UN ANNO DOPO Ancora insieme
Da Ferrara a Lubiana
Alessandro Polesinanti 2010
INDICE
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Prefazione
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I partecipanti e l’ultimo briefing
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2 Maggio, Domenica – La partenza
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3 Maggio, Lunedì – L’unico sole
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4 Maggio, Martedì – Si entra in Europa
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5 Maggio, Mercoledì – Il giorno della “Terribile”
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6 Maggio, Giovedì – Si torna a casa
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6 Maggio – Il commiato
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Il futuro
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Pensieri liberi sulla gita e non solo
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Alcune foto
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PREFAZIONE Sono trascorsi alcuni giorni dal ritorno a casa, dopo la mia seconda esperienza di cicloviaggiatore e, come accaduto l'anno passato, sto provando a lasciare una traccia scritta dell'impresa...perché anche questa è stata un'impresa. Per chi ha letto il mio piccolo diario della Ferrara - Roma, troverà in queste righe qualcosa di diverso; le emozioni provate quest'anno sono state in gran parte differenti…..per tanti motivi, ma di fondo rimane comunque l‟enorme soddisfazione di averla portata a termine e, come per Roma, di averla fatta con mio papà…il “Vecchio Leone”. L'anno scorso ero un neofita di queste imprese/avventure, quindi tanti erano stati i dubbi e le preoccupazioni che avevano preceduto la partenza, la meta poi, era Roma, una città che avevo sempre desiderato visitare, che sempre era stata in cima hai miei desideri da turista. Il percorso individuato, era un'immersione nella storia, una antica via consolare romana (l‟antica Via Flaminia), con l'attraversamento di tante cittadine e borghi medioevali ed infine, era la prima volta che io e mio padre ci allontanavamo da casa assieme per un qualcosa di unico, che mai avremo immaginato di fare. Quest'anno invece, per rimanere in tema di capitali, si era deciso di andare a Lubiana, centro sicuramente importante in quanto capitale, ma certamente non paragonabile a Roma. Di questa città conoscevo poco o nulla (diciamo nulla visto che il motivo principale per cui il suo nome era a me noto, era la squadra di basket della città, l'Olimpia, squadra gloriosa che negli anni ha fornito tanti campioni alla nazionale Jugoslava prima e Slovena poi). Il percorso scelto dal nostro organizzatore (l‟esperto di strade è sempre Massimo, questa volta con qualche aiuto di Marino, in quanto il tragitto prevedeva l‟attraversamento anche delle sue terre d‟origine, il Friuli) era a me sconosciuto, e comunque seguiva strade “normali”, ma la cosa che aveva posto, nei mesi precedenti la partenza, qualche punto interrogativo sulla partecipazione al viaggio, erano stati alcuni acciacchi fisici che avevano colpito mio papà (non bisogna dimenticare che il “ragazzo” ha 70 anni…e a luglio arrivano i 71), per cui qualche apprensione c'era. Dubbi veri e propri sulla partenza però non li avevo mai avuti, il viaggio a Roma era stato bellissimo e c‟era la voglia di ripetere l‟esperienza, si trattava di una settimana di ferie e ogni tanto lontano dal lavoro non è che poi si stia così male, la meta era un posto nuovo e …….. questa volta sarei uscito dal garage in sella ad una nuova fiammante Bianchi “Viale degli Abruzzi”, lasciando ai box la fida mountain bike che tanto mi era stata fedele sulla Flaminia, ma che di certo non si era rivelata il mezzo più comodo per un viaggio lungo. Dubbi sopiti erano anche quelli di carattere logistico (che mi avevano afflitto parecchio l‟anno precedente) cioè: cosa metto nelle borse? Cosa mi servirà? In questo caso, una seconda esperienza è molto facilitata. Un ultimo fatto non vorrei dimenticare in questa introduzione, le previsioni del tempo. Tutti i programmi televisivi di meteorologia indicavano tra il 2 e 7 maggio, acquazzoni, temporali… i più clementi parlavano di rovesci, comunque di sole nemmeno l‟ombra, e pensare che queste giornate erano state scelte proprio perché il mese di aprile (per Roma eravamo partiti il 3 di aprile) era indicato come il più rischioso dal punto di vista meteorologico.
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I PARTECIPANTI E L’ULTIMO BRIEFING Quest‟anno è cambiata anche la composizione della squadra, ai 5 eroi, che avevano portato a termine il viaggio romano, Massimo Migliori, Marcello Cellini, Marino Pitton, Alessandro e Sergio Polesinanti (ormai Sergio per tutti e non più Papyalex) si è aggiunto un sesto elemento, Henk V.Z. (per il cognome bastano le iniziali….è impronunciabile), un olandese trapiantato a Ferrara da alcuni anni. Luca e Rossana, che erano partiti con noi per Roma, fermandosi definitivamente ad Otricoli, memori di una preparazione troppo diversa dalla nostra, questa volta avevano preferito rimanere a Ferrara. L‟illustrazione del percorso definitivo venne fatta a casa mia, una ventina di giorni prima della partenza. Tutti presenti tranne Marcello, impegnato fuori provincia per lavoro, sostituito in quel caso da Giuliano (altro compagno di sbiciclate in zona), che aveva paventato la possibilità di raggiungerci direttamente a Lubiana attraverso un percorso più corto e diretto. Dopo aver liberato la tavola dalla cibarie rimaste (poche), dalle briciole (molte) e dalle bottiglie vuote (tante), per la prima volta Massimo ci illustrò il percorso definitivo. La prima considerazione fatta, fu che essendo Lubiana più vicina di Roma a Ferrara, anche parte del ritorno sarebbe stata fatta in bicicletta. Prima tappa, 2 maggio, Ferrara – Lido di Jesolo, km previsti 135; uscendo da Ferrara, verso Francolino per la ciclabile, quindi destra Po fino a Polesella, qui attraversamento del fiume e sinistra Po fino a Cavanella Po. Loreo, Rosolina e quindi Chioggia. Imbarco sul traghetto per Pellestrina, Ferry Boat per Venezia Lido e ancora traghetto per Jesolo. Una volta sbarcati, 20 km in bici con direzione Jesolo Lido. Seconda tappa, 3 maggio, Lido di Jesolo – Cervignano del Friuli, km previsti 95; costeggiando la costa, passando per Eraclea mare, Caorle, Latisana con arrivo a Cervignano del Friuli. Terza tappa, 4 maggio, Cervignano – Ajduscina, km previsti 60; da Cervignano direzione Gorizia, attraversamento del confine e quindi Ajduscina. Quarta tappa, Ajduscina – Lubiana, km previsti 65 con prime vere salite; quasi subito si inizia a salire con direzione Col, quindi Visnje, Podkrai, Kalce, Logatec, Vhrnika e arrivo a Lubiana in mattinata, per avere il tempo di visitarla nel pomeriggio. Quinta tappa, Lubiana – Tolmino, km previsti 100, con salite ed in particolare un duro passo di 787 m, comunque percorso da verificare prima della partenza. Sesta tappa, Tolmino – Caporetto – Udine, km previsti 62 e nel pomeriggio treno per Ferrara. Non ci furono molti commenti, Marino Henk e Massimo conoscevano già la prima tappa per averla fatta in precedenti escursioni, mentre per gli altri tutto era nuovo, ma tutti eravamo contenti di vedere quella mappa, di sentire le parole di Massimo che ci spiegavano le difficoltà del percorso, anche se da Ajduscina in poi, la strada era stata vista solo sulla cartina. Gli ultimi dettagli di cui si parlò (sempre senza dimenticare di umidificare i nostri palati….dal vino si era passati al Limoncello, Grappa e Passione Nera...una sorta di sambuca alla liquirizia) furono gli hotel; Massimo si occupò di individuare alberghi per Jesolo Lido, Ajduscina e Tolmino, Marino si incaricò di Cervignano e a me fu dato il compito per Lubiana.
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2 MAGGIO, DOMENICA - LA PARTENZA Domenica 2 maggio è il giorno fatidico per inforcare la mia splendida Bianchi e partire per oltre confine, ma in realtà la partenza vera e propria, almeno con la testa era arrivata l'ultima settimana di aprile. Anche se abbastanza mascherata, in questa settimana ho davvero cominciato ad avvertire una forte tensione per il viaggio, tensione acuita anche dalle previsioni metereologiche che ogni giorno parlavano di un tempo quasi da tregenda per la prima settimana di maggio. In queste condizioni non potevano non affiorare i ricordi della partenza per Roma, con quel tempaccio che ci aveva accompagnato per tutta la prima giornata. La cosa preoccupante è che, come raramente accaduto in passato, tutti i meterologi, dal Giuliacci di Canale 5, al Corazon di Italia 1 e non ultimo, il mitico colonnello Laurenti di Rai 2, l'uomo del papillon perenne e degli esperimenti di fisica e climatologia provati e mai riusciti nelle trasmissioni Rai, dicevano la stessa cosa: PERTURBAZIONE IN ARRIVO DA NORD OVEST CARATTERIZZATA DA ROVESCI E TEMPORALI CHE INTERESSERANNO L'INTERA PRIMA SETTIMANA DI MAGGIO. Nemmeno internet dava speranze, anche METEO.IT confermava tutto. Per cercare di stemperare questa situazione, il venerdì antecedente la partenza, decido di partecipare alla decana delle Gran fondo ferraresi di ciclismo, la FERRARA - LIDI, che si sarebbe tenuta l'indomani, con papà e i suoi amici; sono convinto che un'altra buona razione di km fatti di buona lena (MAI CREDERE AD UN CICLOTURISTA QUANDO DICE CHE LUI VA PIANO IN BICICLETTA.....il più lento va ad un passo veloce...gli altri...) mi possano solo fare bene. 2 maggio, domenica, ore 6,30, la sveglia suona...è il momento. Apro subito la finestra, il cielo è nuvoloso e non poco, ma almeno per ora niente pioggia e visti i presagi la cosa dà fiducia. Vado a rasarmi, poi doccia e quindi in cucina per la colazione. A parte qualche briciola di pane, riesco ad inghiottire solo il caffè (la gran fondo del mare almeno è servita a farmi dormire tutta notte), e dopo questa “molto frugale” colazione, vado a preparare la bicicletta. Ore 8.05, sono pronto, chiudo il garage, e prima della partenza immortalo la mia fuoriserie, carica di tutto punto, con la mia nuova digitale, comprata per l'occasione (le minacce di Marcello per non dover più scannerizzare tutte le mie foto, hanno sortito l‟effetto desiderato). Prendo Via Boschetto, attraversamento di Via Comacchio, ponte sul Volano e quindi circonvallazione con destinazione Piazzale Dante civico 22. Per la scelta del ritrovo quest'anno non si è seguita la tradizione (il ritrovo di Porta Paola è il tradizionale punto di partenza della maggior parte delle nostre escursioni), ma due considerazioni importanti: 1. dovendo prendere la ciclabile per Francolino, c'era bisogno di un punto che ne permettesse un facile accesso; 2. in corrispondenza del civico 22, oltre ad una fornita pasticceria, vi sono i portici...e viste le previsioni meteo, volevamo assicurarci con certezza qualche momento asciutto. Sotto un cielo sempre cupo, ma silenzioso e tranquillo, arrivo qualche minuto prima delle 8,30 (orario previsto per la partenza). 4
Sono l'ultimo degli impavidi atleti e quindi, dopo i saluti e le foto di rito, partiamo. Come l'anno precedente, Massimo si pone immediatamente in testa al gruppetto ed imbocca Azzo Novello, quindi attraversiamo Via Bacchelli e ci immettiamo nel Parco Urbano, da qui facilmente arriviamo alla ciclabile che ci porterà sulla Destra Po. Le prime pedalate sono tranquille, anche perché la ciclabile è deserta, e fra una battuta e l'altra arriviamo al cartello di Francolino. Dopo pochi metri, una compagna di viaggio non invitata si fa sentire... la “sfortuna”. Il Marcello rallenta e si deve fermare, le cinghie che tengono legato il suo zaino al portapacchi danno problemi e il borsone rischia di cadere. Si ferma una volta, due e alla terza, anche papà deve mettere un piede per terra, perché questa indesiderata compagna (la jella) ha pensato bene di accompagnarci fino (lo scopriremo poi) a Lubiana. Papà ha forato; è vero che per lui questo non è un grosso problema, viste le sue capacità meccaniche, in pochi minuti sostituisce la camera d'aria e siamo pronti a ripartire, ma certo come inizio di gita non è il massimo (non bisogna dimenticare che nuvoloni, di un blu intenso sono sempre sopra le nostre teste). Finalmente arriviamo sulla Destra Po, appaiati ci dirigiamo verso Polesella dove attraverseremo il fiume per prendere la parallela Sinistra Po. Il paesaggio che ci circonda è un po' surreale, da un lato il fiume scorre veloce, e le piogge di questi giorni l'hanno notevolmente arricchito d'acqua, è imponente, maestoso, la prima parola che mi viene in mente guardandolo è “forza”... da l'impressione di non temere niente e nessuno, peccato per il colore delle acque.. l'azzurro e il limpido sono aggettivi che non gli appartengono, la golena poi, è quasi scomparsa ed è suggestivo vedere tanti alberi con il fusto completamente immerso nell'acqua. Il rumore della corrente, qualche raffica di vento e il cinguettio di qualche uccello sono gli unici compagni del nostro viaggio (oltre chiaramente alla nostra “amica”..la jella....qualche minuto prima abbiamo sentito un rumore strano, ma per ora non abbiamo capito di cosa si tratta, lo scopriremo nella sosta di Crespino). Tra una pedalata e una battuta, i miei occhi non smettono di tenere sotto controllo queste nuvole che ci stanno accompagnando dalla partenza, viste le previsioni, ci sta andando alla grande, ma di certo non ci permettono di viaggiare in tranquillità Alle volte incontriamo qualche temerario ciclista, ma sono veramente pochi...uno di questi è però Roberto, un caro amico di mio padre, che incrociamo mentre ci apprestiamo a prendere il ponte di Polesella. All'altezza di Crespino, dopo 34 km, facciamo la prima sosta, scendiamo in paese e arrivati in Piazza Fetonte ci dirigiamo al bar. Le pedalate fatte, mi hanno smosso la fame che era stata bloccata al momento della colazione casalinga, e in pochi secondi, dopo un caldo caffè, divoro due bella paste, al cioccolato e alla crema e più o meno la stessa cosa fanno gli altri. All'uscita dal bar (mentre qualche goccia di pioggia cade) ci fermiamo qualche minuto per un controllo ai nostri mezzi, verifichiamo le nostre borse, le gomme e.....ora è il turno di Marino ad abbracciare la nostra “amica sfortuna” ... quel famoso rumore sentito sulla Destra Po, non era altro che il rumoroso segnale della rottura di un raggio della ruota posteriore di Marino. Vola qualche imprecazione e poi si cerca di tamponare il problema; con del nastro adesivo viene legato il raggio rotto ad uno vicino. 5
Il viaggio riprende, l'umore è contrastato, razzo rotto, foratura, cinghie dello zaino con problemi...in 34 km non ci siamo fatti mancare nulla ... almeno il tempo tiene ... il cielo comunque è sempre grigio e alle volte, notiamo sul display del contachilometri, qualche goccia. Il nostro amico fiume è sempre maestoso e pieno d'acqua, ed è bello guardarlo anche dal versante veneto. I km passano veloci, anche perché in testa al gruppetto ci siamo messi io ed Henk, ed abbiamo alzato l'andatura, viaggiando costantemente tra i 23/24 km orari. All'altezza di Cavanella Po, abbandoniamo l'argine, e seguiamo le indicazioni per Loreo, e prima di entrare in paese facciamo un'altra sosta. Il barista che ci accoglie è la prima persona dalla partenza, che ci chiede dove siamo diretti, alla nostra risposta (Jesolo Lido), sgrana gli occhi e comincia a calcolare i km percorsi e da percorrere. Gli facciamo presente che siamo matti, ma fino ad un certo punto, una volta a Chioggia prenderemo i traghetti per Jesolo. Dopo un altro pieno di carburante (chi opta per delle paste chi per un panino) seguiamo le indicazioni per Rosolina Mare. Prima di arrivare alla spiaggia per antonomasia dei rodigini (appunto Rosolina Mare) ci imbattiamo in una piccola frazione di questo comune, dal nome molto curioso: VILLAGGIO NORGE. Alla lettura di questo nome subito un sorriso ironico è apparso sul mio viso, perché la traduzione sarebbe “Villaggio Norvegese”, ma posso assicurare che in quel posto di norvegese o che ricordi il nord Europa non c'è assolutamente nulla. Mentre pedalo, cerco di trovare degli indizi dal paesaggio circostante che mi possano aiutare a dare un significato a questo nome, ma a parte una fila interminabile di case, quasi tutte ad un piano, che costeggiano la strada e tanti appezzamenti di terreno ad ortaggi non c'è altro, l'unico pensiero che mi sorge spontaneo è la depressione a pensare all'eventualità di abitare in questi posti....come spesso accade, allontanandosi dalle proprie zone in cui si vive e lavora, in cui si hanno i propri amici, gli affetti, gli svaghi, si fa fatica ad immaginarsi abitante di un territorio totalmente diverso. Quindi, Villaggio Norge perché? La domanda mi è ronzata in testa fino al ritorno a casa, poi un salto su internet, digitate le due paroline su Google e alla fine ho scoperto che il nome deriva da un gruppo di case donate al Comune di Rosolina, dalla Croce Rossa Norvegese, subito dopo l'alluvione che colpì il Polesine nel 1951. Pedalando sotto un cielo sempre più grigio e con un vento sempre più forte, per lunghi tratti attorniati da soli appezzamenti di ortaggi (in prevalenza di radicchio), attraversiamo i centri di Volto, Cavanella d'Adige, Brondolo e finalmente, attorno alle 12,00 giungiamo a Chioggia. Peccato non poter apprezzare i colori della città, della piazza...il tempo è sempre perennemente grigio e ventoso, comunque il centro storico di Chioggia sembra veramente carino. La prima sosta è rigorosamente sotto il simbolo del regno della Serenissima, il Leone, che, molto evidente, appare sull'Arco che delimita l'inizio del piazza, e dopo le foto di rito, ci dirigiamo verso un punto di ristoro e la scelta cade sul Bar Tavola Calda Iolanda. Ci posizioniamo nella zona esterna del bar per poter tenere sotto controllo le biciclette evitando così di scaricare i nostri borsoni. Una simpatica biondina, con un forte accento veneto e un lato B non propriamente simile a quello di Michelle Hunziker, viene per le ordinazioni, ma visto la nostra fretta (dobbiamo prendere 3 traghetti consecutivi) optiamo tutti per il menù turistico da € 8,50 (risotto, insalata mista, bibita e dolce o caffè).
