro, ossia una condotta che non coinvolga un funzionario di un altro Stato membro o comunitario. La Convenzione TIF, il suo Primo Protocollo e la Convenzione del 1997 sono stati tutti ratificati dall’Italia per mezzo della legge 29 settembre 2000, n.300.

37

Cfr. art. K 1 no.7 del Trattato di Maastricht.

71


1.2 Segue: il Trattato di Amsterdam e la creazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

Il Trattato di Amsterdam perfezionava e portava a compimento la creazione del c.d. terzo pilastro iniziata con il precedente Trattato di Maastricht, attribuendo alla UE -tra gli altri- l’obiettivo di conservare e sviluppare l’Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia38. A tal fine, l’ art.29 TUE39, prevedeva che tale obiettivo venisse perseguito prevenendo e reprimendo la criminalità organizzata e di altro tipo, con particolare riferimento al terrorismo, la tratta degli esseri umani, i reati contro i minori, il traffico illecito di droga e di armi, la corruzione la frode, per mezzo di tre azioni tipiche: a) la cooperazione tra le forze di polizia degli Stati membri (art.30); b) la cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri (art.31, lett.da a) a d)); c) il ravvicinamento, ove necessario, delle normative degli Stati membri in materia penale (art.31 lett. e)). Per quanto di nostro interesse, il Trattato di Amsterdam costituiva un passo in avanti rispetto al Trattato di Maastricht, attribuendo esplicitamente alla UE delle competenze in materia di corruzione, in quanto funzionali alla realizzazione dell’obiettivo della creazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Si usciva così dalla angusta prospettiva della tutela degli interessi finanziari della CE. Tuttavia, l’azione più incisiva, ossia il ravvicinamento delle normative penali, attraverso la : “progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni”40 veniva limitata ad un numero chiuso di reati, tassativamente indicati dalla disposizione citata, tra i quali non figurava la corruzione41.

Cfr. art.2 TUE. Inserito nel Titolo V, “Disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale” del TUE. 40 Cfr. art.31 lett. e) cit. 41 Si trattava della: “criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico illecito di stupefacenti”. 38 39

72


Il Consiglio UE decideva comunque di superare l’impasse facendo ricorso alla generale base giuridica prevista dall’art.29 TUE, ritenendo l’adozione di misure in materia di armonizzazione della corruzione funzionale alla realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Si trattava comunque di una scelta che prestava il fianco a più di una obiezione. Ragion per cui l’opzione funzionalista portava alla adozione della sola decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003 relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato42, finalizzata ad assicurare che: sia la corruzione attiva sia quella passiva nel settore privato, così come previste nella decisione quadro, fossero considerate illeciti penali in tutti gli Stati membri; che anche le persone giuridiche potessero essere considerate colpevoli di tali reati, e che le sanzioni fossero effettive, proporzionate e dissuasive. Successivamente, non venivano negoziate né tantomeno adottate altri strumenti giuridici vincolanti per gli Stati membri in materia di corruzione, ritenendosi che il quadro giuridico in vigore non consentisse l’adozione di strumenti ulteriori rispetto a quelli già in vigore. Così, mentre altre organizzazioni internazionali (quali le Nazioni unite, il Consiglio d’europa e l’OCSE) negoziavano ed adottavano strumenti internazionali che prevedevano obblighi di incriminazione uniforme/equivalenti in materia di corruzione interna agli Stati membri(c.d. levelling of the playing field, v. sotto), l’Unione europea rimaneva priva di un proprio autonomo strumento. A questo fine, è sufficiente rilevare come l’acquis consolidato della UE in materia di corruzione è costituito, oltre che dalla Convenzione TIF, dal suo Primo Protocollo e dalla Convenzione del 1997, anche dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (2003); dalla Convenzione OCSE sulla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali (1997); dalla Convenzione penale del Consiglio d’europa sulla corruzione (1998) e dalla Convenzione civile del Consiglio d’europa sulla corruzione (1999). Solo in parte implementata nel diritto interno. Cfr., prima dell’adozione del Trattato di Amserdam, l’azione comune del 22 dicembre 1998 adottata dal Consiglio sulla base dell'articolo K.3 del trattato sull'Unione europea, sulla corruzione nel settore privato (98/742/GAI). 42

73


Si può dunque concludere che, per quanto riguarda la corruzione interna, l’acquis sia costituito da strumenti internazionali extra-UE, con una posizione di assoluta primazia riconosciuta alla Convenzione delle Nazioni unite contro la corruzione del 200343.

Sul piano degli strumenti di soft law, si segnala da ultimo la: “Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo - Politica globale dell'UE contro la corruzione” (COM/2003/0317 def.) del 28 maggio 200344. 2. Unione europea e lotta alla corruzione nel Trattato di Lisbona.

Il Trattato di Lisbona, oltre a prevedere espressamente il principio delle c.d. competenze di attribuzione, ha avuto il merito di dettare una disciplina di dettaglio anche per quanto riguarda la distinzione tra competenze esclusive della UE e competenze

L’accessione a questa Convenzione, da parte dei nuovi Stati membri, è considerata obbligatoria ai fini dell’acquis. Viceversa, l’accessione alle convenzioni del Consiglio d’europa e dell’OCSE è invece considerata come “desiderable”. 44 Secondo questa comunicazione, la politica anticorruzione dell'UE dovrebbe comprendere i seguenti principali elementi: un forte impegno politico contro tutte le forme di corruzione deve essere assunto al massimo livello politico dell'UE; l'attuazione degli strumenti anticorruzione in vigore deve essere monitorata con attenzione ed essere rafforzata, tramite l'adesione della Comunità europea ad una o entrambe le convenzioni sulla corruzione del Consiglio d'Europa e la partecipazione nel relativo meccanismo di controllo - il gruppo GRECO; gli Stati membri dell'UE devono sviluppare e migliorare gli strumenti investigativi ed assegnare ulteriore personale specializzato ai servizi impegnati nella lotta contro la corruzione; gli Stati membri e la Commissione devono intensificare di sforzi nella lotta contro la corruzione che lede gli interessi finanziari della Comunità europea; le norme comuni in materia di integrità delle pubbliche amministrazioni in tutta l'UE, quali il Quadro di riferimento comune per la valutazione del servizio pubblico da parte dei responsabili delle amministrazioni pubbliche dell'UE, devono essere ulteriormente sviluppate a livello dell'UE; gli Stati membri e la Commissione devono sostenere il settore privato nell'impegno volto a rafforzare l'integrità e la responsabilità delle persone giuridiche; la lotta contro la corruzione politica ed il finanziamento illecito dei partiti e di altri gruppi di interesse deve essere potenziata a livello dell'UE e degli Stati membri; nel loro costante dialogo con i paesi candidati e prossimi all'adesione e altri paesi terzi, gli Stati membri e la Commissione devono includere sistematicamente le questioni relative alla corruzione ed assistere maggiormente tali paesi nei loro sforzi finalizzati ad elaborare ed attuare politiche nazionali anticorruzione sulla base dei dieci principi generali allegati alla comunicazione; l'UE deve continuare a considerare la lotta contro la corruzione parte integrante della sua politica esterna e commerciale. 43

74


concorrenti tra UE e Stati membri, sviluppando una classificazione già elaborata dalla giurisprudenza comunitaria e dalla dottrina. L’art.3 del TFUE45 prevede infatti l’elenco dei settori in ordine ai quali la UE ha competenza esclusiva. In merito alla competenza concorrente, il TFUE la configura quale competenza generale residuale: si ha competenza concorrente ogni qual volta i trattati attribuiscono alla UE una competenza che non rientra nei settori di competenza esclusiva (art.3 TFUE) o della nuova competenza di sostegno, coordinamento e completamento (art.6 TFUE)46 Secondo quanto previsto in via generale dal TFUE, quando i trattati attribuiscono alla UE una competenza esclusiva in un determinato settore solo la UE può legiferare ed adottare atti giuridicamente vincolanti, salva la possibilità per gli Stati membri di legiferare od adottare atti giuridicamente vincolanti per dare attuazione agli atti della UE oppure su autorizzazione di questa47. Quando invece viene in considerazione una competenza concorrente in un determinato settore sia l’EU che gli Stati membri possono legiferare ed adottare atti giuridicamente vincolanti, con il solo limite costituito dal fatto che gli Stati membri possono esercitare la loro competenza nella misura in cui la UE non ha esercitato la propria48. Dobbiamo pertanto chiederci se il TUE e/o il TFUE attribuiscono all’UE delle competenze in materie di corruzione e, in caso affermativo, se si tratti di una competenza esclusiva o concorrente. I settori di competenza esclusiva della UE, come già detto, sono previsti in modo tassativo dall’art.3 del TFUE. Tra essi non vi figura la cooperazione in materia penale né, tantomeno, la lotta alla corruzione. Né tale competenza figura nell’elenco dei settori nei quali la UE ha una competenza ex art.6 TFUE. Ne consegue che se i trattati attribuiscono

Si tratta del: “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”. Cfr. art.4 § 1 TFUE. 47 Cfr. art.2 § 1 TFUE. 48 Cfr. art.2 § 2 TFUE. 45 46

75


una competenza alla UE in materia di corruzione, dovrà trattarsi di competenza concorrente. L’art.4 § 2 lett j) del TFUE, nell’elencare i “principali settori” di competenza concorrente della UE, vi include lo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” (SLG), al quale è dedicato il successivo Titolo V del trattato. È significativo, a questo proposito, il ribaltamento di prospettiva rispetto al Trattato di Amsterdam. In quel trattato lo SLG non aveva dignità di titolo autonomo, essendo citato nel titolo relativo al c.d. terzo pilastro, ossia la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Il Trattato di Lisbona ha invece eliminato lo costruzione a pilastri della UE. In tale nuova sistematica lo SLG si è affrancato dalla cooperazione di polizia e giudiziaria ed ha una sua compiuta autonomia. La cooperazione di polizia e giudiziaria, ribaltando l’impostazione precedente, costituiscono oggi due capi49 del titolo specificamente dedicato dal TUE allo SLG. Nell’ambito di tale titolo, già l’art.67 § 350 attribuisce alla UE l’obiettivo di garantire un livello elevato di sicurezza: “attraverso misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità”. In termini più puntuali, il successivo art.83 § 1 TFUE51 attribuisce alla UE la competenza in materia di armonizzazione penale, ossia a: “stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni.”. Tra le suddette sfere di criminalità, la disposizione in esame cita poi espressamente la corruzione, oltre ad una serie di altri reati. La norma costituisce un importante passo in avanti rispetto al Trattato di Amsterdam che, come abbiamo visto, escludeva invece la corruzione dal novero di quei reati per i quali erano possibili misure di armonizzazione. Ci sembra dunque che l’art.83 § 1 TFUE possa costituire una solida base giuridica per le azioni che la UE vorrà intraprendere in

Rispettivamente: il quarto ed il quinto. Inserito nel Capo I: “Disposizioni generali” del Titolo V. 51 Inserito nel Capo IV: “Cooperazione giudiziaria in materia penale” del Titolo V. 49 50

76


materia di armonizzazione dei reati di corruzione tra gli Stati membri, e delle relative sanzioni. Ci sembra però che la norma in esame continui a prevedere un limite alla azione di armonizzazione, costituito dalla natura transnazionale dei reati da armonizzare. Non è infatti chiaro se l’elenco delle “sfere di criminalità” fatto dal secondo periodo dell’art.83 § 1 TFUE, nel quale rientra la corruzione, prescinda o meno dal requisito della trans nazionalità di tali sfere, richiesto dal primo periodo della norma citata quale condizione per l’adozione di misure di armonizzazione. Se questa interpretazione fosse corretta, resterebbe esclusa la possibilità di armonizzare la corruzione interna agli Stati membri, che non presenti elementi transnazionali. Resta, in ogni caso, la possibilità di procedere alla tradizionale armonizzazione funzionale, “allorchè il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si riveli indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione” (art.87 § 2 TFUE). In questo caso ci sembra si possa prescindere dalla condizione della transnazionalità delle fattispecie penali che si intendono armonizzare. In entrambi i casi, le misure di armonizzazione vengono adottate per mezzo della procedura legislativa ordinaria, che prevede una votazione finale di una direttiva a maggioranza qualificata. Notevole la differenza rispetto al Trattato di Amsterdam, dove le misure di armonizzazione in materia penale venivano invece adottate alla unanimità per mezzo di decisioni quadro. Il TFUE prevede la possibilità del c.d. freno a mano per gli Stati membri che ritengono che un progetto di direttiva di armonizzazione ex art.87 §§ 1 o 2 TFUE possa incidere: “su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale” (art.87 § 3 TFUE). Della questione viene investito il Consiglio; nelle more, la procedura legislativa ordinaria è sospesa. Infine, merita una citazione anche l’art.86 TFUE, laddove si prevede la possibilità di istituire una Procura europea, “a partire da Eurojust”, per combattere i reati che ledono gli 77


interessi finanziari della UE. Tale Procura, secondo le disposizioni dell’art.86 § 2 TFUE, è competente: per individuare, perseguire e rinviare a giudizio, eventualmente in collegamento con Europol, gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari della UE, ed i loro complici; per esercitare l’azione penale per tali reati dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri.

3. Il Programma di Stoccolma.

Il Programma di Stoccolma52 (“An open and secure Europe serving and protecting the citizen”), adottato nella seduta del 2 dicembre 2009, definisce il quadro della cooperazione tra Stati membri nelle materie oggi ricomprese nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Titolo V TFUE, v. supra) per il periodo 2010-2014. Esso succede al Programma dell’Aja, adottato nel maggio 2005. La materia della corruzione viene trattata nella parte quarta del Programma: “A Europe that protects”, nelle sottosezioni: “Internal Security Strategy” (4.1) e “Protection against seriuous and organized crime” (4.4), in particolare nel punto: “Economic crime and corruption” (4.4.5). Per quanto concerne la strategia di sicurezza interna (§ 4.1) il Consiglio europeo riconosce che la corruzione, insieme ad un’altra serie di reati ivi identificati, continua a costituire una minaccia alla sicurezza interna della UE. Si tratta di un importante cambio di prospettiva. La corruzione non viene più considerata come un fenomeno che si limita a ledere o mettere in pericolo gli interessi finanziari della UE, o che comunque riguarda il solo territorio dello Stato membro in cui è consumata. Piuttosto, viene accomunata al terrorismo, al crimine organizzato, al traffico di armi, droga o persone come reato in grado di minacciare la stessa sicurezza della UE. Si tratta di una prospettiva sino ad oggi propria delle Nazioni unite che, nel preambolo della Convenzione contro la corruzione del 2003, considerano la corruzione non solo come reato economico, ma come reato che minaccia la 52

Cfr. http://www.se2009.eu/en/the_presidency/about_the_eu/justice_and_home_affairs/1.1965.

78


stabilità e la sicurezza delle società: “undermining the institutions and values of democracy, ethical values and justice and jeopardizing sustainable development and the rule of law”53. Per affrontare questa minaccia, il Consiglio europeo chiede alla Commissione ed al Consiglio UE di definire una complessiva strategia di sicurezza interna della UE fondata su una serie di principi guida. Tra i quali ricordiamo, per la pertinenza con il tema in esame, il focus sulla implementazione degli strumenti già esistenti, ed il miglioramento delle azioni di prevenzione. Per quanto concerne la lotta alla criminalità economica ed alla corruzione, trattata specificamente al § 4.4.5, il Programma riconosce che la UE deve ridurre il numero di opportunità disponibili alla criminalità organizzata per effetto della globalizzazione economica, e ciò in particolare nel corso di una crisi che sta esacerbando la vulnerabilità del sistema finanziaria, allocando le risorse appropriate. A tal fine il Consiglio europeo chiede agli Stati membri e, laddove appropriato, alla Commissione, di intraprendere una serie di azioni, tra le quali: - incrementare la capacità di condurre indagini finanziarie, avvalendosi della combinazione di tutti gli strumenti previsti dalla legislazione fiscale, civile e penale, con particolare riferimento alla c.d. financial forensic analysis; - migliorare il perseguimento dei reati fiscali e della corruzione nel settore privato; - facilitare lo scambio di buone prassi nella prevenzione e repressione dei reati. Il Consiglio europeo invita inoltre la Commissione ad intraprendere una serie di azioni, tra le quali: - sviluppare degli indicatori, sulla base dei sistemi esistenti e dei criteri in uso, finalizzati a misurare gli sforzi compiuti dagli Stati membri nella lotta contro la corruzione nelle aree che ricadono nell’acquis; - sviluppare una “comprehensive anti-corruption policy”, in stretta cooperazione con il Gruppo di stati contro la corruzione (GRECO) del Consiglio d’europa; - presentare un rapporto sulle modalità di accessione della UE al GRECO; 53

Cfr. Convenzione cit., primo considerando.

79


- incrementare il coordinamento tra gli Stati membri nell’ambito dei lavori in materia di corruzione svolti dalle Nazioni unite (Convenzione contro la corruzione), dal Consiglio d’europa (GRECO) e dall’OCSE.

Il 20 aprile 2010 la Commissione ha presentato una “Comunicazione” avente ad oggetto il “Piano d’azione per la implementazione del Programma di Stoccolma”.54. Il negoziato è tuttora in corso.

54

ec.europa.eu/justice_home/news/intro/doc/com_2010_171_en.pdf

80


Antonio Laudati I delitti transnazionali. Nuovi modelli di incriminazione e di procedimento all’interno dell’Unione Europea

I reati connessi alla criminalità organizzata transfrontaliera sono per loro natura e per il loro potenziale impatto tali da giustificare la ricerca di una base normativa comune nell’Unione. L’esempio più recente è la proposta di una decisione quadro sulla lotta contro la criminalità organizzata per adottare una definizione armonizzata dei reati rappresentati dalle diverse forme di partecipazione a un’organizzazione criminale e stabilire le sanzioni principali. Il ravvicinamento della legislazione dovrebbe venire a complemento del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie in materia penale. Ed infatti, nell’adottare la decisione quadro sul mandato di arresto europeo, il Consiglio ha convenuto di continuare, conformemente all’art. 31, lett. e) del trattato UE, i lavori sull’armonizzazione relativa ai reati di cui all’art. 2, paragrafo 2 della decisione quadro, al fine di giungere ad una intesa giuridica reciproca tra gli Stati membri. La Commissione studierà quindi l’opportunità di ravvicinare ulteriormente la legislazione in materia penale, per es. nei settori della contraffazione, del traffico illecito di armi, della frode (specie le frodi fiscali e i furti di identità) dei reati ambientali, del racket e dell’estorsione.

Nella comunicazione del 29 marzo 2004 relativa a talune azioni da intraprendere nel settore della lotta contro il terrorismo e altre forme gravi di criminalità, la Commissione ha ritenuto che il dispositivo per la lotta contro la criminalità organizzata all’interno dell’Unione europea debba essere consolidato e afferma che elaborerà una decisione 81


quadro con l’obiettivo di sostituire l’azione comune 98/733/JAI e che, segnatamente, tale testo dovrà:  operare un ravvicinamento effettivo nella definizione dei reati e delle sanzioni riguardanti le persone fisiche e giuridiche;  prevedere un reato specifico per la "direzione di un'organizzazione criminale";  definire, all'occorrenza, circostanze particolari aggravanti (commissione di un reato in connessione con un'organizzazione criminale) e attenuanti (possibile riduzione della pena per i "pentiti");  includere delle disposizioni per facilitare la cooperazione fra le autorità giudiziarie e il coordinamento della loro azione.

"Riformattando” l'azione comune sulla partecipazione a un'organizzazione criminale in una decisione quadro, si potrà così ottenere un certo parallelismo indispensabile nella lotta contro i gruppi criminali, che si tratti di organizzazioni terroristiche o della criminalità organizzata.

D’altro canto, il nuovo testo tiene conto dei parametri che sono cambiati dopo il 1998:  Il trattato di Amsterdam, che è succeduto al trattato di Maastricht, ha introdotto nuovi strumenti più efficaci dell’ "azione comune"; la decisione quadro costituisce lo strumento adeguato per procedere a un ravvicinamento delle legislazioni penali all’interno dell'Unione in tale settore.  La convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata, la cosiddetta "convenzione di Palermo"55 costituisce ormai un quadro internazionale che elenca in dettaglio i reati legati alla partecipazione a un gruppo criminale organizzato. Tale convenzione è stata approvata dalla Comunità europea il 21 maggio 2004.

82


 la decisione quadro 2002/475/JAI del 13 giugno 2002 sulla lotta contro il terrorismo costituisce un riferimento che deve essere tenuto in considerazione. Questo testo definisce l’”organizzazione terroristica” ispirandosi alla definizione di “organizzazione criminale” contenuta nell’azione comune 98/733/JAI, ma costituisce uno strumento molto più completo.

Per comprendere la ratio delle proposte è necessario analizzare cosa è avvenuto nell’ultimo decennio all’interno dell’Unione, tenendo presente che il diritto comunitario è estremamente pragmatico e punta a dare risposte concrete ai problemi posti dalla realtà ed a sviluppare le migliori prassi e le esperienze maturate nei Paesi membri.

La criminalità organizzata negli ultimi anni si è profondamente trasformata. La presenza sul territorio della Unione Europea di un unico mercato, la abolizione delle frontiere interne, la libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone, l’allargamento ai paesi dell’Est e, soprattutto, la forte disomogeneità dei sistemi repressivi, degli apparati giudiziari e di polizia e della legislazione penale e processuale, costituiscono fattori che sono stati inevitabilmente sfruttati dalla criminalità organizzata. E’ noto che i comportamenti criminali obbediscono alle leggi della economia e che si adeguano alle occasioni di guadagno offerte dalla società secondo la logica del massimo profitto con il minore rischio possibile. In un mercato globalizzato le organizzazioni criminali si sono progressivamente trasformate secondo due direttrici principali.

La prima è costituita dalla mimetizzazione delle strutture criminali e dalla progressiva assunzione delle modalità operative della impresa criminale. In sostanza la criminalità organizzata ha rovesciato il tradizionale rapporto aggressore-vittima, nell’ambito delle attività criminose ed ha privilegiato delitti (quali il traffico di stupefacenti, il contrabbando di t.l.e., la tratta degli esseri umani, lo 83


sfruttamento della prostituzione, la vendita di prodotti contraffatti, etc.) nei quali il modello criminologico consiste nell’offerta sul mercato unico europeo di prestazioni o prodotti illeciti a persone consenzienti rispondendo ad una domanda che è sempre più presente nei Paesi occidentali. In Europa vi sono, purtroppo, milioni di consumatori di sostanze stupefacenti di vario genere, così come esiste un forte consumo di sigarette di contrabbando, di prodotti falsificati ed il triste e fiorente mercato della prostituzione. Analogamente è presente una pressante richiesta di ingressi di clandestini. Le organizzazioni criminali hanno sfruttato la forte domanda di servizi illeciti, privilegiando questo genere di traffici. E’ fin troppo facile osservare come in queste attività criminali scompare, almeno in parte, la classica figura della vittima, non sono visibili atti di intimidazione o di violenza, non sono facilmente riscontrabili denuncie o testimonianze. In pratica è molto più difficile per le forze di polizia individuare i reati e reperire le prove di accusa. Malgrado le decine di migliaia di arresti, le svariate tonnellate di stupefacenti sequestrate, tali traffici progrediscono in maniera vertiginosa tanto da imporre una strategia di contrasto improntata ad un doppio volet: quello della prevenzione e della riduzione del numero dei consumatori e quello tradizionale della repressione delle strutture criminali. Deve essere osservato, inoltre, che tutti questi reati sono fortemente remunerativi. Nel caso degli stupefacenti si può verificare un R.O.I. (return of investiment) di 3 a 1 in una settimana. Così se si investono 1000 EURO nell’acquisto di una partita di cocaina, mediamente si guadagnano 3000 EURO nella settimana successiva e, conseguentemente, 9000 EURO nella seconda e 27.000 nella terza, con un fattore di crescita del profitto senza alcun precedente in nessuna attività economica lecita. La imponente massa di danaro conseguita determina, poi, una indispensabile diversificazione degli impieghi. Di conseguenza alcuni capitali saranno reinvestiti nelle attività criminali mentre una cospicua parte potrà essere impiegata nel finanziamento di 84


imprese formalmente lecite anche se finanziate con danaro sporco dando luogo a quel settore di mercato denominato, dagli economisti, economia mafiosa. Avviene in questo modo la completa mimetizzazione imprenditoriale del mafioso che gli consente l’ingresso nel mondo della finanza e spesso di acquisire consenso sociale, rispetto e solidarietà. In realtà l’imprenditore mafioso non sarà mai omologabile al normale imprenditore perché non accetterà mai il “rischio di impresa” che costituisce l’essenza di qualsiasi attività economica. Accadrà, così, che in quel settore economico sarà imposto il metodo mafioso per il controllo delle attività, con grave nocumento dei suoi concorrenti.

La mimetizzazione imprenditoriale della criminalità organizzata comporta un altro grave rischio, in quanto la enorme mole di capitali disponibili e la facciata finanziaria agevola le attività corruttive. Conseguentemente non vi sarà più bisogno di intimidire o di uccidere perché sarà più facile comprare funzionari, poliziotti, giudici, parlamentari, giornalisti, fino al condizionamento delle elezioni. Quando si raggiunge questo livello di penetrazione sociale i reati di criminalità organizzata non ledono solo il bene giuridico dell’ordine pubblico ma anche l’ordine economico e soprattutto l’ordine democratico.

La seconda direttrice di trasformazione è sicuramente costituita dalla progressiva internazionalizzazione delle associazioni criminali che, per effetto della globalizzazione dei mercati e della necessità di spostare persone o merci sul territorio dell’Unione Europea, hanno necessariamente costituito basi operative e gruppi di riferimento in tutti i Paesi dell’Unione Europea, sfruttando spesso le differenze di legislazione o la minore efficienza delle strutture di contrasto. Di qui la necessità di introdurre negli ordinamenti un modello di incriminazione penale che possa tener conto del nuovo profilo criminologico, evitare gli attuali inconvenienti del “ne bis in idem” e, soprattutto, costituire un nuovo strumento transnazionale per la raccolta delle prove ed il perseguimento dei criminali. 85


Occorre considerare che già da molti anni si assiste ad una forma di “globalizzazione del crimine” per cui le singole autorità giudiziarie, oltre ai crimini che potremmo definire nazionali, che vengono commessi all’interno di uno Stato ed accertati esclusivamente con la legge processuale dello Stato nazionale, si trovano ad operare anche nei confronti di crimini c.d. internazionali, costituiti da delitti, che pur essendo consumati all’interno di un singolo Stato, producono effetti anche negli altri Stati dell’Unione. Se ad esempio un allevatore belga fa mangiare della diossina ai polli, oppure un allevatore inglese nutre le mucche con la farina di pesce, ovvero un produttore italiano inserisce metanolo nel vino o nel limoncello, ci si troverà ad affrontare reati che pur commessi in un singolo Stato, in virtù del mercato comune e dell’abolizione di vincoli o controlli doganali, producono effetti sull’intero territorio dell’ Unione Europea.

Vi è, poi, la ulteriore categoria dei delitti c.d. transnazionali, ovvero sia quei crimini la cui condotta deve necessariamente essere realizzata in più Stati. Esempio tipico il traffico di stupefacenti che prevede la coltivazione e la produzione in uno Stato, il transito in altri, il commercio in altri ancora e, frequentemente, il pagamento delle somme di denaro in Stati ulteriormente diversi. Caratteristiche simili hanno tutti i delitti della moderna criminalità organizzata: traffico di t.l.e., sfruttamento della prostituzione, tratta di esseri umani, pedopornografia etc., reati che comportano necessariamente lo spostamento di merci o di persone da uno Stato ad un altro. Anche in questi reati il meccanismo dell’accertamento giudiziario assume delle modalità transnazionali. La classificazione dei crimini in nazionali, internazionali e transnazionali, non ha alcuna dignità scientifica, né accademica e neppure ha ricevuto un riconoscimento legislativo ma è stata introdotta nella consuetudine della cooperazione dagli operatori ed è ora oggetto di riflessione, in quanto, a seguito della “globalizzazione del crimine” , si sta 86


progressivamente verificando una “globalizzazione del diritto penale”, che in questa sede non può essere sufficientemente approfondita.

Per quanto concerne l’ordinamento italiano, basterà considerare che il delitto di cui all’art.416-bis c.p. viene applicato alle c.d. “nuove mafie” (mafia albanese, colombiana, russa, etc.) in cui l’accertamento della condotta necessariamente comporta la ricostruzione della struttura del modello associativo che spesso ha sede in uno Stato straniero. Nei delitti di contrabbando, così come introdotti dalla legge 19 marzo 2001 n. 92, si applica l’aggravante prevista dalla lettera e) dell’art. 291 ter, il quale prevede la utilizzazione di società commerciali o disponibilità finanziarie costituite all’estero; il reato di tratta degli esseri umani, introdotto dalla legge 11 agosto 2003 n° 228, prevede condotte necessariamente consumate all’estero. Da ultimo può essere segnalato che, a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, è stato modificato il reato di associazione con finalità di terrorismo (art. 270 bis del codice penale) prevedendo la punibilità dell’associazione anche quando lo scopo di commettere reati riguarda esclusivamente Stati esteri, ed il discorso potrebbe essere ulteriormente sviluppato.

Parallelamente alla “globalizzazione del crimine” e a quella del diritto penale stiamo assistendo alla “globalizzazione del processo penale” che, per quanto riguarda la situazione dell’Unione Europea, deve essere valutata secondo l’evoluzione che in questi anni ha avuto il meccanismo della cooperazione giudiziaria.

Preliminarmente occorre considerare che nell’ordinamento italiano le fonti normative che consentono il riferimento alla legislazione dell’Unione Europea sono, da una parte, l’art. 10 della Costituzione e, dall’altro, l’art. 696 c.p.p. che, nell’introdurre il Libro XI dedicato ai rapporti con le autorità giudiziarie straniere, stabilisce il primato del diritto comunitario rispetto al diritto interno disponendo che le norme del codice possono essere

87


applicate solo nelle materie che non sono espressamente disciplinate dalle convenzioni internazionali in vigore e dalle norme di diritto internazionale generali.

Occorre anche ricordare che le decisioni dell’Unione Europea non hanno efficacia diretta nel nostro sistema processuale ma devono essere recepite attraverso le modalità previste dall’art. 34 del T.U.E. con strumenti (posizioni comuni, decisioni quadro, convenzioni) che sono adottati all’unanimità e sono vincolanti quanto agli obiettivi per gli Stati membri. Lo scopo finale è quello di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia mediante il riavvicinamento delle legislazioni e la cooperazione tra le autorità giudiziarie e di polizia ed a tal proposito è necessario ricordare che la norma fondamentale del Trattato UE stabilisce che la democrazia in Europa potrà essere garantita solo contrastando la criminalità organizzata ed il terrorismo (art. 29 T.U.E.)

La cooperazione giudiziaria, conseguentemente, in questi anni ha subito un progressivo sviluppo secondo varie fasi che si sono succedute all’interno dell’Unione Europea. La cooperazione è nata come “cooperazione intergovernativa” basata sulla convenzione siglata a Strasburgo il 20 aprile 1959 che prevede, per gli istituti dell’estradizione e della rogatoria, le caratteristiche della doppia incriminazione (secondo cui la cooperazione può essere prestata solo nei casi in cui il fatto è previsto come delitto in entrambi i Paesi interessati); la reciprocità (secondo cui può essere richiesta assistenza solo attraverso strumenti che si è disposti a concedere); e l’exequatur (che attribuisce numerosi poteri al Ministro della Giustizia che ha facoltà di interferire nelle procedure di cooperazione per motivi di natura politica, di ordine pubblico, etc. secondo il meccanismo disposto dagli artt. 697 e segg. del c.p.p.).

88


La fase della cooperazione intergovernativa è stata progressivamente superata dal principio di reciproca fiducia fra gli Stati membri dell’Unione Europea e dalla necessità di contrastare pericolosi fenomeni criminali che l’art. 29 del Trattato individua nel crimine organizzato, nel traffico di stupefacenti e nel terrorismo, in quanto essi costituiscono una minaccia per la democrazia nell’Unione Europea ed un pericolo per la libertà, sicurezza e giustizia dei cittadini.

Si è passati così alla fase della c.d. “cooperazione orizzontale” caratterizzata da rapporti diretti fra le singole autorità giudiziarie all’interno dei Paesi dell’Unione, con la conseguente eliminazione del potere di exequatur del Ministro, divenuto inutile dopo il riconoscimento politico dell’importanza della cooperazione in determinate materie. Le fonti della cooperazione orizzontale possono essere ricondotte all’art. 53 della Convenzione di Schengen, ratificata nel nostro ordinamento nel 1993 (legge 30 settembre 1993 n° 388), e nell’art. 10 della Convenzione di Strasburgo contro il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, anch’essa ratificata nel 1993 (legge 9 agosto 1993 n° 328). Entrambe le convenzioni consentono la trasmissione diretta delle richieste di assistenza giudiziaria e consentono, altresì, la trasmissione di iniziativa di notizie ed informazioni utili alla cooperazione giudiziaria. La cooperazione orizzontale ha subìto ulteriori sviluppi negli anni successivi ed in particolare nel 1996 con la istituzione dei magistrati di collegamento, distaccati negli Stati dell’Unione per facilitare i meccanismi di cooperazione giudiziaria, e nel 1998 con la creazione di una Rete Giudiziaria Europea che, attraverso punti di contatto nazionali e la realizzazione di un collegamento intranet, consente una cooperazione efficace e tempestiva.

Nella fase della cooperazione orizzontale sono stati poi sviluppati meccanismi di concelebrazione delle rogatorie, per favorire la diretta collaborazione delle autorità giudiziarie interessate ed è stata così prevista la possibilità al magistrato richiedente di 89


partecipare alla commissione rogatoria nel paese richiesto e, successivamente, sono stati adottati meccanismi di concelebrazione in videoconferenza.

Un ulteriore sviluppo della cooperazione giudiziaria si è realizzato con l’attuazione del principio previsto dall’art. 32 del T.U.E. secondo cui deve essere consentito il compimento diretto di atti giudiziaria nel territorio di altri Stati membri, con la valenza di prova nei singoli procedimenti nazionali. Tale meccanismo nasce dalla necessità di fronteggiare i fenomeni di crimine transnazionale, indicati in precedenza, che si sono radicati nel territorio dell’Unione. Per realizzate tale obiettivo il 29 maggio 2000 è stata sottoscritta la Convenzione MAP (Mutua Assistenza Penale) che, all’art. 13, consente la costituzione di Squadre Investigative Comuni, costituite da autorità giudiziarie e di polizia, che possono compiere direttamente atti nei territori interessati dai crimini transnazionali. Successivamente il 16 ottobre 2001 è stato siglato un protocollo aggiuntivo per le indagini patrimoniali (particolarmente rilevanti per il contrasto al crimine organizzato) secondo il quale non è più opponibile il segreto bancario all’interno dell’Unione Europea in riferimento alle richieste pervenute per le indagini transnazionali. Da ultimo il 13 giugno 2002 è stata approvata la decisione quadro sul mandato di arresto europeo che ha avuto attuazione in tutti i 25 Paesi dell’Unione e che costituisce uno straordinario strumento per la creazione di una comune cultura giurisdizionale. Il prossimo passaggio sarà costituito dall’euromandato per il sequestro e la confisca dei beni riferibili ai delitti di criminalità organizzata e terrorismo su tutto il territorio dell’U.E. e dal mandato per la ricerca della prova.

I meccanismi realizzati nel corso dell’ultimo decennio costituiscono uno sviluppo progressivo e straordinariamente efficace della cooperazione giudiziaria che vede attualmente come prospettiva di ulteriore crescita un’ultima fase costituita dalla c.d.

90


“verticalizzazione

della

cooperazione”

attraverso

la

costruzione

di

organismi

sovranazionali con competenza giudiziaria. In tale contesto deve quindi essere inserito il progetto per la creazione di una Procura europea che vede per la prima volta un ufficio del pubblico ministero avente competenza sull’intero territorio dell’Unione.

Il primo progetto presentato risale ai primi anni del 1990, anche se recentemente è stato completamente rimodulato, ed attiene alla creazione di un “Corpus Juris”. Tale progetto fu inizialmente affidato dal Parlamento Europeo alla Prof.ssa Delmas Marty ed al Prof. Spencer ed è stato successivamente esteso a moltissimi esponenti dell’Accademia degli Stati membri dell’Unione. Lo studio realizzato prevede la creazione di un diritto penale minimo europeo ed un diritto processuale minimo per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Gli artt. 18 e segg. del progetto prevedono la realizzazione di un pubblico ministero europeo (P.M.E.) di cui si sottolinea la necessità di indipendenza sia dagli organismi comunitari sia dai governi nazionali.

Il secondo progetto, che è stato già realizzato con la decisione finale del 28 febbraio 2001, prevede la costituzione di EUROJUST, concepita come struttura giudiziaria di coordinamento delle singole indagini nazionali con la caratteristica che ciascun membro nazionale vede attribuibili i suoi poteri dalla legislazione del Paese di origine e non dallo statuto dell’Organo (v. art. 9 della decisione), con la conseguenza della realizzazione di un organismo, a geometria variabile, sul territorio dell’Unione.

Il terzo progetto ha visto la luce nel dicembre 2001 con la presentazione da parte della Commissione Europea di un “Libro Verde sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di una Procura europea”. La Procura europea delineata dalla Commissione presenta delle caratteristiche profondamente diverse da EUROJUST in quanto si realizza attraverso un rapporto gerarchico di un procuratore 91


Europeo stanziale in Bruxelles e i singoli procuratori nazionali residenti nelle capitali dei Paesi membri. Ma soprattutto la Procura del Libro Verde ha una propria competenza diretta, ha una legislazione di riferimento e, significativamente, è titolare dell’azione penale che può esercitare innanzi alle giurisdizioni degli Stati membri. Anche in questo progetto la caratteristica dell’indipendenza dai governi nazionali e dagli organismi comunitari risulta decisiva per il funzionamento della procura.

Siamo in presenza di un tema che ha suscitato notevoli reazioni, approfondite discussioni ed appassionati dibattiti sui vari argomenti quali quello delle garanzie difensive, della possibilità di scelta delle giurisdizioni nazionali e, soprattutto, sul profilo ordinamentale costituito dalla mancanza di un organo giudiziario di riferimento e di controllo (come è noto in tutti gli ordinamenti il P.M. ripete le sue competenze da quelle del giudice presso il quale esercita le sue funzioni). In questo caso si prevede la costituzione di un ufficio del P.M. sganciato da organismi giudiziari di riferimento. Soprattutto si discute dei rapporti con EUROPOL, con l’OLAF, con la rete Giudiziaria Europea e, in particolare, della diversa funzione del P.M.E. e di EUROJUST all’interno dell’Unione. In sostanza, dal punto di vista politico, si valuta l’opportunità di passare da modelli di “cooperazione orizzontale” in cui gli Stati membri costituiscono ancora il fulcro delle iniziative, ad una “verticalizzazione” della cooperazione in cui le strutture dell’Unione assumono la leadership. Ancora più delicato il problema di introdurre norme comunitarie di diritto penale sostanziale.

Il dibattito è stato inserito all’interno della discussione sul Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa e che, tra alti e bassi, è arrivato alle svolte finali. La soluzione prescelta dall’art. III/273, pare, allo stato, una soluzione di compromesso in quanto prevede la costituzione di un ufficio del P.M. centralizzato “a partire dall’EUROJUST”, prevedendo, implicitamente, una fusione degli organismi. E’ 92


interessante sottolineare inoltre che la Procura europea ha lo scopo di “combattere la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale e i reati che ledono gli interessi dell’Unione”, con una competenza che pare sostanzialmente estensibile in molte materie, ma che, ancora una volta, vede nei delitti transnazionali il fulcro dell’intervento comunitario. Parallelamente l’art. 271 della Costituzione prevede la possibilità di emanare una legge-quadro europea per la definizione dei delitti transnazionali ed in particolare di criminalità organizzata. Le questioni sul tappeto sono ancora aperte, il dibattito è ancora serrato ma è auspicabile che nel prossimo futuro si possa avere una decisione che sicuramente sarà vincolante per le scelte da adottare dell’Unione. Solo allora potremo valutare se si apriranno le porte per un Diritto Penale Comunitario. La Legge 16.03.2006 n. 146 di ratifica della Convenzione T.O.C. di Palermo 2000, pone fine ad un vuoto normativo nella disciplina della materia. In particolare la nuova Legge (art. 3) definisce quale "reato transnazionale" il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché: 1.

sia commesso in più di uno Stato;

2.

ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua

preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; 3.

ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo

criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; 4.

ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro

Stato. La modalità transnazionale comporta una circostanza aggravante (art.4) che aumenta la pena da un terzo alla metà.

93


Per la prima volta nell’ordinamento italiano vengono date delle definizioni coerenti con i nuovi scenari mondiali.

