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NOT JUST THE COMPANY, THIS IS YOUR COMPANY! Essere imprenditore in un network di imprenditori
LUGLIO 2021
N° 7 - Luglio 2021 www.mairetecnimont.com
PUBBLICAZIONE DEL GRUPPO MAIRE TECNIMONT A CURA DEL Dipartimento Relazioni Istituzionali, Comunicazione e Sostenibilità Registrazione presso il Tribunale di Milano - N. 338 del 06/12/2017 DIRETTORE RESPONSABILE Carlo Nicolais COORDINAMENTO EDITORIALE Massimo Dapoto PROGETTO E REALIZZAZIONE Cultur-e www.cultur-e.it EDITORE Maire Tecnimont Spa Sede legale Viale Castello della Magliana, 27 - 00148 Roma - Italia Sede operativa Via Gaetano De Castillia, 6A - 20124 Milano – Italia TIPOGRAFIA Gam Edit Srl Via Aldo Moro, 8 - 24035 Curno BG www.gamedit.it Chiuso in redazione il 26/07/2021 Per i testi pubblicati, si resta a disposizione degli aventi diritto che non si siano potuti reperire.
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EDITORIALE Senza paura di crescere Editoriale di Andrea Vena Maire Tecnimont Europe Region Vice President and KT Commercial Vice President.
STRATEGIE Una visione da startup
La molecola della vision imprenditoriale
«Non è vero che i manager non servono più. Servono leader ispiratori».
Intervista a Pierroberto Folgiero CEO e MD Gruppo Maire Tecnimont.
Il potenziale nascosto
Coltivare l’imprenditorialità
Intervista a Roberto Battaglia autore di "Startupper in azienda".
Intervista a Sara Frassine, Maire Tecnimont Group Development & Compensation Head of Department.
Modelli scardinati
Intelligenza d’impresa, come vocazione
Intervista a Marco Bentivogli, esperto di tematiche del lavoro e smart working.
Intervista a Fabrizio Di Amato Presidente Gruppo Maire Tecnimont.
RUBRICHE Il tuo senso per l’imprenditorialità Cos'è il metodo Scrum? Un test con 5 domande per valutare le tue conoscenze in materia.
REPORTAGE Se puoi sognarlo, puoi farlo Da Disney a Chanel, passando per Prada e Ferrari. Le frasi celebri di imprenditori storici.
TERRITORI Fare impresa sulla linea dell’equatore Sviliuppare nuovi business cogliendo le particolarità di aree molto diverse.
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STORIA L’enigma dell’imprenditore Nel saggio dello storico Giuseppe Berta, il pensiero di economisti e scienziati sul destino dell'impresa.
SOSTENIBILITÀ La sostenibilità integrata nel core business Le imprese sostenibili sviluppano resilienza.
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MOTTOS Il nostro domani? È adesso Rimanere concentrati sul percorso di crescita per costruire il futuro.
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SENZA PAURA DI
CRESCERE
i racconta che Brian Chesky, fondatore e CEO di Airbnb, si sia preso moltissimo tempo per scegliere il primo impiegato della sua azienda. Ha trascorso ben cinque mesi a leggere e studiare migliaia di curricula, facendo personalmente centinaia di colloqui. «Ritengo che scegliere il primo ingegnere sia come dare il DNA all’azienda» ha detto Chesky. Ancora oggi cerca persone che credano nella missione dell’azienda, convinte del prodotto, delle sue implicazioni e del suo futuro.
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Cosa significa essere un imprenditore, pur non essendolo nel senso stretto della parola? Vuol dire accettare la sfida di avere un foglio di carta bianca davanti, senza alcuna paura di scriverci sopra, giorno per giorno. Con l’inchiostro della passione, della voglia di fare, della determinazione di incidere e contare. Tuttavia sono poche le società e i gruppi disponibili a metterci di fronte a uno scenario aperto. In genere il foglio è già preimpostato, il tema è già praticamente scritto: burocrazia e catene decisionali lunghissime che imbrigliano lo spirito di chi ci lavora. Sappiamo che disseminare la cultura della responsabilità imprenditoriale, in organizzazioni complesse come il nostro gruppo, potrebbe rappresentare un compito non facile. Guardandosi attorno, ogni singolo componente in Maire Tecnimont è consapevole di operare in diversi continenti e zone climatiche, in aree industriali come nei luoghi più remoti. Cinquanta diverse società, diverse entità aziendali sinergiche, un gruppo integrato che esplora le nuove frontiere della transizione energetica. Per mantenere fluida e proficua una presenza globale e una simile dimensione geografica, oltre a fare leva sul dinamismo dei progetti e dei team locali, il nostro Gruppo si distingue per la presenza fisica dell’imprenditore che costituisce uno sprone continuo ad avere idee per affrontare il cambiamento e migliorare le nostre performance. Come leggerete nelle prossime pagine, nell’articolo che ricostruisce la sua storia professionale, Di Amato è l’esempio di imprenditore che con passione e competenza si è sempre assunto grandi responsabilità, reagendo ai cambiamenti e guardando avanti senza paura di crescere. Lavorare nel gruppo è davvero thrilling: nessuno si percepisce mai come una piccola rotella dell’ingranaggio, a meno che lui stesso non voglia sentirsi tale. Tutti hanno la possibilità di incidere, di sentirsi imprenditori in un network di imprenditori. Il nostro è un business trainato dal valore delle persone, che sono il centro e il motore del nostro successo industriale. In KT - Kinetics Technology ad esempio, società del gruppo Maire
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Tecnimont dal forte background tecnologico e dalla grande attenzione alle capacità di process design, ogni giorno siamo sollecitati a individuare soluzioni e prendere decisioni difficili in condizioni di incertezza. Le competenze tecnologiche, il know-how storico nell’ingegneria e nella chimica, insieme alla capacità di adattamento conquistata sul campo, sono i fattori chiave per ottenere risultati. Tutti i nostri Mottos rappresentano una diversa prospettiva del valore dell’imprenditorialità: saper cogliere le sfide, valorizzare le singole decisioni, essere adattivi e resilienti, combattere la burocrazia. Quando parliamo di “human capital intensive” – facendo riferimento ad aziende senza ruspe, senza navi, né catene di montaggio o presse – intendiamo un modello imprenditoriale agile, flessibile, internazionale. In un settore, quello del downstream delle risorse naturali, sempre più orientato a un terziario legato all’ingegno, alla digital transformation e ai grandi valori aggiunti della transizione energetica. L’antifragilità rappresenta forse il concetto più moderno di imprenditorialità, e di questo ne se siamo permeati. Siamo camaleontici e agili, come spiega bene il motto “Be Adaptive”. Nassim Taleb – filosofo libanese e saggista – nel suo best-seller “Antifragile” usa una metafora efficace: «Se salto giù dal balcone del teatro a 10 metri di altezza, il risultato è che probabilmente muoio o mi faccio molto male. Ma se divido quel salto in dieci parti, diventano dieci piccoli salti di un metro e per effettuarli ricorro alle stesse capacità che utilizzo per camminare normalmente. Provare e riprovare, fallire e ricominciare dovrebbero essere alla base del successo imprenditoriale, ma in alcune culture questo è praticamente un tabù. Invece dobbiamo abbracciare il fallimento come elemento determinante per il successo». In Maire Tecnimont riusciamo a vedere in ogni shock una potenziale opportunità. Due esempi su tutti. Il primo risale a quando KT, entrando nel Gruppo, ha perso la certezza di un mercato indotto e di un posizionamento definito. Invece di smarrirsi, la società si è ritagliata un ruolo di technology EPC contractor nel refining, moltiplicando per sette il fatturato e triplicando il personale. Il secondo esempio è relativo al doppio “cigno nero” rappresentato dalla pandemia. Maire Tecnimont ha avuto la visione di lanciare
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NextChem, società che opera nel campo della chimica verde e delle tecnologie a supporto della transizione energetica. NextChem è cresciuta come una start up al nostro interno, in un mercato che nessuno ancora aveva visto né occupato: per questo oggi siamo pionieri in questo ambito, riconosciuti a livello internazionale e coinvolti nella costruzione di impianti come la più grande raffineria del mondo per biocarburanti sostenibili per gli aerei che sorgerà a Grandpuits, in Francia. Come si fa a permeare ogni componente della squadra di questo fantastico spirito di imprenditorialità? E soprattutto come si fa a trasmetterlo alle nuove generazioni? Capacità comunicative ed empatia: coinvolgere tutti nel progetto e soprattutto nella visione, che altro non è che l’immagine mentale del risultato che vogliamo ottenere (come sarà, come funzionerà e cosa produrrà). Credo che un imprenditore, un manager – così come un insegnante o un coach – non debba mettersi alla ricerca di formule magiche per infondere la motivazione negli altri. Possiamo, questo sì, aiutare le persone a sfruttare al meglio le proprie risorse per raggiungere degli obiettivi condivisi e di cui si percepisca un senso. Con il nostro esempio, diffondendo la cultura dell’imprenditorialità, possiamo indicare una strada, trasmettere passione e competenze, far emergere il valore dell’auto-motivazione. È ovvio che “You go first!”, tu per primo dovrai coltivare la passione giusta per lavorare con un team di persone motivate. Le nostre azioni, i nostri risultati, la nostra storia professionale sono più efficaci di mille parole.
le corde emotive. Sempre Nassim Taleb, sul tema del “saper prendere le decisioni”, scriveva che è l’antifragilità a farci capire meglio la fragilità. «Così come non possiamo migliorare la salute senza attenuare la malattia, né accrescere il patrimonio senza prima ridurre le perdite, con il meccanismo dell’antifragilità possiamo creare un’ampia guida al processo decisionale in condizioni di incertezza negli affari, in politica e nella vita in generale. Ovunque prevalga l’ignoto, in qualunque situazione caratterizzata da casualità, imprevedibilità, opacità o da una comprensione parziale delle cose». In sintesi l’imprenditore è colui che, in mezzo alle difficoltà, genera per primo una visione. Non aspetterà di avere sotto controllo tutte le variabili: parte credendoci e strada facendo costruisce un percorso, una squadra con cui allineare la visione. Ecco perché Maire Tecnimont non è semplicemente una società: è la nostra società!
Andrea Vena Maire Tecnimont Europe Region Vice President and KT Commercial Vice President
Mi piace la definizione “dobbiamo essere i custodi della meta” intesa come risultato finale. Non mi stancherò di parlare con le nostre persone, indicando la via e toccando
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EVOLVE | STRATEGIE
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VISIONE DA STARTUP UNA
nche se le aziende non rappresentano generalmente il posto ideale per fare lo startupper, personalmente sostengo che, nonostante le difficoltà che ho descritto, si possa diventare imprenditori all’interno di un’organizzazione pur senza mettersi in proprio». Roberto Battaglia, responsabile HR Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo, è l’autore di “Startupper in azienda”. In questo saggio – molto illuminante, uscito a inizio 2021 – Battaglia sostiene che per non disperdere il potenziale nascosto dobbiamo consentire alle persone di dare consigli non richiesti e prendersi la libertà di “uscire dal seminato”.
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Come prima tappa del viaggio che ci porterà a conoscere ambiti e strumenti con cui le aziende e il gruppo Maire Tecnimont stanno disegnando il proprio futuro
«NON È VERO CHE I MANAGER NON SERVONO PIÙ. SERVONO PIÙ LEADER ISPIRATORI». PER CAPIRE COME LIBERARE IL POTENZIALE IMPRENDITORIALE NASCOSTO NELLE ORGANIZZAZIONI, ABBIAMO ANALIZZATO IL LAVORO DI SIMON SINEK, ROBERTO BATTAGLIA ED ERIC RIES. SCOPRENDO CHE I CLIENTI NON COMPRANO QUELLO CHE FAI, MA IL PERCHÉ LO FAI. N° 7 - LUGLIO 2021
di imprese del terzo millennio, siamo partiti in maniera analoga ai numeri precedenti. Analizzando cioè il lavoro editoriale di autorevoli esperti, convinti che la cultura e i principi del management imprenditoriale trasformino le aziende in organizzazioni capaci di promuovere una crescita a lungo termine. Cogliendo così tutte le opportunità del XXI secolo. Insieme al pensiero di Roberto Battaglia (che approfondiremo con un’intervista a parte nelle pagine successive) troverete disseminate qua e là alcune pillole tratte da “La startup way” di Eric Ries e da “Trova il tuo perché” di Simon Sinek. Eric Ries è imprenditore e creatore della metodologia Lean Startup, diffusa nel business a livello globale e adottata da persone e aziende di tutto il mondo. Con il precedente libro “The Lean Startup” del 2011 (tradotto in italiano con il titolo “Partire leggeri”) Ries ha venduto più di un milione di copie ed è stato tradotto in più di trenta lingue. Dopo aver maturato esperienze in compagnie come GE o Toyota, ne “La startup way” Ries applica i segreti della Silicon Valley alle aziende consolidate di ogni settore, spiegando che ognuno di noi oggi dovrebbe essere in “modalità startup”.
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In “Trova il tuo perché” Simon Sinek – consulente di marketing e autore di diversi libri sui temi della comunicazione e della leadership – sostiene che per ispirare gli altri non basta spiegare quello che facciamo, ma bisogna rendere chiaro il motivo per cui lo facciamo: «La cultura economica – dice Sinek – sta cambiando: la gente non compra quello che fai, ma il perché lo fai. Trovare il motivo delle nostre azioni è la chiave per la realizzazione personale a qualunque livello, dalle boardroom delle grandi aziende al cuore dei giovani che stanno cercando lavoro». Per Sinek sentirsi realizzati è un diritto, non un privilegio. «Tutti abbiamo il diritto di alzarci alla mattina sentendoci motivati ad andare a lavorare, e di rientrare a casa la sera sentendoci realizzati per quello che abbiamo fatto». Il segreto per ottenere questo tipo di soddisfazione risiede nella capacità di comprendere esattamente perché facciamo quello che facciamo. Scrittore e saggista inglese, Simon Sinek ha lavorato molto sull’approccio dei giovani al mondo del lavoro. Il suo target di riferimento sono appunto i Millennials – all’incirca le persone nate tra il 1984 e il 2000 – e il riassunto della sua teoria è diventato celebre in un’intervista di qualche anno fa, nella quale Sinek spiegava che tendenzialmente i giovani credono che tutto gli sia dovuto: «Non sono felici, gli manca sempre qualcosa. Troppi di loro sono cresciuti sotto l’effetto di strategie di educazione familiare fallimentari, perché è stato sempre detto loro che erano speciali e che potevano avere qualunque cosa dalla vita. Quando trovano un lavoro e arrivano nel mondo reale, in un istante scoprono che non sono affatto speciali, che la mamma non può fare avere una promozione, che se arrivi ultimo non ti danno alcuna medaglia e che non basta volere qualcosa per ottenerlo». Essere cresciuti in un mondo fatto di gratificazioni istantanee, secondo Sinek, non aiuta: «Vuoi comprare qualcosa? Basta andare su Amazon e con un clic ti arriva il giorno dopo. Vuoi guardare un film? Con un login non serve più consultare gli orari del cinema. Vuoi guardare una serie tv? Non serve aspettare le nuove puntate ogni settimana, basta guardarsele tutte di fila. Questo sistema di gratificazioni istantanee non funziona però sul lavoro, né aiuta a creare relazioni stabili nella propria vita. Per questo non c’è una app, sono processi lenti, oscuri, spiacevoli, incasinati. In altre parole, per lasciare un segno serve pazienza, non si può arrivare in cima senza curarsi della montagna. Imparare ad avere pazienza è la chiave per accettare meglio se stessi e il fatto che le eventuali cadute (o persino i fallimenti) faranno parte del percorso. Con la complicità di un ambiente di lavoro che la sappia apprezzare – conclude Sinek – la pazienza è una soft skill che vale la pena mettere al centro del proprio atteggiamento».