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Tra una forchettata e un sorso di birra, comincio ad assaporare la vacanza; solo ora, a Chioggia, ho veramente la sensazione di essere in viaggio ... fino a pochi minuti prima, potevo essere in una delle tante escursioni giornaliere che facciamo in bicicletta, ma ora sono consapevole di cosa sto facendo...la parlata diversa di chi ti circonda, i discorsi tra noi sono lontani da Ferrara, se mi guardo attorno vedo palazzi di nobili origini che ricordano l'antico splendore veneziano, e poi l'aria del mare che aleggia nella piazza di Chioggia.... è bello staccare la spina ogni tanto. Osservo mio padre, che ha un perenne sorriso stampato in faccia, ride, scherza (senza dimenticare mai di dare un occhio alle bici) .... probabilmente questo viaggio è per lui, la medicina migliore per guarire quei fastidiosi acciacchi che lo hanno colpito nell'inverno .... e poi continua a non piovere nonostante le nubi scurissime sopra di noi...e anche questo è un buon segno. Fino ad ora abbiamo fatto circa 90/95 km e posso già ritenermi soddisfatto dal punto di vista meteorologico, nel 2009 i primi 120 km, erano stati fatti sotto una pioggia battente, ora, per Jesolo, mancano solo 30/40 km. Dopo aver saldato il conto, ci avviciniamo al punto di attracco dei vaporetti, ed in questo caso ci dobbiamo ritenere molto fortunati, il responsabile del battello, forse anche perché al momento il natante non è affollato e vedendoci così carichi oltre che sempre più a rischio pioggia, si prende a cuore la nostra situazione, ci fa caricare immediatamente le biciclette suggerendoci cosa chiedere in biglietteria e come successivamente obliterare i biglietti ….. Al riguardo bisogna dire che in Laguna sono avanti in queste cose, a Ferrara, alla stazione ferroviaria, quando dobbiamo obliterare il biglietto, ci rechiamo davanti a quelle macchinette gialle, nell‟apposita fessura inseriamo il ticket e rumorosamente viene stampata (quando leggibile) la data del giorno; all‟imbarco del vaporetto invece, (se non c‟era il tipo ad aiutarci, noi non l‟avevamo individuata) c‟è, su un braccio affisso ad una parete, una specie di orologio (almeno la forma lo ricorda) davanti al quale basta far passare il biglietto e con un lettore ottico, questo rileva la nostra presenza. In pochi minuti salpiamo. Il tragitto è breve, una decina di minuti al massimo, peccato per questo cielo nuvoloso, ma mooolto nuvoloso, che ti distoglie da ogni altra cosa …. È chiaro ormai che tra poco ci dovremmo bagnare, il dubbio è quanto durerà il “tra poco”… c‟è la faremo ad arrivare all‟Hotel Palme, ancora abbastanza asciutti??? In perfetta tabella oraria arriviamo all‟isola di Pellestrina. Sbarchiamo mentre le prime gocce di pioggia cominciano a fare capolino sulle nostre teste, al momento ancora in forma leggera … fortunatamente. E‟ un peccato non poter guardare con più attenzione e tempo, questo stretto litorale tra Chioggia e il Lido di Venezia, la pioggia si fa più insistente e quindi di buona lena ci indirizziamo verso il ferryboat. La particolarità dell‟isola comunque, riusciamo a vederla, infatti la strada che stiamo percorrendo è la strada comunale dei Murazzi, a prima vista, alla nostra destra, c‟è un muro, ma in realtà si tratta di una diga lunga per tutta la l‟estensione dell‟isola, costruita in pietra d‟Istria, dalla Repubblica di Venezia per difendere gli argini della laguna dall‟erosione del mare. Sul ferry-boat siamo gli unici con le biciclette, qui non pare la bici sia un mezzo molto usato, ci sono in prevalenza auto, due corriere, un paio di moto di grossa cilindrata e vari pedoni. All‟arrivo al lido, la pioggia si fa più fastidiosa, ancora il kway è sufficiente, ma la cerata è sempre a portata di mano. Sulle orme di Massimo ci dirigiamo al prossimo punto d‟attracco, attraversiamo il lido tramite una striscia d‟asfalto tra le siepi delle villette (alla nostra destra) e il mare alla nostra sinistra …. il rammarico è sempre quello …. la pioggia non permette un trasferimento da turista libero, siamo schiavi della pioggia. All‟arrivo al punto d‟attracco, noto a Massimo e Marino, abbiamo una brutta sorpresa, il primo 7
vaporetto che porta a Jesolo ci sarà dopo due ore. La cosa chiaramente non è gradita, cominciamo così a chiedere in giro un aiuto, arrivando finalmente ad un nuovo punto d‟imbarco. Immediata corsa per i biglietti, con l‟addetto che ci informa che non sarà automatica la nostra salita sul vaporetto …. il capitano ha la facoltà di non farci salire o non tutti assieme, i pedoni hanno la precedenza e se questi sono in numero elevato, la bicicletta deve aspettare. Fiduciosi (non abbiamo altro da fare!!!) ci accodiamo nell‟attesa, e nel giro di 15 minuti, ecco arrivare il nostro mezzo. La gente sale e mentre ci apprestiamo a fare altrettanto, un brivido ci percorre la schiena, il capitano ci stoppa e ci invita ad aspettare qualche minuto. Afferra una cornetta e fortunatamente, dall‟altra parte del filo, una buonanima gli dà l‟ok e anche noi possiamo salire. Finalmente le nostre ruote toccano il molo di Jesolo e da qui, dopo il disbrigo da parte di tutti, di pratiche di carattere fisiologico, ripartiamo in sella alle nostre bici per fare gli ultimi 20 km per Jesolo Lido, ma…. Quell‟antipatica “amica” abbandonata per un po‟ in piazza a Crespino, la “sfortuna”, riappare come per incanto a Jesolo. E‟ vero che erano un paio di ore che aveva dato avvisaglie, ma giunti a Jesolo appare in tutto il suo “splendore”….. comincia la vera pioggia!!!! Trovato un riparo di fortuna in un chiosco di souvenirs al momento chiuso, cominciamo a cambiare muta, ora necessita la vera tenuta anti pioggia. Rimetto sotto il caschetto il cappello da “legionario fiumano” come lo definì Massimo nel 2009, mi infilo la cerata, ma soprattutto cerco di salvare i piedi (e le scarpe nuove!) dalla pioggia, così estraggo un paio di sacchetti di nylon al cui interno infilo i piedi e fisso il sacchetto alla gamba con degli elastici …. la copertura è fatta in casa, ma risulterà efficace. Per ultimo posiziono un sacchetto sia sopra il bauletto del manubrio e uno più ampio sui borsoni posteriori. A parte per il colore della giacca della cerata (quella del babbo è gialla, la mia nera) io e papà siamo identici, mentre gli altri sono un po‟ meno coperti. Quindi, sotto una pioggia battente, anche se piuttosto fine, partiamo per i nostri ultimi (si spera!) 20 km prima di raggiungere una, sospirata, doccia calda. In fila indiana prendiamo un vialone alberato, di cui non si vede la fine. Al primo semaforo (chiaramente all‟arrivo del verde) ripartiamo e ci spostiamo sulla sinistra dove si trova la corsia per le biciclette. La ciclabile è abbastanza larga, ha un manto stradale rosso, ma come spesso capita, ha l‟inconveniente di avere nel centro dei paletti per evitare che qualche sconsiderato ne faccia un uso improprio; nel nostro caso quindi la guida richiede una maggiore attenzione visto che il bagaglio che abbiamo, rende la parte posteriore della bicicletta piuttosto ingombrante. La pioggia, quando si viaggia in gruppo, come tutti i ciclisti sanno, è fastidiosa anche per un altro motivo. La ruota posteriore di chi ti precede, ti spara in faccia, in maniera regolare, quasi come fosse una mitragliatrice, tante belle gocce di ….. e qui non è facile dire di che cosa … diciamo un miscuglio di acqua e polvere, che rendono la visuale, specialmente per chi come me porta gli occhiali da vista e quindi non può mai toglierseli, veramente difficile, e se all‟inizio il problema è legato solo alla 8
visuale poi la situazione peggiora, perché per forza, tante di queste gocce ti entrano in bocca e dopo un po‟ ti sembra di masticare sabbia. In forza di tutto questo cerchiamo di stare sfasati e tenere qualche metro tra noi, e pedalare, pedalare e pedalare ancora… Nessuno di noi parla, abbiamo solo voglia di arrivare al fatidico Hotel Palme, abbiamo già incamerato circa 120/125 km di bicicletta, piove e non poco, la cerata non facilita la pedalata perché se da un lato ti protegge dalla pioggia, dall‟altro ti fa sudare una cifra e ti ingombra e anche la fame comincia a farsi sentire .. l‟ultimo boccone è di qualche ora fa. Mentre scrivo rivedo e ripenso a quei momenti, qui davanti al computer è divertente ricordarli ma averli vissuti un po‟ meno. Quando ormai vedevamo l‟arrivo a portata di mano, la nostra, ormai “odiata amica” sfortuna, è nuovamente tornata a far capolino su di noi … meglio dire su Marino. Sotto questo mezzo diluvio, Massimo è in testa poi ci siamo io ed Henk, qualche metro più indietro Marcello, Marino e papà. Ad un certo punto si sente un urlo, mi volto e, come me pure Massimo ed Henk, vediamo i tre fermi…… Motivo????? La ruota posteriore di Marino è a terra. A ricordarlo ancora ora mentre sto scrivendo, un sorriso da orecchio ad orecchio mi si stampa in faccia … pedalo da quasi 130 km, non mangio un pasto e non bevo qualcosa di decente da 3 ore, perché è vero che abbiamo la borraccia ma l‟acqua non è certo fresca e il tappo è sporco di polvere, la pioggia è insistente, il palato ha ormai assunto il gusto della sabbia con tutta la polvere che la pioggia ci ha fatto ingurgitare e quando sono ormai alla meta…..puff….buco. Io non sono Marino, e quindi non so cosa ha pensato o detto, ma se fossi stato al suo posto, guardando la ruota malefica, avrei detto di certo:
KATIENA „N KANKKARRRRRRR!!!!!!!! (trattasi di tipica espressione dialettale ferrarese, senza una traduzione specifica, ma che raggruppa al suo interno, una sequela di imprecazioni a rappresentare quanto di più “sfigato” ti può accadere in un momento già critico).
In questi casi, bisogna ringraziare di non essere soli, altrimenti prendi la bici e la scaraventi nel primo fosso che trovi. La decisione che viene presa, vista l‟inclemenza del tempo, è quella di dividerci (rimanere in 6 sotto la pioggia non sarebbe servito a velocizzare il cambio gomma); papà e Marcello rimangono con Marino mentre io ed Henk, con Massimo, ripartiamo per l‟hotel. Dopo circa mezz‟ora finalmente arriviamo al sudato albergo. Prendiamo possesso delle chiavi delle stanze, del posto dove depositare le biciclette e diamo l‟ordinazione per la cena e mentre stiamo salendo in camera, arrivano anche gli altri. Io e papy siamo al 4° piano (Marino con Henk e Massimo con Marcello al 3°), la stanza è semplice, ma spaziosa, con veduta mare (così l‟ha decantata la titolare), anche se la veduta non è il massimo visto che davanti a noi c‟è un altro bel palazzone (uno dei tanti alberghi della cittadina) e quindi dalla finestra solo in parte è possibile vedere il mare.
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A turno io e il babbo facciamo la doccia e disfiamo il bagaglio e dopo una giornata così, è bellissimo stare fermi sotto l'acqua e sentire le migliaia di gocce calde che ti martellano tutto il corpo e condire il tutto da una quantità industriale di sapone. Finito il bagno è già l'ora di cena, in pratica tutto il giorno è stato trascorso in bicicletta ... proprio come l'anno scorso, anche se stavolta almeno abbiamo preso meno acqua. Nella sala ristorante, solo un altro paio di tavoli è occupato, e quindi immediatamente il cameriere è da noi La tavola non è molto allegra, c‟è fame, la stanchezza si fa sentire, la sella, la pioggia, hanno lasciato il segno e specialmente Marino ha un umore piuttosto nero. La sfortuna di Marino è chiaramente al centro di molti dei nostri discorsi (rottura di un raggio e foratura ... sotto la pioggia), comunque tra una bistecca e, un buon bicchier di vino (sia di rosso che di bianco) finendo con caffè e dolce, la cena scivola tranquilla. Scesi successivamente al piano terra, volevamo fare due passi per il centro di Jesolo, ma, come se qualcuno ci perseguitasse, proprio attorno alle 21,30 scoppia il temporale, dalla finestra della sala tv si vede solo acqua, ma veramente in una quantità industriale .. non ci rimane che accendere la televisione e aspettare. Le previsioni (metereologiche e non) per la tappa successiva, Lido di Jesolo – Cervignano del Friuli, sono, nell'attesa di una tregua della pioggia, al centro dei nostri discorsi; la strada fino a Latisana è chiara, mentre qualche dubbio sul tratto successivo c'è, la prima opzione individuata da Massimo è quella di, una volta giunti a Palazzolo della Stella, svoltare verso la laguna di Marano, e da qui attraverso piste ciclabili e strade interne a bassa percorrenza, arrivare a Cervignano. L'altra possibilità è quella di seguire la strada provinciale, che da Latisana, attraverso Palazzolo dello Stella, San Giorgio di Nogaro, Torviscosa, porta a Cervignano. Fuori piove, ma piove proprio tanto, non so se deprimermi (le previsioni per l'indomani sono di acqua e solo tanta acqua) o se rallegrarmi pensando che quelle dolci nubi sopra di noi, stiano vuotando tutto il loro deposito d'acqua per essere completamente prive di liquidi per il giorno successivo, di certo ora è impensabile uscire a fare due passi. Così Massimo e Marcello ci salutano e vanno verso la loro branda, Henk e Marino, per ammazzare il tempo decidono di abbeverare i palati (birra per Henk e grappa per Marino) io e papà diamo un occhio alla tv, in attesa dei risultati sportivi. Verso le 23.00 saliamo tutti in camera, e ci diamo l'appuntamento per le 8.00 per la colazione. Come un anno fa mi ritrovo a ripercorrere mentalmente la giornata, che ho chiuso dopo 150 km (contando i 6 km da casa mia al ritrovo di partenza). Durante un viaggio, tra ciclisti c'è sempre il confronto del contachilometri, “quanti km segna il tuo, quanti il mio”, e chiaramente mai coincidono, quindi se non saranno stati 150, di certo saremo attorno ai 145, perciò una bella pedalata comunque. Poi il momento dei traghetti, un grande grazie va dato al capitano dell'ultimo ... se ci avesse fatto aspettare, saremmo arrivati all'albergo con buio pesto e acqua a catinelle. Rivivere le “sfighe” della giornata, lo zaino di Marcello, la foratura del babbo, il raggio rotto e la foratura successiva sotto l'acqua.... Alle volte vien da chiedersi perché si fanno certe cose, certe fatiche; forse è la passione per la bicicletta, la voglia di novità, la voglia di mettersi alla prova o un mix di tutto questo, ma di certo io so perchè anche quest'anno sono qua, SONO IN BICICLETTA, IN VACANZA CON MIO PAPA'. 10
3 MAGGIO, LUNEDI’ – L’UNICO SOLE Il cellulare era puntato per le 6.00, ma 10 minuti prima del suono, apro gli occhi, alla mia sinistra papà è già sveglio. Dopo un saluto, i nostri sguardi vanno verso la portafinestra, la notte l'abbiamo lasciata in compagnia di un temporale insistente... la speranza è chiaramente si sia esaurito. Alzo la tapparella e .................. piove, piove davvero parecchio .... anziché ai primi di maggio sembra essere in una giornata di metà settembre, quando ormai l'estate è andata e l'autunno si fa prepotente. Anche il mare ci si mette a smorzare il nostro entusiasmo .. è molto mosso, davvero nulla fa presagire un miglioramento della giornata. Quei menagramo dei meteorologi, sembra proprio stavolta ci abbiano preso in tutto .... ma ormai siamo in ballo e se anche l'entusiasmo oggi è stretto in un angolo, come disse il grande Jhon Belushi nel film Animal House: “QUANDO IL GIOCO SI FA DURO, I DURI COMINCIANO A GIOCARE” e la voglia di giocare è tanta. Scendiamo per il primo pasto della giornata, Marino ed Henk sono già presenti e così ci uniamo a loro. La colazione è il momento a tavola che preferisco (quando chiaramente è ricca e varia) e questa dell'Hotel Palme mi piace proprio. Il tavolo con le cibarie è fornitissimo, piatti di prosciutto e formaggio (che tralascio) poi brioche, marmellate, nutella, biscotti vari, spremuta di frutta e per finire cereali. Parto con una pasta, poi un'altra e quindi passo alla marmellata con le fette biscottate (ne pappo almeno 3) e chiudo con la “regina” dei dolci a colazione, La Nutella, e anche stavolta un paio di vaschettine (solo perché mi trattengo) spariscono tra le mie fauci. Nel frattempo arrivano Massimo e Marcello. Immagino sia inutile dire di cosa abbiamo parlato tra un caffè e una pasta ........ oggi sono 90 i km da percorrere, se fossero tutti sotto quest'acqua ........ Alla fine stabiliamo l'ora del ritrovo, 8.45 davanti all'hotel. Prima di tornare in camera per ritirare i nostri bagagli, vado a saldare il conto e mentre sono alla reception, con Massimo, ecco che la cattiveria di chi governa le nubi sopra di noi, raggiunge l'apice. Inizia un nuovo temporale, sembra stia veleggiando, sopra le nostre teste, uno stormo di Canadair che hanno preso il nostro hotel come un incendio da domare. Paghiamo e sconsolati saliamo a prendere i nostri bagagli. Arrivo con papà al box delle biciclette, dove, già alle prese con la preparazione sono Massimo ed Henk e ci informano che Marino, con Marcello, sono già partiti con destinazione meccanico per sostituire il raggio precedentemente rotto. L'acqua è così forte che decido di mettere la cerata, idem papà mentre Massimo si è infilato un poncho antipioggia, chiudo la preparazione con gli ormai classici sacchetti di nylon ai piedi, Henk, da uomo del nord abituato a vento e pioggia, ha un semplice kway. 11
Dopo poche pedalate bagnate, arriviamo all'officina e ci infiliamo sotto una pensilina ad aspettare. All‟interno vediamo Marino e Marcello che osservano l‟operato del meccanico, l‟Olympia di Marino è fissata su un apposito telaio, ed è mancante della ruota posteriore. L‟attesa è proficua, mentre aspettiamo, l‟intensità della pioggia diminuisce progressivamente fino a cessare, così, anche se il cielo rimane grigio e minaccioso, per l‟ennesima volta ci cambiamo, via chi il poncho, chi la cerata e chi il semplice kway. Questo mettere, togliere, mettere e togliere ancora questi indumenti, è veramente una gran scocciatura. In un giorno con tempo tranquillo, quando parti dall‟albergo, questi capi antipioggia li hai tutti piegati per bene e riposti nelle borse; quando li devi indossare, perché comincia a piovere, ti devi fermare, ti devi ricordare in quale borsa li hai messi, ti infili il tutto, poi se smette di piovere prima di arrivare alla meta finale, ti devi fermare, ti svesti e poi dove li metti i capi bagnati? Non puoi certo metterli subito negli zaini, primo perché sono bagnati e poi state pur certi che non ci stanno più, alla sera hai avuto tutto il tempo di piegarli e di pressarli per bene, ora no, sono bagnati e devi fare tutto in fretta; fortunatamente quest‟anno ho risolto, ma solo in parte, questa scocciatura, mettendo la cerata nel bauletto posto sul manubrio. Massimo, nell‟attesa, visto il bisogno di rifornirsi di notizie, va, con Henk a comprare il giornale, mentre io e papà rimaniamo ad aspettare la fine della messa a punto del‟Olympia. Attorno alle 9.40, sembra tutto pronto, e partiamo; sulla tabella di marcia siamo un po‟ in ritardo ma oggi i km non sono molti da fare (in tutto circa 90) e il percorso è piatto, e qualche timido raggio di sole spunta tra i palazzi di Jesolo, e quindi riprendiamo fiduciosi il viaggio. Percorriamo esattamente 4 km e, come nei migliori film della commedia all‟italiana, ma forse questa volta rasentiamo le comiche di Stanlio e Olio, il buon caro vecchio Marino, ci sorprende ancora una volta:
HA FORATO!!!!!!!