94


Andreana Esposito Il diritto penale flessibile

Il titolo del mio intervento rimanda ad uno scenario in parte diverso da quello in cui si sono mosse le relazioni precedenti la mia. Definisco, infatti, come diritto penale flessibile quello che nasce dall’incontro tra diritto penale e diritti dell’uomo; incontro che avviene in un luogo del tutto peculiare quale quello costituito dalla arena giudiziaria della Corte europea dei diritti dell’uomo. È dato ormai acquisito l’esistenza di una crescente condivisione europea della sovranità degli Stati nelle scelte di politica criminale e di politica giudiziaria. Il sistema europeo quale delineatosi all’ombra della Convenzione europea impone agli Stati membri legislatore, governo e giudici nazionali - di tenere sempre presenti, in sede di riforma o di pratica applicazione di singoli istituti, le linee evolutive tracciate dalla Corte europea. Si realizza in tal modo una innegabile spinta, proveniente da Strasburgo, a porre in essere una legislazione interna a sviluppare prassi nazionali human rights friendly. Gli Stati membri sono parte di un procedimento di scelte partecipate nell’ottica di una effettiva ed adeguata tutela dei diritti umani. È allora necessario interrogarsi sul modo in cui la Convenzione parla al diritto penale e sul modo in cui parla del diritto penale. Quanto al primo aspetto, (il modo di comunicare con i sistemi giuridici e giudiziari, di parlare, dunque al diritto penale), la Convenzione non si pone in modo sistemico. Essa rappresenta piuttosto una continua scoperta che fornisce meccanismi capaci di costruire e di sciogliere tematiche differenti. Quando si apre ai diritti nazionali, il testo convenzionale, come applicato dalla giurisprudenza della Corte, si pone come un metodo idoneo a realizzare un arricchimento dei singoli sistemi giuridici nazionali. Si tratta di un metodo che mi piace definire con le parole di Eugenio Colorni che confinato con Spinelli e Rossi a Ventotene, non immaginava – non osava immaginare - l’Europa dei diritti e della democrazia del Consiglio d’Europa e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. 95


Europa questa sicuramente più fedele a quel suo modo allegro e irriverente di attaccare tutti i tabù, e di portare nella politica la libertà della cultura. Ebbene, utilizzando le sue espressioni, potremmo dire che la Convenzione è un metodo di analisi in grado di disgregare l’atomo, di costruire macchine, di prevedere fenomeni astronomici. Si tratta di un metodo conoscitivo in grado di indicare, da un lato, il reale al di sotto delle costruzioni normative e dogmatiche, di mostrare come realmente stanno le cose in termini di effettività dei diritti dell’uomo e, dall’altro, di porsi quale passerella verso il futuro, fornendo suggerimenti sul modo di costruire un impianto normativo (penale) adeguato. Un metodo, in sintesi, con cui leggere, impostare e risolvere correttamente qualsiasi tipo di problema concreto. Il metodo convenzionale, nel suo momento dialogico, non può essere ridotto a sistema: non si è in presenza di un ragionamento circolare chiuso. Le indicazioni fornite ai giudici nazionali (naturali interlocutori della giurisdizione europea) sono volutamente aperte. Rappresentano un momento di un discorso in continua evoluzione che solo momentaneamente si cristallizzano in una decisione. Nella risoluzione dei conflitti (tra individuo e Stato) sottoposti alla sua attenzione, il procedere della Corte non è finalizzato alla creazione di un qualsivoglia ordine o di un’armonia permanente. Tutto ciò che i giudici europei realizzano, usando le parole di Hirschman, è di avanzare a tentoni da un conflitto ad un altro56. Mai, di conseguenza, le loro decisioni possono porsi come una chiave o un paradigma unici o definitivi. La morbidezza del metodo convenzionale caratterizza anche il modo in cui la Corte parla del diritto penale. La narrazione convenzionale del diritto penale prescinde dalle classiche categorie penalistiche rifuggendo da approdi dogmatici e alimentando piuttosto tipologie miste ed impure di diritto penale. E’ un modello contaminato dai diritti dell’uomo quello che deriva dall’applicazione giurisprudenziale europea che, indagando sulla tenuta dei sistemi nazionali, sottopone il Parla di modalità di problem solving incentrata sull’avanzare a tentoni per la risoluzione dei conflitti sociali propri di una moderna democrazia plurarista, Hirschman, Autosovversione, Bologna, il Mulino, 1997, pp. 300 e ss. 56

96


diritto penale a continue tensioni rivelando le tante carenze delle astrazioni (e spesso delle sue concrete applicazioni) e mostrando come la complessità del reale non viene meno, anzi si esalta, quando ci si confronta con tematiche di rilevanza penalistica. Quella effettuata dalla Corte è, allora, un’esplorazione argomentata - non sempre in modo soddisfacente, per la verità – delle forme e dei modi di intervento del diritto penale alla luce del catalogo dei diritti e delle libertà garantite dalla Convenzione. Un’esplorazione che vuole porsi come un orientamento culturale, prima ancora che giuridico, privo di qualunque impianto dogmatico. Volendo declinare al penale la Convenzione, dalla sua giurisprudenza emerge un quadro, tratteggiato in modo volutamente sfumato ma denso di particolari, il cui significato dipende spesso dal contesto culturale, dall’ambiente sociale e dall’ordinamento giuridico in cui quei particolari vanno ad inserirsi. La grammatica convenzionale non ha regole fisse, soffre di continue eccezioni, in considerazione della complessità, che genera incertezze e anche contraddittorietà, delle soluzioni adottate in sede europea. L’incapacità degli organi europei, talvolta dimostrata, di individuare con chiarezza delle linee guida da utilizzare per affrontare determinate questioni dipende sicuramente dal loro procedere essenzialmente per bilanciamento dei fatti (di elementi dei singoli fatti concreti); tale modo di procedere con un approccio quasi esclusivamente casistico, di confronto tra situazioni concrete piuttosto che tra valori o principi astrattamente intesi, rende le decisioni europee difficilmente ripetibili. Il discorso convenzionale, quasi come un pensiero complesso, abbandona, e ciò anche nel campo penale, il mito della chiarificazione e della sistematizzazione. Non è così agevole trarre delle indicazioni precise, e risolvere, quindi, in modo certo il rapporto tra diritto penale e diritti dell’uomo. E’ sicuramente vero che talvolta l’esigenza di tutelare diritti garantiti dalla Convenzione ha spinto la Corte a preferire (imporre) il ricorso allo strumento penale. E ciò è accaduto in particolare quando si è trattato di assicurare tutela alle vittime di un reato o, in genere, di una offesa di un diritto convenzionale. In tali casi, si assiste ad un reale cambio di prospettiva: non è più il bene giuridico (nozione, chiaramente, assente dal 97


vocabolario convenzionale) né l’autore del reato a dover interessare il diritto penale; l’attenzione dell’intervento in materia penale si sposta sulla tutela di chi è stato vittima del reato e ciò comporta la necessaria costruzione di regole del diritto, anche penale, che tengano in debito conto il suo punto di vista. Quando ciò accade, la Corte - non si quanto consapevolmente - tende quasi ad una privatizzazione del diritto penale, finendo con l’individuare, quale funzione principale della sanzione penale, la riparazione della sofferenza inflitta ingiustamente alla vittima. Se l’utente del discorso convenzionale cambia, cambiano anche le regole giuridiche. Così, quando la Corte ha dovuto valutare il rispetto dei diritti accordati all’accusato, all’imputato o al condannato, il ricorso alla sanzione penale è bandito dalla Corte o, se ammesso, è contornato da rigorose garanzie, configurandosi, quasi, un diritto penale mite, caratterizzato da una teorica della pena fortemente sbilanciata verso la prevenzione speciale. In definitiva, in tali casi, la domanda di impronta penalistica cui la Corte risponde non è più quale bene giuridico sia meritevole di tutela. Ma entro quali limiti è ammissibile una ingerenza nelle altrui libertà o diritti. Indipendentemente dal bisogno di tutela dei beni, la giurisprudenza europea indica che l’ingerenza deve rispettare talune condizioni prescritte dalla Convenzione. Ciò a cui ci invita il messaggio subliminale della Corte europea è, al minimo, di mantenere sempre all’erta la vigilanza critica. Può avvenire, in effetti, che una incriminazione o una limitazione ad un diritto garantito possano apparire “giuste” nel loro principio, ma si rivelino “ingiuste” in certe situazioni: ecco che allora il procedimento giudiziario sarà l’occasione di una sua utile correzione. Anche contro certezze troppo in fretta acquisite da discorsi dogmatici, la Convenzione e la sua giurisprudenza ci invitano ad un cammino di riflessione ponendosi, quasi, come la coscienza civile delle moderne democrazie. Ci invitano ad un cammino fatto anche di tentativi e di errori, di brancolamenti continui e di adattamenti progressivi. E questo anche nelle scelte di politica criminale.

98


Ma il diritto convenzionale – sorta di diritto ideale che si pone come frontiera interiore, come limite intrinseco delle leggi positive in vigore negli Stati nazionali – non ha solo il merito di nutrire una vigilanza critica ma mobilita, ovviamente, anche valori sostanziali. E’ senz’altro, quello tratteggiato dalla giurisprudenza europea un diritto penale poroso, denso di valori che traggono la loro origine all’interno e all’esterno del testo del trattato, grazie all’idoneità del metodo convenzionale di elaborare proprie ragioni, certo, ma soprattutto di dialogare con i sistemi nazionali. La vocazione del diritto convenzionale, propria di ogni ideale, è infatti quella di elaborare dall’interno il prescritto giuridico, come un’esigenza critica inestinguibile, un’esigenza che non lo porta a sostituirsi al diritto positivo nazionale ma che al contrario lo presuppone. Si potrebbe dire che il diritto nazionale appartiene all’ordine costituito e il diritto convenzionale “ideale” all’ordine costituente. E l’uno non si muove senza l’altro. Le forze costituenti scivolano nelle forme costituite, in un movimento di collaborazione positiva. Certo la mia può sembrare una visione di parte, di chi ha in qualche modo subito la “fascinazione” derivante dalla forza persuasiva della Convenzione e della sua giurisprudenza. Probabilmente è così. Mi sono ben presenti molti limiti dell’argomentare giuridico della Corte: penso ad esempio ad un uso a volte eccessivamente superficiale della comparazione giuridica, ad una certa timidezza, se non ritrosia, ad affrontare e risolvere temi eticamente sensibili, al rifugiarsi nelle motivazioni in una eccessiva contestualizzazione, in una ricerca quasi ossessiva degli elementi concreti la cui individuazione sarebbe necessaria per la risoluzione dei conflitti. E ancora altro si potrebbe dire. Ma Il sistema convenzionale ha però la indubbia capacità, che è anche la sua forza, di porre quasi sempre al centro del suo agire la irrinunciabile dignità della persona umana e ha il merito di aver sacralizzato in diritto fondamentale la libertà di coscienza degli individui. La mente va ad una delle tragedie greche probabilmente più emblematiche, modello ineguagliato della resistenza al potere, e mi domando se un moderno Sofocle avrebbe 99


ancora avuto materia per scrivere la sua tragedia, se la sua Antigone di oggi avesse potuto introdurre un ricorso alla Corte europea per sindacare la legittimità dell’editto di Creonte di vietare l’inumazione del fratello, al fine di ottenerne la sepoltura. “E’ questa legge legittima?”, chiedeva Antigone. Noi oggi abbiamo un argomento in più per poterle rispondere “No, Antigone, non lo è”.

100


Carlo Casini

Vi ringrazio per il vostro invito e per l’onore che mi viene fatto con l’incarico di presiedere una tavola rotonda. Purtroppo non sono in condizione di adempiere a quest’ultima richiesta perché, come il collega Vietti, sia pure per ragioni completamente diverse, debbo lasciare questa assemblea al più presto per raggiungere Torino. Non voglio, però, far mancare il mio saluto perché la partecipazione a questa vostra assemblea mi ricorda la mia giovinezza, quando da Sostituto Procuratore della Repubblica di Firenze partecipavo attivamente alle iniziative di magistratura indipendente. Allora questa corrente associativa aveva in Firenze una maggioranza assoluta e il gruppo fiorentino svolgeva un ruolo di guida in tutta Italia. Oggi molte cose sono cambiate e tuttavia l’indipendenza della magistratura resta un valore altissimo che merita di essere difeso con intelligenza e determinazione. Se saranno stampati gli atti di questo convegno sarà mia cura leggerli con attenzione. Proprio per i cambiamenti intervenuti dall’epoca della mia militanza in magistratura indipendente ero curioso di ascoltare, ma non posso fare nemmeno questo e perciò mi auguro di leggere gli atti. Tenterò di vestire questo saluto descrivendo la cornice del tema europeo che voi trattate. L’Europa è in un passaggio delicato e per certi versi decisivo come dimostra la vicenda che ha portato al Trattato di Lisbona. L’art. 2 di tale Trattato autodefinisce l’accordo come”una tappa” nel processo di integrazione, iniziato nel 1951 con la Comunità del carbone e acciaio, proseguito poi nel 1957 con il Trattato di Roma e continuato con ulteriori aggiustamenti a Lussemburgo, Maastricht, ad Amsterdam, a Nizza. Il concetto di “tappa” suppone l’esistenza di un traguardo finale, ma il problema è che un tale esito finale non è chiaro nella stessa mente dei costruttori. Il Trattato di Lisbona era nato come progetto costituzionale ed una costituzione è qualche cosa di definitivo, conclusivo. Ma i referendum in Francia ed in Olanda hanno annullato tutto il lavoro compiuto per redigere il Trattato costituzionale. Per evitare lo scoraggiamento è stata abbandonata, allora, l’ambizione di redigere una Costituzione e si è tornati al modello suggerito dai Trattati di 101


Maastricht e di Amsterdam novellandone le singole disposizioni. Tuttavia se confrontiamo il Trattato costituzionale con il Trattato di Lisbona non vediamo enormi differenze. Questo indica che anche il Trattato costituzionale non era una costituzione vera e propria. In effetti sono stati cancellati alcuni aspetti esteriori dell’unità europea: nel Trattato di Lisbona non si parla più dell’inno, della bandiera, di un ministro degli esteri, sebbene la nona sinfonia di Beethoven continuerà a commuovere i cittadini europei al termine di manifestazioni dell’Unione, il drappo azzurro con 12 stelle continuerà a sventolare e ci sarà una persona incaricata di coordinare la politica estera europea peraltro con il nome di alto rappresentante per gli affari esteri europei. Questi aspetti esteriori di linguaggio e di simbolo mostrano qual è il nodo dell’equivoco in cui ci troviamo: dobbiamo decidere se vogliamo un’Europa federale, oppure soltanto un’unione in cui ciascun singolo stato membro partecipa al solo scopo di ottimizzare le sue condizioni economiche e politiche. La questione non è soltanto accademica. Molti intendono che l’attuale crisi economica non potrà essere superata con una governance soltanto economica: non bastano soltanto strumenti di carattere finanziario, ma occorre un governo politico. La commissione affari costituzionali del Parlamento Europeo che presiedo non si occupa in dettaglio dei problemi economici, ma l’architettura dell’Unione passa, in ogni suo aspetto, attraverso la mia commissione. Proprio per superare l’ambiguità di cui ora ho parlato, abbiamo deciso di visitare nell’arco dei 5 anni della legislatura in corso tutti i 27 Paesi dell’Unione per incontrarvi le più alte espressioni del mondo politico, accademico, sociale e per approfondire insieme tre grandi temi in ordine all’Europa e ai suoi rapporti con i singoli Stati: la democrazia, la sovranità, la identità. Lo spunto ci è stato fornito dalla sentenza con la quale la Corte Costituzionale tedesca il 30 giungo 2008 ha autorizzato il governo tedesco a ratificare il Trattato di Lisbona, ma ha, contemporaneamente, indicato le strade e i limiti invalicabili in vista di una ulteriore integrazione. Negli incontri che abbiamo già effettuato abbiamo avuto cura di dialogare anche con le Corti Costituzionali. Così è avvenuto a Berlino, a Budapest e a Varsavia e così vorremmo fare anche in Italia. Perciò sono

102


particolarmente rammaricato di non poter seguire i lavori di questa assemblea, nella quale riconosco molti volti amici e alla quale auguro un grane successo.

103


Guido Raimondi Il dialogo tra giudici: introduzione

I-

CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

1.

Il titolo di questa sessione dei nostri lavori, “Il dialogo tra giudici” evoca una

prospettiva nuova, rispetto alle chiusure, anche di natura psicologica, del passato, che avevano caratterizzato l’approccio al diritto e alla giustizia nei Paesi europei, non esclusa certamente l’Italia, finché non si è affacciata e poi affermata, dapprima timidamente, e al puro livello tecnico dell’attività interpretativa della giurisprudenza, poi finalmente al livello delle coscienze dei giuristi, l’idea di quello che si tende oggi a chiamare ordinamento integrato, l’idea cioè dell’esistenza di un nucleo di valori europei, che, senza negare la diversità e il pluralismo delle culture e dei popoli stanziati sul nostro continente, concorrono a formare il concetto d’identità europea, il quale si traduce in principi e regole giuridiche che i giudici nazionali ed europei insieme, di qui la necessità del dialogo tra di loro, concorrono a far vivere ed a tradurre in pratica. 2.

Non per caso, i quaderni che la Corte europea dei diritti dell’uomo pubblica

con i lavori dei seminari che accompagnano l’inaugurazione solenne dell’anno giudiziario son per l’appunto intitolati “Dialoghi tra giudici”. 3.

Si parla perciò, oltre che di “ordinamento integrato”, di “tutela multilivello

dei diritti individuali”, temi sui quali il Consiglio superiore della magistratura ha recentemente organizzato un incontro di studio, a ridosso dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha suscitato un notevole interesse tra i partecipanti. 4.

Vorrei subito dire a questo proposito, e in un’ottica italiana, che il

tradizionale approccio dualista del nostro ordinamento rispetto al diritto internazionale non rappresenta assolutamente un ostacolo all’integrazione dell’ordinamento nel sistema giuridico europeo e quindi al dialogo tra i giudici. Secondo l’approccio monista, che per esempio è proprio della Francia, il diritto statale trova il suo fondamento nel diritto 104


internazionale, mentre secondo quello dualista l’ordinamento statale è originario, e quindi del tutto separato dal diritto internazionale, cioé dall’ordinamento giuridico della comunità degli Stati57. 5.

Ora, se è vero che nell’ordinamento italiano le norme del diritto

internazionale hanno bisogno di essere per così dire nazionalizzate, cioè richiedono misure interne di adattamento, le modalità con le quali questo avviene permettono di dire che vige da noi un sistema di “dualismo temperato”, se non di “monismo di fatto”. In effetti, per quanto riguarda le norme del diritto internazionale generale, l’adattamento è avvenuto una volta per tutte, ed al livello più alto, quello costituzionale, attraverso l’articolo 10, primo comma, della nostra Costituzione, mentre per la stragrande maggioranza dei trattati internazionali, compresi la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in seguito, la Convenzione) ed i Trattati dell’Unione europea, il legislatore ha provveduto con leggi che contengono “ordini di esecuzione” di tali strumenti. Ciò vuol dire che nei due casi l’interprete interno, cioè il giudice nazionale, è posto in contatto diretto con la norma internazionale, che quindi va applicata in quanto tale, senza lo schermo di una norma nazionale interposta. 6.

In effetti, nessuna spettacolare integrazione di ordinamenti si è verificata

negli ultimi tempi. Se integrazione vi è, e, in effetti, è così, questa si è prodotta sin dal momento

dell’introduzione

nell’ordinamento

italiano

delle

pertinenti

norme

internazionali, e in particolare, per quanto riguarda il c.d. “diritto di Strasburgo”, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con la legge (4 agosto 1955, No. 848) che ne ha autorizzata la ratifica e ne ha ordinata l’esecuzione nell’ordinamento italiano. 7.

Ciò che è mutata, e di molto, negli ultimi decenni, è la sensibilità

dell’interprete interno nei confronti di questi valori giuridici. E’ noto che questo mutamento si è prodotto attraverso un faticoso cammino, sul quale tornerò. 8.

Vorrei ora accennare al contenuto del mio intervento, e quindi al mio ruolo,

che è quello di introdurre i lavori di questa sessione sul dialogo tra giudici. 57

CONFORTI, Diritto internazionale, VII edizione, Napoli, 2006, p. 276.

105


9.

In questa prospettiva, mi sembrerebbe opportuno evocare sia il tema del

rapporto tra la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia dell’Unione europea, come premessa del dialogo tra le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo, che solamente dopo l’adesione dell’Unione europea alla Convenzione potrà realmente svilupparsi, sia quello dell’applicazione della Convenzione da parte del giudice italiano, temi che saranno poi approfonditi dal Prof. Palmieri, dal Consigliere Signora Accardo, mentre il Consigliere Tindari Baglione si occuperà del rapporto tra la Corte di cassazione e la Corte di Giustizia, ed il Consigliere Mura ci parlerà del rapporto tra giudici e pubblici ministeri nell’ottica della “Dichiarazione di Bordeaux” adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa. 10.

La nostra riflessione si colloca in un momento che è effettivamente di grande

importanza, a breve distanza di tempo dall’entrata in vigore, il 1° dicembre dello scorso anno, del Trattato di Lisbona, che segna una tappa fondamentale nel cammino comunitario, oggi dovremmo dire “unionista”, verso una piena protezione dei diritti fondamentali nell’ambito dell’Unione, in particolare ponendo le premesse dell’evento certamente più atteso in questo contesto: quello dell’adesione dell’Unione alla Convenzione. 11.

Se interpreto correttamente il ruolo che mi è stato assegnato, anche in vista

delle relazioni che seguiranno, credo che mi spetti essenzialmente, nel tentativo di descrivere il terreno sul quale il dialogo tra giudici è possibile, di fare innanzitutto il punto sulla situazione dei rapporti tra Strasburgo e Bruxelles, o per meglio dire tra Strasburgo e Lussemburgo, ovviamente dal punto di vista di Strasburgo. Mi sembrerebbe poi opportuno, come ho accennato all’inizio, parlare brevemente del rapporto tra la Corte di Strasburgo e i giudici nazionali, quindi facendo cenno al cammino lungo e faticoso della nostra giurisprudenza per dare concreto effetto nell’ordinamento italiano alle norme della Convenzione, un cammino che è culminato con le celeberrime sentenze No. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale, alle quali diverse altre dello stesso segno hanno fatto seguito. 106


12.

Non sarebbe inutile, in questo quadro, soffermarsi su taluni aspetti

particolari della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che presentano un particolare interesse, specialmente per l’interprete interno e quindi nell’ambito del dialogo tra questo e il giudice internazionale. Penso ai criteri d’interpretazione seguiti dalla Corte di Strasburgo, inclusa la teoria del cosiddetto “margine di apprezzamento” che, come è stato notato sottolineando il carattere quasi-legislativo della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, può creare grandi difficoltà al giudice nazionale, che pure è chiamato in linea di principio ad applicare la Convenzione allo stesso modo della Corte, in omaggio alla sussidiarietà del sistema. Mi rendo conto però che mancherebbe il tempo per affrontare questi ultimi argomenti, per cui li riserverei alla versione scritta del mio intervento.

II-

STRASBURGO E LUSSEMBURGO DOPO LISBONA

13.

Iniziando dunque dall’asse Strasburgo-Lussemburgo dopo Lisbona, viene

immediatamente in rilievo la Carta di Nizza del 2000, cioè la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in seguito: la Carta), solennemente proclamata durante il Consiglio europeo di Nizza, il 7 dicembre 2000, insieme con il Consiglio, dal Parlamento e dalla Commissione, dopo essere stata approvata dal Consiglio europeo di Biarritz del 14 ottobre 2000, poi “adattata” il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, in vista della sua integrazione nel Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, un documento che ha modificato completamente la situazione preesistente.58 Sull’adesione dell’Unione europea alla Convenzione il Parlamento europeo ha recentemente adottato, il 19 maggio 2010, una Risoluzione sugli Aspetti istituzionali dell’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali59. Con questa risoluzione il Parlamento europeo, nell’affermare l’esigenza che il futuro accordo di adesione dell’Unione alla Convenzione rifletta la necessità di preservare, conformemente alle 58

Il Trattato di Lisbona può leggersi in G.U.C.E. C 306 del 17 dicembre 2007.

59

2009/2241 (INI).

107


previsioni del Protocollo No. 8 al Trattato di Lisbona, le speciali caratteristiche dell’Unione europea, ripropone tra l’altro la sua tradizionale posizione favorevole all’integrazione dell’Unione nel sistema europeo di protezione dei diritti umani, in modo tale che alla protezione di tali diritti alla quale già provvede internamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia, si aggiunga il beneficio di un organo protettivo esterno di natura internazionale. 14.

L’idea di un possibile scenario concorrenziale tra i due sistemi, che era stata

evocata anche in tempi recenti, sembra oramai appartenere al passato. In effetti il Trattato di Lisbona, che incorpora la Carta nei trattati, prevede anche, come dicevo, l’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.60

L’articolo 6 del Trattato dell’Unione europea viene così modificato dall’art. 1, punto 8, del Trattato di Lisbona ( art. 6 della versione consolidata del Trattato sull’Unione europea): « 1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni. 2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali. » 60

Il Protocollo n. 8 al Trattato, relativo all'articolo 6, paragrafo 2 del Trattato sull'Unione europea sull'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che fissa le condizioni che il futuro accordo di adesione dell’Unione alla Convenzione dovrà rispettare, così recita: “LE ALTE PARTI CONTRAENTI hanno convenuto le disposizioni seguenti, che sono allegate al trattato sull'Unione europea e al trattato sul funzionamento dell'Unione europea: Articolo 1 L'accordo relativo all'adesione dell'Unione alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (in appresso denominata "convenzione europea"), previsto dall'articolo 6, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea deve garantire che siano preservate le caratteristiche specifiche dell'Unione e del diritto dell'Unione, in particolare per quanto riguarda:

108


15.

La Carta costituisce un evento di straordinaria importanza nel quadro della

costruzione dell’Unione europea, della quale essa è destinata a fungere da sostrato costituzionale.61

16.

A testimonianza della grande rilevanza di questo documento, anche prima

della sua “consacrazione” nel Trattato di Lisbona, vi è l’immediato interesse che esso ha suscitato tra i commentatori, prima ancora della sua solenne proclamazione.62

a) le modalità specifiche dell'eventuale partecipazione dell'Unione agli organi di controllo della convenzione europea, b) i meccanismi necessari per garantire che i procedimenti avviati da Stati non membri e le singole domande siano indirizzate correttamente, a seconda dei casi, agli Stati membri e/o all'Unione.

Articolo 2 L'accordo di cui all'articolo 1 deve garantire che l'adesione non incida né sulle competenze dell'Unione né sulle attribuzioni delle sue istituzioni. Deve inoltre garantire che nessuna disposizione dello stesso incida sulla situazione particolare degli Stati membri nei confronti della convenzione europea e, in particolare, riguardo ai suoi protocolli, alle misure prese dagli Stati membri in deroga alla convenzione europea ai sensi del suo articolo 15 e a riserve formulate dagli Stati membri nei confronti della convenzione europea ai sensi del suo articolo 57.

Articolo 3 Nessuna disposizione dell'accordo di cui all'articolo 1 deve avere effetti sull'articolo 344 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.”

Sembra perciò doveroso esprimere rispettoso dissenso da quelle opinioni, anche autorevolissime, che tendono a presentare la Carta come un accadimento di scarsa importanza. Ci riferiamo in particolare a Dahrendorf, Non basta una Carta per fare l’Europa, la Repubblica, 14 novembre 2000, che definisce l’intesa raggiunta sulla Carta come "... un accordo non vincolante su un testo poco rilevante". 61

Per la dottrina italiana, cfr. gli autori citati nello scritto di Mastroianni, Il contributo della Carta europea alla tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario, Cassazione penale, 2002, vol. XLII (2002), 5, p. 1873 e s., cui adde Ferrari Bravo, di Majo e Rizzo, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (commentata con la giurisprudenza della Corte di giustizia CE e della Corte europea dei diritti dell’uomo e con i documenti rilevanti), Milano, 2001. Per la dottrina straniera, ad es.: Callewaert, La subsidiarité dans l’Europe des droits de l’homme: la dimension substantielle, in Callewaert, De Schutter, Flynn, Struys, Wathelet e Willemart, L’Europe de la subsidiarité, Bruxelles, 2000, p. 13 ss.; i vari interventi al seminario sulla Carta organizzato a Strasburgo 62

109


17.

La Carta, che è preceduta da un Preambolo nel quale, tra l’altro, si afferma

che l’Unione, consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, “... si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà;” e che “l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. ...”, è ripartita in sei capitoli sostanziali (I: Dignità, II: Libertà, III: Uguaglianza, IV: Solidarietà, V: Cittadinanza, VI: Giustizia), e comprende un settimo capitolo consacrato a “Disposizioni generali”, che contiene le c.d. “disposizioni orizzontali”. 18.

Accanto ai tradizionali diritti civili e politici, detti di “prima generazione”, ai

quali è quasi esclusivamente consacrata la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, la Carta contempla anche i diritti “di seconda generazione”, cioè quelli economici e sociali, nonché quelli che sono frutto, come si ricorda nel preambolo, “... dell’evoluzione della società” e “... degli sviluppi scientifici e tecnologici”, vale a dire i diritti “di terza generazione”, come la tutela ambientale, la protezione dei consumatori, il diritto all’integrità della persona nell’ambito della medicina e della biologia. Vi sono inoltre i diritti riservati ai cittadini dell’Unione.63

dall’Istituto di alti studi europei dell’Università di quella città, il cui testo è consultabile negli Actes des journées d’étude sur la Charte tenues les 16 et 17 juin 2000 à l’initiative de l’Institut des hautes études européennes de l’Université de Strasbourg, Revue universelle des droits de l’homme, 2000, p. 3 e s., in particolare Jacqué, La démarche initiée par le Conseil européen de Cologne, p. 3 e s., Tulkens, L’Union européenne devant la Cour européenne des droits de l’homme, p. 50 e s., Benoît-Rohmer, L’adhésion de l’Union à la Convention européenne des droits de l’homme, p. 57 e s., nonché quelli al colloquio svoltosi sulla Carta all’Assemblea nazionale francese, in particolare Cohen-Jonathan, Colloque sur la Charte, tenu le 26 avril 2000 à l’Assemblée nationale, compte rendu des débats, p. 76 e passim.; Dutheil De La Rochère, L’Europe a-t-elle besoin d’une Charte des droits fondamentaux?, Gazette du Palais, 7-8 juin 2000, p. 5 e s; De Búrca, The drafting of the European Union Charter of fundamental rights, European Law Review, April 2001, p. 126 e s.

Pocar, Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Pocar, Commentario breve al Trattato CE, Padova, 2001, p. 1178 s., distingue all’interno della Carta tre categorie di disposizioni: a) quelle che prevedono diritti già regolati dalle norme dei Trattati; b) quelle relative ai diritti già previsti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950; c) quelle riguardanti diritti nuovi non previsti dalla Convenzione europea né dai Trattati. Solo rispetto a questi ultimi si porrebbe in concreto il problema del valore e dell’efficacia della Carta, soprattutto per quanto riguarda gli Stati membri (spec. p. 1181). 63

110


19.

È noto che gli allora quindici membri dell’Unione non avevano trovato

l’accordo necessario per l’inclusione della Carta nel Trattato di Nizza ovvero come suo allegato, mentre nella Dichiarazione sul futuro dell’Unione essi si erano impegnati a risolvere in un secondo tempo il problema dello “status della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza, conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo di Colonia”.64

20.

La Carta di Nizza, quindi, prima dell’entrata in vigore del Trattato di

Lisbona, andava inquadrata tra quegli atti internazionali dichiarativi, privi di valore vincolante, che hanno sostanzialmente natura di raccomandazione e che vanno comunemente sotto la denominazione di soft law. Tuttavia, come è stato osservato, essa costituiva fin d’allora un fondamentale testo di riferimento nell’ambito del diritto comunitario, giacché, per quanto riguarda i diritti fondamentali già vigenti nel quadro comunitario, essa autorevolmente ricostruiva il loro stato quale “principi generali del diritto”, mentre relativamente ai diritti non compresi in questa categoria, cioè quelli per i quali la necessità della loro tutela è stata individuata dalla stessa Carta, il testo di Nizza, presentava un rilevante valore “persuasivo”.65

21.

Inoltre, si era rilevato che, rispetto alle istituzioni, sembrava logico ritenere

che esse fossero vincolate da un atto al quale hanno voluto conferire la qualificazione di “proclamazione solenne” e che si rivolgeva a esse in primo luogo, mentre la puntuale attuazione degli obblighi comunitari, cui gli Stati erano e sono tenuti in base ai Trattati, implicava necessariamente che essi rispettassero le disposizioni della Carta, potendo Dichiarazione n. 23 allegata al Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 (G.U.C.E. C 80 del 10 marzo 2001, p.1). 64

cfr. Mastroianni, cit. Di particolare interesse, per quanto riguarda i "vecchi" diritti, i riferimenti alla Carta contenuti nelle conclusioni degli Avvocati Generali della Corte di giustizia delle comunità europee, i quali quindi hanno già ricondotto il testo di Nizza nell’ambito dell’attività giurisdizionale della Corte: cfr. Mastroianni, cit., spec. nota 27. 65

111


altrimenti configurarsi una violazione degli obblighi medesimi. 22.

In un primo momento si era pensato che questo dibattito sul valore della

Carta fosse destinato ad avere vita breve, data l’integrazione di questo documento nel Trattato di Roma sull’Unione europea del 29 ottobre 2004. In realtà, come sappiamo, questo Trattato non ha avuto fortuna, e non è entrato in vigore. La questione si è dunque trascinata fino ai nostri giorni ma oggi, in effetti, il dibattito si può considerare terminato. La Carta adattata è stata “riproclamata” a Strasburgo dai Presidenti della Commissione europea, del Parlamento e del Consiglio il 12 dicembre 2007 e, come si è detto, inserita nei trattati dal Trattato di Lisbona, ora entrato in vigore, del giorno successivo.66

Ragguaglio

sintetico

sull’evoluzione

della

protezione

dei

diritti

fondamentali

nell’ordinamento comunitario 23.

Per quanto riguarda in generale la protezione dei diritti fondamentali

nell’ordinamento dell’Unione europea, si può dire in estrema sintesi che, in assenza, finora, di un catalogo completo di diritti fondamentali nella legislazione comunitaria, anche se era stata rilevata la presenza nell’ordinamento comunitario di disposizioni che riconoscono diritti fondamentali e che comunque sono idonee a dar luogo a sviluppi in questo settore,

67

il dibattito sull’opportunità per le Comunità, o per l’Unione europea, di

aderire alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, oggi chiuso dal Trattato di Lisbona, si era trascinato per lunghissimo tempo. Durante questo periodo, la Corte di giustizia delle Comunità europee si era preoccupata della protezione dei diritti fondamentali degli individui nell’ambito comunitario. Fin dalla sentenza Stauder del 12 novembre 1969 (causa 29/69, Raccolta 1969, p. 419), la Corte comunitaria ha preso in considerazione i diritti fondamentali della persona compresi nei principi generali del diritto comunitario dei quali essa assicura il rispetto. Con la sentenza International 66

La Carta “riproclamata” può leggersi in G.U.C.E. C 303/1 del 14 dicembre 2007.

cfr. SAGGIO, La protezione dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario, in Documenti Giustizia, 1993, c. 275 e s. 67

112


Handgesellshaft del 17 dicembre 1970 (Causa 11/70, Raccolta 1970, p. 1125), la Corte ha precisato che la salvaguardia dei diritti fondamentali, in quanto principi generali dell’ordinamento comunitario, deve essere ispirata dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri. Successivamente, con la sentenza Nold del 14 maggio 1974 (Causa 4/73, Raccolta, 1974, p. 491 s.), la Corte ha soggiunto che gli strumenti internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo possono ugualmente fornire elementi di cui bisogna tener conto nell’ambito del diritto comunitario, per giungere poi, con la sentenza Rutili del 18 ottobre 1975 (Causa 36/75, Raccolta, 1975, p. 1219 s.) a citare esplicitamente la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ciò che non deve stupire, giacché si tratta della prima sentenza del genere pronunciata dopo che, con la ratifica della Francia nel maggio del 1974, tutti i Paesi comunitari erano divenuti Parti della Convenzione. Da allora la giurisprudenza di Lussemburgo non si è allontanata da queste direttrici, e non è il caso qui di soffermarsi sui particolari di questo faticoso cammino e sull’influenza che su di esso hanno esercitato atteggiamenti particolarmente fermi di giurisdizioni nazionali, quali le Corti costituzionali tedesca ed italiana.68 24.

Quindi, l’articolo F, comma 2, del Trattato di Maastricht sull’Unione europea

del 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, con il quale si stabilì che “L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ... e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali di diritto comunitario” non fece altro che cristallizzare una prassi giurisprudenziale già definita, impedendone una – peraltro improbabile – modifica. L’articolo F, comma 2, è ora divenuto, dopo il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, entrato in vigore il 1° maggio 1999, l’articolo 6, comma 2, del Trattato sull’Unione europea. Quest’ultimo strumento ha

Cfr. più ampiamente, su questi aspetti, MASTROIANNI, op. cit. Sull’atteggiamento della Corte costituzionale tedesca, cfr. TOMUSCHAT, Les rapports entre le droit communautaire et le droit constitutionnel allemand d’après la jurisprudence récente de la Cour constitutionnelle allemande, Cahiers de droit européen, 1989, p. 163 ; sulla situazione in Italia, cfr. NERI, Le droit communautaire et la Cour constitutionnelle italienne : la protection des droits fondamentaux, Rivista di diritto europeo, 1989, p. 1. 68

113


anche esteso la competenza della Corte comunitaria al controllo del rispetto dell’articolo 6, comma 2, da parte delle istituzioni comunitarie. 25.

È poi da registrare l’azione delle istituzioni tendente a dotare le Comunità di

un “catalogo” di diritti fondamentali. In questo quadro va ricordata, in primo luogo, la Dichiarazione comune del 5 aprile 1977 (G.U.C.E. C 103/77) con la quale il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sottolineano l’importanza primaria che essi attribuiscono in modo particolare alle costituzioni degli Stati membri ed alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e affermano che, nell’esercizio dei loro poteri e nel perseguire gli scopi della Comunità europea, essi “rispettano e continueranno a rispettare questi diritti”. La Dichiarazione del 1977 è dunque l’antecedente della Carta di Nizza, che, come è stato notato, rappresenta rispetto a questa un progresso, nel senso che, a differerenza del documento più antico, essa si rivolge non solo alle istituzioni comunitarie, ma anche agli Stati membri allorché essi attuano il diritto comunitario, conformemente, del resto, ai risultati già acquisiti sul piano giurisprudenziale. Meritano pure di essere menzionate in questo contesto la Dichiarazione sulla democrazia dei Capi di Stato e di Governo del 7 e 8 aprile 1978, la Dichiarazione del Parlamento europeo, adottata nel 1989, sui diritti e le libertà fondamentali, e la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, pure proclamata nel 1989, dagli Stati membri del tempo, con l’eccezione del Regno Unito. 26.

Detto questo in modo estremamente sintetico, vorrei ora ora soffermarmi sul

rapporto tra la Carta di Nizza, con le sue implicazioni, da una parte e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed il sistema di protezione da questa creato dall’altra.

La Carta e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo 27.

L’articolo 51, comma 1, della Carta stabilisce che le disposizioni della stessa

Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri, ma solo nella loro attività di attuazione del diritto dell’Unione. Il documento di Nizza, dunque, non contiene disposizioni dirette a 114


istituire un meccanismo comunitario di controllo del rispetto dei diritti fondamentali da parte degli Stati membri, e questo è bene chiarirlo per evitare un equivoco che è piuttosto frequente ed è fonte di non poca confusione. 28.

Un tale meccanismo, sia pure allo stato embrionale, è invece previsto

dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea dopo Amsterdam. Questa norma consente al Consiglio di adottare sanzioni nei confronti di Stati membri che si siano resi responsabili di violazioni di diritti fondamentali.69 L’art. 7 del Trattato dell’Unione europea così recita: “Articolo 7 (ex articolo 7 del TUE) 69

1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi. 2. Il Consiglio europeo, deliberando all'unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l'esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all'articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni. 3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall'applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell'agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.

Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati. 4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione. 5. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell'articolo 354 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.”

115


29.

La Carta, dunque, non ha vocazione a porsi in concorrenza con il sistema di

Strasburgo basato sulla Convenzione di Roma del 1950. In effetti, la Corte costituzionale italiana, nelle sue ricordate sentenze n. 348 e 349 del 2007, pur riconoscendo che l’articolo 6, comma secondo, del Trattato dell’Unione europea ha provveduto a “comunitarizzare” le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, osserva che tali norme rilevano esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali sia applicabile il diritto comunitario, cioè in primo luogo gli atti comunitari, ed in secondo luogo gli atti nazionali di attuazione del diritto comunitario. 30.

La Carta tende pertanto, per quanto riguarda la sfera di diritti già protetti

dalla Convenzione e dai suoi protocolli addizionali, ad assicurare all’interno del sistema comunitario un livello di protezione di tali diritti almeno corrispondente a quello previsto dal sistema di Strasburgo, senza escludere peraltro una protezione più intensa (articolo 53 della Carta). In ciò la Carta rispetta pienamente lo spirito dell’articolo 53 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo il quale nessuna disposizione della Convenzione potrà essere interpretata nel senso di limitare o di pregiudicare i diritti dell’uomo o le libertà fondamentali riconosciuti conformemente alle leggi di ogni Parte contraente o alle convenzioni delle quali questa partecipi. 31.

