EVOLVE n.1

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BE ADAPTIVE Come trasformare il cambiamento in crescita evolutiva

MAGGIO 2018


N° 1 - Maggio 2018 www.mairetecnimont.com

PUBBLICAZIONE DEL GRUPPO MAIRE TECNIMONT A CURA DEL Dipartimento Relazioni Istituzionali e Comunicazione Registrazione presso il Tribunale di Milano - N. 338 del 06-12-2017 DIRETTORE RESPONSABILE Carlo Nicolais PROGETTO E REALIZZAZIONE Cultur-e www.cultur-e.it EDITORE Maire Tecnimont Spa Sede legale Viale Castello della Magliana, 27 - 00148 Roma - Italia Sede operativa Via Gaetano De Castillia, 6A - 20124 Milano – Italia TIPOGRAFIA Gam Edit Srl Via Aldo Moro, 8 - 24035 Curno BG www.gamedit.it Chiuso in redazione il 25/05/18 Per i testi pubblicati, si resta a disposizione degli aventi diritto che non si siano potuti reperire.


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EDITORIALE La sfida di essere "Adaptive" Editoriale di Carlo Nicolais, Responsabile Relazioni Istituzionali e Comunicazione del Gruppo.

STRATEGIE L’oceano blu dell’innovazione

Travolti da un insolito cambiamento

Nasce dalla predisposizione al cambiamento, ci vuole svegli e predisposti alle intuizioni creative.

Blockbuster, Kodak e Fujifilm: aziende cancellate dall’innovazione.

Storie di adaptiveness

Un modello italiano di resilienza

Starbucks e Cirque du Soleil: aziende che hanno cavalcato il cambiamento.

“L’Olivetti dopo Adriano” è il libro che racconta l’esperienza dell’Adaptive Business Model.

STORIA Ingegneria d’avanguardia

Fabrizio Di Amato, ingegnere ad honorem

Le origini e lo sviluppo di una disciplina attraverso le imprese italiane che hanno fatto la storia.

Il presidente e azionista di riferimento del Gruppo Maire Tecnimont riceve la laurea dal Politecnico di Milano.

SPECIALE L’adattività che ti fa vincere

(Smart) working in progress

L’AD del Gruppo Maire Tecnimont Pierroberto Folgiero ripercorre l’evoluzione industriale del Gruppo.

Una ricerca del Politecnico di Milano per descrivere lo sviluppo nel nostro Paese.

Nel futuro conta il risultato

Maire Tecnimont per Milano

Tavola rotonda sul Lavoro Agile: dai piani dei gruppi privati, ai nuovi progetti della PA.

Il nuovo hub “MEETinG” alle Torri Garibaldi.

REPORTAGE Il giusto posto per lavorare Il quartier generale del Gruppo rinnova i suoi spazi in chiave smart working.

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SOSTENIBILITÀ Una nuova discontinuità Intervista a Marco Frey, presidente del Global Compact Network Italia.

TERRITORI Amurski, al confine tra Russia e Cina

Negoziare senza pregiudizi

Maire Tecnimont sta eseguendo per Gazprom una commessa da 3,9 mld di euro per il trattamento del gas.

Intervista alla project director Maria Selli: “Con i russi la parola chiave è persistenza”.

MOTTOS Dal cambiamento alla chiamata alle armi Un filo che accomuna i valori del Gruppo, come le diverse tappe di un percorso verso il futuro.


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LA SFIDA DI ESSERE

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"ADAPTIVE" el numero scorso di questa rivista, celebrando il decennale della quotazione in Borsa del gruppo Maire Tecnimont e parlando della transizione energetica in atto nel mercato di trasformazione delle risorse naturali, avevamo scritto che le imprese italiane potevano giocare un ruolo proattivo in questo scenario, anche grazie alle capacità ingegneristiche ereditate dalla storica tradizione dell’industria petrolchimica. Con questo nuovo numero, in redazione abbiamo deciso di andare più a fondo sul tema del "modello" italiano, esplorando con testimonianze e ricostruzioni le potenzialità del talento creativo e le speciali capacità degli ingegneri di “fare squadra” intorno a un progetto.

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Il magazine EVOLVE - nato a fine 2017 come strumento di riflessione per condividere esperienze e risultati - continua dunque nella scia intrapresa, con l’ambizione di fornire ai lettori una sequenza di stimoli e narrazioni utili a interpretare meglio i cambiamenti in corso, sia a livello economico che geopolitico. La chiave adottata è quella di approfondire in controluce (e declinare a cadenza monografica) l’argomento “Mottos”, i pilastri della cultura aziendale che in Maire Tecnimont rappresentano da oltre due anni un patrimonio comune. E ci accompagnano in maniera proattiva lungo un percorso di crescita professionale e personale. Il Motto “Be Adaptive”, declinato nelle prossime pagine, è fra i più importanti per il nostro Gruppo. La flessibilità nell’accogliere le sfide progettuali, la capacità di adattarsi al cambiamento in termini lavorativi

e culturali, rappresenta realmente una sorta di bussola per tutti coloro che hanno scelto una strada - come ha suggerito il nostro amministratore delegato Pierroberto Folgiero - disseminata di attitudini imprenditoriali. Negli articoli di apertura, come già fatto nel precedente numero con il filosofo e matematico Nassim Taleb, abbiamo scelto di trattare l’Adaptiveness in chiave critica, analizzando le cosiddette “Strategie Oceano Blu” e descrivendo l’impatto che l’innovazione ha generato in alcune grandi imprese del calibro di Blockbuster, Kodak e Polaroid, ma anche di Starbucks, Apple e Cirque du Soleil. In questo contesto, la vicenda storica dello sviluppo tecnologico italiano rappresenta - come dimostra un recente volume – un caso di grande interesse di cui tener conto quando si ragiona di trasformazioni di modelli industriali. Per capire meglio l’Adaptive Model nel nostro settore industriale, inoltre, abbiamo ridato voce ad alcune vicende storiche legate alle principali società di ingegneria e impiantistica, tra le quali Fiat Engineering, Tecnimont e KTI. Un lavoro redazionale di ricerca, unito alla raccolta di preziose testimonianze di protagonisti dell’epoca, che ha fatto emergere un dato comune: di fatto, molte dinamiche di aziende italiane (i loro momenti di gloria, così come le fasi di crisi) sono più legate alle vicende delle persone che le animavano che alle dinamiche economiche esterne. In altri termini, i principali cambiamenti nel panorama dell’ingegneria italiana sono stati spesso provocati da alcune figure tecniche e manageriali di riferimento e dalle loro decisioni di permanenza in azienda o al contrario di uscita e conseguente costituzione di nuove società. In questo filone, come esempio attuale di “Adaptiveness” in chiave imprenditoriale, faremo riferimento alla laurea ad honorem in Ingegneria Chimica conferita nei giorni scorsi al presidente Fabrizio Di Amato, dal rettore del Politecnico di Milano. Un riconoscimento

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importante a quell’imprenditoria privata, capace di adattarsi alle evoluzioni del mercato. A seguire, entriamo nel mondo Maire Tecnimont per presentare gli assi lungo i quali il Gruppo sta costruendo la propria strategia evolutiva: come visione industriale che punta alle competenze, ma anche come trasformazione dei processi interni e degli spazi di lavoro nell’ambito del programma di Smart Working, al quale dedichiamo anche la nostra sezione di reportage fotografico: un format, questo, ormai diventato una sorta di spina dorsale di EVOLVE, intesa come forma di comunicazione visiva per evocare uno specifico tema con immagini di alta qualità. Le ultime due sezioni in chiusura sono dedicate alla sostenibilità d’impresa e ai territori, come ulteriori dimensioni di discontinuità che le aziende si trovano ad affrontare. Nella prima (oltre a presentare il nuovo Bilancio di Sostenibilità targato Maire Tecnimont, il primo nella storia del Gruppo) decliniamo il tema dell’Adaptiveness con l’intervista a Marco Frey, presidente della Fondazione Global Compact Network Italia, che ci spiega in che modo alcune grandi società abbiano accolto la sostenibilità come valore strategico aziendale e reale obiettivo di business. Nella rubrica territori, infine, diamo spazio all’internazionalità intesa come una delle chiavi di crescita in Maire Tecnimont: una modalità per conoscere ogni singolo Paese attraverso le vicende dell’ingegneria e la cultura d’impresa. In questa puntata, dedicata alla Russia, parliamo del grande progetto Maire Tecnimont ad Amurski, una commessa di 3,9 miliardi di euro per realizzare un impianto di trattamento del gas. Attività che rappresenta un vero e proprio salto dimensionale per il Gruppo, impegnato nel profondo Far East russo, ai confini con la Cina. I nostri colleghi impegnati in task-force sono anche testimoni di quanto in questi casi l’ingegneria sia una professione che fa sperimentare le diversità culturali, ridimensionando la presunta unicità dei valori occidentali rispetto al resto del mondo. Di questo si tiene conto nella vita quotidiana del progetto, adattando linguaggi e codici di comunicazione in un processo di inter-culturalità praticata sul campo.

Carlo Nicolais Responsabile Relazioni Istituzionali e Comunicazione Gruppo Maire Tecnimont

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L’OCEANO BLU

DELL’INNOVAZIONE

NASCE DALLA PREDISPOSIZIONE AL CAMBIAMENTO: È UN’ATTIVITÀ DI GRUPPO, NON UNA RICERCA SOLITARIA. HA BISOGNO DI CONNESSIONI, CONTAMINAZIONE, DIBATTITO E COLLABORAZIONE. CI VUOLE SVEGLI E PREDISPOSTI ALLE INTUIZIONI CREATIVE, NON IMMOBILI IN ATTESA DI PROGETTI PRECONFEZIONATI DALL’ALTO O GENERATI DAL CAOS. osa c’entrano Blockbuster, Kodak e Polaroid, con Starbucks, Apple e il Cirque du Soleil? E perché, mentre un nutrito numero di aziende cavalcava l’onda della tecnologia per sopravvivere, dall’altro lato una minoranza di imprenditori old style - privi cioè di sguardo innovativo - continuava a crogiolarsi in modelli d’impresa culturalmente superati? A ignorare o sottovalutare l’innovazione tecnologica?

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Forse è utile provare a soffermarsi sulla linea del tempo, analizzando ciò che dicono gli esperti di strategie e change management. E sbirciando le storie di alcune imprese che - grazie ai cambiamenti necessari per la loro crescita economica - hanno superato difficoltà e crisi, svecchiando prodotti, processi e forme di organizzazione industriale. Trasformando gli ostacoli in opportunità e adattandosi così ai repentini cambi di rotta dei mercati. Dopo Copernico, Darwin e Freud, il digitale è la quarta rivoluzione. Lo sostiene il filosofo Luciano Floridi, direttore del Digital Ethics Lab dell’Università di Oxford, che afferma: “La tecnologia può aiutarci nel sostenere strategie per una crescita equa e sostenibile.

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La vera sfida però non è l’innovazione, ma la governance. Sono ottimista sulla nostra capacità di creare soluzioni tecnologiche sempre migliori: non così sulla nostra capacità di usarle al meglio”. Gestire l’innovazione in chiave etica è uno dei punti, quindi, al centro del dibattito sull’intelligenza artificiale, sull’Industria 4.0 e sull’interazione con l’essere umano. Un termine («innovazione») che rappresenta la capacità di scoprire e unire risorse non connesse in precedenza tra di loro. Di creare prodotti e soluzioni in grado di impattare con efficacia sul business e sulla società. L’innovazione nasce però dalla predisposizione al cambiamento: è un’attività di gruppo, non una ricerca solitaria. Ha bisogno di connessioni, contaminazione, dibattito e collaborazione. Ci vuole svegli e predisposti alle intuizioni creative, non immobili in attesa di progetti preconfezionati dall’alto o generati dal caos. L’innovazione arriva se siamo pronti ad accoglierla. Se torniamo al management di multinazionali come Blockbuster o Kodak – che alla fine hanno perso la loro partita, opponendo una resistenza ostile al cambiamento – ci chiediamo: come sarebbe finita la loro vicenda se avessero assecondato la rivoluzione tecnologica e digitale? Che reazione avrebbero avuto di fronte a Schumpeter, fra i principali economisti del XX secolo, che con le sue teorie ci chiariva la differenza tra Invenzione, Innovazione e Diffusione? Il nostro modello di riferimento, per entrare nelle viscere di un “Adaptive Business Model”, ce l’avevamo in casa. A Ivrea, in provincia di Torino. Si chiamava Adriano Olivetti, di professione “imprenditore rivoluzionario”. Un uomo che grazie alla combinazione tra filosofia personale e visione sociale, è stato capace di dar vita a una nuova esperienza di fabbrica, unica al mondo, in un periodo storico in cui si fronteggiavano i paradigmi del capitalismo e del comunismo.