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PILLOLE DI IMPRENDITORIALITÀ
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INNAMORARSI DI UN PROBLEMA L’imprenditore interno (intrapreneur) ha bisogno di un ambiente abilitante per fare lo scatto e manifestarsi. Occorre creare un contesto aperto che permetta alle persone di iniziare qualcosa, di testare, di sbagliare e imparare. Di spaziare per “inciampare” in problemi da risolvere, anche non suoi. Ci vuole la cultura del permettere ad altri di farsi gli affari tuoi. Deve essere possibile per tutti innamorarsi di un problema e sapere che gli verrà permesso di conoscerlo, sorprenderlo e risolverlo, realizzando qualcosa di nuovo, di originale. [Roberto Battaglia]
RISORSA UMANA O MACCHINARIO? Un’organizzazione efficace è una comunità di esseri umani, non una raccolta di risorse umane. La “risorsa uomo” in azienda rimane tecnicamente un fattore produttivo: ma trattarla alla stregua di tutte le altre materie prime o macchinari, non rende giustizia della vera essenza che tutti stiamo cercando di far emergere. [Roberto Battaglia]
IL SENSO DI REALIZZAZIONE Quando la felicità è legata solo a ciò che facciamo per noi stessi, diventa passeggera. È il senso di realizzazione che deriva dal fare qualcosa per gli altri che dura nel tempo. Il problema sorge quando non c’è equilibrio tra la ricerca della felicità e quella del senso di realizzazione. Non è una questione di filosofia, è una questione di biologia. [Simon Sinek]
IL DILEMMA DELL’IMPRENDITORE
PREGIUDIZI E BARRIERE
Aditya Agarwal – presente in Facebook quando l’impresa crebbe da 10 a 2.500 dipendenti, oggi vicepresidente del dipartimento di ingegneria di Dropbox – spiega la sua visione del dilemma imprenditoriale: «Uno dei motivi per cui è difficile costruire cose nuove nelle imprese più grandi è che le persone non hanno una mentalità del tipo “Il mio lavoro consiste nell’imparare cose nuove”. La mentalità si riduce a “Divento bravo a fare una determinata cosa e continuo a fare quella”. Ma così significa replicare una struttura che nel tempo diventa antiquata: il mestiere si perfeziona ma non progredisce». [Eric Ries]
Sono molti i pregiudizi che frenano lo sviluppo di una cultura imprenditoriale all’interno delle imprese (intrapreneurship). Pregiudizi che si alimentano di un’immunità al cambiamento, che ergono barriere spesso invisibili per proteggere silos organizzativi e persone orgogliose della propria specializzazione e autoreferenzialità. Principali pregiudizi? Gli intrapreneurs sono dei lupi solitari. Solo i creativi diventano intrapreneurs. Il miglior approccio per il management è non occuparsi degli intrapreneurs. I laboratori di innovazione sono il miglior posto dove ospitare gli intrapreneurs. [Roberto Battaglia]
INNOVARE PARTENDO DAI BISOGNI L’obiettivo della metodologia The Lean Startup non è risparmiare sulla produzione, ma produrre innovazione solo se (e quando) gli utenti ne hanno bisogno. Se una proposta di innovazione non viene subito accettata dal mercato, è solo uno spreco di tempo e di risorse e quindi va velocemente abbandonata. Ecco perché, per innovare, è meglio partire dai bisogni dell’utente. [Eric Ries]
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FALLIMENTI A COLAZIONE Un giorno, in una riunione con dei manager di una multinazionale tradizionale, sono stato distratto da una tazza poggiata sulla scrivania di uno di questi. Sulla tazza era scritto “Il fallimento non è contemplato”. Ho pensato subito che nel mondo delle startup nessuno avrebbe potuto avere una tazza simile: sarebbe stato ridicolo. Ho pensato ai migliori imprenditori che conosco: sulla loro tazza avrei visto bene una scritta del tipo “Mangio fallimento a colazione!”. [Eric Ries]
PARTIRE DAL PERCHÉ Conoscere il proprio PERCHÉ non significa essere automaticamente in grado di comunicarlo: la maggior parte di noi è abituata a comunicare attraverso i CHE COSA. È come imparare ad andare in bicicletta, all’inizio ci si sente goffi. Partire dal PERCHÉ non è diverso, una volta capito come si fa diventerà naturale. Quando ci chiedono “Di cosa ti occupi?”, aggiungiamo il nostro perché. La mia risposta potrebbe essere: «Collaboro con leader che vogliono creare organizzazioni dove le persone sono al primo posto (COSA). Sono convinto che se un certo numero di aziende farà come noi, riusciremo a cambiare il mondo (PERCHÉ)». Ciò che conta è che troviate un modo per dire agli altri chi siete e per cosa lottate. [Simon Sinek]
FATTO È MEGLIO DI PERFETTO Come dice Mark Zuckerberg nel suo famoso manifesto: «Cerca di sviluppare i migliori servizi nel lungo periodo, effettuando una serie di rapide release e traendo insegnamenti da piccole iterazioni. Non tentare di fare tutto nel modo giusto al primo colpo. Abbiamo lo slogan “Fatto è meglio di Perfetto” dipinto sulle pareti dei nostri uffici per ricordarci di continuare a sfornare nuove versioni del nostro prodotto». [Eric Ries]
STARTUP DA 75.000 PERSONE Zhang Ruimin – fondatore e CEO di Haier, multinazionale dell’elettronica di consumo – ha distribuito le 75mila persone che lavorano nel gruppo in oltre quattromila microimprese indipendenti, formate da non più di 10-15 persone l’una. «Il nostro agglomerato – dice Ruimin – è una startup da 75mila persone dove ogni microimpresa può, in assoluta autonomia, prendere decisioni, assumere talenti e distribuire compensi. All’interno di questa cornice i team agiscono in modo competitivo». Due gli elementi dirompenti di questa impostazione: ogni azione si traduce in logica di mercato; il baricentro delle politiche di remunerazione si sposta dal top management al cliente. [Roberto Battaglia]
NON TUTTO È MISURABILE Sarebbe meraviglioso se il mondo degli affari fosse governato da leggi scientifiche, ma purtroppo non è così. Sebbene alcuni elementi siano prevedibili e misurabili, la vita di un’impresa è determinata spesso da fattori imprevedibili e immateriali. Il PERCHÉ è lo strumento che può rendere chiaro ciò che è confuso, concreto ciò che è astratto. Non appena un’azienda formula il suo PERCHÉ, la sua cultura aziendale si fa più concreta e diventa immediatamente chiaro quali siano le scelte giuste da fare. [Simon Sinek]
FARE SOLDI NON PORTA LONTANO C’è uno stuolo di aziende il cui unico obiettivo è fare soldi, ma ciò non vuol dire che sia il loro PERCHÉ. “Fare soldi” non è un modo per perseguire uno scopo superiore, è solo un risultato. Le organizzazioni che indicano come PERCHÉ un risultato non sono quasi mai posti dove è bello lavorare. Pensare solo ai profitti funziona nel breve periodo, ma quel successo non è destinato a durare nel tempo. Quelle aziende non possono sperare di generare la stessa lealtà, fiducia e innovazione di un’organizzazione che persegue uno scopo più alto. [Simon Sinek]
Brani tratti da: • Roberto Battaglia, “Startupper in azienda”, Egea • Eric Ries, “La startup way”, Franco Angeli • Simon Sinek, “Trova il tuo perché”, Vallardi
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POTENZIALE NASCOSTO
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er le persone che operano a vari livelli in un’organizzazione, in che modo l’esperienza Covid-19 ha cambiato la modalità di esprimere al meglio le proprie capacità? Affermare che il lavoro sia un’occasione di espressione e quindi di innovazione è un’idea rimasta intatta o va ripensata diversamente?
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Il lavoro al tempo della pandemia ha certamente fatto emergere degli effetti collaterali legati alla remotizzazione forzata. Ha però consentito di scoprire modi nuovi di fare le cose, in un contesto caratterizzato da molti vincoli. Proprio questi ultimi sono stati, a mio parere, l’elemento che ha costretto un po’ tutti a riscoprire risorse inespresse, sia di natura personale sia di tipo organizzativo. Il lavoro come opportunità di esprimere tutte le proprie capacità è sempre stata una questione cruciale, talvolta influenzata da condizioni organizzative, ambientali e culturali. Finita l’emergenza avrebbe poco senso riproporre o addirittura ricercare la “vecchia” normalità di un tempo. Alla luce dell’esperienza di quest’ultimo anno, sono convinto che il concetto stesso di innovazione debba cambiare significato. Meno costretta all’interno di schemi precostituiti e più in grado di far leva sulle capacità che stanno, spesso nascoste, fra le pieghe delle organizzazioni.
Parlando di talento, lei ha scritto una cosa molto interessante: talenti mediocri hanno bisogno di direttori, grandi talenti hanno bisogno di abilitatori. Inoltre sostiene che «il talento non basta e la fortuna non esiste, il talento non si forma, si sfida». Per evitare sprechi di risorse e aiutare le persone a trovare il proprio “perché”, in che modo le imprese e gli HR dovrebbero ripensare il loro modo di gestire le idee? Quanto spazio va lasciato alla sperimentazione? Quanta fiducia alle intuizioni dei dipendenti? Sono convinto che le imprese e, in generale, chi ha responsabilità di persone debbano prendere una posizione su questo. La tendenza alla microgestione è sempre stata un tratto talvolta presente nelle organizzazioni, attuata in particolare da manager che non riuscivano a gestire le cose senza avere il controllo diretto e a vista. Uso non a caso il passato perché se c’è una parola che ha caratterizzato questo anno e mezzo, passato più o meno lontano dai tradizionali luoghi di lavoro, è proprio “fiducia”. Tutti abbiamo dovuto dare più spazio e autonomia a collaboratrici e collaboratori che in molte situazioni non erano più
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fisicamente presenti in ufficio. Oggi le imprese hanno un impellente bisogno di ripensarsi per affrontare il nuovo quadro che abbiamo di fronte, che spesso è indecifrabile. Servono quindi approcci sperimentali dove il contributo delle persone è fondamentale. È un modo per fare leva sul talento latente che porta a fondare un nuovo patto fra azienda e persone. Ciò non consente solo di accelerare i processi di innovazione, ma costituisce la base per cambiare la cultura e far diventare la propria impresa un posto ancora più bello dove lavorare. Dove la fiducia non è una concessione temporanea indotta dagli eventi, ma un combustibile in grado di aumentare la spinta vitale a reimmaginare il mondo che ci aspetta.
Il focus di questo numero di EVOLVE coincide con il tema che lei ha affrontato nel suo libro “Startupper in Azienda”: not just the company, this is your company. Spesso nelle aziende ci sono persone
INTERVISTA A ROBERTO BATTAGLIA, TRANSFORMATION LEAD NELLA DIVISIONE IMI CORPORATE & INVESTMENT BANKING DI INTESA SANPAOLO, AUTORE DI “STARTUPPER IN AZIENDA”. «LA FIDUCIA? NON È UNA CONCESSIONE TEMPORANEA INDOTTA DAGLI EVENTI, MA UN COMBUSTIBILE IN GRADO DI AUMENTARE LA SPINTA VITALE A REIMMAGINARE IL MONDO CHE CI ASPETTA».
STRATEGIE | EVOLVE
Chi è il cosiddetto “intrapreneur” e perché il suo ruolo è importante?
con qualità imprenditoriali, ma difficilmente riescono ad emergere. Oltre ai sopracitati spazi di espressione creati dalle aziende, in che modo le persone – per esprimere il loro potenziale – devono essere pronte a occupare questi spazi? Quanto impegno e coraggio serve per vincere il timore di essere giudicati? Se l’azienda è disposta a creare questi spazi in modo autentico e non episodico, siamo a metà dell’opera. A questo punto le persone hanno due possibilità: rimanere in osservazione passiva (perdendo molte opportunità di crescita) oppure “uscire allo scoperto” e utilizzare questi spazi. Per fare questo passo serve certamente coraggio e impegno, perché l’idea di andare oltre il proprio mandato non è culturalmente condivisa da tutti nelle organizzazioni. Oggi nelle aziende, specialmente in quelle molto strutturate, si pone il tema di come rendere visibili i talenti che le abitano. Lo chiedono le persone che spingono dal basso per agganciare l’ascensore professionale, ma ne ha bisogno anche il vertice strategico per accompagnare in modo nuovo la crescita dell’impresa. Dobbiamo allora guardare a questo impegno in logica reciproca: dal lato delle persone non preoccuparsi di sentirsi giudicati, dal lato aziendale imparare a non giudicare con gli approcci tradizionali.
Quando lei parla di “cassetta degli attrezzi” per trasformare problemi e sfide in soluzioni concrete, a che cosa si riferisce? Può farci qualche esempio? La cassetta degli attrezzi di cui parlo è fatta di regole del gioco per gestire lo spazio di espressione e di strumenti che, nel caso dell’esperienza che stiamo conducendo da quattro anni in Intesa Sanpaolo, è costituita da approcci metodologici come Design thinking e Lean startup. Conoscerli consente non solo di trasferire le loro caratteristiche di sperimentalità, iteratività, agilità e concretezza nella realtà lavorativa, ma anche di utilizzare un approccio comune all’analisi dei problemi, all’individuazione e alla validazione delle ipotesi di soluzione. Oltre a questo c’è però un tema preliminare molto più rilevante da affrontare; riguarda la definizione del livello di ambizione e soprattutto la scelta di un modello di intrapreneurship coerente con gli scopi che l’azienda intende perseguire quando pensa di avviare iniziative come queste. Il mio consiglio è quindi certamente di investire sulla conoscenza degli strumenti perché creano le condizioni per generare una maestria e una mentalità applicabile nei diversi contesti professionali, ma di non trascurare la coerenza rispetto alle finalità.
È il collaboratore o la collaboratrice del futuro perché incarna tutte le caratteristiche (spirito d’iniziativa, assunzione di un rischio, immaginazione, collaborazione, networking, resilienza di fronte ai fallimenti, ecc.) che sono sempre più le competenze di chi avrà (e dovrebbe avere già oggi) il compito di guidare i diversi gangli dell’azienda. Il tema è importante non solo per i suoi risvolti manageriali, ma anche perché tutto ciò può creare le condizioni per dare alle organizzazioni nuove forme, meno legate alla logica gerarchica che abbiamo ereditato dalla fabbrica fordista e sempre più a una rete composta da nodi intelligenti che fanno leva sull’autonomia e sulla collaborazione, sprigionando così tutta la potenzialità esistente.
Ultima domanda di backstage. Il suo libro è molto particolare, non solo nei contenuti ma anche nella struttura grafica, progettata per una lettura a più livelli. Scrivendolo, ha pensato di rivolgersi soltanto a CEO e manager? E se – come ha detto – non rappresenta uno “sfoggio di competenze”, di fatto in cosa si è trasformato? Non ho pensto solo ai decisori d’azienda, anche se rappresentano un destinatario importante. Ho pensato anche alle persone interessate a far emergere e valorizzare il proprio potenziale nascosto per cercare di cambiare il loro destino professionale, insieme a quello delle organizzazioni per cui lavorano. Ho, per la verità, scoperto recentemente un’altra tipologia di lettori: i giovani che più che imparare come si genera una startup, hanno bisogno di ragionare e agire in modo imprenditoriale nella ricerca del lavoro futuro. Il dialogo che sto sviluppando in questi mesi con imprenditori, manager, professional e giovani, va nella direzione che avevo immaginato per questo libro: fornire un contributo al dibattito su come le aziende con le loro persone dovrebbero attrezzarsi per affrontare in modo consapevole le sfide complesse del tempo che viviamo. E che ci apprestiamo a vivere terminata questa emergenza.
Roberto Battaglia Transformation Lead nella Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo. Ha maturato una significativa esperienza nel campo del Personale, dell’Organizzazione e dell’Innovazione in diverse aziende bancarie. Ha guidato, fra le ultime tappe della sua carriera professionale in Intesa Sanpaolo, la Formazione di Gruppo, la Cultura e Sviluppo dell’Innovazione nell’ambito dell’Innovation Center e, fino a luglio 2021, la Direzione del Personale della Divisione IMI Corporate & Investment Banking.