E’bene avvertire che la Carta non riprende tutte le disposizioni dei protocolli

addizionali alla Convenzione del 1950. In particolare essa non contempla tutti i diritti protetti dal Protocollo n. 7, che non è stato ratificato da tutti i Paesi comunitari. 32.

Inoltre, l’articolo 52, comma 3, della Carta stabilisce che laddove essa

contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla stessa Convenzione, e che tale disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa. 33.

In questo modo, le istituzioni comunitarie dovrebbero essere poste in grado

di applicare il diritto di Strasburgo senza lacune, almeno per quanto riguarda i diritti presi

116


in considerazione dal documento di Nizza-Strasburgo. 34.

Il Presidium della “Convention”, cioè l’organo che ha elaborato la Carta, ha

redatto una Tabella di corrispondenza, distinguendo gli articoli della Carta che hanno significato e portata identici agli articoli corrispondenti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da quelli che pure hanno significato identico agli articoli corrispondenti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma la cui sfera di applicazione è più ampia.70

Si ritiene utile riportare il testo della Tabella, estratta dal Testo delle spiegazioni relative al testo completo della Carta (doc. CHARTE 4487/00 CONVENT 50, 11 ottobre 2000): 70

Tabella di corrispondenza 1. Articoli della Carta che hanno significato e portata identici agli articoli corrispondenti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo L’art. 2 corrisponde all’art. 2 della CEDU. L’art. 4 corrisponde all’art. 3 della CEDU. L’art. 5, commi 1 e 2, corrisponde all’art. 4 della CEDU. L’art. 6 corrisponde all’art. 5 della CEDU. L’art. 7 corrisponde all’art. 8 della CEDU. L’art. 10, comma 1, corrisponde all’art. 9 della CEDU. L’art. 11 corrisponde all’art. 10 della CEDU, fatte salve le restrizioni che il diritto comunitario può apportare alla facoltà degli Stati membri di instaurare i regimi di autorizzazione di cui all’art. 10, comma 1, terza frase, della CEDU. L’art. 17 corrisponde all’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU. L’art. 19. comma 1, corrisponde all’art. 4 delprotocollo addizionale n. 4. L’art. 19, comma 2, corrisponde all’art. 3 della CEDU nell’interpretazione datagli dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’art. 48 corrisponde all’art. 6, paragrafi 2 e 3, della CEDU. L’art. 49, comma 1 (eccettuata l’ultima frase) e comma 2 corrisponde all’art. 7 della CEDU. 2. Articoli della Carta che hanno significato e portata identici agli articoli corrispondenti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ma la cui portata è più ampia L’art. 9 copre il,campo dell’art. 12 della CEDU, ma il suo campo d’applicazione può essere esteso ad altre forme di matrimonio eventualmente istituite dalla legislazione nazionale. L’articolo 12, comma 1, corrisponde all’articolo 11 della CEDU, ma il suo campo d'applicazione è esteso al livello dell’Unione europea. L’articolo 14, comma 1, corrisponde all’articolo 2 del protocollo addizionale alla CEDU, ma il suo campo d'applicazione è esteso all’accesso alla formazione professionale e continua. L’articolo 14, comma 3, corrisponde all’articolo 2 del protocollo addizionale alla CEDU relativamente ai diritti dei genitori.

117


35.

In effetti, va detto che senza l’art. 52, comma 3, della Carta il rischio di una

protezione imperfetta dei diritti già previsti dalla Convenzione europea vi sarebbe stato. Bisogna considerare da un lato che la formulazione dei diritti ripresi dalla Convenzione del 1950 è stata sostanzialmente modificata, allo scopo di renderla più attuale, di completarla e di semplificarla. È stato osservato che la maggior parte delle disposizioni della Convenzione si ritrovano nella Carta sotto una forma abbreviata ed amputata delle precisazioni a volte molto dettagliate che esse contengono. Così è, in particolare, per le enumerazioni che figurano agli articoli 5 e 6 della Convenzione. D’altro canto, per quanto riguarda le disposizioni che nel sistema di Strasburgo fissano dettagliatamente il regime delle possibili limitazioni a certi diritti, come i commi 2 degli articoli da 8 a 11 della Convenzione europea, i redattori della Carta hanno scelto una tecnica legislativa che consiste nella previsione di un’unica disposizione “orizzontale”, per forza di cose generica, nell’articolo 52, comma 1, della Carta, secondo il quale: “Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e libertà riconosciuti nella presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.”

36.

Non c’è dubbio, quindi, che senza il rinvio alla Convenzione contenuto nelle

disposizioni generali la Carta assicurerebbe un livello di protezione “spesso inferiore” a quello della Convenzione. L’articolo 47, commi 2 e 3, corrisponde all’articolo 6, comma 1 della CEDU, ma la limitazione alle controversie su diritti e obblighi di carattere civile o su accuse in materia penale non si applica al diritto dell’Unione e alla sua attuazione. L’articolo 50 corrisponde all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU, ma la sua portata è estesa al livello dell’Unione europea tra le giurisdizioni degli Stati membri. Infine, nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, i cittadini dell’Unione europea non possono essere considerati stranieri in forza del divieto di qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità. Pertanto, le limitazioni previste dall’articolo 16 della CEDU riguardo al diritto degli stranieri non sono loro applicabili in questo contesto.

118


37.

Resta il fatto che si è voluto evitare un rinvio della Carta alla giurisprudenza

della Corte europea dei diritti dell’uomo, anche se ad essa viene reso, nel preambolo, un omaggio formale. Se si considera, dato il carattere spesso “vago” delle norme della Convenzione del 1950 e la natura evolutiva della giurisprudenza di Strasburgo, che le norme convenzionali e la giurisprudenza si fondono in un tutto inscindibile, dal quale risulta la vera consistenza del diritto europeo posto a tutela dei diritti fondamentali, il rischio di divergenze interpretative, e dunque di conflitti giurisprudenziali tra le due Corti europee non è puramente teorico. 38.

Del resto il carattere “vago” delle norme della Convenzione europea e la

conseguente precisazione del contenuto dei diritti per opera della giurisprudenza non sono disconosciuti dai redattori della Carta, che hanno inserito nel documento di Nizza dei diritti non esplicitamente previsti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ma che risultano dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, come il diritto alla protezione dei dati a carattere personale (articolo 8), quello alla libertà dei mezzi di comunicazione (media) e al loro pluralismo (articolo 11, comma 2, il diritto alla libertà di associazione nel settore politico (articolo 12, comma 1), il divieto di espulsione verso un Paese nel quale l’interessato rischierebbe di subire maltrattamenti (articolo 19, comma 2), il diritto alla protezione dei minori (articolo 24), o ancora il diritto al gratuito patrocinio (articolo 47, comma 3). 39.

D’altra parte, bisogna riconoscere che l’inserimento nella Carta di un

riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sarebbe stato difficile, non avendo l’Unione per il momento ancora aderito alla Convenzione del 1950.

Il diritto comunitario davanti agli organi di Strasburgo e la prospettiva dell’adesione dell’Unione alla Convenzione europea

40.

L’elaborazione di un catalogo di diritti fondamentali in seno all’ordinamento

comunitario è stata per lungo tempo ritenuta come un’alternativa all’eventuale adesione 119


delle Comunità/Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Oggi, invece, ci si rende conto che l’adesione rappresenta il complemento logico e naturale – posto che un controllo esterno del rispetto dei diritti fondamentali debba essere considerato come un valore in sé – della elaborazione del catalogo dei diritti, così come per gli Stati la partecipazione

alla

Convenzione

europea

dei

diritti

dell’uomo

rappresenta

il

complemento della protezione dei diritti fondamentali alla quale essi già essi provvedono mediante le loro carte costituzionali. Ho ricordato, su questo punto, la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 maggio 2010, che per l’appunto fa leva sul valore aggiunto di un controllo esterno di carattere internazionale. 41.

Il Commissario Vitorino, durante la solenne seduta inaugurale dei lavori

della “Convention” incaricata di redigere la Carta, il 17 dicembre 1999 a Bruxelles, ha affermato che “A parere della Commissione, l’adozione di una carta dei diritti fondamentali non impedisce e non rende inutile l’adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come l’adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo non impedisce e non rende inutile l’adozione da parte dell’Unione europea di una carta dei diritti fondamentali” (doc. Body 1 (Charte 4105/00), p. 18). 42.

Certamente, bisognava tener conto del parere espresso dalla Corte di

giustizia delle Comunità europee il 28 marzo 1996 (Parere n. 2/94, Raccolta, 1996, p. I – 1759), nel quale la Corte aveva affermato che il testo dei Trattati non contiene alcuna disposizione che permetta alla Comunità di aderire alla Convenzione, ma è ovvio che, in presenza di una adeguata volontà politica, i Trattati possono essere opportunamente modificati, come in effetti è avvenuto con il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007. Già alla Conferenza intergovernativa 2000 era stata presentata una proposta finlandese tendente a modificare l’articolo 303 del Trattato sulla Comunità europea per consentire l’adesione della Comunità alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. 43.

Del resto, l’adesione non potrebbe essere realizzata senza appropriate

modifiche della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che permettano la partecipazione dell’Unione tenendo conto delle sue particolarità. A questo proposito, sulla 120


base di uno studio che è stato realizzato dal Segretariato del Consiglio d’Europa (doc. DGII (2001) 02), il Comitato dei Ministri dell’Organizzazione di Strasburgo ha dato mandato al Comitato Direttivo per i diritti dell’uomo (CDDH) di formulare proposte circa gli emendamenti alla Convenzione del 1950 che consentano alle Comunità/Unione di divenire parte della stessa Convenzione. Si tratta principalmente di emendamenti che riguardano le modalità di partecipazione al meccanismo di controllo (Corte, Comitato dei Ministri). 71 44.

Il Protocollo n. 14 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo provvede

alla bisogna introducendo un nuovo comma 2 all’articolo 59 della Convenzione che recita: “L’Union européenne peut adhérer à la présente Convention.” Come si vede gli autori del Protocollo n. 14 si erano proiettati nel futuro, dando per scontata la finalizzazione e l’entrata in vigore del trattato grazie al quale l’Unione avrebbe acquistato la personalità giuridica secondo il diritto internazionale. In mancanza della Costituzione europea del 2004, il risultato è stato raggiunto ugualmente con il Trattato di Lisbona del 2007. 45.

L’adesione eliminerebbe alla radice le difficoltà alle quali il sistema di

Strasburgo deve ora far fronte per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali quando si tratti di competenze che gli Stati parti della Convenzione del 1950 abbiano trasferito all’Unione in quanto membri di quest’ultima. 46.

L’adesione eliminerebbe alla radice le difficoltà alle quali il sistema di

Strasburgo deve attualmente far fronte per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali allorché si tratti di competenze che gli stati parti della Convenzione del 1950 abbiano trasferito all’Unione in quanto membri di quest’ultima. 47.

Gli organi di Strasburgo si sono trovati in diverse occasioni a doversi

confrontare con questo problema. La giurisprudenza su questo tema ha conosciuto negli ultimi tempi una netta evoluzione. 48.

Occorre distinguere due situazioni: quella di un atto o di un comportamento

che emani dalla Comunità e che venga in quanto tale denunziato a Strasburgo e quella di 1.

71

Cfr. CDDH(2002)010 Addendum 2, adottato in occasione della 53a riunione, 25-28 giugno

2002.

121


un atto o di un comportamento adottato da uno Stato membro in attuazione del diritto comunitario. 49.

Fino ad un’epoca recentissima, per quanto riguarda la prima ipotesi, la

giurisprudenza di Strasburgo era ferma nel ritenere che, data la personalità giuridica internazionale della Comunità, distinta da quella degli Stati membri, i ricorsi rivolti contro atti squisitamente comunitari, atti cioè privi di effetti nel territorio degli stati membri, fossero da ritenere incompatibili ratione personae con la Convenzione, relativamente alla Comunità, non avendo la stessa Comunità aderito a quest’ultima, mentre la responsabilità degli stati membri doveva essere esclusa essendo l’atto imputabile ad un organo comunitario, cioè ad un’entità esterna agli stessi stati72. 50.

La Corte sembra però ora aver imboccato una strada diversa, avendo deciso

di comunicare ai Governi convenuti il ricorso Senator Lines GmbH c. i quindici stati membri dell’Unione europea (ric. n. 56672/00), nel quale viene messo in discussione un atto squisitamente comunitario (un’ammenda). Un’udienza che era stata fissata dalla Corte per esaminare questo caso il 22 ottobre 2003 è stata annullata con decisione del Presidente della Corte, tenuto conto della sentenza del Tribunale di prima istanza della Comunità in data 30 settembre 2003 che ha annullato l’ammenda litigiosa. 51.

Relativamente all’altra ipotesi, quella di atti o comportamenti imputabili agli

Stati, ma posti in essere in attuazione del diritto comunitario, gli organi di Strasburgo hanno affermato il principio secondo il quale, a termini dell’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, gli Stati membri sono responsabili di tutti gli atti e omissioni di loro organi interni che abbiano violato la Convenzione, indipendentemente dal fatto che l’atto o l’omissione in questione sia posto in essere in applicazione del diritto o di regolamentazioni interne ovvero di obblighi internazionali. Quindi, un trasferimento di competenze ad una organizzazione internazionale non libera lo Stato dalla sua Cfr. dec. Commissione europea dei diritti dell’uomo 10 luglio 1978, ric. N. 8030/77, CFDT c. Comunità europea e Stati membri e altre decisioni citate da Jacqué, Communauté européenne et Convention européenne des droits de l’homme, in Pettiti, Decaux e Imbert, La Convention européenne des droits de l’homme, Commentaire article par article, Parigi, 1995, p. 90, nota 4. 72

122


responsabilità nei riguardi della Convenzione, e ciò indipendentemente dalla eventuale discrezionalità accordata allo Stato nell’esecuzione della decisione comunitaria 73. 52.

In un primo tempo la giurisprudenza di Strasburgo si era orientata – caso M.

& Co citato – nel senso di ritenere che un tale trasferimento di competenze non potesse comunque considerarsi incompatibile con la Convenzione quando l’organizzazione beneficiaria del trasferimento offra una protezione dei diritti fondamentali equivalente a quella assicurata dalla stessa Convenzione, per cui, considerata la giurisprudenza della Corte di Lussemburgo che si è sopra ricordata, e la posizione che quest’ultima accorda alla Convenzione, si era concluso nel senso che al momento della decisione, e con riserva quindi di valutare di nuovo la situazione, vi era effettivamente una protezione equivalente a livello comunitario. 53.

Successivamente, però, il biancosegno che era stato rilasciato all’Unione è

stato in un certo senso revocato. Così nel caso Matthews c. Regno Unito (Sentenza della Corte di Strasburgo 18 febbraio 1999 (ric. n. 24833/94), § 32) la Corte europea dei diritti dell’uomo, affermando la violazione dell’articolo 3 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, ha ritenuto il Regno Unito responsabile degli effetti nel suo ordine giuridico interno di una disposizione di diritto comunitario primario che privava gli abitanti di Gibilterra del diritto di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo. 54.

Nel caso Bosphorus Airways c. Irlanda, sentenza del 30 giugno 2005, la Grande

Camera della Corte ha introdotto la nozione di “presunzione di equivalenza,” salvo prova contraria. Si trattava di un ricorso diretto contro l’Irlanda, che aveva sequestrato un aereo appartenente ad una compagnia iugoslava ed affittato alla compagnia turca ricorrente in esecuzione del regolamento comunitario del Consiglio n. 990/93 che a sua volta dava esecuzione alle sanzioni delle Nazioni Unite nei confronti della Repubblica Federativa di

Cfr. dec. Commissione europea dei diritti dell’uomo 9 febbraio 1990, ric. n. 13258/87, M. & Co c. Germania (caso di esecuzione di una sentenza della Corte di giustizia delle comunità europee in tema di concorrenza); sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 15 novembre 1996 nel caso Cantoni c. Francia (caso di una disposizione di diritto interno – l’articolo L 511 del Codice francese della sanità pubblica – basata quasi parola per parola su di una direttiva comunitaria ). 73

123


Iugoslavia (Serbia e Montenegro). In questo caso la Corte suprema irlandese, dopo aver adito la Corte di giustizia comunitaria a titolo preliminare, aveva confermato il sequestro. La compagnia turca aveva lamentato la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 sulla tutela dei beni. La Grande Camera, dopo aver accertato che le autorità irlandesi non disponevano di alcun margine di discrezionalità nel dare esecuzione alla normativa comunitaria, ha osservato che la protezione dei diritti fondamentali da parte dell’ordinamento comunitario era da considerarsi “equivalente” a quello del sistema della Convenzione, anche all’epoca dei fatti, che risalivano agli anni 1993-1996. Di conseguenza, valeva la presunzione che l’Irlanda non avesse violato il Protocollo nell’eseguire obblighi derivanti dalla sua partecipazione alla Comunità. Tuttavia, questa presunzione potrebbe essere superata se in un caso particolare si ritenesse la protezione dei diritti della Convenzione “manifestamente insufficiente” (manifestly deficient). In tali casi, l’interesse della cooperazione internazionale dovrebbe cedere di fronte al ruolo della Convenzione quale “strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo” nel campo dei diritti umani. Va notato che, a differenza che nel caso M. c. Germania, qui la Corte ha esaminato l’aspetto concernente la protezione dei diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario non già per escludere l’applicabilità della Convenzione, bensì, facendo applicazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale, nel quadro del giudizio del giudizio sul corretto uso da parte delle autorità irlandesi del loro margine di apprezzamento74. 55.

Questa evoluzione della giurisprudenza di Strasburgo ha condotto taluno a

parlare di “adesione di fatto” dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, situazione comportante tutti gli inconvenienti di una adesione formale, cioè il rischio di censura a posteriori di decisioni di giustizia nazionale di applicazione del diritto comunitario, ma non i suoi vantaggi, tra i quali la partecipazione degli organi comunitari alle procedure di Strasburgo e la possibilità di accompagnare l’adesione con modalità particolari che tengano conto delle relazioni tra istanze europee. Sul caso Bosphorus cfr. Cannizzaro, Sulla responsabilità internazionale per condotte di Stati membri dell'Unione europea: in margine al caso Bosphorus, in Rivista di diritto internazionale, 2005, p. 762 e ss. 74

124


56.

È vero che le divergenze tra le due Corti europee sono state, a tutt’oggi,

piuttosto rare, per cui l’esigenza di certezza del diritto, che spinge verso la concentrazione in un solo giudice del potere di interpretare la Convenzione del 1950 e delle disposizioni della Carta che da questa traggono origine, non è forse l’argomento più forte in favore dell’adesione dell’Unione al sistema di Strasburgo. Si tratta comunque di una ragione assolutamente valida, anche alla luce delle divergenze di giurisprudenza tra la Corte di Giustizia dell’Unione e la Corte di Strasburgo, in materia di libertà sindacale, a proposito dei limiti di tutela del diritto di azione collettiva, incluso lo sciopero. 57.

In ogni modo ci sembra che a consigliare l’adesione dovrebbe essere la

considerazione della possibilità di un controllo esterno dell’efficace protezione dei diritti fondamentali come valore in sé, idoneo a dare attendibilità sotto questo profilo alla costruzione comunitaria, così come, in modo assolutamente parallelo, la partecipazione degli Stati al sistema di Strasburgo conferisce attendibilità ai loro apparati nazionali di tutela dei diritti umani. 58.

So bene che attualmente si discute se il Trattato di Lisbona si sia limitato a

introdurre la base giuridica che permette ora all’Unione di aderire alla Convenzione europea, ovvero abbia già irreversibilmente compiuto questa scelta e che c’è una scuola di pensiero conservatrice che propende per la prima interpretazione, ma a me sembra che la strada dell’adesione sia oramai obbligata.

III-

CONVENZIONE EUROPEA E DIRITTO ITALIANO

59.

L’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo esprime il principio

di sussidiarietà del sistema europeo di tutela dei diritti umani. Ovviamente il ricorso diretto a Strasburgo non può funzionare efficacemente se i diritti affermati dalla Convenzione non sono adeguatamente protetti a livello nazionale. Ciò dipende dal trattamento che viene riservato alla Convenzione nel diritto interno di ciascuno Stato parte. L’art. 13 non obbliga gli Stati parte ad incorporare la Convenzione nei rispettivi ordinamenti giuridici interni, anche se è un rilievo costante della giurisprudenza della 125


Corte di Strasburgo quello secondo il quale la trasformazione della Convenzione in diritto interno, con il corollario della sua diretta invocabilità dinanzi ai giudici nazionali, permette la sua applicazione ottimale a livello interno. 60.

Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, nonostante il nostro Paese abbia

provveduto sin dal 1955, allorché venne autorizzata la ratifica della Convenzione, ad introdurre questo strumento nell’ordinamento giuridico nazionale, il cammino verso il riconoscimento da un lato della sua diretta applicabilità e, dall’altro, del suo primato rispetto alla legislazione nazionale di livello non costituzionale, obiettivo che oggi si può considerare raggiunto, è stato lungo e tormentato. Decisiva si è rivelata, in questo contesto, la modifica dell’art. 117 della Costituzione introdotta nel 2001, sulla base del quale sono state rese le sentenze della Corte costituzionale n. 348 e 349 del 2007. 61.

In precedenza, l’orientamento prevalente in dottrina, orientamento condiviso

dalla giurisprudenza, era che la Convenzione ha in Italia rango di legge ordinaria. Posizione che, secondo questo dominante orientamento, il diritto di Strasburgo aveva in comune con gli altri trattati internazionali immessi nell’ordinamento italiano attraverso una legge ordinaria. 62.

Vi erano, tuttavia, posizioni, anche autorevoli, diverse. E’ celebre la tesi che,

facendo leva sulla esistenza, tra le norme internazionali generali considerate dall’art. 10 comma 1 della Costituzione, del principio pacta sunt servanda, afferma che l’adattamento al diritto generale realizzato con l’art. 10 implicherebbe la volontà del costituente di adeguare il nostro ordinamento a tutti gli strumenti pattizi stipulati dallo Stato italiano. Ciò comporterebbe due conseguenze: la prima, che non sarebbero quindi necessari atti di adattamento ad hoc per i singoli trattati di volta in volta stipulati dall’Italia; la seconda, che tali trattati avrebbero rango costituzionale.75 63.

Altra parte della dottrina, pur senza adottare integralmente quest’ultima tesi,

Cfr. QUADRI, Diritto internazionale pubblico, Napoli, 1968, p. 64-68. Questa tesi, pur essendo senza dubbio minoritaria nonostante la sua autorevolezza, ha avuto un certo seguito in giurisprudenza: cfr. sent. Corte dei Conti, Sez. riunite, 27 marzo 1980, Foro italiano, 1980, III, c. 362 s. 75

126


e sostenendo quindi la necessità di specifici atti di adattamento per i singoli strumenti pattizi, propugnava peraltro l’inderogabilità dei trattati - una volta immessi nel nostro ordinamento ad opera del legislatore (di regola ordinario) - in base al detto principio pacta sunt servanda. Essi sarebbero dunque “ coperti ” dall’art. 10 primo comma della Costituzione (pacta recepta sunt servanda).76 64.

Con specifico riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo,

poi, era stata prospettata la possibilità di riconoscere alle sue norme “ ... una funzione di parametro di legittimità costituzionale grazie al limite di rispetto imposto alla legislazione ordinaria dall’art. 11 (Cost.) ”, valorizzando la peculiarità del sistema europeo di tutela dei diritti dell’uomo, come tale comportante “ limitazioni di sovranità ” per gli Stati, e ricostruendo quindi la fattispecie tipica dell’art. 11 Cost., secondo cui l’Italia “ consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia per le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali dirette a tale scopo ”. Secondo tale impostazione andrebbe perciò valorizzata a questo fine la stessa norma utilizzata dalla Corte costituzionale per assicurare il primato del diritto comunitario sul diritto nazionale.77 65.

Per quanto riguarda la giurisprudenza, con la sentenza Polo Castro (Sez. Un. ,

23 novembre 1988, (dep. 8 maggio 1989), Polo Castro, Cassazione penale, 1989, p. 1418, n. 1191), le Sezioni Unite della Corte di cassazione, componendo un contrasto giurisprudenziale sorto all’interno della I Sezione penale, risolsero, in senso favorevole alla Convenzione, il problema del carattere self executing dello strumento internazionale, cioè della sua idoneità a tradursi in norme di diretta applicabilità nell’ordinamento italiano, e quindi della sua immediata invocabilità dinanzi al giudice italiano. Questa decisione poneva fine alle precedenti oscillazioni della Corte di cassazione, le quali avevano creato

Cfr. BARILE, Rilievi sull’adattamento automatico del diritto interno al diritto internazionale, in L’eguaglianza delle armi nel processo civile. Studi parmensi, vol. XVIII, 1977, p. 5 s. 76

Cfr. MORI, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Patto delle Nazioni Unite e Costituzione italiana, Rivista di diritto internazionale, 1983, p. 306 s.; spec. p. 332 e 350 s. 77

127


grande incertezza circa la tutela sul piano giurisprudenziale interno dei diritti previsti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli. In particolare l’indirizzo superato dalla detta sentenza delle Sezioni Unite tendeva a ritenere che la tutela dei diritti dell’uomo rispettivamente sul piano interno e su quello internazionale desse luogo a fenomeni che si sviluppano in modo indipendentemente gli uni dagli altri, in una condizione di incomunicabilità, il contrario, quindi del dialogo. Il detto indirizzo giurisprudenziale tendeva quindi a negare il carattere di immediata applicazione delle norme della Convenzione.78 66.

In sostanza, si argomentava, l’esistenza di un sistema di tutela a livello

internazionale (Commissione e Corte dei diritti dell’uomo, Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa) previsto dalla Convenzione sta a significare che gli Stati contraenti hanno voluto stabilire reciprocamente degli impegni internazionali in materia di diritti dell’uomo, creando dei meccanismi sul piano europeo per garantirne il rispetto, ma tali impegni si traducono in norme che interessano per l’appunto tali Stati contraenti e non “ ... i rispettivi sudditi. ”. Di qui, la pretesa mancanza di vitalità di tali norme sul piano dell’ordinamento italiano. Altro che “ordinamento integrato”, se mi passate l’espressione! 67.

Viceversa, come hanno poi riconosciuto le Sezioni unite, i due livelli, quello

interno e quello internazionale, sono complementari tra di loro. La disposizione dell’art. 35 della Convenzione, che impone a chi intenda proporre un ricorso a Strasburgo di esperire preventivamente le vie di tutela predisposte dall’ordinamento dello Stato interessato, sancisce questa complementarità e delinea per gli organi di Strasburgo un compito che è almeno tendenzialmente sussidiario, come si è detto. 68. applicabilità

La sentenza Polo Castro, tuttavia, pur risolvendo il problema della diretta della

Convenzione,

aveva

lasciato

aperto

quello

del

suo

status

nell’ordinamento italiano nel quadro della gerarchia delle fonti di questo, e quindi la questione della soluzione di eventuali conflitti tra la disciplina convenzionale e quella Cfr., tra gli altri, PITTARO, Un passo indietro (ed anche due...) in tema di diritti dell’uomo, Cassazione penale, 1985, p. 2057, e sentenze citate nella decisione Polo Castro, cit. 78

128


derivante da leggi nazionali posteriori alla legge di ratifica della Convenzione. 69.

In effetti, la mancanza di un preciso orientamento giurisprudenziale sul tema

specifico del rango della Convenzione nell’ordinamento italiano aveva dato luogo, obiettivamente, ad una situazione di incertezza sui rapporti tra il diritto di Strasburgo e le norme italiane successive. 70.

Anche su quest’ultimo punto, peraltro, sia la Corte costituzionale sia la Corte

di cassazione erano poi pervenute, sulla base di ragioni diverse, ad affermare che il diritto di Strasburgo gode di una particolare forza di resistenza rispetto alla legislazione ordinaria successiva. In particolare la Corte costituzionale aveva affermato, in relazione ai rapporti tra Convenzione e codice di procedura penale, che le norme convenzionali non possono “ ... certo, esser considerate abrogate dalle successive disposizioni del codice di procedura penale ... perché si tratta di norme derivanti da una fonte riconducibile ad una competenza atipica e, come tali, insuscettibili di abrogazione o di modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria... ”, giungendo poi ad affermare che il diritto rilevante nella fattispecie, previsto dalla Convenzione, gode di una garanzia che, “ ... ancorché esplicitata da atti aventi il rango della legge ordinaria, esprime un contenuto di valore implicito nel riconoscimento costituzionale... ”.79 71.

Con le sentenze n. 348 e 349, del 24 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha

innanzitutto escluso, confermando i risultati cui le prevalenti dottrina e giurisprudenza erano sino ad allora pervenute, che il problema possa risolversi sulla base degli articoli 10, primo comma, ed 11 della Costituzione. Poi, come si accennava, la Corte ha osservato che oramai il problema del rapporto tra le norme pattizie introdotte nell’ordinamento italiano Cfr. Corte cost. 10 gennaio 1993, n. 10, Giurisprudenza costituzionale, 1993, p. 52 s., con nota di LUPO, Il diritto dell’imputato straniero all’assistenza dell’interprete tra codice e convenzioni internazionali. Sulla scia di questa sentenza della Corte costituzionale afferma la diretta applicabilità nel processo amministrativo del principio della “ parità delle armi ” desumibile dall’art. 6 della Convenzione, nonché la sua insuscettibilità di abrogazione o modifica da parte della legge ordinaria, T.A.R. Lombardia, Sez. III, 11 aprile 1996, n. 463, Il Corriere giuridico,, 1996, 935 s., con nota di TAVORMINA. Per la Cassazione, sent. Sez. I penale 12 maggio/10 luglio 1993, Medrano, Cassazione penale 1994, p. 439 e s. Queste sentenze non hanno poi avuto gran seguito, e la situazione è rimasta assai confusa ed incerta – quanto al problema del primato delle norme della Convenzione – sino alle ricordate sentenze del 2007 della Corte costituzionale. 79

129


con legge ordinaria e le altre norme nazionali di pari rango va risolto in base all’art. 117 della Costituzione, il cui nuovo testo, nel fissare espressamente un limite alla potestà normativa dello Stato, diventa rilevante nell’attribuire un particolare valore alle norme della Convenzione, che in questo non vengono differenziate dalle altre norme pattizie. 72.

Come è noto, l’art. 117 della Costituzione nel nuovo testo stabilisce che

l’attività normativa dello Stato e delle regioni si svolge nel rispetto degli obblighi comunitari ed internazionali. La Corte ha escluso, innanzitutto, che la norma possa interpretarsi restrittivamente come riferita esclusivamente ai rapporti tra Stato e regioni, lettura che ne avrebbe escluso ogni effetto sui rapporti tra norme interne e norme internazionali. Inoltre, la Corte ha ritenuto che la soluzione per il diritto pattizio non comunitario non possa essere la medesima di quella che invece, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 1984, viene seguita, per l’appunto, per il diritto comunitario – questo sì “coperto”, secondo la Corte, dall’art. 111 della Costituzione – vale a dire la disapplicazione del diritto nazionale confliggente da parte del giudice comune. 73.

Per la Convenzione, come in genere per il diritto pattizio, la Corte osserva

che essa, in forza del limite che l’art. 117 pone alla legislazione nazionale, di livello statale e regionale, viene a collocarsi in una posizione intermedia tra la Costituzione e la legislazione ordinaria. Ciò vuol dire da una parte che la norma pattizia deve cedere di fronte alle norme costituzionali con le quali si trovi eventualmente in contrasto e, d’altra parte, che essa, se non confliggente con la Costituzione, deve essere usata quale parametro di riferimento per valutare se la norma interna, trovandosi in contrasto con essa, violi quindi l’art. 117 della Costituzione. Il giudice comune non può, secondo la Corte costituzionale, provvedere in questo caso a far prevalere direttamente la norma internazionale, disapplicando quella interna configgente, ma deve sollecitare l’intervento della Corte costituzionale, che provvederà, ove giunga alla stessa conclusione, ad espungere la stessa dall’ordinamento. 74.

Un’altra affermazione contenuta in queste sentenze riveste una particolare

importanza. Pur escludendo che le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo 130


siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi nazionali, la Corte costituzionale assegna un ruolo fondamentale alla giurisprudenza della Corte europea, affermando che al fine di determinare il parametro di riferimento alla cui stregua occorre valutare la normativa interna, occorre avere riguardo non solo al testo della norma, ma anche alla lettura che della norma europea è data dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. 75.

La Corte costituzionale non ha quindi accolto la tesi di chi, ugualmente

assegnando all’art. 117, nuovo testo, della Costituzione, il valore “internazionalistico” che a esso è attribuito dalle sentenze n. 348 e 349, ritiene che l’intervento della Corte costituzionale debba essere riservato ai casi di sua violazione “flagrante”, vale a dire quando la norma posteriore esprima, anche implicitamente, la volontà di contravvenire a quella internazionale, mentre nei casi “ordinari” dovrebbe essere il giudice comune a far prevalere la norma internazionale, disapplicando quella interna configgente. 80 Ritengo sommessamente tuttavia che la questione non sia chiusa e resti nelle mani del giudice comune, e quindi in ultima analisi della Corte di cassazione (oltre che, beninteso, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti), che su questo punto non può dirsi vincolato dalla presa di posizione della Corte costituzionale.81 76.

Chiuderei con la citazione di due sentenze recenti, una della Corte

costituzionale ed una della Corte di cassazione. 77.

In una delle sentenze che hanno fatto seguito alla No. 348 ed alla No. 349 del

2007, la sentenza No. 93 del 12 marzo 2010, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) e dell’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia),

Cfr. CONFORTI, Diritto internazionale (VII ed.), Napoli, 2006, p. 293. Cassazione, sez.. unite civili, 23 dicembre 2005, n. 28507, e la sentenza della Cassazione penale nel caso Dorigo, già citata (Sez. I penale, 25 gennaio 2007, Dorigo, in Rivista di diritto internazionale, 2007, p. 601 e ss.). 81 Sulle sentenze n. 348 e 349 cfr. ZANGHI’, La Corte costituzionale risolve un primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzione: le sentenze n. 348 e 349 del 2007, http://www.giurcost.org/studi/zanghi.htm. 80

131


nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica. Per giungere a questo risultato, il giudice delle leggi ha seguito in tutto e per tutto l’impostazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che interpellata specificamente sulla compatibilità con l’articolo 6 della Convenzione della procedura rigidamente non pubblica seguita in Italia per l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali, aveva risposto negativamente esprimendosi in materia uniforme – tanto da potersi parlare, ha osservato la Corte costituzionale, di indirizzo consolidato – oltre che nella sentenza 13 novembre 2007, nella causa Bocellari e Rizza contro Italia, e in quella 8 luglio 2008, nella causa Pierre ed altri contro Italia, che erano state diffusamente richiamate dal giudice rimettente, anche nella successiva sentenza 5 gennaio 2010, nella causa Bongiorno contro Italia. 78.

Con una sentenza recentissima depositata il 28 maggio 2010 - la settimana

scorsa - nel ricorso presentato da El Hissimi Helmy ed altri (No. 20514; Presidente Lattanzi, estensore Ippolito), poi, la Corte di cassazione, 6a sezione penale, ha accolto il ricorso presentato da alcuni cittadini tunisini, contro il decreto di espulsione dal territorio dello Stato italiano, emesso dalla Corte d'assise d'appello, per reati connessi al terrorismo internazionale. 79.

In particolare per uno di loro, il sig. Kneni Kamel, la misura espulsiva era

stata sospesa in seguito al ricorso presentato alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che, tenuto conto del rischio per il ricorrente di esposizione a trattamenti disumani o degradanti, vietati dall’articolo 3 della Convenzione, in caso di espulsione verso la Tunisia, aveva pronunciato una misura cautelare – in base all’articolo 39 del suo Regolamento – indicando all’Italia la necessità di soprassedere alla sua espulsione nelle more dell’esame del ricorso a Strasburgo. 80.

La Corte di cassazione, riconoscendo pieno effetto vincolante alla misura

decisa dalla Corte di Strasburgo nei confronti di tutte le autorità italiane, comprese quelle giurisdizionali, ha affermato l'obbligo per ogni organo giurisdizionale competente di 132


applicare un'appropriata misura di sicurezza diversa dall'espulsione, sino «alla sopravvenienza di fatti che facciano presagire la mutata condizione di allarme descritta dalla Corte europea». La Corte di cassazione è andata anche oltre le strette esigenze collegate al provvedimento provvisorio della Corte di Strasburgo, estendendo la decisione anche ad altri ricorrenti, che si trovavano nella stessa situazione e che non erano beneficiari di misure provvisorie adottate dalla Corte di Strasburgo ai sensi dell’articolo 39 del suo Regolamento. 81.

Mi pare dunque di poter concludere, su di un tono prudentemente positivo,

che le condizioni del dialogo tra la Corte di Strasburgo da una parte ed i giudici italiani dall’altra siano assicurate, oggi, ad un livello soddisfacente.

***

IV-CRITERI

DI

INTERPRETAZIONE

SEGUITI

DALLA

CORTE

DI

STRASBURGO 82.