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riferimento al sangue della battaglia per la sopravvivenza (rosso) e alle infinite opportunità che le organizzazioni possono creare (blu), come dimostra la storia dell’industria a partire dagli albori. In linea con un approccio orientato a massimizzare le opportunità e minimizzare i rischi, gli autori di Strategia Oceano Blu evidenziano una serie di errori ricorrenti che le aziende “Non Adaptive” commettono quando evitano di affrontare il tema dell’innovazione. Aziende intrappolate nell’oceano della concorrenza Troppe imprese lasciano che sia la competizione a guidare la propria strategia. Tempo e focus vengono dedicati a osservare i rivali, anziché nella ricerca di soluzioni con cui accrescere il valore per i clienti. Concentrarsi sull’innovazione, e non più sul posizionamento relativo ai concorrenti, spingerà le aziende a ridimensionare le politiche di prezzo e a ricercare nuovi fattori di qualità, creando nuovi mercati.

Se del saggio “L’Olivetti dopo Adriano” parleremo in un riquadro nelle pagine successive, è a un altro libro che consigliamo di rivolgere lo sguardo per prendere le misure con un modello che ha rivoluzionato il mondo delle aziende. Il sistema per scoprire nuovi mercati dove gli altri non sono ancora arrivati è concentrato nelle pagine di “Strategia Oceano Blu”, best-seller internazionale scritto in coppia da due professori dell’INSEAD (business school francese, fra le più prestigiose al mondo): il coreano W. Chan Kim, consulente per l’Unione Europea e guru del management mondiale, e la statunitense Renée Mauborgne, membro del World Economic Forum. Il libro ha finora ispirato e rassicurato oltre tre milioni e mezzo di lettori. Manager e imprenditori di tutto il mondo hanno conosciuto e sperimentato un metodo per uscire dall’oceano ROSSO della competizione, e navigare così in un oceano BLU caratterizzato da nuovi mercati, da una domanda attuale e da una solida crescita profittevole. Grazie a una metafora che fa

Aziende intrappolate entro i confini del proprio settore Se un team di manager si limita ad analisi strategiche a somma zero, resterà vincolato entro i confini del mercato in essere, in base al quale il guadagno di un’azienda corrisponde alla perdita di un’altra concorrente. Ma la struttura e i confini di un mercato non sono elementi fissi, possono essere ridefiniti dalle azioni e dalle credenze di coloro che vi operano, grazie al potere dell’immaginazione. L’innovazione e la creatività non sono una scatola nera Secondo la visione di Schumpeter, che tratteggiava l’imprenditore come una figura solitaria e creativa, l’innovazione era vista come una sorta di scatola misteriosa, azionata perlopiù dal caso. Gli ideatori della strategia Oceano Blu dimostrano invece, con decine di esempi, come la creatività strategica (e non solo quella artistica o scientifica) può essere liberata in modo sistematico grazie all’operato di molti. Persone di vario livello che verranno coinvolte già durante la formulazione di una strategia, e non più solo a partire dalla fase di esecuzione.


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TRAVOLTI DA UN INSOLITO CAMBIAMENTO

lcuni imprenditori si distinguono come innovatori: percepiscono e colgono le nuove opportunità, introducendole poi nel processo produttivo. Se analizziamo gli scenari, vedremo come nell’ultimo decennio – grazie all’emergere di nuovi trend globali e a una crescente domanda di soluzioni creative – un nutrito numero di player è stato costretto a ripensare le proprie strategie, a produrre un valore innovativo a costi più bassi. L’ascesa di blog, piattaforme di valutazione e social network, ha inoltre moltiplicato le informazioni aziendali destinate al pubblico in merito a prodotti, servizi e offerte. Spingendo così le aziende a rinnovarsi e a evitare di seguire piste già calcate dalla concorrenza. A questo va aggiunta la sempre maggiore rapidità e facilità con cui un operatore economico può diventare un player globale, grazie

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ai bassi costi di ingresso, alla digitalizzazione dei mercati e alla crescita vertiginosa dei Paesi emergenti.

Il destino di Blockbuster, Kodak e Fujifilm Analizziamo alcuni esempi storici di aziende “Non Adaptive”, di imprese dove il management è rimasto ancorato a vecchi modelli di business, incapace di gestire l’onda dell'innovazione. È il caso di Kodak e Fujifilm, due aziende leader nel loro settore, in situazione di monopolio nel proprio Paese. Con l’arrivo di una nuova tecnologia (il digitale), l’americana Kodak è implosa fino al fallimento, mentre l’altra è sopravvissuta alla sfida tecnologica riuscendo a dominare nuovamente il mercato. C’è chi si adatta al cambiamento e sa cavalcarlo, e chi no. La Fuji ha sviluppato da subito una strategia innovatrice su tre piani: tirare fuori più soldi possibile dal vecchio business della fotografia, sfruttando il digitale in nuove direzioni e diversificando il proprio business. Soprattutto non ha esitato a smantellare la vecchia mentalità e a percorrere strade inedite. L’amministratore delegato della Fuji, Shigetaka Komori, ha fatto qualcosa di impensabile per la mentalità giapponese: ha distrutto i piani e la filosofia dei suoi predecessori, ovvero di coloro che lo avevano scelto per l’incarico. Un tabù che in Giappone equivale al tradimento. Ma solo così l’azienda è riuscita a sopravvivere. Altro esempio? La Blockbuster è nata nel 1985 diventando il brand più noto al mondo nel mercato del noleggio di film e videogiochi. A metà degli anni ’90 era presente in 25 Paesi, Italia inclusa, con fatturati milionari. Con l’arrivo del nuovo millennio, complice l’incapacità di virare sul digitale, l’azienda è stata soffocata dalla concorrenza di Netflix, dalle pay per view e dalla crescente penetrazione di internet. Nel 2013 l’epilogo con la chiusura degli ultimi 300 negozi rimasti e ceduti due anni prima alla Dish Network, azienda Usa attiva nel settore della tv satellitare.

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STORIE DI A DA P TI V E N E S S

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STARBUCKS E CIRQUE DU SOLEIL. AZIENDE CHE HANNO CAVALCATO IL CAMBIAMENTO, MODIFICANDO LE LORO STRATEGIE E CREANDO NUOVI MERCATI NEI QUALI RILANCIARSI E CRESCERE CON SUCCESSO. artita come una sconosciuta torrefazione di Seattle, Starbucks ha rivoluzionato il settore del caffè spostando il focus dalla vendita del prodotto per uso quotidiano, all’atmosfera all’interno della quale i clienti si godono la loro tazza personalizzata. La strategia adottata non ha avuto bisogno di nuove tecnologie rivoluzionarie, ma si è basata su un cambio di paradigma nell’esperienza del consumatore. Diventata famosa per i suoi caffè, per i dolci casalinghi ma anche per la possibilità di accomodarsi a un tavolo e usare il Wi-Fi gratuitamente, la catena di caffetterie di ispirazione italiana è diventata così un’icona per hipster e aspiranti scrittori: gente che, insieme agli studenti e ai professionisti in libera uscita, trascorre diverse ore fra i divanetti alla ricerca di un’ispirazione.

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Quello del Cirque du Soleil è in assoluto uno degli esempi più significativi. In meno di vent’anni ha raggiunto un fatturato che il Circo Barnum (ex leader mondiale nel settore) ha ottenuto nell’arco di oltre un secolo! Una crescita vertiginosa avvenuta in un settore in netta crisi, dove le analisi strategiche non indicavano altro che potenziali limitati e costi eccessivi. In mezzo a un calo di pubblico, agli animalisti combattivi e alla concorrenza di intrattenimento sportivo e tecnologico, il Cirque du Soleil ha ruotato a 180 gradi la sua strategia, creando un mercato completamente nuovo, con un genere di spettacolo rivolto a spettatori più adulti, abituati alla forma teatrale, sensibili a musiche e danze artistiche. Abbandonato il classico modello circense per bambini, sono stati eliminati i numeri con gli animali (impegnativi da gestire), le star internazionali (costosissime), i tendoni a tre piste, le panche rigide e la segatura. Il prezzo alto del biglietto è stato così accettato da un pubblico adulto (anche privo di bambini), rassicurato dall’ambiente raffinato ed esotico al tempo stesso. Differenziazione spinta del prodotto e contenimento dei costi: queste le due bussole vincenti! E senza intaccare il target della concorrenza, ma semplicemente spostandosi in un mercato Oceano Blu. Unendo l’idea di circo e di teatro e scardinando la credenza che sotto il tendone era possibile un unico e polveroso modello di business.

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L’ARTE DI COPIARE

LA NATURA

Joseph Glidden era uno sconosciuto signore che nel 1874, notando la particolare struttura delle spine, che una pianta diffusa in Texas aveva sviluppato per difendersi dagli insetti, inventò il filo spinato. George De Mestral era un ingegnere svizzero che nel 1941 osservò la struttura dei semi di bardana che restavano saldamente attaccati ai peli del suo cane. Ammirandone al microscopio la forma ad uncino e la capacità di tenuta, inventò il Velcro che oggi utilizziamo ad esempio per gli zaini di montagna. Una delle siringhe per i diabetici più diffusa al mondo deve gran parte del successo a un ago indolore la cui forma si ispira alla proboscide delle zanzare, che devono poter succhiare il sangue senza che la vittima se ne accorga. Come ci racconta Davide Reina, docente SDA Bocconi, l’innovazione che imita la natura (gli anglosassoni lo chiamano “Biomimicry”) è un processo serio. Fondato su ragioni scientifiche, sta attirando l’attenzione dei venture capitalist, interessati a finanziare le idee dei cosiddetti Bioneers. La portata è sconfinata: milioni di specie animali e vegetali hanno sviluppato specializzazioni straordinarie per efficacia e performance, potenzialmente in grado di diventare prototipi e innovazioni industriali, utilizzabili in diverse applicazioni. L’abilità di ogni specie racchiude un patrimonio di conoscenza pregressa, affinato dalla selezione naturale nei millenni: un tesoro, dunque, pronto per essere impiegato.

Notizie tratte da: • W. Chan Kim, Renée Mauborgne, “Strategia Oceano Blu”, Rizzoli Etas • E. Piol, M. Citelli, “L’Olivetti dopo Adriano”, Guerini e Associati • W. Ruffinoni, “Il codice del futuro”, Marsilio • M. Neri, “Un web più sociale vuole regole sicure”, Il Messaggero • E. Franceschini, “Una rivoluzione, due destini”, La Repubblica • D. Reina, “Biomimicry, l’arte di copiare la natura”, Corriere Innovazione • G. Mosca, “Aziende che credevamo intramontabili”, Wired.it


STRATEGIE | EVOLVE

MODELLO ITALIANO DI RESILIENZA UN

u di lui in tanti hanno scritto. Tra i molti, siamo grati a Esterino Piol e Mario Citelli, che hanno redatto a quattro mani il saggio “L’Olivetti dopo Adriano”, edito da Guerini e Associati. Piol è stato in Olivetti per oltre quarant’anni, diventandone membro del CDA e vicepresidente. Citelli vi ha trascorso vent’anni da manager, prima di passare al gruppo Telecom. Entrambi hanno respirato il mito che aleggiava intorno ad Adriano,

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hanno visto in che modo i germi innovativi da lui introdotti in azienda siano stati raccolti dal management interno, così come da migliaia di imprenditori ai vertici di multinazionali in tutto il mondo. Riconoscenti nei confronti di una storia di eccellenza italiana. Olivetti è sopravvissuta a tutti i suoi concorrenti degli anni ’50 e ’60: a metà degli anni ’90 era l’azienda di macchine per ufficio più vecchia al mondo. Era rimasta viva in quanto, da buon camaleonte, era riuscita a trasformare dinamicamente il proprio business model: da azienda meccanica di macchine per ufficio, in tappe successive, ad azienda di sistemi e servizi per divenire infine azienda di telecomunicazioni. La formula non era quella dell’azienda italiana che esporta, ma quella di un’impresa che crea una rete di unità operative, profondamente radicate nei vari Paesi, sia in senso industriale che commerciale, valorizzando al massimo il management locale. La storia dell’Olivetti – un caso unico di successo tecnologico che il sistema Italia dell’epoca non ha saputo valorizzare – indica che nel suo Dna esistevano valori e capacità che hanno consentito di innovare e gestire le diverse trasformazioni del modello di business. Grazie anche a una missione industriale che è sempre stata prioritaria rispetto alla valutazione finanziaria. In ogni caso, sostengono gli autori, anche nel terzo millennio le esperienze di Adaptive Business Model di Olivetti rappresentano un’ottima base per le nuove iniziative d’impresa e un incentivo al cambiamento per il nostro ecosistema economico-sociale. Fatto salvo che le innovazioni tecnologiche sono da sempre un’opportunità enorme per chi le riesce a cavalcare, ma anche un pericolo per le imprese che non le sanno cogliere (o che le colgono con troppo anticipo, in assenza di domanda e di mercato).

