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Dicembre ‘11
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VIDEOGIOCHI PER PC
279
ciak, Azione!
3
Mass Effect
I Razziatori invadono la Terra! hollywoodiano!
Call of Duty
Modern Warfare 3
Lo sparatutto di Activision non fa prigionieri! guerrafondaio!
Battlefield 3 EA sferra l’attacco finale!
rivelazione Esclusiva!
Assassin’s Creed:
Revelations Scoprite i segreti di Ezio Auditore e Altair nella recensione più attesa dell’anno! DOSSIER Il seme della mela - perchè anche i mac hanno un’anima nascosta, dedicata al gioco!
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editoriale
ee Fotografa questo QR Cod ! ine Onl TGM di g blo sul corri Scopri come fare a pagina 13!
giocatori orizzontali?
S
ono un videogiocatore orizzontale, è inutile Appena un gioco mi chiede un pochino di più, in questo nasconderlo. O meglio, sono diventato un giocatore momento della stagione videoludica, non so onestamente orizzontale. E toglietevi quel sorrisino sulla faccia, che fare. Capita che mi blocchi o che, semplicemente, che siete nella mia stessa identica situazione se i cominci a girare a vuoto. Non è un problema di struttura, vari RAGE, Crysis 2, Call of Duty: Modern Warfare nemmeno di genere. È un problema di “gestione della libertà”. 3, Battlefield 3, Bulletstorm e compagnia cantante vi hanno Evidentemente, le ultime esperienze videoludiche mi hanno divertito e appassionato. In questo numero, in cui abbiamo “anestetizzato” mouse, pad e tastiera. In fin dei conti, affrontato di petto due dei pesi massimi degli sparatutto del quando sali sul trenino del Luna Park non ti poni il problema 2011, l’aspetto in questione è emerso di spostarti a destra o a sinistra, in alto o in in tutta la sua prepotenza. Specie basso: stai lì, ti diverti, e ti fai portare fino alla perché, poco prima di andare in stampa, fine del percorso, pronto per ricominciare un quando non c’è il mentre i bagordi dei festeggiamenti altro giro. “canalone”, rischio dei compleanni del Todeschini e del sottoscritto lasciavano segni indelebili di sentirmi spaesato: Capiamoci: Battlefield 3 e Modern Warfare sulle nostre facce, in diversi abbiamo 3, ma è un discorso che può valere per è come se il mio cominciato a giocare con Skyrim, nella buona parte degli sparatutto in soggettiva, “istinto” si trovasse sono esperienze a cui non voglio rinunciare. sua incarnazione console, l’unica che Bethesda ha messo a disposizione a suo agio sedendosi Tuttavia, è forse giunto il momento di chiedere della stampa prima del tempo (il codice qualcosa di più, sul versante del single player, a tavola e trovando di un “semplice” canalone, pur se addobbato a PC è arrivato tardi. Il solo pensare di recensire un titolo tanto vasto in tre giorni la solita minestra, festa e con la banda che suona la tua canzone è sbagliato, in primis per rispetto nei preferita. Non chiedo di “osare” troppo: mi sì calda e fumante, basterebbe vedere l’intenzione di farlo, di confronti di voi lettori, e in secondo luogo per la sanità mentale della redazione provare qualcosa di nuovo. ma di quelle che tutta. Appuntamento al mese prossimo, Quello che non capisco è se sono in buona vengono servite al con gli immancabili pareri multipli). compagnia o meno, in questo mio pensiero. giocatore “pigro” Attenzione, non pensiate che questo Perché potrebbe anche darsi che questo sia l’incipit per scatenare una guerra di approccio vada un po’ stretta solo a me, e i piattaforme: l’ultima volta che è stato milioni di fan che le due serie hanno in tutto il divertente farlo, c’erano di mezzo Amiga e Atari ST. Ma è mondo non vorrebbero veder cambiare il loro titolo preferito di diventata presto noiosa anche quella, di battaglia. una sola virgola. Ma voi, da che parte state? Torniamo a The Elder Scrolls. Nelle terre di Tamriel ho perso due giorni per trovare un dannato tempio, abbarbicato sui monti. Non fraintendetemi: sono state ore bellissime, in mezzo a lupi, muschi e licheni, mentre raccoglievo manici di scopa e le corazze dei guerrieri che incontravo, come un moderno mulo da soma… ma non è questo il punto. Il fatto è che, dopo la scorpacciata di canaloni, che sono il piatto forte degli sparatutto moderni (tipo i “canaloni” di magro della domenica, quelli che prepara vostra mamma), non sono semplicemente più abituato a cercare una strada alternativa. Se vedo che il “puntatore” della bussola indica di là, di qua, di su o di giù, sono portato ad aspettarmi di arrivare alla meta in venti secondi, senza aver la possibilità di sbagliare, di perdermi, di girare in tondo come nemmeno Ivan Conte la sera dell’ultimo dell’anno, mentre cerca parcheggio sotto casa degli amici che abitano in centro. E quando non succede, quando il canalone non c’è, rischio di sentirmi spaesato. È come se il mio “istinto” si trovasse a suo agio sedendosi a tavola e trovando la solita minestra minestra, sì calda e fumante, ma di quelle che vengono servite al giocatore “pigro”, se mi perdonate il termine.
Buona lettura, Davide “ToSo” Tosini iltoso sprea.it
identikiti e Tosin Nome:David :ToSo soprannome icolari: segni part
77 r.com/ToSo www.twitte 77 So To : AG GamerT
Dicembre 2011 TGM
3
Sommario dicembre 279
Pagina
52 Football Manager 2012 Pagina
24
EA Winter Showcase Pagina
20
Mass Effect 3 Pagina
70 Might & Magic: Heroes VI Pagina
74
Pagina
32
Assassin’s Creed: Revelations Pagina
38
Disney Universe Pagina
100 Time Machine Reloaded 4
TGM Dicembre 2011
Call of Duty
Modern Warfare 3
Sommario
CONTENUTI DI QUESTO MESE Pagina
54 Dungeon Defenders
Costume Quest
Pagina
76
111 Adso! 113 Backstage 12 Beta Machine 106 Bovabyte 104 ConsoleMania Corner 3 Editoriale Euforia Paradossa 112 6 GamesVillage.it 90 Hardware 83 IndieZone 10 Massive News 102 Replay 4 Sommario 96 TecnoTGM 80 TGM Classic 108 TGM Mail Time Machine 100 18 TMB’s Intro 8 Voci di corridoio
HARDWARE
DOSSIER
14 Il Seme della Mela
PREVIEW 24 20 30 28
EA Winter Showcase Mass Effect 3 Off Road Secret Files 3
REVIEW
32 Assassin’s Creed: Revelations 44 Battlefield 3 38 Call of Duty Modern Warfare 3 Battlefield 3 Vs. 51 Modern Warfare 3 Costume Quest 76 60 Dead Rising 2: Off the Record 74 Disney Universe 54 Dungeon Defenders Football Manager 2012 52 73 Le Avventure di Tin Tin Men of War: Vietnam 67 70 Might & Magic: Heroes VI 58 Orcs Must Die! 78 Budget Zone
Pagina
90
Pagina
44
Battlefield 3 Dicembre 2011 TGM
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games Village A cura di Claudio “keiser” Todeschini (keiser@sprea.it)
WWW.gamesvillage.it
Un mese intenso, quello che si è appena concluso, ma ricco di soddisfazioni. Soprattutto per gli utenti del forum di TGM Online.