In poco più di una giornata, il nostro caro amico, può contare già su due forature e un raggio rotto …………. e non è finita qui, visto che un miscuglio tra ira e frustrazione si sono impadroniti di lui, nella foga di gonfiare la ruota appena sistemata, spezza letteralmente in due, la pompa. E‟ vero, un amico dovrebbe condividere la tristezza, il dispiacere di questi eventi con chi li subisce, ma a me in quei momenti mi scappava tanto da ridere. Alla fine anche questo inconveniente è superato e, con la promessa di Marino, che alla prossima sventura sarebbe ritornato immediatamente a casa, ripartiamo. Con il meteo che ci aiuta, viaggiamo finalmente tranquilli, seguendo le indicazioni per Eraclea Mare. Lungo il tragitto attraversiamo il glorioso Piave, pedalando sopra un ponte di barche, sul quale ci prendiamo le rimostranze del responsabile, perché per qualche minuto ci sostiamo per dare l‟ennesima controllata alle gomme di Marino. All‟arrivo ad Eraclea, sono due le cose che ci colpiscono, una, è data dalle strade bagnatissime, perciò ci sta andando alla grande, e l‟altra è data dalle insegne che campeggiano su tutto il litorale di una famosissima (per noi ferraresi) agenzia immobiliare. E‟ facile scoprire di chi parlo, il suo logo ci martella quotidianamente su Telestense, è formato da alcune linee che delimitano i lati e il tetto di una casa, al suo interno c‟è raffigurato il sole (oltre al nome del costruttore) e nella parte inferiore vi è disegnata un‟onda azzurra … di chi parlo??? 12
Ma di: TOMASI CASE !!!!!! E sì, amici miei, il nostro caro concittadino Gianfranco Tomasi, dopo aver cementificato tutti i lidi ferraresi si è spostato più a nord … litorale veneziano .. per l‟appunto Eraclea Mare. Nella strada che attraversiamo, sembra di essere in un quartiere di Lido degli Estensi o Lido delle Nazioni, fate voi, tanto sono case tutte uguali. A questo punto non poteva mancare l‟intervento di Henk che, da accanito tifoso spallino, intona immediatamente il coro che, negli ultimi mesi dell‟avventura spallina di Tomasi (dal 2005 al 2008), partiva dalla Curva Ovest all‟indirizzo del presidente:
TOMASI CASE VA A C - - - R, TOMASI CASE VA A C - - - R.
Oggi è tutto un altro viaggiare, il cielo tiene discretamente, gli inconvenienti di Marino sono al momento dimenticati (da noi cinque di certo … da lui chissà), non abbiamo coincidenze da prendere (i rischi dei tre traghetti del giorno prima sono stati tanti) e, almeno per me, gli acciacchi del mio “vecchio leone” non si fanno sentire, il babbo sta sempre in coda per scelta (indossa una maglia giallo canarino, molto evidente) ha perennemente il sorriso stampato da lobo a lobo, e mai parla di problemi. Dopo Eraclea, eccoci a Caorle, dove facciamo sosta caffè e un po‟ i turisti. Il centro non è molto grande ma caratteristico; tanti negozi, la via centrale (per la pavimentazione … i sampietrini da cui è formata) ricorda un po‟ la nostra Via Martiri della Libertà. Poi un duomo con il relativo campanile cilindrico sormontato da una cuspide conica, il tutto in stile romanico. Dalla piazza del duomo, da cui si diramano tante calli, ci dirigiamo verso il lungomare. Tra l‟ultimo lembo di terra e gli scogli, il comune ha costruito una strada pedonale, all‟incirca delle dimensioni di una buona pista ciclabile, dove la gente passeggia, anche in queste giornate un po‟ grigie e sferzate dal vento. Alla punta più estrema del lungomare sorge l‟altro (oltre al duomo) monumento storico della città, il Santuario della Madonna dell‟Angelo. Ritemprati dalla sosta caffè e dalla pausa turistica, riprendiamo i nostri mezzi con direzione Latisana. Dopo una svolta a destra, ci immettiamo in un lunghissimo rettilineo alberato, stile la nostra Via Pomposa, e per tanti km il paesaggio è di una monotonia pazzesca, tante culture a terra, ma di frutteti, di case, di un briciolo di storia nemmeno l‟ombra, a tutto questo aggiungiamo che sono passate le 13 e la fame si fa sentire. Prima di lasciare il Veneto, decidiamo per una sosta pranzo, sono circa le 14.30, e ci fermiamo esattamente nell‟ultimo comune ad est della provincia di Venezia, San Michele al Tagliamento. Vista l‟ora, di trattorie aperte nemmeno l‟ombra e quindi entriamo in un bar. E‟ quasi deserto, ma spazioso, quindi ottimo per le nostre necessità. Prima esigenza: DISSETARSI, a parte Massimo che ordina un succo Ace, noi cinque optiamo per una fresca birra bionda, poi dritti al banco vivande. I panini a disposizione sono di vario tipo ma è uno che mi colpisce, il Toast al prosciutto cotto e formaggio. Direte: COME FA A COLPIRTI UN TOAST? 13
Perché, non so se è una caratteristica del solo comune di San Michele o della zona tra la provincia di Venezia e di Udine, ma il toast è formato da tre fette di pane e quindi due strati di prosciutto e formaggio, a Ferrara, toast di quella forma non li ho mai visti. L‟aspetto è accattivante, aggiungiamo una fame notevole e quindi scelgo quello; quando arriva è caldo e fumante ed in meno di dieci minuti lo faccio fuori. Viste le energie consumate, ritengo scarsa la porzione gustata e quindi ne ordino un altro. Tra un boccone e un sorso di birra, diamo un‟occhiata ai giornali sparsi sui tavoli e facciamo qualche commento sulla strada fatta. Successivamente decidiamo di guardare, sulla mappa, il percorso da lì a Cervignano. I km rimasti sono circa un trentina, ma dobbiamo decidere quale strada seguire dopo Palazzolo della Stella; Massimo spinge per deviare per Marano ed entrare nella sua laguna e da qui, attraverso ciclabili e strade secondarie, arrivare a Cervignano, Marino invece, è per proseguire sulla statale, senza deviazioni in laguna. Io, papà, Marcello ed Henk, facciamo da spettatori, Massimo e Marino sostengono, con motivazioni diverse le loro proposte; Massimo dice Laguna, per girare in strade tranquille, entrare in una zona dove la natura la fa da regina, Marino invece sostiene la statale perché il tratto pericoloso è di pochi km, perché le ciclabili in laguna ci sono ma bisogna individuarle e non ultimo, sono ciclabili sterrate ed avendo già lasciato per strada due camere d‟aria non vuole assolutamente rischiarne una terza. I panini spariscono, i bicchieri si vuotano, ma ognuno rimane sulla propria scelta, così decidiamo di dividerci, al bivio per la laguna, io e mio padre andremo con Marino, Marcello ed Henk con Massimo. Dopo il caffè ripartiamo, attraversando il glorioso Tagliamento, prendiamo per Latisana e da qui per Precenicco, giunti a Palazzolo dello Stella, Massimo con Marcello ed Henk svoltano a destra e si dirigono a Marano, io e papà seguiamo Marino. I nostri riferimenti diventano le indicazioni per San Giorgio di Nogaro, ed in perfetta fila indiana pedaliamo lungo la statale. Dopo circa un km, mi porto in testa e alzo il ritmo. Arrivati a San Giorgio, breve stop per un‟ultima verifica della cartina e poi riprendiamo. A questo punto il traffico cala notevolmente e viaggiamo più tranquilli. Lungo il tragitto, notando alla nostra destra una pompa dell‟acqua, il buon Marino si ferma e così anche io e papy freniamo e torniamo sui nostri passi, ed a questo punto ci accorgiamo di una splendida sorpresa, una di quelle cose che solo la bicicletta ti permette di fartele vivere. Dopo la frenata, faccio una piccola inversione e proprio sotto di me (sono su un piccolo ponte) noto una cosa bellissima, vi sono due grandi cigni bianchi, la femmina sull‟argine al limite dell‟acqua ed il maschio che, sull‟acqua, le ronza attorno, ma ancora più bella è l‟immagine che appare ai lati della femmina, riparati in parte dalla sua ala, vi sono 4 piccoli cigni di colore grigiastro, fanno tenerezza ….. sono veramente piccoli, è davvero bello vedere l‟amore della madre che si pone come ultimo baluardo ai propri piccoli mentre il padre sta in avanscoperta … bello, bello, bello!!! E‟ sempre più difficile, ai giorni nostri, vedere queste immagini; questa è un‟altra delle emozioni che solo la bicicletta riesce a darti ed è una delle cose per cui la fatica fisica, anche se c‟è, la sopporti con piacere. Immortalato con un paio di foto questo splendido quadro familiare, mi reco pure io alla pompa, e mentre facciamo il pieno alle nostre borracce, ecco la seconda gradita sorpresa. Un po‟ più all‟interno, dal lato della pompa, c‟è un cippo, a metà della struttura c‟è una targa che dice: 14
Antico confine di Stato Lombardo Veneto – Illirico (1814-1866) Poi Italo – Austriaco (1866-1918) Termine N° 77 Collocato nel 1911 In pratica siamo esattamente sul confine esistente tra Italia ed Austria fino al termine della prima guerra mondiale. Visto che siamo sull‟argine di un piccolo fiume, chiedo a Marino se sa dove ci troviamo, la sua risposta è immediata, ci troviamo esattamente sul fiume VERSA . Con l‟attraversamento del Tagliamento, entrando definitivamente in territorio friulano, la regione dove nel lontano millenovecentocinquant____ (sono gentile, e non metto l‟ultimo numero dell‟anno di nascita) una dolce cicogna, in quel di Gorizia, depose sul camino di casa Pitton, un piccolo frugoletto, dandogli il nome di Marino, ho l‟impressione che Marino senta in modo particolare questo attraversamento (posso anche essermi sbagliato ma…). Non perde occasione di illustrarci il territorio che abbiamo attorno a noi, ricordando spesso i momenti in cui …. ormai qualche decennio fa, in sella ad una moto, con qualsiasi tempo, scorazzava per queste zone. Davvero interessanti sono poi le descrizioni del paesaggio quando, dopo aver lasciato il cippo e la splendida famiglia di cigni, arriviamo nel comune di Torviscosa, che attualmente è una piccola cittadina friulana di circa 3.000 abitanti, come c‟è ne sono tante in zona, ricca nella sua periferia di tanti piccoli pioppeti, ma nel periodo del boom industriale, a partire dagli anni 50 e fino agli anni 70, era diventata un grande centro per della fabbricazione di cellulosa, vista la ricchezza in zona della materia prima principale; i pioppeti erano in quantità enormemente maggiore, ed essendo il territorio di origine paludosa, erano ancora tante le piantagioni di Canna gentile che si potevano trovare. Con il passare del tempo la materia prima è cambiata, le politiche urbanistiche hanno preso il sopravvento e l‟antica importanza della città è scemata. Tra una pedalata ed uno scambio di battute, arriviamo alle porte di Cervignano, dove il Monumento all‟Alpino sembra voglia indicarci la strada per entrare in paese. Dopo qualche centinaio di metri, ecco la nostra meta, l‟”Antica Osteria Al Porto”. La prima impressione è ottima come Osteria, caratteristico l‟uso delle botti per appoggiare i bicchieri ubicate davanti al locale, ma mi lascia qualche perplessità come hotel…non ne ha per nulla le sembianze. La porta d‟ingresso è ancora chiusa, siamo arrivati in un momento di pausa, sono le 17.30, mentre il locale riapre alle 18.00 (così sono le indicazioni sul cartello), ma all‟interno qualcuno ci vede e ci viene ad aprire. Un tipo dai modi cortesi ma senza fronzoli ci fa entrare, e ci risponde positivamente alla nostra richiesta di tre camere doppie; ci indica dove portare i nostri mezzi e ci fornisce le chiavi delle stanze. Ora la sorpresa, la camera (al secondo piano) è veramente spaziosa, con tante parti in legno che fanno tanto “montagna” e addirittura il bagno con la doccia idromassaggio. Dalla partenza, è il primo momento completamente sereno, viaggio tranquillo e l‟ultima ora fatta sotto un bel sole, la camera è accogliente, siamo arrivati presto e quindi abbiamo tutto il tempo per posizionarci in camera e per fare la doccia …. sono proprio contento. Verso le 18.30, ci troviamo con Marino a piano terra, lasciamo i documenti al tipo senza fronzoli e decidiamo di uscire, non prima però, di chiedere informazioni per un meccanico di biciclette, il buon Pitton deve rifare scorta di camere d‟aria e ha bisogno di una pompa nuova per la bici. 15
Gli altri, dopo una telefonata ad Henk, sono nei pressi del fiume Ausa, quindi almeno ad un‟ora buona da Cervignano. Il tipo dell‟osteria ci indica un negozio, a parer suo il migliore della zona, chiamato “Mototecnica Canesin”, e vista la distanza (1,5/2 km dal nostro albergo) ci andiamo con i nostri mezzi. Fortunatamente abbiamo preso le biciclette, perché il negozio è ben più lontano del km e mezzo/2 che ci aveva detto il tipo, la distanza è sicuramente compresa tra i 3 e i 4 km.. La struttura, gestita da due fratelli e dal padre, è davvero ampia, un‟ala è destinata alle moto e l‟altra alle biciclette e suoi accessori. Dentro c‟è di tutto, le biciclette Bottecchia, Willier, Aurora e Olimpya, dalle mountain bike, alle city bike, biciclette classiche e da corsa e per tutte le età. Oltre ad acquistare una pompa e due camere d‟aria, ci fermiamo a parlare con uno dei fratelli di quello che stiamo facendo e delle strade che si possono trovare oltre confine. Al momento di uscire Marino sforna la più bella battuta della giornata e della vacanza fin lì trascorsa:
STA GITA LA ME DE CUSTAR PIU‟ AD BICICLETA CHE D‟ALBERG (che sarebbe: questa gita mi sta costando più di pezzi di ricambio per la bicicletta che per gli alberghi).
Al ritorno in albergo, anche i nostri compagni sono tornati. E‟ ancora presto per la cena, sarà servita non prima delle 20; rimaniamo così un po‟ spaparazzati sulle poltroncine dell‟osteria tra un giornale ed una birra, finché, alla spicciolata, scendono pure gli altri nostri tre compagni di avventura con i quali ci confrontiamo sulle strade fatte dopo la separazione. Nell‟ultima mezz‟ora prima del pasto, io, papà, Marino, Henk e Marcello (che rientrerà quasi immediatamente) usciamo per due passi. Almeno nella zona in cui siamo noi, non ci sono cose di particolare interesse artistico, ma due fatti mi colpiscono: il legame gente/osterie e il fiume Ausa. E‟ impressionante camminare per strada e vedere la marea di gente, di tutte le età, che, con un bicchiere di vino in mano, si intrattiene dentro o sull‟uscio dei bar osterie. Anche a Ferrara c‟è il rito dell‟aperitivo, ma è limitato ai bar più in voga del momento, in genere poi la gente ha mediamente dai 20 ai 40 anni, qui invece tutti sono con il bicchiere in mano e tutti i bar sono pieni di gente. L‟Ausa è il fiume che attraversa Cervignano e il nostro albergo è posizionato molto vicino al ponte sul fiume che permette di entrare nel centro del paese. Dopo aver passeggiato lungo il suo corso, abbiamo sostato sopra questo ponte e guardando l‟acqua siamo rimasti colpiti dall‟enorme quantità di pesci (Marino li ha definiti CAVEDANI) presenti e anche piuttosto grossi. L‟unico esempio per rendere un‟idea di quanti fossero, possono darlo quei film americani ambientati durante il secondo conflitto mondiale, come ad esempio “Il giorno più lungo”, il film che narra i preparativi e poi lo sbarco degli alleati in Normandia, dove ad un certo punto, una marea di bombardieri, tutti posizionati in perfette file parallele, solcano il cielo quasi da coprirlo interamente. Ecco, sotto quel ponte, in quel piccolo specchio d‟acqua, c‟erano file di questi pesci, quasi immobili, che essendo in posizione opposta alla corrente dell‟acqua, aspettavano quasi certamente che il loro nutrimento gli venisse direttamente contro. Anche questa immagine è caduta nelle grinfie della mia digitale. Alle 20 siamo posizionati nella sala ristorante … siamo i primi della serata e per un po‟ anche gli unici; il tipo senza fronzoli ci porta il menù, ma non come siamo abituati a Ferrara, il tipo bisogna dire che ci sa fare, è riuscito a rendere particolare la sua osteria, il menu non è altro che un grande cavalletto sul quale è appoggiato un grande bloc-notes dove, con un pennarello, ci sono riportati i 16
piatti del giorno, per capirci si tratta di quei notes come alle volte si usano in riunioni, convegni. Ogni volta che qualche avventore si siede in uno dei tavoli della sala, questo sposta il cavalletto e lo porta nel nuovo tavolo occupato. Leggendo le portate, io vado deciso per i piatti della zona. Potreste chiedermi: COME HAI FATTO AD INDIVIDUARLI? Facile, scarto subito: insalate di pasta o riso freddo, gnocchi, garganelli e tagliatelle al profumo di tartufo, elimino anche insalatoni, e tagliate, costate e filetti, depenno anche i nodini di vitello, di baccalà mantecato non ne voglio proprio e quindi mi rimaneva il Prosciutto di Sauris (che conoscevo di nome perché per radio avevo sentito che, da poche settimane aveva ottenuto l‟IGP, Indicazione Geografica Protetta), il Goulash Souppe e il Goulash con Knoedel, poi Cjarsons e quindi il Frico. Il Goulash ho sempre saputo fosse originario dell‟Ungheria, quindi tolgo pure quello, alla fine rimangono solamente Posciutto di Sauris, Cjarsons e Frico. In conclusione tutti optiamo per una porzione di Prosciutto di Sauris come antipasto (la sua caratteristica è che ha una leggera affumicatura); come primo, a parte Henk che ordina un piatto di garganelli, Cjarsons (una sorta di tortelli con un ripieno a base di erbe della zona) e per secondo il Frico (una specie di frittata con patate, solamente che al posto dell‟uovo, utilizzano del formaggio), insalata mista e come liquidi, vino rosso e bottiglia di bianco (l‟olandese beve solo quello). La cena è perfetta, i piatti serviti sono ottimi, il vino con cui innaffiamo ogni porzione è ideale .... la bicicletta ti dà anche questo, alla sera hai bruciato tante di quelle energie che mangi con assoluto piacere. Tra i vari discorsi, parliamo anche della tappa successiva, da Cervignano ad Ajducina, tappa che non presenta particolari difficoltà, però le previsioni del tempo sono piuttosto negative. Pare che la mattinata sarà abbastanza tranquilla mentre temporali sono previsti per il pomeriggio; stabiliamo quindi di fare la colazione all'apertura del bar e partire immediatamente per poter incamerare il maggior numero di km all'asciutto. Ormai siamo arrivati alla fine e qui ecco una gradita sorpresa; entra in sala una bella signora mora, il Marino si alza e gli va incontro ... torna da noi e la presenta ... è sua sorella. Nel frattempo il titolare ci porta, a conclusione del pasto, una bottiglia di grappa, piena a metà. Chiacchiere e risate si sprecano, i bicchieri non sono mai fermi, e al momento di salutare la sorellina (che da buona consanguinea se ne va con la biancheria sporca del fratello), per il giusto ritorno a casa, di grappa non c'è più traccia, i quattro, Henk, Marcello, Marino e Massimo (in rigoroso ordine alfabetico) hanno prosciugato (con piacere!), la bottiglia (io non ho partecipato perché la grappa non mi piace, mentre per il babbo c'erano degli ordini medici da rispettare). Verso le 23.30 ci salutiamo e ci diamo appuntamento per l'indomani alle ore 8.00 (orario di apertura del bar) per la colazione. Giunti in camera, io e papà ci rilassiamo qualche minuto davanti al tv, e dopo avergli dato un buffetto sulla guancia ci diamo la buonanotte.