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AVANGUARDIA

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erché la storia dell’ingegneria italiana merita di essere conosciuta? Insieme al patrimonio storico e artistico, alla moda, al design, alla buona cucina e al buon vino, insieme alla Ferrari e ad altre realtà industriali, l’ingegneria italiana è uno dei veri punti di forza del nostro Paese. Il prestigio acquisito in anni di attività in Italia e all’estero, conquistato nei mercati più competitivi, le assicura un ruolo che la colloca ai primi posti nel mondo. L’altro motivo riguarda il contributo che essa stessa ha dato e continua a dare all’innovazione della cultura civile e industriale del nostro Paese. In particolare per quanto riguarda l’ingegneria impiantistica, petrolifera e non solo.

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Se sconfiniamo per un attimo in campo letterario, alla ricerca di un personaggio simbolo di quella passione professionale e di quello specifico Dna tecnologico, potremo imbatterci nel protagonista de “La chiave a stella”, il romanzo edito negli anni Settanta nel quale lo scrittore (e chimico) Primo Levi narra le gesta di Libertino Faussone, detto Tino, operaio specializzato nel montaggio di strutture metalliche, ponti sospesi, impianti petroliferi. Vivendo avventure lavorative in ogni parte del mondo - dall’Alaska all’India, dall’Africa alla Russia - Faussone è una sorta di simbolo epico che lotta contro le forze della natura, con il solo bagaglio delle sue esperienze e abilità. Un piemontese all’estero anche nel linguaggio, il linguaggio Fiat asciutto di vocaboli; un uomo che agisce, realizza se stesso e con il lavoro si nobilita nella sua parte spirituale. Presentando quel romanzo, Primo Levi dirà: “L’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla Terra: ma questa è una verità che non molti conoscono”.

LE ORIGINI E LO SVILUPPO DI UNA DISCIPLINA ATTRAVERSO LE IMPRESE ITALIANE CHE HANNO FATTO LA STORIA Dalla letteratura alla storia, calandoci nello specifico e ripercorrendo brevemente il percorso delle società italiane di ingegneria e impiantistica, un elemento che non va dimenticato è la stretta relazione tra i Politecnici e il mondo delle imprese. A Milano una targa posta all’ingresso del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” ci ricorda come quella Facoltà, con la sua fortissima anima e tradizione di ricerca, sia stata negli anni un vero e proprio motore per la crescita industriale. Una sinergia da sempre bidirezionale: così come l’industria stimola e supporta l’Università, è negli Atenei che continuano a prendere forma quelle competenze ingegneristiche di alta qualità, tipiche del “capitale umano” che ancora oggi opera con successo nelle più importanti imprese del settore. Fin dall’epoca in cui Milano avvia la propria industrializzazione, dalla seconda metà dell’Ottocento in avanti, ricercatori e studenti del Politecnico sviluppano una vera e propria cultura ingegneristica di rilevanza internazionale, che raggiunge il suo apice con il Premio Nobel del 1963 a Giulio Natta. Grazie all’aiuto della chimica, ingegneri e tecnici cercano da un lato di creare materiali nuovi per modernizzare settori importanti (come il tessile), e dall’altro avviano le prime centrali di produzione energetica in Italia e nel mondo. Nel secondo dopoguerra prenderà poi vita il filone italiano dell’ingegneria petrolifera, àmbito che ancora oggi ci rende popolari all’estero (sebbene il nostro Paese disponga di scarse risorse del sottosuolo). Alcuni esperti di storia dell’economia notano come l’eccellenza delle nostre scuole di ingegneria - unita alle capacità creative dell’ingegno italiano, quest’ultimo stimolato dalle sfide progettuali e dalla ricerca di soluzioni a problemi complessi - sia alla base di un filone specifico: quello della progettazione e della costruzione dei grandi impianti industriali, in special modo di quelli energetici, siderurgici

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e petrolchimici. Sebbene il nostro sia il Paese delle piccole e medie imprese (di ridotte dimensioni e limitate catene di montaggio), l’ingegneria impiantistica si costruisce nel tempo una reputazione così elevata da competere senza timori con player internazionali di assoluto livello, come gli Stati Uniti, il Giappone e le nazioni dell’Europa occidentale. Se il periodo d’oro dei grandi progetti impiantistici nei Paesi avanzati si è avuto nei decenni 1950-1970, oggi le nostre aziende diventate multinazionali (tra cui Maire Tecnimont) orientano le loro strategie oltre confine, lavorando in prevalenza per soddisfare la domanda dei Paesi cosiddetti “emergenti” (Russia, Cina, Medio Oriente, India). In questi anni la presenza della tecnologia italiana nei cinque continenti è testimoniata dalle migliaia di impianti costruiti dalle nostre aziende e dai nostri tecnici, in gran parte cresciuti nel solco della tradizione industriale del settore. L’Italia, come detto, non vive solo di un Made in Italy legato alla moda, ma anche di un branding di alto livello tecnologico, realizzato dal lavoro tenace e appassionato di migliaia di ingegneri.

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La storia di un settore così all’avanguardia è costituita dall’intreccio di brand aziendali e dai ricordi di alcuni testimoni dell’epoca. Non avendo qui lo spazio necessario, ci resta solo il tempo per una veloce citazione di alcune grandi imprese di impiantistica, protagoniste del panorama italiano (come Fiat Engineering, Tecnimont, Snamprogetti, Italimpianti, Danieli Engineering, Snia Engineering) e consociate internazionali come KTI, Technip Italy, Foster Wheeler e tante altre impossibili da nominare tutte.

Protagonisti e storie di un'epoca d'oro Fiat Engineering - fondata nel 1936 come Sezione Costruzione Impianti del gruppo Fiat - nasce per garantire la realizzazione dello sviluppo industriale della casa madre, in base ai più evoluti canoni di architettura e tecnologia industriale dell’epoca, e in concomitanza con il progetto del nuovo stabilimento di Mirafiori a Torino. Fino agli inizi degli anni Settanta, nell’ambito del gruppo Fiat, la società sviluppa una cultura ingegneristica di eccellenza nel campo dell’impiantistica industriale. Con l’incalzare della globalizzazione e diventata indipendente, Fiat Engineering diversifica il proprio focus nell’ambito di un certo tipo di edilizia complessa, nelle infrastrutture e nelle centrali energetiche in Italia e all’estero. Per poi confluire in Maire Tecnimont grazie all'acquisizione nel febbraio 2004 da parte del Gruppo Maire. Grazie ai rapporti con alcune imprese italiane, inizia così a svolgere un ruolo di EPC Contractor nella realizzazione di impianti a ciclo combinato, tra cui il nuovo impianto di cogenerazione della centrale AEM di Moncalieri, alle porte di Torino. Negli anni la società assorbe maggiori competenze grazie all’ingresso di un certo numero di risorse provenienti da Fiat Avio. In sintesi si può dire che negli anni la trasformazione dell’azienda non ha diminuito la crescita del know-how ingegneristico, ampliandolo alle nuove tecnologie dell’energia, dell’ambiente e della geotecnica. “Noi italiani non siamo solo bravissimi nel costruire impianti - ci racconta Carlo Masetti, entrato in Tecnimont nel 1973 - ma siamo tra i migliori al mondo nella visione di sviluppo dell’ingegneria sul mercato. La capacità strategica che ci contraddistingue - continua Masetti, oggi consulente del dipartimento tecnologico in Maire Tecnimont - prevede che le “intelligenze” si adattino allo spirito dei Paesi in cui operano, con l’idea concreta di dare un contributo per far crescere il territorio dove sorgerà l’impianto”. Citare Tecnimont significa evocare la storica società di ingegneria milanese risalente alla Montecatini-Montedison, capace negli anni di affermarsi in tutto il mondo nell’ingegneria chimica di trasformazione degli idrocarburi, con una leadership storica negli impianti di polietilene e polipropilene (quest’ultimo sintetizzato nel 1954 dal Premio Nobel per la Chimica, il ligure Giulio Natta). “Gli ingegneri italiani sono stati pionieri in tutto il mondo - spiega Dario Pirovano, in Montedison dal 1970, oggi consulente senior per lo Sviluppo Business in Maire Tecnimont - grazie all’innata capacità di adattarsi alle situazioni complesse e in evoluzione. Il cosiddetto “genio italico” si

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esprime ancora oggi nell’approccio specialistico al problema, con un taglio quasi artigianale, e nella straordinaria abilità di mediazione tra le parti. In Iran, dopo la guerra, abbiamo ricostruito da zero un impianto anche grazie a quella flessibilità creativa che permette di immaginare nei dettagli un progetto che ancora non c’è. Poi - conclude Pirovano - siamo i numeri uno nella managerialità che sa mettere a sistema tutto ciò che è parallelo all’esecuzione dell’impianto. Aspetti economici, logistici, di fornitura e di rapporti con il cliente; ma anche di attenzione per la crescita delle risorse umane, per la gestione delle carriere, per l’attenzione a conciliare stili di vita ed esigenze familiari”. Essere riconosciuti come abili nel problem solving significa saper mettere in campo un’insolita velocità nell’individuare i vantaggi competitivi (e battere così la concorrenza). Una qualità che non è mai mancata alla KTI (Kinetics Technology Int.), 35 anni di esperienza internazionale nel process engineering, poi acquisita da Technip Italia e successivamente, nel 2010, confluita nel gruppo Maire Tecnimont. Alfio Millacci - che dopo la laurea nel 1961, ha “militato” nella storica CTIP (700 impianti costruiti in tutto il mondo nel settore petrolifero e petrolchimico, fra cui 6 raffinerie, tra il 1934 e il 1997), nella Technipetrol (società romana di ingegneria, famosa in Italia e all’estero come main contractor di grandi complessi industriali, poi diventata Technip Italy) per poi approdare in KTI - conferma quanto detto in precedenza: “Gli ingegneri italiani hanno dimostrato ovunque un sapere fuori dall’ordinario. In particolare gli ingegneri petroliferi, vista la complessità degli impianti, sono ancora oggi riconosciuti come i migliori in assoluto nel gestire le variabilità che si incontrano in fase di realizzazione di un qualsiasi progetto”. In KTI è cresciuto professionalmente anche Gaetano Iaquaniello, oggi vicepresidente Innovation Strategy in KT,


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che dai primi anni Ottanta ha vissuto tutte le trasformazioni di un’azienda fortemente orientata nel progettare e realizzare forni per l’industria petrolifera e petrolchimica. E che fin dalle origini, inizia a sviluppare nuove tecnologie per raggiungere la leadership internazionale nei settori dell’idrogeno, dell’ammoniaca, del metanolo, dell’etilene, dello zolfo e dei forni industriali. “Il gruppo KTI - spiega Iaquaniello - era all'epoca strutturato in tre centri operativi: uno in Olanda per l’impiantistica, uno a Roma per i forni, i piccoli impianti a idrogeno e la linea zolfo, e uno in California per seguire il mercato americano e le tecnologie disponibili. Tra i punti di forza, segnalerei gli investimenti dedicati alla continua crescita professionale dei manager, che dovevano frequentare i master presso le più famose Business School internazionali”. Di fatto, un patrimonio “intangibile” di risorse umane che nel tempo ha rappresentato un

13 Il cosiddetto 'genio italico' consiste in un approccio specialistico al problema

serbatoio di eccellenza, necessaria per sviluppare “adaptiveness” e superare così i diversi cambiamenti legati agli scenari di mercato. Una filosofia manageriale “ante litteram” che ha anticipato i moderni criteri legati all’innovazione, allo sviluppo delle risorse umane internazionali e a uno stile di business che fa la differenza. Chiude la cerchia delle testimonianze Sergio Paggi - attuale vicepresidente Research, Technology, Process e HSE di Maire Tecnimont - a sottolineare l’importanza di un Dna ingegneristico italiano che supera i confini dell’EPC contracting. “Continuiamo a essere accolti nel mondo come fra i più esperti nel problem solving tecnologico, nella capacità di visione che oltrepassa il perimetro del core business. Anche se oggi i più importanti centri di ricerca si sono spostati negli Stati Uniti, in Asia e Medio Oriente, gli ingegneri italiani continuano a veicolare la corretta cultura di flessibilità necessaria all’esecuzione di un progetto. Una filosofia che comincia fin dal rapporto con le Università, laddove le aziende oggi più che mai cercano di intercettare “intelligenze” orientate al project management e alla sensibilità imprenditoriale”. “Ai nostri giovani - riprendiamo in chiusura una frase di Carlo Masetti - dico sempre di scendere in campo, di sporcarsi le mani, di non pensare che tutto si risolva con la tecnologia e i computer. Certe intuizioni, certe idee geniali, ci vengono soltanto quando si va in cantiere, si parla con le persone, ci si contamina con le esperienze di tutti. Perché anche con i clienti, i partner, i tecnici, i fornitori è una grande e immensa partita a scacchi: che anche in futuro andrà giocata dal vivo e con i piedi ben piantati sul terreno”.