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MODELLI SCARDINATI SECONDO MARCO BENTIVOGLI, UNO DEI MASSIMI ESPERTI ITALIANI DI TEMATICHE DEL LAVORO E ATTENTO OSSERVATORE DELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE, LA PANDEMIA HA DATO UNA SPALLATA AI VECCHI MODELLI D’IMPRESA, AL SISTEMA MANAGERIALE E AL MONDO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE. FACENDO DA SPARTIACQUE TRA AZIENDE DINAMICHE E ORGANIZZAZIONI STATICHE.
Marco Bentivogli Fino a luglio del 2020 è stato segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici (FIM CISL). Dopo oltre un ventennio di attività sindacale – nel quale ha seguito importanti vertenze industriali (FCA, Alcoa, Ilva, Whirlpool) e le trattative del contratto dei metalmeccanici – nel settembre dello scorso anno Marco Bentivogli ha dato vita, insieme al professor Luciano Floridi, all’associazione Base Italia, una start-up civica per promuovere la partecipazione e l’impegno civile, laboratorio di studi e ricerche in materia di lavoro, assistenza, sicurezza, salute, istruzione e formazione, ambiente, finanza ed economia. Con lo stesso obiettivo – sviluppare e promuovere le varie potenzialità del Paese – collabora con testate (Foglio, Repubblica, Fortune, Sole24Ore) e ha scritto libri tra cui «Abbiamo rovinato l’Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato» (2016), «Contrordine Compagni, manuale di resistenza alla tecnofobia», «Europa, non rimanere da sola!», «Fabbrica Futuro» (tutti nel 2019). L'ultima pubblicazione è del 2020: «Indipendenti: guida allo smart working». È componente della Commissione per l’elaborazione di una strategia sull’Intelligenza Artificiale e sullo stesso tema del Gruppo di lavoro della Pontificia Accademia per la vita.
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a tragedia della pandemia? Ha suonato la sveglia a chi non ha capito che il lavoro è cambiato e che servono categorie analitiche completamente nuove per disegnare il nuovo contesto». Non è uomo di frasi edulcorate Marco Bentivogli, tra i massimi esperti in Italia sulle tematiche del lavoro, passato alla storia del sindacato come il principale fautore della rivoluzione Industria 4.0. EVOLVE lo ha incontrato per fare il punto sull’impatto del Covid nelle imprese e per individuare soluzioni in grado di riqualificare il capitale umano in una logica di cultura imprenditoriale. Al netto – questo è emerso nell’intervista – di una trasformazione digitale impellente che, sull’onda della pandemia, costringerà il sistema produttivo ad accelerare sull’adozione di tecnologie 4.0 e sulla necessità di sistemi di automazione più avanzati.
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«Il lockdown, le chiusure, il lavoro a distanza – spiega Bentivogli – hanno messo in luce alcune vulnerabilità finora sconosciute alle imprese. Se guardiamo alla gestione del lavoro agile (spazi comuni, distanziamenti, smart working) dobbiamo capire che ci troviamo di fronte a una grande sfida di sostenibilità per riprendersi la vita, il suo tempo, il suo spazio e costruire un lavoro migliore. Il rapporto fra manager e lavoratore si ridisegna intorno al tema della fiducia, in quanto non più fondato sulla presenza fisica e sul numero delle ore di servizio, ma sui risultati ottenuti. I concetti di autonomia e libertà iniziano a sostituire la tradizionale cultura del “controllo”, ancora oggi prevalente in gran parte delle aziende. Affrontiamolo senza indugio questo processo di innovazione dell’impresa e dell’organizzazione del lavoro, delle città, della vita: se questa sfida coinvolgerà tutti, approderemo insieme a un cambiamento prima culturale e poi organizzativo». Nel suo libro “Indipendenti: guida allo smart working” pubblicato nell’agosto del 2020, l’autore metteva in luce i vantaggi del lavoro agile senza però trascurare i pericoli di un utilizzo improprio: «Lo smart working
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è un lavoro “intelligente” perché valorizza la reciprocità e trasferisce quote di responsabilità e libertà alle persone, favorendo il loro benessere e la produttività. Ma l’emergenza Coronavirus sta rappresentando uno spartiacque unico, un crocevia di grandi trasformazioni: quelle che l’Italia non è ancora stata in grado di cogliere appieno, specie sul fronte dell’innovazione digitale. Lo smart working d’altronde non riguarda solo i lavoratori: cambierà l’impresa, la mentalità, le gerarchie, le culture organizzative. Da opportunità ora è diventato una necessità urgente». Nel panorama delle aziende, l’effetto spartiacque ha reso evidente la differente capacità di ripresa tra chi si era mosso in anticipo rispetto ai cambiamenti in corso (è il caso del gruppo Maire Tecnimont che dal 2016 ha iniziato a parlare di smart working, facendosi trovare pronta con un modello flessibile e tecnologicamente già testato) e chi invece aspetta sempre gli eventi per muoversi e cambiare. Dice Bentivogli: «Tra pronte e non pronte, molte imprese hanno velocemente maturato l’idea di approntare nuove cabine di regia interne per gestire le crisi. Iniziare a lavorare su resilienza e stabilità scongiurerà possibili impatti e blocchi, sia lungo la filiera che nell’ambito produttivo vero e proprio. In questi mesi la pandemia ha accelerato la ricerca e la messa a punto di soluzioni cloud, intelligenza artificiale, blockchain, realtà aumentata, IoT. In Asia, dove la seconda ondata ha avuto minori impatti economici rispetto all’Occidente, le imprese hanno operato una grande accelerazione tecnologica per mantenere la governance della filiera e non dipendere dalla loro supply chain. Multinazionali come Hyundai, Kia, Toyota hanno capito che era il momento di fare magazzino in vista della ripartenza: questo gli ha permesso di non risentire della carenza di materie prime e componenti (come i microchip), evitando così blocchi alla produzione. A livello generale, l’accelerazione è avvenuta anche in settori che erano lontani dal digitale: penso a imprese ancora gestite secondo un modello fordista, basate sul paradigma del controllo. Per fortuna sta cambiando l’intera idea di produttività e si inizia a investire in base al cosiddetto “ingaggio cognitivo” delle persone. Stiamo assistendo a un cambiamento della cultura organizzativa nel suo complesso, dove le gerarchie vengono ricostruite
in funzione del lavoro che cambia. Organizzando spazi diversi per smart e co-working, l’azienda diventa il luogo che genera e fertilizza gli ingredienti necessari a valorizzare l’identità del lavoratore: ovvero libertà, responsabilità, autonomia, fiducia. Se mancano questi ingredienti, è come fare la pizza senza la farina...» Proprio il settore dell’Internet of Things è di grande supporto per lavori industriali da remoto, con benefici sia per le figure di staff che per i tecnici in prima linea. «In Nokia Italia – dice Bentivogli – fino a un mese fa non solo quasi tutti gli impiegati erano in smart working. Anche il 95% dei tecnici di laboratorio che operano sugli apparati dei nuovi 5G poteva lavorare grazie a una postazione tecnica da remoto. Il caso più clamoroso è forse quello di alcune miniere cinesi. A settembre scorso si è saputo che in Henan, nella Cina centrale, anche i minatori avevano iniziato a lavorare senza più calarsi nei cunicoli, guidando i macchinari a distanza con un sistema basato su telecomunicazioni 5G. Va da sé che per un minatore cambia tutto se può iniziare a operare da postazioni protette e sanificate, mantenendo il distanziamento sociale e replicando i comandi originali con barre di comando e pannelli di controllo simili a joystick... Da pesantemente usurante, il lavoro diventa più sostenibile anche dal punto di vista fisico».
Umanesimo del lavoro e azienda comunitaria Per gran parte del capitalismo internazionale, si intuisce dalle parole dell’ex segretario generale dei metalmeccanici, si sta giocando la partita più importante degli ultimi decenni. La pandemia ha costretto tutti a riflettere intorno a un cambio radicale della cultura d’impresa, consapevoli che le operazioni di facciata non reggono più a fronte di un reale
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e urgente bisogno di miglioramento delle realtà produttive. «È come per la sostenibilità – dice Bentivogli – non bastano maquillage superficiali o normali aggiornamenti, troppo spesso scambiati per “innovazioni di processo”. Come scriveva Jared Diamond nel suo “Armi, acciaio e malattie”, penso che non esista innovazione senza discontinuità, che nella gradualità non c’è vero cambiamento perché gli effettivi processi di innovazione sono molto “disruptive”. E in un lavoro, come dico spesso, a “umanità aumentata” serve un “umanesimo industriale” che accolga questo tipo di professionalità. Cosa intendo? Trattare le persone da adulti, farle stare in un ambiente che favorisca le sfide, lavorare a fondo su un contesto generativo di responsabilità e autonomia e su questo costruire relazioni sociali comunitarie. D’altronde cos’è che ci distingue di fronte a robot, macchine e algoritmi? La nostra componente umana, il pensiero strategico, critico, laterale: tutte quelle capacità molto umane e innovative di saper uscire dagli schemi abituali». Il discorso scivola sulla riscoperta della dimensione di “Azienda Comunitaria” come elemento di produttività: l’impresa che sa riscoprirsi comunità, sa unire i punti, coordinare le proprie energie interne senza sciuparle, custodisce meglio di altre il capitale umano valorizzandone il ruolo e aumentando la qualità delle mansioni distribuite. «Quello della partecipazione dei lavoratori alle strategie aziendali – aggiunge Bentivogli – è un tema non più rinviabile. Basta guardare al Nord Europa, dove i vertici non ascoltano soltanto gli azionisti, ma registrano e analizzano le voci anche dei lavoratori organizzati: alla fine tutti capiscono che è un gioco win-win, dove sia i manager che i dipendenti crescono nel loro senso di appartenenza imprenditoriale all’organizzazione che li accoglie. Ci sono ricerche, come quelle svolte dal Max Planck Institute, che attestano l’importanza della partecipazione condivisa: laddove top manager e sindacato interno lavorano insieme, aumenta la crescita e la qualità del lavoro. È ovvio: il sindacato è meno rivendicativo perché è informato, non è costretto ad apprendere dai giornali quello che succede nella propria azienda. Si alza il punto di incontro tra impresa e lavoro organizzato. Lavoratori e manager si sentono responsabilizzati al pari degli azionisti, non solo in chiave di sostenibilità, ma anche su temi finanziari e industriali per mantenere l’azienda competitiva e quindi redditizia sul mercato». L’idea di impresa comunitaria in Italia aveva preso forma già negli anni Cinquanta con le idee di Adriano Olivetti. «Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?».
Così affermava Olivetti nel discorso ai lavoratori pronunciato in occasione dell’inaugurazione del nuovo stabilimento a Pozzuoli nel 1955. Parole riconducibili a un ideale di impresa capace di porsi, in modo diverso dal capitalismo e dal socialismo, i problemi dell’uomo e della società. Un’impresa in grado di costituire una realtà unica con il territorio e con i lavoratori nella sostanziale condivisione delle finalità del lavoro della fabbrica e nella piena fiducia nel contributo stesso di ogni donna e di ogni uomo, alimentato da valori spirituali e culturali. Si tratta della centralità, nella prospettiva olivettiana, della persona e della comunità. Aggiunge Bentivogli: «I nostri imprenditori e manager dovrebbero rileggere ciò che scriveva Olivetti ispirandosi al filosofo francese Jacques Maritain o ad altri pensatori come Emmanuel Mounier e Denis de Rougemont. In quelle pagine c’è tutto il significato del “senso” che diamo al lavoro, della motivazione che ci spinge ogni mattina ad andare in fabbrica o in ufficio a svolgere il nostro compito per raggiungere degli obiettivi di squadra. Già allora si era capito che un’impresa seria non riesce a creare un vero senso di comunità aziendale se continua a focalizzarsi soltanto sugli incentivi economici. È il clima aziendale a fare la differenza, l’attenzione ai rapporti e alla solidarietà, la possibilità di dare ai giovani e ai talenti di ogni età nuove opportunità dinamiche e non strade chiuse e vincolate. Ho prove evidenti che le nuove generazioni stiano maturando un nuovo approccio al lavoro: per loro conta molto la valorizzazione dell’impegno e del merito, il sentirsi una sorta di brand personale che gioca all’interno di una squadra più grande, con una visione unica e una missione che dà senso al quotidiano. Anche per questo la prospettiva personalista comunitaria resta la più avanzata».
Capovolgere i vecchi modelli formativi Un ultimo fronte scoperchiato dalla pandemia è quello dell’arretratezza sia del sistema scolastico che di gran parte dei modelli di formazione professionale. In un processo di cambiamento sempre più veloce, fra le ricette utili per evitare che l’innovazione non lasci vittime per strada, il cavallo di battaglia di Marco Bentivogli si chiama diritto soggettivo alla formazione. «A volte, per incalzare la discussione,
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il passo all’industria 4.0. «Il nostro sistema scolastico è superato, la nostra formazione professionale è ancora legata al pensiero fordista. Quando vado in Confindustria mi viene voglia di stracciare quei cataloghi formativi: non è come andare in pizzeria e scegliere da un listino “competenze digitali” o “saldatore professionale”. È un processo da adattare alle persone, va capovolto il metodo partendo da un assessment delle competenze delle persone: oggi esistono sistemi digitali in grado di elaborare il posizionamento di una risorsa anche più volte all’anno. Dopodiché le analisi dei fabbisogni formativi serviranno a colmare i gap e a inserire le persone in percorsi tagliati su misura. Quando tutto questo viene messo a sistema e confrontato con la strategia d’impresa, allora si determina un’offerta formativa in linea con i nostri tempi».
sostengo che bisognerebbe tassare l’ignoranza. In realtà è per sottolineare come il diritto soggettivo alla formazione dovrebbe essere inserito in tutti i contratti di lavoro, anche in quelli più brevi, come un vero e proprio diritto delle persone. Mettiamo da parte una volta per tutte i vecchi sistemi di inquadramento professionale, con mansioni superate e non riscontrabili fra i lavoratori del terzo millennio. Inseriamo elementi e occasioni di maggiore cooperazione, dove le persone capiscono che nell’ambito di un team esiste un percorso preciso per la loro crescita. Dove passare dalle mansioni ai profili serve a poco, bisogna mettere da parte mansionari e profili e costruire matrici tridimensionali che si avvicinino ad ogni persona. Non solo, è conveniente spingere i lavoratori verso la competizione interna? Sono dinamiche superate, che non generano passione ma al contrario deprimono le energie. Solo se noi “potenziamo” gli esseri umani, anche con grandi ed efficaci progetti di riqualificazione, possiamo consentire alle persone di evitare di finire tra gli “scarti” del progresso, diventando invece loro stessi il centro della trasformazione». Il dibattito è aperto, testimonia Bentivogli, su come generare nuovi modelli formativi e di apprendimento. Possibilmente non uguali per tutti ma sartoriali, visto che le dinamiche di produzione fordista stanno lasciando
C’è ancora il tempo di parlare di reskilling formativo, tema ricco di criticità come i precedenti. «Non possiamo ignorare l’adattività verso le persone – dice Bentivogli – Se prendo un “ragazzo” di 64 anni e lo risbatto in aula a fare formazione, anche se di buona qualità, lui la vivrà malissimo perché sono 45 anni che non tornava a sedersi dietro un banco... In Italia stentiamo a capire che istruire le persone con queste modalità è inefficace. Per trattenere i talenti e i manager che hanno ancora molto da dare, non dobbiamo instradarli su un binario morto ma farli sentire in un luogo che li aiuterà a crescere e a certificare le competenze acquisite. La riprova è in quegli ambiti dove il ricambio generazionale si è rivelato traumatico: prendiamo il cosiddetto settore “bianco”, quello degli elettrodomestici, dove l’Italia aveva una leadership internazionale. Dopo due generazioni che hanno fatto l’impero, la terza lo ha... dilapidato perché si è trovata schiacciata su due fronti antiquati: da una parte il vecchio modello gerarchico dell’imprenditore di famiglia, accentratore e poco propenso a delegare; dall’altra un sistema di business school che non prepara fino in fondo a governare le nostre imprese medio-grandi. Risultato finale? Un corto circuito organizzativo che non si adegua né al mercato né alla concorrenza». Viene da chiedersi allora se le imprese che crescono in modo non lineare – modello start up californiane, con approccio Data-Driven – sostituiranno in blocco quelle tradizionali. «Non necessariamente – conclude Bentivogli – perché la sfida è quella di innestare elementi “smart” senza snaturare il nostro patrimonio aziendale. Prendendo spunto da organizzazioni agili e competitive, che sanno maneggiare l’innovazione e sono pronte al vento dei cambiamenti, dobbiamo osservare e mutuare alcuni modelli di governance e gerarchia interna. A quel punto capiremo meglio come la flessibilità dei manager diventi un vero e proprio punto di forza dell’impresa stessa. Una base per diversificare il business e contaminare positivamente l’intero ecosistema. La Chrysler e la Fiat che furono di Lee Iacocca e Gianni Agnelli oggi possono fondersi anche grazie al fatto che tra poco tempo non saranno più solo aziende produttrici di automobili. Il vero business saranno i servizi che attraverso dati e connessione trasformeranno l’auto in una piattaforma come fa già Tesla – in virtù di questa nuova experience dei viaggiatori di un’auto. L’industria evolve mettendo insieme la meccanica e il digitale con una certezza: il bit per molti anni profumerà ancora di olio minerale o sintetico». Perché dunque fare ricerca e investire soltanto su motori e accessori, quando a bordo di un veicolo green a guida autonoma il “pilota” potrà dedicarsi in contemporanea a mille altre cose?