In tema di criteri seguiti dalla Corte europea nell’interpretazione della

Convenzione europea dei diritti dell’uomo vengono in rilievo una serie di questioni, le più rilevanti, ed interessanti, delle quali riguardano: a. Le obbligazioni positive ed i diritti economici e sociali; b. La specificità della Convenzione; c. L’intenzione delle Parti contraenti e interpretazione oggettiva; d. La teoria dell’interpretazione autonoma; e. La verifica della “qualità della legge”; f. Il margine di apprezzamento. 83.

a. Le obbligazioni positive ed i diritti economici e sociali. La giurisprudenza della

Corte, pur prendendo atto che la Convenzione tende a proteggere soprattutto diritti di carattere civile e politico, quelli comunemente designati come “di prima generazione”, diritti ai quali fa normalmente riscontro un dovere di astensione da parte del pubblico potere, mentre ai diritti economici e sociali, o “di seconda generazione”, si fa comunemente corrispondere un dovere di agire da parte dell’autorità, ha affermato con chiarezza da una parte che l’esecuzione di un impegno previsto dalla Convenzione 133


richiede talvolta delle misure positive da parte dello Stato e, d’altro canto, che non esiste una separazione netta tra le due categorie di diritti. Come si è detto, la Corte, respingendo la tesi di un governo, quello irlandese, che, a proposito del diritto di accesso alla giustizia di cui all’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, argomentava dalla netta separazione delle due categorie di diritti, comprovata dalla esistenza della Carta sociale europea, l’inesistenza di un proprio obbligo di provvedere a chi ne fosse sprovvisto i mezzi materiali – attraverso idonee forme di patrocinio per i non abbienti – per adire il giudice, ha affermato in particolare che tra le due categorie di diritti non esiste un compartimento stagno (cloison étanche), giacché, se è vero che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo protegge essenzialmente diritti di carattere civile e politico, alcuni di essi hanno necessariamente, perché siano concretamente assicurati, delle “propaggini” di ordine economico o sociale (Corte, Airey c. Irlanda, 9 ottobre 1979, § 26). 84.

b. La specificità della Convenzione. In diverse occasioni la Corte si è riferita alla

specificità della Convenzione, che è uno strumento internazionale particolare, da leggere in funzione del suo carattere peculiare di trattato che provvede alla garanzia collettiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ad es. Corte, Cruz Varas et al. C. Svezia 20 marzo 1991, Serie A n. 204, § 94). In questa prospettiva sono da leggere le importanti affermazioni della Commissione e della Corte europee dei diritti dell’uomo secondo le quali la Convenzione si distacca nettamente dalla logica delle obbligazioni sinallagmatiche che è tipica del diritto internazionale classico, perché gli obblighi sottoscritti dagli Stati contraenti hanno essenzialmente un carattere obiettivo, in quanto essi hanno lo scopo di proteggere i diritti fondamentali degli individui contro gli sconfinamenti degli Stati contraenti piuttosto che quello di creare dei diritti soggettivi e reciproci tra questi ultimi. Corollario di questo principio è l’affermazione secondo la quale interpretare in maniera restrittiva i diritti e le libertà individuali garantiti dalla Convenzione sarebbe contrario all’oggetto ed allo scopo di questo trattato (Commissione, Asiatici d’Africa orientale c. Regno Unito, Rapporto, 192, DR 78-B, 56). In effetti l’idea dell’interpretazione restrittiva dei trattati appartiene ad un’altra epoca, allorché era diffusa la convinzione che le concessioni 134


fatte da uno Stato con una convenzione internazionale si dovessero considerare eccezionali. Oggi la tesi dell’interpretazione restrittiva non è più seguita anche al di fuori del campo dei diritti dell’uomo. 85.

c. Intenzione delle Parti contraenti e interpretazione oggettiva. Quanto alla scelta

tra i criteri c.d. soggettivo ed oggettivo di interpretazione, vale a dire sul problema se, nell’interpretare un trattato internazionale, si debba privilegiare la ricerca dell’effettiva intenzione dei suoi autori (criterio soggettivo) ovvero il significato che si desume oggettivamente dal testo (criterio oggettivo), la giurisprudenza degli organi della Convenzione – come si è avuto modo di accennare – si è fin dal principio orientata nel senso del criterio oggettivo di interpretazione, in modo del tutto corrispondente alle prescrizioni della Convenzione di Vienna del 23 maggio 1969 sul diritto dei trattati, che su questo punto è a sua volta del tutto conforme al diritto internazionale consuetudinario. Ad esempio, nel caso Loizidou c. Turchia, sentenza 23 marzo 1995 (eccezione preliminare), Serie A, n. 310, § 71, la Grande Camera della Corte ha statuito che l’idea secondo la quale la Convenzione è uno strumento vivente che deve essere interpretato alla luce delle condizioni di vita attuali è solidamente ancorata nella giurisprudenza della Corte. Un tale approccio, continua la Corte, non si limita alle disposizioni sostanziali della Convenzione, ma vale anche per quelle, come gli articoli 25 e 46 (oggi 34), che regolano il meccanismo della sua messa in opera. Ne segue che queste disposizioni non potrebbero essere interpretate unicamente in conformità con le intenzioni dei loro autori quali furono espresse più di quarant’anni or sono. Questa scelta ha tra l’altro consentito agli organi della Convenzione di interpretare la Convenzione in modo evolutivo. Sono numerosissime le occasioni nelle quali la Corte ha affermato che la Convenzione è uno strumento “vivo” che deve essere interpretato alla luce delle condizioni di vita attuali (ad es., Corte, Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, Serie A, n. 161, § 102). 86.

d. La teoria dell’interpretazione autonoma.Talvolta la Convenzione fa rinvio al

diritto interno. Questo accade, ad esempio, allorché l’articolo 5, paragrafo 1, della Convenzione stabilisce che “... Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi 135


seguenti e nei modi previsti dalla legge [corsivo aggiunto]: ...”. È chiaro che in questo caso la Convenzione si riferisce all’ordinamento interno degli Stati contraenti. Normalmente, però, quando una tale volontà non è desumibile dal testo, sarebbe errato interpretare le espressioni tecnico-giuridiche contenute nella Convenzione alla stregua del diritto interno dello Stato di volta in volta interessato. Esse vanno, per l’appunto, interpretate in maniera autonoma. La giurisprudenza degli organi della Convenzione ha chiarito che ritenere diversamente equivarrebbe a lasciare i legislatori nazionali arbitri della misura delle obbligazioni assunte dai rispettivi Stati nel quadro della Convenzione, il che sarebbe contrario all’oggetto ed allo scopo di quest’ultima. Ad esempio, a proposito dell’espressione “accusa in materia penale” contenuta nell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, si è osservato che questa nozione riveste un carattere “autonomo”; essa deve intendersi “ai sensi della Convenzione”, tanto più che nel suo testo inglese l’articolo 6, paragrafo 1, come del resto l’articolo 5, paragrafo 2, si serve di una parola, “charge”, di portata molto ampia, Corte, Deweer c. Belgio, 27 febbraio 1980, Serie A, n. 35, § 42. Sempre in materia penale, la Corte ha precisato che la Convenzione permette agli Stati, nello svolgimento del loro ruolo di tutori dell’interesse pubblico, di mantenere o stabilire una distinzione tra diritto penale e diritto disciplinare oltre che di fissare il confine tra i due settori, ma solo a certe condizioni. La Convenzione li lascia liberi di elevare ad infrazione penale un’azione od omissione che non costituisca l’esercizio normale di uno dei diritti da essa protetti, come emerge in particolare dal suo articolo 7. Una tale scelta, che ha come effetto l’applicabilità degli articoli 6 e 7 (diritto ad un equo processo e principi di legalità in materia penale e di irretroattività delle norme incriminatrici), sfugge, in linea di principio, al controllo della Corte. La scelta inversa, però, obbedisce a regole più stringenti. Se gli Stati contraenti potessero a loro guisa qualificare un’infrazione come amministrativa piuttosto che penale, ovvero perseguire l’autore di un’infrazione “mista” sul piano amministrativo anziché penale, l’applicabilità delle clausole fondamentali degli articoli 6 e 7 sarebbe subordinata alla loro volontà sovrana. Una discrezionalità così vasta rischierebbe di condurre a risultati incompatibili con l’oggetto e lo scopo della Convenzione. La Corte 136


ha dunque competenza per assicurarsi sul terreno dell’articolo 6 che il regime di diritto amministrativo non sconfini indebitamente su quello di diritto penale (Corte, Engel et al. c.Paesi Bassi, 8 giugno 1976, Serie A, n. 22, § 81). La Corte, quindi, per restare nell’esempio scelto, si riserva di stabilire, indipendentemente dalle qualificazioni del diritto nazionale, cosa debba essere considerato “accusa in materia penale” alla stregua della Convenzione, e quindi quali fattispecie debbano ricevere la protezione apportata dallo strumento. La qualificazione apprestata dal diritto interno non è senza significato agli occhi della Corte, ma costituisce solo uno degli elementi da prendere in considerazione. Più recentemente, la Corte, nel ribadire l’autonomia della nozione di “accusa in materia penale”, ha statuito che occorre tener conto di tre criteri per decidere se una persona è accusata di aver commesso un’infrazione penale ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione: in primo luogo la qualificazione dell’infrazione alla stregua del diritto nazionale, indi la natura dell’infrazione e, infine, la natura ed il grado di gravità della sanzione che l’interessato rischia di subire (Corte, A.P., M.P. e T.P. c. Svizzera, 29 agosto 1997, Raccolta, 1997, 1477, § 39). 87.

Collegato al punto precedente è il tema della verifica da parte della Corte

della e. “qualità” della legge. Da quanto si è detto emerge che allorché la Convenzione fa rinvio al diritto interno, gli Stati contraenti dispongono di una certa discrezionalità per precisare, e talvolta limitare, i diritti e le libertà protetti dalla Convenzione. La legge, quindi, è il mezzo attraverso il quale gli Stati contraenti esercitano facoltà previste dalla Convenzione. In questi casi, la giurisprudenza, che deve verificare se una legge nazionale sia legittimamente intervenuta alla stregua della Convenzione, non si accontenta di accertare che esista nella fattispecie interessata una legge in senso formale. 88.

Da una parte la giurisprudenza non accoglie una nozione formale di legge,

nel senso di una disposizione approvata dal Parlamento nazionale nei modi previsti dalla Costituzione,

ma

considera

tale

alla

stregua

della

Convenzione

qualunque

regolamentazione, anche di origine consuetudinaria, avente forza obbligatoria sul territorio. Sul punto, la Corte ha osservato che il concetto di “legge” interna pertinente 137


comprende sia il diritto scritto sia il diritto non scritto (Corte, Sunday Times n. 1 c. Regno Unito, 26 aprile 1979, Serie A n. 30, § 47). 89.

Per converso, la Corte si preoccupa che la legge possegga determinate

qualità, essenzialmente l’accessibilità e la precisione. 90.

Si è chiarito, principalmente sotto il primo profilo, che l’espressione “previsto

dalla legge” nella Convenzione esige in primo luogo che la misura all’esame della Corte abbia una base in diritto interno, ma essa richiede altresì l’accessibilità di quest’ultima alla persona interessata (Corte, Kruslin c.Francia, 24 aprile 1990, Serie A, n. 171-B, § 27). 91.

Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza afferma che la legge interna

pertinente deve essere formulata in maniera sufficientemente precisa per permettere alle persone interessate – alla bisogna con l’aiuto di consigli appropriati – di prevedere, in una misura ragionevole nelle circostanze di causa, le conseguenze che possono risultare da un atto determinato. Una legge che conferisce un potere discrezionale non è di per sé contraria a questa esigenza, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un tale potere siano definite con una nettezza sufficiente, tenuto conto dello scopo legittimo in giuoco, per fornire all’individuo una protezione adeguata contro l’arbitrio (Corte, Wingrove c. Regno Unito, 25 novembre 1996, Raccolta, 1996, 1937, § 40). 92.

Quando la Convenzione rinvia al diritto nazionale, la giurisprudenza

ammette che il compito di interpretare ed applicare il diritto interno spetta in primo luogo alle giurisdizioni nazionali. La Corte ha affermato che essa deve lasciarsi guidare dalle dichiarazioni delle autorità nazionali, soprattutto se esse emanano dai magistrati della più alta giurisdizione del Paese (Corte, Pine Valley Developments Ltd et al. c. Irlanda, 9 febbraio 1991, Serie A n. 222, § 52) ma, al tempo stesso, dato che l’inosservanza del diritto interno comporta la violazione della Convenzione, essa ritiene di potere e dovere verificare se il diritto interno è stato effettivamente rispettato (Corte, Benham c. Regno Unito, 10 giugno 1996, Raccolta, 1996, 738 , § 41). 93.

f. La teoria del margine di apprezzamento. Questa nozione, che individua una tra

le più importanti tecniche interpretative elaborate dalla giurisprudenza degli organi di 138


Strasburgo, ricorre principalmente allorché si discorre dei diritti previsti dagli articoli da 8 ad 11 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare; libertà di pensiero, di coscienza e di religione; libertà di espressione; libertà di riunione e di associazione), cioè di quelle disposizioni che testualmente prevedono la possibilità per gli Stati contraenti di limitare in vario modo – purché vi sia una base legale, nel senso che abbiamo visto – i diritti protetti, in funzione della tutela di esigenze indicate nella stessa Convenzione, nella misura in cui sia necessario in una società democratica. 94.

Nello stabilire se una determinata misura, che costituisce un’“ingerenza” in

uno dei diritti protetti sia o meno necessaria in una società democratica, cioè se essa sia proporzionata allo finalità che si prefigge, la Corte si riferisce, per l’appunto, al margine di apprezzamento, cioè alla discrezionalità di cui dispongono gli Stati sia a livello legislativo sia a livello di concreto intervento in ragione della loro prossimità alla situazione pertinente. Questa discrezionalità, però, si accompagna ad un “controllo europeo” che si riferisce sia alla legge sia alle decisioni con le quali essa viene applicata (Corte, Casado Coca c. Spagna, 24 febbraio 1994, Serie A, n. 285-A, § 50), anche quando tali decisioni emanino da una giurisdizione indipendente. 95.

Il concetto di “margine di apprezzamento” viene utilizzato, anche al di fuori

del contesto degli articoli da 8 ad 11 della Convenzione, in tutti i casi nei quali agli Stati contraenti è consentito precisare o limitare i diritti protetti. Ad esempio, si ritiene che il diritto di accesso alla giustizia per la tutela dei propri diritti, che la giurisprudenza considera contenuto nell’articolo 6 della Convenzione (diritto ad un equo processo) sia non assoluto e soggetto a limitazioni. La Corte ha precisato che, in quanto elemento del diritto ad un processo equo, il “diritto ad un tribunale”, cioè il diritto di accesso alla giustizia, non è assoluto. Dato che esso richiede per la sua stessa natura una regolamentazione da parte dello Stato, esso può dare luogo a limitazioni. Gli Stati contraenti godono in materia di una certa discrezionalità (marge d’appréciation). Tuttavia spetta alla Corte di stabilire in ultima analisi sul rispetto delle esigenze della Convenzione; essa deve convincersi che le limitazioni applicate non restringano l’accesso aperto 139


all’individuo ad un punto tale che il diritto in parola si trovi compromesso nella sua stessa sostanza. Inoltre, tali limitazioni si conciliano con l’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione solamente se esse tendono ad uno scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalitĂ tra i mezzi impiegati e lo scopo che ci si propone (Corte, Stubbings et al. c. Regno Unito, 22 ottobre 1996, Raccolta, 1996, 1487, § 50).

140


Alessandro Palmieri Il dialogo tra giudici nazionali e corti sovranazionali: lo stato dell’arte in Europa e le prospettive nell’ottica del Programma di Stoccolma

I. - Non pare azzardato affermare che l’attuazione del “Programma di Stoccolma” 82, lanciato all’indomani dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona che ha rimodellato l’assetto istituzionale e il funzionamento dell’Unione Europea, rappresenti una sfida decisiva per il futuro dell’Europa, al pari (e, nel lungo periodo, verosimilmente ancor di più) del superamento della grave crisi finanziaria divampata, per il contagio con agenti patogeni provenienti dalla sponda occidentale dell’Atlantico, a cavallo dei primi due decenni del ventunesimo secolo. Le aspettative suscitate dal documento programmatico possono tradursi in alcuni interrogativi che le riassumono. Che sorte avranno le c.d. priorità (assimilabili a vere e proprie “parole d’ordine”), a suo tempo individuate dalla Commissione europea, allorquando avviava le iniziative volte a proseguire il cammino verso una meta indubbiamente ambiziosa, identificabile attraverso la formula “open and secure Europe serving and protecting citizens”? Ci si approssimerà, e di quanto, alla realizzazione di un’Europa dei diritti, di un’Europa della giustizia, di un’Europa della sicurezza, di un’Europa della solidarietà? In definitiva, questi concetti rimarranno soltanto affascinanti proposizioni declamatorie o avranno un impatto tangibile sulla vita quotidiana dei cittadini europei. Orbene, la risposta ai quesiti testé formulati dipenderà da molteplici fattori, tra i quali un ruolo di spicco è senza dubbio riservato all’attività dei giudici insediati in tutto il territorio dell’Unione Europea. Sembra altresì inevitabile che il raggiungimento dei

Per “Programma di Stoccolma” si intende il “Programma pluriennale per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014”, adottato dal Consiglio europeo nella riunione tenutasi a Bruxelles nei giorni 10 e 11 dicembre 2009; il documento è pubblicato in G.U.U.E. C 115 del 4 maggio 2010. In data 28 aprile 2010 la Commissione ha adottato un Piano d’azione per l’attuazione del programma di Stoccolma [COM(2010) 171 def.)], che definisce la tabella di marcia per l’attuazione delle priorità politiche ivi tracciate. 82

141


traguardi prefissati richiederà l’intensificarsi dei contatti e dei flussi di modelli giuridici tra corti e tribunali; e ciò sia tra gli esponenti degli uffici giudiziari inseriti nelle piramidi giudiziarie di ciascuno degli Stati europei, sia tra questi ultimi e le corti sovranazionali 83. In altri termini, l’Europa dei diritti, della giustizia, della sicurezza e della solidarietà dovrà essere giocoforza anche l’Europa delle corti.

II. - Discorrendo di dialogo tra giudici oltre le barriere nazionali, mette conto di ricordare come i sistemi giurisdizionali di matrice statale, nemmeno quando tendono ad arroccarsi nella cittadella dell’autoreferenzialità, non possano essere intesi come monadi. L’influsso esterno (segnatamente del judge made law d’oltreconfine), quando pure mediato o attutito da una serie di filtri, in qualche modo tende a farsi sentire. Né mancano esempi di confronto esplicito e costruttivo tra le diverse giurisdizioni 84. Esempi che si rivengono anche guardando al passato, persino in periodi storici considerati bui, quando alle corti erano addebitati i guasti del sistema giudiziario e, più in generale, del sistema giuridico all’epoca vigente. A tale proposito, autorevoli studiosi, ripensando all’esperienza delle corti operanti nelle varie realtà ‘municipali’ dell’Europa del diciottesimo secolo, hanno sottolineato che “i giudici dei grandi tribunali sapevano mantenere aperti i canali di comunicazione con le altre corti, conservando quel sentimento di unità del diritto europeo, fondato su una tradizione comune”85.

La tematica del dialogo tra le corti è stata recentemente oggetto di riflessione da parte della Suprema Corte e suscita un crescente interesse in ambito dottrinario. L’attenzione degli operatori del diritto è testimoniata, tra l’altro, dalla Relazione tematica predisposta dall’Ufficio del massimario del ruolo della Cassazione in data 1° giugno 2010, n. 76 (red. Vincenti), dal titolo Il dialogo tra giudici nazionali e sopranazionali. La prospettiva della Corte Suprema di Cassazione; nonché dai saggi pubblicati in Riv. dir. privato, 2010, fasc. 2 [si vedano, in particolare, i contributi di V. CARBONE, Corte di cassazione italiana e corti europee (p. 31); W. GRUNSKY, Il ruolo della giurisdizione europea per lo sviluppo del diritto tedesco, (p. 51); G. TUCCI, Nuovo pluralismo delle fonti, ruolo delle corti e diritto privato (p. 101); E. SCODITTI, Il dialogo fra le corti e i diritti fondamentali di fonte sopranazionale: il punto di vista del giudice comune (p. 123)]. 84 Il fenomeno è osservabile anche guardando ai rapporti tra i giudici cui in ciascun ordinamento è affidato il controllo di costituzionalità sugli atti normativi: cfr. A. SPERTI, Il dialogo tra le corti costituzionali ed il ricorso alla comparazione giuridica nella esperienza più recente, in Riv. dir. cost., 2006, 125. 85 La citazione è tratta da A. GAMBARO-R. SACCO, Sistemi giuridici comparati, 3a ed., Torino, 2008, 205. 83

142


Venendo ai nostri giorni, pur nella non approfondita conoscenza reciproca, non mancano ipotesi in cui i giudici nazionali danno un’occhiata ai (e prendono spunto dai) dicta dei loro ‘colleghi’ situati al di là della frontiera86. Ciò avviene per lo più quando il giudicante a chiamato a misurarsi con problematiche inedite nella propria giurisdizione e/o particolarmente delicate, su cui è invece maturata una qualche esperienza altrove. Si pensi, con riferimento all’Italia, ad una sentenza resa qualche anno addietro dalla prima sezione civile della Suprema Corte in una controversia che ha destato particolare clamore87. Orbene, a prescindere in questa sede da ogni valutazione sul merito della vicenda che ha conosciuto ulteriori strascichi in varie sedi giudiziarie 88, nella motivazione

Per una voce critica, nel senso che il dialogo tra le corti statali non è sufficientemente sviluppato, v. G. DE VERGOTTINI, Oltre il dialogo tra le Corti. Giudici, diritto straniero, comparazione, Bologna, 2010. 87 Si allude alla pronuncia resa nel notissimo caso E.E. in data 16 ottobre 2007, n. 21748, in Foro it., 2007, I, 3025, con osservaz. di G. CASABURI, Interruzione dei trattamenti medici: nuovi interventi della giurisprudenza di legittimità e di merito; annotata da D. MALTESE, Convincimenti già manifestati in passato dall’incapace in stato vegetativo irreversibile e poteri degli organi preposti alla sua assistenza, id., 2008, I, 125; S. CACACE, Sul diritto all’interruzione del trattamento sanitario life-sustaining, ibid., 2610; E. CALÒ, La cassazione «vara» il testamento biologico, in Corriere giur., 2007, 1686; F. GAZZONI, Sancho Panza in Cassazione (come si riscrive la norma sull’eutanasia, in spregio al principio della divisione dei poteri), in Dir. famiglia, 2008, 107; A. GALIZIA DANOVI, L’interruzione della vita tra volontà e diritto, ibid., 131; G. GALUPPI, Brevi osservazioni sulla sentenza n. 21748/2007 della Corte di Cassazione, ibid., 138; P. VIRGADAMO, L’eutanasia e la Suprema Corte: dall’omicidio del consenziente al dovere di uccidere, ibid., 594; A. VENCHIARUTTI, Stati vegetativi permanenti: scelte di cure e incapacità, in Nuova giur. civ., 2008, I, 100; E. PALMERINI, Cura degli incapaci e tutela dell’identità nelle decisioni mediche, in Riv. dir. civ., 2008, II, 363; D. SIMEOLI, Il rifiuto di cure: la volontà presunta o ipotetica del soggetto incapace, in Giust. civ., 2008, I, 1727; A. GORGONI, La rilevanza giuridica della volontà sulla fine della vita non formalizzata nel testamento biologico, in Famiglia, persone e successioni, 2008, 508; G. GENNARI, La Suprema Corte scopre il substituted judgement, in Resp. civ., 2008, 1119; R. CAMPIONE, Stato vegetativo permanente e diritto all’identità personale in un’importante pronuncia della suprema corte, in Famiglia e dir., 2008, 136; F. BONACCORSI, Rifiuto delle cure mediche e incapacità del paziente: la cassazione e il caso «Englaro», in Danno e resp., 2008, 432; G. GUERRA, Rifiuto dell’alimentazione artificiale e volontà del paziente in stato vegetativo permanente, ibid., 438; I.J. PATRONE, Ancora su «buona morte» e intervento giudiziario - La giurisprudenza riapre il dibattito sul diritto di vivere e di morire, in Questione giustizia, 2007, 1139; M.C. BARBIERI, Stato vegetativo permanente: una sindrome «in cerca di un nome» e un caso giudiziario in cerca di una decisione - I profili penalistici della sentenza Cass. 4 ottobre 2007 sez. I, civile sul caso di Eluana Englaro, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2008, 389; C. GHIONNI, Il «consenso dell’incapace» alla cessazione del trattamento medico, in Dir. e giur., 2007, 573; C. SARTEA e G. LAMONACA, Lo stato vegetativo tra norme costituzionali e deontologia: la cassazione indica soggetti e oggetti, in Riv. it. medicina legale, 2008, 583; G. IADECOLA, La cassazione civile si pronuncia sul caso «Englaro»: la (problematica) via giudiziaria al testamento biologico, ibid., 607; L. TRIA., Problematiche di fine vita alla luce dei principi costituzionali e sopranazionali: con particolare riferimento ai casi «Welby», «Englaro» e «Santoro», in Dir. uomo, 2008, fasc. 2, 7; A. DI VITO, L’interruzione di trattamento medico vitale, in Toga picena, 2007, fasc. 2, 22; M.G. PAPASIDERO, La lotta all’accanimento terapeutico continua..., in Riv. giur. scuola, 2007, 639). 88 Per gli sviluppi successivi alla sentenza 21748/07 sul versante giudizario, v. App. Milano 9 luglio 2008, in Foro it., 2009, I, 37 (che ha autorizzato il tutore di una persona interdetta, giacente da circa sedici anni 86

143


della cennata pronuncia si citano e si discutono, oltre a casi desunti dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, anche casi vagliati da corti di vertice degli Stati Uniti (sia sul versante federale che su quello dei singoli Stati che compongono la federazione), della Germania e del Regno Unito. E non si tratta di un mero sfoggio di cultura giuridica comparatistica, se si riflette sul fatto che lo stesso verdetto della Cassazione89 è in un certo senso ispirato ai trends che si registrano nei sistemi presi in esame. Un tentativo di impostare un dialogo di tal fatta tra le corti nazionali, che potremmo etichettare come “dialogo orizzontale” (per distinguerlo da quello “verticale” di cui si parlerà più avanti), emerge di quando in quando dalle decisioni di altri giudici di primo piano in vari paesi europei. Merita di essere ricordato, a tale proposito, l’atteggiamento tenuto nel 2002 dalla House of Lords nel caso Fairchild, allorché si trovò a in stato vegetativo persistente, a disporre l’interruzione del trattamento vitale, realizzato mediante alimentazione e idratazione con sondino nasogastrico, ferma la somministrazione di sedativi, tanto corrispondendo alla volontà ipotetica della paziente, desunta, almeno in via presuntiva, da sue precedenti affermazioni, nonché dalla sua personalità e dal suo stile di vita, alla stregua della concorde prospettazione di tutore e curatore speciale e delle dichiarazioni dei testimoni); Cass., sez. un., 13 novembre 2008, n. 27145, ibid., 35 (con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso in Cassazione proposto dal pubblico ministero avverso il predetto provvedimento di merito); Corte cost. ordinanza, 8 ottobre 2008, n. 334, ibid. (che ha dichiarato inammissibili, per carenza del requisito oggettivo, i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dalla Camera e dal Senato nei confronti della sentenza della Cassazione 16 ottobre 2007, n. 21748, e del decreto della Corte d’appello di Milano 9 luglio 2008, i quali, venendo a stabilire termini e condizioni affinché possa cessare il trattamento di alimentazione ed idratazione artificiale cui è sottoposta una paziente in stato vegetativo permanente, avrebbero utilizzato la funzione giurisdizionale per modificare in realtà il sistema legislativo vigente, così invadendo l’area riservata al legislatore); Tar Lombardia, sez. III, 26 gennaio 2009, n. 214, ibid., III, 238 (che ha ritenuto illegittimo il provvedimento con cui la regione aveva escluso che il personale del servizio pubblico sanitario regionale potesse procedere, all’interno di una delle sue strutture, alla sospensione dell’idratazione ed alimentazione artificiale di cui fruiva un ammalato in stato vegetativo permanente, che intendeva rifiutare tale trattamento, tramite una manifestazione di volontà del tutore, all’uopo autorizzato dal giudice tutelare con pronuncia inoppugnabile). Nella vicenda è intervenuta anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, con decisione 22 dicembre 2008, ibid., IV, 109, ha dichiarato irricevibili i ricorsi con cui alcune persone fisiche e associazioni, senza rivestire la qualità di vittime potenziali dell’asserita infrazione, sostenevano che l’esecuzione della citata decisione della Corte d’appello ambrosiana avrebbe comportato la violazione di diverse disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. 89 Il Supremo Collegio ha statuito che, il giudice può autorizzare il tutore -in contraddittorio con il curatore speciale- di una persona interdetta, giacente in persistente stato vegetativo, ad interrompere i trattamenti sanitari che la tengono artificialmente in vita, ivi compresa l’idratazione e l’alimentazione artificiale a mezzo di sondino, sempre che: a) la condizione di stato vegetativo sia accertata come irreversibile, secondo riconosciuti parametri scientifici; b) l’istanza sia espressiva della volontà del paziente, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dai suoi convincimenti.

144


dover affrontare la questione della responsabilità per i danni riportati, a seguito dell’inalazione dei polveri di amianto, da un lavoratore il quale era stato in tempi diversi alle dipendenze di tre datori di lavoro, tutti indiscutibilmente rei di avere esposto a tale pericolo i propri dipendenti, senza che peraltro si potesse acclarare con sufficiente precisione a quale periodo risalisse il contagio90. A fronte di questo problema così spinoso, i Law Lords ritengono utile volgere la propria attenzione alle risposte fornite in altre giurisdizioni91, non limitando l’indagine ai sistemi di Common Law.92 Per la verità, il fenomeno del dialogo si estende ben oltre lo scambio (o il prelievo unidirezionale) di dati rilevanti tra giudici non appartenenti al medesimo ordinamento, comprendendo anche la ricezione da parte delle corti di soluzioni, più o meno elaborate, che hanno la loro scaturigine nel contesto di ulteriori formanti rintracciabili in un diverso sistema giuridico. A mo’ di esemplificazione, si pensi alle argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale italiana in una delle occasioni in cui le è stato chiesto di vagliare la questione di legittimità costituzionale della disposizione, allora inserita nel codice civile ( quindi trasfusa nel codice del consumo) che detta la definizione di “consumatore” 93. Nel

Il caso Fairchild v Glenhaven Funeral Services Ltd [2002] UKHL 22, è reputato uno dei leading cases nella Tort Law inglese, in punto di causation. 91 Al punto 23 della decisione, Lord Bingham of Cornhill osserva quanto segue: “The problem of attributing legal responsibility where a victim has suffered a legal wrong but cannot show which of several possible candidates (all in breach of duty) is the culprit who has caused him harm is one that has vexed jurists in many parts of the world for many years. [..] It is indeed a universal problem calling for some consideration by the House, however superficially, of the response to it in other jurisdictions”. 92 Vengono richiamati, tra l’altro, orientamenti giurisprudenziali dei Paesi Bassi, della Francia, della Norvegia. 93 Cfr. Corte cost. 22 dicembre 2002, n. 469, Foro it., 2003, I, 332, con note di A. P ALMIERI, Consumatori, clausole abusive e imperativo di razionalità della legge: il diritto privato europeo conquista la corte costituzionale, e di A. PLAIA, Nozione di consumatore, dinamismo concorrenziale e integrazione comunitaria del parametro di costituzionalità; annotata altresì da R. CONTI, Le giurisdizioni superiori di nuovo a confronto sulla nozione di consumatore, in Corriere giur., 2003, 1007; G. CAPILLI, La nozione di consumatore alla luce dell’orientamento della Consulta, in Contratti, 2003, 653; C. PERFUMI, La nozione di consumatore tra ordinamento interno, normativa comunitaria ed esigenze del mercato, in Danno e resp., 2003, 701; A. SABATUCCI, Ambito di applicazione dell’art. 1469 bis cpv. c.c. e questioni di legittimità costituzionale, in Resp. civ., 2003, 668; P. VIOLANTE, L’interpretazione «conforme» della nozione di consumatore, in Rass. dir. civ., 2003, 970; P. BONOFIGLIO, L’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 1469 bis c.c., in Nuova giur. civ., 2003, I, 178; M. ESPOSITO, Brevi note sul regime giuridico delle leggi di attuazione di direttive comunitarie, in Giur. costit., 2002, 3931; A. PALMIERI-R.A. DE ROSAS, La difficile estensione alle imprese delle tutele previste per i consumatori, in Giudice di pace, 2003, 187; A. BARCA, La nozione di consumatore nel dialogo tra le corti, in Nuova giur. ligure, 2003, 16. 90

145


pervenire ad una pronuncia di rigetto, la Consulta, pone indubbiamente l’accento sul dato che “la predisposizione di strumenti di tutela comuni, attuati in base a modelli uniformi, consente una semplificazione dei rapporti giuridici tra i cittadini dei diversi paesi aderenti all’Unione Europea e costituisce di per sé sola un’idonea ragione di politica legislativa a sostegno della scelta di restringere la nozione di consumatore” in sede di attuazione della direttiva 93/13/Cee. Tuttavia, l’estensore non manca di evidenziare, in difesa della norma impugnata, come la definizione su cui si appuntavano le censure figura anche nel “progetto di codice civile europeo, in fase di elaborazione, nel quale è rigorosamente definito consumatore colui che agisce al di fuori dell’attività economica”. In questo caso, dunque, la comunicazione avviene tra giudici e i protagonisti (per lo più di estrazione accademica) di un’iniziativa che si propone di forgiare un testo che, per quanto dotato di autorevolezza, non è certo destinato a rivestire ipso facto carattere di ufficialità, né tanto meno ad essere dotato di forza cogente.

III. - Un’ulteriore tipologia di dialogo, sicuramente foriera già oggi di risultati tangibili e che promette sviluppi ancor più significativi è quella che si può definire “verticale”, il quale trova attuazione tra corti di livello nazionale e corti sovranazionali. Nello scenario europeo, tale fenomeno si registra essenzialmente su un duplice piano: uno è quello dei rapporti tra c.d. giudici comuni (vale a dire, gli organi giurisdizionali propri di ciascun Paese che aderisce ad un’entità di più ampio respiro) e giudici delle corti dell’Unione Europea; l’altro attiene ai rapporti tra gli stessi giudici comuni e quelli che siedono nella Corte Europea dei Diritti dell’Uomo94. Nel presente contributo, l’indagine si incentra sul primo dei profili appena evocati, dando uno sguardo ai canali di comunicazione tra corti nazionali e giudici di Lussemburgo. Del resto, la Corte di giustizia rappresenta un punto di osservazione privilegiato, in quanto ha assunto il ruolo di

Naturalmente è configurabile anche un confronto tra corti dell’Unione Europea e Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: cfr. L. TOMASI, Il dialogo tra Corti di Lussemburgo e di Strasburgo in materia di tutela dei diritti fondamentali dopo il trattato di Lisbona, in Dalla costituzione europea al trattato di Lisbona, a cura di M.C. BARUFFI, Padova, 2008, 149 ss. 94

146


“crocevia delle connessioni tra Corti nazionali, altre Corti europee ed organismi giurisdizionali globali”95. Per di più anche le Corti costituzionali non si sottraggono al dialogo con la Corte di giustizia, come comprova al recente esperienza maturata in Germania96. L’aggettivo “verticale”, impiegato in chiave descrittiva, non intende certo alludere ad un rapporto di totale subordinazione gerarchica tra i protagonisti del dialogo, quasi che gli uni pendessero dalle labbra degli altri, limitandosi a recepire e ad attuare ipotetici ordini. Vero è che in dottrina è stata suggerita per il giudice comune, visto nel momento in cui si confronta con la giurisprudenza delle corti dell’Unione Europea, la qualificazione di “giudice-soldato”, ossia di un giudice che “deve essenzialmente obbedire […] almeno sino a che non si crei un insormontabile problema di coscienza rispetto ai principi e ai valori di base dell’ordinamento nazionale”97. Sennonché, tale qualificazione, mentre riesce senz’altro a cogliere una delle dimensioni del rapporto e appare in tal modo funzionale all’obiettivo tracciare una linea di demarcazione rispetto a quello (di differente natura) intercorrente con la Corte di Strasburgo, non cattura una serie di importanti sfumature. Invero, si potrebbe sollevare un’obiezione di fondo da parte di quanti non sono disposti ad accettare nemmeno che venga abbozzata l’idea di un giudice mero esecutore di una regola coniata altrove, secondo meccanismi totalmente sottratti al suo controllo; figura che, del resto, appare antitetica al sistema di valori della western legal tradition. Ma anche a voler ridimensionare siffatta obiezione, recuperando un ruolo più consapevole del giudice

In tal senso, v. A. SANDULLI, La corte di giustizia europea e il dialogo competitivo tra le corti, in AA.VV., Il diritto amministrativo oltre i confini, Milano, 2008, 189 ss. 96 In prima battuta, v. R. CAPONI, Karlsruhe europeista. (appunti a prima lettura del Mangold-Beschluss della Corte costituzionale tedesca), disponibile sul sito www.astrid-online.it; ivi si sottolinea che “le corti costituzionali degli Stati membri cooperano non solo nel circuito delle corti costituzionali con la Corte di giustizia e la Corte europea dei diritti dell’uomo, bensì anche le une con le altre, per esempio attraverso l’interazione personale dei loro giudici, così come attraverso la reciproca recezione della loro giurisprudenza”. 97 Si rinvia al quadro delineato da L. MONTANARI, Giudici comuni e corti sovranazionali: rapporti tra sistemi, in La corte costituzionale e le corti d’Europa, a cura di P. FALZEA, A. SPADARO e L. VENTURA, Torino, 2003, 119 ss. 95

147


nazionale che verosimilmente nessuno intende negare, resta il fatto che l’immagine di “giudice-soldato” rischia di offuscare la complessità (e la bidirezionalità) del dialogo. Innanzitutto, il dialogo può assumere i toni di un confronto serrato, tutt’altro che improntato al recepimento acritico di comandi. Ciò emerge con più immediatezza in alcuni settori dove il giudice nazionale è, per così dire, sufficientemente rodato, o comunque sta costruendo gradualmente un proprio know-how. Guardando al panorama italiano, si pensi al diritto antitrust, dove peraltro il legislatore ha codificato la regola ermeneutica in virtù della quale l'interpretazione delle norme contenute nella legge nazionale, concernenti le figure centrali della disciplina antimonopolistica intese, abuso di posizione dominante e operazioni di concentrazione, va effettuata in base ai principi dell'ordinamento dell’Unione europea (nel testo originario del 1990 si fa riferimento alle Comunità Europee)98. Gli addetti ai lavori ben sanno che la latitudine di questi principi (e non di rado il loro steso significato) è comprensibile soltanto leggendo le sentenze dei giudici di Lussemburgo. Sennonché le enunciazioni della Corte di giustizia e del Tribunale dell’Unione Europea, lungi dal prestarsi ad un’applicazione automatica, possono condurre a risultati divergenti, creando anche una vivace dialettica all’interno della giurisdizionale nazionale che ad esse si ispira99. In ogni caso, il ruolo del giudice nazionale nella relazione con le corti del Kirchberg, è tutt’altro che passivo, anche in altri campi, vuoi dove consta una cospicua produzione legislativa di matrice europea100, vuoi dove quest’ultima rimane sullo sfondo e dunque la

Cfr. art. 1, 4° comma, l. 10 ottobre 1990, n. 287. Un esempio recente è offerto dalla vicenda, discussa dinanzi alla corte ambrosiana, riguardante condotte asseritamente abusive poste in essere sul mercato dei diritti di trasmissione televisiva di eventi sportivi; nel procedimento cautelare ivi instaurato, si è registrata una radicale divergenza di opinioni tra il giudice designato per la trattazione del ricorso e il collegio adito in fase di reclamo, quanto alla sussistenza del requisito del pregiudizio al commercio transfrontaliero: cfr. App. Milano, ord. 4 novembre 2009, Foro it., 2009, I, 3497, e ord. 4 febbraio 2010, id., 2010, I, 1298, entrambe annotate da R. PARDOLESI - A. GIANNACCARI. 100 Si pensi alla materia dei contratti dei consumatori, oggetto di svariate direttive, che pure hanno richiesto in non poche circostanze l’intervento chiarificatore della Corte di giustizia. 98 99

148


paternità del set di regole sovranazionali va scritta in via pressoché esclusiva alla Corte di giustizia101.