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FABRIZIO DI AMATO,

INGEGNERE AD HONOREM

IL PERCORSO DI COSTRUZIONE DI UN GRUPPO INDUSTRIALE NEL SEGNO DELL'ADAPTIVENESS.

Q

uando a metà pomeriggio del primo giorno di primavera, nel cuore del Politecnico di Milano, Fabrizio Di Amato varca la soglia dell’aula intitolata al premio Nobel Giulio Natta, con l’emiciclo ancora formato dalle antiche panche di legno, l’abituale naturalezza lascia trasparire qualche breve momento di emozione.

Per il presidente e azionista di riferimento di Maire Tecnimont, essere insigniti della Laurea Magistrale ad honorem in Ingegneria Chimica resterà un’esperienza di grande intensità. Una giornata indimenticabile sia in ambito personale che professionale: un’ulteriore tappa di un percorso imprenditoriale che gli ha permesso di proiettare nel mondo il valore e l’eccellenza dell’ingegneria chimica targata Made in Italy. La cerimonia è iniziata con le parole del professor Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano: “Siamo onorati di conferire questa laurea a Fabrizio Di Amato. La nostra è una grande comunità che, grazie alle capacità dei nostri studenti e ai rapporti con imprese e istituzioni, si impegna costantemente a far sì che l’ingegneria italiana ottenga risultati importanti fuori dai confini. Per questo siamo felici di avere qui con noi oggi una persona che - avendo fondato a 19 anni la sua prima società - rimane fonte di ispirazione per i nostri giovani ingegneri”.


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INTELLIGENZA

IMPRENDITORIALE MADE IN ITALY “A nostro avviso - ha continuato Resta - uno dei meriti di Fabrizio è il fatto di aver portato avanti questi princìpi credendo nello sviluppo del capitale umano come leva competitiva. La sua è una visione d’impresa che mantiene alta l’importanza della tecnologia e dell’innovazione, ma riconosce come caratteristica vincente il valore e le competenze delle singole persone. Spesso siamo grati a coloro che si impegnano a rappresentare il nostro Paese nel mondo, con i suoi prodotti, le competenze originali. Valorizzare l’ingegneria italiana all’estero è un’opera da ambasciatori del Made in Italy, che rende anche noi del Politecnico orgogliosi del lavoro che svolgiamo”. A seguire, la “Laudatio” del professor Maurizio Masi (Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica) a dimostrare come la laurea “Honoris causa” all’ingegner Di Amato non sia un semplice premio, ma l’espressione di una scelta condivisa e convinta del corpo docente. “Ingegnere è un nome che ha due radici: quella latina che lo collega all’ingegno, e quella anglosassone che lo lega alla macchina (“engine”). Un ingegnere che voglia dirsi tale propriamente deve essere homo faber per antonomasia ed esprimere la miglior sintesi di queste due radici. Il suo compito è modificare il mondo che lo circonda per adattarlo e, con le più buone intenzioni, migliorarlo alle proprie necessità intervenendo in prima persona. Se occorre, si sporca le mani, plasma e modifica ciò che trova, progetta, costruisce, esercisce, apportando nel tempo varianti e migliorie. Queste caratteristiche si adattano perfettamente a Fabrizio Di Amato, imprenditore italiano di successo. I suoi risultati non sono un prodotto della fortuna o delle eredità di famiglia, ma di un duro impegno di lavoro, sempre volto all’innovazione e al rispetto dell’ambiente”. In chiusura, la motivazione della Laurea ad honorem, letta dal Professor Giovanni Lozza, Preside della Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione: “Con il conferimento della Laurea ad honorem in Ingegneria Chimica al Cavalier Fabrizio Di Amato, il Politecnico di Milano può fornire un esempio ai propri studenti di un imprenditore dedito con passione al proprio lavoro, che sin da giovane si è dovuto assumere grandi responsabilità, che ha sempre risposto ai cambiamenti imposti dalle mutate condizioni del mercato con la voglia di guardare in avanti, senza mai aver paura di crescere”.

Venticinque minuti di Lectio Magistralis ("La costruzione del gruppo industriale Maire Tecnimont: l’ingegneria chimica Made in Italy proiettata nel nuovo scenario energetico") durante i quali ha ripercorso le tappe fondamentali che lo hanno portato a ricevere un riconoscimento così prestigioso. Fabrizio Di Amato ha ripercorso la sua storia personale, densa di attitudine imprenditoriale e di episodi caratteristici legati a quei decenni di grande sviluppo per l’industria e l’ingegneria italiana. “Una storia di intelligenze e competenze messe a frutto - ha spiegato Di Amato - all’interno di un Paese con poche risorse del sottosuolo, ma con grandi risorse umane. Se ripenso agli inizi, ricordo di essere partito da outsider, in un settore dominato da aziende storiche e da un business consolidato”. Per il giovane imprenditore era importante andare dove altri operatori non andavano: cercando nuovi scenari, creando nuovi spazi di mercato. Cercando i cosiddetti ‘oceani blu’, ovvero quei territori che ancora non esistono dal punto di vista dello sviluppo del business. “Negli anni ‘90 i grandi cambiamenti ci danno una mano: il mercato si scuote e per noi si aprono spazi nuovi. La cosiddetta ‘distruzione creativa’, come dicono gli economisti. Comincerà per noi la storia delle acquisizioni, società che vengono scelte per le loro capacità e la qualità delle persone. La meritocrazia, il riconoscimento del talento è sempre stato per me un valore fondamentale”. Con l’arrivo degli anni Duemila, Fabrizio Di Amato - la cui azienda nel frattempo conta già circa 20 milioni di fatturato e 400 dipendenti - sceglie di cambiare strategia, decidendo di investire e puntare sulle intelligenze. Le acquisizioni di Fiat Engineering prima e Tecnimont poi dimostrano l’obiettivo di mettere a sistema gli enormi potenziali inespressi, il profilo internazionale di queste imprese. “Integrare Fiat Engineering e Tecnimont è stata una vera e propria iniezione di fiducia ed energia imprenditoriale, a beneficio di organizzazioni poco abituate alla concorrenza. Trasformandole in realtà capaci di stare sul mercato in modo competitivo, abbiamo creato la strada per costruire un gruppo di eccellenza capace di operare all’estero e, come general contractor, di gestire commesse sempre più importanti e complesse, in tutto il mondo”. “Maire Tecnimont - ha concluso Di Amato - grazie a questo lavoro di integrazione è oggi un leader mondiale con un approccio che punta al talento e all’imprenditorialità, in continua collaborazione con l’Università. Questa, lo sappiamo, è l’epoca di una nuova rivoluzione: il mondo degli idrocarburi sta cambiando, la questione ambientale è una sfida globale, di nuovo l’Italia può svolgere un ruolo da leader mondiale, sia nella chimica tradizionale che in quella verde. La risposta al cambiamento sta, ancora una volta, nel mettere al centro la nostra più grande risorsa: le intelligenze. Il nostro obiettivo come Industria, Università, Società tutta, è la creazione di un ambiente, di una grande Casa che generi e accolga i nuovi Giulio Natta e dia loro la possibilità di fare la differenza nelle sfide della chimica di oggi e di domani”.

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ADATTIVITÀ CHE TI FA VINCERE L'

ella visione industriale del Gruppo Maire Tecnimont, essere “Adaptive” non significa reagire passivamente al cambiamento, né modificare le strategie in chiave difensiva solo per parare i colpi che arrivano dalle variabili del mercato. Be Adaptive vuol dire invece concepire le singole sfide come un’opportunità di crescita e momento di riprogrammazione positiva. Di fatto come leva per innovare, per rimodulare quel giusto percorso che consente a una multinazionale di raggiungere traguardi importanti e redditizi.

N

I numeri non dicono tutto, ma dicono molto. Nel 2017, la crescita di fatturato e di redditività del Gruppo capitanato da Fabrizio Di Amato e Pierroberto Folgiero (50 società in 40 Paesi nel mondo) stanno a testimoniare l’efficacia di una strategia d’impresa che parte da lontano. E che si innesta in un settore - quello della traformazione degli idrocarburi - sensibile alle tensioni geopolitiche e alla domanda globale di beni tipici delle società avanzate. Rileggendo in controluce la storia dei 10 anni di Maire Tecnimont, dalla quotazione in Borsa del 2007 fino a oggi, scopriremo che la crescita dell’azienda è sempre stata legata a una focalizzazione nei confronti della tecnologia, a una valorizzazione delle competenze ingegneristiche e alla ricerca di nuovi Oceani Blu anche dal punto di vista delle geografie remote. Tre pilastri dove la complessità, intesa anche come capacità di affrontare business impossibili e andare oltre la zona di comfort, è di casa. “Maire Tecnimont ha ereditato la grande tradizione della petrolchimica di Giulio Natta, premio Nobel per la chimica e inventore del

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L’AD DI MAIRE TECNIMONT PIERROBERTO FOLGIERO RIPERCORRE L’EVOLUZIONE INDUSTRIALE DEL GRUPPO. GUARDANDO AL DNA CHE HA GUIDATO LA CRESCITA, ALLE STRATEGIE OCEANO BLU E ALLE NUOVE PROSPETTIVE DI MERCATO. polipropilene - spiega l’amministratore delegato Pierroberto Folgiero - un Dna storico che abbiamo messo al centro come valore costituente. A questa eccellenza ingegneristica, che per noi non è mai stato un elemento di autoreferenzialità o conservatorismo, era necessario innestare altri ceppi di Dna, una seconda anima di innovazione e tecnologia che ci consentisse, per usare una metafora, di rendere la pianta più forte”. Un contributo che è arrivato con le acquisizioni di Stamicarbon nel 2009 (che ha permesso di raggiungere la leadership mondiale nella tecnologia dei fertilizzanti) e di KT Kinetics Technology nel 2010 (con la quale sono state ampliate e potenziate le tecnologie per il trattamento del gas e alcune unità della raffinazione come zolfo e idrogeno). “Esserci rifocalizzati sulla tecnologia - continua Folgiero - è stata una strategia vincente, che ha consentito di utilizzare quelle competenze distintive che avevano portato Tecnimont a un’eccellenza internazionale già dalla sua fondazione”.