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4 MAGGIO, MARTEDI’ – SI ENTRA IN EUROPA La notte è trascorsa serena e come sempre, ci svegliamo prima del suono della sveglia. La solita prassi quotidiana, preparazione bagagli e passaggio in bagno e puntuali siamo pronti per la colazione. Ci troviamo tutti e sei (più un altro viandante) alle 8.00 davanti la porta del bar, che al momento è ancora chiusa, così nell'attesa i primi commenti sono rivolti al cielo. E' di un bel blu scuro .. intenso ... la minaccia della pioggia è incombente. Finalmente la cameriera, che ci aveva servito durante la cena, arriva, ci posizioniamo al bar e ordiniamo, in questo caso la colazione è normalissima ... sfortunatamente, quindi solo un bel cappuccino e una pasta. Sotto un cielo minaccioso, attorno alle 8.40 partiamo. Ritorniamo verso il monumento all'alpino e svoltiamo a destra, dopo qualche centinaio di metri ecco le prime gocce, e nemmeno il tempo di maledire questo tempaccio che le gocce di pioggia si trasformano, diventando sempre più grosse. La fortuna vuole che a un centinaio di metri da noi, sulla sinistra, vi sia una autosalone e officina Citroen, ed immediatamente entriamo nel cortile, posizionandoci sotto un'ampia tettoia. Dopo qualche minuto, durante il quale cominciamo ad estrarre gli indumenti antipioggia, ecco uscire dall'officina un baffuto signore che guardandoci e sorridendo, dice: CHE CULO! MA CHE CULO CHE AVETE! CHE CULO! Non sappiamo se si riferiva al fatto di aver trovato una copertura di fortuna o, in senso ironico, di aver trovato di prima mattina un forte acquazzone, di fatto, il tipo è simpatico nei modi, e ci dice che possiamo rimanere lì sotto quanto vogliamo. Qualche foto durante i cambi abiti e restiamo in attesa del calo dell'intensità. Passano una ventina di minuti buoni prima che qualche miglioramento ci sia, così dopo un breve confronto decidiamo di partire, la nostra meta è Gorizia. La precipitazione si è ormai trasformata in una leggera pioggerellina, quindi appena giunti a Gradisca d'Isonzo via la cerata. Per l'ennesima volta mi trovo a imprecare contro questo tempo, Gradisca appare una bella cittadina, Marino da friulano doc, ci porta nella piazza principale, davanti all'unico bastione rimasto delle antiche mura, ma continuare a fare il semplice turista nello stato in cui siamo non è piacevole, quindi, quasi immediatamente ripartiamo per Gorizia. Pedaliamo senza sosta per circa 15 km e le porte della città appaiono davanti a noi. Marino, a cui Massimo ha passato il bastone del comando, per districarsi tra le viuzze del centro, si dirige verso la piazza centrale, Piazza Vittoria. Questa è piuttosto ampia, peccato che una parte sia transennata causa lavori, comunque sono due gli elementi che maggiormente la caratterizzano, la chiesa di Sant'Ignazio, un edificio barocco del 6/700, e la Fontana del Nettuno, anche questa della metà del '700. Tra una foto e una battuta, la pioggia riprende a scendere copiosa...dobbiamo decidere cosa fare, valicare subito o aspettare? Vista l'ora, sono circa le 11.00, decidiamo prima di tutto di arrivare al Castello di Gorizia, struttura che da una piccola altura vicino a noi, domina la città, e prendere qui la decisione. Inforchiamo la stradina che ci porterà in cima, le prime rampe si fanno subito sentire, non bisogna dimenticare che la pioggia ha ripreso bene, e le difficoltà aumentano perché la pavimentazione è in acciottolato e quindi scivolosa. Tra una pedalata ed una imprecazione per le difficoltà, alla spicciolata riusciamo ad arrivare davanti 18
alla porta principale. Il castello, a pianta pentagonale, è davvero imponente, l'impressione è che in origine fosse davvero ben difficile per tutti espugnarlo. La porta d'accesso è sormontata dal simbolo della Serenissima, il grande leone alato; la cosa curiosa è che nonostante si tratti di un manufatto originale, il leone fu posto in quella posizione solamente nel ventennio fascista, quando l'intero complesso venne restaurato dopo le conseguenze del primo conflitto mondiale; la Repubblica di Venezia non lasciò segni tangibili della sua occupazione in città perché regnò in queste zone per un brevissimo periodo. L'erta è stata difficile ma il panorama che si vede è veramente bello (sempre peccato per la pioggia che non lo fa apprezzare del tutto), Marino ci indica la Slovenia anche ai nostri occhi appaiono solo tanti boschi. Vista l'ora, sono le 11.30, non riteniamo opportuno fermarci a Gorizia, è troppo presto per pranzare, così voltiamo le nostre bici per la discesa e con il Pitton sempre davanti, ci dirigiamo verso il confine. Sotto una pioggia battente, lasciamo la città, e a malincuore me ne vado senza aver visto in particolar modo due cose, gli interni del Castello e Piazza della Transalpina. Gorizia è una di quelle piccole cittadine italiane che, come Ferrara, sono ai più poco note, ma sono ricche di storie. Perché il Castello - I castelli, per me, sono sempre un qualcosa di unico e stupefacente, costruzioni che, tranne per alcune caratteristiche, sono sempre pezzi unici, costruiti in posizioni particolari e, come mi è successo qui, a Gorizia, appena ne vedo uno, la mia mente torna nel passato e alla fine mi rimane sempre, un grosso punto interrogativo: come era possibile nel medioevo, con i mezzi e le conoscenze dell‟epoca, erigere queste splendide fortezze, in quelle posizioni strategicamente perfette e difficilissime ed in tempi relativamente brevi? Bisogna dire che erano davvero bravi. Al giorno d‟oggi…….almeno i tempi ed i costi…..sarebbero lievitati all‟infinito. Perché Piazza della Transalpina – Ne ho sempre sentito parlare di questa divisoria, il Muro di Gorizia, una sorta di piccolo muro di Berlino posizionato appunto in Piazza della Transalpina a Gorizia, a dividere in due la frontiera italo-jugoslava all‟interno della città. Anche se ora il muro originale (in realtà era solamente di qualche centimetro ma sormontato da una ringhiera ad altezza d‟uomo) non esiste più (per ricordarlo è stato posto al centro della piazza un mosaico circolare e una linea di mattonelle di pietra), pensare che a partire dal 1947, anche in Italia, nel nostro paese, tante famiglie sono state separate dai loro cari senza un motivo plausibile, mi ha sempre colpito. Ripromettendomi di tornare a Gorizia quanto prima, attraversiamo la frontiera senza particolari problemi, se non, la pioggia che, se possibile, aumenta continuamente d‟intensità. La cerata fa il suo dovere, ma l‟acqua che Mister Giove Pluvio ci sta mandando è davvero tanta, il cielo poi non promette miglioramenti, è totalmente coperto da nubi. Addentrandoci in territorio sloveno due sono le cose di cui tutti ci accorgiamo, il verde e le strade. Il verde è ovunque attorno a noi, tranne qualche casa sparsa qua e là, il paesaggio è formato solo da prati e boschi. Probabilmente cambia la tipologia degli alberi (causa pioggia non è facile notarlo), i loro colori, ma i boschi sono la presenza principale che incontriamo in questi primi km in territorio sloveno. Per quanto riguarda le strade, sono perfette, non incontriamo un buco, una rottura, tutto liscio e per un ciclista (specialmente ferrarese viste le condizioni della maggior parte delle strade della nostra provincia) è una manna dal cielo pedalare su questo manto stradale. Sono poche anche le quattro ruote che incrociamo, noi siamo in fila indiana, ma bisogna 19
riconoscere che tutti gli automobilisti che incontriamo, sono molto rispettosi del nostro passaggio….o forse gli facciamo solo compassione!!! Il verde, la strada perfettamente levigata e la pioggia che, senza nessun rispetto per 6 poveri diavoli, viene a catinelle, non ci ha fatto dimenticare la fame. L‟ora canonica del pranzo è già trascorsa da un po‟ e i morsi della fame cominciano a farsi sentire, ma sarà la zona che stiamo attraversando, sarà la pioggia che non ci permette di osservare bene ciò che ci circonda, o sarà che proprio di locali non c‟è ne sono, non riusciamo a trovare, lungo la strada una pur modesta trattoria. Ecco un‟altra caratteristica della Slovenia, mentre nelle nostre zone, durante una qualsiasi escursione in bicicletta, è facile trovare un bar, una trattoria lungo la strada, anche fuori dai centri abitati, nella Repubblica Slovena questo è molto più raro. Mentre pedali vedi il verde dei prati e dei boschi ovunque, poi ad un certo punto ti appare un piccolo centro abitato, se lo oltrepassi, nuovamente ti immergi nel verde; rarissimo trovare un‟abitazione sola. Questo per noi è un piccolo problema, tutti abbiamo fame, l‟unico che è superiore a questa situazione è Marcello, viste le sue esperienze in campo sportivo professionistico, il ragazzo è ben fornito di maltodestrine, e spesso lo si vede tracannare questi liquidi durante il percorso. Finalmente, dopo tanto peregrinare, spunta, dopo un falsopiano (avevo dimenticato di dire, che entrando il Slovenia, il terreno è diventato ondulato) una pseudo trattoria con distesa…da fuori non si capisce se è solo bar o anche trattoria, comunque viste le alternative (NON CI SONO!) ci fermiamo e proviamo ad entrare. E‟ una trattoria, semplice, con un paio di tavoli già occupati, e (cosa estremamente positiva) ha all‟ingresso un veranda spaziosa, così riusciamo a mettere al coperto anche le nostre biciclette. Dopo pochi minuti, ecco arrivare una signora che, in un italiano non perfetto, ma sufficientemente chiaro, comincia ad elencarci le pietanze del giorno. Come primo, io, papà e Massimo ordiniamo una zuppa calda di verdure, mentre Henk va di maccheroni, Marcello e Marino piatto di prosciutto; insalata mista per tutti ed infine (sempre per tutti) una cotoletta con patate (nella realtà la cotoletta così definita dalla signora, era una braciola con patate). Acqua per Massimo mentre noi cinque, su indicazione di Marcello, ordiniamo una bottiglia (è da mezzo litro) della birra locale, l‟UNION. Tutto va giù che è un piacere, la zuppa è calda e la birra è veramente buona, è fresca e alcolica il giusto. Alla fine di tutto arrivano 6 caffè, e qui il confronto con quello italiano non regge, ma almeno è caldo. L‟ottimo pranzo è una panacea per il nostro morale e ancor più quando arriva il conto; per tutto, e quindi: 3 zuppe, 2 porzioni di prosciutto, 1 piatto di maccheroni; 6 braciole con patate; 6 insalate miste; 5 birre in bottiglia da 0,50 e una bottiglietta d‟acqua; 6 caffè. Il tutto per € 49,50, quindi € 8,25 a cranio….chiaro???? In Italia forse nemmeno con il doppio saremmo riusciti a mangiare tanto. Al termine del pranzo la nostra “cara” compagna di viaggio, LA PIOGGIA, sembra proprio non aver nessuna intenzione, se non di smettere, almeno di rallentare, scende che è un piacere, in alcuni momenti è così fitta che rende difficoltosa la visuale in lontananza. 20
Nell‟attesa di un miglioramento, non ci rimane che aspettare, almeno sia noi che le biciclette siamo al coperto. Qualche commento sui bagagli, sulla strada e le prime considerazioni sulla Slovenia fanno capolino tra i nostri discorsi, ma il tempo passa lentamente….troppo lentamente. Visto che l‟attesa si prospetta ancora lunga e non ultimo, i prezzi praticati così convenienti, io, papà Marino ed Henk, facciamo un salto al banco bar; io e papy per altri due simil-caffè mentre Marino ed Henk ordinano il liquore caratteristico dei territori dell‟ex Juogoslavia, la Slivovitz (acquavite tipica della Serbia ma prodotta anche in tutti i paesi balcanici, ottenuta dalla fermentazione delle prugne, con una gradazione tra i 40/45°). Nella zona bar arriva anche Massimo, che ci propone di partire. La pioggia pare leggermente calata e, confidando anche in un po‟ di fortuna, che sarebbe meritata visto che piove praticamente ininterrottamente dal mattino, la strada da percorrere non è molta, Aidussina dista solo 12 km. Ci infagottiamo nuovamente e partiamo. I primi km sono tranquilli (per quello che possono essere dei km in bicicletta, su un territorio ondulato e sotto una pioggia battente), poi, come se qualcuno dall‟altro ci avesse visto uscire dalla trattoria, l‟intensità della pioggia, aumenta, aumenta e se è possibile, aumenta ancor di più. L‟acqua è così tanta ora, che per forza si formano delle pozzanghere sulla strada e così, anche se gli autisti sloveni rimangono cortesi nei nostri confronti, al loro passaggio, specialmente di qualche camion e corriera, anche loro contribuiscono a lavarci. Dopo tanto pedalare ecco un raggio di sole, il cartello che ci indica l‟arrivo ad Aidussina. Solo la grinta e il piacere della bicicletta (ma dove sarà questo piacere??????) ci ha fatto arrivare fino a qua in queste condizioni ……… ma …… In questa gita ho scoperto che a Marino, non piace pedalare da solo, vuole sempre una presenza (femminile) accanto a lui…la sua compagna di viaggio, LA SFIGA (questo è il termine più appropriato anche se leggermente volgare) torna all‟entrata della città. Massimo, in testa al gruppo, entra trionfalmente in Aidussina, dietro a lui, mentre stiamo rallentando in vista di un semaforo, c‟è Henk, io e mi volto per vedere dove è mio padre, ma la sorpresa:
NON C‟E‟ NESSUNO!!!
Mi fermo, e tra il sorpreso e l‟allarmato, ero certo che fino a qualche minuto prima eravamo tutti assieme, mi guardo attorno ma non vedo gli altri tre. Ora la seconda sorpresa, questa simpatica e gradita. Nell‟attesa del verde, alla mia sinistra una signora abbassa il vetro dell‟auto e comincia a parlarmi (immagino in sloveno), come è facile immaginare rimango basito. La perspicace signora (probabilmente anche grazie al mio aiuto…la mia faccia deve aver ben reso l‟idea della mia ignoranza linguistica), ha così cambiato lingua passando all‟inglese, informandomi che i tre si erano fermati ad una stazione di servizio all‟entrata della città. Per essere veloce, e certo, che capisse la mia risposta ed il mio “grazie”, io ho adottato il classico e sempre valido linguaggio dei gesti, prima di tutto mega sorriso e poi mano destra chiusa a pugno con pollice alzato, per confermarle che mi era tutto chiaro. Al verde svolta a destra e finalmente ci appare il Gold Club Hotel di Aidussina. All‟apparenza è un normalissimo hotel (dotato anche di un piccolo casinò), ma appena entriamo, ci appare una splendida hall. Moquette ovunque, luci soffuse, alla nostra sinistra un mega schermo al plasma dove, 21
ininterrottamente, scorrono le immagini di video musicali….. Alla reception un ragazzo e una ragazza ci guardano piuttosto sorpresi, viste le caratteristiche dell‟hotel e per come siamo ridotti (siamo bagnati fradici), probabilmente non rientriamo nella loro normale clientela; siamo come pesci fuor d‟acqua, anche se di acqua ne abbiamo presa tanta. Cercano la nostra prenotazione, ed una volta trovata, ci indicano dove poter lasciare le biciclette. Durante la fase di smontaggio bagagli, ecco arrivare mio padre e Marcello…..Marino non c‟è, con la sua fida compagna (la solita jella) è presso un meccanico di Aidussina, la ruota posteriore ha nuovamente ceduto (la fermata alla stazione di servizio era stato un tentativo di tamponare il problema con una gonfiata intermedia, ma non era servito). La stanza è al primo piano….tutto è nuovo, moderno, moquette e specchi ovunque, veramente un grande albergo. Vista la mia dimestichezza con i grandi hotel, non riesco ad aprire la porta della mia stanza. CHE FARE????? Mi rivolgo al più internazionale dei miei compagni di ventura, Henk…. Il ragazzo è avanti (o forse io molto indietro per certe cose), mi fa vedere che basta sfiorare la piastra sotto la maniglia affinché la porta si apra…fotocellule anche qui. Camera splendida, mega lettone, mega tv a schermo piatto, aria condizionata, minibar, una parete di specchi, bagno spazioso con doccia, veramente una camera dotata di ogni confort…dopo la dura pedalata ci voleva proprio per riprendersi. L‟entrata in Slovenia non è stata entusiasmante, tanta e solo tanta acqua, il decantato verde sloveno sarà unico e bellissimo, ma nelle nostre condizioni non lo abbiamo apprezzato, il tipo alla reception ci ha annunciato inoltre, che pure nei prossimi giorni il tempo è previsto coperto. La fase successiva alla doccia, è il momento di maggiore relax, mi butto sul letto e tv….Si vedono anche i canali italiani e quindi, mentre è il momento di papà in doccia, faccio una carrellata sui programmi televisivi. In televisione non c‟è nulla d‟interessante e quindi zapping, la tv mi fa da sottofondo, è il film della giornata quello che mi scorre davanti, l‟acquazzone iniziale, il meccanico Citroen con il suo “CHE CULO” che mi fa ancora sorridere, il castello di Gorizia, il confine, l‟acqua a fiumi, il verde, le strade slovene lisce come un tavolo da biliardo, il primo pasto in terra slovena con relativa modica spesa, l‟ennesima foratura del Marino, questo splendido albergo, sono contento di essere arrivato fin qua ma che tribolazione! Dal bagno esce papà e comincia a vestirsi, lo guardo e non so come faccia a 70 anni (71 tra un paio di mesi) ad essere così in forma, dal momento della partenza mai una lamentela, mai un problema, ed in bicicletta, più km facciamo più è contento. Pronti entrambi scendiamo e con noi Massimo e Marcello, mentre Henk e Marino specialmente, visto che ha dovuto fare anche il meccanico, sostituendo camera d‟aria e copertone, rimangono in stanza a riposare. Qualche parola sull‟hotel e sul tempo, la pioggia ha concesso un po‟ di tregua, e quindi propongo una visita alla città prima di cena. La mia proposta non ha successo, così solo io e mio padre usciamo. Aidussina non sembra una città molto turistica né molto grande, anzi… così iniziamo a passeggiare 22
lungo una serie di negozi limitrofi. Nulla di particolare, ma l‟impronta diversa da quella italiana si vede, quindi svoltiamo dietro l‟albergo e qui, oltre all‟immancabile supermercato LIDL, vi sono due grandi complessi industriali, uno scopriamo essere un grosso centro conserviero, la Fructal, mentre l‟altro, dalle sembianze sembrerebbe un mulino. Nelle adiacenze si trova poi, la piccola stazione ferroviaria e quella delle corriere. A questo punto decidiamo di tornare sui nostri passi visto il desolante paesaggio, superato l‟hotel e avvicinandoci al centro della cittadina, cominciano a fiorire una serie innumerevole di bar, tutti rigorosamente pieni. Lasciandoci l‟hotel alle spalle, arriviamo sul ponte del torrente Hubel; inizialmente sembra un torrente qualsiasi che, con una buona corrente (la città si trova a circa 200/250 mt di altitudine) taglia la città in due parti, ma poi un fatto coglie la nostra attenzione… il colore dell‟acqua. Ci appoggiamo sul muretto del ponte e guardando in direzione della sorgente del fiume notiamo un fatto molto curioso, in pratica vi sono due diversi corsi d‟acqua, in uno scorre un‟acqua limpidissima tipica da montagna mentre nell‟altro, è molto opaca, sembrerebbe sporca di terriccio, e questi due torrenti, proprio in prossimità del ponte si congiungono in un unico letto, ma la cosa strana e curiosa è che per un certo tratto, anche se il fiume è unico, l‟acqua rimane divisa in due, come se sul letto del fiume ci fosse una qualche barriera a dividerlo. Risaliamo il fiume per una pista ciclabile e dopo un centinaio di metri arriviamo in una piccola radura, finalmente incontriamo la storia! Delle antiche mura, probabilmente di epoca romana vista la zona (Aquileia, importantissima colonia romana non è molto distante da qui), con tracce di torri e capitelli, e così posso dar sfogo alla mia digitale e fotografare mio papà come fosse un antico centurione romano a difesa della sua città. Tra una foto e l‟altra sono arrivate quasi le 19.00 (orario di ritrovo con i nostri compari) così, torniamo al Gold Club Hotel. Nella hall siamo tutti presenti così ci dirigiamo verso il pub osteria conosciuto a Massimo e Marino (dove avevano mangiato il giorno della perlustrazione in aprile), il menù non è molto leggibile, così scegliamo la cosa più semplice da individure, una Wiener Schnitzel, nient'altro che una classica cotoletta con una marea di patate, il tutto innaffiato con l'ottima birra UNION, oltre alla solita porzione di insalata mista. Alle 20.45 paghiamo e facciamo un passeggiata con meta i due negozi di biciclette che in precedenza avevamo visto io e papà (le attrattive turistiche sono pari a zero). Il primo, nei pressi della stazione, è più specializzato per i mezzi sportivi, tante mountain bike e da corsa, e per la maggior parte di marca italiana, l'altro, nei pressi del fiume Hubel, è più vario e non si rivolge, almeno in apparenza, un ad un mercato specifico, ma ha una curiosità, in vetrina, vi è una moderna “Graziella”, davvero un mezzo simile alla bicicletta che tanto andava negli anni 60/70 in Italia. Non è tardi, ma stasera, la stanchezza ci accomuna tutti, come sempre Massimo e Marcello sono i primi a manifestare l'intenzione della nanna e così l'albergo è la nostra prossima meta. Marino vuole chiudere però la serata con la classica Slivovitz così mentre Massimo e Marcello prendono le scale per salire in stanza, noi quattro giriamo dall'altra parte e con la scusa dell'ultimo bicchiere vogliamo dare un'occhiata al casinò dell'albergo. Non l'avessimo mai fatto, il nuovo tizio alla reception, ci bracca fermandoci sulla porta d'entrata, ci fa presente che per entrare dobbiamo fare un'ulteriore registrazione dei nostri dati, allora optiamo per il più semplice bar dell'hotel. La sala ristorante/bar è molto spaziosa e piena di colori, davvero questo hotel sembra fuori posto in questa città. Alla cameriera ordiniamo oltre alla Slivovitz per il buon Pitton, due coca cole per padre e figlio e Mister Henk non ricordo bene, ma se non una Slivovitz allora è stata una birra. Il primo ad attaccare discorso è Marino, la foratura in serata ha davvero lasciato il segno, è la prima volta che lo sento un po' avvilito e sfiduciato, tutta un'altra persona rispetto al gioviale Marino 23
dell'anno passato..lo sconforto è così forte che, ci promette, alla prossima foratura o incidente meccanico, si ferma, raccoglie le sue cose e, senza indugi, prende il primo treno per Ferrara. Altri discorsi dopo la fatica odierna e le s - - g - e di Marino, ruotano attorno al tempaccio previsto anche per l'indomani e non ultimo, domani dovremo scalare una salita piuttosto lunga anche se di quanto non lo sappiamo. Alle 21.55, vuotati i bicchieri e palpebre ormai ridotte a fessure, stile occhi di Bud Spencer, ci salutiamo e prendiamo la strada delle nostre camere. Nello splendido lettone comincio a segnare i miei soliti appunti del viaggio, la partenza, Gorizia, il confine, il pranzo e l'arrivo, ma è l'acqua la parola che oggi ho perennemente davanti, il notes su cui sto scrivendo è ancora umido e pensare che era ben infilato nelle borse. Quando mio papà torna dal bagno, ripongo notes e penna e accendiamo un po' la tv, su Rai 1 c'è “Voglia d'aria fresca” (per chi non l'ha mai vista, è una trasmissione comica simil ZELIG, solo con attori già affermati, e presentata da Carlo Conti). La trasmissione è spassosissima, specialmente quando arriva Claudio Batta con i suoi improponibili cruciverba, ma quando vedo che mio papà ha chiuso gli occhi, spengo la televisione, gli do un buffetto sulla fronte e..NOTTE PAPA'.