M
entre ci si prepara per le abbuffate di Natale e festività connesse, quello appena trascorso è stato uno dei mesi più intensi su GamesVillage.it. Innanzitutto perché siamo ancora nel periodo in cui sta uscendo una vagonata, ma proprio una vagonata, di roba: questo significa che il sito rigurgita recensioni di titoloni uno dopo l’altro, da Batman: Arkham City (con tanto di videorecensione e due speciali di approfondimento da non perdere) a Battlefield 3, passando per Call of Duty: Modern Warfare 3 a Elder Scrolls V: Skyrim, e ancora Uncharted 3, Assassin’s Creed: Revelations e un sacco di altri che non abbiamo neppure lo spazio di citare, altrimenti finiamo le due pagine solo a elencarli. Qui, come sempre, il problema è più che altro vostro: con tanto ben di Dio da scegliere e da giocare, il difficile non è tanto evitare le sòle, quanto riuscire a non andare in bancarotta per star dietro a ogni gioco importante e meritevole! Operazione che comunque non è impossibile: basta stare attenti alle uscite senza rincorrere i titoli al day-one, cercando occasioni nell’usato o nei “rebate” delle catene videoludiche, comprando in “società” con altri amici ecc. In tutto questo non sono mancati approfondimenti, hands-on e speciali per tutto ciò che avrà modo di stuzzicarci nei mesi a venire: The Secret World di Funcom provato in anteprima negli studi canadesi della software house, il multiplayer di Mass Effect 3, il nuovo Syndicate di Starbreeze/EA, ecc. ecc. Insomma, come sempre l’unico consiglio che possiamo darvi è di fiondarvi tutti i giorni su GamesVillage.it per non perdere nulla, ma proprio nulla di tutto ciò che fa ludo elettronico. Il mese appena trascorso è stato importante anche e soprattutto per il forum di TGM Online, che continua a vivere e prosperare accanto a quello del “cugino” di GamesVillage.it. Da che esiste, ogni corposo aggiornamento, ogni cambio di “motore”, ogni evento legato a modifiche importanti al database del forum è sempre stato accompagnato da down epocali, crash apparentemente irrecuperabili, suicidi di massa e isterie collettive. Erano gli anni dell’Apocafud (vedi box) e del “penitentiagite!” di El-Mazun. Oggi li riguardiamo con un misto di nostalgia e commozione, ma quando si verificava, l’Apocafud era una vera tragedia, come possono senz’altro testimoniare tutti coloro che hanno assistito al tragico evento. Ebbene, nelle scorse settimane è stato compiuto un grosso aggiornamento a vBulletin, il “motore” del forum, che ha abbandonato la vecchia versione 3.7.qualcosa per la 4.1.qualcos’altro. Apparentemente (e lo diciamo prodigandoci in ogni sorta di gesto scaramantico) senza troppi intoppi, e persino nei tempi previsti. Molto più di un banale upgrade, l’operazione si è resa necessaria sia per consentire una manutenzione più agile da parte dei nostri teNNici, sia per offrire una serie di extra per gli utenti, a cominciare da un più efficace filtro antibot e antispam, così da porre rimedio a una situazione che negli ultimi mesi si era fatta davvero insostenibile, soprattutto per i moderatori che dovevano far piazza pulita in continuazione. La nuova versione di vBulletin, oltre a contemplare un motore di ricerca migliorato, permette di gestire in maniera più semplice i template (il che ha significato poter mantenere le
Inutile nasconderselo: l’Uomo Pipistrello ha catalizzato gran parte dell’attenzione di queste settimane. A ragion veduta!
6
TGM Dicembre 2011
La prova su strada del multiplayer di Mass Effect 3!
La nuova home page del forum è incredibilmente simile alla vecchia, ma di novità “sotto il cofano” ce ne sono davvero tante...
Ecco i giochi che verranno messi in palio questo mese sul forum di TgmOnline. Partecipare è semplicissimo: per saperne di più non vi resta che andare sul forum ed entrare nell’area chiamata “L’arena del Gioco Fedeltà”.
StrongHold 3 - cidiverte
driver: san francisco - cE - Ubisoft
Batman: Arkham City - warner bros.
GIOCO FEDELTà
GamesVillage
IL PRIMO APOCAFUD NON SI SCORDA MAI
“C I cambiamenti all’interfaccia utente sono davvero minimi: familiarizzare con il “nuovo” vBulletin è davvero questione di istanti!
skin precedenti quasi del tutto inalterate) e gli allegati, e offre comodità ormai irrinunciabili come gli URL cosiddetti “amichevoli”, che mostrano nella barra di navigazione del browser il titolo del topic; a questo si aggiungono notevoli migliorie nell’interfaccia di navigazione e maggiori opzioni nel pannello utente – tra cui la possibilità di cancellare autonomamente il proprio account, per chi volesse compiere un atto tanto scellerato. Insomma, di novità ce ne sono davvero tante, quasi tutte “sotto il cofano”, volte principalmente a rendere il forum uno spazio sempre più piacevole dove chiacchierare con gli altri utenti, a prescindere dalla piattaforma utilizzata, dal numero di versione, dal database in tedesco o dai controlli in swahili. Speriamo di esserci riusciti, anche se sappiamo che il lavoro non è mai finito: nelle prossime settimane continueremo a
Quel che non è cambiato, invece, è il fatto di poter selezionare la skin con la gradazione cromatica che più si aggrada, dal cupo nero...
on il termine Apocafud si intende un down prolungato per diversi giorni del forum di TGM Online, con eventuale perdita di post, counter, messaggi privati e quant’altro. Numerosi e diversificati per gravità, gli apocafud si sono susseguiti nel corso di tutta la storia del forum di TGM; anche prima dell’avvento del FUD, incendi fatali alle macchine e cazzeggi con il database del forum hanno procurato soventi danni e disfunzioni, ciò nonostante la capacità della parola Apocafud di descrivere la tragicità dell’evento è tale che l’utilizzo del termine si può tranquillamente estendere anche alla fase in cui il forum girava in XMB o alla presente che si appoggia al VB. Anche se sembra incredibile crederlo, c’è stato un tempo in cui il forum girava decentemente, e down prolungati di qualche ora apparivano eventi eccezionali; ma oggi, con i casini prodotti da server mossi da criceti, e fallimenti ciclici o casuali, il termine Apocafud ha perso molta della sua capacità di generare panico e timore tra gli utenti. L’evento più recente di cui si parla in questa voce di J4Wiki si riferisce ai fatti accaduti in occasione del passaggio da FUD a VBulletin». - da J4Wiki (bit.ly/j4wiki)
“limare”, migliorare e correggere i piccoli errori, aggiungendo anche qualche nuovo plug-in richiesto da più parti. Qualcuno ha detto Tapatalk? Per questo mese è tutto, ci si becca online! Sul nuovo forum!