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RISULTATI FINANZIARI al 31.12.2017 Ricavi

Portafoglio ordini in mln di €

in mln di €

4.000

3.524

3.500 3.000

8.000 7.000

7.229 6.893

6.516

6.000

2.435

2.500 2.000

5.000 4.000

1.670

1.500

3.000

1.000

2.000

500

1.000

0

2015

2016

0

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Utile netto

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EBITDA

in mln di €

140

126,6

120 100

250

85

80 60

in mln di €

150

49*

40

100

20

50

0

193,5

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*Normalizzato applicando il tax rate rettificato del 2015

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Chi ha timore della Business Disruption? Di recente Vittorio Bo - editore e direttore del Festival della Scienza di Genova - ha spiegato come nel corso degli ultimi trecento anni la tecnica abbia prodotto fondamentali e straordinari cambiamenti che hanno consentito di accrescere i nostri modelli di vita e di trattare la materia con il contributo della tecnologia. “L’uomo - ha scritto Bo - nella sua evoluzione non è mai stato un ‘unico’, il genio solitario. Ma nella scienza come nell’arte ogni scoperta e innovazione sono frutto di un processo di continua accumulazione creativa e scambio di conoscenza”. Facendo un parallelo scientifico, questo ci dice la timeline di Maire Tecnimont: ovvero che il Dna proveniente da nuovi “innesti” ha agito come “business disruption”, come elemento di discontinuità che spinge a rivolgere lo sguardo verso modelli di business alternativi, correlati alla sparizione di interi settori e allo stravolgimento delle tradizionali logiche competitive. “Le nostre persone – spiega Folgiero – vivono le business disruption del settore come un’occasione per dimostrare a se stesse e al mercato la propria leadership”. Con forte spirito imprenditoriale, e in linea con la strategia Oceano Blu (best-seller scritto da W. Chan Kim e Renée Mauborgne), Maire Tecnimont ha compreso che per essere competitivi in un mercato in grande evoluzione, era prima di tutto vincente mettere a sistema le diverse leadership tecnologiche acquisite. “Ci voleva però a corredo anche un’attività di disciplina finanziaria - continua Folgiero - un terzo ingrediente che consentisse ai due precedenti di rinforzarsi e consolidarsi. In un modello di impresa come il nostro, per essere contemporaneamente leader tecnologici (in competizione con giapponesi e tedeschi) e leader di costo (in competizione con coreani e cinesi), per far convivere un elemento di innovazione distintiva e un aspetto di competitività economica, era necessaria una matrice finanziaria che ci aiutasse ad avere successo su entrambi i fronti. Una strategia sui numeri per entrare da protagonisti nei cosiddetti Oceani Blu delle geografie remote”. Una volta nei manuali di strategia classica si scriveva che la differenziazione (tecnologica nel nostro caso) dava diritto a un price premium rispetto ai leader di costo; come se le due cose fossero necessariamente alternative. Oggi non è più così: oggi devi essere il più bravo e contemporaneamente il più competitivo. Anzi arrivo a dire che, per un principio evolutivo, se sei il più bravo prima o dopo sarai anche il più competitivo”. Numeri che hanno consentito al Gruppo di chiudere il 2017 con ricavi a 3,5 miliardi di euro, in crescita del 44,7% rispetto all’anno precedente.

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FUTURO

SMART AND GREEN

"Operando come trasformatori di materie prime nel downstream e nella petrolchimica - continua l’amministratore delegato - i fattori che guidano il nostro business continueranno a essere collegati alla domanda di polietilene e polipropilene nel mondo. Ma nell’ottica del Be Adaptive, e con la tendenza alla riduzione dei mercati legati alle fonti di origine fossile, insieme ai continui investimenti in tecnologia digitale, lavoreremo con impegno su quelle che definisco adiacenze rispetto alle materie prime tradizionali. Tra i quali i settori della biochimica e della bioplastica, la cosiddetta Chimica Verde, che rappresenta una sorta di Oceano Blu, dove possiamo far valere la nostra intraprendenza nell’innovazione e la capacità di anticipare la domanda”. Maire Tecnimont guarda con strategico interesse anche alla produzione di energie rinnovabili. Con la crescita mondiale dei trend di generazione da fonti non tradizionali, servono grandi aziende che sappiano gestire complessità logistiche e progettare impianti con tecnologie legate alla Green Energy. Requisiti che il Gruppo ha consolidato negli anni, precorrendo le tendenze del mercato e investendo senza sosta nella ricerca e nell’acquisizione di brevetti. Futuro smart, dunque? Di certo sempre nel segno dell’innovazione, sia in ambito di business come abbiamo visto e sia nel campo della riorganizzazione delle risorse umane, che sono diventate il fulcro del progetto di trasformazione relativo al Lavoro Agile (ampiamente trattato nelle prossime pagine). Dice Folgiero: “Nonostante la crisi del settore, il nostro Gruppo è andato in controtendenza e ha assunto circa 2.500 persone. Continuiamo a pensare che la forza della nostra azienda stia proprio nelle persone, nella loro competenza e nell’attitudine alla sfida. Come contrattisti multinazionali esportiamo il nostro “ingegno” nel solco di una centenaria tradizione italiana. Ma in un modello evoluto, anche il sistema di lavoro doveva innovarsi al passo con i tempi, facendo massimo affidamento sulla leva informatica e su una nuova filosofia di organizzazione del lavoro. Che non è

un luogo dove andare la mattina, ma un risultato da raggiungere. Per questo abbiamo implementato un progetto di smart working che aiuti le nostre persone a lavorare “nel posto giusto”, per ottenere i risultati attesi: sia esso un cantiere, una fabbrica di componenti presso un fornitore o una scrivania in uno spazio co-working. È un cambiamento culturale che a prima vista prevede un ripensamento e un’ottimizzazione degli spazi, ma che in realtà implica un nuovo modo di operare concentrato sulla scomposizione degli obiettivi della squadra in task, da svolgere di volta in volta in un luogo potenzialmente diverso. Mi aspetto che un modello di questo tipo aumenti anche la nostra produttività visto il contesto multi-geografico ed estremamente dinamico in cui operiamo”. L’ultimo pensiero, quando le aziende del terzo millennio diventano agili e “aperte”, va ai manager che fanno resistenza. Quelli che Folgiero ha soprannominato ‘rallentatori’. “Esiste sempre un buon motivo per non fare qualcosa di nuovo e diverso. Il conservatorismo spesso si maschera da finta saggezza e non è neanche una questione di età. La resistenza allo smart working ne è un buon esempio”. “Esistono due tipi di rallentatori del lavoro a distanza - conclude Folgiero con un sorriso - C’è il Romantico, quello cioè convinto che il calore umano sia sempre fondamentale per stimolare la creatività, e quindi non può fare a meno del contatto fisico con le persone. E poi c’è il Cinico, che invece non si fida dei filtri della tecnologia e preferisce avere sempre davanti il dipendente in azione per osservarne l’efficienza dal vivo. In realtà lo smart working fornirà di volta in volta il posto giusto per una determinata attività e aumenterà il contatto fisico con la persona coinvolta in quel lavoro, grazie a un costante canale informatico con la propria scrivania smaterializzata”. Ripensando dunque alle strategie Oceano Blu, sappiamo che entro il 2020 più di un terzo delle competenze considerate importanti nella forza lavoro di oggi cambieranno. La cosiddetta Quarta Rivoluzione Industriale è considerata dagli esperti non come un semplice miglioramento della tecnologia e dell’automazione, ma un vero e proprio ripensamento a 360 gradi del modo di lavorare. Alcuni dei mestieri che oggi conosciamo spariranno, altri appena nati cresceranno e nuovi lavori che oggi nemmeno esistono diventeranno un luogo comune. Ciò che è certo è che, per sostenere questo vero e proprio salto nel futuro, la forza lavoro avrà bisogno di allineare il cosiddetto skillset per tenere il passo. In una parola, essere sempre di più “Adaptive”.

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(SMART) WORKING IN PROGRESS

LA RECENTE RICERCA DEL POLITECNICO DI MILANO DESCRIVE LA DIFFUSIONE DEL FENOMENO NEL NOSTRO PAESE. NE ESCE UN QUADRO COMPOSITO, DOVE GRANDI AZIENDE, PMI E PA PERCORRONO STRADE MOLTO DIVERSE. o confermano i risultati della ricerca Smart Working: sotto la punta dell’iceberg, realizzata dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. Il Lavoro Agile in Italia registra un importante incremento. Di fatto, il numero degli smart worker nel nostro Paese è in continua crescita. Sempre più persone godono di una rilevante discrezionalità nella definizione delle proprie modalità di lavoro, in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati. E i dati raccolti dall’Osservatorio - giunto al suo sesto anno di attività - e presentati a Milano nel corso di un convegno presso il Campus Bovisa, parlano chiaro: nel 2017 si è rilevato un aumento degli smart worker del 14% rispetto al 2016 e del 60% rispetto al 2013. Nel complesso si possono stimare 305mila lavoratori agili in Italia.

L

Lo studio del Politecnico, che ha monitorato l’evoluzione del fenomeno in Italia attraverso il confronto diretto con i principali attori aziendali (responsabili IT e HR) e gli interlocutori istituzionali (PA), descrive una

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situazione piuttosto composita. Lo smart working in Italia decolla nelle grandi aziende, dove il lavoro agile nel 36% dei casi è di fatto una realtà già strutturata. Viceversa nelle medie e piccole imprese stenta ancora a prendere quota: addirittura il 40% di loro si mostrano poco interessate al fenomeno. Nella Pubblica Amministrazione infine qualcosa sta cambiando: se oggi solo il 5% delle PA presenta progetti strutturati di smart working (e il 4% lo attua in modo non strutturato), ben il 48% del campione dichiara in ogni caso un forte interesse per la sua introduzione. Eppure, i potenziali benefici economico-sociali sono enormi: l’adozione di un modello “maturo” di smart working porterebbe ad un incremento di produttività a livello di sistema Paese pari a 13,7 miliardi di euro complessivi. Per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di remote working potrebbe far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti; per l’ambiente, invece, determinerebbe una riduzione di emissioni pari a 135 chilogrammi di CO2 all’anno.


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MARIANO

CORSO:

“IL 2018 SARÀ L’ANNO DELLA VERITÀ”

Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, sottolinea i risultati più importanti dell’ultima ricerca pubblicata: “Spesso vengono enfatizzati solo alcuni aspetti dello smart working, quelli che costituiscono la punta dell’iceberg. In realtà, il lavoro agile non si esaurisce nel lavoro da remoto, nella flessibilità degli orari, nell’allestimento di nuovi spazi comuni negli uffici o nell’innovazione tecnologica. C’è un mondo da scoprire fatto di risultati, obiettivi e benefici: ad esempio, gli smart worker registrano un aumento della produttività pari al 15%, un maggior impegno ed engagement, un ritrovato equilibrio tra vita professionale e privata; per le aziende, si rileva un‘ottimizzazione degli spazi di lavoro e dei relativi costi pari al 30%, lo sviluppo di nuove modalità di leadership, un rafforzamento dell’employer branding e della capacità di attrarre talenti. Ma soprattutto lo smart working può traghettare le aziende verso una cultura orientata al risultato e alla meritocrazia, mettendo al bando forme di controllo e presenzialismo controproducenti”. Ma oggi la ricerca stima che solo il 9% delle grandi aziende italiane ritiene di aver raggiunto questo ambizioso obiettivo. Eppure i vantaggi sono per tutti, come precisa Corso: “Attualmente in Italia si contano oltre 305mila smart worker, ma sono almeno 5 milioni i lavoratori le cui mansioni permetterebbero di adottare questo modello, con importanti incrementi di produttività ed effetti positivi sulla vita privata e sulla società”. Nessuno escluso, avverte l’esperto: “Il 2017 è stato un anno importante perché è stata chiarita la cornice normativa con la legge sul Lavoro Agile, togliendo alibi a chi riteneva mancassero i presupposti legali all’applicazione di questo modello. Il 2018 sarà l’anno della verità perché capiremo se lo smart working potrà finalmente diventare realtà anche nella Pubblica Amministrazione”. Corso conclude con un suggerimento: “Per promuoverne davvero la diffusione nel settore pubblico, e soprattutto per trarne il massimo beneficio, occorre però accompagnare il cambiamento con interventi di affiancamento ai manager pubblici per supportarli nel ragionare per processi, identificare indicatori di prestazione e gestire e valutare i collaboratori per obiettivi”.

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AGILITÀ

L'

CHE PORTA

RISULTATI er molte persone è ormai prassi quotidiana gestire parte del lavoro, delle riunioni e delle relazioni professionali da remoto. Ma ad un’analisi più attenta, lo smart working rappresenta un fenomeno che potrebbe avere un forte impatto anche in tema di pari opportunità. Ne è convinta Monica Parrella, Dirigente Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e Coordinatrice del “Progetto Lavoro Agile per il futuro della PA”, che ne ha spiegato i motivi al Politecnico, in occasione del convegno Smart Working: sotto la punta dell’iceberg. “Lo smart working nelle PA può aprire la strada a una reale uguaglianza di genere nel mondo del lavoro: i dati nel settore privato ci dicono che - più ancora delle donne con carichi familiari (come in precedenza era avvenuto per il part-time) - a essere interessati al fenomeno del lavoro agile sono in prevalenza gli uomini. Cambiare l’organizzazione del lavoro, non più legato alla mera presenza in ufficio, premia la logica del risultato, ovunque e in qualsiasi momento lo si produca”.