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5 MAGGIO, MERCOLEDI’ – IL GIORNO DELLA “TERRIBILE” Puntuale come un orologio svizzero, alle 6.00 i miei occhi si aprono, e come sempre provvedo a togliere la sveglia del cellulare, l'appuntamento per la colazione è alle 7.15, quindi abbiamo tutto il tempo per prepararci. Praticamente tutta la squadra è puntuale in sala, succhi, caffè, paste, salumi, marmellate, nutella e cereali, tra una portata e l'altra arrivano sulla nostra tavola. Massimo ci spiega che prenderemo subito la salita, che è lunghettina e duretta anche se informazioni precise non le abbiamo, ma valicata questa, poi il percorso è facile fino a Lubiana. Alle 8.15, saliamo sui nostri destrieri e partiamo. Dopo una brevissima sosta alla stazione di servizio amica di Marino (ha voluto gonfiare nuovamente le gomme) svoltiamo a sinistra ed iniziamo quella salita duretta indicata da Massimo. Da qui in avanti, non sapendo effettivamente il suo nome (guardando su internet ho trovato che i monti che circondano Aidussina sono diversi, abbiamo il Monte Calvo mt. 1495, Monte Signi mt 1002, Selva di Piro; Grande Madrásovici, mt 1355 ed il Piccolo Madrásovici mt 1306) chiamerò questa salita con la parola che mi pare più adatta: LA TERRIBILE Già, credo che questo sia l'epiteto più adatto a questa strada che il buon Massimo ci ha fatto prendere e dopo aver letto queste modeste righe credo e spero sarete d'accordo con me. Ho già detto che la strada sale subito, ma le condizioni atmosferiche come sono? Il cielo è coperto, di sole nemmeno l'ombra e un forte vento si sta alzando, ma, anche se fastidioso è sopportabile. Con Massimo in testa iniziamo le prime pedalate di lei, La Terribile. Le pendenze per ora sono accettabili anche se si sente subito che la strada si inerpica. Come sempre avviene quando si inizia una salita seria, è impossibile mantenere la medesima formazione che il gruppo ha in piano, così iniziamo a sfilacciarci, ed io, penso per la prima volta nella mia vita, mi sposto a sinistra, cambio rapporto e prendo la testa del gruppetto. Questo inizio mi ha subito caricato, la salita è sempre stata il mio tallone d'Achille, non sono abituato a farne, oltre ad avere 85kg di peso da portare sempre sulla sella. Mi sentivo proprio bene, così incurante di ciò che ho dietro, salgo con il mio passo. Quando mi volto per la prima volta, vedo Henk alle mie spalle, poi leggermente staccati gli altri quattro, con mio papà sempre in coda..visto lui, sono tranquillo e riprendo a mulinare. La strada non presenta tornati, ma tratti di asfalto piuttosto lunghi (sempre perfetti!), la città ormai è completamente alle spalle ed il verde di prati e boschi riprende il sopravvento. La Terribile si fa davvero sentire, anche se in modo baldanzoso avevo cercato di tenere la velocità attorno ai 14/15 km orari, ora devo cambiare rapporto e mettere la catena sulla corona del 30, e pedalare ancora con maggiore agilità. Devo cominciare a concentrarmi completamente sulla strada, non c'è un attimo di tregua su questa erta, sale sempre e il vento comincia a farsi sentire davvero forte, se da un lato siamo ancora asciutti, non avevamo certo bisogno della compagnia di Eolo. Il vento contrario è odioso sempre, ovunque e comunque, ma quando ti arriva contro durante una salita che ha pendenze serie (in cima, da un confronto tra noi, arriviamo a dire che sicuramente i 25
primi 10 km hanno una pendenza media del 8%.....MEDIA DICO!!!! e non bisogna mai dimenticare che oltre al nostro peso, dobbiamo trasportare bagagli per ulteriori 10/15 kg) è mortifero. Riesco a tenermi sui 10 km orari (a fatica!), alle mie spalle pure Henk non c'è più, questa per ora è una piccola soddisfazione, io che in salita stacco i miei compagni, in primis mio padre, non si era mai visto. Le energie per continuare a quel passo le devo cercare solo dentro di me, il vento è forte, molto forte, in alcuni punti rischia di farti sbandare, attorno c'è la desolazione più assoluta, la natura è bella ma quando stai facendo certi sforzi servirebbe altro per darti la forza, il coraggio di proseguire; lungo la strada non vedo anima viva, o sono rintanati in casa per il freddo o sono tutti al lavoro (ma vuoi dire che qui, in tutte le famiglie, lavora sia l'uomo che la donna?)..misteri della Slovenia; il cielo poi, si è ingrigito parecchio. Questa stradaccia, non ha nemmeno dei tornanti, così da poter prendere fiato nelle curve. NO! La TERRIBILE va sempre su, dritta, infischiandosene dei ciclisti (ma credo, di questi, non ne veda molti). Quando non conosci la salita, quando non conosci la sua lunghezza, quando non sai se troverai un falsopiano dove prendere fiato, è durissima; la concentrazione deve essere sempre massima, occhi inchiodati sul contachilometri, non farti distogliere da nulla, se si mette un piede per terra è fatta e si rischia di dover far tanta strada a piedi. La Terribile non ti dà nemmeno dei punti di riferimento, non c‟è nulla…qualche piccola casa un po‟ all‟interno e basta, chissà se il vento è sempre così, in queste zone, o è un caso e noi siamo stati così sfortunati da beccarlo in pieno…..pedalo, pedalo e pedalo, ogni tanto mi volto per controllare dove sono gli altri ma specialmente papà…ho sempre l‟ordine di mamma di controllarlo. Il vecchio leone c‟è, sta sempre quinto, ma sale senza problemi. Arrivo ad un bivio, ora sono obbligato a fermarmi, a destra si scende un po‟, altrimenti si continua a salire, fermo la bici sul cavalletto e aspetto..la speranza è chiaramente di cambiare direzione e scendere. Controllo l‟orologio…sono passati circa 3 minuti e li vedo spuntare….estraggo la digitale e li voglio immortalare…sarà una magra soddisfazione vista la fatica che stiamo facendo, ma una punta di orgoglio per essere già arrivato e fermo da vari minuti c‟è. Questo mio exploit è di certo dovuto a San Spinning (San…..perché mi ha permesso di faticare molto meno del previsto)….mai ero andato così bene in montagna, l‟allenamento invernale a base di sedute di spinning al Cus Ferrara mi ha aiutato tantissimo. Massimo che guida i cinque, mi fa segno che si sale ancora, così dopo l‟ultima foto a papà, che con un ghigno sembra stia solo aspettando il momento migliore per staccare tutti, riprendo la mia Bianchi ed in pochi minuti mi accodo al gruppetto, riprendo fiato e nuovamente mi sposto a sinistra e li supero. Riesco costantemente a stare attorno ai 10 all‟ora….che, su questo foglio, sembra una velocità ridicola, ma sulla Terribile assume tutta un‟altra faccia. Sono nuovamente in compagnia di solo me stesso, del vento forte, di un cielo grigio quasi nero, di un paesaggio monotono e del contachilometri…almeno non piove! Altro bivio, altra sosta. Ancora qualche minuto e i miei compari arrivano, ad uno ad uno, ormai meglio non parlare più di gruppo, ognuno per forza usa il proprio passo…la fatica si fa sentire. Ci fermiamo tutti questa volta, è necessario riprendere la cartina e controllare il percorso….. Come era immaginabile, anche se non sperabile, dobbiamo ancora salire……ultimo sorso d‟acqua, 26
aggancio dei piedi ai pedali e partenza. La strada si inerpica sempre più su questa montagna ed alla mia destra, il paesaggio finalmente, comincia a cambiare… un “bellissimo“ strapiombo si apre sotto i miei occhi, è la conferma che non stiamo scherzando……la salita c‟è ed è vera. Dopo due ore buone di pedalata ecco incontrare il primo paese, ad occhio e croce, oltre alla chiesa ci saranno una ventina di case ma di persone nemmeno l‟ombra. Al centro della borgata l‟ennesimo bivio e di conseguenza l‟ennesima fermata. Qualche minuto ed ecco apparire la sagoma del mio atleta, il suo giubbotto antipioggia giallino è inconfondibile, papà a dispetto dell‟età e degli acciacchi, che non gli hanno permesso la solita preparazione invernale, è sempre un grande, poi arrivano Massimo e alla spicciolata gli ultimi tre. Marino propone, prima di riprendere il viaggio, di cercare un bar per un qualcosa di caldo, e la proposta trova il consenso di tutti; giriamo tra le case ma nulla, non troviamo un locale aperto, così a malincuore riprendiamo a pedalare. A questo punto, non so se sia la pendenza la nostra principale nemica o il vento, ora arrivano delle folate veramente impressionanti, e sbandare diventa un fatto normale. Rallento perché alla mia destra prende forma la presenza di un altro borgo, e questo è ancora più piccolo di quello precedentemente visto. Arriva poi Henk, mio padre e via via tutti gli altri. Decidiamo di abbandonare la strada e andare alla ricerca di un bar. Per arrivarci dobbiamo fare un piccola discesa, ma vista la forza del vento, per poterla fare dobbiamo pedalare, il vento contrario non ci permette di scendere in totale riposo. La ricerca è velocissima, anche questo paese non presenta attività ricreative, l‟unico locale che esteriormente assomiglia ad un classico nostro bar è un caseggiato bianco con saracinesca abbassata; mi avvicino e leggo che apre dopo le 12.30…ora sono circa le 11.00. Arrivano Massimo, papà, Marino, Henk e infine Marcello, a loro do la sconfortante notizia. Nei pressi del bar c‟è una fontana da cui sgorga un‟acqua limpida, così almeno possiamo riempire le nostre borracce di acqua fresca. Il tempo sta gradualmente peggiorando, le nubi sono sempre più basse e scure, Massimo suggerisce di coprirci il più possibile dato che ormai la cima non dovrebbe essere lontana, da qui seguirà una discesa sicuramente piuttosto ripida viste le caratteristiche della salita ed il rischio pioggia è sempre più incombente. Tutti procediamo a cambiarci e a coprirci completamente (la mitica cerata ancora indispensabile!), metto anche i sacchetti ai piedi …non si sa mai. Lasciamo il piccolo rifugio e riprendiamo la stradina che ci porterà sulla mitica Terribile; se non bastava, abbiamo un‟ulteriore dimostrazione di quanto sia forte il vento, per questo breve tratto (saranno 200 mt) che ci separano dalla strada principale, il vento è a favore……. E‟ così forte che la piccola salitella la facciamo senza pedalare…..credo questo basti a farvi capire con chi stiamo lottando. La salita riprende. Allungo nuovamente, ma la fatica si fa sempre più sentire, le gambe stanno diventando pesanti, l‟orgoglio, la voglia di arrivare sono la benzina che mi sta facendo mulinare sui pedali, mi impongo di non far scendere il contachilometri sotto i 10 orari, ma alle volte scendo anche ai 9. Ogni tanto mi volto e la sagoma gialla del vecchio leone è dietro di me, a qualche centinaio di metri. Il babbo ha rotto gli indugi…mi sta inseguendo, gli altri sono tutti dietro. 27
A questa immagine che mi appare solo una cosa mi nasce spontanea: Costi quel che costi, non mi devo far raggiungere da papà So che è forte, so che ha un motore che non batte mai in testa, ma non può essere che con tutta quella preparazione invernale che ho fatto, con i quasi 30 anni in meno, mi faccia prendere e superare anche stavolta… NON ESISTE!!!!!! Ogni 2/3 minuti mi volto, lui è sempre alla medesima distanza, il mio interlocutore diventa il contachilometri..siamo io e lui, lo imploro di non scendere sotto i 10…. DAI C- - -O DAI DAI DAI!!! Io e lui contro papà, il mio papà, il mio vecchio grande leone, a cui voglio un bene dell‟anima, ma stavolta non deve prendermi. Ormai ci siamo, le pendenze calano, La Terribile diventa più docile, aumento leggermente l‟andatura, dai 10 passo ai 12/13 orari…. Arrivo arrivo arrivo arrivooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Finalmente in cima, ci sono riuscito, mi fermo e aspetto gli altri. Non è possibile a parole dire la fatica fatta e la soddisfazione per aver terminato questo calvario…alla fine sono stati 16 km di salita dura, di vera salita, parlando con Massimo, il più esperto tra noi di cime alpine conquistate in bicicletta, i primi 8/9 km avranno avuto una pendenza media del 8%, poi sicuramente sempre tra il 4/5%...aggiungiamo il fortissimo vento contro, senza contare il peso che ci dobbiamo trasportare, non rimane altro da dire. Vorrei scattare qualche foto, ma il buon senso (se ancora qualcosa è rimasto nelle nostre teste dopo lo sforzo immane fatto) dice di lasciare ben coperta la digitale, qualche goccia di pioggia sta già cadendo e l‟impressione è che sia il preludio ad un temporale con i fiocchi. Inizio a scendere, con la coda dell‟occhio vedo Henk alle mie spalle, sono tentato di guardare il contachilometri, perché la velocità aumenta considerevolmente ma la testa mi dice di tenere ben salde le mani sul manubrio e occhi fissi sulla strada. Sto andando sicuramente attorno ai 40 all‟ora, lo senti quando la bicicletta sembra ti voglia scappare, vorresti frenare sempre ma è impossibile, e poi la pioggia comincia a cadere. Se prima, durante la salita, il paesaggio era desolato, ora sembra di inoltrarci dentro una caverna formata da piante, c‟è tanta vegetazione ai lati della strada che in alcuni punti le punte sembrano unirsi. L‟umidità è pazzesca, la pioggia diventa sempre più copiosa e davvero scendere comincia a diventare pericoloso, ma la sensazione è notevole, l‟adrenalina sale……verrebbe voglia di emulare i grandi ciclisti del passato, i grandi discesisti, il grande Moser, l‟idolo della mia gioventù, quando per recuperare i minuti persi in salita si buttava come un caccia in discesa, ma visto il nostro armamentario meglio stare calmi. Freno solamente prima di entrare in curva, la Bianchi risponde alla grande, si scende che è un piacere e poi io ho la fortuna di poter scegliere le traiettorie che preferisco non avendo nessuno davanti. 28
Alle volte devo comunque staccare almeno una mano per dare una pulita all‟occhiale, tra la pioggia e una leggere nebbiolina presente, la visuale è difficoltosa. In salita, curve sembrava non c‟è ne fossero, ora invece, in discesa, sembra tutta una curva. Tutto intero arrivo in piano…poi ecco Henk, Massimo e quasi contemporaneamente papà, Marino e Marcello. Che impresa ragazzi!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ora la strada dovrebbe essere tutta una direttrice piatta fino a Lubiana…vedremo. Massimo riprende il comando del gruppo per poi fermarsi dopo pochi km, un bar, finalmente aperto, si trova alla nostra destra, ed entriamo. All‟interno alcuni clienti sono alle prese con delle birre mentre nella veranda esterna sono accovacciati un paio di bei gattoni. Tutti prendiamo o caffè o cappuccino e qualcuno di noi anche qualcosa da smangiucchiare, ma preferiamo non fermarci per un pranzo vero e proprio, siamo fradici e Lubiana dista circa 15 km. La prova che ci stiamo avvicinando alla capitale è data anche dai problemi di comunicazione che cominciano a sorgere, ci troviamo di fronte alla prima barista che non conosce una parola di italiano, così (fortunatamente almeno anche loro hanno l‟Euro) con il suo ditone ci indica sul display del registratore di cassa la somma da pagare, fino ad Aidussina invece, qualche parola di italiano la parlavano tutti. All‟uscita, sotto una pioggia che non accenna a calare, mentre ci stiamo rimettendo, chi più chi meno, i paramenti antipioggia ecco una scena che sarebbe stata bellissima immortalare con la digitale, ma che a causa dell‟acqua non c‟è stata la prontezza necessaria. Il buon Massimo, cercando di salire sulla bicicletta mentre ci pressava per partire immediatamente, non ha calcolato le giuste misure ed è letteralmente crollato a terra sul suo lato sinistro. Dopo tanto soffrire per salire su quelle pendenze da far drizzare i capelli, dopo una discesa lunga ma pericolosa, dopo tanta acqua, dopo tanto soffrire, la caduta di Massimo è stato il primo momento ironico della giornata…anche perché non ha avuto nessuna conseguenza. Quando finalmente Massimo ebbe domato il suo “destriero”, la truppa riprese il viaggio. Finalmente dopo qualche pedalata, cominciamo ad incrociare i primi cartelli stradali con le indicazioni per Lubiana, non sono indicati i km ma comunque sono un‟iniezione di fiducia. Inforchiamo una ciclabile ai lati della strada statale. Come cominciano a vedersene anche nelle nostre zone, ha il manto stradale di colore rosso, è un po‟ stretta e quindi, la percorriamo rigorosamente in fila indiana. La pioggia, dal momento in cui è iniziata la discesa della Terribile, è una fedele compagna, la cosa brutta è che diventa sempre più fedele ed insistente… COME SAREBBE BELLO UN DIVORZIOOO!!! Incrociamo solo mezzi a quattro ruote, praticamente nessuno a piedi (tranne una scolaresca), di biciclette nemmeno l‟ombra…almeno la ciclabile è tutta per noi. Massimo alza un po‟ l‟andatura, viaggiamo attorno ai 23/24 km orari, la ciclabile è fatta bene, non presenta buche od increspature, anche gli attraversamenti agli incroci sono fatti bene e ben segnalati…le nostre amministrazioni pubbliche dovrebbero farci un giretto in queste zone e prendere appunti. 29