... al tema “oro”, croce e delizia per gli occhi dei suoi (numerosi) utilizzatori! Dicembre 2011 TGM
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Voci di Corridoio A cura di: Claudio “Keiser” Todeschini (keiser@sprea.it)
Ritorna XIII (ma non è quel che sperate)
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a notizia di un nuovo titolo dedicato a XIII, il fumetto di spionaggio franco-belga, ha scatenato qui in redazione un moto di curiosità mista a eccitazione: il ricordo del ragguardevole sparatutto in prima persona con grafica in cel-shading uscito nel 2003 non si è ancora del tutto spento, così come la speranza - prima o poi - di vederne un sequel. L’entusiasmo, però, è durato pochi istanti: il tempo di scoprire che le piattaforme per cui è sviluppato questo progetto – ancora privo di un nome ufficiale – sono PC e dispositivi iOS (iPhone, iPad, iPod Touch), il che lasciava presagire qualcosa di molto più casual che un FPS. La conferma è arrivata una volta raggiunta (e “piaciuta”) la pagina ufficiale su Facebook, all’indirizzo facebook.com/anuman. fr, dove scopriamo che lo sviluppo è nelle mani della software house Anuman Interactive, e che gli autori del fumetto e la sua casa editrice, Dargaud, hanno deciso di commissionare un’avventura interattiva che ne riprenda tutti gli elementi, dai personaggi alla trama, rivolta a un pubblico il più ampio possibile.
Portal 2 si aggiorna con un editor
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ontinua, come tradizione per Valve Software, il lungo supporto post-uscita per il suo ultimo capolavoro, Portal 2. Dopo Peer Review, estensione della campagna in co-op, il puzzle game in prima persona si arricchirà di un completo editor di livelli che permetterà a chiunque, dotato di un po’ di fantasia e voglia, di costruire e condividere con il mondo intero le proprie camere di test, sia per il single che per il co-op. I giocatori potranno scaricarle, giocarle e votarle con pochi clic del mouse. L’elemento di maggior interesse di questo prodotto, almeno a giudicare dalle prime immagini rilasciate, è la (apparente) estrema semplicità dell’interfaccia utente, caratteristica assai rara negli altri SDK, con poche, rare eccezioni come la serie Trackmania. L’uscita dell’editor, che naturalmente sarà gratuito per i possessori del gioco, è prevista per l’inizio del prossimo anno.
Diablo III in omaggio con il pass annuale di World of Warcraft
A
l termine della sua convention annuale, Blizzard ha annunciato un “pass annuale” per World of Warcraft, che in buona sostanza impegna il giocatore a versare un anno di canone per il popolare MMORPG, ma che offre una serie di discreti benefici per tutti coloro che accetteranno di iscriversi, a cominciare da una copia gratuita di Diablo III in versione digitale. Non la beta, non una trial, ma il gioo completo, fatto e finito. A questo, se non siete già corsi a prendere il numero della carta di credito, si aggiunge il mount Tyrael’s Charger e l’accesso garantito alla fase di beta test della prossima espansione di World of Warcraft, che verrà annunciata in futuro. Il pass annuale non dev’essere per forza corrisposto in un’unica soluzione, ma può essere diluito anche in pagamenti mensili, esattamen-
Annunciato King’s Bounty: Warriors of the North
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uone notizie per gli appassionati della serie di King’s Bounty: 1C Company ha infatti annunciato per la prossima primavera Warriors of the North, il nuovo capitolo della serie RPG/strategica fantasy. Nel gioco potremo impersonare un nuovo eroe, Olaf, figlio del Re del Nord, la cui vita è spesa a combattere i non morti che infestano le terre di Endoria; ad attenderlo, nella campagna single player, epiche battaglie da affrontare insieme alle splendide Valchirie che lo aiuteranno sul campo di battaglia, e che con lui cercheranno di liberare la città di Darion, al cuore di Endoria, dal regno dei necromanti. Oltre alla trama, Olaf e le sue valchirie, il gioco offrirà nuovi ambienti, unità e abilità, e persino una scuola di magia tutta dedicata alle rune.
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TGM Dicembre 2011
te come avviene già adesso: l’unica cosa è che chi lo sottoscrive si impegna per un anno intero. In altre parole: Blizzard ha il terrore di un esodo di massa dalle terre di Azeroth quando arriverà Diablo III, e cerca di tenersi stretta il più possibile i suoi abitanti (paganti). Per finire, sappiate che la promozione è valida solo per gli account creati prima del 18 ottobre 2011.
In arrivo anche Shank 2
A
ll’inizio del prossimo anno vedrà la luce, su PC e servizi digitali di Xbox 360 e PS3, il seguito di Shank, sviluppato ancora una volta da Klei Entertainment e pubblicato da Electronic Arts. “Dal punto di vista creativo Shank ha ancora molto da offrire”, ha dichiarato Jamie Cheng, fondatore della software house, e c’è da credergli. Nel gioco torneremo a vestire i panni dell’ex sicario della malavita dal passato oscuro e misterioso, nuovamente coinvolto in una cupa storia di redenzione che lo vedrà impegnato a salvare la vita delle persone a lui più care. Shank 2 riproporrà, arricchito, l’inconsueto sistema di combattimento e di controllo dell’originale, che ne hanno fatto uno dei migliori brawling dello scorso anno. Debutterà anche una modalità survival in coop nella quale i giocatori dovranno collaborare tra loro per abbattere i nemici. Se volete saperne di più, andate a guardare le pagine dell’EA Winter Showcase.
Voci di corridoio
Sonic Generations arriverà anche su PC
L
a notizia non era delle più segrete, ma ci ha comunque fatto piacere leggerne conferma qualche settimana fa: Sonic Generations arriverà a novembre anche su PC, in versione esclusivamente digitale, e si appoggerà alla piattaforma Steamworks. Il gioco celebra i vent’anni di vita del porcospino blu, con un’avventura nuova di pacca nella quale ritroveremo tutti i personaggi conosciuti fino a oggi, dal primissimo Sonic the Hedgehog del 1991 agli altri incontrati nei titoli usciti in questi due decenni. Oltre alla presenza di feature come Steam Cloud, che permette di conservare i salvataggi in remoto, e di riprendere quindi a giocare anche da un PC diverso, Sonic Generations per PC supporterà il 3D stereoscopico, classifiche online e Obiettivi da sbloccare, oltre a una grafica con supporto per risoluzione fino a 1080p, ossia 1920x1080. La recensione, ovviamente, potrete trovarla sul prossimo numero.