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uando la sua curva del valore converge con quella dei concorrenti, un’azienda sarà probabilmente intrappolata nell’oceano rosso della concorrenza spietata. Di fatto, cercherà di battere i concorrenti sulla base del prezzo o della qualità, dimenticandosi di quella domanda – suggerita dagli autori del best-seller “Strategia Oceano Blu” – che sfida la logica strategica e i tradizionali modelli di business: «Quali fattori, mai offerti e sconosciuti al mio settore, dovrebbero essere creati? Quali saranno le fonti totalmente nuove affinché la mia azienda possa creare valore per gli stakeholder, generando nuova domanda e spostando il pricing strategico?».
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Complice il clima estivo e una inusuale location – la terrazza della sede romana del Gruppo – da queste premesse sulla visione d’impresa è partita un’intervista densa di spunti strategici con l’amministratore delegato di Maire Tecnimont, Pierroberto Folgiero. «L’imprenditorialità è l’anti burocrazia. In un’organizzazione con la giusta cultura, ognuno agisce come se l’azienda fosse di sua proprietà. In questo senso, la nascita di NextChem è un perfetto esempio di imprenditorialità».
Pierroberto Folgiero, CEO e MD del Gruppo Maire Tecnimont e NextChem
SECONDO IL CEO MAIRE TECNIMONT, PIERROBERTO FOLGIERO «L'IMPRENDITORIALITÀ C’È QUANDO SI FORMA COSÌ UNA “PERSONA COLLETTIVA” CHE SI IMPOSSESSA DELL’AZIENDA, LA GUIDA OLTRE LA BUROCRAZIA E LA PAURA DI CAMBIARE, IN ALTRE PAROLE, OLTRE LA ZONA DI COMFORT VERSO LA CRESCITA ATTRAVERSO L’INNOVAZIONE».
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si forma così una “persona collettiva” che si impossessa dell’azienda e la guida oltre la burocrazia, oltre la paura di cambiare, in altre parole, oltre la zona di comfort verso la crescita attraverso l’innovazione. Quando questo avviene, quando nei periodi di incertezza e difficoltà i vertici ed i team sanno aumentare quella che io chiamo “l’intensità manageriale”, quella giusta miscela di coraggio e concretezza, allora siamo in presenza di un livello alto di imprenditorialità. Se penso a Maire Tecnimont, associo tutto questo al lancio dei Mottos aziendali, avvenuto intorno al 2015, in un periodo in cui i manager hanno messo una grande passione nel metabolizzare queste suggestioni imprenditoriali, sapendole condividere con i propri team e trasformarle in azioni concrete». I Mottos come bussola al centro di un’azienda che guarda al futuro. Da lì quindi possiamo partire per definire le caratteristiche dell’imprenditorialità? Tutti i nostri MOTTOS rappresentano una diversa prospettiva del valore dell’imprenditorialità: saper cogliere le sfide, valorizzare le singole decisioni, l’essere adattivi e resilienti, combattere la burocrazia ed essere innamorati della complessità. Stiamo parlando di un grande esercizio di partecipazione, anche psicologica, ai processi aziendali. Se il comune denominatore è proprio quello dell’imprenditorialità, allora è utile definirne le caratteristiche. In questa chiave, un manager-imprenditore dovrà partire dall’avere una visione concreta, che è il primo dei tre pilastri. Una visione che guardi al di fuori della propria zona di comfort, che sia una spinta a capire cosa c’è oltre l’ostacolo e a superare l’esistente. Se un manager-imprenditore si sgancia dal timore dei vincoli, riesce a vedere anche degli scenari che non tutti vedono perché complicati da immaginare e raggiungere».
Più volte lei ha tratteggiato la figura “mitologica” dell’imprenditore-manager: metà “dreamer” e metà “doer”. In che direzione è giusto muoversi per contaminare reciprocamente le due identità? «Gli imprenditori e i manager sono due figure complementari e indispensabili perché il primo deve seguire l’impulso ad aprire nuove strade da lui immaginate, mentre il manager dovrà organizzare al meglio i processi e la squadra per raggiungere con efficienza gli obiettivi condivisi. È un incontro tra la disciplina manageriale di chi ha studiato modelli organizzativi, e l’esperienza concreta dell’imprenditore che ha affrontato mille battaglie sul campo. L’imprenditore tuttavia è per antonomasia un individuo unico e originale, che deve trasmettere e moltiplicare visione ed una certa dose di coraggio ai manager per trasformarla in azione. L’imprenditorialità c’e quando
Poi ci sono le altre due caratteristiche. La visione va condivisa e ovviamente realizzata, messa a terra. Condividerla non è mai un esercizio semplice, perché occorre coinvolgere e cooptare le persone che ti stanno intorno, colleghi, dipendenti, collaboratori, tecnici: ognuno dovrà tendere a immaginare un identico scenario di atterraggio. Se un leader sa farsi seguire partendo dalla visione, acquista carisma e troverà un gruppo sempre più ampio che inizierà a camminare insieme a lui. Poi però c’è la realizzazione concreta: se una visione resta senza esecuzione, è soltanto filosofia... Il manager-imprenditore vede le cose difficili, condivide obiettivi sfidanti e li trasforma in azione, grazie al suo coraggio e competenza manageriale. Di fatto, traccia una direzione, imposta una rotta condivisa e salpa al largo per la navigazione. Non c’è nulla di più emozionante per chi fa il nostro mestiere di veder trasformato un pensiero in azione è la forza dell’esempio». Ecco perché, come recita uno dei Mottos, ogni micro-decisione conta. «Proprio così. Il successo di un’organizzazione, specie quelle complesse che agiscono in mercati articolati come Maire Tecnimont, dipende da una lunga serie di sotto-obiettivi e task che vanno “atomizzate” in forma di decisioni. Più i risultati dipendono da tanti comportamenti sincronizzati e allineati nella visione, più è fondamentale l’imprenditorialità diffusa. Nel nostro settore, dove si parte da una grande mission critica che diventa una somma di attività critiche, per raggiungere traguardi di eccellenza occorre saper sviluppare, attaccare, affrontare, scaricare la visione con senso dell’imprenditorialità. Disseminando attitudini imprenditoriali, sappiamo che la frase “ogni micro-decisione conta” non è un pensiero vuoto di senso, ma un modo
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strategico di vivere l’azienda, di affrontare le decisioni critiche, le condizioni di incertezza, gli obiettivi sfidanti. È quello che io e il presidente Fabrizio Di Amato chiamiamo il “fuoco sacro” di vivere l’imprenditorialità. La cosa bella è che questa passione per gli obiettivi sfidanti è un tratto caratteriale che ci distingue e ci fa riconoscere uno con l’altro. Nel nostro business, di fronte a un bivio tra una via facile o una difficile, tra una scelta remissiva o una ambiziosa, tra un atteggiamento prudente o uno coraggioso, sappiamo già di dover procedere nella direzione più scomoda. Anche perché a quel punto non ci sarà una persona che ti indicherà la strada: dove c’è imprenditorialità diffusa, tutti i manager – anche senza parlarsi fra di loro – sanno dentro di sé quale sarà la direzione giusta da prendere». Lei stesso ha dichiarato che un imprenditore vero è quello che sa condividere il successo. È uno step ulteriore? «È un passo successivo ai tre pilastri di cui parlavo prima: condividere il successo significa allineare gli interessi di tutti. Quando in Maire Tecnimont siamo partiti con la fase di coinvolgimento del nostro capitale umano, abbiamo messo a disposizione strumenti e progetti per agevolare
L’imprenditore è per antonomasia un individuo unico e originale.
la condivisione dei risultati di business. Nel gruppo vige una visione sistemica dove il pensiero imprenditoriale accompagna tutta la dinamica con cui si sta in azienda, fino a condividere i risultati. È vero che nei confronti del manager-imprenditore – che dovrà rispondere di un progetto prendendosi dei rischi calcolati – di solito siamo piuttosto esigenti: è anche vero però che alla fine c’è sempre un sistema di gratificazioni. Un rischio senza ricompensa? Non è un rischio, così come una ricompensa senza rischio non ha molto senso... Nella visione emotiva della partecipazione al successo deve esserci spazio per alcuni sistemi di rewarding: se non remuneriamo le assunzioni di rischio, il cerchio non si chiude. Per citare un esempio (altri saranno approfonditi nell’intervista a Sara Frassine, pubblicata a pagina 18), il nostro piano di azionariato diffuso, che nel triennio 2016-2018 ha avuto un’adesione di oltre il 96% dei dipendenti coinvolti, è un progetto concreto per condividere i benefici aziendali». In questo discorso, l’approccio burocratico dove si colloca? «Al vertice opposto del senso di imprenditorialità. Quel modo particolare di stare in azienda, nel quale un manager si mette in ombra rispetto ai vincoli e agli ostacoli, è l’esatto contrario di ciò di cui stiamo parlando. Il burocrate opera pensando che l’azienda è sempre di qualcun altro, si blocca di fronte a input non ricevuti, si appella continuamente alle cause
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di forza maggiore. Ha presente i Mandarini? Nella Cina imperiale i funzionari cercavano di firmare meno atti possibili per non lasciare tracce della loro responsabilità. Della visione dei vertici non importava granché: il burocrate ha la sua visione, sa perfettamente come si dovrebbero fare le cose ma utilizza le sue competenze al contrario, per non fare nulla e lasciare tutto com’era. Va detto però che, per la mia esperienza, non esiste forma di burocrazia che blocchi un imprenditore a pensare e ad agire. Quando l’imprenditore viene imbrigliato nel gioco della burocrazia, reagisce sparigliando. Quando in una partita di bocce la situazione si incancrenisce, il burocrate è quello che lascia le bocce a terra perché ha paura di fare peggio, mentre l’imprenditore è quello che “sboccia”. Con un gesto diretto ed energico, rompe l’equilibrio!». Tornando al rewarding, chi si cala nella logica del “Ride the Turnaround” riceve le giuste gratificazioni. Cosa accade per chi stenta a entrare nel flusso? «Da noi il tema del “non lasciare indietro nessuno” è uno spirito di base vissuto ogni giorno a 360 gradi. Sarebbe una visione parziale quella che prevede ricompense solo per quelli “bravi” e non si occupa di quelli che possono incontrare difficoltà, come in tutti i mestieri del mondo. In opposizione all’approccio burocratico, in azienda è cresciuta con grande consapevolezza la cultura del feedback, del restituire osservazioni costruttive quando i risultati non arrivano. Ogni teorico del business sa che le performance sono spesso rappresentate da curve gaussiane: alti e bassi si alternano. Visto che statisticamente, in un campione medio-grande, per ogni over performer è presente un under performer, nei momenti “bassi” del ciclo di vita occorre attingere al codice sorgente della resilienza, a quell’ormone che avevamo messo in circolo nei momenti in cui si poteva giocare all’attacco. Questo fa parte del cosiddetto “sistema immunitario” di un’impresa, un tema cruciale che fa da spartiacque quando si è costretti ad arretrare in difesa per l’aumento dell’instabilità». In tempi di pandemia, su cosa ci dobbiamo focalizzare rispetto al capitale umano? «Come dicevo, nello spirito d’impresa “mediterraneo” la cultura del feedback di stampo anglosassone ha fatto un po’ fatica a emergere, più che altro per questioni ideologiche. Io credo invece che gli under performer non vadano
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messi da parte ma coinvolti, stimolati attraverso programmi di formazione e mentorship. L’obiettivo è aumentare l’attenzione, anche tramite i feedback, verso chi non ha sviluppato le attitudini imprenditoriali di cui stiamo parlando. È una logica “stop and coach”: quando ci sono difficoltà ci si ferma e, insieme a un referente specializzato, si riparte per lavorare al miglioramento del proprio percorso professionale. Nel periodo di pandemia, il sistema resiliente messo a punto da Maire Tecnimont ha permesso a tutti di rispondere con grande senso di responsabilità, sia verso i referenti esterni e sia verso colleghi, collaboratori, persone interne al team. Come dicevamo qualche mese fa, i nostri “champion” stanno risalendo la corrente come salmoni nei fiumi, diffondendo approcci adattivi e utilizzando con competenze sempre maggiori la tecnologia digitale che sta cambiando le nostre vite professionali». L’esempio più tangibile che le viene in mente sul fronte della cultura imprenditoriale? «Penso subito al lancio di NextChem, la società che in Maire Tecnimont opera nel campo della chimica verde e delle tecnologie a supporto della transizione energetica. Per approdare all’oceano blu della green chemistry abbiamo fatto crescere NextChem come una start up al nostro interno, immaginando scenari nuovi, in un mercato che nessuno ancora aveva visto né occupato. Quando poi la visione – allineata alla visione del Gruppo – è stata condivisa da un primo drappello di pionieri e messa a terra, abbiamo iniziato a lavorare in contesti complessi che avrebbero spinto in molti a desistere. Da parte nostra, in pieno spirito imprenditoriale, non abbiamo somatizzato l’incertezza, vivendola invece come uno spazio da trasformare in business. Nelle aziende che fanno un lavoro difficile, se c’è chi sviluppa questa capacità di vedere cose che nessuno vedrebbe – in luoghi, contesti e territori deputati a tutt’altro – e a livello di organizzazione si riesce a “sintetizzare” questo ormone della vision, allora si creano tutti i presupposti per ottenere risultati sorprendenti. Vuol dire che tutti i componenti del team sono allineati in questa ricerca di mercati blu. Tutti si sentono importanti allo stesso modo, così come l’assistente di segreteria che se non trova un posto sul solito aereo si attiverà in mille modi per far arrivare quel manager a destinazione in tempo. Alla fine torno spesso con la mente a una frase di Goethe: “Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di poter fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e magia”. È l’esempio di Elon Musk che da molti anni ha immaginato per primo un’azienda produttrice di auto elettriche come una società tecnologica e una casa automobilistica indipendente. È stato il primo a vedere questo scenario: poi come dice Goethe ha iniziato a muoversi al suo interno, secondo una profezia auto avverante. Ha iniziato a crederci, ad adattarsi alle difficoltà e a sfruttare le opportunità. Lui come moltissimi altri non aveva tutte le variabili sotto controllo: un imprenditore parte credendoci e strada facendo costruisce. Poi, certo, deve acquisire la capacità di essere anche un “doer”, magari in prima persona o attorniandosi di validi manager. Senza avere la capacità di fare, di scaricare a terra la visione, tutto resta un sogno astratto. E nessuno di noi desidera lavorare in aziende finite su un binario morto, in quella che gli americani chiamano la Death Valley dell’innovazione. Solo continuando a mettere in campo mentalità imprenditoriale, abilità operative, tecnologie e ingegneria italiana, continueremo a distinguerci in uno scenario sempre più competitivo. Dove ogni singola decisione presa da ogni singola persona potrà fare davvero la differenza».