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Concorda con questa visione Maurizio Di Fonzo, Direttore risorse umane, organizzazione e change management di AXA Italia. Dopo una fase pilota, da più di un anno il gruppo assicurativo rende possibile il lavoro da remoto fino a due giorni alla settimana a 1.400 dipendenti (il 94% del totale in Italia). “Alcuni episodi della storia di AXA Italia dimostrano come lo smart working sia un formidabile acceleratore del cambiamento culturale di un’azienda. Un esempio? Nel rifare la sede di Roma, che disponeva di un’unica mensa riservata ai dirigenti, abbiamo deciso di riconfigurare le sedi di Roma e Milano (con “isole gastronomiche” per gli specifici bisogni alimentari) e attuare un forte investimento in tecnologia per consentire ai dipendenti di lavorare subito da remoto”. Ma a essere cambiato è soprattutto l’approccio al lavoro del top management, sottolinea Di

DAI PIANI NELLE GRANDI AZIENDE AI NUOVI PROGETTI DELLA PA. Fonzo: “Oggi si lavora tutti in open space, neanche più il CEO ha il suo ufficio. Non ci sono targhe sulle porte, ma solo il piacere di lavorare insieme. I risultati? Il 97% delle persone si dichiara felice di far parte di un’azienda con questa filosofia, i due terzi affermano di aver aumentato il loro engagement con AXA. Sono in molti che rifiutano proposte di lavoro maggiormente retribuito da parte di imprese dove non è presente lo smart working. I capi? Tutti concordi nel registrare un aumento della produttività: le persone sono più orientate a dare il proprio contributo, a ragionare come imprenditori di se stessi”. In linea con questi risultati anche Giacomo Piantoni, Direttore risorse umane del gruppo Nestlé Italia. “I primi passi li abbiamo fatti con l’orario flessibile, il part-time e il telelavoro. Poi, nel 2011 è arrivato il Lavoro Agile, nonostante all’inizio i manager fossero preoccupati di non vedere fisicamente le persone. Dal 2013 siamo entrati in un sistema di gestione autonoma dei tempi di lavoro, con orari liberi e senza timbrature. Oltre a benefici in termini di engagement e costi, è cambiata in positivo la cultura del modello di leadership (conta il risultato, non le ore lavorate) e la relazione tra capo e dipendente: al posto del vecchio ‘comando e controllo’, il manager deve instaurare un clima di fiducia, sviluppare capacità di delega e generare imprenditorialità e senso di responsabilità. D’altronde il mondo cambia velocemente e le soluzioni devono essere prese con il contributo e le idee di tutti, non più calate dall’alto. Se il manager fa resistenza, per l’azienda che professa il Lavoro Agile questo si trasforma in boomerang!” “Lo sviluppo della tecnologia in ottica smart working – conclude Enrico Miolo, smart working initiative leader di Cisco – sta aiutando molto anche le piccole e medie imprese italiane del manifatturiero a gestire il lavoro in tempi rapidi e risparmiare nei processi. Grazie alle innovazioni tecnologiche, tutto diventa estremamente smart: i meeting, la formazione, il rapporto con i clienti, la filiera produttiva”. Un nuovo modo di operare che fa proseliti e farà aumentare in futuro il numero di imprese aderenti alla filosofia del Lavoro Agile.

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SPECIALE | EVOLVE

Sotto la punta dell’ICEBERG Tecnologie Digitali

Lavoro da remoto

Ripensamento spazi

Flessibilità di orario

Produttività

Ottimizzazione spazi

Stile di Leadership

Employer Branding

Conciliazione

Valorizzazione dei talenti

Engagement Sviluppo competenze digitali

Inclusività e sostenibilità sociale

Business continuity

Sostenibilità ambientale Result Based Culture

Leadership femminile

Meritocrazia

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ADAPTIVE BE SMART!

er un gruppo come Maire Tecnimont, che appartiene a un settore dell’industria tradizionale, ripensare processi, spazi e comportamenti in chiave smart working è ancora più competitivo di quanto avviene nelle aziende digitali, ma rappresenta una nuova e più ampia opportunità di aggregazione e coinvolgimento per la comunità”. Così Pierroberto Folgiero, AD Maire Tecnimont, ha introdotto l’evento “Be Adaptive, Be Smart!”, durante il quale – alla presenza del sindaco della città Giuseppe Sala – si è parlato di lavoro agile a Milano, del progetto di smart working Maire Tecnimont e dello spazio MEETinG, il nuovo hub dedicato al coworking che sta nascendo all’interno delle Torri Garibaldi, quartier generale del Gruppo.

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“Personalmente, ho lavorato in smart working da sempre” ha detto Fabrizio Di Amato, presidente Maire Tecnimont. “Oggi che la tecnologia lo consente, c’è la voglia di estendere questo approccio alla nostra organizzazione. Vogliamo essere pionieri e sfruttarne tutte le potenzialità: nella mia visione imprenditoriale, il rapporto con le persone è sempre stato fondamentale. Lavorare per risultati è il metodo per essere più responsabilizzati e nello stesso tempo per avere maggiore flessibilità nella gestione del tempo e del luogo di lavoro”. Molte le tematiche affrontate nella tavola rotonda che ha visto la partecipazione di Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano, Alessandro Spada, vice presidente vicario di Assolombarda, Silvia Candiani, amministratore delegato Microsoft Italia, e Fabio Benasso, presidente e AD Accenture Italia. Come ha tenuto a sottolineare il rettore Resta, “la vera sfida è per le PMI e per la Pubblica Amministrazione. Il capitale umano è fondamentale per il successo delle imprese: i lavoratori qualificati saranno sempre più attratti non solo dalle condizioni economiche ma anche da un confortevole ambiente lavorativo”. Silvia Candiani si è detta “felice di supportare Maire Tecnimont nel proprio percorso di innovazione, secondo un nuovo modo di lavorare che risponde all’esigenza di doversi adattare alle sfide del mercato”. Illustrando le attività interne a Microsoft, la Candiani ha confermato che lo smart working rinforza l’orientamento al risultato, aiuta a diffondere la cultura della fiducia e aumenta l’atteggiamento collaborativo fra le persone. Il sostegno sull’argomento arriva, oltre che da Fabio Benasso (“Le grandi aziende, che già iniziano a strutturarsi in questo senso, hanno

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TESTIMONIANZE, NUMERI E STRATEGIE DI LAVORO AGILE. I VERTICI DI MAIRE TECNIMONT PRESENTANO AL SINDACO DI MILANO, GIUSEPPE SALA, LO SPAZIO MEETING, IL NUOVO HUB DEDICATO AL COWORKING.


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capito che non si tratta solo di adottare strumenti e tecnologie, ma di operare un cambiamento organizzativo e culturale”), anche da Assolombarda: “Consapevoli dell’impatto positivo dello smart working - ha detto Alessandro Spada - abbiamo avviato un servizio per sostenere le imprese associate: in meno di un anno ne abbiamo supportate più di ottanta”. Con una visione di scenario, Pierroberto Folgiero ha tirato le fila della giornata, spiegando che la filiera del settore Ingegneria e Contracting rappresenta un ottimo laboratorio sperimentale per affrontare le sfide poste dalla Rivoluzione Digitale. “Storicamente, la figura dell’ingegnere ha precorso i tempi: nel nostro business, ha sempre seguito il processo di realizzazione dell’impianto, superando i semplici confini dello spazio-ufficio, per andare nei luoghi necessari alla propria attività. Queste opere si realizzano solo grazie a un grande impegno di cooperazione, flessibilità e variabilità di luogo e di tempo”. Secondo l’AD Maire Tecnimont, il lavoro agile “coniuga le esigenze di produttività e redditività aziendali, responsabilizzando le persone e facendole sentire realizzate dal punto di vista personale e professionale. Per noi lo smart working non è telelavoro, ma uno strumento per favorire la meritocrazia e per incrementare ancora di più la diffusione dei Mottos aziendali, incentrati sulla fiducia, sul lavorare per obiettivi e su un nuovo equilibrio tra vita professionale e personale. Senza trascurare i notevoli risultati che si ottengono nella riduzione dei costi fissi e nei benefici per la sostenibilità ambientale”.

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MAIRE TECNIMONT PER MILANO

er ridefinire il modello di lavoro, Maire Tecnimont ha ridisegnato spazi e tecnologie in un’ottica multimediale e polifunzionale. Anche la struttura del quartier generale milanese, all’interno delle Torri Garibaldi, si è adattata al cambiamento, partendo dal layout delle aree comuni (la mensa, la hall) e arrivando alle singole postazioni di lavoro. Obiettivo? Creare un contesto che aiuti le persone a sentirsi nel posto “più giusto e più adatto” per realizzare le attività affidate.

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Presentando al sindaco Giuseppe Sala il progetto smart working e il nuovo hub “MEETinG”, il presidente Fabrizio Di Amato ha ricordato come i clienti del

Gruppo in visita a Milano apprezzino la città per l’atmosfera europea, l’efficienza dei servizi, l’offerta artistica e culturale, le scelte coraggiose in termini di sostenibilità e smart city. “Trasformare i nostri spazi – ha detto Di Amato – significa coinvolgere maggiormente la popolazione milanese. Per questo mettiamo a disposizione uno spazio aperto al territorio, un hub di scambio, business e cultura. Siamo pronti a condividere la nostra esperienza, le nostre capacità e i nostri spazi con la città di Milano, il luogo ideale per far crescere una nuova cultura del lavoro”. La mensa non sarà più lo spazio dedicato esclusivamente al consumo del pasto, ma diventa un vero e proprio luogo di incontro, un ambiente ancora più accogliente che favorisce lo scambio di idee e il confronto, con più di 500 postazioni e cinque sale riunioni multimediali. L’intera Hall del complesso di circa 1.200 metri quadrati

Da sinistra: Fabrizio Di Amato, Giuseppe Sala, Ferruccio Resta e Pierroberto Folgiero

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si trasforma nel “MEETinG” (Maire Tecnimont Hub Garibaldi), uno spazio di coworking, eventi e attività a tema aperto alla città, dotato di oltre 200 tra postazioni e aree riunioni, in un ambiente che favorisce il confronto e lo scambio di idee. “La nostra città – ha commentato il sindaco Sala – si evolve sempre di più in chiave innovativa e sostenibile. Siamo pronti a questa trasformazione, anche grazie a Maire Tecnimont e ad altre aziende che dimostrano come lo smart working stia facendo un salto di qualità importante”. In sintesi, il progetto messo in campo da Maire Tecnimont coinvolgerà progressivamente i 1.800 dipendenti delle sedi milanesi, per un investimento complessivo pari a cinque milioni di euro in due anni per adeguamenti tecnologici, interventi strutturali e formazione. Oltre cinquemila le ore di formazione e coaching per diffondere la cultura manageriale e promuovere una filosofia del lavoro basata sul definire gli obiettivi, valutare le performance e condividere i feedback.

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IL VIAGGIO

MAIRE TECNIMONT VERSO LO SMART WORKING Lo chiamano smart working, in Italia la legge numero 81 del 2017 lo ha recentemente disciplinato come Lavoro Agile ma, per Franco Ghiringhelli, dovrebbe chiamarsi semplicemente “working”. Così il Senior Vice President Human Resources, Organization and ICT del Gruppo Maire Tecnimont ha aperto il suo intervento. “In attesa dell’inizio di questo evento, ho gestito attraverso uno smartphone una serie di e-mail, fissato nuove riunioni, autorizzato trasferte, controllato tempi di consegna di ordini online. Di fatto ho lavorato: ecco la vera essenza della rivoluzione tecnologica. È virale, ha colpito tutti noi senza distinzioni, interessando tutte le generazioni presenti nelle aziende”. La decisione di Maire Tecnimont di introdurre lo smart working, con il lancio del concorso di idee “BE ADAPTIVE! – Think Tank”, è nata proprio dalla consapevolezza di un processo irreversibile già in atto, coinvolgendo sin da subito i propri dipendenti, in quanto veri protagonisti della trasformazione del modello di organizzazione del lavoro. L’iniziativa proposta offriva ai dipendenti la possibilità di presentare, da soli o in gruppo, un business case relativo all’introduzione del Lavoro Agile presso le sedi milanesi del Gruppo. Con la partecipazione di oltre 150 colleghi e la presentazione di ben 58 business case, è stato la prima vera conferma della bontà dell’approccio adottato e della sua efficacia nel coinvolgere e ingaggiare le Persone nel percorso di trasformazione intrapreso. I progetti sono stati oggetto di analisi da parte di una Commissione di Valutazione, cui ha partecipato anche l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano; le cinque migliori proposte sono state premiate con il riconoscimento di un premio economico ed è stato avviato il processo di implementazione in azienda. Conclude Ghiringhelli: “Anche il rapporto con i sindacati si è basato su logiche diverse, non più limitate al normare l’orario di lavoro, ma volte ad una maggiore responsabilizzazione. Questo ha portato ad un accordo sindacale innovativo, con un’estensiva applicazione della recente normativa sul Lavoro Agile. Infatti gli smart worker possono lavorare dal luogo che considerano più efficace per la loro attività lavorativa e, in base ad una programmazione concordata con il proprio responsabile, trascorrere in sede anche solo una giornata a settimana, al fine di garantire continuità nell’interazione, nel confronto e nella collaborazione con i colleghi, evitando così di perdere il contatto con l’organizzazione aziendale”.