Un ritorno anche per
Leisure Suit Larry
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opo quello di XIII arriva notizia di un altro “revival”, questa volta relativo al povero e sfigato playboy Leisure Suit Larry, che già diverse volte negli anni passati ha tentato – inutilmente – di tornare sui nostri monitor con avventure che spaziavano dall’imbarazzante al deprimente. Spinta da un inspiegabile impeto autolesionista, la software house Replay Games ha comprato i diritti della serie e si prepara a pubblicare il primo gioco di questo ennesimo reboot, intitolato Leisure Suite Larry in the Land of the Lounge Lizards e previsto per la fine del 2012 per Windows, OS X, XBLA, PSN, iOS, Android, On-Live e Gaikai. Eventuali seguiti dipenderanno dal successo di questo primo esperimento; oltre alla consueta dose di pruderie e ammiccamenti vari, l’unico elemento che ci fa sperare in qualcosa di meglio rispetto a quanto uscito in questi ultimi anni è il coinvolgimento diretto nello sviluppo del gioco di Al Lowe, il creatore di Larry.
Un FPS online per La Cosa
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e ancora ne eravate all’oscuro, sappiate che Universal sta per far uscire un prequel di The Thing, il capolavoro horror di John Carpenter, a sua volta già remake di un classico della fantascienza degli anni Cinquanta; ebbene, la software house NeverDie Studios sta lavorando a Hunt The THING, uno sparatutto in prima persona massivamente online legato alla nuova pellicola. E, lo dobbiamo ammettere, la scelta del genere ci ha lasciati piuttosto spiazzati. Il gioco in realtà è ambientato nell’universo parallelo di ROCKtropia, un mondo online già avviato da qualche tempo, e che si ispira alla pellicola di Carpenter e a quella di nuova uscita, senza essere legato a particolari elementi della trama o personaggi. Mosso dal CryENGINE2, Hunt The THING sarà un’avventura free-to-play con microtransazioni, dove i giocatori avranno a disposizione (poche) munizioni gratuite, la possibilità di recuperare barili di petrolio all’interno di arene PvP e barattarle in cambio di altri proiettili, e la necessità di stringere alleanze con altri per affrontare la Cosa nella battaglia finale.
Continua l’invasione dei Rabbids!
L’angolo della celluloide (Dead Island)
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nche se i possessori di PC non possono gustarsi la loro ultima avventura videoludica, Fuori di schermo, questo non gli impedisce di mettere mano fisicamente ai folli coniglietti urlanti di Ubisoft: da qualche settimana, sullo store ufficiale della software house francese, all’indirizzo www.ubishop. com/eeerz, sono infatti disponibili gli EeerZ, collezione di pupazzi in vinile ispirati ai Rabbids, e pensati per collezionisti di oggettistica folle e stravagante. La serie è composta da un pupazzo “Do It Yourself” da 28 cm (da personalizzare, volendo) e da una versione in velluto della medesima dimensione e disponibile in 5 colori diversi. Ma non è tutto: il publisher francese ha annunciato un accordo con Nickelodeon per la realizzazione di una serie TV dedicata proprio a loro, e che debutterà nel 2013. Ubisoft Motion Pictures si occuperà di realizzare la bellezza di 78 episodi in CGI della durata di sette minuti ciascuno, che l’emittente per bambini riunirà e trasmetterà in 26 episodi di mezz’ora. BWAAAAHHHH!
na sola notizia, questo mese, ma decisamente polposa (anche perché del film di Angry Birds non riusciamo davvero a scrivere, e non ce ne vogliate per questo): l’horror di Techland e Deep Silver potrebbe infatti arrivare presto sul grande schermo grazie a Lionsgate, che ha acquisito l’opzione sui diritti di Dead Island. Come potete facilmente immaginare, al momento le informazioni sono piuttosto risicate: sappiamo giusto del coinvolgimento di qualche produttore tra cui Sean Daniel (The Mummy, Tombstone), e che ai capoccia di Lionsgate è piaciuto in particolar modo il trailer di (ri)annuncio del gioco dello scorso febbraio, e che per questo motivo la storia verterà probabilmente su una tranquilla famigliola in vacanza su un’isola tropicale assediata dagli zombie. Tutto questo al netto delle dichiarazioni che si leggono nel comunicato stampa ufficiale, dove spiccano chicche del tipo “il film di Dead Island sarà un’innovazione nel genere zombie grazie al focus sulle emozioni umane, i legami familiari e una storia non lineare”. Speriamo che non decidano di montare alla rovescia tutto il film! Dicembre 2011 TGM
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massivenews
A cura di Paolo Davide “Mascalzone” Lumia (masca@sprea.it)
Le più succose anticipazioni sul mondo in continua evoluzione dei MMOG: stavolta solamente quelli targati Blizzard Entertainment!
B
en ritrovati: l’appuntamento di questo mese è occupato interamente da un quanto più possibile completo reportage sulle novità annunciate durante il principale evento videoludico dello scorso mese di ottobre, ovverosia il BlizzCon, come di consueto tenutosi nella “periferia” Sud di Los Angeles, più precisamente al Convention Center di Anaheim. L’evento dedicato da Blizzard a tutti i suoi fan ha, tra le altre innumerevoli cose, tenuto a battesimo la nuova espansione di World of Warcraft. Prima di passare alle ultime novità, un bel riassuntone delle precedenti puntate: l’ultima volta che abbiamo parlato di Sua Maestà WoW su queste pagine risale all’agosto scorso, con l’uscita della patch 4.2, Rage of the Firelands; ebbene, gli ultimi mesi hanno riservato alla decina abbondante di milioni di giocatori succosissime anticipazioni sul prossimo massiccio aggiornamento di gioco, ovvero la patch 4.3, i cui contenti, al momento in cui scriviamo, sono in intensa fase di testing per esser pubblicati definitivamente non sappiamo quando, vista l’allergia della software house californiana alle date (tanto per sottolineare, pure quella dell’attesissimo Diablo III resta un Tre i nuovi dungeon da affrontare in gruppi da cinque prima che la storyline porti a Dragon Soul. Questo è l’ingresso di Well of Eternity.