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L’IMPRENDITORIALITÀ l management imprenditoriale è una struttura di leadership studiata appositamente per l’incertezza che caratterizza il XXI secolo». A parlare di una disciplina nata per aiutare i leader a coltivare un atteggiamento imprenditoriale per sé stessi e il proprio team è Eric Ries, imprenditore e creatore del metodo Lean Startup, oltre che autore del volume “The Startup Way”, già citato nelle prime pagine di questo numero.
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EVOLVE dedica con regolarità articoli e interviste ai temi del Capitale Umano e dell’accountability. In collaborazione con esperti di risorse umane e management, abbiamo raccontato storie di grandi impianti e investimenti che hanno richiesto l’impiego di task force focalizzate sull’obiettivo (e sullo spirito di squadra). A ogni sfida corrispondono infatti l’impegno e il contributo di una moltitudine di persone, con specifiche competenze e professionalità, ciascuno con il proprio originale talento. Sappiamo bene che per essere entrepreneur in a network of entrepreneurs, e creare dunque valore condiviso, non è sufficiente un gruppo di persone che lavorano insieme. Occorre invece attivare e favorire la collaborazione reciproca, orientandola al raggiungimento di obiettivi comuni. Ma non solo: si deve saper guardare oltre, promuovendo l’innovazione come valore. Con le persone – vere protagoniste dell’evoluzione in atto e promotrici del cambiamento – nel ruolo di attori capaci a renderla concreta
Sara Frassine
“ENTREPRENEUR IN A NETWORK OF ENTREPRENEURS” NON EQUIVALE E NON SI PUÒ RIDURRE SEMPLICEMENTE A UN GRUPPO DI PERSONE CHE LAVORANO INSIEME. SARA FRASSINE, GROUP DEVELOPMENT & COMPENSATION HEAD OF DEPARTMENT, RIPERCORRE STRATEGIE E PROGETTI CHE IN MAIRE TECNIMONT SUPPORTANO LA CULTURA “IMPRENDITORIALE” INDIVIDUALE E DIFFUSA. CONSAPEVOLI CHE L’INNOVAZIONE NON PUÒ PRESCINDERE DALLE PERSONE, L’APPROCCIO FORTEMENTE INNOVATIVO AIUTA A DECLINARE LE NUOVE SFIDE IN OPPORTUNITÀ DI CRESCITA E SVILUPPO. NEL RISPETTO DI RUOLI, RESPONSABILITÀ E OBIETTIVI. ed efficace. «Da sempre Maire Tecnimont ha messo al centro le proprie persone, nella consapevolezza che le sfide si vincano solo mettendo a fattor comune le energie dei singoli, con un’azione di engagement che le faccia sentire parte della comunità aziendale» spiega Sara Frassine, Group Development & Compensation Head of Department. «Negli anni abbiamo lanciato numerose iniziative per valorizzare il contributo di ciascuno al successo del Gruppo. Penso, per esempio, all’offerta formativa, al processo
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di valutazione Employee Performance Commitment (EPC), al piano di azionariato diffuso e al programma Be Adaptive! Tutte iniziative che trovano origine nella visione imprenditoriale e nello spirito innovativo del nostro Gruppo». L’innovazione si esprime scegliendo tecnologie all’avanguardia e disegnando modelli di business e di processi avanzati; impossibile quindi concepirla in un’accezione distinta e indipendente dalle persone. Senza dubbio il successo di un gruppo multinazionale non può prescindere dal contributo di ciascuno – imprenditore che opera in un network di imprenditori – e dalla partecipazione dei singoli alle sfide aziendali. «Riconoscere meriti e capacità è la colonna portante della nostra crescita – continua Frassine – così come il coinvolgimento delle nostre persone nello sforzo e nell’impegno condivisi per raggiungere obiettivi ambiziosi. Questa consapevolezza ha spinto
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l’azienda, nel 2016, ad avviare la pioneristica esperienza del piano di azionariato diffuso, riproposto anche per il triennio 2020-2022, che fornisce alla generalità dei dipendenti la possibilità di ricevere azioni Maire Tecnimont a titolo gratuito, subordinandone l’attribuzione al raggiungimento di obiettivi predefiniti». Il piano, accolto con grande entusiasmo dalla popolazione aziendale, ha visto l’adesione nel triennio 2016-2018 di oltre il 96% dei dipendenti coinvolti. «L’adesione quasi totale al nuovo Piano nel 2020 – con punte del 100% in India – ha superato il successo della prima edizione. Le nostre persone sono l’asset capace di generare valore in quanto patrimonio di capacità, conoscenze e competenze tecnico-professionali. Ma un ruolo determinante lo giocano anche la motivazione e il commitment rispetto alle sfide strategiche attuali e future, il sentirsi parte di un unico progetto che punta a raggiungere obiettivi comuni».
Formazione e mentorship La formazione, specialistica e trasversale, è uno strumento che può garantire livelli di eccellenza operativi e il miglioramento continuo delle competenze. Spiega Sara Frassine: «Sviluppare il processo di valutazione EPC nelle diverse realtà del Gruppo ha permesso in questi anni la diffusione di valori comuni e il rafforzamento della cultura del feedback in ottica di crescita. In base all’analisi delle esigenze espresse nei colloqui con i responsabili, alle nostre persone
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offriamo aggiornamenti tecnico-specialistici, iniziative formative dedicate alle metodologie di project management, gestione dei rischi e dei contratti, approfondimenti su tematiche economiche e finanziarie. Senza trascurare il consolidamento delle soft-skills manageriali e di comunicazione, con programmi e workshop dedicati alla leadership, ai comportamenti efficaci, alla negoziazione e al team-working. Tutto questo è reso possibile – continua Frassine – non solo tramite il ricorso all’esperienza di professionisti esperti, ma anche grazie alla collaborazione di colleghi che si mettono al servizio nel ruolo di docenti. Nel particolare scenario di questi mesi, la formazione è stata una delle leve fondamentali per mantenere la coesione tra le nostre persone, creando identità e facendo sentire l’azienda presente e vicina. Uno strumento di grande supporto è la nostra piattaforma digitale MET Academy, con la quale tutti i dipendenti da ogni parte del mondo possono accedere a oltre 200 contenuti formativi e lesson learnt, attingendo così all’ampio patrimonio di conoscenze dell’azienda. Con lo stesso spirito, nei primi mesi del 2021 abbiamo realizzato, per la prima volta nel Gruppo, una serie di webinar su tematiche trasversali, aperti a tutta la popolazione aziendale. La prossima sfida sarà quella di affiancare alla nostra ricca offerta formativa percorsi di sviluppo ad hoc e programmi di mentorship, in particolare per i giovani del Gruppo, che rappresentano il futuro di Maire Tecnimont. In questo programma un ruolo essenziale sarà giocato da una fascia manageriale più senior, coinvolta in veste di mentor e capace di condividere esperienza e conoscenza… Vogliamo, di fatto, che questa sia un’ennesima occasione di crescita per l’intera organizzazione». Ecco quindi come il sapere professionale scorre in molteplici direzioni, con team multiculturali e multigenerazionali in grado di sperimentare sul campo le attività di un impianto in tempo reale, sviluppando capacità tecniche, approccio decisionale e attitudine al problem solving. Il mix di competenze necessarie a gestire progetti complessi permette di schierare la squadra più efficace. «Che è quella – conferma Frassine – più competente e completa rispetto alle specifiche esigenze dei progetti, con un bagaglio di esperienze professionali variegate e complementari».
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21 scegliendo un approccio fortemente innovativo, lanciando il concorso di idee Be Adaptive - Think Tank, per favorire il coinvolgimento esteso e immediato delle nostre persone in questa nuova esperienza: ai dipendenti è stata data la possibilità di presentare, individualmente o in gruppo, un business case relativo all’introduzione del Lavoro Agile. La partecipazione di oltre 150 colleghi e la presentazione di ben 58 business case hanno rappresentato la prima vera conferma della bontà dell’approccio adottato nel coinvolgere e ingaggiare le persone lungo il percorso di trasformazione intrapreso».
Le nostre persone sono l’asset capace di generare valore in quanto patrimonio di capacità, conoscenze e competenze tecnico-professionali.
Lavorare per obiettivi, con un approccio smart C’è poi, in questa carrellata di best practices sull’imprenditorialità aziendale, il tema dell’essere adaptive: il mondo, le tecnologie e il modo di concepire lo spazio e il tempo, infatti, cambiano velocemente. «Il nostro amministratore delegato – dice Sara Frassine – ha più volte spiegato che la tecnologia digitale va vissuta come un’opportunità non solo per ridisegnare processi, ma per offrire al mercato il know-how che agevola il cambiamento. D’altronde la digital transformation sta cambiando con successo i modelli di business e la struttura della catena del valore: penso all’impatto sui processi, sull’organizzazione e sulla cultura aziendale. Fin dal 2016 abbiamo introdotto lo smart working,
L’avvento della pandemia, come anticipato, ha confermato l’efficacia del modello flessibile di Maire Tecnimont. Tecnologicamente già testato, il modello è orientato a massimizzare l’autonomia operativa e la capacità di ciascuno nel raggiungere i risultati richiesti. «Lo spirito imprenditoriale – conclude Frassine – è rafforzato dalla possibilità di scegliere la modalità di lavoro più efficace – in presenza o da remoto – favorendo la responsabilizzazione e lo spirito di iniziativa nel gestire le attività affidate, oltre alla possibilità di conciliare al meglio le esigenze della vita professionale con la sfera privata. Ogni collega è stato messo nelle condizioni di gestire, sempre in accordo con il proprio responsabile, le proprie giornate, anche potendo scegliere il luogo più adatto da cui svolgere le attività lavorative in funzione delle stesse. In questo caso parlare di strategie people oriented è la definizione giusta. Nei mesi più critici dell’emergenza sanitaria abbiamo avuto la conferma che il pensiero agile si era già diffuso capillarmente nella nostra organizzazione: questa consapevolezza è stata di grande supporto, sia internamente che verso tutti i nostri stakeholder. Investire in questa direzione continuerà a essere il focus delle nuove iniziative: consapevoli che trasformazione digitale e innovazione dei processi di creazione e diffusione della conoscenza saranno sempre più interconnessi. E tanto più efficaci quanto più le persone continueranno a esserne parte attiva».
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INTELLIGENZA D'IMPRESA, COME VOCAZIONE
ALL'ETÀ DI 19 ANNI HA INIZIATO CON 3 COLLABORATORI, OGGI È AL VERTICE DI UN GRUPPO DI 50 SOCIETÀ IN 45 PAESI E OLTRE NOVEMILA PERSONE. FABRIZIO DI AMATO È L'ESEMPIO DI IMPRENDITORE CHE INTERPRETA L’IMPRENDITORIALITÀ COME ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ E CONDIVISIONE DI GRANDI SFIDE.
l momento di ricevere la laurea “Honoris Causa” in Ingegneria Chimica, nella primavera del 2018, era visibilmente emozionato. Varcando la soglia dell’aula intitolata al premio Nobel Giulio Natta, nel cuore del Politecnico di Milano, Fabrizio Di Amato ha rivisto lungo un’ideale linea del tempo il percorso imprenditoriale che, da giovane diciannovenne alla guida di una piccola azienda, lo ha portato a diventare presidente e azionista di riferimento del gruppo Maire Tecnimont. «Ho sempre ritenuto importante andare dove altri operatori non andavano: cercando nuovi scenari e creando nuovi spazi di mercato» spiega oggi Di Amato, richiamando le teorie di “Oceano Blu” e il grande sviluppo industriale dell’ingegneria italiana.
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Quella del numero uno di Maire Tecnimont è una storia personale densa di attitudini imprenditoriali, di intelligenze e competenze messe a frutto in un Sistema Paese che, nonostante le poche risorse del sottosuolo, ha comunque beneficiato di un capitale umano d’eccellenza. «Se ripenso agli inizi, ricordo di essere partito da outsider in un settore dominato da aziende storiche e da un business consolidato. La mia è stata una ricerca di territori ancora inesistenti sotto il profilo del business. Ma nella scia dei grandi cambiamenti degli anni ’90, abbiamo capito che si stavano aprendo nuovi spazi di mercato».
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e quella del “finanziere”. Collegate ad altrettante sfere dell’azione economica: quella del mercato del lavoro, del mercato dei prodotti e del mercato dei capitali.
Acquisizioni e meritocrazia Una visione d’insieme per guardare lontano Per analizzare meglio la sua visione imprenditoriale, occorre fare un passo indietro. Fino al momento in cui, da ragazzo durante l’estate, Fabrizio Di Amato faceva esperienza in una piccola ditta di impiantistica. «Avevo 17 anni – racconta sorridente – e aiutavo in ufficio, in cantiere, e nei rapporti con i fornitori. Facevo un po’ di tutto ma avevo un’ottima predisposizione per seguire gli andamenti economici e finanziari». Studiando e lavorando nella stessa ditta, Di Amato acquisisce tante competenze: a diciotto anni il titolare di allora gli propone di guidare un team di 20 dipendenti. «È stata una grande scuola – ricorda – l’offerta mi lusingava, ma non corrispondeva alle mie aspettative, perché avevo un’idea un po’ diversa. Dissi al mio titolare che avrei aperto una mia azienda, ma se voleva avrei lavorato per lui in subappalto. E così è stato. All’età di 19 anni ho costituito una società di fatto, e da lì è cominciata la mia avventura». Come sostiene il professore di Storia Contemporanea alla Bocconi Giuseppe Berta (del suo saggio “L’enigma dell’imprenditore” ne parliamo in un approfondimento a parte), l’imprenditorialità, che viene dal termine “imprendere” cioè assumersi un rischio, è stata spesso caratterizzata come forza motrice del processo economico. Per questo oggi l’imprenditorialità come assunzione di responsabilità è il valore chiave per ogni dipendente Maire Tecnimont. Nel configurare la tipologia dei grandi imprenditori – dei loro comportamenti così come dei loro valori – gli storici d’impresa sintetizzano tre caratteristiche ideali: quella del “tecnico”, quella del “commerciante”
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Sostenuto da un senso dell’imprenditorialità vissuto come vocazione e destino, Fabrizio Di Amato già a partire dal 1983 ha sempre reinvestito tutto, acquisendo piccole società alla ricerca di competenze. «Se vuoi crescere – spiega lui stesso – devi essere sempre concentrato sui tuoi obiettivi, avere chiara la direzione da seguire e allo stesso tempo cercare il meglio tra le competenze da valorizzare, sia tecnologiche che umane. Quelle che non hai disponibili internamente, devi saperle andare a prendere all’esterno. Come ho fatto quando abbiamo iniziato ad ampliare il nostro portafoglio tecnologico: bisogna iniziare a individuare tecnologie che siano adiacenti al proprio business. E lo stesso discorso vale quando inserisci persone nella tua azienda: devi sempre dare delle prospettive, tracciare un percorso, ma farlo in un’ottica meritocratica. Bisogna correre piano, andare avanti garantendo solidità nel lungo periodo». Con l’arrivo degli anni Duemila, Di Amato (la cui azienda nel frattempo conta già circa 20 milioni di fatturato e 400 dipendenti) sceglie di cambiare strategia, decidendo di puntare sulle grandi aziende di ingegneria e contracting. Le acquisizioni di Fiat Engineering prima e Tecnimont poi dimostrano l’obiettivo di mettere a sistema gli enormi potenziali inespressi e il profilo internazionale di queste imprese, in un settore che rischiava di essere acquisito da investitori stranieri (con inevitabili riduzioni occupazionali e perdite sia di competenze che di indotto).