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IL POSTO GIUSTO PER

LAVORARE

“Anche il nostro quartier generale si è adattato alla logica dello smart working. Gli spazi sono stati ripensati in chiave multimediale e polifunzionale”.

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Massimo Rosi - Dipartimento CAE systems

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“Lo smart working è un’opportunità per migliorare la pianificazione delle attività lavorative e motivare i collaboratori. Che, responsabilizzati, aumentano l’efficienza anche grazie alla possibilità di conciliare vita lavorativa e privata”.

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“L’evoluzione digitale annulla le distanze: l’utilizzo dei sistemi informativi garantisce l’inclusione e ridefinisce il concetto di ufficio. Non più luogo fisico ma spazio di collaboration virtuale”.

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Stefano Sgarlata - Dipartimento ICT

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Laura Zucca - Dipartimento Procurement, task force Orpic Oman

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“Il Lavoro Agile può aprire la strada a una reale uguaglianza di genere nel mondo del lavoro. Cambiare l’organizzazione significa premiare la logica del risultato”.

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“Il nuovo hub MEETinG è uno spazio aperto al territorio per scambiare idee e far crescere una nuova cultura del lavoro. Un passo verso la smart city del futuro in chiave europea”.

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LA DISCONTINUITÀ

BUSINESS SOSTENIBILE

DEL

QUANDO, QUANTO E COME LA SOSTENIBILITÀ HA CAMBIATO LE STRATEGIE AZIENDALI NELL’INTERVISTA A MARCO FREY, PRESIDENTE DEL GLOBAL COMPACT NETWORK ITALIA

Chi è Marco Frey Nato nel 1961, Marco Frey si laurea nel 1986 in Discipline Economiche e Sociali presso l’Università Bocconi di Milano. Nel 2000 vince l’Eisenhower Exchange Fellowships. È Professore ordinario di Economia e gestione delle imprese, direttore del gruppo di ricerca sulla sostenibilità (SuM) della Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa e Direttore di Ricerca allo IEFE (Istituto di Economia e politica dell’energia e dell’ambiente). È presidente della Fondazione Global Compact Network Italia e di Cittadinanzattiva, organizzazione no-profit per la partecipazione civica e la tutela dei diritti dei cittadini.

ropongo che Voi, i business leader riuniti a Davos, e Noi, le Nazioni Unite, avviamo un Patto Globale di principi e valori condivisi, che darà un volto umano al mercato globale”. Era il 31 gennaio 1999 quando Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite, rivolse queste parole al gotha politico ed economico mondiale riunito al World Economic Forum di Davos, in Svizzera. Si trattava del primo invito ufficiale ai leader dell’economia a sottoscrivere con le Nazioni Unite un “Patto Globale” per affrontare gli aspetti più critici della globalizzazione. “Questo evento segna a livello internazionale uno spartiacque in tema di sostenibilità – ci racconta Marco Frey, presidente del Global Compact Network Italia (GCNI) – L’ONU chiede un patto per un modello di sviluppo economico più sostenibile, rivolgendosi direttamente alla business community”.

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La proposta viene accolta e nel 2001 nasce il Global Compact, iniziativa per la promozione della cultura della cittadinanza d’impresa, gestita su scala globale dalle Nazioni Unite. “Con il passare del tempo l’attenzione sul tema della sostenibilità cresce sempre di più – continua Frey - come dimostra nel 2012 la cosiddetta Conferenza Rio+20: qui la presenza del mondo delle imprese diventa significativa, con tremila soggetti che partecipano attivamente, presentando impegni ed esperienze positive”. Stessa sorte per il Paris Agreement on climate change del 2015 con un rilevante processo di adesione delle imprese all’Agenda 2030 che ha sancito i 17 obiettivi del Millennio. E sul motivo della richiesta di un sempre maggiore coinvolgimento delle aziende rispetto agli attori istituzionali, il chairman del GCNI non ha dubbi: “È una necessità, visto che le istituzioni da sole non ce la fanno”. “Oggi siamo arrivati al punto che la sostenibilità condiziona profondamente le scelte di natura competitiva di un’azienda” assicura il professor Frey, che individua il motivo di questa tendenza nella sensibilità che si è sviluppata sul tema dello sviluppo sostenibile da parte di tutti gli attori, siano essi consumatori oppure altre imprese che domandano prodotti e servizi.

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SOSTENIBILITÀ | EVOLVE

IL

PRIMO REPORT DI SOSTENIBILITÀ MAIRE TECNIMONT

Senza sottovalutare le dinamiche innescate dalle scelte sostenibili dei competitors e il richiamo autorevole delle Nazioni Unite a livello internazionale. “In pratica, la sostenibilità diventa un modo di declinare un modello di sviluppo economico considerato ormai necessario”. Cerchiamo allora di capire con l’aiuto del presidente del Global Compact Network Italia quanto la sostenibilità possa condizionare la strategia di un’azienda. “L’adattamento delle imprese alla sfida della sostenibilità si traduce oggi nel cambiamento di modelli di business. Da una parte abbiamo nuovi operatori che nascono con modelli di business costruiti appositamente per affrontare questa sfida: è il caso di aziende come TESLA che non è più solo un produttore di auto elettriche, ma anche di energia rinnovabile per alimentare le proprie auto. Altre volte si tratta di semplici trasformazioni di modelli di business da parte di imprese che operano in settori tradizionali: ad esempio, nel comparto dell’energia il caso più clamoroso è quello di Erg, che ha abbandonato completamente il settore tradizionale dell’Oil&Gas per impegnarsi nelle rinnovabili”. La faccenda diventa più articolata specie per le grandi imprese che decidono di essere sostenibili nei molteplici paesi in cui operano: “In questo caso – precisa l’esperto - le aziende cercano di applicare dei modelli di business possibilmente omogenei, ma bisogna tenere conto delle peculiarità e dei bisogni dei diversi contesti territoriali. Si tratta di una sfida interessante e molto complessa, perché nei paesi in via di sviluppo entra in gioco e diventa condizione fondamentale la dimensione sociale della sostenibilità”. Infine c’è un terzo elemento che, secondo il professor Frey, le aziende non devono mai sottovalutare: “La sostenibilità si sposa con l’innovazione: la capacità di essere adattabili alle dinamiche di evoluzione dei mercati passa per il saper coniugare innovazione e sostenibilità. Molti studi e ricerche, come ad esempio il Green Italy di UnionCamere, testimoniano che esiste una stretta correlazione tra tre fattori: sostenibilità, innovazione e internazionalizzazione, cioè la capacità di essere competitivi a livello globale”.

Creating Value è il titolo del Report di Sostenibilità 2017 approvato dal nostro Gruppo, un documento che presenta per la prima volta in maniera esaustiva la complessità del nostro impegno in tema di sostenibilità, sia come creatore che come distributore di valore in diverse aree geografiche. Siamo consapevoli che il nostro ruolo di general contractor con un Dna altamente tecnologico ci consente di avere un impatto sui territori in cui operiamo. Il Report di sostenibilità, redatto secondo le linee guida del Global Reporting Initiative (GRI), lo standard internazionale più evoluto, fornisce una fotografia precisa del ruolo chiave che possiamo svolgere in tali ambienti, offrendo non solo servizi di alto livello ai nostri clienti ma anche opportunità di sviluppo locale. Il Report costituisce l’opportunità di raccontare e documentare la modalità di sviluppo dei valori e dei principi di responsabilità sociale e ambientale nel modello di business del Gruppo. In base alle nostre attività commerciali, il documento individua gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) a cui Maire Tecnimont può contribuire maggiormente, spiegando il coinvolgimento di ciascuna società del Gruppo e monitorandone i risultati attraverso specifici KPI. Il Report ha l’obiettivo di instaurare un dialogo costante che favorisca la fiducia, crei valore reciproco e sostenga la crescita sostenibile del business del Gruppo in linea con le aspettative degli stakeholders, attentamente identificati e mappati nel documento. Diviso in sette capitoli, il Report affronta diversi temi: Our Corporate Identity, Sustainability at Maire Tecnimont, Governance and Ethics, People at the Centre, Technology, Development and R&D, Creating sustainable value, Importance and Value of our HSE Policy.

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AMURSKI,

AL CONFINE TRA RUSSIA E CINA na vera e propria autostrada di gas russo verso la Cina, sempre più orientata verso fonti energetiche diverse dal carbone. Nei prossimi anni, nella regione dell’Amur (estremo oriente russo) Maire Tecnimont, alla guida di un consorzio con la cinese Sinopec, realizzerà un impianto in grado di trattare il gas e instradarlo nelle pipeline dirette verso la Cina.

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Oltre che per la sua dimensione economica (l’accordo da 3,9 miliardi di euro è il più grande nella storia del Gruppo), il progetto è importante per la sua localizzazione: la società capitanata da Fabrizio Di Amato e Pierroberto Folgiero sarà l’unica italiana a operare in quell’angolo di Russia asiatica. “Siamo stati selezionati per la profonda conoscenza del mercato russo spiega il presidente Di Amato - insieme alle capacità ingegneristiche e realizzative in aree complesse. Siamo percepiti come un’azienda internazionale con un forte radicamento locale”. Il contratto firmato con il gruppo Gazprom comprende infatti ingegneria di dettaglio, procurement, costruzione, pre-commissioning, e commissioning delle utilities, offsites e infrastrutture.

IL GRUPPO MAIRE TECNIMONT STA ESEGUENDO PER GAZPROM UNA COMMESSA DA 3,9 MILIARDI DI EURO PER IL TRATTAMENTO DEL GAS ALL’ESTREMITÀ DELL’ASIA. Ma la vera novità è rappresentata dalle dimensioni del progetto e dai numeri che lo compongono. Dice Folgiero: “L’impianto di Amursky (il cui cantiere misura 850 ettari) sorgerà nei pressi della città di Svobodny, nella regione di Amur, e sarà il più grande complesso di trattamento gas al mondo con una capacità di 42 miliardi di metri cubi all’anno, che una volta estratto verrà utilizzato per produrre carburanti, fertilizzanti e materie plastiche”.

Alla task force di progetto prenderanno parte più di 900 ingegneri di differenti discipline, impegnati in 17 centri operativi distribuiti su 10 fusi orari, da Milano a Mumbai, da Mosca a Ningbo (Cina). Saranno coinvolti anche 12 istituti di design, da San Pietroburgo a Blagovenschensk e al sito di Svobodny. Elementi che fanno capire il livello di sfida affrontata dal management di Maire Tecnimont, impegnato ad Amurski con un progetto caratterizzato dai grandi numeri. In fase di costruzione dell’impianto, le circa sedicimila persone coinvolte popoleranno una sorta di città-campo con problematiche estreme in termini di logistica e approvvigionamento: le temperature in base alle stagioni possono oscillare da -40 gradi sottozero a +40 in estate. L’area è completamente circondata dalla tundra siberiana per migliaia di chilometri, Mosca è distante nove ore di volo e sei diversi fusi orari.

Russia

Oltre a questo, c’è tutto il tema del trasporto dei materiali (quantitativi record rispetto a qualsiasi impianto costruito in passato da Maire Tecnimont), che vanno organizzati logisticamente, fatti arrivare con mezzi diversi, sfidando condizioni climatiche che ne rallentano le tempistiche. Una sfida insomma davvero estrema, che impegna il Gruppo in uno sforzo progettuale e di management senza precedenti. “Un’avventura – conclude Folgiero – da cui si esce con grande tenacia, focus sull’obiettivo e senso di appartenenza a una missione che resta impossibile solo nella mente di chi non ha il coraggio di confrontarsi con i propri limiti”.

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NEGOZIARE

SENZA PREGIUDIZI

INTERVISTA A MARIA SELLI, PROJECT DIRECTOR DI TECNIMONT. “CON I RUSSI LA PAROLA CHIAVE È PERSISTENZA”

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apevate che i manager russi preferiscono non stringere la mano sulla soglia di una sala riunioni perché è considerato di cattivo augurio? Qualcuno vi ha segnalato che nei meeting si parla in ordine gerarchico: prima il CEO, poi via via tutti gli altri? E che non è opportuno togliersi la giacca durante le trattative?