IV. - Non si deve dimenticare che, in più d’una circostanza, è la stessa Corte di giustizia a sollecitare un contributo attivo del giudice nazionale, per i vantaggi di cui indubbiamente quest’ultimo gode rispetto alla prima, non solo per via della vicinanza ai fatti controversi, ma anche in quanto appare il giudice meglio attrezzato per cogliere i nessi, alle volte imprescindibili, con il tessuto normativo nazionale nel quale sono innestate le regole forgiate dalle istituzioni europee102. In qualche caso, poi, il giudice nazionale, pur prendendo spunto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e formalmente basandosi sulla stessa, ne propone una lettura innovativa (ancorché non eterodossa), volta ad ampliare la sfera dei diritti del singolo, specie ove si tratti di un soggetto catalogato tra quelli bisognosi di ricevere una protezione rafforzata. Anche qui possiamo scorgere spunti di questo modus operandi in una pronuncia della Suprema Corte italiana103. La controversia prendeva le mosse da un’ipotesi emblematica, che incarna una delle tante prevaricazioni perpetrate in danno dello sprovveduto consumatore: un incaricato di una società che offriva un corso di lingua Si pensi ai problemi scaturenti dalla regolamentazione dell’attività di accettazione e raccolta delle scommesse. Nei pronunciamenti dei giudici nazionali è pressoché ineludibile un raccordo con la copiosa giurisprudenza europea in argomento. Per quanto riguarda l’Italia, la Suprema corte ha interpellato per l’ennesima volta i giudici di Lussemburgo con le ordinanza rese dalla terza sezione penale in data 10 novembre 2009, nn. 2993 e 2994, depositate entrambe il 25 gennaio 2010 (la prima è riportata in Foro it., 2010, II, 181). 102 Ciò si è verificato, ad esempio, nel caso Freiburger Kommunalbauten (cfr. Corte giust. 1° aprile 2004, causa C-237/02, in Foro it., 2005, IV, 336), dove la Corte ha demandato al giudice nazionale il compito determinare se una clausola che obbligava il consumatore a pagare il prezzo prima che il professionista avesse adempiuto alla propria obbligazione, risponde ai criteri necessari per essere qualificata abusiva, ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. 103 Cfr. Cass. 20 marzo 1996, n. 2369, in Foro it., 1996, I, 1665, con osservaz. di A. PALMIERI (il Supremo Collegio, muovendo dalla premessa che l’individuazione dei principî regolatori di una determinata materia contrattuale, cui si ispira il giudizio di equità del conciliatore, deve tener conto della specificità del modello contrattuale di volta in volta considerato, ebbe a confermare la sentenza con cui il conciliatore aveva dichiarato nullo un contratto di vendita mobiliare, intervenuto tra un operatore commerciale e un consumatore nel domicilio di quest’ultimo, prima dell’entrata in vigore della disciplina di attuazione della direttiva comunitaria sulle vendite porta a porta, in quanto non prevedeva, in favore del consumatore, il diritto di recesso). 101

149


straniera aveva visitato un consumatore presso la sua abitazione e ivi gli aveva fatto sottoscrivere un modulo che lo impegnava ad acquistare il relativo materiale didattico. Ebbene, la Cassazione ha approvato la decisione resa secondo equità dal giudice conciliatore competente a conoscere della lite, secondo la quale il contratto stipulato con l’operatore commerciale dove ritenersi nullo perché non era prevista la facoltà di recesso a favore del consumatore, nonostante all’epoca dei fatti di causa non fosse ancora entrato in vigore il decreto legislativo 15 gennaio 1992 n. 50, attuativo della direttiva 577/85/Ce sulla tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dai locali commerciali, dove per l’appunto erano prescritti il recesso e i relativi oneri informativi a carico del professionista. Conclusione, quest’ultima, che riusciva cerare una breccia nel fronte giurisprudenziale compatto nell’escludere l’efficacia diretta orizzontale delle direttive non attuate, facendo leva specialmente sulla natura peculiare del giudizio di equità del conciliatore (che era tenuto a osservare “i principî regolatori della materia”) e sul fatto che, una volta scaduto il termine per il suo recepimento, la direttiva era entrata a far parte del circuito giuridico nazionale. Inoltre, non va trascurato il fatto che il giudice sovranazionale trae esso stesso linfa vitale dell’attività ermeneutica dei giudici nazionali. In primo luogo, per l’ovvia considerazione che la Corte di giustizia viene innescata dalle richieste di pronunce pregiudiziali formulate proprio dai giudici nazionali. A tal proposito, per creare le condizioni minimali per il dispiegarsi di un dialogo fruttuoso, non sembra inopportuno – visti alcuni casi in cui la chiarezza del testo risulta inficiata da numerose sviste- richiamare l’attenzione sull’esigenza di predisporre con cura i provvedimenti di rinvio, che costituiscono il biglietto da vista della giurisdizione nazionale. In secondo luogo, è possibile constatare che la Corte di giustizia, frequentemente per il tramite degli Avvocati generali -che com’è noto rivestono un ruolo particolarmente importante nel procedimento e le cui conclusioni possono rivelarsi ricche di riferimenti bibliografici e giurisprudenzialidiscute i casi ed enuclea le relative soluzioni anche tenendo conto degli indirizzi manifestati dai giudici nazionali. 150


Paola Accardo Spunti problematici sull’adesione dell’Unione Europea alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali

Già prima dell’entrata in vigore dell’’Atto unico Europeo e del Trattato di Amsterdam, la Corte di Lussemburgo aveva elaborato una dottrina, in base alla quale gli stati membri devono proteggere i diritti fondamentali (“Stauder”, C- 29/69, ”; “Handelsgesellschaft” C-228/69) come parte integrante dei principi generali del diritto [comunitario]” quando attuano il diritto europeo (“Wachauf” C-5/88, del 13 luglio 1989) perché il

rispetto

per

i diritti umani è una

delle

condizioni alla base

della

legittimità degli atti comunitari..” D’altro canto, la Commissione Europea aveva da tempo proposto che la Comunità Europea divenisse membro della CEDU (novembre 1990 ),. Alla proposta, aveva fatto seguito una richiesta del Consiglio per un’opinione della Corte di Giustizia. Il parere (2/94) venne adottato il 28 marzo 1996 e la Corte affermò che:…nessun provvedimento conferisce alle istituzioni comunitarie alcun potere generale di attuare norme sui diritti umani o di concludere convenzioni internazionali in questo campo. L’accesso alla Convenzione produrrà infatti un cambio nel sistema attuale di protezione dei diritti umani a livello comunitario, perché renderà necessario l’ingresso della Comunità in un sistema internazionale distinto, così come l’integrazione dei provvedimenti della convenzione nel sistema legale comunitario. Tale modifica del sistema di protezione dei diritti umani a livello comunitario, con eguali fondamentali implicazioni istituzionali, sia per la Comunità che per gli Stati membri, è di carattere costituzionale e va perciò oltre alla portata dell’articolo 235 e può essere effettuata solo attraverso emendamenti al trattato. Il necessario emendamento è intervenuto con il Trattato di Lisbona. Il nuovo articolo 6 del Trattato UE, stabilisce espressamente che l’Unione aderisce alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell’Unione definite nei Trattati. 151


L’adesione dell’Unione Europea alla CEDU pone problemi pratici di diritto internazionale non poco rilievo. Tale adesione deve essere negoziata e posta in essere con un trattato, il cui contenuto potrà essere, per qualche aspetto, problematico. L’adesione alla CEDU non si estende al Consiglio d’Europa e quindi l’ Unione Europea non dovrebbe avere rappresentanti nei due organi del Consiglio d’Europa, che sono l’Assemblea Parlamentare ed il Comitato dei Ministri. Tuttavia, l’assemblea Parlamentare elegge i Giudici della Corte EDU e con l’adesione alla CEDU, l’Unione Europea ha diritto all’ elezione di un giudice. Dovrà quindi esser previsto un sistema di rappresentanza dell’UE nell’Assemblea Parlamentare, limitatamente alla designazione ed all’ elezione dei giudici. Un altro problema coinvolgerà i rapporti tra le due Corti di Strasburgo e Lussemburgo, in relazione al ruolo di quest’ultima di interprete del Diritto Comunitario, per eventuale pregiudizialità interpretativa, quando la lamentata violazione e della CEDU risulta collegata all’applicazione di un atto comunitario. Proprio mentre è in corso questo incontro di studi, sotto la Presidenza Spagnola, vengono adottate dal Consiglio UE le direttive per la negoziazione e la Commissione è stata autorizzata a negoziare l’accordo L’Unione Europea ha così dato un forte segnale del suo impegno per una rapida adesione Le trattative si svolgono in forma riservata. Il Consiglio UE, nel mandato alla Commissione, ha lasciato comunque una certa elasticità di trattativa per giungere alle scelte negoziali finali Dal canto suo, il Consiglio d’Europa aveva già da tempo incaricato il CDDH (comitato direttivo per i diritti umani) di elaborare, al più tardi prima del 30 giugno 2011, uno strumento giuridico per le modalità d’adesione, compresa la partecipazione al sistema stabilito dalla Convenzione. Ha appena eletto 7 rappresentanti esperti tra gli stati membri UE e 7 tra i non membri per costituire un gruppo di lavoro informale ristretto. Si tratta di 152


un gruppo tecnico, che non ha poteri decisionali o negoziali (almeno in maniera diretta ), ma che comunque ha una grande importanza, in quanto, non solo chiamato a valutare tutte le problematiche giuridiche, ma anche a predisporre la bozza di trattato. Nella risoluzione del Parlamento Europeo, adottata il 19 maggio 2010 già si dice chiaramente che l’adesione alla CEDU costituisce un primo passo essenziale, che in prospettiva dovrà essere completato con l’adesione ad altre convenzioni, quali la Carta Sociale. Si tenderà così a portare sempre più avanti un partenariato rinforzato tra Consiglio d’Europa ed Unione Europea.

153


Antonio Mura I rapporti tra giudici e magistrati del pubblico ministero nella prospettiva del consiglio d’Europa. La “dichiarazione di Bordeaux”

1. I Consigli consultivi dei Giudici e dei Procuratori europei Da tempo il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha ravvisato l’opportunità di dotarsi di stabili organismi con funzioni consultive in materia di giustizia. In tale prospettiva, alla costituzione nel 2000 del Consiglio consultivo dei Giudici europei (CCJE – Consultative Council of European Judges) è seguita l’istituzione, nel luglio 2005, del Consiglio consultivo dei Procuratori europei (CCPE – Consultative Council of European Prosecutors). L’iniziativa è coerente con l’espresso riconoscimento, da parte del Consiglio d’Europa, del ruolo essenziale dei magistrati del pubblico ministero nel sistema dello “Stato di diritto”. Culmina in tal modo un percorso intrapreso all’inizio del decennio mediante l’organizzazione di conferenze pan-europee dei vertici del pubblico ministero dei Paesi membri del Consiglio d’Europa. Queste – di solito indicate con l’acronimo CPGE (Conferences of Prosecutors General of Europe) – presero le mosse dall’evento inaugurale tenuto a Strasburgo nel maggio 2000 e dedicato al tema “Quale pubblico ministero in Europa nel XXI secolo?” e si articolarono poi con cadenza annuale sino al 2006. Significativo, in tale contesto, il documento denominato “The Budapest Guidelines”, approvato nella capitale ungherese nel maggio 2005 e contenente l’enunciazione di lineeguida inerenti alla funzione del pubblico ministero, sul piano etico, dei doveri fondamentali, della condotta professionale e del comportamento privato. I due organi consultivi CCJE e CCPE (che hanno base a Strasburgo), composti da professionisti rappresentanti di tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa ed effettivamente operanti nei settori della magistratura giudicante e requirente dei rispettivi paesi, agiscono in modo del tutto autonomo l’uno rispetto all’altro. I rappresentanti nazionali sono designati dalle competenti autorità dei relativi Stati, le quali devono sceglierli tra magistrati in servizio che si caratterizzino per il più elevato grado d’integrità 154


personale e per una profonda conoscenza del funzionamento del sistema giudiziario. Il risultato del loro lavoro consiste in pareri (“opinions”) espressi a richiesta del Comitato dei Ministri – ampiamente argomentati, anche con riguardo alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo – sui temi salienti della giurisdizione, in rapporto agli ordinamenti costituzionali e giudiziari, alle prerogative basilari della giurisdizione e dell’esercizio dell’azione penale, all’indipendenza, alla deontologia, alla formazione professionale, al fair trial. In particolare, il CCJE svolge un ruolo attivo di collaborazione con la Commissione per l’efficacia della giustizia (CEPEJ), con il Comitato europeo per gli affari criminali (CDPC), con il Comitato europeo di cooperazione giudiziaria (CDCJ) e con la Rete dei Presidenti delle Corti supreme del continente. Per quanto concerne il CCPE, con la cui costituzione s’è istituzionalizzata la sede di confronto tra pubblici ministeri in ambito continentale, il “Framework Overall Action Plan for the Work of the CCPE”, approvato dal Comitato dei Ministri il 29 novembre 2006, ne ha così definito i compiti: redigere pareri per il Comitato europeo per gli affari criminali (CDPC – European Committee on Crime Problems), soprattutto riguardo all’applicazione della Raccomandazione Rec(2000)19, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 6 ottobre 2000 e dedicata al ruolo del pubblico ministero nel sistema di giustizia penale; promuovere l’applicazione della predetta Raccomandazione n. 19 del 2000; raccogliere informazioni sul funzionamento dei servizi di procura nei Paesi membri del Consiglio d’Europa.

2. Il ruolo del pubblico ministero nel sistema di giustizia penale e la Raccomandazione Rec(2000)19 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa Com’è noto, la Raccomandazione n. 19 del 2000 – intitolata “The Role of Public Prosecution in the Criminal Justice System” e rivolta agli Stati membri del Consiglio d’Europa affinché ispirino ai principi in essa definiti la legislazione e le prassi – enuncia una serie di principi fondamentali che dovrebbero guidare l’azione del pubblico ministero, ne 155


definisce le funzioni e delinea gli strumenti di garanzia necessari per l’espletamento di esse. In un contesto continentale nel quale – come accennato in apertura – il Comitato dei Ministri riconosce al pubblico ministero un ruolo “essenziale” nel sistema di giustizia penale proprio dello Stato di diritto, la Raccomandazione n. 19 costituisce un punto di riferimento la cui attualità emerge con chiarezza dai temi trattati: funzioni del pubblico ministero; strumenti di salvaguardia perché il pubblico ministero possa svolgere le sue funzioni; relazioni tra il pubblico ministero e i poteri esecutivo e legislativo; relazioni tra pubblico ministero e giudici; relazioni tra pubblico ministero e polizia; doveri del pubblico ministero nei confronti degli individui; cooperazione internazionale. Anche tenuto conto del dibattito in corso in Italia sulla struttura e sul ruolo degli uffici di procura, è interessante notare come, tra le garanzie riconosciute al pubblico ministero per l’esercizio delle sue attività, il documento esordisca (punto 4) sollecitando gli Stati membri all’adozione di ogni provvedimento utile per consentire ai membri dell’ufficio del pubblico ministero di adempiere ai loro doveri e alle loro responsabilità professionali “in condizioni di statuto, di organizzazione e con i mezzi, in particolare quelli di bilancio, appropriati”. Tali condizioni – viene precisato – “devono essere determinate in stretta concertazione con i rappresentanti del pubblico ministero”: impostazione funzionale al miglior apprezzamento dell’interesse pubblico, che in ambito italiano meriterebbe di essere valorizzata in una prospettiva che appare a tutt’oggi non appropriatamente esplorata. Per altro verso, se l’organizzazione gerarchica dell’ufficio costituisce il modello più diffuso nel continente (e del quale di frequente sono posti in luce i vantaggi per un’azione coordinata), tale impostazione si caratterizza pur sempre: - per l’indipendenza, sollecitandosi gli Stati a fare in modo che il pubblico ministero possa adempiere al suo mandato senza ingiustificate interferenze, con specifiche garanzie anche nei Paesi dove esso è subordinato al potere esecutivo;

156


- per l’imparzialità, mediante la distribuzione delle cause secondo criteri ispirati al solo fine della corretta applicazione dell’ordinamento penale; - per la trasparenza, col diritto di ogni membro dell’ufficio di chiedere che eventuali istruzioni impartitegli siano redatte per iscritto e con previsione di una procedura che gli consenta di richiedere di essere sostituito ove le istruzioni gli appaiano non conformi alla legge o siano contrarie alla sua coscienza; e, altresì, con l’indicazione dell’esigenza che il pubblico ministero renda conto, “periodicamente e pubblicamente, dell’insieme delle sue attività, in particolare delle modalità di attuazione delle priorità che gli competono”. In tale ottica l’indicazione per gli Stati membri è di favorire l’equità, la coerenza e l’efficacia dell’azione delle procure: privilegiandone un’organizzazione gerarchica che, tuttavia, non comporti mai la costituzione di strutture burocratiche “inefficienti o paralizzanti”; indicando linee direttrici generali relative all’attuazione della politica penale; definendo principi e criteri generali che servano da riferimento nella decisione dei singoli casi, al fine di evitare qualsiasi arbitrio nel processo decisionale. Se il diritto nazionale sancisce l’indipendenza del pubblico ministero, organizzazione, linee direttrici, principi e criteri sono decisi dagli stessi rappresentanti di esso. L’indipendenza operativa e la strutturazione gerarchica, piuttosto che come concetti potenzialmente in tensione, sono da questo punto di vista ritenute compatibili e, anzi, in una visione avanzata, concepite come funzionali alla contemporanea garanzia dell’imparzialità e dell’efficienza nell’azione del pubblico ministero. La distinzione tra le funzioni giudicanti e quelle requirenti – vista quale precondizione dell’imparzialità – è sancita mediante il divieto di contestuale esercizio di esse. E tuttavia è richiesto agli Stati, ove l’ordinamento giuridico permetta il mutamento delle funzioni giudiziarie, di adottare provvedimenti concreti al fine di consentire lo svolgimento in successione delle funzioni requirenti e di quelle giudicanti o viceversa. Quanto ai rapporti coi giudici, è fatta prescrizione ai membri del pubblico ministero di rispettarne l’indipendenza, in particolare evitando di esprimere dubbi sulle decisioni

157


giudiziarie e di ostacolarne l’esecuzione, salvo l’esercizio del diritto di impugnazione o di altre procedure rituali. Interessante, ancora, la raccomandazione ai magistrati requirenti di: - dare prova costante, nei procedimenti giudiziari, di obiettività e di equità; - impegnarsi attivamente nel rispettare e far proteggere i diritti dell’individuo, come enunciati dalla Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; - operare per l’affermazione dell’uguaglianza di ciascuno davanti alla legge, approfondendo ogni elemento anche a favore della persona sospettata di un reato, vigilando sul rispetto del principio della “parità delle armi”, intesa non come mera imposizione normativa, bensì come ambito di impegno attivo in funzione dell’equo svolgimento del processo; - tenere conto dell’opinione e delle preoccupazioni delle vittime dei reati, accertandosi pure che esse siano informate dei loro diritti e favorendo l’informativa sull’andamento delle procedure che per loro rivestono interesse; - vigilare affinché l’ordinamento penale funzioni con la massima celerità possibile. Si tratta, in tutta evidenza, di un complesso di indicazioni particolarmente rilevanti nella qualificazione del ruolo del pubblico ministero, anche rispetto alla sua incidenza sul funzionamento di ogni sistema democratico. Ciò spiega l’attenzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per l’effettiva implementazione dei principi enunciati nella Raccomandazione del 2000, mediante la creazione del Consiglio consultivo dei Procuratori europei quale sorta di osservatorio permanente e di organo di promozione del rispetto e della concreta attuazione di quei principi in ciascuno dei Paesi membri.

3. La “Dichiarazione di Bordeaux” sui rapporti tra giudici e magistrati del pubblico ministero Portando a compimento un’iniziativa senza precedenti nella storia dei Consigli consultivi dei Giudici e dei Procuratori d’Europa, i quali in precedenza avevano sempre 158


operato separatamente e si erano espressi con documenti distinti ed autonomamente elaborati, i due organismi hanno realizzato nel 2009 un testo comune, approvando nel mese di novembre a Brdo/Lubiana (Slovenia) un parere dedicato ai “Rapporti tra giudici e procuratori” (“The Relations between Judges and Prosecutors”). Il documento è frutto del lavoro congiunto del CCJE e del CCPE, i cui Gruppi di lavoro si sono dapprima riuniti a Bordeaux per la preparazione del testo poi adottato in Slovenia. Dalla città francese nella quale fu avviata l’elaborazione ha preso nome il documento, indicato come “Dichiarazione di Bordeaux” e recante il titolo “Giudici e procuratori in una società democratica” (Bordeaux Declaration: “Judges and Prosecutors in a Democratic Society”. Il testo è corredato da un “Explanatory Note”). Prima ancora che per i suoi contenuti, la Dichiarazione si segnala per il metodo dell’elaborazione collegiale e per l’approvazione unanime del documento finale (poi rimesso al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che ne aveva richiesto la redazione): metodologia e risultato significativi, tenuto conto delle peculiarità dei sistemi istituzionali e delle tradizioni culturali, nonché dei differenti modelli organizzativi che caratterizzano le magistrature giudicanti e requirenti dei diversi Paesi europei. Obiettivo del parere – come sintetizzato al punto 4 della nota esplicativa che lo accompagna – è quello di mettere a fuoco gli aspetti essenziali “delle due missioni” dei magistrati giudicanti e requirenti, in particolare riguardo all’indipendenza, al rispetto dei diritti e delle libertà individuali, all’obiettività e all’imparzialità, all’etica e alla deontologia, alla preparazione professionale ed ai rapporti con i mezzi di informazione. In un panorama così ricco sono, ovviamente, numerosi gli spunti di interesse tanto in prospettiva europea quanto rispetto all’elaborazione italiana sul ruolo delle due funzioni giudiziarie e sui loro rapporti reciproci. Il pubblico ministero e il giudice sono entrambi indicati come destinatari del dovere di assicurare, in ogni fase delle procedure giudiziarie, la garanzia dei diritti individuali e delle libertà, nonché la protezione dell’ordine pubblico: con rispetto (qualificato come “totale”) dei diritti tanto degli imputati quanto delle vittime dei reati. I rispettivi ruoli 159


requirente e giudicante sono, dunque, definiti come “distinti ma complementari”, a garanzia di un’amministrazione della giustizia “equa, imparziale ed efficace”: e i titolari di entrambe le funzioni giudiziarie devono, perciò, godere di uno statuto di indipendenza nell’esplicazione delle loro attività ed altresì essere ed apparire reciprocamente indipendenti. Gli spunti d’interesse riguardo all’amministrazione della giustizia nel suo complesso sono numerosi: - l’indicazione della necessità che essa disponga di risorse adeguate sul piano organizzativo, finanziario, materiale ed umano; - il richiamo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, segnatamente in relazione all’articolo 5, paragrafo 3, ed all’articolo 6 della CEDU, con un riconoscimento del requisito di indipendenza dal potere esecutivo e dalle parti in capo ad ogni pubblico ufficiale investito di funzioni giudiziarie e pur ove sussista subordinazione ad autorità giudiziarie indipendenti di grado più elevato; - la definizione della formazione professionale (che include il “management training”) come diritto e, ad un tempo, come dovere tanto per i giudici quanto per i pubblici ministeri; e la definizione come essenziale dell’autonomia dell’istituzione incaricata di curare le attività di formazione; - l’indicazione dell’utilità, in determinati settori, di una formazione professionale comune alla magistratura giudicante e requirente ed all’avvocatura, in vista della creazione delle basi per una comune cultura della legalità; - il riconoscimento, nell’interesse della società, della necessità che ai mezzi di informazione siano fornite le notizie in tema di giustizia, sempre con debito riguardo alla presunzione d’innocenza di ogni accusato, al diritto ad un processo equo ed al diritto alla vita privata e familiare di tutte le persone interessate da un procedimento giudiziario; - in quest’ultima prospettiva, la Dichiarazione di Bordeaux raccomanda che tanto i giudici quanto i pubblici ministeri elaborino codici di buone prassi, o linee-guida, sui rapporti della rispettiva professione con i mezzi d’informazione; 160


- in linea con la Raccomandazione Rec(2000)19, viene segnalata altresì l’esigenza che i magistrati del pubblico ministero evitino commenti e dichiarazioni pubbliche, attraverso i media, che possano incrinare la correttezza della procedura giudiziaria o creare l’impressione di una indebita pressione sul giudice. Concentrando l’attenzione precipuamente sui profili che inseriscono alle procure, un enunciato significativo, in relazione al modello ordinamentale italiano, è quello che concerne lo status dei magistrati del pubblico ministero, il quale deve essere garantito dalla legge “al più alto livello possibile, in una maniera simile a quella dei giudici”. Correlativa è la prescrizione che nel loro processo decisionale i magistrati requirenti godano di indipendenza e di autonomia e che espletino le loro funzioni con equità, obiettività ed imparzialità. I requisiti minimi per uno statuto d’indipendenza del pubblico ministero sono fissati, in primo luogo, mediante la sottrazione ad ogni influenza od interferenza da parte di fonti estranee al sistema di procura. Laddove la struttura ordinamentale di tale sistema sia gerarchica, la legittimità dell’azione penale è presentata come strettamente connessa – nello Stato di diritto – con “linee trasparenti” d’autorità e di responsabilità. Nella legge deve rinvenirsi – secondo la Dichiarazione di Bordeaux – il fondamento della politica penale. E, in proposito, interessa qui rimarcare come, nella varietà dei sistemi ordinamentali esistenti in Europa, il sistema italiano vigente – caratterizzato anzitutto dall’obbligatorietà dell’azione penale – trovi riconoscimento. Da altro punto di vista è significativa la puntualizzazione secondo la quale, “senza pregiudizio per il rispetto del principio di parità delle armi, il pubblico ministero non può essere considerato uguale alle altre parti” del processo. Tale condizione si connette alla varietà degli interessi che l’ufficio requirente è chiamato a tutelare in una prospettiva di imparzialità e si estrinseca anche nell’affermazione del ruolo attivo del pubblico ministero per il rispetto dei diritti della difesa, in particolare nei Paesi (come l’Italia) nei quali gli sia attribuito il controllo delle indagini.

161


Specificamente conferente rispetto al nostro ordinamento giudiziario

– e

segnatamente alla Procura generale presso la Corte di cassazione – è il riferimento al particolare ruolo che in alcuni Paesi compete al pubblico ministero dinanzi alla Corte suprema. Il Procuratore generale (la cui posizione è comparabile con quella dell’Avvocato generale della Corte di giustizia delle Comunità europee), “dinanzi a queste giurisdizioni, non è una parte e non rappresenta lo Stato. E’ un’autorità indipendente che presenta le proprie conclusioni, in tutti i casi oppure in quelli di particolare interesse, con l’obiettivo di chiarire alla Corte tutti gli aspetti delle questioni di diritto sottopostele, al fine di assicurare la corretta applicazione della legge”. Il 20 gennaio 2010 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha preso nota del parere congiuntamente espresso dal CCPE e dal CCJE (Bordeaux Declaration ed Explanatory Note), che è stato altresì trasmesso all’Assemblea parlamentare, agli altri Comitati del Consiglio d’Europa interessati al tema e alle competenti autorità degli Stati membri. Gli spunti per approfondire la riflessione anche a livello nazionale non mancano. Pare appropriato formulare l’auspicio che ciò contribuisca a propiziare un atteggiamento nuovo, con l’abbandono di quegli irrigidimenti – talora anche corporativi – che in Italia stanno paralizzando le possibilità di un impegno comune del mondo politico, dell’avvocatura e della magistratura per l’elaborazione di riforme atte a restituire efficacia operativa, oggi gravemente carente, ad un sistema giudiziario che per caratteristiche costituzionali è, invece, perfettamente adeguato – e, per taluni aspetti, addirittura all’avanguardia – rispetto alle linee di principio continentali delle quali s’è tracciata la sintesi.

162


Mattia Melloni104 I requisiti formali delle decisioni di rinvio pregiudiziale alla corte di giustizia dell’unione europea

1.

Il presente articolo si concentra sugli aspetti formali che una decisione di

rinvio presentata dal giudice italiano (qui di seguito il giudice nazionale) alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (qui di seguito la Corte) deve possedere per non essere dichiarata irricevibile da quest’ultima. 2.

L’attuale trattato di Lisbona e le precedenti versioni dei trattati di Roma del

25 marzo 1957 sulla Comunità europea non contengono alcuna regola formale su come debba essere redatta una decisione di rinvio pregiudiziale, lasciando il giudice nazionale libero di formularla, e lasciando alla Corte la facoltà di decidere su tale domanda entro i limiti di sua competenza.105 3.

Esiste, invece, una Nota informativa della Corte riguardante le domande di

pronuncia pregiudiziale da parte delle giurisdizioni nazionali che fornisce, in modo sommario, alle giurisdizioni nazionali alcune linee guida sul contenuto e la redazione di una domanda di pronuncia pregiudiziale.106 4.

Tale Nota risulta certamente di notevole aiuto per il giudice nazionale, ma

non è sufficiente per garantirne il successo davanti ai giudici del Lussemburgo.

Referendario presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Tribunale (le opinioni espresse nel presente articolo sono personali e non possono essere attribuite all’Istituzione comunitaria cui l’autore appartiene). L’autore ringrazia l’amico e collega Francesco Cavezza della unità di traduzione italiana per gli utili e preziosi consigli. 105 Nella Causa de Geus, 13/61, in racc. p. 89, la Corte precisò che “…Il Trattato [di Roma] non stabilisce espressamente, ne implicitamente, in quale forma il giudice nazionale debba presentare una domanda di decisione pregiudiziale; poiché lo stesso significato dell’espressione ‘interpretazione del Trattato’ di cui all’articolo 177 potrebbe costituire oggetto d’interpretazione, il giudice nazionale è libero di formulare la propria domanda in modo semplice e diretto, lasciando alla Corte di Giustizia la cura di statuire sulla domanda stessa solo entro i limiti di sua competenza, cioè soltanto nei limiti in cui le sono state sottoposte delle questioni d’interpretazione del Trattato.” 106 La Nota informativa è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea l’11 giugno 2005 (GU C 143, p. 1). A seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona la Nota è stata aggiornata e pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 5 dicembre 2009 ( GU C 297, p. 1). Si vedano in particolare, i punti 20 a 24. 104

163


5.

Una decisione di rinvio deve idealmente possedere i seguenti requisiti:

6.

Deve, in primo luogo, essere ben strutturata, con sottotitoli e con la

numerazione dei paragrafi, come le sentenze della Corte, per facilitare il lavoro dei traduttori che lavorano alla Corte e la relativa traduzione da sottoporre al giudice relatore e al suo gabinetto. Una buona decisione di rinvio non deve –idealmente- superare 10 pagine. 7.

Deve, in secondo luogo, descrivere i fatti, in modo chiaro, preciso, e semplice,

lasciando da parte gli orpelli e le forme stilistiche del proprio diritto nazionale, al fine di facilitare il lavoro dei traduttori della Corte. Una descrizione dei fatti facilmente comprensibile, presuppone una buona conoscenza del diritto comunitario e dei suoi meccanismi di funzionamento. Ad esempio, nell’ordinanza Anssens107 la Corte ha dichiarato manifestamente irricevibile la decisione di rinvio posta dal giudice del Tribunal de grande Instance di Lille perché non disponeva degli elementi di fatto necessari per verificare la legittimità o meno della norma nazionale, rispetto all’art. 110 TFUE (ex art. 90 CE). 8.

Ora, una violazione dell’art. 110 TFUE si verifica soltanto quando uno Stato

tratta in modo discriminatorio, con un sistema di tassazione interno, i prodotti di importazione da altro Stato membro della UE rispetto ai prodotti nazionali similari. Occorreva, quindi, nella fattispecie, che il giudice francese indicasse nella decisione di rinvio l’origine del prodotto e cioè se il prodotto, nella controversia principale l’autoveicolo dell’attore, fosse di fabbricazione nazionale, di provenienza da altro Stato membro oppure da uno Stato terzo, e cioè uno Stato non comunitario. E’ dunque evidente che se il giudice di rinvio non fornisce dati essenziali, priva la decisione di un suo elemento fondamentale. 9.

Lo stesso ragionamento si può applicare, mutatis mutandis, in un contesto di

concorrenza. Prendiamo come esempio un caso di abuso di posizione dominante nel settore della radiodiffusione televisiva. Se il giudice di rinvio si limita semplicemente a 107

Causa Anssens, C-325/98, in racc. p. I-2969, punti 7 a 9.

164


chiedere alla Corte di verificare se una legge nazionale sia compatibile con l’articolo 102 TFUE (ex articolo 82 CE) (perché tale legge consente a determinati soggetti esercenti radio televisive di escludere dal mercato altri operatori del settore) dimentica di fornire due dati essenziali che permetterebbero alla Corte di verificare se la legge nazionale viola o meno l’articolo 102 TFUE: cioè una definizione di mercato rilevante e informazioni relative alle quote di mercato detenute dai diversi soggetti che operano nel settore della radiodiffusione televisiva. 108 10.

Una buona conoscenza del diritto comunitario ed, in particolar modo del

diritto della concorrenza, deve essere acquisita dal giudice nazionale affinché la Corte possa così rispondere con successo alla domanda di rinvio posta. 11.

Occorre, infine, ricordare che una descrizione chiara semplice e precisa dei

fatti oggetto di rinvio agevola il lavoro della Corte a risolvere le questioni poste dal giudice di rinvio, e soprattutto permette ai governi e alle altre parti interessate di presentare le proprie osservazioni, ai sensi dell’articolo 23 dello statuto della Corte. 12.

Ad esempio, nelle cause riunite Orfanopoulos e Olivieri il giudice di rinvio

tedesco non è stato in grado di fornire alla Corte le informazioni necessarie per rispondere ad una delle due domande postegli, e cioè se nella causa principale il ricorrente, tossicodipendente di cittadinanza italiana, ma residente fin dalla nascita in Germania e sottoposto ad una richiesta di espulsione per reati commessi sul territorio tedesco disposta dal Regierungspräsidium, potesse avvalersi delle disposizioni sulla libera circolazione dei lavoratori previste all’articolo 39 CE 109 e della disposizione di diritto derivato contenuta nell’articolo 3 della direttiva 64/221 per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento ed il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. 13.

Al riguardo, la Corte ha precisato che spetta al giudice del rinvio accertare

correttamente di quali disposizioni del diritto comunitario il cittadino di uno Stato

108 109

Causa Centro Europa 7, C-380/05, in racc. I-349, punti 60 e 61. Divenuto con l’entrata in vigore il 1 dicembre 2009 del Trattato di Lisbona, l’articolo 45 TFUE.

165


membro può avvalersi. In particolare, spettava al giudice di rinvio tedesco verificare se l’interessato rientrasse nell’ambito d’applicazione dell’articolo 39 CE, come lavoratore o come altra persona che può beneficiare, in forza delle disposizioni del diritto derivato adottate per l’attuazione di tale articolo, della libera circolazione, oppure se potesse avvalersi di altre disposizioni del diritto comunitario, quali la direttiva 90/364 o l’articolo 49 CE110 che si applica in particolare ai destinatari di servizi.111 14.

In terzo luogo, nella decisione di rinvio il giudice nazionale deve individuare

in modo chiaro e preciso la legislazione nazionale applicabile che appaia essere incompatibile con il diritto comunitario. Ad esempio, nella succitata causa Anssens, il giudice di rinvio francese non aveva fornito alcuna informazione sulla legislazione nazionale applicabile in materia di imposte sugli autoveicoli, limitandosi a riassumere le osservazioni presentate dinanzi ad esso dalle parti in causa.112 15.

Inoltre, è buona norma enunciare la legislazione nazionale per intero nella

decisione di rinvio (evitando abbreviazioni o spiegandole nel caso vengano usate), indicando anche i riferimenti relativi alla pubblicazione, ivi compresi i siti internet dove si può trovare la legislazione nazionale di riferimento. 16.

In tal modo si agevola il lavoro dei giuristi responsabili, nei diversi dei

Ministeri degli affari esteri degli Stati membri, di redigere le eventuali osservazioni da presentare alla Corte nella controversia principale, ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte. 17.

In quarto luogo, la decisione di rinvio deve individuare, se possibile, le

norme comunitarie ed, in particolare, le disposizioni del Trattato di Lisbona, e cioè il diritto primario della UE, oppure le disposizioni degli atti comunitari (ad esempio, i regolamenti, le direttive e le decisioni, e cioè il diritto derivato della UE), pertinenti per risolvere la controversia principale. In questo modo, il giudice del rinvio permette alla Corte di verificare se la norma comunitaria da esso citata nella decisione di rinvio è Divenuto con l’entrata in vigore il 1 dicembre 2009 del Trattato di Lisbona, l’articolo 56 TFUE. Cause riunite Orfanopoulos e Oliveri, C-482/01 e C-493/01, in racc. p. I-5257, punti 52 e 54. 112 Causa Anssens, C-325/98, in racc. p. I-2969, punti 12 e 13. 110 111

166


sempre in vigore, è stata modificata, è stata soppressa, oppure si applicano altre norme comunitarie. 18.

Ad esempio, nell’ordinanza Calestani

113

la Corte ha rilevato che la domanda

di pronuncia pregiudiziale postegli dal giudice di rinvio italiano, (l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Parma) non consentiva di distinguere con certezza quali fossero precisamente le disposizioni di diritto comunitario di cui il giudice di rinvio chiedeva l’interpretazione. In effetti, sebbene l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Parma invocasse la violazione, da parte del legislatore nazionale, dell’articolo 13, parte B, lett. c), della sesta direttiva 77/388/CE in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulle cifre d’affari (qui di seguito la c.d. “sesta direttiva”), essa faceva invece riferimento, a sostegno della motivazione della domanda di pronuncia pregiudiziale inoltrata alla Corte, a due sentenze della stessa Corte vertenti sull’interpretazione di un’altra disposizione della sesta direttiva, vale a dire l’articolo 13, parte A, n°1, lett. b). 19.

Nella medesima ordinanza Calestani la Corte ha fatto riferimento per la

prima volta alla Nota informativa, rimproverando al giudice di rinvio italiano di non averla preventivamente consultata al fine d’introdurre correttamente una domanda di rinvio.114 20.

La decisione di rinvio deve, in quinto luogo, contenere una breve descrizione

degli argomenti delle parti. Così facendo, si permette ai governi degli Stati membri e alle parti interessate di prendere conoscenza degli argomenti non potendo avere accesso al dossier della domanda di rinvio, se non consultandolo personalmente alla Cancelleria della Corte in Lussemburgo.

Causa Calestani, C-292/09 e C-293/09, non in racc., punto 28. In effetti, se il giudice avesse consultato la Nota informativa della Corte, avrebbe, in primo luogo, presentato la domanda di pronuncia pregiudiziale in una sezione a se stante della decisione di rinvio, all’inizio oppure alla fine della decisione di rinvio stessa, in conformità a quanto previsto nella prima parte del punto 24 della Nota informativa. Ma il giudice di rinvio avrebbe soprattutto escluso di commettere un errore rinviando all’esposizione della motivazione della stessa questione pregiudiziale di rinvio. In effetti, la o le questioni pregiudiziali stesse devono essere comprensibili senza far riferimento alla motivazione della domanda come è riportato nella seconda parte del punto 24 della Nota informativa. Causa Calestani, C-292/09 e C-293/09, non in racc., punto 28. 113 114

167


21.

In sesto luogo, è importante spiegare nella decisione di rinvio l’iter giuridico,

e cioè il ragionamento che ha condotto il giudice di rinvio a sollevare i quesiti pregiudiziali alla Corte. Spiegare, ad esempio, i motivi precisi per i quali l’interpretazione del diritto comunitario richiesta alla Corte risulti necessaria ai fini della risoluzione della controversia principale. Spiegare le ragioni di un tale iter aiuta inoltre la Corte a capire se si è seguita la giurisprudenza comunitaria oppure quella nazionale, se si è seguita una tesi di dottrina, oppure se l’iniziativa del rinvio è nata da istanza delle parti. 22.

Un errore da evitare nella decisione di rinvio è di chiedere alla Corte che si

pronunci sulla compatibilità di una norma nazionale con il diritto comunitario, oppure di interpretare, alla luce del diritto comunitario, disposizioni legislative o regolamenti nazionali.115 23.

Nella causa Enirisorse, il Tribunale di Cagliari aveva chiesto alla Corte se il

versamento di quote di capitale per garantire la disponibilità finanziaria necessaria all’attuazione del piano di attività della nuova società per azioni, la Sotacarbo SpA,116 i cui tre azionisti erano fra i principali enti pubblici italiani, e cioè l’ente nazionale idrocarburi (ENI), l’ente nazionale per l’energia elettrica (ENEL) ed il Comitato nazionale per la ricerca e lo sviluppo dell’energia nucleare e delle energie alternative (l’ENEA), rappresentasse un aiuto di Stato, incompatibile con l’articolo 87. 24.

La Corte ha ricordato che la valutazione della compatibilità con il mercato

comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione europea, che opera sotto il controllo del giudice comunitario. Di conseguenza, un giudice nazionale non può, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale

La preclusione al giudice comunitario di un sindacato diretto sulla legittimità comunitaria di norme interne è stata affermata dalla Corte alla metà degli anni ’60, nelle cause 6/64, Costa c. Enel, in racc. 1143, 56/65, Société technique minière, in racc., p.279, e 5/69, Volk c. Vorvaecke, in racc., p. 301. 116 La principale finalità della nuova società per azioni consiste nel sviluppare tecnologie innovative ed avanzate nell’utilizzazione del carbone (arricchimento, tecniche di combustione, liquefazione, gasificazione e carbochimica). Si vedano i punti 4 a 7 della causa Enirisorse, C-237/04, in racc. p I-2843. 115

168


interrogare la Corte sulla compatibilità con il mercato comune di un aiuto di Stato o di un regime di aiuti. 117 25.

In settimo luogo due brevi cenni sulla scelta che il giudice nazionale deve

fare per quanto riguarda il momento opportuno, durante il processo, per sottoporre una decisione di rinvio alla Corte. La Nota informativa non specifica il momento esatto, lasciando al libero arbitrio del giudice nazionale il momento della scelta. É tuttavia opportuno ricordare che la decisione di rinvio deve essere fatta in una fase del processo nella quale il giudice nazionale sia in grado di definire l’ambito di fatto e di diritto del problema oppure dei problemi che si presentano nella controversia principale, affinché i giudici di Lussemburgo dispongano degli elementi necessari per verificare se eventualmente il diritto comunitario si applica alla controversia principale. 26.

É infine buona norma ricordare che il giudice nazionale deve, sempre e

comunque, cercare di risolvere le questioni di diritto comunitario che la controversia principale gli presenta con i propri mezzi, basandosi sull’ampia giurisprudenza della Corte, e verificando soprattutto che non vi siano dei precedenti simili di domande di rinvio che la Corte ha già trattato. 27.

Ad esempio, nella causa Da Costa la Corte aveva chiaramente detto che “se

l’articolo 177, ultimo comma, del Trattato di Roma118 impone, senza restrizioni, ai fori nazionali le cui decisioni non sono impugnabili secondo l’ordinamento interno, di deferire alla Corte qualsiasi questione d’interpretazione davanti ad essa sollevata, l’autorità dell’interpretazione data dalla Corte ai sensi dell’articolo 177 può tuttavia far cadere la causa di tale obbligo e così renderlo senza contenuto. Ciò si verifica in specie qualora la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione sollevata in relazione ad analoga fattispecie, che sia già stata decisa in via pregiudiziale”.119

Causa Enirisorse, C-237/04, in racc. p I-2843, punti 14 e 23. Divenuto con l’entrata in vigore il 1 dicembre 2009 del Trattato di Lisbona, l’articolo 267, terzo comma, TFUE. 119 Causa Da Costa, 28/62, in racc.p.73. 117 118

169


28.

È ancora il giudice nazionale che applica ed interpreta il diritto comunitario,

e solo laddove non sa darsi risposte concrete circa una sua corretta applicazione oppure interpretazione per risolvere la controversia principale, chiede aiuto alla Corte. In questo senso, la Corte ed i suoi membri esercitano una funzione di ausilio e non si sostituiscono al giudice nazionale.120 29.