Tra le varie location in cui Deathwing farà le sue infuocate apparizioni non poteva certo mancare Wyrmrest Temple...
mistero). Potrebbe comunque già essere online nel momento in cui leggete queste righe, perciò vediamo di descrivervene le caratteristiche: presentato come l’aggiornamento più corposo dall’uscita di Cataclysm (dicembre 2010), l’update in questione avrà come elemento principe il raid dungeon inedito Dragon Soul, che vedrà i player allo scontro finale con Deathwing, il cattivone introdotto con l’ultima espansione. E già non è poco. Mancano ancora le conferme ufficiali, ma dovrebbe comprendere le usuali due versioni
Poteva mancare un importante ruolo per Thrall nell’uccisione di Deathwing? Certo che no, ma aspettatevi delle sorprese!
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TGM Dicembre 2011
da 10 e 25 giocatori, per un’istanza senz’altro di un livello di difficoltà comunque superiore a Icecrown Citadel, sede del faccia a faccia con Arthas, alias Lich King. Insomma un qualcosa diviso in diverse fasi (ben sei sono i draghi-boss “minori”, per un totale di otto scontri) che, seppur ci sia da scommettere che sarà ripulito in men che non si dica dagli hardcore player, terrà il giocatore medio impegnato molto a lungo. Perché ci sarà da ottenere le nuove legendary weapons per i Rogue e completare il tier 13 dell’equip, e perché moltissimi saranno i contenuti accessori, a partire dalla storyline inedita, con tanto di tre nuovi dungeon per i party che introdurranno la battaglia con il drago cattivo. Altra novità relativa alla versione da 25 di Dragon Soul riguarda l’implementazione del nuovo raid finder cross-realm, che automatizzerà (tramite alcune regole e limitazioni) il lungo processo di ricerca dei compagni per affrontarlo, al
Deathwing certo non sarà il primo draghetto che i player dovranno sconfiggere affrontando Dragon Soul. Ecco uno dei suoi sei simpatici amichetti...
FragZone Transmogrificazione! Non suona proprio bene, ma di sicuro è uno dei regali più attesi di questo Natale se amate bazzicare per Azeroth!
costo di ricompense meno importanti rispetto a quelle recuperate in normal ed heroic. Ma non è finita perché, pur risparmiandovi i bonus dei nuovi set d’equipaggiamento, gli immancabili nerf e l’aggiornamento del valor point system per motivi di spazio, c’è un altra importante anticipazione, che riguarda l’arrivo dell’abilità transmogrification, ovverosia la possibilità di cambiare l’estetica (e solo quella naturalmente) dei nuovi set tier 13, convertendone le skin con quelle dei vecchi set. Il tutto al fine di accontentare i gusti di tutti. Una vera e propria rivoluzione per WoW: siamo sicuri che i nuovi NPC Transmogrifier saranno gettonatissimi. E concluso ciò che ci aspetta per la fine dell’anno, è il momento di passare a quel che vedremo in futuro, cominciando dalle prime anticipazioni sulla 4.4, che dovrebbe essere l’ultima prima dell’arrivo della nuova espansione e che porterà un’evento che condurrà a Mists of Pandaria. Possiamo ipotizzare che la patch arriverà per l’estate e quest’ultima per il Natale del 2012 (comunque prima del 23 dicembre), ma siamo entrati nel pericolosissimo campo delle speculazioni. Ciò che invece si sa di sicuro è che arriveranno gli amati/odiati Pandaren e la nuova regione di Pandaria, con l’ovvio innalzamento del level cap fino al 90. Ma la novità delle novità riguarda l’introduzione della classe Monk che, insieme all’ambientazione decisamente orientaleggiante, ha fatto gridare più di qualcuno al plagio di Kung Fu Panda di Dreamworks. Pazienza che la prima apparizione del Pandaren Bewmaster risalga a The Frozen Throne e quindi al 2003: molti hanno interpretato questa scelta di Blizzard come precisa intenzione di cavalcare l’onda dell’attuale successo del panda monaco-smazzuolatore… e forse qualcosa di vero c’è. Certamente si tratta di un soggetto piuttosto bizzarro, ma siamo più che sicuri che in quel di Irvine sapranno contestualizzarlo lasciando tutti a bocca aperta, soprattutto grazie all’insuperabile Art Director Samwise Didier. Ma non è l’apparenza
Tutta la magnificenza del Pandaren Monk e della sua terra natìa, Pandaria. Che dite, ce n’è abbastanza per un reroll?
E se reroll sarà, s’avrà da fare col nuovo talent system, decisamente più la caratteristica più sfaccettato ed elastico dell’attuale, con tanto di cambio spec “on the fly”! peculiare dei panda, in qaunto si tratta della prima razza che potrà far parte sia dell’Orda che dell’Alleanza. E, per quel che è si è visto con la prima versione giocabile presentata al BlizzCon, i Pandaren paiono già eccezzionalmente caratterizzati, sia attraverso tratti tutt’altro che teneri, sia attraverso le formidabili abilità del monaco, ovviamente riprese dai più letali stili di arti marziali. vanilla. Il risultato consisterà nella sparizione Curioso il fatto che una delle specializzazioni degli attuali talent tree in favore di sei rami da dei talenti della classe (quella da tank) sarà tre talenti, selezionabili ogni 15 livelli, lasciando nientepopodimeno che il Brewmaster, mentre comunque inalterata le possibilità di rotazione le altre due sono Mistweaver (curatore) e delle abilità. Sarà inoltre possibile, come su Windwalker (DPS melee). La prima sarà RIFT, cambiare spec in qualsiasi momento caratterizzata dall’ampio utilizzo della schivata senza doversi recare da un trainer. E, a proposito (drunken master anyone?), la seconda dalla di “ispirazioni” da altri titoli, da segnalare vocazione sì curativa, ma anche decisamente l’introduzione del Pet Battle System, ovvero i pet offensiva, mentre la terza sarà quella più attivi che san tanto di companion alla Star Wars: legata alle mosse di kung fu. Rimaniamo sul The Old Republic... tema talenti perché verrà introdotto un sistema Basterà tutto questo per fermare l’emorragia completamente rinnovato, che completerà le di giocatori (marginale, ma comunque modifiche cominciate con Cataclysm. L’obiettivo significativa) che ha caratterizzato quest’ultimo degli sviluppatori è quello di rendere il tutto anno e convincere tutti all’ennesimo rollback? molto più slegato da quei percorsi “obbligati” che Al momento la carne al fuoco è sicuramente i giocatori han sempre seguito sin dall’edizione tantissima! You’ve just to stay tuned...