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«Integrare Fiat Engineering e Tecnimont è stata una vera e propria iniezione di fiducia ed energia imprenditoriale, a beneficio di organizzazioni poco abituate alla concorrenza. Trasformandole in realtà capaci di stare sul mercato in modo competitivo, abbiamo creato la strada per costruire un gruppo di eccellenza capace di operare all’estero e, come general contractor, di gestire commesse sempre più importanti e complesse, in tutto il mondo sviluppando sempre più un approccio technology-driven. Prima di arrivare a Fiat Engineering, ho fatto un lavoro di scouting su tantissime aziende italiane nel settore del general contracting. Incappavo però sempre nello stesso problema: le aziende provenienti dal settore delle costruzioni avevano una situazione finanziaria il più delle volte precaria, mentre quelle provenienti dall’ingegneria mostravano performance più solide ed erano più internazionali. Quando si è manifestata la crisi, la Fiat ha messo sul mercato le attività meno legate al core business dell’auto, tra cui Fiat Engineering. Mi è sembrata l’occasione giusta, sebbene sia stato molto difficile persino farsi ricevere a Torino. Ricordo ancora che, quando mi sono presentato ai manager Fiat, quello che era a capotavola mi ha guardato dicendomi: prima di sedersi, lei ce li ha i soldi...? Fiat Engineering in effetti era molto più grande di noi: fatturava oltre quindici volte quanto fatturavamo noi. La negoziazione è stata durissima e alla fine ci siamo accordati per una permanenza della Fiat al 30%, con l’impegno che dopo tre anni sarebbero usciti definitivamente. Poi le cose sono andate meglio del previsto e in vista dell’acquisizione successiva abbiamo completato l’operazione già dopo un anno. È stata l’operazione più difficile e coraggiosa che abbia mai fatto. Avendo sempre tenuto distinte l’attività
impiantistica dalle altre attività personali, ho avuto la possibilità di contribuire a questa importante acquisizione grazie ai proventi derivanti da dismissioni e altri redditi. Passare da 200 persone a 1.000 non è stata un’impresa facile, però ci siamo riusciti».
Dopo Fiat Engineering, arriva Tecnimont L’acquisizione di Tecnimont, un tempo divisione di ingegneria del gruppo Montedison, è stato il secondo step importante per la crescita del Gruppo. La società era attiva nella realizzazione di grandi impianti industriali in tutto il mondo, soprattutto nel settore petrolchimico, erede della grande tradizione italiana di chimica industriale che risale a Giulio Natta, l’inventore del polipropilene. «Il mio obiettivo era internazionalizzare: Tecnimont, grazie alla grande competenza delle sue persone e alla sua presenza in tanti Paesi, era la piattaforma ideale che doveva rimanere italiana. Anche questa è stata un’acquisizione molto complessa, valutata come una delle più importanti operazioni di acquisizioni in Italia. Oggi Tecnimont è leader mondiale nella realizzazione di impianti di poliolefine, con una quota di mercato globale del 30%. Contemporaneamente ha allargato il proprio business alla raffinazione, a tutta la catena gas e progressivamente alla transizione energetica e alla chimica verde. Nell’acquisizione non c’è stata una colonizzazione del compratore sul comprato, ma piuttosto una valorizzazione
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delle grandi competenze interne secondo un sistema meritocratico. Un metodo che ho sempre adottato in tutte le acquisizioni e integrazioni. Scommettendo sulle persone giuste». Per arrivare a Tecnimont, Fabrizio Di Amato e il suo team hanno dovuto sconfiggere la concorrenza di un’importante azienda giapponese. «Anche Confindustria, all’epoca guidata da Luca di Montezemolo, ha giocato un ruolo importante. D’altra parte, il rischio era che il Paese perdesse competenze ingegneristiche di prim’ordine, e io volevo arrivare dove siamo adesso, tra i primi nell’impiantistica per la trasformazione degli idrocarburi. Dopo Tecnimont ho provato a prendere contatti con Eni per acquisire Snamprogetti: ma dopo un approccio iniziale, la loro strategia è cambiata e non hanno più venduto». Fondamentale nel suo caso è l’aver sviluppato tutte e tre le caratteristiche dell’imprenditore, specie quella finanziaria che ha fatto da suggello a un forte nucleo di esperienze tecnico-commerciali. Conferma Di Amato: «Un passaggio importante? Incontrare banchieri illuminati che, senza conoscermi personalmente, hanno valutato e apprezzato il progetto industriale di realizzare un grande player di ingegneria internazionale, il contributo all’operazione con capitali propri, nonché l’impegno come azionista a lungo termine. Nel settore della trasformazione delle risorse naturali, dove opera Maire Tecnimont, ci sono in gran parte public company, e gli stranieri non sono abituati a vedere che dietro c’è una figura imprenditoriale. Quando invece se ne rendono conto è un’ulteriore garanzia. Aver maturato buoni rapporti con le banche per il merito di credito acquisito negli anni è stato fondamentale. Sapevano che ero un buon pagatore, come avevo dimostrato in tutta la mia storia imprenditoriale fino a quel momento. Ho sempre creduto nella solidità patrimoniale delle holding che ritengo debbano essere ben capitalizzate con mezzi propri, in maniera da poter intervenire in sostegno delle società operative in caso di necessità, come mi è capitato di dover fare nel 2013». Portando in dote la tenacia imprenditoriale (necessaria a tenere dritta la barra del timone), una volontà di andare a guardare oltre i limiti e la capacità di integrare intuizioni e competenze, nel 2013 Fabrizio Di Amato completa un processo di manageralizzazione del Gruppo con l’inserimento di un amministratore delegato. «Conosco tanti imprenditori che sono stati determinanti
per l’avvio dell’azienda, ma che oggi faticano a lasciare le deleghe operative. Quando eravamo piccoli facevo tutto io, ma più l’azienda cresce, più aumentano le complessità. Abbiamo individuato il momento giusto per delegare la centralità operativa a un CEO, Pierroberto Folgiero, con cui mi confronto quotidianamente e che può contare su molti manager in grado di supportarlo nella gestione. Credo che l’imprenditore, indipendentemente dalle deleghe, debba comunque far sentire la sua presenza, affiancando il management nelle strategie tramite una catena decisionale molto corta».
Maire Tecnimont e il retroscena del nome Il resto è storia recente e attuale. Dopo quelle di Fiat Engineering e Tecnimont – propedeutiche alla nascita nel 2005 del gruppo Maire Tecnimont – seguono le acquisizioni nel 2008 del rimanente 50% di Tecnimont ICB India (con sede a Mumbai, oggi principale centro di ingegneria all’estero con oltre 5.000 tra dipendenti e tecnici) e nel 2009 di Stamicarbon, società olandese leader globale nello sviluppo di tecnologie per la produzione di urea (fertilizzanti), con proprietà intellettuali e oltre il 50% del mercato globale in termini di licensing. «L’anno successivo – ricorda il presidente – viene finalizzata l’acquisizione di KT-Kinetics Technology, riconosciuta realtà romana attiva nelle tecnologie sull’idrogeno e lo zolfo e nella realizzazione di impianti. KT ci ha consentito di ampliare le nostre competenze anche nella raffinazione, contribuendo allo sviluppo delle nostre nuove tecnologie nel settore della chimica verde, come nel caso dell’idrogeno di cui oggi si parla molto». Perché il nome Maire Tecnimont? «Al momento della creazione della capogruppo, che integrava le prime due grandi società acquisite, c’era da scegliere il nuovo nome. Incaricammo anche una società specializzata ma non ce ne piaceva nessuno. Alla fine, mi venne in mente Maire, che avevo già usato, e che è l’acronimo dei nomi dei miei due figli maggiori: Massimo e Irene. L’altra mia holding Glv ha il nome che riprende quello dei miei figli più piccoli: Giovanni, Ludovico e Vittoria». Guardando al futuro, per rispondere alle sfide ambientali globali e raggiungere i target europei di decarbonizzazione, la nuova chimica sarà sempre più focalizzata sul riciclo dei rifiuti, sulla biochimica e sull’elettrochimica. L’ultima nata nel novembre del 2018 è NextChem, una società controllata dove confluiscono le competenze manageriali e tecnologiche delle altre società del Gruppo relative alla Green Chemistry. Conclude Fabrizio Di Amato: «Siamo stati pionieri di questa trasformazione. Oggi NextChem è una realtà solida, con numerosi progetti all’attivo per accompagnare la transizione energetica. Un processo irreversibile, ma anche una grande opportunità per riposizionare l’Italia, rilanciare il lavoro e creare valore industriale di lungo termine».
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EVOLVE | RUBRICHE
Propensione ad attribuire i propri successi o insuccessi a fattori direttamente collegati alle proprie capacità
L’abitudine a tenere in perfetto ordine la propria scrivania
Una nuova app che avvisa quando si è sottoposti a forti stress
3. Per ottenere successo c’è bisogno della Purple Cow. Cos’è la Mucca Viola?
Johann Gutenberg, inventore della stampa a caratteri mobili nel 1455. Sviluppa il proprio prodotto in segreto e poi lo vira verso l’open source
2.
Steve Jobs, fondatore della Apple nel 1976. Nel 1984 lancia il Macintosh, il primo computer controllato con il mouse
La capacità di analisi e introspezione personale
Qualcosa di fenomenale e inatteso che rende il prodotto sorprendente
La dieta iperproteica seguita dai più ricchi imprenditori della Silicon Valley
La mascotte segreta che un’azienda non mostra al pubblico
Un tipo di organizzazione aziendale che si ispira al ciclo del lavoro in fattoria
1.
Chi è considerato il primo imprenditore “tecnologico” della storia?
Bill Gates, che nel 1975 avvia Microsoft con l'amico Paul Allen a Albuquerque, Nuovo Messico. Nel 1983 già il 30% dei computer di tutto il mondo opera con il software Microsoft
Cos’è il Locus of control interno?
IL TUO SENSO PER L’IMPRENDITORIALITÀ
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Henry Ford, tra i fondatori nel 1903 della Ford Motor Company. Nel 1913 introduce nelle sue fabbriche la catena di montaggio, per ottimizzare tempi e lavoro dei suoi operai
4.
Dal termine inglese che indica la mischia nel rugby, è la strategia per formare un team iperproduttivo
5. Per
La pausa caffè strategicamente organizzata dopo una riunione per raccogliere impressioni a caldo
In cosa consiste il metodo Scrum?
Un format di Tik Tok per presentare nuove idee imprenditoriali in pochi minuti
Uno specifico tipo di Yoga per migliorare la concentrazione sul lavoro
che cosa sta la sigla GTD?
Per Guaranteed minimum prize pool, esclusivi tornei di poker disputati tra ricchi imprenditori
Getting Things Done cioè “Detto, fatto”: un metodo per ottenere la massima efficienza mentale e organizzativa
Global Trade Directory, risorsa online dove esperti di commercio internazionale postano contenuti
Soluzioni: 1 c; 2 b; 3 a; 4 a; 5 b. N° 7 - LUGLIO 2021
Gara tra Dotti, competizione benefica tra i più colti imprenditori italiani
RUBRICHE | EVOLVE
GLOSSARIO COGITO ERGO SUM... IMPRENDITORE Disruption Approccio creativo nel trasformare un’idea o un prodotto esistenti in qualcosa di meglio.
Strategia Concepire idee, studiarne attentamente il processo di realizzazione, valutare i rischi e le opportunità di successo, verificare il progressivo raggiungimento degli obiettivi.
Leadership Abilità di comunicare agli altri il proprio valore e potenziale in maniera tanto chiara da far sì che siano loro stessi a vederli.
Visione Immagine mentale del risultato finale che deve essere chiara, semplice, focalizzata, ambiziosa e duratura.
Innovazione Capacità di ricercare l’efficienza anche nelle attività ripetitive attraverso nuovi approcci e sperimentazioni.
Competenze relazionali Comprende l’empatia, la consapevolezza organizzativa, la capacità di sviluppare il proprio team e di convincere gli altri della propria idea.
Problem solving Tecnica che consiste nell'analizzare sistematicamente il quadro generale per poi prendere una decisione, scegliendo alcune priorità e usando la creatività, invece dei soliti metodi standard.
Gestione Capacità di realizzare nel migliore dei modi tutto ciò che è possibile fare, ogni giorno e nel breve periodo, in vista di alcuni obiettivi finali strategici.
Governance Saper gestire il susseguirsi degli eventi nel medio e lungo termine attraverso l’organizzazione dei tempi, delle risorse, del lavoro, dei processi e delle informazioni.
Valutazione dei rischi Analisi sistematica per ottenere una valutazione dei diversi livelli di rischio tra cui fare delle scelte.
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EVOLVE | STORIA
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ENIGMA
L' DELL'IMPRENDITORE hi è un imprenditore e a cosa serve? Come convivono management e tecnocrazia? Cos’è il capitalismo “laburista” e quello organizzato? E quello digitale? Sapere chi sia davvero un imprenditore è un interrogativo essenziale per capire la natura dell’impresa, della creatura che dal lavoro dell’imprenditore di fatto prende vita. Nella storia della parola “imprenditore” – e nel chiarire che ruolo ricopra oggi nel mondo aziendale, finanziario e digitale – sono contenuti molti degli elementi che caratterizzano le imprese pre e post pandemia. Si capiscono le particolarità di Zuckerberg, Musk e Bezos. Si intuiscono le soluzioni per gestire l’innovazione (digitale e di meccanizzazione) e tutelare i posti di lavoro. Insieme di macchine e di vite, giusta miscela tra organismo e organizzazione, l’impresa viene plasmata a somiglianza dell’imprenditore. Ma anche dei manager di cui si circonda, veri alter ego dell’imprenditore.
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Storico e docente all’Università Bocconi, Giuseppe Berta ha diretto l’Archivio Storico Fiat dal 1996 al 2002. Negli anni ha scritto numerosi saggi tra cui “Mirafiori. La fabbrica delle fabbriche”, “Fiat-Chrysler e la deriva dell’Italia industriale”, “Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la comunità”. Leggere i suoi
DALLA LETTURA DEL SAGGIO DI GIUSEPPE BERTA, STORICO E DOCENTE ALLA BOCCONI, EMERGE IL PENSIERO DI ECONOMISTI E SCIENZIATI SOCIALI SUI CARATTERI E LA FUNZIONE DELL’IMPRENDITORIALITÀ. MESSA IN RELAZIONE CON LA CAPACITÀ DI INNOVARE.
lavori equivale a una rassegna delle teorie dell’imprenditorialità e del management, esaminate entro l’involucro del quadro storico e culturale del loro tempo. «L’effetto più visibile della nuova rivoluzione tecnologica – scrive Berta nell’introduzione de “L’enigma dell’imprenditore”, pubblicato nel 2018 – è consistito proprio nel riportare in piena luce la missione imprenditoriale per celebrarne la potenza creativa. Nel contempo l’innovazione è tornata a essere l’atto rivelatore della presenza dell’imprenditore nel processo economico». Il suo saggio ripercorre due secoli di storia della cultura economica, soffermandosi sui tentativi fondamentali di analizzare i caratteri e i compiti dell’imprenditorialità. Cantillon e Say, l’economia politica classica inglese e Marshall, Schumpeter e Sombart, costituiscono le tappe di un ragionamento che travalica i confini delle discipline e accomuna Economia, Storia e Sociologia. Il professore osserva come l’imprenditore abbia impersonato una combinazione di attitudini e capacità in grado di generare una riuscita economica, sia individualmente che all’interno di un’organizzazione. L’imprenditorialità coincide con la virtù dell’intraprendenza personale: qualità da far crescere con tenace e orgogliosa affermazione delle doti individuali, impegno orientato al risultato e una dedizione particolare.