La solita pioggia è il nostro unico nemico, la sento ovunque, e se non è pioggia è sudore, la cerata tiene alla grande ma non fa traspirare e quindi si suda, ma tra i due mali è certamente il minore. Dopo l‟incontro con la scolaresca ecco un‟altra presenza non su un mezzo meccanico: UN GATTO NERO Il felino, partendo dalla nostra sinistra attraversa la strada e quindi la ciclabile, buttandosi a destra e come sarebbe successo in un buon film horror, puntuale arriva la sua maledizione. Il sottoscritto sente problemi sul retro, abbasso il capo e guardo la gomma posteriore…..è andata! PORC……..! Papà! Papà!!! Papà ho forato!! Sono le prime parole che riesco a dire. Sotto un mezzo diluvio ci dobbiamo fermare. L‟unico riparo pare essere dall‟altro lato della strada, vi è un capannone all‟apparenza chiuso, ma con una tettoia esterna, così tutti e sei scendiamo dalla ciclabile e attraversiamo la strada. Il mago della meccanica (appunto papà) entra in funzione, io sorreggo la bici (non ci penso minimamente a smontare le borse) il babbo estrae la ruota, e con i ferri del mestiere in pochi minuti sostituisce la camera d‟aria….con un maestro del genere spero di aver appreso anche io qualcosa. Piantata nel copertone, c‟era una perfida puntina con la capocchia verde. Prima di ripartire, sorseggiamo qualche goccia d‟acqua (si vede che non era abbastanza quella piovuta dal cielo!) e un po‟ di scoramento aleggia tra noi….ma bisogna andare. Maciniamo km su km attraverso questa lunghissima ciclabile finché un barlume giallo appare in lontananza e Massimo ci annuncia che dovremmo essere arrivati… L‟ultimo sforzo ed ecco lo splendido cartello: LJUBLJANA Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii l‟impresa, anche stavolta è stata portata a termine! A cerchio, parcheggiamo le bici sulla ciclabile intasandola, i primi sorrisi della giornata (a parte per la caduta di Massimo) arrivano sui nostri volti, è bello essere arrivati qua. Immancabili sono le foto, che velocemente (piove sempre!) a turno facciamo…sia tutti assieme, che in gruppi vari, ed una io e papà con le nostre Bianchi, con, sullo sfondo, il mitico Cartello. La sosta è comunque breve, siamo arrivati a Lubiana, ma al cartello, ora dobbiamo entrare in città e cercare il Bit Center Hotel. Con l‟amica pioggia sempre a tenerci compagnia, lasciamo la periferia e gradualmente entriamo nella città. Il cambio del paesaggio è repentino, da un territorio ancora piuttosto rurale si passa ad una città che dimostra di aver saputo coniugare il moderno con la storia, la strada che percorriamo è larga, spaziosa e molto curata, mentre ai lati troviamo ogni tipo di costruzione, dal palazzo storico, ad un edificio moderno, a negozi e piccole industrie, ma il tutto è assemblato bene. 30
La mia inesperienza in fatto di turismo all‟estero si denota quanto Marino mi chiede dove è posizionato l‟albergo che ho prenotato, e sfortunatamente rispondo che al momento di fermare le stanze non ho pensato di chiedere alla controparte, un punto di riferimento vicino per orientarsi meglio al momento dell‟arrivo, ho solo una cartina di Lubiana e l‟indirizzo dell‟hotel. Massimo propone allora di fermarci in un bar e chiedere. Al primo locale che troviamo, sostiamo. Nella veranda esterna ci sono varie persone, io (perché ho i dati dell‟albergo), Massimo ed Henk (perché capiscono e parlano bene l‟inglese) ci rivolgiamo al cameriere per chiedere indicazioni sulla strada da seguire. Dopo un attimo di smarrimento il tipo chiama un amico/avventore/cliente…insomma qualcuno che è lì e cominciano a parlare, sicuramente nella lingua locale visto che noi non capiamo nulla. Alla fine, per riuscire a darci qualche dritta, coinvolgono due giovani sloveni, i quali, in inglese, riescono a farci capire la strada da seguire, almeno fino al centro, perché pare, che il nostro hotel sia esattamente dalla parte opposta della città. Da questo punto in poi, con il freddo che ci sta entrando nelle ossa, la pioggia battente che non cala di una virgola, con il nervosismo che sale perché non troviamo questo benedetto hotel, inizia un lento peregrinare per la città, fino a che, con un colpo di fortuna, Massimo nota un punto informazioni turistiche. I poliglotti del gruppo (Henk e Massimo) entrano, mentre noi cerchiamo riparo sotto l‟ombrellone di un bar. Dopo parecchi minuti trascorsi al freddo a rimuginare sulla giornata, ecco uscire le nostre guide. La prima cosa chiara è che il nostro albergo non è in centro ma leggermente fuori, e la strada che la ragazza ha indicato a loro, è una tipica strada per auto e non per bici, ma almeno ora, sappiamo dove dirigerci. In breve, dopo aver sbagliato un paio di volte la direzione, dopo essere ritornati al punto di partenza, riusciamo finalmente a trovare le indicazioni giuste e dopo circa 2,5 km dal centro lo troviamo. Subito notiamo che non è un classico hotel, ed un po‟ per la stanchezza, un po‟ per la sorpresa (anche perché le indicazioni stradali dicevano che aveva una sola stella) restiamo un po‟ perplessi davanti alla porta principale. Ma che cos‟è il BIT CENTER HOTEL? Io Massimo ed Henk, entrando con un certo scetticismo, ci dirigiamo alla reception, dove una ragazza in jeans e maglietta, ci saluta in inglese, quindi automaticamente Henk diventa il nostro portavoce. La nostra prenotazione è confermata, possiamo portare le bici all'interno e il pagamento deve essere immediato (per la prima volta dobbiamo pagare anticipatamente). Chiamati gli altri nostri compari, lasciati i documenti, pagata la stanza; depositiamo i nostri mezzi vicino a quelli messi a disposizione dalla struttura, e visto il via vai continuo di ragazzi e ragazze, decidiamo che è cosa saggia chiudere al meglio le nostre. Sono le 15.15, guardandoci attorno, qualche attimo di scoramento ci prende, non abbiamo ancora pranzato, i km fatti sono stati 72, con una terribile salita e tanta acqua che ci ha tenuto compagnia per gran parte della tappa, e siamo arrivati in un……... Il BIT CENTER HOTEL non è altro che un grande centro sportivo, con all‟interno: tanti campi da Badminton; un punto vendita di attrezzature sportive; 31
una piccola palestra; alcune biciclette a noleggio; una zona bar; ed un‟ala intera adibita ad hotel.
I confort della stanza sono ridotti all'osso, i letti, una tv e un piccolo bagno, ma nel complesso è accettabile. Immediato è il salto in doccia, l'acqua calda e il sapone sono le migliori medicine per scrollarsi di dosso polvere, ma specialmente la fatica fin qui fatta. Dopo il bagno ed il posizionamento in stanza dei nostri bagagli, ci ritroviamo tutti nella zona/sala ristoro. Non avendo ancora pranzato, e non essendoci una cucina all'interno della struttura, provvediamo ad acquistare al bar, dei panini (accompagnati dalla classica birra UNION). La sala è una grande camera con tanti tavolini quadrati da quattro posti, una parete (alla sinistra del banco) separa la sala dai campi di gioco, questa è interamente in vetro, dando così la possibilità di osservare i tanti giocatori di badminton, la parete a destra è una vetrata che da sull'esterno e solo quella centrale è in muratura. La sala è molto viva, un continuo arrivare e partire di gente di un po‟ tutte le età, c‟è chi viene solo a bere qualcosa, chi si ferma dopo una partita o chi fa due chiacchiere prima di iniziare una partita o un‟ora di palestra, alla fine mangiarsi un panino seduto al tavolo è divertente. Colpiti da questa situazione un po‟ nuova per noi, lo stesso successo del gioco del badminton in questa città ci incuriosisce molto, tra un morso ai nostri panini (tutti facciamo il bis) e sorsate di birra, cominciamo a rilassarci e ad esprimere le nostre sensazioni su quanto fatto oggi e su quanto ci aspetta. Tutti siamo contenti di aver raggiunto il nostro obiettivo ma qualche titubanza sulla tappa del giorno dopo c‟è, il programma prevede circa 100 km con molta salita, ma il problema principale è dato dal tempo…le previsioni atmosferiche danno pioggia per tutto il giorno. Tra tutti noi, l‟unico che ha già deciso cosa fare è Marino, che, in maniera categorica, visti gli incidenti meccanici avuti, viste le previsioni atmosferiche, ci informa di non aver nessuna intenzione di fare il percorso studiato per l‟indomani. Massimo, per ripassare il percorso previsto, apre la cartina..che tra l‟altro, porta ancora i segni inequivocabili delle intemperie subite, tutta la parte centrale è notevolmente umida ed affiorano anche alcuni fori. La Lubiana – Tolmino si presenta davvero come una tappa “tosta”, che certamente stuzzica il nostro orgoglio ciclistico, ma se le previsioni atmosferiche si tramuteranno in realtà, di certo non sarà una passeggiata e forse, se si dovesse usasse il buonsenso (cosa non comune in chi, fin dalla partenza, mette in previsione di sobbarcarsi tali fatiche) l‟idea di Marino di saltarla, sarebbe la migliore. Guardandoci negli occhi, senza quasi parlare, tutti abbiamo deciso di non arrivare a Tolmino…..ma che fare ora? Marino (sempre lui, il più attivo e risoluto nell‟evitare questa tappa trappola) propone due strade: prima opzione – fare il percorso a ritroso che abbiamo fatto oggi, evitando però la terribile salita e pedalare per la statale, tornare a pernottare ad Aidussina, quindi il giorno dopo arrivare a Gorizia dove prendere il treno per il ritorno a casa; seconda opzione – da Lubiana a Postumia (in tutto circa 40/45 KM) dove pernottare, il giorno dopo da Postumia a Gorizia e quindi treno. 32
La prima opzione ha il vantaggio di fare una strada già conosciuta e semplice, la settantina di km da fare, anche in caso di pioggia, essendo tutta in piano, risulterebbe abbordabile; la seconda soluzione invece, sarebbe preferibile da un punto di vista turistico (è la città delle famose grotte carsiche), ed in caso di pioggia, i km da percorrere sarebbero meno di 50. Massimo, che si era assentato qualche minuto per recarsi alla reception per verificare l‟esistenza di una qualche altra mappa o documento di aiuto per la nostra scelta (anche perché la cartina partita dall‟Italia era definitivamente defunta e quindi cestinata, dopo una “rabbiosa” lotta con le mani del suo padrone) ritorna con un‟altra proposta, suggerita in questo caso dalla ragazza della reception., e cioè: prendere il treno per Capodistria, in quanto un treno diretto per l‟Italia che trasporti le biciclette non c‟è, e soggiornare qui una notte facendo il turista a piedi o in bicicletta, e l‟indomani ripartire sui pedali per Trieste, dove prendere il treno per il rientro. La soluzione proposta da Massimo accoglie i favori di tutti e quindi viene scelta all‟unanimità. Dopo aver preso la decisione più importante, è arrivato il momento del turismo vero e proprio; il centro di Lubiana ci aspetta. Alla reception chiediamo per un paio di taxi e grazie all‟intervento di un ragazzo che parla la nostra lingua, tutto diventa più facile. Il tipo ci racconta che conosce l‟italiano in quanto ha vissuto per diversi anni in provincia di Trieste, tra le minoranze slave che abitavano entro il confine italiano mentre da qualche anno si è trasferito a Lubiana. Dà incarico di chiamarci due taxi e ci dà alcune dritte. La prima per il taxi, ci mette in guardia sull‟utilizzo di quelli rintracciati a voce in strada, le tariffe che applicano ai turisti sono salatissime, il secondo aiuto è per la cena, su una cartina di Lubiana ci indica alcuni locali dove è certo un ottimo rapporto qualità prezzo. Lo ringraziamo, Marino prende la mappa ed usciamo, i nostri taxi sono arrivati e diamo indicazioni per la stazione dei treni. Solamente ora, davanti alla stazione ferroviaria, ci sentiamo dei veri turisti e la prima impressione che abbiamo della città, è estremamente positiva, tutto sembra ordinato e pulito. L‟edificio dove è ubicata la stazione, è un imponente palazzo, che ricorda quelli ottocenteschi austriaci, al centro del quale spicca una piccola torretta con il tetto a punta e un orologio al centro. Entrando, ci dirigiamo verso la biglietteria, ed ancora la pulizia e l‟ordine sono le cose che ci sorprendono di più; pavimento e rivestimento sono tutti in marmo ed in sei, anche se abbiamo guardato bene, non abbiamo trovato sul pavimento né una cartaccia né un mozzicone di sigaretta. Arrivato il nostro turno per i biglietti, il nostro anfitrione, Henk, in un perfetto inglese, espone all‟addetta la richiesta: SEI BIGLIETTI PER CAPODISTRIA PER NOI E PER LE NOSTRE BICICLETTE e la signora senza nessun problema ci stampa i nostri biglietti. Il confronto ferrovia italiane/ferrovie slovene è immediato; a parte l‟ordine e la pulizia che continua a sbalordirci, l‟efficienza anche in tema di trasporto delle biciclette sui treni è una spanna (forse anche due o tre) superiore a ciò che succede in Italia. Nelle tanto decantate (da parte dei soloni che appaiono in televisione) ferrovie italiane, appena si parla di trasportare una bicicletta subito iniziano gli intoppi ed i mugugni dei vari operatori 33
coinvolti, per non parlare di casi (come è il nostro) di più biciclette contemporaneamente, dove alle volte nemmeno una prenotazione per tempo ti facilita il viaggio. Felici per aver risolto in pochi minuti il problema del treno, attraversando la strada, ci dirigiamo verso il centro storico di Lubiana. La prima cosa che notiamo oltre, e mi scuso con chi legge queste modeste righe se il concetto lo ripeto e lo ripeterò spesso, alla pulizia e all‟ordine che è presente in ogni angolo di strada (almeno del centro) sono le piste ciclabili e le rastrelliere delle biciclette (probabilmente perché tocca le nostre passioni). In ogni strada (o comunque in tutte le principali) di Lubiana c‟è la pista ciclabile. Sono ben evidenti, il manto stradale rigorosamente rosso e anche la segnaletica è ben chiara, poi le rastrelliere. A Ferrara, periodicamente, si legge sui giornali che il comune inizierà o ha iniziato una campagna contro coloro che, al momento di separarsi dalla bicicletta, anziché lasciarla nelle normali rastrelliere (ormai vetuste e arrugginite, dove spesso si rischia di danneggiare la stessa bici o almeno i raggi delle ruote) la legano ai vari pali o tubi che incontrano nei loro tragitti intralciando così (sempre secondo le istituzioni locali) il normale percorso dei pedoni. In Slovenia hanno risolto molto facilmente questo problema, le rastrelliere sono tutte di concezione moderna, nei luoghi scelti per il deposito delle bici, vi sono dei tubi orizzontali, dell‟altezza da terra di circa un metro o poco più, per una lunghezza di un paio di metri (una sorta di quelli che vengono utilizzati da noi per delimitare l‟area adibita a sosta dei cicli o motocicli ad esempio davanti all‟ospedale Sant‟Anna od in Corso Giovecca all‟altezza di Via Bersaglieri del Po), in ogni area ve ne sono più di uno, così la gente può legare il proprio mezzo al tubo senza doversi preoccupare se la propria ruota si danneggia, se il freno del manubrio della bici a lato tocca il nostro telaio o se tocca (e nel caso fora) la nostra sella e via dicendo. Eventualmente l‟unica accortezza e quindi il punto debole di queste è che al momento di chiudere la nostra bici al tubo, dovremo fare attenzione che inavvertitamente non agganciamo anche la bicicletta che sta oltre il tubo. Lubiana ci conquista tutti, i primi passi sono davvero rilassanti e divertenti, i ricordi della giornata li riviviamo tra sorrisi e risate, ed ho anche l‟opportunità di farfugliare qualche parola d‟inglese, fermando un ragazzo e chiedendogli se eravamo nella direzione giusta. L‟architettura che incontriamo è di stile barocco e Art nouveau, le case ed i palazzi del centro, sono caratterizzati da tetti a punta e le facciate di alcuni sembrano immagini tratte dai quei film degli anni ‟50 che avevano come personaggio principale la Principessa Sissi, e più ci avviciniamo al centro, i colori dei palazzi assumono tonalità sempre più tenui quasi bianchi. Lubiana è davvero una splendida città! Arrivando nella Zona Pedonale del centro, le istituzioni locali danno un altro saggio della capacità che tutte le istituzioni, di tutti i paesi, in primis l‟Italia, dovrebbero avere, per coniugare le esigenze della vita moderna con la necessità di preservare i ricordi del passato. Agli accessi alla piazza principale, vi sono vari cilindri di un‟altezza tra i 20/30 cm, che non deturpano assolutamente la zona, e chi ha il permesso di transitare è munito di apposito telecomando, per farli abbassare al momento del passaggio. E‟ chiaro che in questo modo le contravvenzioni in quantità industriali per accessi vietati, non ci sono o sono in misura molto limitata, ma l‟immagine che si dà della zona è davvero splendida. Dieci minuti ancora e arriviamo nel cuore di Lubiana e precisamente in Piazza Preseren. Con un po‟ di luce che fa capolino sopra le nostre teste, cominciamo a guardarci attorno, è veramente una zona bellissima (e come sempre pulitissima). Da un lato vi è la grande statua innalzata (ai primi del „900) a memoria di France Preseren (a cui è 34