Da ultimo, è bene ricordare al giudice nazionale di redigere la domanda di

rinvio in maniera chiara, semplice e possibilmente precisa, facendo uno sforzo di semplificazione sia del ragionamento sia del linguaggio, abbandonando le forme stilistiche proprie del diritto nazionale. Così facendo si agevola il lavoro del giudice relatore

121

e dei

giuristi linguisti del servizio della traduzione chiamati a tradurre la domanda di rinvio nella lingua di lavoro della Corte, e cioè il francese.122

Occorre precisare che, la Corte, attraverso le sue pronunce rese in via pregiudiziale, indica e precisa le condizioni e le conseguenze del rapporto di collaborazione istituito con l’articolo 267 TFUE per quanto attiene sia al ruolo assegnato ai giudici nazionali, sia a quello che la Corte stessa si è ritagliato. Per una più ampia analisi del rapporto di collaborazione fra giudice comunitario e giudice nazionale si veda Ivaldi, il rinvio pregiudiziale: linee evolutive, in Comunicazioni e Studi, vol. XXII, Milano, 2002, pp. 235 ss. 121 Ad ogni domanda di rinvio pregiudiziale che arriva alla cancelleria della Corte in Lussemburgo viene assegnato, dal presidente della Corte, un giudice relatore incaricato di trattare il rinvio. Ad esso si può affiancare un avvocato generale incaricato di rendere delle conclusioni. 122 Esistono allo stato attuale due direzioni della traduzione alla Corte di Giustizia, e cioè la divisione A e la divisione B, divise in 22 unità che corrispondono alle 22 lingue ufficiali dell’Unione, con esclusione del gaelico, che, sebbene sia la 23sima lingua ufficiale, non dispone al momento di una sua unità di traduzione. La lingua ufficiale di lavoro alla Corte di Giustizia è il francese, conformemente a quanto stabilisce, in maniera indiretta, l’articolo 7 del regolamento n.°1/58 del Consiglio che rinvia al Regolamento di procedura della medesima, il che significa che tutte le domande di rinvio introdotte da un giudice nazionale non francofono sono tradotte in tutte le lingue ufficiali per permettere agli Stati membri di presentare le proprie osservazioni, conformemente all’art. 23 dello Statuto della Corte. La sentenza oppure l’ordinanza che dichiara irricevibile la domanda di rinvio, ivi comprese le eventuali conclusioni dell’avvocato generale, sono tradotte in tutte le lingue ufficiali per essere, infine, pubblicate in Raccolta. 120

170


Daniele P. Domenicucci123 Sui profili patologici del meccanismo del rinvio pregiudiziale

1. - Il presente contributo verte sui profili cd. patologici del meccanismo del rinvio pregiudiziale che riguardano essenzialmente tutti i casi in cui la Corte di Lussemburgo si è rifiutata di rispondere alle domande di pronuncia pregiudiziale provenienti dai giudici nazionali, con particolare attenzione alle domande di pronuncia pregiudiziale sottoposte alla Corte da organi giurisdizionali italiani e da questa rigettate. Si fa volutamente uso del termine atecnico di "rigetto", in quanto, come si vedrà, pur trattandosi prevalentemente di casi di irricevibilità (o, se si preferisce, di inammissibilità 124), tra questi figurano anche alcuni casi in cui la Corte si dichiara incompetente o addirittura ritiene che non vi sia luogo a statuire. In proposito - sia detto per inciso -, la distinzione tra incompetenza e irricevibilità non è priva di rilevanza. Una dichiarazione di incompetenza della Corte è infatti, a prima vista, irrimediabile per il giudice nazionale, mentre laddove essa dichiari le questioni irricevibili, il giudice a quo potrebbe sempre, ove lo ritenesse opportuno, riproporre le stesse questioni, fornendo tuttavia le precisazioni necessarie, in mancanza delle quali la Corte aveva rifiutato di rispondere alle domande contenute nella sua prima ordinanza di rinvio, per consentire a quest'ultima di fornire una risposta utile 125. Ciò detto, ai nostri fini, che sono, come accennato, di esaminare gli aspetti patologici del problema, siffatta distinzione non appare strettamente pertinente.

(Referendario presso il Tribunale dell’Unione europea). La Corte usa sempre il termine irricevibilità. 125 Emblematico è, ad es., il caso delle domande di pronuncia pregiudiziale sottoposte alla Corte dal Giudice di Pace di Bitonto nella nota vicenda relativa alle azioni di risarcimento danni avviate serialmente da svariati consumatori sul territorio nazionale nei confronti delle imprese di assicurazione colpevoli, secondo l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, di aver posto in essere un'intesa tra loro per la fissazione dei prezzi delle polizze per la RCA (sul punto, v., dapprima, CG, ord. 11.2.2004, Cannito e.a., C-438/03, C-439/03, C-509/03 e C-2/04, Racc. p. I-1605, e poi CG, sent. 13.7.2006, Manfredi e.a., da C-295/04 a C-298/04, Racc. p. I-6619). Al riguardo, è appena il caso di segnalare che sono diversi i casi in cui il giudice a quo ha riproposto, spesso con successo, un nuovo provvedimento di rinvio, con quesiti identici o quasi, ma più curato nella redazione. 123 124

171


Ogni esame clinico che si rispetti, per restare nella metafora iniziale, presuppone un'anamnesi e il più delle volte, almeno, una radiografia. Prima quindi di passare ad una disamina delle domande di pronuncia pregiudiziale italiane dichiarate irricevibili, è opportuno procedere all'anamnesi, introducendo qualche elemento di carattere generale sull’istituto del rinvio pregiudiziale.

2. - Anzitutto, partirei da un dato statistico che fotografa la rilevanza odierna del meccanismo del rinvio pregiudiziale: le domande pregiudiziali rappresentano attualmente oltre la metà dell’intero contenzioso pendente dinanzi alla Corte126. Solo alcune di queste incontreranno il rifiuto della Corte di fornire una risposta. La natura e la concezione stessa del meccanismo pregiudiziale mal si concilia, infatti, con il rigetto, soprattutto per irricevibilità, delle questioni che i giudici nazionali pongono, di regola, al fine specifico di dirimere una controversia. Non a caso, in dottrina si è parlato in proposito di "deformazioni pregiudiziali", sottolineando così l'anomalia delle decisioni di rigetto di questioni pregiudiziali. D'altra parte, il Trattato è silente al riguardo. L’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea («TFUE») – già art. 234 CE, e prima ancora art. 177 CEE – si connota, infatti, come una norma fondata su una netta ripartizione di competenze tra giudici dell'Unione e nazionali: mentre ai primi è riservato il compito di fornire la risposta ermeneutica ai quesiti, al giudice nazionale spetta, in via esclusiva, il compito, dapprima, di apprezzarne la pertinenza127 con riguardo alla causa di cui è investito e, poi, di risolvere la stessa applicando le norme così come interpretate dalla Corte.

Le ultime statistiche pubblicate sul sito web della Corte (www.curia.europa.eu) indicano che, alla fine del 2009, su 741 cause pendenti ben 438 erano domande pregiudiziali, mentre, su un totale di 588 cause definite nel 2009, ben 259 erano domande pregiudiziali. Il dato assoluto relativo alle cause promosse dal 1953 al 2009 mostra che su un totale di 16204, 6620 sono le domande pregiudiziali, di cui 1007 provenienti da giudici italiani (103 dalla Corte di Cassazione, 1 dalla Corte Cotituzionale, 63 dal Consiglio di Stato e 840 da altri organi giurisdizionali). 127 CG, sent. 17 luglio 2008, Corporación Dermoestética, C-500/06, Racc. p. I-5785, punti 21 e 23. 126

172


Cosicché l’oggetto del procedimento pregiudiziale risulta sostanzialmente delineato dal giudice nazionale attraverso la scelta dei quesiti da sottoporre alla Corte 128, anche se quest’ultima – nell’ottica della massima collaborazione ed al dichiarato intento di rendere una pronuncia utile per la soluzione della causa principale – non ha esitato ad intervenire direttamente sugli stessi129, estrapolandoli dalla domanda ove non espressamente formulati130, riformulando quelli posti in modo inappropriato131, procedendo ad un accorpamento di quelli eccessivamente numerosi o ridondanti, disponendoli in un ordine gerarchico o in un diverso ordine logico o, in ultima analisi, anche dichiarandoli irricevibili. Il procedimento pregiudiziale costituisce, in definitiva, uno strumento di cooperazione132 tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione necessari per risolvere le controversie dinanzi ad essi pendenti133. Nel dialogo che così si instaura tra giudice del rinvio e Corte, è dunque prerogativa del primo, che è l’unico ad avere piena cognizione dei fatti di causa, l’essere nella situazione più idonea a valutare la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter emettere la propria sentenza134.

Ne consegue, secondo la Corte, che se le questioni

In assenza di prescrizione in ordine al tipo di provvedimento prescelto per disporre il rinvio, v’è un’assoluta libertà di forma nell’adozione dello stesso (il nostro ordinamento prevede la forma dell’ordinanza, v. art. 3 L. 13.3.1958, n. 204) e il giudice nazionale è altresì libero di deciderne il contenuto. 129 Cfr., ad es., sentt. 21.2.2008, Telecom Italia, C-296/06, Racc. p. I-801, punti 18-20, e 11.10.1990, Nespoli et Crippa, C-196/89, Racc. p. I-3647, punti 8 e 9. 130 CG, sent. 25 febbraio 2010, Pontina Ambiente, C-172/08, non pubb. in Racc., punto 28. 131 CG, sent. 13.7.1994, OTO, C-130/92, Racc. p. I-3281, punti 14 e 15. V. anche CG ordinanza 13.1.2010, Calestani e Lunardi, C-292/09 e C-293/09, non ancora pubblicata in Racc., punti 15-17. 132 CG, ordinanza 13.7.2006, Eurodomus, C-166/06, Racc. p. I-90*, punto 41. 133 CG, sent. 14.9.2006, Stradasfalti, C-228/05, Racc. p. I-8391, punto 44. Per la precisione, la Corte non valuta la compatibilità con il diritto dell’Unione della disposizione nazionale apparentemente con esso in conflitto, ma è esclusivamente competente a fornire al giudice interno gli elementi di interpretazione ricavabili dal diritto dell’Unione idonei a consentirgli di pronunciarsi su tale compatibilità per la decisione della causa principale. 134 CG, sent. 25.3.2004, Azienda Agricola Ettore Ribaldi e.a., da C-480/00 a C-482/00, C-484/00, da C-489/00 a C-491/00 e da C-497/00 a C-499/00, Racc. p. I-2943, punto 72; cfr. anche CG sent. 16.7.1992, C-83/91, Meilicke, Racc. p. I-4871. 128

173


sollevate dal giudice del rinvio vertono sull’interpretazione del diritto dell’Unione, essa è, in via di principio, tenuta a statuire135. Siffatta ripartizione di ruoli e competenze impedirebbe pertanto alla Corte, quanto meno in astratto, di sindacare i termini della questione, di valutare la veridicità e l’esattezza della ricostruzione in fatto operata nel provvedimento di rinvio e, conseguentemente, di apprezzare la stessa rilevanza della questione sottopostale (la giurisprudenza parla, in proposito, di "presunzione di rilevanza"136). Ed in effetti, per lungo tempo, la Corte si è mostrata riluttante ad esaminare la pertinenza del quesito pregiudiziale o a sindacare la motivazione del provvedimento di rinvio. Ciò nondimeno, come la giurisprudenza ha precisato nel corso degli anni, la competenza del giudice nazionale non può considerarsi esclusiva e va contemperata con l’esigenza di preservare la funzione assegnata alla Corte, che è quella di contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche137. 3. - La Corte ha così stabilito progressivamente una serie di requisiti alla cui stregua valutare la pertinenza delle questioni sottopostele, dichiarandole, se del caso, irricevibili. Al riguardo, è possibile contestualizzare un primo segnale di cambiamento intorno ai primi anni ottanta del secolo scorso, con la nota sentenza Foglia c. Novello138. Sino ad allora, infatti, il numero relativamente esiguo di cause, da un lato, e la consapevolezza di contribuire significativamente, attraverso le proprie pronunce, al processo di integrazione europea, avevano fatto sì che la Corte trovasse sempre, o quasi, il modo di rispondere alle sollecitazioni provenienti dai giudici nazionali. È dunque in questi anni, forse anche in considerazione dei vari allargamenti già realizzati e di quelli in fieri, che la Corte ha iniziato a predisporre dei filtri volti

Ex multis, CG, ord. 13.7.2006, Eurodomus, C-166/06, Racc. p. I-90*, punto 4, e sent. 21.1.2003, C318/00, Bacardi-Martini e Cellier des Dauphins, Racc. p. I-905. 136 CG, sent. 5.12.2006, Cipolla e.a., C-94/04 e C-202/04, Racc. p. I-11421, punto 25. 137 CG, sent. 14.9.2006, Stradasfalti, C-228/05, Racc. p. I-8391, punto 45. V. anche CG, sentt. 22.11.2005, Mangold, C-144/04, Racc. p. I-9981 e 8.9.2009, Budĕjovický Budvar, C-478/07, non ancora pubb. in Racc.. 138 CG, sent. 11.3.1980, Foglia, 104/79, Racc. p. 745, punti 10-12. 135

174


sostanzialmente a fronteggiare il numero crescente di domande pregiudiziali, oltre che l'incremento in termini assoluti del carico di lavoro (siamo ancora in un periodo in cui la Corte era una giurisdizione unica!). Ma il vero punto di svolta è rappresentato dalla sentenza Telemarsicabruzzo139 del 1993, nella quale, per la prima volta, la Corte, pur avendo acquisito degli elementi di fatto e di diritto agli atti di causa, ha ritenuto che non occorresse statuire sui quesiti posti dal giudice nazionale (nella fattispecie, il vicepretore di Frascati) a causa del carattere lacunoso dell’ordinanza di rinvio. Attraverso tale pronuncia, che verrà spesso richiamata nella giurisprudenza successiva, la Corte eleva dunque a regola generale l’obbligo di motivare il provvedimento (ordinanza, in diritto italiano) attraverso il quale il giudice nazionale le sottopone, in via pregiudiziale, dei quesiti di interpretazione o di validità140, pena l’irricevibilità dello stesso. Sebbene non sia affatto agevole sistematizzare le diverse tipologie di ordinanze di irricevibilità emanate dalla Corte, è possibile nondimeno individuare dei temi ricorrenti in tali pronunce141. 4. - In primo luogo, la Corte ha dichiarato irricevibili le questioni pregiudiziali manifestamente non rilevanti per la soluzione della causa principale. Al riguardo, se è vero che la valutazione della rilevanza delle questioni spetta al giudice a quo, è altrettanto vero che, nel rispetto dello spirito di cooperazione reciproca, la Corte verifica che il giudice del rinvio non abbia oltrepassato i limiti del potere discrezionale che gli viene di norma riconosciuto142. Cosicché sono state dichiarate irricevibili questioni pregiudiziali non aventi alcuna relazione con le concrete circostanze o l’oggetto della causa principale 143, poste in

CG, sent. 26.1.1993, C-320/90, C-321/90 e C-322/90, Racc. p. I-393. Giova precisare che, solo qualche anno prima, nel 1985, sempre in una causa pregiudiziale italiana la Corte aveva affermato sostanzialmente l’opposto, ritenendo che, nonostante l’assenza di motivazione, sarebbe stato contrario alle ragioni di economia della procedura non rispondere ai quesiti sollevati sulla base di questo solo motivo, v. CG, sent. 12.6.1986, Bertini e.a., 98/85, 162/85 e 258/85, Racc. p. 1885. 141 Cfr., per un caso in cui la Corte ritiene ricevibili le questioni, nonostante le svariate eccezioni sollevate al riguardo da alcuni Stati membri intervenuti nel processo, v. ad es., CG, sent. 28.6.2007, Dell'Orto, C-467/05, Racc. p. I-5557, punti 40-49. 142 Per un'ampia ricostruzione della giurisprudenza sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità delle questioni, v. CG, sent. 31.1.2008, Centro Europa 7, C-380/05, Racc. p. I-349. 143 CG, ord. 26.1.1990, Falciola, C-286/88, Racc. p. I-191. 139 140

175


un giudizio già concluso144, aventi carattere generale e meramente ipotetico145, aventi ad oggetto questioni interpretative la cui soluzione non era necessaria ai fini della decisione della causa principale146 e, infine, sollevate in cause nel cui ambito il diritto dell’UE non era applicabile147. In secondo luogo, la Corte ha ritenuto irricevibili le questioni pregiudiziali contenute in provvedimenti di rinvio nei quali il giudice a quo aveva omesso di definire il contesto di fatto e di diritto in cui si inserivano le questioni sollevate o di spiegare almeno l’ipotesi di fatto su cui tali questioni erano fondate148. In mancanza di tali elementi, la Corte non è, infatti, in grado di assicurare i diritti dei soggetti legittimati a presentare osservazioni (in particolare, gli Stati membri) né di fornire al giudice nazionale una risposta utile149. In terzo luogo, ha considerato irricevibili le questioni sollevate nell’ambito di una controversia fittizia150. La Corte ha tuttavia mostrato estrema cautela al riguardo, esitando a considerare fondate eccezioni di irricevibilità relative al carattere artificiale della controversia nazionale151. Va, da ultimo, precisato che la dichiarazione di irricevibilità di una questione pregiudiziale resta, in linea di principio, l'extrema ratio. Peraltro, sempre nell'ottica di piena collaborazione che ispira il dialogo e la cooperazione tra il giudice nazionale e la Corte, quest'ultima dispone della possibilità, cui però fa ricorso sporadicamente, di chiedere CG, sent. 21.4.1988, Pardini, 338/85, Racc. p. 2041. CG, sent. 16.7.1992, Lourenço Dias, Racc. p. I-4673. Al riguardo, giova segnalare che anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana ritiene inammissibili le questioni ipotetiche o teoriche. 146 CG, sent. 4.12.2003, EVN e Wienstrom, C-448/01, Racc. p. I-14527. 147 CG, sentt. 29.5.1997, Kremzow, C-299/95, Racc. p. I-2629 - in cui la Corte non ha riscontrato alcun fattore di collegamento col diritto dell’UE, e 10.1.2006, Ynos, C-302/04, Racc. p. I-371, relativa ad un caso di inapplicabilità ratione temporis del diritto dell’UE; v. altresì, CG, ord. 3.10.2008, Savia e a., C-287/08, non pubb. in Racc., punti 7 e 8. 148 CG, sent. 19.4.2007, C-295/05, Asemfo, Racc. p. II-2999. 149 CG, sentt. 26.1.1993, Telemarsicabruzzo, C-320/90, Racc. p. I-393; 17.2.2005, Viacom Outdoor, C134/03, Racc. p. I-1167; 8.9.2009, Liga Portuguesa de Futebol Profissional, C-42/07, non ancora pubb. in Racc.. 150 CG, sentt. 11.3.1980, Foglia, 104/79, Racc. p. 745. 151 CG, sentt. 21.9.1988, Van Eycke, 267/86, Racc. p. 4769; 22.11.2005, Mangold, C-144/04, Racc. p. I-9981. La ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale non è così stata esclusa per il fatto che le parti fossero d’accordo sul risultato da ottenere, dal momento che la questione rispondeva ad un bisogno oggettivo inerente alla soluzione della causa principale; v. CG, sent. 9.2.1995, Leclerc-Siplec, C-412/93, Racc. p. I-179. 144 145

176


chiarimenti al giudice del rinvio al fine di dissipare ogni dubbio in ordine alla ricevibilità delle questioni sollevate152 (v., al riguardo, l'art. 104, par. 5, reg. proc.). 5. - Passo ora, come anticipato, all'esame radiografico dei casi in cui la Corte ha rigettato le domande di pronuncia pregiudiziale sottopostele da organi giurisdizionali italiani. Sono assolutamente persuaso, infatti, che lo studio degli aspetti cd. patologici dei provvedimenti di rinvio possa rivelare spunti di riflessione interessanti. Ciò è ancor di più vero allorché si focalizza l'attenzione su un solo paese, perché è anche nelle pieghe della cultura giuridica di quest'ultimo che possono talvolta insinuarsi pratiche e/o metodologie scorrette. Per sgomberare il campo da equivoci, dico subito che è difficile cogliere questo aspetto specifico come dominante nella disamina da me fatta. Vi sono tuttavia un'altra serie di elementi, alcuni dei quali sottoporrò alla vostra riflessione, che possono aiutare a fornire una chiave di lettura del fenomeno. Preliminarmente, è utile fornire qualche precisazione riguardo alla metodologia di indagine seguita. Le pronunce in cui la Corte ha rifiutato di rispondere ai quesiti pregiudiziali di giudici italiani possono essere suddivise in ordinanze e sentenze. Nel caso delle ordinanze, il rigetto delle domande avviene in toto153, mentre, nel caso delle sentenze, solo alcuni dei quesiti posti vengono rigettati mentre altri trovano risposta. Premetto che la ricerca da me effettuata con l'ausilio della banca dati interna della Corte presenta un certo margine di aleatorietà, dovuto soprattutto, a mio avviso, al differente inquadramento nel tempo di alcuni descrittori e al diverso utilizzo di alcune parole-chiave. Se sono abbastanza sicuro sull'affidabilità del risultato relativamente alle ordinanze di irricevibilità lato sensu, che poi sono, ai nostri fini, le più importanti, un minor margine

CG, ord. 11.3.2008, Consel Gi. Emme, C-467/06, Racc. p. I-44*, punto 14; cfr. anche sent. 8.11.2007, Schwibbert, C-20/05, Racc. p. I-9447. Da ultimo, CG, sent. 11.3.2010, Attanasio Group, C-384/08, non ancora pubb. In Racc., punti 28 e 29. 153 Va, tuttavia, osservato che nei casi, a mio avviso isolati, Foglia c. Novello e Telemarsicabruzzo la Corte ha rigettato le questioni pregiudiziali in toto con sentenza. 152

177


di sicurezza ritengo di poter attribuire al risultato relativo alle sentenze che hanno dichiarato parzialmente irricevibili le questioni pregiudiziale di origine italiana. Complessivamente ho individuato 64 pronunce relative a questioni italiane (di cui ben 34 sono ordinanze) rese dalla Corte dal suo insediamento ad oggi, il che non è di certo un dato trascurabile. Ho poi cercato di interpretare il dato assoluto in termini relativi, vale a dire comparandolo con quello di altri paesi. Ho così proceduto ad una ricerca attraverso le parole-chiave: "rinvio pregiudiziale" e "rigetto per irricevibilità". Così facendo, ho rinvenuto solo 44 casi italiani (e non 64 come indicato poc'anzi) su un totale di 132. Si tratta dunque di un dato non del tutto affidabile in termini assoluti, ma omogeneo e quindi utilizzabile per svolgere qualche considerazione di ordine comparativo. Ebbene su 132 casi di irricevibilità (di cui ben 44 italiani) ve ne sono, per citarne alcuni, 20 francesi, 16 tedeschi, 15 austriaci, 9 belgi, 7 spagnoli, 3 olandesi e, addirittura, 0 svedesi. Se il dato italiano è di per sé eloquente154, dal momento che i casi italiani rappresentano oltre il 30% del totale, per gli altri paesi è necessario fornire qualche ulteriore dato. Il primo paese, in termini di questioni pregiudiziali proposte, è la Germania con 1731 casi, segue l'Italia con 1007, poi la Francia con 783, i Paesi Bassi con 743, il Belgio con 614 (5 dei 6 paesi fondatori). Tra gli altri Stati citati, c'è l'Austria con 348 casi, la Spagna con 222 e la Svezia con 81. Direi che, tra tutti, spicca il dato estremamente esiguo, in rapporto al numero totale di questioni proposte, di Germania e Paesi Bassi. Non rientrando, tuttavia, tra gli obiettivi di questa disamina quello di stilare classifiche, indirizzerei di nuovo la nostra attenzione sul dato italiano, al fine di introdurre qualche ulteriore elemento di riflessione. Sempre prendendo come dato di partenza quello dei 44 casi di irricevibilità, emerge che il record dei rigetti spetta ai rinvii pregiudiziali dei Tribunali, ben 17. 11 casi riguardano rinvii operati dalle ex preture, 2 dalla Corte di Cassazione (di cui Come ho ricordato prima, vi sono state a tutt'oggi ben 1007 domande pregiudiziali proposte da organi giurisdizionali italiani su un totale di 6620. Esse rappresentano dunque, in percentuale, circa il 15% del totale. 154

178


un'ordinanza e una sentenza che dichiara irricevibili solo alcuni quesiti). C'è invece 1 solo caso riguardante le Corti d'Appello. 5 sono i casi dei Giudici di pace, 3 dei TAR, mentre i restanti riguardano la Corte dei Conti ed i vari tipi di Commissioni tributarie. La maggior parte di questi casi, in linea con quanto detto poc'anzi, si colloca nell’arco temporale che va dal 1993 al 2010, con una distribuzione abbastanza regolare nel corso dei vari anni, senza registrare picchi degni di nota (dovuti talvolta alla serialità di alcuni quesiti). Ed ancora: numerosi sono i casi riguardanti le giurisdizioni inferiori, quasi inesistenti quelli riguardanti le giurisdizioni superiori. 6. - La lettura globale di questi dati è, a mio avviso, confortante per quanto riguarda la magistratura ordinaria. Infatti, il numero di casi di irricevibilità riconducibili a domande di pronuncia pregiudiziale proposte dalla magistratura ordinaria supera di poco la metà della somma totale (debitamente detratti alcuni casi attribuibili a magistrati onorari), il che va ulteriormente relativizzato in relazione al carico di lavoro complessivo cui questa deve far fronte. Su un piano più generale, inoltre, non può trascurarsi il fatto che, come abbiamo detto, oltre 1000 sono i rinvii pregiudiziali italiani155. Entrando nel merito delle varie pronunce, va osservato che esse riflettono sostanzialmente quanto detto poc'anzi in termini più generali. Possiamo individuare, infatti, pronunce in cui la Corte ha dichiarato i quesiti irricevibili (in toto o in parte), altre in cui si è dichiarata incompetente, altre ancora in cui ha utilizzato la formula del "non luogo a statuire". Diversi sono, invece, i casi in cui la Corte rifiuta di rispondere ai quesiti posti dal giudice a quo, allorché le norme dell'Unione di cui è chiesta l'interpretazione non siano applicabili alla fattispecie oggetto della causa, in quanto si tratta di una situazione cd. "puramente interna" (ambito quest'ultimo in cui è peraltro difficile tracciare la linea di demarcazione tra questioni ricevibili e irricevibili e che esorbita dal presente contributo).

Anche in questo ambito, come in altri, volendo trovare un motivo di vanto, possiamo affermare che i rinvii pregiudiziali italiani considerati irricevibili hanno dato origine a sentenze molto importanti della Corte, quali, ad es., le già citate Foglia c. Novello e Telemarsicabruzzo, che fanno parte della storia della giurisprudenza della Corte. 155

179


Quanto alle materie trattate, sono assolutamente predominanti i casi in cui i quesiti rigettati dalla Corte vertevano sull’interpretazione delle norme in materia di concorrenza e aiuti di stato, spesso in abbinamento o in alternativa alla richiesta di interpretazione delle norme

in

materia

di

libera

circolazione.

Rari

sono,

invece,

i

casi

vertenti

sull’interpretazione di disposizioni specifiche o di carattere tecnico 156. La circostanza che il provvedimento di rinvio non sia reso pubblico, considerato che di esso non si dà quasi conto nell’ordinanza (o nella sentenza) della Corte, rende per definizione difettoso qualsiasi tentativo di analisi dall’esterno. Va tuttavia segnalato che, soprattutto, nei casi più recenti, alcuni dei provvedimenti di rinvio pregiudiziale italiani, dichiarati poi irricevibili, si sono caratterizzati non di certo per la loro lacunosità, dal momento che talvolta appaiono sin troppo dettagliati, ma per il fatto che non sono riusciti a spiegare sufficientemente le ragioni sottostanti alla proposizione dei quesiti pregiudiziali. Le ordinanze della Corte, dal canto loro, rivelano anch'esse negli ultimi tempi uno sforzo di motivazione maggiore, sebbene appaiano sostanzialmente ricalcate l'una sull'altra. Faccio osservare, infine, che vi sono casi, non molti, in cui le ordinanze di rinvio si piegano agli interessi delle parti, le quali sperano talvolta di poter scardinare la normativa nazionale, con la leva del meccanismo pregiudiziale, facendo genericamente richiamo a disposizioni o principi del diritto dell'Unione. In questi casi, in cui il giudice è, di fatto, venuto meno alla sua funzione di filtro e di mediazione tra le parti del processo e la Corte, la debolezza argomentativa del provvedimento di rinvio, sebbene spesso celata dietro un'imponente ricostruzione giurisprudenziale e normativa, costituisce spesso la ragione principale del rigetto delle questioni da parte della Corte. Un'ultima notazione riguarda, invece, l'atteggiamento non lineare in cui persevera la Corte nell’affrontare il tema della ricevibilità delle questioni pregiudiziali. Si pensi, ad es., alla vicenda dei due rinvii operati, a distanza di poco più di un anno, dal Giudice di Pace Forse perché nei casi in cui la questione verte effettivamente su questioni specifiche o tecniche, il giudice compie uno studio approfondito e, nel momento in cui decide di operare il rinvio, ha una conoscenza molto precisa dei fatti di causa e delle questioni giuridiche che si pongono. 156

180


di Bitonto157 nell'ambito di cause di risarcimento danni avviate dai consumatori nei confronti delle compagnie di assicurazioni, colpevoli di aver posto in essere un intesa, sanzionata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, per la fissazione dei prezzi delle polizze RCA. In tale vicenda, nonostante i quesiti posti nelle due ordinanze di rinvio fossero sostanzialmente simili, la Corte ha probabilmente ritenuto inopportuno rigettarli anche la seconda volta, malgrado le numerose eccezioni sollevate da alcune delle parti. La spiegazione può forse essere rinvenuta nel fatto che, quando il secondo provvedimento di rinvio è pervenuto a Lussemburgo, la Commissione aveva già avviato una serie di iniziative riguardo alla possibilità di intervenire normativamente nell’ambito del cd. private enforcement del diritto antitrust. In siffatto contesto, il rinvio pregiudiziale in questione si rivelava dunque particolarmente propizio per la Corte, consentendole di esprimere autorevolmente il proprio pensiero sulla materia. 7. - In conclusione, se, per dirla con le parole del compianto Avvocato generale RuizJarabo Colomer, siamo talvolta in presenza di «una giurisprudenza casistica e poco scientifica»158 della Corte in materia di ricevibilità, il che non agevola certo il compito del giudice nazionale, ciò nondimeno quest'ultimo è oggi chiamato a svolgere in pieno il suo ruolo di principale interprete e applicatore del diritto dell'Unione, evitando di sottoporre alla Corte quesiti votati all'insuccesso, perché se è vero che un'ordinanza di irricevibilità è, in prima battuta, un insuccesso per il giudice e le parti del processo a quo, essa lo è ancor più per il buon funzionamento della giustizia italiana e europea.

V. supra, nota n. 2. Conclusioni dell'AG Ruiz-Jarabo Colomer del 28 giugno 2001 nella causa De Coster, C-17/00, Racc. p. I-9445, punto 14, nota 18. 157 158

181


Stefano G. Guizzi La pregiudiziale comunitaria nella giurisprudenza della Corte costituzionale dopo l’ordinanza n. 103 del 2008

Indice: 1.- Premessa: l’«integrazione» dell’ordinamento comunitario in quello interno e le sue conseguenze (cenni). 2.- La fattispecie oggetto dell’ordinanza n. 103 del 2008 della Corte costituzionale. 3.- (Segue.) Il rinvio pregiudiziale del Giudice delle leggi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea: condizioni e limiti. 4.- Luci ed ombre della pronuncia in esame. 5.- La mutata posizione delle norme comunitarie nel sistema delle fonti del diritto italiano. 6.- La rinnovata configurazione dei “controlimiti” alla primautè comunitaria. 7.Verso la nascita di un «diritto costituzionale comune»?

1. A più di due anni di distanza, ormai, dall’ordinanza n. 103 del 2008159, la disamina dei rapporti tra Corte costituzionale italiana e Corte di Giustizia delle Comunità europee (o meglio, dell’Unione europea) continua ad essere dominata dalla valutazione di tale importante decisione e, soprattutto, delle sue implicazioni anche di carattere sistematico. Salutata come una «significativa svolta» nel «cammino comunitario» 160 del giudice italiano delle leggi, la citata ordinanza (e la sentenza n. 102 del 2008161, che ne costituisce,

L’ordinanza in questione è stata variamente commentata in diverse riveste giuridiche; in particolare si vedano – oltre ai contributi esaminati di seguito – M. CARTABIA, La Corte costituzionale e la Corte di giustizia: atto primo, in Giurisprudenza Costituzionale, 2008, p. 1312 e ss; A. COSSIRI, La prima volta della Corte costituzionale a Lussemburgo. Dialogo diretto tra Corti, costituzionale e di giustizia, ma nei soli giudizi in via principale, in www.forumcostituzionale.it; L. PESOLE, La Corte costituzionale ricorre per la prima volta al rinvio pregiudiziale. Spunti di riflessione sull’ordinanza n. 103 del 2008, in www.federalismi.it. 160 In tal senso F. SORRENTINO, Svolta della Corte sul rinvio pregiudiziale: le decisioni n. 102 e n. 103 del 2008, in Giurisprudenza Costituzionale, 2008, 1288 e ss. 161 Sulla quale si veda L. ANTONINI, La sent. 102 del 2008: una tappa importante per l’autonomia impositiva regionale, in Giurisprudenza Costituzionale, 2008, p. 2641; M. BARBERO, Se il federalismo fiscale diventa questione di ... principi, in Le Regioni, 2008, p. 723. 159

182


per certi versi, il necessario completamento) rappresenta un vero e proprio overruling162 nella sua giurisprudenza. Viene, infatti, abbandonato quell’originario orientamento con cui la Corte costituzionale – sul presupposto della propria natura di organo non giurisdizionale, ma di «controllo costituzionale» – aveva escluso di essere legittimata a sollevare questione pregiudiziale di interpretazione del diritto comunitario innanzi alla Corte di Giustizia (in tal senso si veda l’ordinanza n. 536 del 1995163, che riprende e sviluppa quanto già affermato nella sentenza n. 13 del 1960). Si è, dunque, al cospetto di un elemento di profonda novità rispetto al passato (anzi, di vera e propria rottura), al quale, curiosamente, ha fatto eco un certo understatement della Corte costituzionale, che nell’enunciare il nuovo indirizzo ha persino omesso di richiamare – seppure per discostarsene – i due precedenti contrari appena ricordati. Ma forse coglie nel segno chi sottolinea come non meno «immotivata»164– della scelta di affermare la propria legittimazione ad adire la Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234 (già 177) del Trattato istitutivo della Comunità europea – fosse stata l’opposta tesi sostenuta in passato dai giudici della Consulta. Più che interrogarsi, dunque, sulle ragioni che hanno indotto l’ordinanza n. 103 del 2008 a tentare di accreditare una (per vero inesistente) linea di continuità con la precedente giurisprudenza costituzionale, appare utile valutare – come si osservava in premessa – quali sono le conseguenze che sembrano scaturire da tale decisione, non solo nella dinamica delle relazioni tra le due Corti, ma negli stessi rapporti tra l’ordinamento nazionale e quello dell’Unione europea. In particolare, di grande interesse appare quel passaggio della decisione in esame ove si legge che, con la ratifica dei Trattati istitutivi della Comunità europea, «l’Italia è entrata a far parte dell’ordinamento comunitario, e cioè di un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato con quello interno», giacché essa appare come la definitiva Così S. BARTOLE, Pregiudiziale comunitaria ed “integrazione” di ordinamenti, in www.forumcostituzionale.it. 163 Sulla quale si veda A. BARONE, Corte costituzionale e diritto comunitario: vecchie questioni e nuovi interrogativi, in Il Foro Italiano, 1996, I, p. 783 e ss. 164 Nuovamente F. SORRENTINO, op. cit., p. 1289. 162

183


accettazione di quella concezione “monista” dei rapporti tra i due ordinamenti, sempre proposta dalla Corte di Lussemburgo, ma mai avallata dalla Corte costituzionale italiana. Che, poi, da tale visione unitaria derivino concrete ricadute almeno su di un triplice piano – un differente inquadramento delle norme europee nel sistema italiano delle fonti del diritto, una rinnovata configurazione della stessa “teoria dei controlimiti” alla primautè comunitaria165, nonché l’avvio di una possibile collaborazione delle due Corti nella creazione, «in via pretoria», di «una sorta diritto costituzionale comune» 166 – è quanto si cercherà di dimostrare nel prosieguo di questa relazione.

2. In via preliminare, tuttavia, appare necessario procedere alla disamina del contenuto dell’ordinanza n. 103 del 2008 della Corte costituzionale. La Corte era stata chiamata a pronunciarsi – su ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, e dunque nell’ambito di un giudizio in via principale – sulla legittimità costituzionale, tra gli altri167, dell’art. 4 della legge della Regione Sardegna n. 4 del 2006. In particolare, tra le varie questioni sottoposte al suo vaglio, vi era quella relativa al contrasto tra tale disposizione e l’art. 117, primo comma, Cost. Era stato, infatti, ipotizzato che la norma regionale – nell’istituire un’imposta sullo scalo turistico delle unità da diporto e degli aeromobili e nel porre la stessa soltanto a carico delle imprese non fiscalmente domiciliate nel territorio regionale (esercenti, È noto che la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 183 del 1973 – pur riconoscendo che l’art. 11 Cost., nello stabilire «l’apertura dell’Italia alle più impegnative forme di collaborazione e organizzazione internazionale», ha avuto l’effetto di legittimare, tra l’altro, «le limitazioni dei poteri dello Stato in ordine all’esercizio delle funzioni legislativa, esecutiva e giurisdizionale, quali si rendevano necessarie per la istituzione di una Comunità tra gli Stati europei» – ha escluso, nel contempo, che «siffatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma», possano «comunque comportare per gli organi della C.E.E. un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana», individuando, così, negli uni come negli altri, altrettanti “controlimiti” al “primato” del diritto comunitario. Sulla sentenza n. 183 del 1973 si vedano, tra gli altri, P. BARILE, Il cammino comunitario della Corte, in Giurisprudenza Costituzionale, 1973, p. 2406 e ss.; P. MENGOZZI, Un orientamento radicalmente nuovo in tema di rapporti tra diritto italiano e diritto comunitario, in Rivista di diritto internazionale, 1974, p. 708 e ss. 166 Secondo la suggestiva prospettiva – sulla quale si tornerà diffusamente nella parte conclusiva di questo scritto – indicata da F. SORRENTINO, op. cit., in particolare p. 1291. 167 Le altre questioni di costituzionalità sono state, invece, definite dalla già citata sentenza n. 102 del 2008. 165

184


rispettivamente, unità da diporto, ovvero attività di trasporto aereo senza compenso, rientrante nella cosiddetta “aviazione generale di affari” 168) – violasse gli art. 49 e 87 del Trattato CE. Si assumeva, segnatamente, che il differente regime fiscale riservato ad imprese che pure svolgono la medesima attività costituisse, per un verso, una discriminazione a carico di quelle prive di domicilio fiscale nella Regione, nonché, per altro verso, un vantaggio economico concorrenziale per le imprese domiciliate in Sardegna; esse, difatti, sarebbero poste in condizione di fruire non di un’agevolazione fiscale, in senso proprio, ma sicuramente di un minor costo. Allo scopo dunque di chiarire se l’evenienza da ultimo descritta fosse suscettibile di integrare la fattispecie dell’aiuto di Stato, vietata dall’art. 87 del Trattato CE, la Corte costituzionale, nel prendere atto dell’assenza di precedenti specifici nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha ravvisato l’esistenza di «un dubbio circa la corretta interpretazione – tra quelle possibili – delle evocate disposizioni comunitarie» e con esso la necessità di «procedere al rinvio pregiudiziale»169.

3. Quanto, poi, al ragionamento svolto dalla Corte costituzionale per giustificare la propria legittimazione a provvedere a norma dell’art. 234 del Trattato CE, lo stesso si è articolato nei seguenti passaggi. La Corte, come già rilevato, muove dalla premessa che con la ratifica dei Trattati comunitari «l’Italia è entrata a far parte dell’ordinamento comunitario, e cioè di un ordinamento giuridico autonomo, integrato e coordinato con quello interno», avendo con ciò «trasferito, in base all’art. 11 Cost., l’esercizio di poteri anche normativi (statali, regionali o delle Province autonome) nei settori definiti dai Trattati medesimi».