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STORIA | EVOLVE
Fra le pagine emerge un pensiero: la virtù che qualifica la funzione imprenditoriale è la capacità di innovare. «Qual è il termine migliore per definire convenzionalmente l’imprenditore? Senza dubbio quello di “innovatore”». Nel capitolo dedicato all’imprenditorialità (come vocazione e come destino), il professor Berta spiega come il business leader differisca dalle altre figure sociali del sistema economico, perché diffonde l’etica della razionalizzazione e modella i diversi assetti organizzativi. «Investito di una serie di compiti, l’imprenditore non può che essere un eroe solitario. [...] Per Sombart (economista tedesco di inizio Novecento) si tratta di una guida che può essere assunta sempre e soltanto da pochi: da coloro che emergono con pensieri e decisioni proprie, che percorrono un proprio cammino e sono seguiti dai più». Essere imprenditore nel capitalismo maturo significa dunque esercitare una leadership carismatica, sebbene colui dal quale dipende il destino dell’impresa non è necessariamente il proprietario o il direttore. Schumpeter, spiega Berta, non scorge nella brama della ricchezza e nella ricerca del benessere gli impulsi originari dell’imprenditore. Altra era la tempra degli «uomini che hanno creato l’industria moderna». Non si trattava certo di «piagnoni che si chiedevano continuamente e con angoscia se ogni sforzo a cui dovevano sottoporsi prometteva loro anche un sufficiente incremento di piacere». E se perseguire la ricchezza non spiega la leva imprenditoriale, quali aspetti della psicologia – si chiede Berta – andranno scandagliati per comprenderne i motivi profondi? Schumpeter ne segnala sostanzialmente due. «La soddisfazione derivante da una posizione sociale di potere. E poi la gioia di una funzione creatrice». Quest’ultima viene paragonata alla ricompensa che deriva dall’azione creatrice dell’artista, del pensatore o dello statista. L’autore fa un ulteriore passo avanti quando, parlando della personalità dominante dell’imprenditore, lo paragona a una sorta di Übermensch, un superuomo che trasferisce il verbo nietzschiano di Zarathustra all’economia. «Di sicuro è un “forte” che propende a esercitare il suo
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dominio attraverso una prorompente energia. Possiede “un’eccedenza di energia”, che lo induce a un’attività inesausta, tale da costituire per lui uno “scopo in sé”. Per l’imprenditore il piacere dell’azione è una struttura della sua “realtà psichica”. In questo è simile al giocatore, al quale nessuna vincita riuscirà a distoglierlo dalla passione». “L’enigma dell’imprenditore” traccia in sostanza un quadro sempre più umano dell’imprenditore, il quale non potrà ritirarsi nel pieno delle sue forze, ma abbandonerà il campo soltanto quando la sera scende sulla sua giornata. Quello è il momento in cui sentirà scemare dentro di sé le forze vive che l’hanno fin lì condotto al successo. «D’altronde – è la sintesi dell’autore – non si può essere imprenditori per sempre: la stagione della creatività non combacia con la vita fisica». Con qualche eccezione, ci verrebbe da dire, guardando agli imprenditori digitali del terzo millennio. O a quelli, come Fabrizio Di Amato, che circondandosi di persone di grande valore hanno capito per tempo come rendere complementari alcuni ruoli. Con un approccio più completo che unisce il “doer” al “dreamer”, l’anima manageriale e la visione imprenditoriale.
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EVOLVE | REPORTAGE
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SE PUOI SOGNARLO, PUOI
FARLO
Walt Disney «L’unico modo per iniziare è smettere di parlare e incominciare a fare»
REPORTAGE | EVOLVE
31 Estée Lauder «Quando smettete di parlare, avete perso il vostro cliente»
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Steve Jobs «Coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo di solito lo fanno»
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REPORTAGE | EVOLVE
33 Elon Musk «Credo che questo sia il miglior consiglio: pensa sempre a come si potrebbero fare le cose meglio e metti in discussione te stesso»
EVOLVE | REPORTAGE
34 Henry Ford «Se avessi chiesto alle persone che cosa volessero, mi avrebbero risposto: cavalli più veloci»
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Coco Chanel «Per essere insostituibile, devi essere differente»
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Miuccia Prada «Non puoi fare qualcosa solo per i soldi. Devi fare le cose in cui credi e alla fine guadagnerai»
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REPORTAGE | EVOLVE
Enzo Ferrari «Non abbiamo petrolio e miniere, ma possiamo primeggiare nel mondo con la fantasia»
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EVOLVE | REPORTAGE
38 Adriano Olivetti «Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte»
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Madam C. J. Walker «La perseveranza è il mio motto»
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EVOLVE | SOSTENIBILITÀ
LA SOSTENIBILITÀ
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INTEGRATA NEL CORE BUSINESS
i sono domande fondamentali alle quali ogni imprenditore e ogni impresa, grande o piccola che sia, deve saper rispondere in un determinato contesto storico-economico. Oggi è necessario trovare la risposta giusta a questo quesito: «Perché è importante integrare le politiche di sostenibilità nel business aziendale e cosa significa in concreto questa integrazione?» Partiamo con il dire che la sostenibilità è ormai intesa come strumento chiave per sostenere non solo la competitività e la reputazione di un’impresa, ma anche la sua redditività. In altre parole la sostenibilità non può più essere considerata come qualcosa che si aggiunge alle attività ordinarie, ma ne diventa parte integrante. Studi e analisi diffuse negli ultimi anni da mondo accademico e addetti ai lavori suggeriscono risposte diverse sul tema dell’integrazione della sostenibilità al business aziendale. Non esiste un’opinione condivisa, ma molteplici punti di vista, ognuno dei quali sottolinea un aspetto chiave di questo legame. Per comprenderli è utile analizzare i risultati di una ricerca realizzata da Ernst & Young, intitolata “Seize the change – Integrare la sostenibilità nel core business”, dove il network mondiale di servizi di consulenza individua le cinque più importanti accezioni del concetto di integrazione tra sostenibilità e business:
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Spinta all’eccellenza operativa, perché potenzia la capacità dei processi di raggiungere i risultati attesi, arricchendoli e aggiornandoli attraverso la lente della sostenibilità (un esempio è l’aver introdotto delle clausole di sostenibilità ambientale e sociale nel processo di selezione/ gestione dei fornitori o l’integrazione dei rischi di sostenibilità nel processo di risk management). Pensiero integrato, nel quale l’integrazione è un nuovo modo olistico di pensare l’azienda e di concepire la creazione di valore come risultato dell’interazione tra capitali tangibili e intangibili nello specifico contesto in cui opera. Motore d’innovazione, perché l’integrazione genera nuove modalità di innovazione dei prodotti, che includono aspetti ambientali e sociali fin dalla loro concezione. Risposta a un mondo che cambia, intesa come la capacità delle aziende di capire e interpretare i cambiamenti sociali, ambientali ed economici
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in atto, tanto da trasformare non solo le pratiche operative, ma anche la finalità stessa del business. Nuovi modelli di impatto sociale, dove si affermano modelli di business radicalmente nuovi, realmente orientati al bene comune e all’impatto sociale. Per quanto riguarda il tema dei vantaggi dell’integrazione tra sostenibilità e business, EY riconduce i benefici a tre macro-categorie: maggiore attrattività per gli investitori e riduzione dei rischi, customer commitment e benefici reputazionali, migliore gestione delle risorse umane. Nel primo caso, emerge una correlazione positiva tra integrazione della sostenibilità e risultati finanziari in termini di rendimenti azionari, ritorni sul capitale e sugli investimenti. I risultati sono stimati in un differenziale di performance tra il 4% e il 6% per le aziende “ad alto contenuto di sostenibilità” rispetto a realtà non strutturate. Perché? Migliore gestione dei capitali intangibili, visione di lungo periodo, forti relazioni con tutti
NELL’ATTUALE CONTESTO STORICOECONOMICO LE IMPRESE CHE HANNO SCELTO DI ATTUARE POLITICHE SOSTENIBILI HANNO SVILUPPATO UNA MAGGIORE RESILIENZA. MOTIVAZIONI, PERCORSI E RISULTATI OTTENUTI DAL GRUPPO MAIRE TECNIMONT.
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gli stakeholder aziendali e maggiore attenzione alla gestione dei rischi. Per ciò che riguarda il customer commitment e i benefici reputazionali, gli analisti sostengono che la sostenibilità rafforza il legame con il cliente dal punto di vista commerciale e valoriale, sviluppando una fidelizzazione al brand. Infine, il terzo beneficio riguarda una migliore gestione delle risorse umane misurato in un aumento della produttività dei lavoratori, soddisfazione sul posto di lavoro e una maggiore attrattività aziendale rispetto ai nuovi talenti.
l’evoluzione, che nasce dai valori di un’azienda, vive nei suoi processi e genera impatto nel mondo. Attraverso le risposte alle giuste domande (quelle sopra esaminate) si generano parole e messaggi chiave che definiscono e determinano lo stile imprenditoriale di ogni azienda. In Maire Tecnimont gli asset sono: impegno verso l’accelerazione della transizione energetica, digitalizzazione, innovazione aperta e creazione di valore per le comunità dei territori in cui operiamo nel rispetto dell’ambiente. Sottolineando che, per noi, al centro ci sono tutte le nostre persone, la loro crescita professionale, la loro salute e il loro benessere.
Il percorso di Maire Tecnimont
Una strategia ispirata agli Obiettivi dell'Onu
Nell’ambito del nostro Gruppo, tutte queste domande sono state poste molti anni fa. Da tempo abbiamo elaborato, grazie al supporto di una cultura aziendale sempre più matura, le risposte in tema di integrazione delle politiche sostenibili con il core business. Da questa consapevolezza si è sviluppata nel corso del tempo la nostra resilienza, quella capacità di adattamento e reazione agli shock esterni che ci ha permesso di affrontare la crisi generata della pandemia, evento che ha sconvolto gli equilibri dei mercati e minacciato qualsiasi forma di organizzazione sociale. È anche per questo che abbiamo compreso a fondo il significato di “sostenibilità”: ovvero un percorso verso
Proprio in questo 2021, un altro anno che ha bissato in termini di criticità le difficoltà legate all’emergenza Covid del 2020, abbiamo deciso di ribadire con maggiore vigore i concetti chiave del Gruppo, traducendoli in una Strategia di sostenibilità ispirata agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite: percorso complementare alla nostra strategia industriale e ai principi ESG. In quest’ottica, oltre ad aver ampliato la struttura dedicata alla sostenibilità, stiamo creando una task force dedicata alla riduzione delle emissioni di CO2, un Diversity e Inclusion Committee e diversi gruppi di lavoro per sviluppare linee di azione e progetti su quattro aree di intervento, i quattro cluster che guidano la strategia di sostenibilità: clima, economia circolare e ambiente, persone, innovazione che porta benessere, comunità e territori.
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Più nel dettaglio i macro-obiettivi nell’area ambientale riguardano: • Il contributo alla mobilità sostenibile con lo sviluppo di tecnologie per carburanti low carbon e ‘bio’. • La circolarità della plastica (grazie a tecnologie per un riciclo di qualità, meccanico e chimico) e l’incremento di soluzioni per produrre bio-plastiche. • Lo sviluppo di tecnologie per la transizione a un’economia a idrogeno e per un uso più sostenibile del gas. Tutto questo attraverso un concetto di innovazione non solo tecnologica (concentrata in particolare nella controllata NextChem), ma anche economico-sociale, strettamente connessa al concetto di benessere e allo stesso tempo aperta e interconnessa con l’ecosistema esterno. Un’innovazione capace di contribuire sia al processo tecnologico che a quello sociale, riducendo gli impatti
ambientali e contribuendo al percorso verso la decarbonizzazione. Ne sono un esempio i Distretti Circolari Verdi, 10 progetti allo studio sul territorio nazionale che concentrano tecnologie innovative nel settore della chimica verde e del riciclo, con l’obiettivo di riconvertire siti produttivi finora utilizzati dall’industria tradizionale e brownfield. «Lo scenario esterno a livello internazionale e nazionale – spiega Ilaria Catastini, Group Sustainabilty Manager di Maire Tecnimont – sta cambiando con una rapidità mai vista prima nella spinta verso la riduzione delle emissioni climalteranti e nel rispetto dei Sustainable Development Goals. Maire Tecnimont vuole avere un ruolo di abilitatore della transizione energetica nei settori hard to abate, a livello mondiale. Allo stesso tempo questo è un obiettivo sia di business della nostra Green Unit e sia di sostenibilità: attraverso lo sviluppo di proposte tecnologiche per la decarbonizzazione e l’economia circolare, stimoliamo la transizione ecologica consentendo un’accelerazione dei percorsi verso la neutralità carbonica. Inoltre lavoriamo sulla riduzione delle nostre emissioni e sull’innovazione di processi tradizionali per minimizzarne gli impatti ambientali». L’obiettivo è raggiungere la carbon neutrality nel 2030 per le emissioni dirette e indirette, con target esteso alle emissioni della catena del valore entro il 2050.
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MAIRE TECNIMONT E LA SOSTENIBILITÀ Il Gruppo, da quest’anno riconosciuto come ESG Identity IGI COMPANY 2021 EticaNews, nel 2020 ha realizzato:
Un’attenzione particolare è rivolta allo sviluppo sociale, dove poniamo come obiettivi prioritari la salute e la sicurezza delle nostre persone attraverso una formazione e responsabilizzazione continua, la promozione di un ambiente multiculturale e inclusivo, la creazione di valore nei territori dove operiamo. Così come la promozione di open innovation e digitalizzazione. Le parole dell’ad Pierroberto Folgiero sintetizzano gli obiettivi della nuova Strategia di sostenibilità: «Abbiamo iniziato dieci anni fa il nostro percorso, con l’adesione al Global Compact delle Nazioni Unite. Oggi abbiamo inserito a pieno titolo alcuni indicatori ESG (ambientali, sociali e di governance) nella nostra strategia industriale. Possiamo e vogliamo assumere un ruolo di abilitatori della transizione energetica, mettendo la nostra conoscenza dei processi di trasformazione delle risorse naturali al servizio di un’economia sempre più circolare e a basso impatto carbonico e vogliamo farlo creando valore a beneficio delle persone. Le persone per noi sono al centro, sia che lavorino per noi, per le nostre catene di fornitura, o che vivano nelle comunità locali nelle geografie dove operiamo. Il progresso a cui tendiamo, come ingegneri e come realizzatori, è un progresso sostenibile che crea benessere per le persone, nel rispetto dei diritti umani, della diversità che crea ricchezza culturale, del potenziale di ognuno, a livello personale e professionale».
• oltre 30 progetti industriali in corso nel mondo che impiegano tecnologie per la transizione energetica, con un portafoglio di tecnologie in crescita grazie a svariati accordi di partnership; • oltre 10 progetti allo studio in Italia per la creazione di Distretti Circolari Verdi; • oltre 10 progetti internazionali di ricerca per la transizione energetica; • ampliamento del perimetro di rendicontazione alle emissioni indirette di tipo Scope 3, con l’obiettivo di definire un piano di riduzione progressiva delle emissioni, con la compensazione di quelle non abbattibili; • certificazione SA8000 a livello multi-geografico, primo Gruppo italiano e primo al mondo nella tecnologia, ingegneria e costruzione dell’industria energetica ad ottenere una certificazione di questo tipo; • sottoscrizione dei Women’s Empowerment Principles (WEPs) promossi dal Global Compact; • lancio del programma di qualifica ESG per tutti i nuovi fornitori che include criteri sociali e ambientali e di governance; • erogazione di oltre 1,27 milioni di ore di formazione ai dipendenti e ai subappaltatori del Gruppo con una media di formazione per dipendente pari a circa 27 ore con un particolare focus sulla cybersecurity; • consolidamento del piano pluriennale di In-Country Value; • il 53% degli acquisti nell’anno legati ai progetti in corso sono stati eseguiti localmente e circa l’88% dei nuovi assunti, nelle nuove geografie, proviene dal mercato del lavoro locale; • ottima performance HSE con un indicatore LTIR (indice di frequenza di infortuni con assenza dal lavoro di almeno un giorno) pari a zero; • oltre 1.700 brevetti complessivi e 81 progetti di innovazione, adozione di un modello di Open Innovation che coinvolge Università, start-up e partner locali; • miglioramento del rating con punteggio A nell’indice MSCI e A- nel CDP Supplier Engagement Leader.