IL MMORPG DEL MESE: BLIZZARD DOTA Se, personalmente, mi ha colpito il fatto che al Blizzcon non sia stata fatta menzione alcuna ufficiale di quello che è il mod di StarCraft II sicuramente più atteso dalla community, ossia StarCraft Universe (aka World of StarCraft), ha invece avuto grandissimo spazio quest’altro mod che ha tutti i possibili crismi dell’ufficialità, in quanto sviluppato internamente. Principalmente perché, come detto sul numero scorso, la grande guerra dei MOBA è in atto e Blizzard, dopo lo schiaffo preso da Valve con DotA 2, deve assolutamente dire la sua. E, se era già stato annunciato lo scorso anno, è in quest’edizione che sono stati svelati i dettagli definitivi, seppur non ancora in forma giocabile. In buona sostanza, si tratta della riproposizione rivista e corretta del consumato gameplay di Defense of the Ancients condita dalla presenza di tutti i celeberrimi personaggi del marchio, da Arthas a Kerrigan, passando per Thrall e Zeratul, per un totale di dodici eroi divisi nelle quattro classi disponibili al lancio. Tra queste si segnala quella del “siege”, specializzata nelle abilità di crowd control.
Chi si è lamentato di un’eccessiva somiglianza con Kung Fu Panda di Spielberg & soci non ha tutti i torti. Ci sono persino i sacchi per i pugni!
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A cura di Paolo Davide “Mascalzone” Lumia masca@sprea.it
Betamachine
STAR WARS: THE OLD REPUBLIC Via l’NDA, anche se per una sola fazione e 15 livelli su 50. Ma è “solo” l’inizio...
T
orno a sfruttare questa rubrica per parlare dell’attesissimo Star Wars: The Old Republic di BioWare, MMORPG ormai prossimo all’uscita definitiva, prevista per il 20 di dicembre (anche se, nei negozi, troverete le scatole a partire dal giorno 13). E quello che state leggendo è il primo passo di quel processo di approfondimento del lancio di questo mastodontico titolo che voi, o sacri lettori di TGM, avrete l’opportunità di seguire sino a febbraio e oltre. Come detto avevamo già trattato questo gioco nella Beta Machine dello scorso mese di maggio, approfittando delle informazioni giunte dall’America attraverso il PAX East. Ebbene questa volta possiamo parlare di quanto provato con mano nella Closed Beta, a cominciare dall’installazione di un client dal peso di venti e passa gigabyte... questo fa già capire i termini della grandezza che caratterizza questa produzione, che riporta i fan di Guerre Stellari nell’universo dei titoli persistenti, seppur in forma completamente diversa rispetto all’ormai defunto (per ragioni puramente commerciali legate al lancio di questo MMORPG) Galaxies. Perché SW:TOR è un “theme park” a tutti gli effetti, ma presenta un paio di radicali in-
novazioni rispetto alla marea di titoli che l’hanno preceduto. Ci sono le abituali quest, ma sono presentate in maniera del tutto simile a quella dei migliori GdR single player (Mass Effect, giusto per citare un parente stretto), quindi interamente doppiata ed altamente spettacolare. Già questo basta da solo per far capire che il livello d’immersività voluto dalla softco di Austin è qualcosa che noi umani mai abbiamo visto prima, specie quando s’hanno da affrontare i Flashpoint, cioè i dungeon, appositamente progettati per cambiare al mutare delle decisioni che i giocatori, o meglio, i party, prenderanno con lo svilupparsi dell’istanza. Questo immagino lo sappiate già ma è sempre bene ricordarvi quale sia il punto focale di questo MMO. Passando alle nostre prime, parziali, impressioni, precisiamo che abbiamo potuto provare solo le classi della Repubblica (Jedi Knight, Jedi Consular, Trooper e Smuggler) rimanendo altamente suggestionati dalla bontà del dipanarsi della trama, che quest dopo quest introduce nell’eterna battaglia contro il Lato Oscuro. Ottima la varietà delle missioni (differenti per ogni classe: rigiocabilità imperat!), la qualità di tutto quanto si muove e si vede su schermo, la scalabilità dell’engine (il
MoDALITà: Closed Beta STATUS: Attiva SITO: http://swtor.com/ USCITA: 20 dicembre 2011
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grind è a portata di notebook) ed eccellente la profondità della caratterizzazione del personaggio, sia per le scelte di dialogo già citate sia per il più tradizionale sistema di progressione ad abilità e talenti. L’ambientazione, poi, è l’assoluto punto di forza di questo prodotto, e non c’era da dubitarne, ma stupisce la cura riposta dagli sviluppatori nel riprodurre i dettagliatissimi diciassette pianeti (!) previsti alla release. Volendo descrivervi tutti i dettagli nei prossimi numeri, per concludere coi dati positivi cito la pulizia del client (qualche bug a parte, ma assolutamente niente di serio) e la robustezza del gameplay. Insomma, SW:TOR si gioca praticamente da solo e, dal punto di vista della storyline, offre sicuramente quella ventata d’aria fresca di cui il genere ha disperatamente bisogno. Forse pure troppo, perché, passando agli atavici dubbi, il sistema di conversazioni utilizzato è parente strettissimo di quello progettato per i single player, risultato delle litigate compreso. Insomma forse un po’ troppo rigido per un MMO, anche se sui binari (con uno smodato numero di scambi) come questo. Ma attendiamo di avere il quadro completo per giudicare, ovviamente.
Come accedere con il cellulare ai contenuti speciali di
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All’interno della rivista si trovano dei “quadrati magici” chiamati QR, acronimo di Quick Response, che consentono di accedere velocemente a contenuti esclusivi. Per visualizzarli è necessario avere uno smartphone o cellulare abilitato alla connessione Internet. Ecco cosa bisogna fare per accedere ai contenuti esclusivi di THE GAMES MACHINE
1Scaricare e installare il programma gratuito i-nigma La procedura deve essere effettuata solo la prima volta. Una volta scaricato e installato il programma per la lettura dei codici QR questo funzionerà per ogni successiva lettura. Il programma per leggere i QR funziona su tutti i cellulari e smartphone
dotati di fotocamera e connessione a Internet. Per ottenere il software, basta inviare un SMS al numero 0044 7797 882325 per aprire la pagina Web da cui scaricare il programma adatto al proprio smartphone. Oppure è possibile collegarsi dal proprio cellulare al sito www.i-nigma.mobi. Così facendo, verrà individuato automaticamente il sistema operativo dello smartphone e installata la versione corretta di i-nigma.
Inquadrare e scattare Dopo aver premuto l’icona del programma i-nigma non resta che puntare la fotocamera del dispositivo sul codice QR, avendo cura di restare a circa 1015 cm dalla pagina della rivista, schermo del computer o iPad, e premere il pulsante Leggi Codice. Per conferma, si dovrà premere ora il pulsante Accedi a Internet. Qualora si voglia velocizzare questo secondo passaggio, occorre abilitare la voce Nessuna conferma all’interno del pannello Impostazione e poi Connessione a Internet.
DOSSIER Il Seme della Mela A cura di: Danilo Dellafrana
Con la recente scomparsa di Steve Jobs, è un atto dovuto viaggiare indietro nel tempo fino alle origini videoludiche del leggendario Macintosh.