Ovvero quella effettuata senza remunerazione, per motivi attinenti alla propria attività di impresa. Per quel che può qui interessare, deve notarsi che la Corte di Lussemburgo – sentenza 17 novembre 2009, nella C-169/08 – ha effettivamente ravvisato, nel caso di specie, una violazione dell’art. 49 del Trattato CE. Su tale decisone si veda S. DORIGO, La Corte di Giustizia e la «tassa sul lusso» della Regione Sardegna: rilevanza comunitaria dei controlimiti e ulteriore compressione della sovranità fiscale dello Stato (nota a Corte di Giustizia Ce, Grande Sezione, causa C-169/08/2009); in Rivista di diritto tributario, 2010, p. 85 e ss. 168 169

185


Viene, inoltre, ribadito il principio della primautè comunitaria170, precisando però che «le norme dell’ordinamento comunitario vincolano in vario modo il legislatore interno, con il solo limite dell’intangibilità dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inviolabili dell’uomo», in quanto tale vincolo «opera con diverse modalità», ed in particolare «a seconda che il giudizio penda innanzi al giudice comune ovvero davanti alla Corte costituzionale a seguito di ricorso proposto in via principale». Difatti, nel primo caso risulta preclusa l’applicazione di norme di legge (statali o regionali) «non compatibili con norme comunitarie aventi efficacia diretta», potendo, peraltro, il giudice comune «all’occorrenza» avvalersi – «al fine dell’interpretazione delle pertinenti norme comunitarie» – anche del «rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE di cui all’art. 234 del Trattato CE». Nel secondo caso, invece, le norme comunitarie «fungono da norme interposte», ovvero «rendono concretamente operativo il parametro costituito dall’art. 117 primo comma, Cost.»171, permettendo alla Corte costituzionale di

Fenomeno, questo del primato del diritto comunitario, che ha assunto – negli anni – una portata sempre più ampia. In proposito sembra utile ricordare – anche per l’attinenza che presenta con il tema oggetto dell’ordinanza in esame (ovvero quello degli “aiuti di Stato”) – l’ordinanza n. 36 del 2009 della Corte costituzionale. Essa ha escluso l’incostituzionalità dell’obbligo di restituzione, da parte dei contribuenti, di importi corrispondenti ad agevolazioni fiscali dagli stessi godute in base a norme di legge, agevolazioni successivamente qualificate come “aiuti di Stato” dalla Corte europea di Giustizia. Pronuncia sulla quale si è ritenuto di doversi soffermare giacché denota – come è stato acutamente osservato – non soltanto il peculiare rilievo attribuito all’esigenza «di recuperare per quanto possibile ex tunc gli aiuti di Stato illegittimi, per evitare le distorsioni del mercato europeo», ma anche la possibilità che la primautè comunitaria giustifichi finanche «un capovolgimento dell’affidamento della legge» e, dunque, la «rilettura di un principio nazionale alla luce del diritto comunitario»; in tal senso A. CELOTTO, La (corretta) presbiopia comunitaria della Corte costituzionale, in Giurisprudenza Costituzionale, 2009, p. 287 e ss. 171 In effetti la Corte costituzionale, con la sentenza n. 348 del 2007 – nel ribadire che le norme comunitarie «debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione eguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari», nonché nel rammentare come il «fondamento costituzionale di tale efficacia diretta» sia stato tradizionalmente «individuato nell’art. 11 Cost., nella parte in cui consente le limitazioni della sovranità nazionale necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni» – ha, nondimeno, escluso «che l’art. 117, primo comma, Cost., nel nuovo testo, possa essere ritenuto una mera riproduzione in altra forma di norme costituzionali preesistenti» (e, dunque per quel che qui interessa, del suddetto art. 11 Cost.), negando «che lo stesso sia da considerarsi operante soltanto nell’ambito dei rapporti tra lo Stato e le Regioni». Su tale pronuncia (e su quella “gemella” n. 349 del 2007), si vedano – tra gli altri – M. CARTABIA, Le sentenze "gemelle": diritti fondamentali, fonti, giudici, in Giurisprudenza costituzionale, 2007, p. 3564 e ss.; M. 170

186


procedere allo scrutinio di costituzionalità della norma oggetto dell’impugnativa in via principale. In sostanza, «questi due diversi modi di operare delle norme comunitarie» – secondo la pronuncia che qui si esamina – costituirebbero un riflesso delle «diverse caratteristiche dei due giudizi». In quello pendente innanzi al giudice comune, infatti, si tratta soltanto di assicurare la prevalenza della norma comunitaria, secondo il consueto strumento della disapplicazione della norma interna con essa contrastante, all’esito di una valutazione interamente rimessa al giudice comune e rispetto alla quale può costituire, eventualmente, adempimento pregiudiziale – in assenza di quello che la giurisprudenza comunitaria definisce come «atto chiaro» (cioè a dire, in caso di dubbio sull’esatta interpretazione della norma comunitaria172) – la necessità di adire la Corte di Lussemburgo ex art. 234 del Trattato CE. Nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale, per contro, la valutazione di conformità del diritto interno a quello comunitario – per dirlo con le esatte parole della Corte – «si risolve, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., in un giudizio di legittimità costituzionale, con la conseguenza che, in caso di riscontrata difformità, la Corte non procede alla disapplicazione della legge, ma ne dichiara l’illegittimità costituzionale con efficacia erga omnes». Ricorrendo, pertanto, tale evenienza, «la Corte costituzionale, pur nella sua peculiare posizione di supremo organo di garanzia costituzionale nell’ordinamento interno, costituisce giurisdizione nazionale ai sensi dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato CE, e, in particolare, una giurisdizione di unica istanza (in quanto contro le sue decisioni – per il disposto di cui all’art. 137, terzo comma, Cost. – non è ammessa alcuna impugnazione)». Ne consegue, quindi, che «nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale» la Corte si reputa «legittimata a proporre questione pregiudiziale davanti alla Corte di

LUCIANI, Alcuni interrogativi sul nuovo corso della giurisprudenza costituzionale in ordine ai rapporti tra diritto italiano e diritto internazionale, in Il Corriere giuridico, 2008, p. 201 e ss. 172 Ricorre tale evenienza – secondo la stessa Corte di Lussemburgo – allorché le fonti comunitarie non siano univocamente interpretabili come chiare, né su di esse si sia ancora formata una giurisprudenza idonea ad esplicitarne il significato; ex multis, Corte di Giustizia CE, sentenza 27 marzo 1963, in cause riunite C-28, 29 e 30/62.

187


Giustizia CE», giacché, diversamente da quanto accade nei giudizi in via incidentale, «è l’unico giudice chiamato a pronunciarsi sulla controversia». D’altra parte, osserva conclusivamente l’ordinanza n. 103 del 2008, se fosse esclusa – in questo caso – la possibilità del rinvio pregiudiziale «risulterebbe leso il generale interesse alla uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di Giustizia CE» 173.

4. Tale, in sintesi, il ragionamento svolto dall’ordinanza in esame. Un supplemento di riflessione meritano, invece, sia la premessa da cui essa muove (l’affermazione, già più volte segnalata, relativa al rapporto di “integrazione” tra gli ordinamenti nazionale e comunitario), sia la conclusione proposta, da valutare anche alla luce delle puntualizzazioni ricavabili dalla coeva sentenza n. 102 del 2008. Cominciando da quest’ultimo aspetto, non sembra condivisibile la pretesa della Corte costituzionale di limitare la propria legittimazione ad adire la Corte di Lussemburgo esclusivamente nell’ambito di un giudizio in via principale. È ben vero, infatti, che la valutazione della conformità della norma interna all’ordinamento comunitario – come evidenzia in particolare la sentenza n. 102 del 2008 – spetta in via preliminare al giudice comune, adempimento necessario affinché si possa «procedere all’eventuale disapplicazione» della stessa. Da tale premessa, tuttavia, è corretto inferire soltanto che ove il medesimo giudice «dubitasse della conformità della legge nazionale al diritto comunitario», ma ravvisasse nel contempo la necessità di provvedere a norma dell’art. 234 del Trattato CE, «il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE renderebbe non rilevante e pertanto inammissibile la questione di legittimità costituzionale da lui sollevata». Affermazione,

Del giudizio svoltosi innanzi alla Corte di Lussemburgo – a seguito del rinvio operato dalla Corte costituzionale – si è già detto; quanto, invece, all’esito del giudizio di costituzionalità, il Giudice italiano delle leggi (con sentenza n. 216 del 2010) non ha potuto fare altro se non prendere atto che l’art. 4 della legge regionale della Sardegna n. 4 del 2006 «è incompatibile con la norma interposta dell’art. 49 del Trattato CE come interpretata dalla Corte di giustizia», dichiarandolo «costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.». 173

188


questa, che – nell’attribuire al giudice comune il compito (ed il «rischio» 174) di investire preliminarmente la Corte di Lussemburgo, allorché il problema del contrasto tra diritto interno e comunitario dovesse riguardare una norma, non solo priva di efficacia diretta 175, ma anche necessitante di interpretazione da parte del giudice comunitario – risulta certamente coerente con i più recenti indirizzi osservati dalla giurisprudenza costituzionale in merito ai requisiti di ammissibilità dell’incidente di costituzionalità. È innegabile, infatti, che la Corte costituzionale, nel pretendere «dal giudice a quo una motivazione esaustiva dell’ordinanza di rinvio», esigendo «argomentazioni approfondite piuttosto che la mera prospettazione del dubbio di costituzionalità» 176, ha reso il medesimo “arbitro” di tutte le questioni relative interpretazione della norma censurata, «ivi compresi i profili di pregiudizialità comunitaria». La preventiva definizione di questi aspetti mira, in definitiva, ad assicurare che il giudizio di costituzionalità abbia ad oggetto soltanto «disposizioni che siano certamente applicabili nel giudizio a quo»177. Una conclusione, questa, che trova del resto pieno riscontro nella giurisprudenza costituzionale, secondo cui «la questione di compatibilità comunitaria costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di costituzionalità, poiché investe la stessa applicabilità della norma censurata e pertanto la rilevanza di detta ultima questione»178. Tali rilievi non giustificano, però, anche la conclusione secondo cui, a seguito della ordinanza n.103 (e della sentenza n. 102) del 2008, «il meccanismo della pregiudiziale comunitaria nel giudizio incidentale è destinato a rimanere quello che oggi conosciamo», risultando interamente «rimesso al giudice comune, quale onere e presupposto indefettibile per sollevare, eventualmente, la (successiva) questione di costituzionalità» 179.

L’osservazione e di S. BARTOLE, op. cit., p. 5. E dunque idonea a fungere da parametro costituzionale interposto, nell’ambito di un giudizio di costituzionalità in via incidentale. 176 Così F. SORRENTINO, op. cit., p. 1290. 177 In tal senso A. ANDRONIO e P. GAETA, La tutela dei diritti fondamentali nella Convenzione EDU e nell’ordinamento comunitario: ambiti di applicazione e prerogative del giudice nazionale, in www.cosmag.it , p. 55 178 In tal senso la sentenza n. 284 del 2007. 179 Così, invece, A. ANDRONIO e P. GAETA, op. cit., p. 63 174 175

189


Difatti, il problema dell’inesistenza di un “atto comunitario chiaro” – e cioè, in altri termini, il dubbio sulla esatta interpretazione della norma comunitaria, con conseguente necessità di provvedere a norma dell’art. 234 del Trattato CE – potrebbe essere introdotto, per la prima volta, in un giudizio incidentale di costituzionalità (nel quale sia stata dedotta la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., evidentemente sul presupposto dell’esistenza di un contrasto con una norma comunitaria priva di efficacia diretta), non dallo stesso giudice remittente, bensì – sub specie di eccezione di inammissibilità della questione sollevata – dalla difesa erariale o di una eventuale parte privata. Orbene, ricorrendo, in futuro, una simile evenienza, ove la Corte costituzionale dovesse ritenere di condividere quel dubbio, ben difficilmente potrebbe esimersi dall’adire la Corte di Giustizia dell’Unione europea, se è vero che lo scopo del rinvio pregiudiziale è quello di evitare che possa essere «leso il generale interesse alla uniforme applicazione del diritto comunitario, quale interpretato dalla Corte di Giustizia CE». Siffatto interesse, evidentemente, non tollererebbe una protezione “variabile” in ragione di una circostanza puramente accidentale, ovvero per effetto delle differenti caratteristiche proprie dei due tipi di giudizio di costituzionalità previsti nel nostro ordinamento. Del resto, la tesi che vorrebbe assolutamente preclusa alla Corte costituzionale, nel giudizio in via incidentale, la possibilità di provvedere a norma dell’art. 234 del Trattato CE sembrerebbe trovare un’implicita smentita nella sentenza n. 28 del 2010180.

Con tale decisione, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. – dell’art. 183, comma 1, lettera n), quarto periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nel testo antecedente alle modifiche introdotte con l’art. 2, comma 20, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, nella parte in cui prevede che le ceneri di pirite rientrano tra i sottoprodotti non soggetti alle disposizioni contenute nella parte quarta del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006. La disposizione censurata è stata ritenuta in contrasto con l’art. 1, lettera a), della direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, come modificata dalla successiva direttiva 18 marzo 1991, n. 91/156/CEE, che definisce come “rifiuto” «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi». Per un commento a tale pronuncia si vedano: G. ARMONE, Il principio di retroattività della legge penale più favorevole nel prima dei diritti fondamentali, ne Il Foro Italiano, 2010, I, p. 1114 e ss., nonché soprattutto – per l’attinenza con il tema qui trattato – R. CONTI, Il problema delle norme interne contrastanti con il diritto dell’Unione non immediatamente efficace fra rimedi interni ed eurounitari, in Federalismi.it, n. 10/2010. 180

190


Essa, nel ribadire un principio ormai consueto (e cioè che l’impossibilità di disapplicare «la legge interna in contrasto con una direttiva comunitaria non munita di efficacia diretta» non implica affatto «che la prima sia immune dal controllo di conformità al diritto comunitario», giacché proprio in questo caso il giudice comune «può sollevare questione di legittimità costituzionale, per asserita violazione dell'art. 11 ed oggi anche dell'art. 117, primo comma, Cost.»), ha, nella specie, escluso che occorresse procedere a «rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, come richiesto dall'Avvocatura dello Stato e dalla parte privata costituita», pervenendo a tale conclusione sul presupposto che non vi fossero «margini di incertezza» sul significato da attribuire alla norma comunitaria assunta a parametro costituzionale interposto 181. Tuttavia, proprio perché la Corte non ha ritenuto inammissibile quella richiesta, sebbene avanzata nell’ambito di un giudizio incidentale, affermando piuttosto che il rinvio pregiudiziale «non è necessario» quando «il significato della norma comunitaria sia evidente, anche per essere stato chiarito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia», sembra lecito ipotizzare che essa abbia inteso non precludersi, in futuro, la possibilità di provvedere a norma dell’art. 234 del Trattato CE.

5. Nel commentare l’ordinanza n. 103 del 2008, autorevole dottrina si è chiesta se l’uso dell’aggettivo “integrato” non sia «forse troppo poco» per ipotizzare una «radicale inversione di giurisprudenza»182 da parte della Corte costituzionale. È certo, però, che la decisione in esame si discosta nettamente dalla “storica” sentenza n. 170 del 1984183, non solo perché quelli interno e comunitario venivano allora

Si legge, infatti, al punto 6. del Considerato in diritto che «dalle norme e dalla giurisprudenza comunitarie emergono con chiarezza le nozioni di “rifiuto” e di “sottoprodotto”, sulle quali non residuano margini di incertezza», sicché «il parametro interposto, rispetto agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., può considerarsi sufficientemente definito nei suoi contenuti, ai fini del controllo di costituzionalità». 182 È l’interrogativo che si pone S. BARTOLE, op. cit., p. 4, il quale comunque sottolinea che il ricorso a tale terminologia «può costituire un segno di possibili, futuri sviluppi». 183 Sulla quale – a testimonianza del diverso tipo di accoglienza tributato dalla dottrina – si vedano, tra gli altri, M. BERRI, Composizione del contrasto tra Corte costituzionale e Corte di giustizia delle comunità europee, in Giurisprudenza italiana, 1984, I, p. 1521 e ss.; G. GEMMA, Un’inopportuna composizione di un dissidio, in 181

191


indicati come sistemi normativi «autonomi e distinti, ancorché coordinati, secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dal Trattato» CE, ma soprattutto perché il giudice italiano delle leggi ebbe a manifestare espressamente il proprio dissenso da quella impostazione della Corte di Lussemburgo che considerava (e considera) «la fonte normativa della Comunità e quelle del singolo Stato come integrate in un solo sistema». La concezione “dualistica” degli ordinamenti184 – che la sentenza faceva propria, individuando, coerentemente, lo strumento per risolvere l’antinomia tra la norma interna e comunitaria in quella che è stata definita un’utilizzazione «forte» del principio di specialità185, e dunque predicando l’applicazione della seconda a scapito della prima (sempre che la norma comunitaria, beninteso, risulti dotata di efficacia diretta e sia pertanto in grado di disciplinare la fattispecie oggetto del giudizio a quo) – sembra essere stata definitivamente abbandonata. Non erano mancati, peraltro, in questi anni indizi rivelatori di un possibile reviremant. Un ruolo particolare, in questa prospettiva, hanno rivestito due pronunce risalenti alla metà degli anni ’90, ed esattamente le sentenze n. 384 del 1994 e n. 94 del 1995 186. Entrambe tali decisioni187, rese nell’ambito di giudizi in via principale aventi ad oggetto l’impugnativa di leggi regionali, nel dare rilievo all’esigenza di «depurare l’ordinamento nazionale da norme incompatibili con quelle comunitarie», affermarono, per la prima

Giurisprudenza costituzionale, 1984, p. 1222 e ss.; A. TIZZANO, La Corte costituzionale e il diritto comunitario: venti anni dopo..., in Il Foro Italiano, 1984, I, p. 2063 e ss. 184 Nella quale è stata ravvisata un’applicazione della teoria romaniana della “pluralità degli ordinamenti giuridici” (così, nuovamente, S. BARTOLE, op. cit., p. 4). 185 Così R. BIN, in Breviaria Iuris. Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, p. 69 e ss., in part. p. 75. 186 Tale è anche l’opinione di F. SORRENTINO, op. cit., p. 1289, che riconosce a quelle due pronunce il «merito» di aver circoscritto le implicazioni della sentenza n. 170 del 1984 ai soli giudizi in via incidentale, «restituendo alla Corte, in quelli principali, la pienezza del controllo di costituzionalità delle leggi statali e di quelle regionali in riferimento a tutte le norme comunitarie, anche se direttamente applicabili». 187 Sulle quali A. BARONE, La Corte costituzionale ritorna sui rapporti tra diritto comunitario e diritto interno, in Il Foro Italiano, 1995, I, p. 2050 e ss.; R. BIN, All'ombra della “La Pergola”. L’impugnazione in via principale delle leggi contrarie a norme comunitarie, in Le Regioni, 1995, p. 1140; A. CELOTTO, Dalla “non applicazione” alla “disapplicazione” del diritto interno incompatibile con il diritto comunitario, in Giurisprudenza italiana, 1995, I, p. 341 e ss.

192


volta, la necessità di addivenire alla declaratoria di illegittimità costituzionale – per violazione del diritto comunitario – persino di norme di legge non promulgate e, dunque, non ancora entrate in vigore188. Questa conclusione – che implicava una sostanziale proposizione (seppure nel solo ambito del giudizio in via principale avente ad oggetto l’impugnativa di leggi regionali) del criterio gerarchico, in luogo di quello di specialità, quale strumento per assicurare la concreta effettività della primautè comunitaria – equivaleva a riconoscere alle norme comunitarie una capacità di incidere nell’ordinamento nazionale non del tutto in linea con le affermazioni compiute dalla sentenza n. 170 del 1984. In base a tale pronuncia, infatti, le norme comunitarie «rimangono estranee al sistema delle fonti interne», tanto che «non possono, a rigor di logica, essere valutate secondo gli schemi predisposti per la soluzione dei conflitti tra le norme del nostro ordinamento», giacché l’effetto connesso alla loro vigenza non è quello «di caducare, nell’accezione propria del termine, la norma interna incompatibile», ma di dare vita ad fenomeno che «va distinto dall’abrogazione, o da alcun altro effetto estintivo o derogatorio, che investe le norme all’interno dello stesso ordinamento statuale, e ad opera delle sue fonti». Per contro, ipotizzare che il diritto nazionale debba essere “depurato” dalla presenza di situazioni di contrasto, addirittura “virtuale”, tra norme interne e comunitarie significava, di fatto, riconoscere a queste ultime diretta incidenza nell’ordinamento italiano, riproponendo il criterio “gerarchico” di risoluzione del contrasto e ponendo, così, in crisi il modello della separazione degli ordinamenti. Mai, tuttavia, la giurisprudenza costituzionale – neppure quando ha operato, come nel caso delle due sentenze qui illustrate, in sostanziale (anche se “dissimulata”) discontinuità rispetto alla sentenza n. 170 del 1984 – si è spinta sino a ragionare di

Giova infatti rammentare, in proposito, rammentare che nel sistema configurato dal testo originario dell’art. 127 della Costituzione (quello, cioè, anteriore alle modifiche apportate dall’art. 8 della legge costituzionale del 18 ottobre 2001, n. 3), il sindacato di costituzionalità sulle leggi regionali presentava natura «preventiva». 188

193


“integrazione” dei sistemi normativi, giacché, al massimo, gli ordinamenti interno e comunitario sono stati definiti come «reciprocamente autonomi, ma tra loro coordinati e comunicanti»189. La ricostruzione, invece, delle loro relazioni in termini di integrazione – operata dalla Corte con l’ordinanza n. 103 del 2008 – dovrebbe avere come corollario proprio il riconoscimento della appartenenza delle norme comunitarie, a pieno titolo, al sistema delle fonti “atto” del diritto italiano e, dunque, il superamento di quelle impostazioni che assegnavano le stesse alla categoria delle «fonti fatto di diritto scritto»190.

6. Analogamente, l’obiter dictum qui oggetto di analisi sembrerebbe anche preludere ad una rinnovata configurazione della “teoria dei controlimiti”, in linea, del resto, con le scelte compiute dallo stesso Trattato istitutivo dell’Unione europea, nel testo modificato dal Trattato di Lisbona191. Sin qui intesi, infatti, come un «rigido muro di confine fra ordinamenti» 192, i controlimiti – una volta qualificato l’ordinamento comunitario come integrato in quello interno – paiono piuttosto costituire «il punto di snodo, la cerniera nei rapporti tra UE e Così, testualmente, la sentenza n. 389 del 1989, pronuncia, peraltro, degna di nota perchè riconobbe come vincolati a non dare applicazione a norme interne confliggenti con quelle comunitarie anche gli organi della pubblica amministrazione, vale a dire soggetti sforniti del potere di dichiarazione del diritto. Su tale pronuncia si veda L. SALAZAR, Diritto comunitario e diritto nazionale: (due) ulteriori passi in avanti, in Cassazione penale, 1990, I, p. 574. 190 In tal senso si veda L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 413 e ss. 189

In particolare, l’autorevole studioso, pur riconoscendo la necessità di «definire gli atti normativi comunitari quali fonti comuni», anche per superare «le incongruenze e i difetti di prospettiva, che viziano la tesi della separazione degli ordinamenti» (così a p. 431), non reputa di dover aderire alla concezione “monista”. Egli, pertanto, propone la ricostruzione delle norme comunitarie – che pure, riconosce, «potrebbe apparire singolare e artificiosa» – quali «fonti-fatto», nel senso che «l’entrata in vigore dei regolamenti e delle direttive» costituisce, «dall’angolo visuale dell’ordinamento nazionale, il fatto che determina la necessaria applicazione delle relative norme ai sensi del diritto interno» (cfr. p. 435). E segnatamente del suo art. 4, che parrebbe dare vita ad una «europeizzazione dei controlimiti»; per tale prospettiva – oltre che di seguito nel testo – si veda sopratutto G. MARTINICO, L’integrazione silente: la funzione interpretativa della Corte di giustizia e il diritto costituzionale europeo, Napoli, 2009, in particolare p. 191. 192 Così A. CELOTTO, Una nuova ottica dei “controlimiti” nel Trattato costituzionale europeo?, p. 2., in www.forumcostituzionale.it 191

194


Stati membri»; la loro funzione, dunque, non sembra più solo quella di definire un ambito sottratto all’operatività della primautè comunitaria, ma pure di giustificare «l’applicazione di norme nazionali, in deroga al diritto UE, ove rechino livelli più elevati di protezione dei diritti»193. Una prospettiva – questa che concepisce i controlimiti «non più in chiave statica, come momenti di estrema difesa dell’ordinamento nazionale, quanto piuttosto in chiave dinamica, come momenti di raccordo, finalizzati a garantire il massimo di tutela dei diritti»194 – assecondata dalla stessa versione del Trattato UE risultante all’esito delle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona. Infatti, se ai sensi dell’art. 4, l’Unione è tenuta a rispettare «l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali», in base all’art. 6 essa «riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati». A propria volta, poi, l’art. 53 della Carta stabilisce che nessuna sua disposizione «deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri». Sembra, dunque, condivisibile quanto è stato osservato in dottrina195, ovvero che l’avvenuta «europeizzazione dei controlimiti» ha determinato il passaggio «da una situazione di contrapposizione tra il principio del primato e i controlimiti – “primautè versus controlimiti” – ad una situazione in cui il principio del primato abbraccia la teoria dei

In tal senso, nuovamente, A. CELOTTO, ult. op. cit., p. 2. Così ancora A. CELOTTO, ult. op. cit., sempre a p. 2. 195 In tal senso G. MARTINICO, op. cit., sempre a p. 191. 193 194

195


controlimiti – “primautè e controlimiti”», dando luogo ad una loro «sostanziale interazione cooperativa»196. Tale scelta – peraltro conforme all’evoluzione complessiva conosciuta dai rapporti intercorrenti tra l’ordinamento comunitario e quello di ciascuno Stato membro – non pare, tuttavia, del tutto scevra da incognite. In primo luogo, per la difficoltà di identificare chiaramente il significato della formula «identità nazionali», adoperata dal citato art. 4. Che si tratti, invero, di «un concetto complesso, non riconducibile semplicemente a strutture giuridiche»197 è innegabile; non del tutto appagante risulta, perciò, la pretesa198 – pur originata dalla condivisibile necessità di riportare il concetto «ad un orizzonte interpretativo di tipo giuridico» – di far coincidere tout court l’identità nazionale con quella «costituzionale» di ciascun membro dell’Unione ed in particolare con la forma di Stato che lo caratterizza. Tale tesi, che trae argomento anche dal riferimento espresso, contenuto nella norma in esame, al «sistema delle autonomie locali e regionali» (scelta, quest’ultima, senz’altro apprezzabile, essendo diretta ad assecondare quel processo, già in atto nella giurisprudenza della Corte di Giustizia199, volto a superare la tradizionale indifferenza dell’ordinamento comunitario verso le realtà regionali dei singoli Stati), trova, tuttavia, un ostacolo nella formulazione letterale della disposizione. La norma, infatti, reca una nozione che difficilmente potrebbe essere intesa come mero sinonimo di “forma di Stato”, alludendo, in verità, ad un più complesso profilo identatario di ciascun Paese membro Addirittura ad un «primato invertito» – secondo la suggestiva definizione data da M. CARTABIA, Unità nella diversità: il rapporto tra la Costituzione europea e le costituzioni nazionali, in F. DONATI e G. MORBIDELLI (a cura di), Una Costituzione per l’Unione europea, Torino, 2006, p. 198 e ss – avrebbe dato luogo il testo del Trattato costituzionale del 29 ottobre 2004, atteso che il testo dell’art. I-5 (poi divenuto l’art. 4 del testo consolidato del Trattato istitutivo dell’Unione europea) precedeva quello dell’art. I-6 (soppresso, invece, nel Trattato UE), norma che dava fondamento “positivo” – e non solo “giurisprudenziale” – al principio del primato del diritto comunitario. 197 Così V. ATRIPALDI e R. MICCÙ, in La Costituzione Europea «multilivello» tra garanzie di omogeneità e identità plurali, in www.ecln.net, p. 84, 198 In tal senso G. MARTINICO, op. cit., p. 193. 199 Il riferimento è alle sentenze 30 aprile 1998, nelle causa T-214/95 e 15 giugno 1999, nella causa T288/97, nonché, soprattutto, la sentenza C. 424-97; su di esse si veda M. CARTABIA, Le Regioni come soggetti dell’ordinamento comunitario? Segni da decifrare nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Quaderni costituzionali, 2001, p. 238 e ss. 196

196


dell’Unione, come suggerisce la sua correlazione con la «struttura», ad un tempo «politica e costituzionale», propria di ognuno di essi. Né si manchi di rilevare, in secondo luogo, come il problema più delicato posto dalla cosiddetta «europeizzazione dei controlimiti» sia costituito dalla allocazione della competenza a far valere, in ipotesi, la loro violazione. Difatti, se la necessità di privilegiare le esigenze di uniformità nell’interpretazione di quella che è pur sempre una norma del Trattato sull’Unione europea potrebbe giustificare la scelta in favore della Corte di Giustizia, il «primato storico e culturale» delle Corte costituzionali, nella definizione di una nozione che si ritiene insista nella «struttura politica e costituzionale» di ciascun Stato, potrebbe giustificare, invece, l’opposta soluzione200. Tema indubbiamente delicato, in relazione al quale non sono da escludere future frizioni tra la Corte di Lussemburgo e le Corti costituzionali nazionali 201. Nondimeno, proprio la riconosciuta possibilità, per queste ultime, di avvalersi dello strumento del rinvio pregiudiziale dovrebbe fungere da elemento in grado di “temperare” i contrasti, «perché nei “giochi di potere”» – come è stato incisivamente osservato da autorevole dottrina – «l’equilibrio tra le parti non si fonda sull’impiego concreto delle armi di cui esse dispongono, ma piuttosto (e tanto più quanto l’arma è “potente”) sul timore che l’arma possa essere impiegata»202.

Tale è l’opinione di G. MARTINICO, op. cit., p. 186. Ne costituisce riprova l’ormai celeberrima sentenza del Bundesverfassungsgericht del 30 giugno 2009, che, pur dichiarando la conformità del Trattato di Lisbona alla Costituzione della Repubblica federale tedesca, «pone diverse condizioni ed effettua rilevanti distinguo in merito al processo di integrazione comunitario, tanto da far sorgere l’interrogativo se tale pronuncia costituisca una sostanziale bocciatura del Trattato e perfino una sfida all’acquis costituzionale dell’Unione Europea»; in questo senso M. POIARES MADURO e G. GRASSO, Quale Europa dopo la sentenza della Corte costituzionale tedesca sul trattato di Lisbona?, ne Il diritto dell’Unione Europea, 2009, p. 503 e ss. (al quale si rinvia per un approfondito commento della decisione). 202 S. PANUNZIO, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, in S. PANUNZIO (a cura di), I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2006, p. 29. 200 201

197


7. Le considerazioni appena svolte sollecitano, in verità, una più ampia riflessione sui mutamenti che la dinamica delle relazioni tra Corte di Giustizia dell’Unione europea e Corte costituzionale italiana potrebbero conoscere, a seguito della decisione di quest’ultima di inserirsi nel circuito delle autorità giudiziarie legittimate ad operare a norma dell’art. 234 del Trattato CE. Naturalmente, appare difficile formulare – in proposito – un’esatta prognosi. Non è sfuggita, tuttavia, agli osservatori più attenti la mutata consapevolezza, da parte della Corte costituzionale, del ruolo che la stessa potrà esercitare nell’evoluzione del diritto comunitario. Infatti, se in passato la Corte italiana «dava l’impressione di volersi considerare estranea alla crescita dell’ordinamento comunitario», con l’ordinanza n. 103 del 2008 essa ha invece dimostrato «di sentirsi coinvolta in quella vicenda» 203, allineandosi, così, ad alcune Corti straniere204. Il dialogo con i giudici di Lussemburgo potrebbe, quindi, non soltanto condurre la Corte di Giustizia dell’Unione europea a maturare, nelle proprie decisioni, «una più efficace rappresentazione dei valori costituzionali di ciascun Paese» 205, ma anche garantire la possibilità alla Corte italiana, al pari di altri Corti nazionali, di contribuire alla creazione – come si rilevava in premessa – di «una sorta di diritto costituzionale comune». Il giudice italiano delle leggi, «varcato il Rubicone»206 con l’ordinanza n. 103 del 2008 e riconosciutosi – «pur nella sua peculiare posizione di supremo organo di garanzia costituzionale nell’ordinamento interno» – alla stregua di una «giurisdizione nazionale ai sensi dell’art. 234, terzo paragrafo, del Trattato CE», si è posto in condizione di partecipare ad un processo del quale è stato solo spettatore, in assenza, sin qui, di un’interlocuzione diretta con la Corte di Lussemburgo.

S. BARTOLE, op. cit., p.2. Per una ricostruzione completa della fitta trama di relazioni tra giudici nazionali (costituzionali e non) e Corte di Giustizia dell’Unione europea, si rimanda a G. MARTINICO, op. cit., in part. p. 206, nonché a A. CELOTTO e T. GROPPI, Diritto dell’UE e diritto nazionale: primauté vs controlimiti, in Rivista italiana di diritto comunitario, 2004, p. 1039 e ss. 205 F. SORRENTINO, op. cit., p. 1291. 206 Nuovamente, F. SORRENTINO, op. cit., sempre p. 1289. 203 204

198


Questa, infatti, inizialmente «incamminatasi senza particolare entusiasmo sulla via della tutela dei diritti», ha poi rapidamente scoperto la possibilità di avvalersi di tale competenza «come di un efficace strumento per accrescere la propria legittimità istituzionale e governare l’evoluzione pretoria del diritto comunitario nella logica del bilanciamento tra mercato e libertà costituzionali» 207, con risultati rivelatisi sempre più significativi, proprio per effetto della scelta di molte Corti costituzionali di avvalersi del rinvio pregiudiziale. Ed invero, se nella prima fase dell’operato della Corte di Giustizia la ponderazione «tra i diritti fondamentali degli individui e le esigenze economiche della Comunità» ha dato luogo a conclusioni che «sono parse insoddisfacenti», ciò è dipeso anche dal fatto che la sua attività di interpretazione del diritto comunitario si è svolta quasi esclusivamente su impulso dei giudici comuni; il contesto era dunque quello della «risoluzione di controversie concrete», nel quale rilievo pressoché esclusivo rivestiva, evidentemente, il solo «interesse delle parti private a svincolarsi dall’applicazione di leggi nazionali» 208. Tuttavia, per un verso grazie all’elaborazione da parte del giudice comunitario della teoria dei principi fondamentali comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, per altro verso proprio in virtù del sempre più serrato dialogo che si è stabilito tra di essa e le Corti costituzionali nazionali, si sta assistendo all’edificazione di un diritto costituzionale europeo. Non è, quindi, azzardato ipotizzare che l’esito di tale processo – in coerenza, oltretutto, con quella prospettiva “monista” della quale si è fatto più volte cenno – possa consistere in un’evoluzione, per la Corte di Giustizia dell’Unione europea, affine a quella conosciuta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America. In effetti, se è vero che esiste «una accentuata convergenza» fra «l’origine e le funzioni dei supremi organi giudiziari degli USA e dell’Ue», trattandosi di Corti entrambe «nate per risolvere conflitti tra poteri in ordinamenti di tipo federale che istituivano zone Così M. BIGNAMI, L’interpretazione del giudice comune nella «morsa» delle Corti sovranazionali, in Giurisprudenza Costituzionale, 2008, p. 595 e ss. 208 Cfr. ancora F. SORRENTINO, op. cit., p. 1289. 207

199


di libero scambio commerciale», nonché desinate ad operare «all’interno di sistemi di separazione e bilanciamento dei poteri»209, non sembra irrealistico immaginare che la Corte di Lussemburgo possa assumere, in futuro, «un ruolo sostanzialmente costituzionale»210 al più alto livello dell’Unione.

Così F. FABBRINI, Silent enim leges inter arma? La Corte Suprema degli Stati Uniti e la Corte di Giustizia Europea nella lotta al Terrorismo, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2009, p. 591 e ss., in part. p. 596. 210 F. SORRENTINO, op. cit., p. 1291. 209

200


Stefano Dambruoso Programma di Stoccolma e le sue connessioni con il Trattato di Lisbona. Alcune iniziative e proposte del Ministero della Giustizia

PREMESSA Il trattato di Lisbona chiude un ciclo, non getta ponti verso il futuro e apre, per la maggioranza degli osservatori, un periodo di assestamento. Alla ripresa del dibattito sul futuro dell’Europa contribuiscono comunque le dinamiche politiche interne ed esterne all’Unione che spingono verso una sempre maggiore politicizzazione. L’esperimento della Costituzione è fallito, perché ha tentato di calare una soluzione politica dall’alto in seno ad un sistema, quello della governance europea, imperniato su una logica di legittimazione da risultato essenzialmente tecnocratica e dominata da prevalenti logiche intergovernative. Resta peraltro l’esigenza di favorire un mutamento qualitativo della governance dell’Unione in direzione di un’Europa sempre più unita, perché solo un’Unione anche politica può marcare la differenza tra il rilancio del progetto dei padri fondatori ed il declino definitivo dell’Europa nella nuova geopolitica instabile. Il mutamento qualitativo costituisce lo sviluppo naturale della “sterzata politica” incompiuta, registrata dall’Europa con Maastricht. Il paradosso di una nuova “Europa della politica” governata con le istituzioni e la logica ancora apolitica dell’Europa del mercato comune ha caratterizzato il travagliato iter istituzionale. Si apre dunque, con il compromesso di Lisbona, una nuova fase dell’evoluzione europea, di “necessaria politicizzazione”. L’attuazione delle nuove disposizioni, in un senso o nell’altro, è legata anche al dibattito intorno alle cooperazioni rafforzate. L’ancoraggio cui riferirsi per salvaguardare l’impianto politico unitario dell’Europa è la necessità che configurazioni parziali su alcune materie ad alto gradiente politico non approdino a forme stabili nel tempo. Iniziative di cooperazione rafforzata sono benvenute, purché siano aperte ed inclusive, si sviluppino

201


all’interno del quadro istituzionale dell’Unione e utilizzino il voto a maggioranza qualificata. Alcune delle linee-guida per la politica italiana sono la definizione e la costruzione di un consenso sullo status finale delle istituzioni e dei nuovi organismi nonché la partecipazione attiva ai gruppi pionieri. L’interesse dell’Italia a sviluppare il progetto di un’Europa politica potrebbe tradursi in tre direttive d’azione da perseguire in una visione di medio-lungo termine: circoscrivere il ruolo del Presidente permanente, difendere la centralità della Commissione e del suo Presidente e sostenere l’evoluzione in corso verso un sistema parlamentare. La prima direttiva eviterebbe una tendenziale equiparazione de facto della nuova figura apicale a Presidente dell’Unione tutelando il ruolo del Presidente della Commissione, garantirebbe che il Consiglio rimanga il co-legislatore unico assieme al PE (prevenendo derive legislative del nuovo Consiglio Europeo) e preserverebbe un ruolo politicamente importante al leader del Paese di presidenza semestrale. Un Presidentecoordinatore, tessitore del consenso, che sul piano internazionale lascia il campo al nuovo Mister PESC, che deve restare l’unico titolare della politica estera dell’Unione. La seconda direttiva difenderebbe la centralità ed il ruolo propulsore della Commissione,

non

attraverso

la

mera

difesa

del

monopolio

legislativo,

ma

l’accentuazione, sul piano politico, del suo ruolo di esecutivo unico. La terza direttiva sosterebbe l’evoluzione verso un regime parlamentare piuttosto che presidenziale in una scommessa sull’assise di Strasburgo che resta, malgrado le sue limitazioni, il “laboratorio naturale” della democrazia sopranazionale. L’insegnamento che emerge dalla recente storia europea è di non sottovalutare i parlamenti e le opinioni pubbliche nazionali e ripartire dunque proprio dai parlamenti, nazionali, valutando un loro maggiore inserimento, ed europeo. La flessibilizzazione dei meccanismi europei, infine, richiesta a gran voce durante la crisi finanziaria, necessita di essere incanalata, perché l’equilibrio istituzionale ed il rispetto delle regole di diritto sono stati alla base del successo dell’integrazione europea.

202


IL PROGRAMMA DI STOCCOLMA E LA COSTRUZIONE DI UNO SPAZIO GIURIDICO COMUNE Il Programma di Stoccolma, succedendo ai precedenti programmi di Tampere e dell’Aja in materia di Libertà, Sicurezza e Giustizia, mira ad organizzare per i prossimi 5 anni quella che, accanto al mercato e alla moneta unica, considero una delle conquiste fondamentali dell’UE.

Mi riferisco al cosiddetto “spazio giuridico comune”, allo Spazio di diritto europeo come prossima frontiera del progetto Europa, a quell’area di cittadinanza e di diritti comuni entro la quale italiani e francesi, estoni, greci e maltesi, ecc. possono concepire, progettare e dare corpo e sostanza ad una vita ed un futuro comune.

Sono proprio i nostri cittadini gli attori principali del progetto europeo che richiedono ed esigono l’approfondimento e il completamento di quello spazio di Giustizia, Libertà e Sicurezza che l’Europa ha iniziato lentamente a costruire con il Trattato di Maastricht. Nella costruzione di quest’Europa del diritto, l’Italia, culla del diritto romano, per tradizioni storiche e formazione, non può, con tutta evidenza, che svolgere un ruolo di primo piano.

Circa un ventennio fa, Maastricht ha avviato una cooperazione essenzialmente intergovernativa su materie allora considerate essenzialmente di “dominio riservato” dei singoli Stati. Era la cosiddetta Europa del Terzo pilastro, quella da non confondere e da tener ben distinta e separata dalle altre forme di cooperazione europee, in materia di mercato e moneta comune e rapporti commerciali o di politica estera con i Paesi extra comunitari. Oggi, dopo un complesso e tormentato cammino, passato per l’esperienza della Convenzione, per il progetto di Costituzione dell’Europa, non casualmente firmato a Roma nell’ottobre di 5 anni fa, e del Trattato di Lisbona, siamo alla vigilia di una tappa istituzionale e normativa di estrema importanza. 203


IL RUOLO DEI PARLAMENTI NAZIONALI Ma è il secondo profilo che desidero evidenziare in modo particolare in quanto riguarda le novità previste dal Trattato di Lisbona circa il ruolo dei Parlamenti nazionali. In fase ascendente, il Trattato di Lisbona è destinato a valorizzare molto significativamente il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’ordinamento dell’Unione i quali inoltre si avviano a svolgere un ruolo assai attivo nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

A titolo

esemplificativo, voglio ricordare che, ai sensi del nuovo Trattato, essi vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà (art. 69), sono informati dei lavori del nuovo comitato permanente di cui all’art. 71, sono altresì informati e dispongono di un potere di blocco della “passerella” nella cooperazione giudiziaria in materia di diritto di famiglia (art. 81, par. 3), sono associati al Parlamento europeo nella valutazione delle attività di Eurojust (art. 85) e nell’attività di controllo di Europol (art. 88). Peraltro, sul piano politico considero tali disposizioni una formidabile opportunità per sviluppare e rilanciare la cooperazione europea in materia di giustizia. In tali materie, che toccano da vicino i diritti fondamentali della persona e danno senso alla nozione di cittadinanza europea, credo che il legislatore europeo non possa progredire senza avvalersi dell’indispensabile contributo di sensibilità tecnica e politica espresso dalle istanze parlamentari.