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IMPRESA,
FARE SULLA LINEA
EQUATORE
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er capire a fondo cosa significhi lavorare in Africa, iniziamo con il dire ciò che rende commercialmente questo continente diverso dagli altri. L’Africa è un continente enorme, variegato e disomogeneo. Ogni Paese ha un sistema politico diverso, regole e abitudini differenti, modi di lavorare eterogenei. Anche analizzando una sola zona africana, in questo caso quella subsahariana, si scoprono tante Afriche diverse, seppur confinanti: c’è la parte sud-occidentale ricca di idrocarburi e quella orientale che invece ne è priva e che punta sullo sviluppo delle rinnovabili. In breve, l’Africa non fa sistema a differenza dell’Europa e dell’America.
P
Lavorare in un contesto così complesso richiede prima di tutto profonda conoscenza delle specifiche peculiarità di ogni Paese, a partire
COME SI SVILUPPANO NUOVI BUSINESS COGLIENDO LE PARTICOLARITÀ DI AREE E NAZIONI CON CARATTERISTICHE MOLTO DIVERSE? LO SPIEGA DAVIDE PELIZZOLA, VICE PRESIDENT PER LA REGIONE SUB SAHARAN AFRICA. dalle Local Content Law, una forte capacità di adattamento e uno spiccato spirito imprenditoriale in grado di cogliere le diverse opportunità di business che ogni territorio offre apprezzandone anche i relativi rischi. Ad accompagnarci in questo viaggio complesso nella cultura e practice imprenditoriale sviluppata da Maire Tecnimont nell’Africa Subsahariana è Davide Pelizzola, Vice President per la Regione Africa Sub Saharan. La sua esperienza in questi territori parte da lontano: se infatti dal 2014 opera a queste latitudini per Maire Tecnimont, la prima conoscenza del Continente risale al 1990 quando per Snamprogetti entra in alcuni team di progetto in Nigeria. Poi gira il mondo: Pakistan, Medio-Oriente, Norvegia, America e Brasile. L’aereo atterra di nuovo nel 2007 in Africa con Saipem: ancora Nigeria, poi Angola e Mozambico. Ed ecco che con Maire Tecnimont nel 2013 ritorna in Nigeria dove – ci tiene ad assicurare – si vive e si lavora bene.
Africa
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Downstream e gas monetization Grazie alla profonda conoscenza delle dinamiche presenti in Africa, Pelizzola spiega l’importanza del ruolo svolto da Maire Tecnimont nella promozione e sviluppo del business in Nigeria, nazione che conta 200 milioni di abitanti: «Qui siamo impegnati essenzialmente nel trasferire know-how sul downstream e portare così il Paese a essere trasformatore in loco di ciò che possiede in abbondanza, ovvero le risorse del sottosuolo». L’obiettivo dell’attività di Maire Tecnimont è di partire dalla consolidata tradizione nigeriana nell’upstream per formare imprenditori che operino su tutta la catena industriale del valore. «La Nigeria rappresenta un paradosso – sottolinea Pelizzola –.
Pur essendo il primo produttore di oil & gas nell’Africa subsahariana, e il quarto o quinto nel mondo, ha lasciato cadere in disuso tre raffinerie realizzate 40 anni fa, impianti che garantivano una capacità nominale di 450mila barili al giorno di raffinazione. Oggi la Nigeria, a causa di questa scelta che possiamo definire poco lungimirante, si ritrova a essere un importatore di prodotti raffinati: di fatto, esporta il petrolio grezzo per poi re-importarlo raffinato». Una contraddizione emersa ancor di più nella recente crisi petrolifera, quando la Nigeria ha subìto maggiori perdite rispetto ad altri Paesi produttori di oil & gas, come la Russia o gli Emirati Arabi. Il motivo? Questi Paesi avevano sviluppato, negli anni passati, un downstream molto esteso, che ha consentito – in presenza di risorse a basso prezzo – di massimizzare il margine sul downstream in ottica di gas monetization. La Nigeria ha costruito invece un’economia monoreddito, basata sulla produzione e sull’esportazione di petrolio grezzo: un modello particolarmente sensibile che la espone alla fluttuazione dei mercati. «Proprio nell’ambito di questo solco, in questo gap di skills e strutture – spiega Pelizzola – si inserisce l’eccellenza ingegneristica di Maire Tecnimont. Portando competenze e presentando
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case study, rendiamo consapevoli i referenti locali del valore rappresentato dallo sviluppo del downstream, la cosiddetta gas monetization, attuabile solo con impianti di trasformazione in loco. Per stimolare la crescita del sistema produttivo nazionale e il potenziamento del suo indotto di servizi, la visione imprenditoriale di Maire Tecnimont – la nostra cultura del progetto e delle sue potenzialità – in Nigeria diventa fondamentale». Su queste basi nasce l’ultima aggiudicazione ottenuta dal nostro Gruppo. Rimettere in operatività la raffineria di Port Harcourt (commessa di circa 1.500 milioni di dollari). Il progetto consiste nella riabilitazione totale e completa delle due raffinerie per ripristinare il 90% della capacità nominale (circa 210mila barili al giorno). «Questo contratto – precisa Pelizzola – chiarisce come sia diverso lavorare in Africa rispetto a realtà più strutturate. Il progetto non esisteva, non è nato da una proposta delle parti interessate o dalle istituzioni centrali: è Maire Tecnimont ad averne costruito le fondamenta, supportando e assistendo il cliente in tutte le varie fasi, compresa la ricerca e il contatto con i finanziatori. Con questo progetto abbiamo trasmesso la consapevolezza di come si possono realizzare forme di investimento complesse e intelligenti, senza impiegare soldi pubblici, semplicemente ripristinando strutture industriali già presenti nel Paese. Il progetto è diventato un case study per l’ARA (African Refinery Association), che vorrebbe, ove ci fossero le condizioni, replicare. E mentre i nostri colleghi stanno iniziando la mobilization per il progetto di Port Harcourt, noi stiamo già lavorando su altre iniziative commerciali relative a raffinerie, petrolchimici e fertilizzanti su cui contiamo di avere aggiornamenti a breve». Per Maire Tecnimont l’Africa Sub Sahariana non è solo Nigeria. Grazie all’imprenditorialità e alla caparbietà dei colleghi di KT, il Gruppo è presente anche in Costa d’Avorio, dove è stata selezionata come licensor/tecnology provider, training e assistenza tecnica per la desulforizzazione di tre unità della raffineria SIR: l’obiettivo
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è produrre carburanti in accordo con le specifiche internazionali. In Camerun invece ci occuperemo dell’upgrade della raffineria SONARA, mentre in Angola installeremo nuove unità di processo per la raffineria SONAREF.
Ammonia green e lo sviluppo delle rinnovabili Mentre in Sud Africa stiamo lavorando con Siemens Energy, NextChem e Met Development per realizzare progetti green (idrogeno e ammonia), il valore della cultura e dell’esperienza imprenditoriale di Maire Tecnimont si misura anche in termini di flessibilità. Ossia nella capacità di saper lavorare e creare business nel settore delle rinnovabili: sia in Paesi con forte disponibilità di idrocarburi come in Nigeria, Angola, Camerun e Costa d’Avorio, sia in Paesi che ne sono privi, come, ad esempio, nel Kenya ricco di geotermico, dove più del 25% della popolazione vive senza elettricità, mentre soltanto il 50% possiede una fornitura regolare. Questa indisponibilità dipende dalla morfologia del Paese, vastissimo e difficile da attraversare, laddove l’installazione di cavi elettrici e la distribuzione di energia nei villaggi – possibile solo con linee che coprono distanze infinite – si rivela un’impresa complessa, con aumento dei costi finali per le famiglie. Per agevolare dunque l’accessibilità all’energia elettrica, Maire Tecnimont ha messo in atto soluzioni che ottimizzano e rendono più competitivi gli investimenti, andando a utilizzare lo sviluppo delle rinnovabili. «L’extra-produzione di power, che finora ha rappresentato un costo e che gravava sullo Stato, può essere utilizzato per lo sviluppo delle rinnovabili – precisa Pelizzola – In questo modo si associa alla produzione di energia elettrica per consumo civile una produzione di sviluppo industriale che assorbe la parte di extra-costi, rendendo più competitivi e accessibili i prezzi per le famiglie». Da costo a nuova opportunità di business per il Paese. Parliamo del progetto targato Maire Tecnimont per realizzare un impianto finalizzato a produrre nitrati a bassa intensità di carbonio, primo al mondo su scala industriale alimentato da energia rinnovabile. La struttura – un ulteriore passo per industrializzare la produzione di fertilizzanti sostenibili con il lancio della tecnologia Green Ammonia – sorgerà presso il Parco Industriale Oserian Two Lakes sulle rive meridionali del lago Naivasha, cento chilometri a nord di Nairobi. L’iniziativa consentirà al Paese di sviluppare il mercato della produzione di ammoniaca verde. Utilizzando l’eccesso di watt e creando una filiera legata alla produzione di fertilizzanti, il governo risparmia sui costi di importazione, trasformando un costo energetico in una fonte di reddito. Il Kenya diventa così un osservato speciale da parte degli addetti ai lavori internazionali, in quanto l’ammonia non è importante solo nel settore dei fertilizzanti green, ma anche come nuovo carburante ecologico per il trasporto marittimo. Facile da stoccare (a differenza del Liquid Gas), è immediatamente pronta per l’uso e quindi molto meno costosa anche rispetto all’idrogeno. Ma questa è un’altra storia che vi racconteremo.
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IL NOSTRO DOMANI? È
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l futuro si costruisce a partire da oggi” sarà il tema centrale del prossimo numero di EVOLVE. Il successo di un’organizzazione, specie quelle complesse che agiscono in mercati incerti come Maire Tecnimont, dipende da una visione imprenditoriale. Dall’abilità di saper cogliere il futuro, iniziando a svilupparlo e a scaricarlo a terra fin da subito. Come nello sport, come negli scacchi, la capacità di essere pronti rispetto alle future mosse dell’avversario è ciò che fa la differenza. Nel nostro caso non si tratta di un’entità in carne e ossa, né di una singola impresa concorrente. L’avversario da studiare e su cui essere focalizzati è l’andamento futuro del mercato: che nel nostro caso è frutto di centinaia di variabili e micro-variabili impossibili da prevedere con certezza.
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In questo numero di EVOLVE, dedicato al tema dell’imprenditorialità in azienda, abbiamo sviscerato l’importanza di saper uscire dalla zona di comfort per immaginare scenari inediti e invisibili ai più. Una visione che guardi al di fuori del solito orticello, che sia una spinta a capire cosa c’è oltre l’ostacolo, superando l’esistente. Non è un esercizio sempre facile, specie quando c’è da mandare avanti un Gruppo di 50 società in 45 paesi e un organico di oltre novemila persone. Come l’atleta impegnato nei 110 metri ad ostacoli, l’unico modo per non inciampare è quello di correre con la testa alta e lo sguardo puntato al traguardo: se ci focalizziamo sulla barriera che sta di fronte a noi, se abbassiamo per un attimo la testa rispetto al futuro che incombe, ci ritroveremo a incespicare sul tartan della nostra corsia. Molte aziende, molti imprenditori e manager non preparano per tempo la rotta verso l’obiettivo a lungo termine. Come ha scritto Simon Sinek – nel libro “Trova il tuo perché” di cui parliamo all’inizio di questo numero – pensare solo ai profitti funziona nel breve periodo, ma quel successo non è destinato a durare nel tempo. «Le organizzazioni che indicano come PERCHÉ un risultato, ovvero fare soldi, non sono quasi mai posti dove è bello lavorare».
In Maire Tecnimont lo sappiamo bene. Alla base di tutto c’è la passione e la competenza di un imprenditore, del fondatore Fabrizio Di Amato, il cui sostegno “fisico” nel suo ruolo di presidente del Gruppo è uno sprone continuo ad avere idee per affrontare il cambiamento e migliorare le nostre performance. Se ai vertici di un’azienda si ritrovano invece una schiera di burocrati, che svolgono in maniera impeccabile il loro “compitino”, è probabile che nel breve periodo l’impresa ottenga i suoi risultati, che in gergo sportivo chiameremo piazzamenti. Intorno a quel team, però, in assenza di visionari e creativi che scorgano cosa si cela oltre l’orizzonte, si muoverà una folla – interna ed esterna – di persone poco motivate. Quell’atmosfera da contenimento dei silos verticali rischierà di drenare energie ai progetti, ai team leader entusiasti. Toglierà ossigeno alla contaminazione di differenti culture che si esprime in geografie sempre nuove, e fa crescere una multinazionale nella dimensione di “Azienda Comunitaria”. Come ci ha spiegato Marco Bentivogli, nell’intervista di pagina 10 dove parla di aziende dinamiche e organizzazioni statiche, «l’impresa che sa riscoprirsi comunità, sa unire i punti, coordinare le proprie energie interne senza sciuparle, custodisce meglio di altre il capitale umano valorizzandone il ruolo e aumentando la qualità delle mansioni distribuite». Parole a cui hanno fatto eco quelle di Roberto Battaglia, autore di “Startupper in azienda”: «Alla luce dell’esperienza di quest’ultimo anno, sono convinto che il concetto stesso di innovazione debba cambiare significato. Meno costretta all’interno di schemi precostituiti e più capace di far leva sulle capacità che stanno, spesso nascoste, fra le pieghe delle organizzazioni». D’altronde l’imprenditore – lo ha scritto anche il Commercial VP di KT - Kinetics Technology, Andrea Vena, nell’editoriale – è colui che, in mezzo alle difficoltà, genera per primo una visione. Non aspetterà di avere sotto controllo tutte le variabili: parte credendoci e strada facendo costruisce un percorso, una squadra con cui allineare la visione. Nel prossimo numero di EVOLVE – l’ottavo – che rappresenta una sorta di giro di boa, metteremo al centro del dibattito il motto “Our tomorrow is now”. «Tutti i nostri MOTTOS – ha ribadito l’amministratore delegato Pierroberto Folgiero – rappresentano una diversa prospettiva del valore dell’imprenditorialità: saper cogliere le sfide, valorizzare le singole decisioni, l’essere adattivi e resilienti, combattere la burocrazia. Stiamo parlando di un grande esercizio di partecipazione, anche psicologica, ai processi aziendali». Se rimarremo concentrati sul percorso di crescita, saremo pronti a costruire i nostri punti di atterraggio per il prossimo decennio. Il nostro domani? È iniziato da questa mattina.
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RIDE THE TURNAROUND!
The challenge of our Group: impeccably deliver our portfolio through operational and financial discipline.
Master the change, be actively part of it!
EVERY SINGLE DECISION COUNTS! Our work-success is the result of a thousand single choices made in the right sequence. There is no time for procrastination.
Your contribution makes a difference!
BE ADAPTIVE!
Fast changes in the market create discontinuities while opening also opportunities to the most responsive players.
Agility is the key!
NOT JUST THE COMPANY, THIS IS YOUR COMPANY! Building together the success of our Group creates shared value to everyone.
Be entrepreneur in a network of entrepreneurs!
TAKE THE CHALLENGE!
Managing uncertainties is the core of our job… As a sailor faces the sea every day.
Let the passion for results drive your actions!
STEP UP AND MAKE THINGS HAPPEN! Talk and listen directly to your colleagues. Sending an e-mail could not be a solution. Let’s keep our doors open.
Beat the bureaucratic approach!
WE ARE RESILIENT!
Recovering quickly from drastic changes is part of our noble and precious DNA. We live in a tough environment, but adversity made us stronger.
Let’s capitalize on lessons learnt!
OUR TOMORROW IS NOW! These are extraordinary times. If we stay focused on our corridor of growth we will be ready to build the next decade of Maire Tecnimont.
The floor is ours!
www.mairetecnimont.com