S
teve Jobs ha avuto fama di essere un uomo complicato da trattare. E se lo dice una leggenda come Nolan Bushnell c’è da crederci. In una recente intervista al fondatore di Atari, Jobs viene ricordato come una testa calda con poca propensione per il gioco di squadra. Bushnell in quel periodo stava concettualizzando Breakout, intuendo che una versione a giocatore singolo di Pong non poteva assolutamente fallire e nominò project manager il vulcanico Al Alcorn, che affidò a Jobs il compito di realizzarne un prototipo. Questa sarebbe stata l’unica alternativa al licenziamento, ricorda Nolan. Dopo aver incoscientemente annunciato di poter realizzare il prototipo in soli quattro giorni, trovò il deus ex machina per uscire da una simile situazione nel Grande mago di Woz. Steve Wozniak, genio dell’informatica assolutamente unico nel suo genere,
amico di Jobs e all’epoca dipendente della Hewlett-Packard portò a termine il lavoro senza dormire per quattro notti di seguito e senza aver idea di come funzionasse questo fantomatico Breakout, plasmando la primordiale argilla del videoludo solo attenendosi alla descrizione di Jobs. Nonostante il suo prototipo venne successivamente cassato poiché considerato inadatto per la produzione di massa dagli ingegneri di Atari, tutto ciò che venne creato, ponderato ed ottimizzato durante la creazione di Breakout venne riutilizzato come base per l’Apple II. Questo però non è il posto per parlare approfonditamente di questo computer: lo abbiamo più volte nominato nella Time Machine (basti ricordare Jordan Mechner, che sviluppa Karateka e Prince of Persia originariamente per tale piattaforma) e il suo contributo all’informatica di consumo è innegabile assieme al Tandy TRS-80
Jobs fu fondamentale per il marketing della nuova macchina. Voleva che chiunque la desiderasse più di ogni altra cosa e al Commodore PET 2001, tutti e tre usciti nel 1977 e considerati la sacra “trinità”, i “Big Three” dell’alba degli 8 bit. Basti ricordare che l’apporto di Jobs fu fondamentale nel marketing della nuova macchina: egli desiderava renderla un oggetto
cool, qualcosa che chiunque avrebbe voluto possedere, non solamente i nerd che popolavano gli Homebrew Computer Club. Le scatole portasigari dove le circuiterie dei computer amatoriali venivano frettolosamente contenute dovevano diventare un
David Graham dà voce e fattezze al Grande Fratello nello storico spot.
La fin troppo eloquente cover di Balance of Power.
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Dossier ONLY FOOLS ARE KNOW-IT-ALL... The Fool’s Errand è un gioco ben radicato nella memoria di ogni Mac gamer che si rispetti. Cliff Johnson ne era ben cosciente quando, nel 2003, annunciò un seguito, The Fool and his Money (PC e Mac). Anche stavolta si tratta di un metapuzzle dove la soluzione di enigmi sarà accessoria allo sviluppo della storia, un po’ come nella serie di Layton su Nintedo DS, con la trama direttamente collegata al finale del gioco originale. Sfortunatamente, il gioco ha subito una serie di posticipazioni da far impallidire Aquaventura, tanto da spingere taluni a supporre che si tratti di un elaborato scherzo. Toccherà attendere il 5 Dicembre per saperne di più...
Quel tombino aspetta solo di essere spalancato...
Risolvere tutti quegli enigmi per completare la mappa del sole sarà un’impresa in The Fool’s Errand.
Il primo gioco commerciale fu Through The Looking Glass, una variante in chiave arcade del gioco degli scacchi brutto, rozzo ricordo e si ispirò ai case dalle linee snelle e graffianti (per lo meno per l’epoca...) tipiche dei calcolatori della Hewlett-Packard. I computer dovevano trovarsi al loro posto assieme all’arredamento di casa e per questo anche le semplici viti dovevano scomparire dall’estetica della nuova macchina. Possiamo quindi concludere che uno dei cavalli di battaglia della moderna Apple, ossia l’esasperata ricerca per il look dei propri prodotti, può essere ricondotta alla genesi di Apple II, computer a sua volta nato grazie al lavoro dietro Breakout, uno dei più classici tra i videogiochi. Tale estetismo venne portato all’ennesima potenza nello storico spot che, durante il Superbowl del 1984, annunciava la nascita del Macintosh, pubblicità tra l’altro visibile come easter egg nel cinema del primo livello della versione Mac di Duke Nukem 3D. Diretto da un Ridley Scott fresco del successo di Blade Runner, il breve filmato vede una società distopica dai cupi toni blu e grigi dove persone prive di volontà e personalità ascoltano rassegnate il discorso di un supervisore che inneggia alla conformità della società. Un chiaro riferimento alla novella “1984” di George Orwell, ma men-
tre il Grande Fratello proclama il suo discorso, un’eroina senza nome dai colori sgargianti e con una maglietta raffigurante una versione astratta e cubista del Mac entra in scena e lancia un martello contro il monitor dal quale il dittatore pronuncia il suo monologo, distruggendolo. Segue la celebre frase finale che pubblicizza la release del Macintosh annunciando “perché il 1984 non sarebbe stato come “1984”. Oltre a essere considerato un’opera d’arte, lo spot rappresenta una dichiarazione di guerra nei confronti dell’allora onnipresente IBM e c’è da dire che il nuovo computer della Mela si presentava davvero bene, quasi bello come Anya Major, la bionda protagonista dello spot. Tutto merito di quell’incredibile GUI corredata da quel sexy quanto inusuale marchingegno chiamato mouse. L’ispirazione venne dallo Xerox Alto, il primo computer a vantare quello che oggigiorno chiamiamo desktop, interfaccia grafica e il sopracitato mouse, una combinazione indigesta ai conservatori capoccia della Xerox PARC nel 1973, tanto che la macchina non venne mai commercializzata ma prodotta in poche migliaia di esemplari destinati agli uffici interni della società di Palo Al-
to e ad alcune università. Quello che però avevano trascurato era una caratteristica ai tempi apparentemente superflua ma destinata a diventare la punta di diamante della strategia di mercato di Jobs: l’usabilità. Questa rivoluzionaria interfaccia, però, non doveva far apparire la nuova macchina come un costoso balocco, bensì come il mezzo con cui ottenere il massimo dal proprio Mac in ambito lavorativo: a tal proposito, la tastiera era priva di tasti funzione e frecce, una scelta voluta per evitare inutili conversioni di programmi già esistenti su altre macchine e valorizzare il nuovo ambiente di lavoro. Questo desiderio di serietà a tutti i costi fu uno dei motivi per cui inizialmente Apple non desiderava associare giochi al Mac (eppure il suo primo videogioco risiedeva già nel computer). Tra i vari informatici che lavorarono sul Mac, Andy Hertzfeld é realmente fuori parametro. Mago del codice, di recente ha contribuito all’interfaccia dei contatti di Google+, le famose
Un merluzzo siderale visto dalla cabina di pilotaggio dell’astronave di Osmo. Volendo potreste anche cercare di colpirlo con il lancia-cotton fioc di serie...