intitolata la piazza), uno dei principali poeti sloveni. La statua, in bronzo, è situata su un basamento in cemento di notevoli proporzioni ed è sormontata da un angelo femminile sempre in bronzo. I palazzi che contornano la piazza, sono tutti bellissimi e pulitissimi, non ci sono segni di vandalismi, né disegni di graffitari, anche il nero dello smog che in tante nostre dimore storiche è ormai un ospite fisso, qui non c‟è. Alle spalle della statua del poeta, vi è la chiesa francescana dell‟Annunciazione, che spicca in maniera evidentissima in quanto, a fronte dei colori tendenti al bianco, predominanti nella piazza, questa ha la facciata di un colore roseo. Camminando e scattando foto, attraversiamo uno dei tanti ponti sul fiume Ljubljanica, corso che attraversa e, sul quale, è adagiata la città. Questo ponte non ha nulla di particolare in se, ma come non finirò mai di ripetere in queste righe, è pulitissimo e il suo marmo, color panna, con il quale sono costruite le balaustre ai lati, contribuiscono a dare una maggiore luce alla zona. Tra i viali del centro, è facile notare da molti balconi e finestre le bandiere, della nazione, a bande orizzontali bianca, blu e rossa con, a sinistra centrato tra la banda bianca e blu, lo stemma nazionale, (uno scudo con disegnato il profilo del monte Tricorno, la vetta più alta della Slovenia) e la bandiera della città, con due bande orizzontali bianca e verde e con al centro il simbolo della città, Il Drago adagiato su un castello. Che il Drago sia l‟emblema simbolo della città, lo si intuisce continuamente, anche se si giunge a Lubiana per la prima volta e per puro caso. Nelle vetrine dei negozi di souvenirs, ci sono cappellini, magliette, tazze, piatti, polo e tutto quanto la fantasia può creare, con un drago in bella mostra, ma perché un drago? La risposta a Lubiana non l‟ho trovata e ho dovuto aspettare il rientro a Ferrara per buttarmi nuovamente in internet, e finalmente risolvere il dilemma. Dobbiamo risalire alla mitologia greca ed etrusca e all‟impresa di Giasone ed i suoi Argonauti. Quando nacque Giasone, al padre Esone venne tolto il trono di Iolco in Tessaglia. Una volta adulto volle riprendersi il trono tolto al padre. Per arrivare a questo gli venne imposto di riconquistare il Vello d‟oro nella Colchide. Giasone al comando della nave Argo veleggiò da prima sul fiume Danubio e da qui sulla Sava, fino alla sorgente del Ljubljanica, qui demolì la nave per poterla trasportare fino al mar Adriatico, da dove poter tornare a casa. Nella zona tra l‟attuale Vrnika e Lubiana, gli Argonauti trovarono un grande lago circondato da una palude, qui Giasone trovo un mostro, dalle sembianze di un drago…da qui il simbolo della città. Lasciando la mitologia e continuando a camminare per la città, oltre ad una fame che comincia farsi largo tra i nostri pensieri, ci fermiamo più volte ai bordi del fiume. E‟ quasi immediato il confronto con il nostro Volano e come Ferrara utilizza questa possibile risorsa. Il Ljubljanica ha dalla sua il fatto di essere più stretto del Volano e quindi certe opere risultano certamente più semplici, ma … ci sono tanti ma. Per prima cosa l‟acqua; anche se trattasi di un fiume cittadino e quindi, pure qui l‟acqua non è certo limpida come può essere in un torrente di montagna, ad occhio nudo non ci sono affioramenti (almeno nella parte più turistica e quindi più importante economicamente per una città) di quella poltiglia, se non di rifiuti, di cui il nostro Volano, ed in particolar modo la zona della darsena di San Paolo, è ricco. I ponti sloveni sono puliti, gli argini sono puliti. A Ferrara i ponti sono perlomeno ricchi di mozziconi di sigarette, qualche pacchetto vuoto di sigarette non manca mai. Presentano, nessuno escluso, buche di varie dimensioni, e gli argini? 35
Anche se ricoperti di cemento, sono tutti ricchi di erbacce, piante rampicanti ed in alcuni casi giovani alberi. Ma la cosa più intelligente fatta dalle autorità cittadine slovene, è stata quella di allargare le banchine ai lati del corso d‟acqua e costruirci dei piccoli locali, dove (e l‟abbiamo visto chiaramente nel dopo cena) la gente, ma in particolar modo i giovani, vanno a sedersi e trascorrere la serata davanti ad un buon panino ed una fresca birra. A Ferrara? Solo un imprenditore rodigino ha avuto l‟ardire di portare in darsena un battello, adibirlo all‟interno a pub pizzeria, con il risultato di aver costruito uno splendido locale, ma che è rimasto una cattedrale nel deserto e che, a causa di una pulizia del fiume, praticamente inesistente, ormai si è letteralmente piantato nelle acque del Volano. Prima di metterci alla ricerca di un locale dove cenare, un ultimo monumento coglie la nostra attenzione, è la Fontana dei Tre Fiumi della Carniola. In piazza Mestni Trg, c‟è questa bellissima fontana, che sembra la copia della fontana del Bernini di Piazza Navona, con la differenza che quella romana è la Fontana dei Quattro fiumi (Nilo, Gange, Danubio e Rio della Plata), e quella di Lubiana dei Tre fiumi (Ljubljanica, Sava e Krka). Anche in questo caso vi è una vasca ellittica, sormontata da un gruppo marmoreo sulla cui sommità, si eleva un obelisco. Lasciando questo legame con l‟Italia, ci concentriamo sulla cena, chiediamo di estrarre il foglio con i suggerimenti che il ragazzo dell‟hotel ci aveva fornito, ma il buon Marino ha pensato bene di lasciare tutte le indicazioni sul taxi, quindi, non ci rimane che contare sul nostro (speriamo) buon fiuto. Dopo l‟ennesima lettura dei menù posti sulla strada, decidiamo di entrare in un locale al momento quasi vuoto. Il locale non è molto ampio ma molto carino, forse più adatto per portarci la fidanzata o la moglie, che a sei pazzi ciclisti che, sfidando Giove Pluvio, sono arrivati fin lì dall‟Italia per mangiare, visto che il cameriere immediatamente viene (oltre che a portarci i menù) ad accendere i lumi posti sul tavolo. La serata davanti alla ormai fidata birra Union ed a buoni piatti di carne e patate scorre piacevolmente, anche il locale è diventato meno freddo, con il passare del tempo si è praticamente riempito. Dopo un discreto caffè, decidiamo di chiudere la serata al ristorante ed uscire. Lubiana è bella anche di sera, da l‟impressione di essere una città viva, frizzante, turisti e specialmente giovani sono in giro tra le viuzze del centro e molti di questi sono seduti sulla banchina del fiume. Cerchiamo di gustarci gli ultimi momenti di Lubiana visto che l‟indomani, alle ore 9.00 dobbiamo essere in stazione e quindi non ci sarà tempo per un altro sguardo. Una piccola tappa viene fatta in un bar, Henk e Marino vogliono chiudere la serata con l‟ultimo goccetto di Slivovitz. Sono ancora due le cose di Lubiana (che abbiamo visto), che meritano una menzione: Il Triplice Ponte e il Castello. Il Triplice Ponte, non è altro che l‟insieme di tre ponti vicinissimi di diversa architettura con quello centrale che ha, ai quattro angoli, quattro statue di drago alato. Il Castello, arroccato in cima alla collina che domina il centro storico di Lubiana, che sicuramente meriterebbe una visita, è oggetto di uno splendido gioco di luci per cui per tutta la serata, ad intervalli regolari, cambia continuamente colore, per cui anche in lontananza (come nel nostro caso), ti fermi a guardarlo…ad ammirarlo. La serata è al termine, dobbiamo (per l‟orario) e vogliamo (per la stanchezza) rientrare e quindi bisogna recuperare i taxi. 36
Il ragazzo ci aveva fornito un numero di telefono che ci consigliava di usare per chiamare il servizio taxi, ma vista la comodità di alcuni taxi lungo la strada decidiamo di prenderli al volo, tanto….pensiamo: AL MASSIMO SARANNO ALCUNI EURO IN PIU‟ E VISTO IL SONNO PRENDIAMO QUESTI. Infatti ……Marcello, Marino ed Henk salgono su una Fiat Croma nuovo modello condotta da un signore baffuto di mezza età, mentre io, papà e Massimo facciamo 50 metri a piedi in più e saliamo su una BMW serie 5 condotta da un ragazzo. Il nostro tassista è il primo personaggio sloveno che non trovo ligio alle regole, con una condotta sportiva, ai semafori il verde ed il giallo, sono per lui il medesimo colore, ed un paio di volte anche il rosso (a dir la verità appena scattato) è stato tradotto dai suoi occhi in verde. Al mitico BIT CENTER HOTEL, arriviamo quasi contemporaneamente, ma……..: Trasporto Fiat Croma - € 10,00; Trasporto Bmw - € 19,00 Quando Marcello ci ha comunicato la loro spesa mi è sembrato di rivivere una delle inchieste di STRISCIA LA NOTIZIA…. Dopo una piccola imprecazione, saluti di rito e quindi il letto.
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6 MAGGIO, GIOVEDI’ – SI TORNA A CASA Dopo aver vissuto la notte peggiore fra quelle trascorse nel nostro viaggio (l‟orda di ragazzi presenti in albergo ha fatto baccano fin oltre la mezzanotte) ci svegliamo puntuali alle 6.00. Le prime operazioni mattutine sono le solite, con l‟unica variante che oggi ci vestiamo con abiti civili. La prima parte della giornata prevede in bicicletta solamente 3 km, dall‟hotel alla stazione dei treni, poi, in treno, dovremo fare più di 100 km, quindi molto più comodi jeans e polo che la normale tenuta sportiva da ciclista. Qualche minuto dopo le 7.00 io e papà arriviamo nella sala delle colazioni (lo stesso salone vicino al bar, ma questa volta, attrezzato con un tavolo abbastanza ricco di cibi e bevande, tutto a selfservice). Dopo aver fatto un buon rifornimento e scelto il tavolo, ecco succedermi un fatto, che prima d‟ora, solo in alcuni film avevo visto. Tra una pasta e una fetta biscottata, scambiando qualche battuta con papà, alle mie spalle un tizio ci dice: - MA SIETE EMILIANI? - SI - rispondo io, voltandomi e guardandolo in viso - MA SIETE PER CASO DI FERRARA? - SI - e comincio a studiare i suoi lineamenti perché mi pare di conoscerli Faccio passare ancora qualche secondo….qualche altro secondo..uno ancora e sbotto: o MA SEI DALL‟ARA? o SI – mi dice lui cominciando a studiare anch‟esso i miei lineamenti In pratica, per farla breve: la prima volta che vado all‟estero, in una città che oltretutto non è in cima alle località turistiche più in voga, in un hotel nel complesso modesto, chi ti trovo?????? UN FERRARESE!!!! Ma non solo un ferrarese, trovo un Ingegnere che era, ed è ancora, un cliente di una ditta in cui ho lavorato negli anni 2001/2003. Immediata una lunga risata, quando anche lui si è ricordato di me. Una veloce presentazione del babbo, qualche scambio di informazioni e ricordi sulla mia vecchia azienda, sul motivo del suo viaggio (nel suo caso di lavoro) e del nostro; con una vigorosa stretta di mano ci salutiamo e diamo l‟imbocca al lupo, io per il suo incontro di lavoro, e lui per un tempo più clemente per il ritorno. Dopo questo simpatico siparietto, ritiriamo i bagagli ed iniziamo a preparare i nostri mezzi. Alle 8.15 lasciamo il BIT CENTER HOTEL. Le indicazioni lungo la strada sono chiare ed in meno di mezz‟ora arriviamo in stazione e ci dirigiamo al nostro binario.
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Sono meno delle 9.00 ed il treno arriverà alle 9.30, e quindi in tutta calma possiamo sederci ed aspettare, fortunatamente si è aperto un po‟ il cielo ed un tenue sole è sopra di noi. Massimo va alla ricerca di un qualche giornale in lingua italiana, ma ha la brutta sorpresa che i giornali esteri, prima delle 9.30, non arrivano. Un gentilissimo ferroviere (che poi scopriremo essere un controllore), passando lungo il nostro binario ci fa segno che la carrozza che porta le biciclette, è in testa, così ci spostiamo verso quel lato, dato che avevamo battezzato la coda per le nostre necessità (nei treni italiani che portano le biciclette non puoi mai sapere con certezza dove si trova il vagone per il trasporto delle bici, può essere indifferentemente in coda od in testa). Attorno alle 9.30 il treno arriva, e nuovamente le ferrovie slovene danno scacco matto alle nostre. Chi ha avuto la malaugurata idea qualche volta di sfruttare la combinazione treno + bici, sa le difficoltà che in Italia ci sono adottando questa soluzione. In certi treni lo spazio dedicato alle biciclette è dato da alcuni ganci (in genere tra i 5 e i 6) appesi al solaio del vagone, dove dovresti agganciarla, ma spesso succede che questi uncini sono così vicini che non puoi utilizzarli tutti perché i manubri si incastrano tra loro. Altre volte ancora, non ci sono nemmeno questi e devi sostare con la tua bicicletta nella zona di passaggio tra un vagone e l‟altro; addirittura l‟anno scorso, nel nostro rientro da Roma, abbiamo trovato un treno che aveva una sorta di braccio che andava ad agganciare il telaio della bici, ma come è agli occhi di tutti, oggigiorno i telai sono di tantissimi modelli, che hanno il tubo centrale della bicicletta (dove andava agganciato il braccio) delle dimensioni più svariate e dalle forme più varie, così che non è idoneo per tutti i tipi di biciclette, per dirla chiara: IL CAOS. Senza aggiungere che l‟eventuale aggancio lo deve fare il proprietario della bicicletta, quindi sono immaginabili le difficoltà, che in particolare le donne, possono avere ed ogni volta bisogna pure staccare le borse. I treni sloveni invece, hanno, dopo il locomotore, un vagone completamente vuoto, non c‟è proprio nulla e quindi ci puoi mettere tutte le bici che vuoi, o caricare altro d‟ingombrante, e, non meno importante, sul quel vagone c‟è un ferroviere che ti aiuta a caricare e poi scaricare il tuo mezzo. Con l‟aiuto del tipo, in pochi minuti carichiamo le nostre due ruote e ci infiliamo in uno scompartimento libero da sei posti. Tra noi regna un certo sollievo, il cielo, dopo l‟iniziale squarcio di luce, torna ad incupirsi e quindi siamo ben lieti di essere in carrozza e non sulla strada per Tolmino in bicicletta. La ferrovia attraversa continuamente prati e tanti boschi, la natura ha davvero tanto spazio in questo paese, e speriamo, che anche nel prossimo futuro, il verde sia il colore predominante di queste terre. Ogni tanto spunta qualche piccolo paesello, sono sempre poche case, in genere di colore bianco o comunque chiaro, in mezzo spicca sempre la chiesa, grazie al campanile che ha sempre il tetto molto a punta. Guardando questi piccoli paesi, l‟immagine che dà la Slovenia è quella di una nazione ancora molto arretrata, basata su una economia rurale; pensando invece a Lubiana, l‟immagine è totalmente diversa, un paese con regole, con molto turismo, un paese culturalmente avanzato ed al passo con i tempi……la verità è probabilmente nel mezzo, ma qualche giorno a Lubiana li farei ancora. Ogni tanto il treno fa tappa in qualche piccola stazione sperduta in mezzo ai boschi, qualcuno scende, qualcuno sale, ma il clima e la tranquillità su questo mezzo non cambia.