LA COOPERAZIONE NEL SETTORE PENALE Gli spunti di maggior rilievo in materia penale si incontrano probabilmente nel settore della circolazione della prova penale, dove viene proposto un nuovo strumento di portata generale destinato a costituire l’equivalente del mandato di arresto europeo in campo probatorio, mentre la tutela dei diritti processuali degli indagati, pur compiendo qualche passo in avanti, ha una prospettiva ed una portata ancora troppo limitata. Progressi ancora limitati si rinvengono anche nel settore della formazione giudiziaria, in quello della armonizzazione delle incriminazioni e della aggressione dei patrimoni 204


criminali. Piuttosto carente appare anche l’attenzione dedicata agli accordi con i Paesi terzi diretti a consentire l’effettuazione di estradizioni ed espulsioni nel rispetto dei diritti fondamentali degli individui. Anche per questo a me pare che la cooperazione in materia di giustizia penale debba potersi ispirare a due criteri generali. Il primo criterio è quello di evitare un effetto di pericoloso irrigidimento. La costruzione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia deve tener conto delle realtà e delle tradizioni giuridico-normative dei singoli Stati senza ricercare un generale appiattimento su un modello unico che, proprio per tale sua caratteristica, finirebbe per rivelarsi irrealistico. E’ questo il senso del fondamentale principio del mutuo riconoscimento sul quale è imperniata la cooperazione tra gli Stati membri nell’intero settore. Unità, infatti, non vuol dire omogeneità: ordinamenti giuridici sopranazionali possono esistere e progredire in presenza di ordinamenti nazionali che sono spesso anche molto diversi tra di loro. E’ quindi

opportuno sviluppare in modo equilibrato la cooperazione sul piano

normativo e su quello operativo in tutti i settori, privilegiando l’attuazione della legislazione in vigore e utilizzando gli strumenti esistenti prima di crearne di nuovi. Dare piena attuazione agli strumenti normativi esistenti prima di crearne di aggiuntivi è un essenziale pre-requisito di credibilità dell’intero sistema.

L’altro criterio è quello di assicurare, anche attraverso i principi del mutuo riconoscimento, una elevata tutela dei diritti fondamentali dei cittadini specie in sede processuale e in quella di esecuzione della pena, al fine di rispondere pienamente all’esigenza di libertà che costituisce un pilastro fondamentale dello spazio comune. Si tratta in altri termini di rispondere pienamente all’esigenza di libertà, che è il pilastro fondamentale del nostro spazio comune. In passato ci si e’ preoccupati di elaborare misure comuni di carattere coercitivo, attraverso le quali si esercita, nel territorio 205


dell’Unione, il potere del magistrato penale. Adesso e per l’immediato futuro ci si dovra’ preoccupare maggiormente delle garanzie per i cittadini nel territorio dell’Unione, dell’esercizio dei loro diritti e della loro tutela. Il consolidamento progressivo dello spazio comune dovrà in tale prospettiva muovere dal concetto di cittadinanza europea, ossia la creazione - nella prospettiva del Trattato di Lisbona e della sua parte che ingloba la Carta dei Diritti - di un quadro di valori, diritti e doveri condivisi.

LA COOPERAZIONE NEL SETTORE CIVILE Per quanto riguarda la giustizia civile, il documento della Presidenza svedese ha recepito in gran parte, le priorità indicate dall’Italia nel corso di incontri bilaterali svoltisi a Stoccolma nel mese di ottobre 2009. In materia di cooperazione giudiziaria il documento è fortemente incentrato sul principio del mutuo riconoscimento delle decisioni, da raggiungere attraverso il rafforzamento della fiducia reciproca. Priorità viene data all’identificazione di meccanismi che facilitino l’accesso alla giustizia. Altri punti qualificanti sono lo sviluppo di standard minimi comuni; la creazione di un Area Giudiziale Europea; l’incremento della presenza internazionale dell’Europa in campo legale.

In particolare, nel documento della Presidenza Svedese, si sottolinea l’opportunità di proseguire con il superamento delle procedure di exequatur in tutte le materie civili e commerciali rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento “Bruxelles I” (regolamento CE n.44/2001) per agevolare il regime di libera circolazione delle decisioni giudiziarie nello spazio unico europeo, in linea con le conclusioni di Tampere e con il programma de L’Aja.

Tale obiettivo rappresenta un segnale forte di coesione e fiducia reciproca tra i Paesi dell’Unione, in linea con quanto già avvenuto in quattro strumenti comunitari:

il

regolamento TEE n.805/2004 (titolo esecutivo europeo), il regolamento n.1896/2006 che 206


istituisce un’ingiunzione di pagamento europea, il regolamento n.861/2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità e il regolamento (CE) n.4/2009 in materia di obbligazioni alimentari. Anche in questa prospettiva sarebbe auspicabile completare il processo di armonizzazione delle norme in quei settori in cui la normativa comunitaria non è ancora intervenuta. Si tratta, in particolare dei conflitti di legge e giurisdizione nei rapporti patrimoniali tra coniugi, delle successioni e dei testamenti, e del divorzio e della separazione personale cercando di superare gli ostacoli incontrati dalla proposta di regolamento sul divorzio denominata “Roma III”.

L’INIZIATIVA ITALIANA IN MATERIA DI CARCERI Torno, in chiusura sull’iniziativa dell’Italia in materia di carceri. Il Ministro della Giustizia Italiano nel corso del Consiglio Informale GAI del 17 luglio scorso ha sollecitato la questione di una cooperazione europea in materia di carceri per sforzarsi a migliorare le condizioni di detenzione in Europa, evidenziando in particolare tre distinti profili: i) quello del trasferimento dei detenuti europei nei Paesi d’origine; ii) quello dei detenuti provenienti da Paesi extra-europei, che generano, in alcuni Stati membri, situazioni di eccezionale sovraffollamento carcerario; iii) quello, infine, dell’elaborazione di un piano europeo per le carceri, anche tramite l’uso di fondi dell’Unione. La proposta italiana muove da una duplice considerazione. Da un lato la constatazione dell'alto numero di detenuti non italiani (sia cittadini comunitari che non) presenti nei nostri istituti carcerari che, come noto, sono in condizioni di crescente sovraffollamento (esaurendosi gli effetti dell'indulto). La quota di stranieri nei nostri istituti di pena ammonta attualmente a 38%, ben oltre 1/3 della popolazione carceraria totale, con un costo complessivo assai rilevante, e particolarmente gravoso per le finanze del Paese.

207


La seconda considerazione, strettamente legata alla prima, concerne l’esigenza di assicurare il rispetto di elevati standard di trattamento dei detenuti nelle prigioni di tutti Paesi dell’UE. La questione assume infatti un particolare rilievo e attualità anche sul piano della tutela dei diritti umani. Pensiamo

alla recente condanna da parte della Corte

Europea dei Diritti Umani per le condizioni di detenzione inadeguate rispetto agli standards europei, come stabiliti dal Comitato di Prevenzione della Tortura ( in particolare rispetto al criterio dello spazio minimo). Ai partner europei

l’Italia ha espresso la profonda convinzione che la civiltà

giuridica di un Paese si desume anche dalle condizioni delle sue carceri. Ma l’Italia ha anche sottolineato che considera essenziale che l’Europa partecipi nel contribuire a fornire una risposta concordata e coerente al problema del sovraffollamento carcerario il cui concreto manifestarsi nelle diversi aree dell’UE colpisce in misura rilevante gli Stati siti sulla frontiera sud dell’Unione (nord Africa) ed è in parte legato a meccanismo della libera circolazione delle persone (caso della Romania). Per quanto concerne la delicata questione del trasferimento dei detenuti nei Paesi di origine, va considerata l'estrema difficoltà del recente negoziato sulla Decisione quadro per il trasferimento dei condannati e le connesse resistenze di molti Stati membri, dovute a ragioni di principio e di fatto (diversi Stati membri hanno problemi analoghi di sovraffollamento delle strutture carcerarie).

Notiamo anche, sul piano bilaterale, che

l’accordo per il trasferimento dei detenuti con la Romania funziona solo in minima parte. Va inoltre tenuto presente che la decisione quadro sul trasferimento dei condannati approvata il 27 novembre 2008 non inizierà a produrre effetti prima del dicembre 2011. Per questa ragione, l’Italia ha voluto attirare l’attenzione degli altri Stati membri, della Commissione e del Parlamento Europeo, circa la particolare pressione a cui è sottoposto il nostro paese, anche in quanto Stato di ingresso nel territorio dell'Unione di cittadini extracomunitari. Sotto il profilo della cooperazione in materia di infrastrutture carcerarie europee, si e’ sollecitata agli altri Paesi Membri la valutazione che l'UE debba prendere in 208


considerazione e farsi carico, in un'ottica di solidarietà, della “particolare pressione carceraria" subìta dalle strutture penitenziarie dell’Italia e di altri Paesi europei che versano in situazioni analoghe. Ma a parte i provvedimenti che sarà possibile adottare nel brevissimo termine, il tema dei fondi europei per interventi di edilizia carceraria potra’essere sollevato nel quadro dei negoziati per la programmazione finanziaria post 2013 che, in linea di principio, potrebbero aprirsi alla fine del 2010. Su tale punto l’Italia sta ricercando il sostegno presso tutti i Paesi europei, a partire da quelli – come Francia, Spagna, Grecia, Portogallo ecc - che condividono una problematica analoga.

Non ci illudiamo che sarà una battaglia facile, perché in materia penitenziaria gli Stati membri appaiono particolarmente gelosi delle proprio prerogative nazionali.

209


Cosimo Maria Ferri L'Europa dei cittadini: lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia

Sommario: 1. Premessa. - 2. La tutela dei diritti fondamentali: l’attuazione della carta di Nizza e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. - 3. L’effettività dello spazio giudiziario europeo: un’Europa del diritto e della giustizia. - 4. La formazione degli operatori della giustizia e dei magistrati in particolare.

1. Premessa. L’approvazione da parte del Consiglio europeo211 del nuovo programma pluriennale per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014 (cd. programma di Stoccolma),

rappresenta un momento importante per la costruzione di un’Europa al

servizio dei cittadini. La futura azione dell'Unione Europea in questo ambito212 - che prima dell'adozione del Trattato di Lisbona si trovava nell'ambito del terzo pilastro, quello intergovernativo dovrà confrontarsi sia con la decisione a maggioranza qualificata del Consiglio, sia con il procedimento legislativo ordinario, che vede il ruolo di co-decisore del Parlamento europeo. Il programma Stoccolma si articola attorno alle seguenti priorità politiche: - promuovere la cittadinanza e i diritti fondamentali, attraverso: il reale godimento delle libertà sancite dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo; la tutela della sfera privata del cittadino oltre le frontiere nazionali, specie attraverso la protezione dei dati personali; il pieno esercizio dei diritti specifici dei cittadini europei e non anche al di fuori dell'Unione; il rispetto delle particolari esigenze delle persone vulnerabili;

Il Consiglio europeo si è riunito a Bruxelles il 10 e 11 dicembre 2009. Emilia Sannino, Programma di Stoccolma: un'ulteriore sfida europea, http://www.interpreteinternazionale.it/focus/22/Programma-di-Stoccolma%3A-un%27ulteriore-sfidaeuropea.html 211 212

210

in


- istituire meccanismi che agevolino l'accesso alla giustizia, eliminando al contempo gli ostacoli al riconoscimento delle decisioni giuridiche in altri Stati membri e migliorando la formazione dei professionisti del settore; - sviluppare una strategia di sicurezza interna che affronti la criminalità organizzata, il terrorismo e altre minacce rafforzando la cooperazione in materia di applicazione della legge, gestione delle frontiere, protezione civile, gestione delle catastrofi, nonché la cooperazione giudiziaria in materia penale; - garantire un accesso all’Europa più efficiente attraverso le politiche di gestione integrata delle frontiere e le politiche in materia di visti; - sviluppare una politica migratoria europea articolata, fondata sulla solidarietà e la responsabilità e basata sul Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo con l’obiettivo principale di: istituire un sistema comune d'asilo nel 2012 che garantisca alle persone bisognose di protezione un accesso garantito a procedure di asilo giuridicamente sicure ed efficaci; controllare e contrastare l’immigrazione clandestina, anche in considerazione della crescente pressione esercitata sugli Stati membri alle frontiere esterne, tra cui quelle meridionali; - integrare maggiormente la dimensione esterna della politica dell'UE nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'ambito delle politiche generali dell'Unione europea. Il

20 aprile 2010, la

Commissione ha presentato

al Parlamento europeo e al

Consiglio un piano d'azione per attuare i contenuti del programma il Stoccolma. Grandi sono le aspettative nei riguardi del nuovo quadro pluriennale da parte dell’opinione pubblica e dei cittadini. L'obiettivo è quello di avere gli stessi diritti e lo stesso senso di sicurezza in tutta l'UE. Molti dei temi

affrontati, tuttavia, con particolare riferimento all'immigrazione,

risultano fortemente controversi e alcuni Stati nazionali intendono mantenere la loro competenza al riguardo. Il

mio intervento si soffermerà su tre aspetti del programma di Stoccolma,

strettamente connessi col tema della Giustizia, relativi alla tutela dei diritti fondamentali, 211


all’effettività dello spazio giudiziario europeo e alla formazione degli operatori della giustizia.

2. La tutela dei diritti fondamentali: l’attuazione della carta di Nizza

e la

Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Uno

dei principali ambiti di interesse

dell'Unione Europea a seguito

dell'approvazione del Trattato di Lisbona è costituito dai diritti fondamentali. L'Unione europea si fonda, sin dalla sua creazione, sul rispetto dei diritti dell'uomo, delle istituzioni democratiche e sull'osservanza della legge, e questi sono i valori sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali213. La materia dei diritti fondamentali, come diritti posti alla base dell'ordinamento dell'Unione, ha acquistato rilievo con la Carta di Nizza che raccoglie e fissa, in un testo organico, una serie di diritti civili, politici, economici e sociali, riconosciuti dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione di Roma, dai Trattati sull'Unione europea, dalla Carta sociale europea, dalla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e della corte dei diritti umani di Strasburgo. Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, sebbene non abbia incorporato il testo della Carta dei diritti, la include sotto forma di allegato, conferendole così carattere giuridicamente vincolante all'interno dell'ordinamento dell'Unione, secondo quanto disposto dall'art. 6: "L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati". Con particolare riguardo alla Giustizia, la carta di Nizza prevede espressamente il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, la presunzione di innocenza e il riconoscimento dei diritti della difesa, il rispetto solo degli principi della legalità e della

213

http://www.europarl.it/view/it/cittadinanza_europea/carta_dei_diritti.html

212


proporzionalità dei reati e delle pene, nonché il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato.

3. L’effettività dello spazio giudiziario europeo: un’Europa del diritto e della giustizia. L'attuale contesto lo storico impone la necessità di fornire risposte concrete ai cittadini e al mondo degli affari e delle imprese, che reclamano una vera effettività dei diritti e dell’accesso alla giustizia in ogni ambito dell’UE. Si impone, dunque, una migliore cooperazione tra gli Stati, mentre non appaiono più sufficienti i metodi tradizionali di integrazione. Il riconoscimento reciproco rimane la pietra angolare della costruzione dello spazio giudiziario europeo. In materia civile, occorre abolire l’exequatur per le decisioni di diritto civile e commerciale e estendere il riconoscimento reciproco alle materie non ancora ricomprese. L’armonizzazione delle legislazioni dovrà interessare la definizione di norme minime relative a determinati aspetti procedurali e in materia di affidamento. Sarà prioritario un accesso agevolato alla giustizia. I lavori volti a definire un quadro comune di riferimento in materia diritto contrattuale potrebbero servire all’elaborazione di future proposte di legge e potrebbero essere individuati contratti tipo. Bisogna continuare ad armonizzare le norme sulla legge applicabile in materia di diritto societario e di contratti d’assicurazione. In materia penale, il principio del riconoscimento reciproco deve continuare ad applicarsi nelle diverse fasi processuali. Il riconoscimento reciproco va inoltre esteso alle misure di protezione delle vittime e dei testimoni e alla decadenza dall’esercizio di diritti. L’Unione dovrà inoltre sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a migliorare i sistemi giudiziari nazionali. L’Unione dovrà dotarsi di una base di norme comuni al fine di armonizzare le normative nazionali relative a forme di criminalità particolarmente gravi 213


e tipicamente transfrontaliere. Ove necessario, occorrerà ricorrere al diritto penale per assicurare

l’attuazione

efficace

delle

politiche

dell’Unione,

nel

rispetto

della

giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. L’Unione dovrà adoperarsi per potenziare i dispositivi di patrocinio a spese dello Stato in vigore, mobilitare i mezzi elettronici (giustizia elettronica) e fare soprattutto in modo che i cittadini possano più agevolmente fruire di servizi di traduzione e interpretazione giudiziaria. Occorrerà inoltre svolgere semplificare gli adempimenti relativi alla legalizzazione degli atti e dei documenti e potenziare il sostegno alle vittime di reato, soprattutto nelle cause transnazionali. Gli strumenti giuridici dovranno essere utilizzati a sostegno dell’attività economica. Occorrerà migliorare l’esecuzione delle decisioni giudiziarie soprattutto istituendo un procedimento europeo di sequestro conservativo dei depositi bancari. L’Unione potrebbe inoltre decidere di ricorre, ove necessario, al diritto penale per sanzionare le frodi nel settore finanziario. La sicurezza dell’Unione richiede una cooperazione di polizia potenziata con i paesi terzi, soprattutto quelli vicini. L’UE dovrà dotarsi di un sistema completo di assunzione delle prove. Il sistema di scambio di informazioni tra casellari giudiziari dovrà essere completato e pienamente utilizzato (impiego più diffuso e inserimento dei dati sui cittadini di paesi terzi). L’Unione dovrà dotarsi di un quadro giuridico in materia di garanzie procedurali minime e promuovere esperienze pilota su forme alternative alla reclusione. Nella lotta contro la criminalità economica, l’azione dell’UE dovrà mirare a ridurre le opportunità che si offrono alla criminalità organizzata in un’economia mondializzata, in particolare in un contesto di crisi che aumenta la vulnerabilità del sistema finanziario. Occorrerà sviluppare la capacità d’indagine e d’analisi finanziaria anticrimine, individuare in tempo i comportamenti di abuso di mercato, migliorare il quadro giuridico che autorizza la confisca e il sequestro dei proventi di reati, lottare contro la corruzione e porre in essere un dispositivo dissuasivo di lotta alla contraffazione. In materia di lotta antidroga 214


occorrerà continuare ad applicare e approfondire la strategia dell’Unione che propone un approccio globale equilibrato, fondato sulla riduzione contemporanea dell’offerta e della domanda. Bisognerà intensificare la cooperazione con determinate regioni del mondo, provvedere al pieno coinvolgimento della società civile e sviluppare il lavoro di ricerca in questo campo.

4. La formazione degli operatori della giustizia e dei magistrati in particolare. Con

riferimento al tema della formazione degli operatori della giustizia e dei

magistrati, le differenze sono ancora pregnanti. L’obiettivo è quello di creare una cultura giuridica europea. Accanto alla tradizione e alla cultura del proprio paese deve essere riscoperta la prospettiva di confrontarsi con le altre realtà e le altre culture. In particolare, ogni giudice, ogni avvocato deve essere anche un giurista e un interprete europeo. Particolarmente sentito è il riferimento all’autorità giudiziaria: «national judges must become true union law judges», come chiarito da Viviane Reding214 vicepresidente della Commissione con delega per la giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza. L’effettività del diritto europeo, infatti, passa attraverso l’interpretazione e l’applicazione delle norme e una sede privilegiata e fondamentale, proprio per consentire una piena attuazione dei diritti del cittadino e delle professioni in ambito europeo, è quella giudiziaria. Per consolidare la fiducia reciproca tra sistemi giudiziari, va, dunque, potenziata e sostenuta la formazione delle professioni legali, grazie alla messa a punto di strumenti comuni. Occorre intensificare gli scambi tra i professionisti, soprattutto grazie al forum della giustizia e ai lavori delle diverse reti, le cui attività andranno ulteriormente coordinate. L’estensione del riconoscimento reciproco deve andare di pari passo con una Viviane Reding, Vice-President of the European Commission responsible for Justice, Fundamental Rights and Citizenship A European Law Institute: an Important Milestone for an Ever Closer Union of Law, Rights and Justice Speech at the European University Institute Florence, 10 April 2010, in http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=SPEECH/10/154&format=HTML&aged=0&langua ge=EN&guiLanguage=en 214

215


valutazione approfondita dell’attuazione delle politiche dell’Unione in materia di giustizia.

216


Celestina Tinelli

Innanzi tutto ringrazio gli organizzatori, è davvero un convegno importante e dove, per quanto mi riguarda, mi sono arricchita anche ascoltando tutte le relazioni questa mattina, sul rinvio pregiudiziale, su quello che è questo respiro che va oltre quelli che sono i nostri confini. Ecco, adesso quasi precipitare sul tema delle intercettazioni, così scottante perché sta dividendo in un certo senso anche gli italiani, è difficile. Sono Consigliere laico del Consiglio Superiore della Magistratura, sono un Avvocato; i Padri e le Madri costituenti hanno voluto dei laici avvocati all’interno del CSM per garantire dal punto di vista tecnico una possibilità e una capacità di intervenire dall’esterno, per preservare quelli che sono certo gli obiettivi di garanzia dell’autonomia e indipendenza della Magistratura ma nello stesso tempo evitare un’autoreferenzialità troppo forte e una concentrazione di potere troppo forte sulla parte togata e quindi sulla Magistratura. Dunque preferisco rimanere in equilibrio, non entrare in questa polemica, oggi il Consiglio Superiore della Magistratura troppo spesso viene messo sul palcoscenico mediatico e troppo spesso in contrapposizione ad altri organi dello Stato, tanto che a volte si ha l’impressione di assistere più a una partita di calcio che a un dibattito a alti livelli. Quindi io mi associo a quello che ha appena riferito il dottor D’Ambrosio, così con le premesse di Silvia Della Monica, mi sembra che stiamo ragionando molto bene, e dunque spero che si possa giungere ad avere una normativa migliore. In questi giorni, lo abbiamo letto sui giornali, si parla di nuovo del testo predisposto da Mastella, sul quale il Consiglio Superiore della Magistratura aveva, a suo tempo, espresso un parere che era sostanzialmente favorevole. In quel testo c’erano alcuni passaggi legati a come distruggere e quando distruggere le intercettazioni e quindi a che tipo di garanzia e di procedimentalizzazione dare a queste fasi, e come ho già detto, il Ministro aveva richiesto e avuto il parere del CSM non contrario ed a questo rimando.

217


Ora, però, se posso, perché è il giornalista moderatore che ha il potere di dirigere questo dibattito, vorrei dire alcune cose relative al programma di Stoccolma, sul quale credo ci si debba interrogare con molta attenzione. Innanzitutto ringrazio sempre Silvia Della Monica che ha citato, per prima in questa giornata, l’Avvocatura, in relazione all’importanza del suo coinvolgimento anche come promotore nel “rinvio pregiudiziale” al Giudice Comunitario; infatti nel lavoro della Magistratura non può non esserci lo spazio che deve essere coperto necessariamente dalla Avvocatura. Anche qui , oggi, ci sono alcuni avvocati, ecco là, lo abbiamo già citato, c’è l’Avvocato Pancaro, ma ci sono altri in sala; anche oggi qui non ci sono solo Magistrati in platea, perché i temi di questo convegno interessano tantissimo, tant’è vero che le Scuole Forensi stanno organizzando molti corsi proprio al fine di permettere che l’Avvocatura prenda coscienza e competenza all’uso di questo strumento. È importante perché in realtà è dall’avvocato che io mi aspetto parta la richiesta di fare intervenire gli organi di giustizia europea; è vero che il Giudice italiano può disporre d’ufficio il rinvio, però l’impulso della Avvocatura, ci rendiamo tutti conto, attiva la dinamica che più garantisce il cittadino nel momento in cui a questi si rivolge per la tutela dei propri diritti, ed attraverso l’avvocato esprime la propria voce e le proprie istanze di diritto. Voglio inoltre evidenziare, che questa normativa sicuramente ha delle parti ottime che sono quelle legate alla formazione; il CSM è già su questo fronte da tempo attraverso la rete della formazione europea; già vengono usati degli Erasmus per la formazione comune della Magistratura di tutta Europa; anche l’Avvocatura ha già adottato queste metodologie; dunque già è in corso l’attuazione del programma di formazione, seppur dovrà essere rinforzato, in seguito ai contenuti e indirizzi del programma di Stoccolma che fissa obiettivi più ambiziosi. Per quanto riguarda gli altri aspetti del programma in materia di giustizia, la cooperazione tra gli Stati membri deve compiere un salto sostanziale di qualità, abolendo gli impedimenti burocratici per il mutuo riconoscimento delle sentenze, al di là delle 218


frontiere; su questo il lavoro è ancora dal mio punto di vista a metà strada; il Consiglio Superiore della Magistratura, sul fronte europeo, opera attraverso l’Enci, ovvero la rete dei Consigli di Giustizia europei, gli omologhi del Consiglio Superiore della Magistratura; il CSM italiano, attraverso i propri componenti consiglieri, è presente in gruppi di lavoro; uno di questi a livello europeo è quello che si occupa della reciproca fiducia, necessaria appunto per arrivare al reciproco riconoscimento delle sentenze. Purtroppo l’Italia è in una posizione svantaggiatissima, io faccio parte di questo gruppo di lavoro che si riunisce a Bruxelles, è coordinato dal Consiglio Superiore della Magistratura del Belgio e francamente di fiducia verso l’efficienza e l’efficacia del nostro sistema giustizia, non ne nutrono granchè. Dunque non è così semplice per la Giustizia Italiana, avere primati europei, è bello continuare a dirci come ci ha detto l’Onorevole Tajani “il nostro è un bel diritto, difendiamolo”, ma scusate, adesso non voglio fare polemica e fra poco mi taccio, però francamente quello che si continua a ripetere, anche qui oggi, è che in termini di efficacia, l’Italia è collocata al 183° posto, dopo il Gabon, quindi cerchiamo veramente di prendere coscienza di questa situazione e rendiamoci conto che il resto d’Europa non si fida di noi e dei nostri provvedimenti. In relazione, poi, al nostro sistema di “civil law” in contrapposizione a quello di “common law” vigente nella gran parte d’Europa, forse più che difendere “a spada tratta” il nostro, appunto fondato sul principio di legalità, bisognerebbe riflettere su quanto ci ha riferito il Primo Presidente della Cassazione, ovvero che a causa del numero esorbitante di norme e leggi, il principio di legalità è sempre più legato all’interpretazione della legge e dunque il nostro sistema si sta trasformando e sta andando verso il sistema di common law in una evoluzione inarrestabile. È inutile difendere quello che si sta già trasformando, il progresso non ha connotazioni negative e non significa che si stiano perdendo le radici. Tornando alla formazione comune prevista dal programma di Stoccolma, vi troviamo uno spazio che è legato all’attuazione di un’Accademia di formazione giuridica 219


che vede uniti sia Magistratura che Avvocatura, ci tengo a dirlo, perché noi in Italia continuiamo a tenere questi due canali separati ed anche questo è uno dei problemi che forse

non

permettono

alla

magistratura

così

come

all’avvocatura

di

uscire

dall’autoreferenzialità impedendo un miglior funzionamento del sistema giustizia. L’Unione Europea incoraggia gli Stati ad agire per rendere l’accesso alla giustizia più facile e la burocrazia più efficiente, con la soppressione del riconoscimento legale degli atti autentici o l’utilizzo della “e-justice”, ad esempio videoconferenze per non obbligare le vittime a compiere dei viaggi inutili; quindi un’evoluzione e un progresso anche in questi termini. Va evidenziata la tutela che viene data alle vittime di reato. In Italia la vittima ha necessità di più tutela, da questo punto di vista la nostra legislazione è molto carente. Per fortuna gli uffici giudiziari sopperiscono a quello che manca a livello di legge sostanziale, con l’attivazione di “buone prassi” all’interno degli uffici giudiziari. Per cui penso a Torino che, per quanto riguarda la tutela delle vittime, ha adottato un protocollo interessantissimo dove la vittima è davvero trattata come dovrebbe, ad esempio con una telefonata che la avvisa in anticipo della liberazione del proprio stalker. Tante attenzioni di cui secondo me una società evoluta e civile dovrebbe tenere conto ed applicare su tutto il territorio. C’è un aspetto, qui sto per concludere, ma voglio lanciare una provocazione, che di questa normativa di cui al programma di Stoccolma in molti hanno evidenziato, sono molto critici; sono critici nel senso di definire, questo spazio europeo come un’entità da proteggere a tutti i costi. Togliamo i confini all’interno ma mettiamo muri altissimi attorno ai confini europei. La provocazione consiste nel chiedersi se quello che stiamo costruendo, dal punto di vista della sicurezza, della necessità della tutela della sicurezza, non porti a costruire un’unione europea che, anziché proteggere la vita e l’incolumità di tutti noi cittadini europei e affrontare la criminalità organizzata, ci tenga in una gabbia dorata; Fulvio Vassallo Paleologo, dell’associazione studi giuridici sull’immigrazione, docente di Diritto privato e Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero presso la Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Palermo, ritiene che si stiano creando le premesse per 220


una estesa discriminazione tra immigrati giunti in Europa da paesi terzi e cittadini comunitari e si preoccupa del rafforzamento in chiave meramente repressiva delle agenzia di controllo come EUROPOL ed EUROJUST con il rilancio di FRONTEX e l’ampliamento dei suoi compiti da mero controllo delle frontiere alla esecuzione delle operazioni di riaccompagno forzato. Sul territorio dell’Unione Europea vi sono circa 19 milioni di cittadini extracomunitari, ovvero il 3,8% della popolazione europea; in termini assoluti il fenomeno non appare così rilevante, ma alcuni Paesi, fra cui l’Italia, e le grandi aree metropolitane, ne sono più toccati di altri e la densità della popolazione immigrata supera di gran lunga la suddetta percentuale. Il tema è complesso e da gestire su due fronti: da un lato le politiche d’immigrazione e d’integrazione dall’altro il diritto d’asilo, va infatti evitato che vengano raggirati, per via amministrativa principi consolidati di diritto internazionale a protezione dei diritti fondamentali della persona.

221


Samuel Vuelta Simon L’évolution de la formation en Europe

En juillet 2008, une résolution du Parlement européen sur le rôle du juge national dans le système juridictionnel européen a préconisé la création d’une Académie judiciaire européenne composée du réseau européen de formation judiciaire et de l'Académie de droit européen (point 21 de la résolution). Consultée sur ce point, la Commission indiquait partager le point de vue du Parlement quant à la nécessité de rationaliser les structures existantes et d'éviter les double-emplois. Toutefois, elle n’était pas favorable à la création d'une académie judiciaire européenne car celle-ci exigerait la mise en place d'une nouvelle agence communautaire. Si la Commission n'exclut pas cette hypothèse à moyen terme, à ce stade elle préfère que la formation judiciaire au niveau européen soit organisée de manière coordonnée et équitable entre les différents acteurs, dont le REFJ, l'ERA et l'EIPA. Le programme de Stockholm adopté en décembre 2009 finissait par retenir l’opinion de la Commission (article 1.2.6, 3.2.1. et 4.2.1.), en s’engageant à soutenir et à renforcer la formation des juges, des procureurs et du personnel judiciaire et déclarant qu’il appartenait aux Etats membres, en recourant aux instituts de formation existants, d’améliorer les programmes de formation européenne et d’échange dans l’Union (type Erasmus).

La formation dont il s’agit est avant tout la formation continue des juges, procureurs et personnels de justice. Il nous faut donc analyser les enjeux (1), rappeler les fondamentaux (2) afin d’opter pour une orientation future (3).

1. Quels sont les enjeux de la formation continue des magistrats ? La France, vous le savez a choisi de recruter ses juges et procureurs dans les universités, après les avoir soumis à un concours public et de leur offrir une formation 222


initiale dans une école d’application du service public. Prenant le relais de cette première phase, le droit à la formation continue des magistrats en France trouve sa source dans la loi organique relative au statut de la magistrature de 1958. Cette formation est passée de l’état de droit à celui d’obligation en 2007 (5 jours par an obligatoire pour tout magistrat).

C’est une évidence, aucune profession ne peut progresser, s’adapter voire subsister, sans une stratégie de formation continue qui va, au minimum, actualiser les connaissances de ses membres. Si c’était une évidence ancestrale pour les professions techniques et scientifiques, elle l’était moins pour les professions plus intellectuelles et encore moins pour les fonctions de pouvoir civiles comme la justice ou l’administration territoriale de l’Etat.

Classiquement, la formation continue poursuit plusieurs objectifs d’égale valeur : donner au juge (et au procureur) une connaissance actualisée de la règle de droit ; leur donner également une connaissance actualisée de leur environnement ; leur proposer des règles de comportement ; leur offrir aussi, un temps de pause et de réflexion sur leurs pratiques.

Je serai tenté de dire que la formation continue est bien plus qu’un instrument d’information et de remise à niveau ou d’harmonisation des pratiques judiciaires ou bien très simplement, que la formation continue est la « clé de la compréhension mutuelle » : compréhension des problématiques et des enjeux par le juge, compréhension entre les professionnels de la justice, compréhension entre juges de différents pays, etc.

Cette Europe judiciaire, née sérieusement il y a 10 ans, a fait des avancées considérables dans les domaines de justice et affaires intérieures, équilibre nécessaire à l’ouverture des frontières au sein du territoire européen et à l’intégration des marchés du commerce et de l’emploi. 223


Profitant de sa présidence, la France a replacé la formation des personnels de justice au sein du débat européen afin de dépasser les différences culturelles, linguistiques et juridiques et, bien sûr, les souverainetés, qui constituent autant de richesses que de freins au fonctionnement de l’espace judiciaire européen.

Je suis convaincu que c’est l’harmonisation des pratiques judiciaires au niveau européen qui fera croître la « culture judiciaire européenne commune », complément de « l’espace judiciaire européen ». Ce sont là les deux orientations stratégiques de l’Union européenne en matière de justice : depuis plus d’une dizaine d’années, l’ensemble des acteurs politiques et judiciaires de l’Europe à 15, puis à 25, puis à 27 s’efforcent de parfaire et l’une, et l’autre, en utilisant soit les techniques d’harmonisation, soit celles de la reconnaissance mutuelle.

En définitive, la diversité ne doit plus être synonyme de difficulté. Somme toute, la difficulté à avancer sur le terrain de cet espace judiciaire européen est simplement favorisée par la méconnaissance. Pour réduire cette méconnaissance et, au contraire, approcher la reconnaissance mutuelle, la formation continue est un instrument privilégié à la condition de préserver à tout prix les fondamentaux du métier de juge et de procureur.

2. Préserver le respect des fondamentaux Tout d’abord revenons brièvement sur les 10 ans d’existence du REFJ qui ont conduit les écoles des Etats membres à créer un tel réseau, ayant pour objectifs principaux la mise en commun des formations proposées dans chaque pays et le développement d’un programme d’échange entre autorités judiciaires. Si le réseau a joué un rôle appréciable dans la connaissance mutuelle, il est aujourd’hui considéré comme insuffisant pour faire que les juges et procureurs des Etats se sentent, avant tout, des juges et des procureurs européens. 224


Par ailleurs, les difficultés structurelles et financières du réseau constatées à l’automne 2008 et résolues en grande partie depuis sont dues en grande partie au caractère amateur de son organisation et de sa gestion.

Néanmoins, ces difficultés passées et l’impuissance à étendre l’esprit européen dans les justices étatiques, ne doit pas nous faire renoncer en abandonnant cette voie de la communautarisation de la richesse, au profit d’une solution globalisante, qui conduirait forcément à un nivellement par le bas.

En tirant les leçons des 50 d’existence de l’ENM, je suis résolument convaincu :

- Qu’une offre de formation en matière de droit européen, de droit dérivé, de droit comparé ou de langues vivantes est une occasion supplémentaire de connaissance juridique réciproque, mais qu’elle ne peut, seule, satisfaire les ambitions d’une véritable justice européenne.

- Que la formation continue des juges et des procureurs, qu’elle soit initiale ou continue, ne peut être le prolongement d’une formation de type universitaire mais, au contraire, doit être faite, en majorité, par des praticiens judiciaires expérimentés qui s’appuient sur leur expérience de terrain et leur connaissance approfondie des métiers de justice.

- Que, pour cette raison, la formation professionnelle des juges et des procureurs européens doit être organisée par les autorités judiciaires des Etats ou leurs organes publics spécialement délégués : seules les émanations des autorités judiciaires des Etats ont une véritable légitimité en matière de formation professionnelle.

225


- Que les activités développées dans le Réseau Européen de Formation Judiciaire (REFJ) sont des vecteurs importants de partage des formations et de rencontre des juges et procureurs de l’Union européenne, mais, qu’aujourd’hui, après 8 ans de fonctionnement, elles s’avèrent insuffisantes pour contribuer à une véritable intégration européenne.

- Que la formation continue efficace des juges et des procureurs doit être une formation de haut niveau sous forme de cycles au long cours, complémentaire aux connaissances de base et tournée vers les pratiques professionnelles

3. Une proposition vers une formation européenne de qualité. Une fois ces préalables posés, faut-il irrémédiablement choisir entre une formation partagée (le réseau) et une formation intégrée (l’agence) ? Je serai pour ma part plus tenté vers les voies médianes avec une formation mutualisée.

Les polices de l’Union ont tenté de concilier ces avantages avec la dernière évolution du CEPOL en 2005 qui est devenu une agence de l’Union européenne financée par un budget annuel d’environ 8 Meuros, mais qui continue à fonctionner avec le réseau des instituts nationaux de formation de la police des États membres. Si cette formule n’est pas totalement transposable au domaine judiciaire, un modèle équivalent doit être recherché afin de proposer une alternative de mise en œuvre pour cette future formation appelée de ses vœux par l’Union européenne :

Entre le réseau de formation décentralisé qui fonctionne au gré de ses membres et sur le mode de l’invitation et une nouvelle agence européenne, centralisée, fortement structurée dédiée à la formation, une troisième voie existe, celle d’un collège, d’un institut européen qui allierait les avantages du réseau et ceux de l’agence.

226


- Les avantages du réseau sont bien sur la décentralisation de ses activités, l’initiative laissée à ses membres et une structure légère, peu couteuse au fond, afin que toutes les énergies profitent aux actions et non au fonctionnement.

- Les avantages de l’agence sont sa capacité créatrice, sa rapidité et simplicité de décision, et surtout, son financement par budget préalable intégral et non par cofinancement par projets,

Le bilan pourrait déboucher sur l’initiative suivante :

Dans le cadre d’une coopération renforcée parmi les membres du REFJ qui le souhaitent une Ecole Supérieure Européenne de Justice (ESEJ) proposerait la mise en place d’un programme annuel d’actions de formation qui :

- Respecterait les fondamentaux que j’ai rappelé précédemment (cf. 2) et proposerait des formations, élaborées en commun et orientées majoritairement vers les pratiques professionnelles, l’application concrète des normes européennes, internes et la maitrise des nouveaux métiers judiciaires. - Offrirait soit des formations de haut niveau, soit des formations spécialisées, constituant un catalogue de formation continue européenne supérieure. - Organiserait les formations sous la forme de cycles thématiques composés de 8 ou 9 modules de 3 jours chacun sur une durée totale de 12 ou 18 mois. - Maintiendrait ouvertes toutes les formations à l’ensemble des participants des 27 pays de l’Union européenne, qu’ils contribuent ou non à l’élaboration ou à la mise en œuvre des actions. - Organiserait les actions successivement dans les locaux des instituts de formation qui seraient candidats et qui mettraient, pour l’occasion, leurs infrastructures et leur logistique à disposition. 227


C’est aussi au sein de l’ESEJ que se développerait un véritable « Erasmus » judiciaire pour les juges et procureurs. Ce programme d’échange pousserait plus avant le PEAJ en permettant à des juges et procureurs des pays membres de l’Union européenne de faire une véritable mobilité de carrière à l’étranger en allant travailler pendant 2 ans dans une juridiction ou un parquet d’un autre pays membre de l’U.E. (la France et l’Espagne ont s’ailleurs inauguré ce modèle en novembre 2009 avec la mise à disposition du CEJ d’un procureur de l’ENM française).

Les thèmes retenus pour les formations seraient tous ceux qui militent vers une intégration européenne en raison des thématiques abordées (sécurité et coopération, déplacement des biens et des personnes, criminalités et phénomènes transfrontaliers, administration et qualité de la justice en Europe, évaluation, etc.) et tous ceux dont ont ou auront besoin les juges ou des procureurs nationaux pour servir des institutions européennes ou internationales (Eurojust, Europol, Olaf, CPI, TPY, CJCE, parquet européen, etc.)

Cette école prendrait la forme d’un Groupement d’Intérêt Public européen, financé principalement sur fonds multilatéraux par la commission européenne et par les ressources des Etats dans la mesure où il fonctionnerait selon le principe de mise à disposition des techniques, des personnels et des locaux.

Quel que soit le nombre des « initiateurs », l’ESEJ serait à la disposition des 27 Etats membres, ce qui permettrait non seulement une gouvernance plus légère mais constituerait aussi une démarche de solidarité pour les petits pays durement touchés par la crise économique et qui aujourd’hui sont incapables d’organiser des activités de formation chez eux (beaucoup n’ont pas de personnalité juridique ni de budget séparé de celui de l’Etat) et même de verser leur contribution, aussi faible soit elle, au REFJ. 228


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.