Ricostruire i codici di comunicazione tra un occidentale, o meglio un italiano, e un russo è tutt’altro che semplice in un paese diviso fra tradizione e innovazione, tra una comunicazione formale e burocratica e il prepotente avvento dei social network, che in Russia hanno una penetrazione fortissima. Molti non immaginano che dietro le quinte di un business con referenti est-europei si apre un mondo di relazioni interculturali. Nei negoziati d’affari, anche in quelli dove partecipano manager russi che hanno studiato nelle Università americane e inglesi, prima di arrivare a una comunicazione fluida l’interlocutore italiano percepirà una sorta di distanza,

Una storia di lunga durata Quella del Gruppo Maire Tecnimont sul territorio russo è un’esperienza che parte dagli anni ’30 del Novecento, quando l’allora Montecatini costruisce con tecnologia propria uno dei primi impianti sovietici per la produzione di ammoniaca. Questa presenza si rafforza tra gli anni ‘60 e ‘80 grazie allo sviluppo di impianti petrolchimici, progetti relativi all’urea e ai fertilizzanti chimici, impianti per

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il trattamento del gas. Complessivamente sono circa 80 gli impianti realizzati tra la Russia e l’area del Mar Caspio. Nell’ultimo decennio, Maire Tecnimont consolida la leadership di mercato anche grazie a un’ampia collaborazione con gli istituti di design locale, i produttori di componenti e le società di costruzioni.

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42 Occorre conoscere a fondo la cultura e le abitudini degli interlocutori

di barriera iniziale. Sembrerebbe un formalismo che nasconde diffidenza: ma in realtà sappiamo che è spesso frutto di un diverso approccio culturale, di differenti codici di comportamento che vanno analizzati in precedenza e gestiti senza ansie collaterali. “La parola chiave è persistenza” dice Maria Selli, project director di Maire Tecnimont per il nuovo progetto di Amurski, parlando dei codici di comunicazione necessari per condurre trattative di affari in Russia. “Occorre conoscere a fondo la cultura e le abitudini degli interlocutori e presentarsi al primo incontro con una particolare attenzione al proprio stile, con un’immagine sobria ed elegante e con puntualità, che per un russo è un segno di considerazione e di rispetto”. Comprendere le differenze culturali è dunque fondamentale per riuscire a instaurare solide relazioni interpersonali con i partner locali. Per la squadra di Maire Tecnimont, impegnata a ritmi sostenuti nella realizzazione dell’impianto di Amurski, è un aspetto chiave per amalgamare al meglio un team eterogeneo, composto in prevalenza da russi, italiani e cinesi. “Attraverso un progetto di formazione mirata – continua Maria Selli – stiamo lavorando in profondità per aiutare le nostre persone ad accogliere il contesto in cui devono muoversi e a capire come agire in maniera fluida, senza creare diffidenze”. È utile infatti approdare in un altro Paese lasciandosi alle spalle i pregiudizi e gli stereotipi legati al nostro modo di pensare, alla nostra cultura di riferimento. “I russi – così come gli indiani, i mediorientali e qualsiasi altra comunità con la quale stringiamo rapporti di lavoro – non sono esattamente come li immaginiamo, come siamo stati abituati a vederli nei film o a leggerli nei libri. L’attività di formazione – spiega Maria Selli – parte dai valori comuni quando si parla di business. Ci si scambia competenze, approcci strategici e soluzioni operative. I russi apprezzano le nostre origini

e la nostra cultura, amano lo stile di vita italiano e la creatività che ci contraddistingue, sempre tenendo conto della distanza fisica, linguistica e culturale”. L’esperienza di una multinazionale, che quotidianamente si confronta con ingegneri e tecnici di mezzo mondo, fa emergere un dato di fatto: ci aiuta a capire che almeno tre quarti del pianeta ragiona in modo assai differente da noi occidentali, abituati a ragionare e operare più in termini individuali che collettivi. “Il linguaggio, il clima, il territorio da cui provieni, il contesto familiare e sociale, il cibo che mangiamo: sono tutti elementi che sorreggono le nostre convinzioni e che contribuiscono a formare quella modalità di comunicazione con cui facciamo business. Nonostante molti anni di carriera internazionale – rivela la Selli – con i russi sto sperimentando cose diverse. Ho imparato come si applica un protocollo gerarchico, come si preparano le riunioni affinché tutto si svolga secondo un copione prestabilito, come su un palcoscenico teatrale. Qualcuno di noi potrebbe vedere questo come una finzione, per i russi invece è una modalità di comunicazione, un sistema per farti capire che la vera intesa si salda prima a livello umano e solo dopo a suon di numeri e progetti”. Il dietro le quinte di un’attività così complessa – come la costruzione di un impianto per il trattamento del gas, in estremo oriente, al confine con la Cina – mette le persone alla prova sotto l’aspetto climatico, geografico e linguistico. Conclude Maria Selli: “La differenza la fanno le soft-skills, la capacità di adattarsi senza essere passivi, reagendo ogni minuto alle novità repentine. Non sempre si riesce a dialogare in inglese, ma come dico spesso, questa commessa è un banco di prova fantastico: nonostante si corra a velocità supersoniche, una volta giunti al traguardo si apriranno per noi scenari importanti. E saremo molto più ricchi culturalmente e umanamente”.

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RELAZIONI Cercate un rapporto personale e affidatevi al potere delle parole, prima di mettere per iscritto le clausole di un accordo. Per i russi è importante costruire una relazione di fiducia dal vivo, un feeling diretto faccia a faccia. Con gli italiani l’intesa scatta quasi sempre subito e facilmente, con argomenti in comune (speranze, timori, aspirazioni) e il piacere di negoziare a tavola. Solo a quel punto sarete pronti per mettere in campo documenti scritti e contratti.

LINGUAGGIO beneficio di quanto detto, ci sono alcune regole valide a livello internazionale, che possono aiutare ad affrontare un meeting nel migliore dei modi. Altre invece si riferiscono in maniera più specifica alla mentalità e alla cultura locale che devono essere conosciute per intraprendere rapporti di business con la Russia.

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PUNTUALITÀ Essere in orario è sempre molto apprezzato. È vero che alcune culture considerano la puntualità un fattore fondamentale mentre altre sono molto flessibili. Ma è consigliabile arrivare nel luogo prestabilito circa 15 minuti prima perché in Russia le procedure di registrazione in azienda sono più lunghe e formali.

PERSISTENZA La cultura russa è un mix di influssi europei e asiatici: per questo nel business sono amate le lunghe negoziazioni e i confronti articolati. Come nel gioco degli scacchi in cui sono maestri. Essendo abili negoziatori (e bravi a dissimulare emozioni e intenzioni reali) occorre avere pazienza nel parlare, nell’ascoltare e nel seguire tutti i passi proposti dalla controparte. Mostrare urgenza nel chiudere velocemente la discussione non è apprezzato.

È preferibile essere accompagnati da una persona madrelingua russa in grado di guidare la conversazione e tradurre la comunicazione. Nelle riunioni, la lingua inglese è ovviamente accolta ma non scontata rispetto ad altri Paesi. Inoltre siate pronti ad allargare la discussione a livello di gruppo: quella dei russi è una storia di condivisione delle responsabilità, che può sfociare in atteggiamenti teatrali e cambi repentini di tono. Un tratto caratteriale che non deve preoccupare, perché appartiene alla cultura di quel popolo.

OBIETTIVI Chiarezza e precisione. I russi sono molto pragmatici e orientati agli obiettivi: è inutile perdere tempo in preamboli o con sofisticate presentazioni. L’incontro di lavoro deve possedere un valore e uno scopo, chiari e ben definiti. Meglio entrare subito nel cuore del business e spiegare i vantaggi della collaborazione. E se la controparte russa si dichiara interessata e pronta per la cooperazione, per loro vuol dire “adesso”, entro una settimana. Non fra due mesi, quando lo scenario lavorativo potrebbe già essere cambiato.

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PILLOLE PER RELAZIONI EFFICACI

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DAL CAMBIAMENTO ALLA

CHIAMATA ALLE ARMI

n questo numero di EVOLVE che volge al termine, abbiamo più volte ricordato come, in ambito industriale, l’innovazione rappresenti la capacità di scoprire e unire risorse non connesse in precedenza tra di loro. Parlando di strategie a Oceano Blu, abbiamo poi declinato in varie forme il tema della reattività al cambiamento, della capacità in sintesi di essere “Adaptive” in maniera proattiva.

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Il numero zero, uscito a dicembre scorso in occasione del decennale della quotazione in Borsa, è stato accolto con grande interesse e di questo siamo soddisfatti. Nelle intenzioni del gruppo editoriale che lavora dietro le quinte c’è l’idea di utilizzare EVOLVE come nuovo canale di comunicazione del Gruppo Maire Tecnimont per approfondire l’argomento “evoluzione” in senso critico, teorico e di ricaduta sugli scenari economici. Ma anche per spiegare meglio in chiave monografica il tema dei Mottos, i “mantra” aziendali lanciati per accompagnare l’azione di turnaround in corso. Come abbiamo scritto la volta scorsa, i Mottos sono diventati patrimonio comune della company, una sorta di bussola che ispira il lavoro

DAL MOTTO CHE RICHIAMA ALL’ADAPTIVENESS, A QUELLO CHE INVITA A SENTIRSI PARTE ATTIVA NELL’ADOTTARE NUOVI PARADIGMI. UN FILO CHE ACCOMUNA I VALORI DEL GRUPPO, COME LE DIVERSE TAPPE DI UN PERCORSO VERSO IL FUTURO.

N° 1 - MAGGIO 2018

quotidiano delle persone. E che diventa espressione di una cultura corporate in grado di orientare l’operato dei leader, dei manager e dei professionisti a tutti i livelli. Sviscerato il capitolo “Be Adaptive”, ci affacciamo al prossimo numero con il proposito di affrontare l’argomento “Ride the turnaround”, una sorta di chiamata alle armi per diventare tutti quanti parte attiva al cambiamento. Come sapete, il nostro è un business complesso, che si incardina grazie all’impegno di svariate componenti, sia interne che esterne al Gruppo stesso. Le sfide, le grandi commesse di progettazione e costruzione di un impianto si vincono anche grazie al contributo di una numerosa e qualificata filiera di fornitori, veri e propri partner focalizzati verso il risultato finale. Con le aziende fornitrici, Maire Tecnimont applica una strategia proattiva, dedicando energie comuni per condividere i rischi e individuare risparmi di costo e di tempo. Come ha spiegato in diverse occasioni l’amministratore delegato Pierroberto Folgiero, “oggi il mercato cambia continuamente e ci richiede nuove capacità: dal design al procurement, dalla costruzione al finanziamento, fino al mantenimento e alla consulenza specializzata. Per il nostro Gruppo evolversi verso un sistema a filiera significa compartecipazione alle sfide in un’ottica di sviluppo sostenibile". Di questo parleremo nel prossimo numero di EVOLVE, con articoli, interviste, reportage fotografici e testimonianze dirette. Per tutti noi la bussola sarà “Master the change, be actively part of it!”.


RIDE THE TURNAROUND!

The challenge of our Group: impeccably deliver our portfolio through operational and financial discipline.

Master the change, be actively part of it!

EVERY SINGLE DECISION COUNTS! Our work-success is the result of a thousand single choices made in the right sequence. There is no time for procrastination.

Your contribution makes a difference!

BE ADAPTIVE!

Fast changes in the market create discontinuities while opening also opportunities to the most responsive players.

Agility is the key!

NOT JUST THE COMPANY, THIS IS YOUR COMPANY! Building together the success of our Group creates shared value to everyone.

Be entrepreneur in a network of entrepreneurs!

TAKE THE CHALLENGE!

Managing uncertainties is the core of our job… As a sailor faces the sea every day.

Let the passion for results drive your actions!

STEP UP AND MAKE THINGS HAPPEN! Talk and listen directly to your colleagues. Sending an e-mail could not be a solution. Let’s keep our doors open.

Beat the bureaucratic approach!

WE ARE RESILIENT!

Recovering quickly from drastic changes is part of our noble and precious DNA. We live in a tough environment, but adversity made us stronger.

Let’s capitalize on lessons learnt!

OUR TOMORROW IS NOW! These are extraordinary times. If we stay focused on our corridor of growth we will be ready to build the next decade of Maire Tecnimont.

The floor is ours!


www.mairetecnimont.com


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