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Con il trascorrere del tempo, il cielo diventa sempre più cupo, e questo non fa che giustificare la nostra scelta per Capodistria e alle volte qualche scoscio d‟acqua colpisce il treno. Il paesaggio a dir la verità è un po‟ monotono, ma qualche volta è bello scorgere dal finestrino un capriolo……. anche se loro non lo sanno, penso siano fortunati a vivere dove sono. Il più vivo tra noi è Henk, che in continuazione, mangia qualcosa che trova nelle sue borse, e dopo un‟attenta occhiata, mi accorgo che quei generi alimentari facevano parte del tavolo buffet del Bit Center Hotel. Mentre Henk si gusta gli ultimi prodotti sloveni, altri, specialmente Marino e Marcello, trascorrono molto tempo, se non proprio a dormire comunque a sonnecchiare un po‟. Trascorse circa un paio di ore dalla partenza, in lontananza qualche spicchio di mare si vede, quindi ormai Capodistria, o Koper alla slovena, è vicina. Dopo aver intrapreso una lunghissima curva a semicerchio per poter scendere in sicurezza, dalla collina alla stazione, che si trova praticamente sul mare, giungiamo finalmente a Capodistria. Oggi siamo metereologicamente fortunati, alla partenza, un pallido sole e solo in treno, un po‟ di pioggia, ora, scendendo dal vagone, in cielo, nubi minacciose mentre l‟asfalto porta i segni inequivocabili di un recente temporale. La stazione è una costruzione nuova e moderna, ma in bella mostra, ad ornamento dell‟intero complesso ferroviario, c‟è un vecchio locomotore a vapore, completamente nero ma tenuto in splendida forma come se dovesse partire da lì a poco, è davvero bello e non perdo occasione con la mia Nikon di strappare una foto. Salendo sui nostri mezzi, cerchiamo le indicazioni per il centro città, e a parte qualche difficoltà ad un incrocio, in pochi minuti arriviamo a Capodistria. Girando un po‟ alla cieca, troviamo alcune librerie dove entriamo per chiedere informazioni ed eventualmente acquistare almeno un cartina della città, ma i risultati sono negativi. Così tra qualche difficoltà per il via e vai di tanti pedoni e per le viuzze acciottolate e irte, proviamo ad addentraci nella parte più vecchia. Abbiamo due necessità piuttosto impellenti, la prima è di individuare un locale dove mangiare, perché dopo la colazione, avendo sempre viaggiato in treno, non siamo stati in grado (solo Henk ha avuto l‟intelligenza di fare scorta viveri) di mangiare nulla e la seconda, è quella di trovare un punto informazioni per avere suggerimenti per il pernottamento. Quando arriviamo nella piazza principale della città, Piazza Tito, si apre ai nostri occhi un‟altra Capodistria, alle spalle ci siamo lasciati la Capodistria turistico/marittima, la Capodistria portuale, ed ora entriamo nella zona storica, nelle sue origini. Il nome di Capodistria mi è sempre stato familiare perché, come molti della mia età ricordano, nei nostri anni della fanciullezza, in televisione, oltre ai canali Rai si vedevano solamente la Televisione Svizzera e appunto Tele Capodistria, ma chissà perché, mai avevo collegato questa cittadina alla storia antica. La piazza è quadrata, le costruzioni sono tutte bianche, vi è uno splendido palazzo in stile gotico veneziano, il Palazzo Pretorio (una costruzione a due piani con due torri ai lati e ricca di merlature), il duomo e, un altro paio di palazzi tutti splendidamente tenuti. Vi è pure un porticato in parziale restauro e decidiamo di lasciare qui i nostri mezzi. L‟ora del pranzo è arrivata non solo per noi, i pub pizzerie sono quasi tutti al completo, e mentre siamo alla ricerca di un locale che abbia almeno sei posti liberi, Henk ci mette al corrente della sua 40
volontà: cercare di ritornare a Ferrara in giornata. Marino appoggia subito questa soluzione, mentre noi quattro lasciamo che questa idea maturi nelle nostre teste ed immediatamente non diciamo nulla. Un locale ha solo un tavolo da quattro, un altro è al completo, un altro deve controllare e via così per diversi minuti finché, addentrandoci in un angusto viottolo, troviamo una pizzeria osteria molto accattivante. All‟entrata il baffuto gestore ci informa che un tavolo per sei libero non c‟è ma si può ovviare, se siamo d‟accordo, con uno da quattro e uno da due, e accettiamo. Massimo e Marcello vanno nel tavolo biposto e noi nell‟altro. Davanti al menù, scartiamo la pizza perché per l‟ultima volta vogliamo un piatto locale e così, per la gioia del cameriere (ordinazione semplicissima), chiediamo tutti la stessa cosa: o 4 birre Union; o 4 Lubianese Ed una bottiglia d‟acqua. L‟Union sapete già di cosa si tratta mentre la Lubianese era una specialità che non avevo ancora provato e che ho trovato semplicemente squisita. Simile alla nostra cotoletta, ma che tra la carne e l‟impanatura ha delle fette di salume (salame forse??) e anche del formaggio filante; davvero un piatto eccezionale, il tutto condito da ottime patate fritte, pranzo chiuso poi da quattro caffè. Al tavolo, il fulcro del discorso è la proposta di Henk (il ragazzo ci tiene a tornare a casa un giorno prima, siamo al giovedì, perché il sabato ha la partenza per Foggia dove si svolgerà la partita salvezza della Spal)….alla fine anche il duo papy e figlio appoggiano questa proposta. Bevuto il caffè ci alziamo e lo stesso fanno Massimo e Marcello, paghiamo e al momento di uscire ci informano che anche loro sono per il ritorno a casa. Torniamo alle bici, togliamo le serrature e, cercando di coprirci l‟un l‟altro, ci cambiamo mettendo gli abiti sportivi. La partenza ha un unico grosso problema, avviene sotto un cielo molto minaccioso…ma minaccioso minaccioso, ma essendo tutti concordi partiamo. Ritorniamo al solito incrocio e nuovamente qualche problema, le indicazioni che troviamo per Trieste sono tutte per la strada statale mentre noi vorremmo la strada secondaria per evitare inutili pericoli; alla terza ma forse anche quarta persona a cui chiediamo, finalmente ci vengono date delle informazioni certe. Lasciamo la strada principale e alla nostra destra imbocchiamo una strada secondaria con le indicazioni per Bertocchi. Troviamo poi una pista ciclabile e quando la prendiamo la strada comincia a salire. Il tempo è davvero pazzo, in pochi minuti è uscito un sole terribile, dobbiamo fermarci e toglierci la mantellina che avevamo tenuto indossata per ogni evenienza. Fermiamo un cicloturista di passaggio per ulteriori informazioni, è molto gentile (sarà lo spirito cameratesco?) e ci informa che tramite la ciclabile arriviamo sena problemi in provincia di Trieste, ma sono lì le difficoltà, perché giungiamo nella zona industriale e se non si conosce la zona, è dura attraversarla in bicicletta….ciclabili non esistono e le indicazioni sono tutte per la tangenziale. Lo salutiamo e riprendiamo il nostro ritmo…oggi la fortuna ci sta assistendo, a fronte del forte sole, il manto stradale delle ciclabile è bagnatissimo…il temporale deve essere finito da pochi minuti. Oltre al cicloturista troviamo sulla ciclabile solo un paio di persone che passeggiano, e con facilità 41
arriviamo al confine. Essendo in un tratto di discesa, lo attraversiamo a forte velocità ed al primo slargo ci fermiamo per ricompattarci. Qualche centinaio di metri ancora e la premonizione del ciclista triestino si avvera. Ci troviamo esattamente sulla rampa per la tangenziale con le indicazioni per il centro di Trieste, ma chiaramente vietata alle biciclette. Da questo momento e per una buona mezz‟ora inizia il nostro peregrinare tra varie strade, un continuo avanti e indietro alla ricerca di una qualche indicazione per il centro, che non sia la tangenziale; come è consuetudine, quando cerchi un vigile urbano o comunque un qualsiasi tutore dell‟ordine non lo trovi. A Trieste non ero mai stato, è una cittadina piuttosto grande o comunque siamo arrivati in una zona molto industrializzata, perché non incrociamo nemmeno gente a piedi, figurarsi in bicicletta, a cui chiedere indicazioni; in questo girovagare posso almeno dire di aver visto l‟entrata dello Stadio di calcio della Triestina, il “Nereo Rocco”. Come si dice: A MALI, ESTREMI, ESTREMI RIMEDI Infischiandoci delle indicazioni di divieto e dei giusti rimproveri di Massimo, per evitare questo cul-de-sac in cui ci eravamo ficcati, imbocchiamo la tangenziale e a tutta ci facciamo circa 500mt. Con la Madonna, i Santi e tutti quelli che ci vogliono bene dalla nostra parte, riusciamo ad attraversare senza problemi questo tratto di strada pericolassimo per un ciclista. Dall‟altra parte, il problema non è comunque risolto, ma fortunatamente ad una fermata dell‟autobus, troviamo un‟anziana signora che gentilmente ci aiuta. Non ricordo più chi di noi si è posto in testa, perché l‟entrata in Trieste è stato il caos più completo, ma dopo un altro paio di errori finalmente ci siamo lasciati alle spalle questa maledetta zona industriale e un lunghissimo vialone si è presentato davanti a noi. A metà del vialone, ecco l‟ultima perla di ironia, di ilarità del nostro viaggio, e chi, se non lui, il buon Marino, poteva offrircela???? Dopo:
il raggio rotto; la foratura verso Jesolo Lido; la foratura dopo soli 4 km da Jesolo Lido; dopo la rottura della pompa per gonfiare; dopo aver dovuto smontare e rimontare la nuova pompa perché nello stato in cui era stata acquistata non funzionava; dopo la foratura alle porte di Aidussina;
ecco che ad un semaforo, fortunatamente al momento rosso, il Pitton scende velocemente dalla bici e deve accostare: IL TELAIO CHE SORREGGE LA BORSA SUL MANUBRIO SI ROMPE Come si fa a non ridere?????? La fortuna vuole che la stazione è a poche centinaia di metri da noi e Marino non ha nemmeno il 42
tempo di imprecare. All‟entrata guardiamo gli orari e siamo fortunati, il treno per Mestre è tra 15 minuti. Al volo, biglietteria e poi binario, e stavolta tutto fila liscio. Anche noi troviamo facilmente posto a sedere e cominciamo a rilassarci, ora possiamo dire di avercela fatta e di essere sulla via di casa. A Mestre primo ed ultimo cambio. Non parliamo molto ora, c‟è voglia di riposare ed un velo di tristezza, ti prende quando stai finendo una cosa così unica, la stessa cosa accaduta l‟anno passato. Massimo ci informa (prima se ne era dimenticato) che durante la nostra sosta a Capodistria, aveva sentito l‟albergatore di Tolmino, a cui aveva comunicato la nostra disdetta, e questo, molto gentilmente gli aveva risposto che ci capiva, perché in quella città c‟era in atto un mezzo diluvio. Ripercorriamo ancora qualche momento del viaggio, ma molte delle nostre attenzioni sono rivolte al paesaggio e al cielo, lo incrociamo quasi sempre scuro, minaccioso, alla fine ci diciamo solo una cosa: SIAMO STATI PROPRIO TANTO SFIGATI A PARTIRE NELLA SETTIMANA PIU’ PIOVOSA DELL’ANNO
Sono quasi le 20.30 e attraversiamo il Po.
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6 MAGGIO – IL COMMIATO Alle 20.30 il treno ferma a Ferrara e, come era successo nelle precedenti stazioni, ci dividiamo in due squadre, io e Marcello ci occupiamo di scaricare i bagagli, gli altri delle biciclette. Con le solite difficoltà che si incontrano (quando si ha la bicicletta) sui treni italiani, riusciamo ad arrivare all‟esterno della stazione. E‟ il momento del commiato, del saluto finale. Non ne conosco il motivo certo, ma come era successo al ritorno da Roma, quando ci troviamo alla fine, all‟esterno della stazione di Ferrara, sembra che tutti abbiano una voglia matta di scappare a casa, e anche fare un‟ultima foto al gruppo diventa difficoltoso. Forse il correre immediatamente a casa, è il modo migliore per ridurre al minimo, un momento un po‟ triste, la separazione da persone con cui hai condiviso tante fatiche ma anche l‟enorme soddisfazione di aver portato a termine una piccola impresa. In pochi secondi, qualche stretta di mano, i saluti e la promessa, al termine delle ferie, di incontrarci davanti ad un bel piatto di carne ai ferri. A differenza del 2009, una cosa è cambiata, papà non abita più nel glorioso Cocomaro di Focomorto, il paese alle porte di Ferrara dove è nato, dove è vissuto, dove sono cresciuto pure io, ma a fine 2009 si è trasferito in città, nella zona di Via Canapa, e così, come per allungare il più possibile questa nostra avventura, per vivere fino all‟ultimo secondo questa Ferrara - Lubiana, decido di accompagnarlo a casa, e con noi, non abitando troppo distante, anche Marcello ci segue. Pedaliamo tra i giardini del grattacielo, attraversiamo Viale Po all‟altezza del Bar Venezia, ed inforchiamo Via Oroboni. E‟ la prima volta che percorro questa strada con una certa emozione, davvero qualcosa sta finendo, e la conferma c‟è al momento di separarci da Marcello; all‟incrocio con Via Gustavo Bianchi, io e papy a sinistra e lui a destra, il “CIAO” che ci diciamo, che ci urliamo, è diverso, è più vivo, ha più cuore….o forse sono solo le sensazioni che ho dentro. Da Via Bianchi a Via Giovannelli, ed in pochi minuti a casa. La Ferrara – Lubiana, si chiude (per me e mio papà) davanti al cancello, dove mamma ci scatta l‟ultima foto del viaggio.
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IL FUTURO Il 6 maggio alle 21.15 circa (dopo la foto davanti casa), si è chiusa la nostra seconda splendida avventura di ciclo viaggiatori, sulle emozioni (belle e brutte) provate non voglio tornare, credo di averle raccontate, al meglio delle mie modeste possibilità di scribacchino, nelle pagine precedenti e, nel caso del viaggio a Roma, negli appunti dell‟anno scorso. Ora vorrei dare un sguardo al futuro, al mio futuro di cicloviaggatore. Ad inizio 2009 tutto era nato per scherzo, Massimo presentò il programma annuale delle escursioni degli “AMICI DELLA BICICLETTA F.I.A.B. FERRARA”, inserendo, senza darne comunque troppa pubblicità, la possibilità di un viaggio a Roma, e una volta a casa, più per gioco che altro, ne parlai a mio padre. Sono sempre stato abbastanza refrattario a questo uso della bicicletta, per me la bici è sempre stata quella da corsa, quindi uscire in gruppetti (o da solo in caso di allenamenti) e dare tutto per un paio di ore o poco più, o al massimo qualche passeggiata in centro città. Poi l‟incontro con gli “Amici della Bicicletta di Ferrara” e tra questi, con Massimo, l‟unico all‟interno dell‟associazione con un passato di agonista o quasi; l‟unico anche avvezzo a delle esperienze da cicloviaggiatore di un certo peso. Arriva quindi Roma, quella parolina che in me ha sempre scaturito qualcosa, il babbo che, pure lui ciclista di spessore (molto più del figlio) con il mezzo da corsa, sembra interessato alla cosa. Dopo qualche giorno mia madre mi dice che papà sarebbe davvero intenzionato a farla se solo ci fossi pure io, e quindi mi butto: Perché no? Mi dico…. Alla fine fu un‟esperienza incredibilmente bella, unica e inimmaginabile alla partenza, entusiasmo che contagiò tutti a tal punto che immediatamente, vennero buttate le basi per una seconda avventura, Lubiana. Anche Lubiana è stata conquistata oggi, ed ora? Ecco perché ho intitolato “Futuro” questo capitolo. Quale meta ora? Quale meta per il 2011? Durante il ritorno in treno da Lubiana, si è iniziato a parlare di cosa fare il prossimo anno, e l‟attenzione è stata posta su Torino; partire da Ferrara, risalire il Po (ove possibile) e, sempre nell‟arco di una settimana, giungere nella vecchia capitale sabauda. Si farà? Sulla voglia e sulle capacità ciclistiche di ognuno di noi e organizzative di Massimo, dubbi non ve ne sono, ma……quest‟anno, sui programmi futuri c‟è un “ma”, un grosso “MA” almeno per me. Prima di partire per Lubiana, il buon Sergio, mio papà, aveva confidato a me e mamma, che quella di quest‟anno sarebbe stata per lui, l‟ultima escursione. Il perché? Di preciso non saprei, lui parlava dell‟età, ma io credo sia stato un miscuglio di cose. Lasciare a casa mia madre da sola una settimana non è cosa usuale per lui (loro hanno sempre girato assieme), un pochetto l‟età che va avanti qualcosa incide, ma penso che il motivo principale di questa sua titubanza siano stati i piccoli acciacchi avuti nell‟inverno. Alla fine si sono rivelati ben poca cosa ma ci certo non gli hanno permesso la solita preparazione invernale/primaverile e qualche sicurezza, in lui, è stata certo minata. 45
Da parte mia spero tanto ci ripensi (a dire la verità, al ritorno a Ferrara, trascorso qualche giorno, parlando di Torino non mi ha più espresso un NO secco.) Perché Roma è stupenda, Lubiana è bellissima, la bicicletta è un mezzo unico, in sella si è tutti uguali, quando si pedala non ci sono differenze di ceto, i titoli cadono, non c‟è più il dottore, l‟avvocato, il notaio, il professore, ma siamo tutti Alessandro, Sergio, Massimo, Marcello, Marino, Henk….. In bici tocchi dal vivo i colori, i profumi, i frutti della terra….in bici arrivi dove vuoi, più lentamente forse, ma arrivi, ma una cosa è fare tutto questo con mio papà e un conto senza. Arrivando a Lubiana, ho e ha avuto la conferma che è ancora una roccia, scalare la Terribile come ha fatto lui, significa solo che è forte, perché è vero che io sono arrivato prima di lui, ma io all‟anagrafe segno anni 42, lui 70, e alla sera mai un segno di stanchezza, mai un lamento. Senza lui, io non sarei mai partito per Roma ed ora continuare senza di lui, non mi sembrerebbe possibile. Mio papà è mio papà, la mia ancora, la mia spalla, non mi sembra possibile ripartire con Massimo, Marcello, Marino, Henk e…..senza papà……non sarebbe la stessa cosa. Di tempo ne manca ancora tanto a Torino 2011 e perciò anche la speranza è l‟ultima a morire.
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PENSIERI LIBERI SULLA GITA E NON SOLO
I BAGNI DEGLI HOTEL – Nel viaggio a Roma ho raccontato la sorpresa quando, entrando nel bagno dell‟hotel a Fano, non trovai il bidet, e la successiva scomodità nel far senza questo importantissimo per noi italiani, strumento di pulizia. In questo viaggio, in nessun albergo, italiano e sloveno, ho trovato il mitico bidet. Che scomodità!!!!!! Alle volte, copiare gli stranieri, è una vera beffa.
IN CIMA ALLA TERRIBILE – Arrivare su quella cima in quelle condizioni, è stata la mia più grande soddisfazione sportiva. Come disse il Replicante Roy Batty (l‟attore Rutger Hauer) nel film “Blade Runner”, il primo pensiero che ho avuto (adattato alla situazione), pensando a quando lo avrei raccontato a Ferrara è stato: OGGI HO FATTO COSE CHE VOI UMANI NON SARETE MAI IN GRADO DI FARE. Nel film la frase di Batty fu: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi”.
IN DISCESA – Arrivati a Lubiana ho guardato il contachilometri per verificare la punta massima raggiunta; il dato che portava era: 50,600 Km orari. Siamo stati veramente incoscienti ma nello stesso tempo bravi a scendere, in quelle condizioni, senza che accadesse nulla toccando quelle punte di velocità.
SESSO E POLITICA – Anche quest‟anno, durante tutto il viaggio, sei uomini, in cinque giorni, non hanno mai parlato di questi argomenti. Che sia l‟affiatamento? Che sia l‟amicizia? A me piace pensare sia dovuto alla tanta fatica che ci accomuna in questi viaggi, ed è bello lasciare per un po‟ questi argomenti.
BIANCHI VIALE DEGLI ABRUZZI - La mia bicicletta, e di mio padre. La storia è curiosa della mia bicicletta. A novembre 2009 mio padre va dal rivenditore Bianchi di Consandolo e ordina la nuova “Viale degli Abruzzi”, le previsioni della consegna sono entro Natale…un bellissimo regalo sotto l‟albero quindi. Passa Natale, passa Gennaio, arriviamo a Febbraio e della bici non si sa nulla, anche il rivenditore non sa giustificare il ritardo. A metà dello stesso mese, mi collego al sito internet e scrivo una mail all‟azienda, ma nessuna risposta. Aspetto qualche altro giorno e stampo la mail su un foglio e invio un fax. Dopo qualche giorno, mi contatta l‟ufficio clienti ed in quindici giorni fa arrivare la mia fiammante bicicletta al rivenditore; lui stesso, al momento della consegna dalla casa madre, ha detto che in tanti anni di attività non gli era mai successo che la Bianchi gli spedisse una bicicletta specificando che era per un cliente preciso.
DALL’ARA – Il ferrarese trovato a Lubiana….una volta che ci siamo riconosciuti, il primo commento di entrambi è stato: PENSA SE FOSSIMO CON L‟AMANTE?...... Alle volte uno pensa di essere tranquillo nel classico Buco del C - - o del mondo ed è proprio lì che ti scoprono con le mani nella marmellata.
LE BARZELLETTE DI MASSIMO – Durante il viaggio tanti sono stati i momenti ironici ma che ti sappia strappare una risata, anche sotto la pioggia, con una barzelletta c‟è solo Massimo, specialmente quando imita gli accenti, romanesco e napoletano specialmente.
LA TESTA E L’ALLENAMENTO – Ho concluso la mia seconda ciclo vacanza/ciclo impresa e da questa mia modestissima esperienza credo e penso, di aver capito una cosa. L‟allenamento è certamente importante per poter intraprendere questi viaggi, ma è LA TESTA il motore principale che ti fa andare avanti, solo dopo, vengono le gambe. Quando decidi di partire sai che devi essere pronto ad ogni avversità: piove? non importa, si riparte; più incidenti meccanici? Non importa, si riparte; salita improvvisa e dura? Non importa, si 47
riparte, hai ….hai …hai….? Non importa si riparte..SEMPRE, nulla ti deve fermare, quando programmi di partire ed accetti, sai che devi arrivare alla fine costi quel che costi (tralasciando incidenti o problemi fisici che chiaramente sono un discorso a parte) e questo ultimo nostro viaggio ne è stata la prova. E‟ basilare esserci con la testa anche perché non sei solo, dove allora puoi decidere quello che vuoi, ma sei in un gruppo (sempre meglio non troppo numeroso), le tue decisioni per forza incidono anche sugli altri e si rischia di rovinare tutto, di rovinare la tua vacanza e quella degli altri, e alle volte anche incrinare un‟amicizia…se non si è sicuri delle proprie capacità meglio restare a casa.
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ALCUNE FOTO
Piazzale Dante, prima della partenza: Sergio e Alessandro Polesinanti, Massimo Migliori, Marino Pitton ed accosciati Henk V.Z. e Marcello Cellini
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Lâ€&#x;arrivo a Chioggia
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Il Cippo che ricorda il vecchio confine con lâ€&#x;impero austriaco, sul fiume Versa, pochi km prima dellâ€&#x;arrivo a Cervignano
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Al riparo dopo la partenza da Cervignano, sotto tettoia officina Citroen
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Una breve sosta ad un bivio sulla Terribile
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La prova, lâ€&#x;impresa è fatta. Notare anche le coperture dei piedi
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La mitica Bianchi “Viale degli Abruzzi”
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