cerchie. Inizialmente realizzò in Pascal una versione del gioco del 15 come desk accessory, piccoli programmi che funzionavano assieme all’applicativo principale condividendone la memoria in una sorta di primitivo multitasking. Il gioco però rischiò di non far parte del sistema operativo per via del peso eccessivo (6 kilobytes) ma Andy lo riscrisse a tempo di record (si narra in sole due ore di un noioso sabato mattina) in Assembly, rendendolo ben più snello nei suoi 600 bytes! Il primo gioco commerciale fu comunque Through The Looking Glass (1984), una variante in chiave arcade del gioco degli scacchi, idea già sfruttata con le ovvie differenze un anno prima in Archon. In realtà, con gli scacchi TTLG condivide solo una convincente scacchiera prospettica e i familiari pezzi, mentre pedoni, torri e regine fanno di tutto per “mangiare” Alice, comandata dal giocatore, saltando avanti e indietro con un incredibile effetto di scaling, il tutto squisitamente disegnato con un tratto alla John Tenniel che, unito al
Uno scatto tratto dal Deathmatch dello stupendo Marathon Infinity.
RPG, avventura e FPS: un cocktail esplosivo in Pathways to Darkness.
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LA MELA BACATA Quando Steve Jobs tornò nella dirigenza Apple, una delle sue prime azioni fu cancellare la produzione del Pippin. Uscita nel 1996, la console veniva pubblicizzata come una macchina multimediale con connessione a internet (sì, prima del Dreamcast di SEGA) a prezzo contenuto. Sotto il cofano era sostanzialmente un Power Macintosh di seconda generazione e Apple decise di dare in licenza la tecnologia a Namco affinché sviluppasse la propria versione della console. Fu un fiasco di dimensioni incredibili, con una ludoteca carente di giochi quantomeno decenti. Si ricorda, in senso negativo, Racing Days, clone di Ridge Racer caratterizzato da una lentezza e un rilevamento di collisione demenziali. E pensate che avrebbe dovuto essere la killer application...
font gotico del punteggio nella parte alta dello schermo, donava alla partita un look da libro illustrato. Steve Capps era una delle colonne portanti nello sviluppo dell’Apple LISA e realizzò su questa piattaforma una versione preliminare del gioco, che venne provata e apprezzata da Steve Jobs, convincendolo a desiderare a tutti i costi il giovane programmatore nel team Macintosh. Il gioco venne quindi convertito per Mac e pubblicizzato praticamente dall’inizio della vita della macchina, sin dalla primissima brochure informativa. Capps riteneva che la via migliore per commercializzare il gioco fosse attraverso quella Electronic Arts di Trip Hawkins, guarda caso ex responsabile marketing del LISA, ma Jobs insistette affinché il progetto rimanesse all’interno di Apple in tutto e per tutto, promettendo in cambio una presentazione principesca. Così fu. Magnifica nella sua peculiare forma “a libro” per strizzare l’occhio all’omonimo racconto di Lewis Carrol che fa da sfondo al gioco, la confezione di TTLG riflette appieno la cura per l’estetica tipica dell’azienda: fortunatamente, dietro a tanta apparenza c’era altrettanta sostanza. Non solo Capps perfezionò il gioco fino alla pubblicazione includendo le migliori richieste dello staff (Woz ad esempio consigliò di ridurre le dimensioni del puntatore mano a mano che si allontanava dalla base dello schermo per simulare un effetto profondità) ma, poiché c’era ancora spazio sul dischetto, creò Amazing, un accattivante gioco a base di labirinti generati casualmente a seconda del parametro di difficoltà inizialmente scelto da giocatore. Purtroppo le vendite furono disastrose, principalmente perché non ricevette un marketing adeguato. Oramai, però, il vaso di Pandora eDark Castle riassumeva punteggi, nemici e trama prima di iniziare a giocare. Con grande stile, ovviamente.
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Ecco come appariva il desk accessory “Puzzle”, il primo gioco per Mac.
ra stato scoperchiato: da lì in poi, il Mac non avrebbe potuto far nulla per nascondere la sua riservata facciata ludica. Fu così che cominciarono a spuntare, anche su quella piattaforma, conversioni di vari successi dell’epoca come Sim City, aiutate dall’uscita, alla fine dello stesso anno, del Macintosh 512, versione con 512kb di RAM della stessa macchina (che ne aveva, di base, 128). Ma focalizziamoci sui titoli esclusivi: Dark Castle (1986) è il primo gioco ad usare i tasti WASD in simbiosi con il mouse. Si tratta di un titolo iconico per la storia del Mac gaming, con due seguiti all’attivo e una duratura fanbase. Il prodotto venne convertito su un’infinità di piattaforme, dal Megadrive al CD-i, ma le versioni successive non riuscirono a raggiungere l’impatto dell’originale tra controlli atroci e grafica inadeguata, orfana delle evocative e nitide schermate in alta risoluzione del titolo padre. Nei panni del Principe Duncan il giocatore deve entrare nel Castello Oscuro del titolo e sconfiggere il Cavaliere Nero. Duncan può difendersi solo lanciando rocce orientando la mira con il mouse: tra piattaforme, enigmi e nemici da lapidare dovrà raccoglie-
La sontuosa confezione di Through the Looking Glass.
re uno scudo magico e la capacità di lanciare palle di fuoco prima di avere una chance contro la sua nemesi. Le stanze del maniero possono essere affrontate in qualsiasi ordine e i tre livelli di difficoltà portano a nemici più numerosi e trabocchetti extra. Se trascuriamo Adventure di Warren Robinett per Atari 2600, Dark Castle fu anche uno dei primi titoli a contenere una easter egg: se giocato nel giorno di Natale, il minaccioso salone del castello che funge da schermata per selezionare i livelli appare agghindato da decorazioni a tema! Notevole l’impatto di Deja Vu e, in generale, della serie MacVenture nel 1986: in un mondo dove giocare un’avventura voleva dire prendere a testate un cocciuto parser, MacVenture offriva il primo assaggio di interfaccia punta e clicca destinata a divenire fonte di ispirazione per lo SCUMM di Lucasfilm Games. Era come scoprire un nuovo mondo: le dettagliate finestre fornivano tutti i dati necessari,
dalla visuale della location a inventario e mappa, senza lasciare nulla all’immaginazione e alla capacità del programma di capire le nostre istruzioni; ad eccezione dei dialoghi, non era necessario inserire nemmeno una riga! Quattro furono i giochi di questa serie: Deja Vu e seguito (Deja Vu II: Lost in Las Vegas - 1988) sono storie di detective hard boiled, Uninvited (1986) è un horror e Shadowgate (1987) un’avventura fantasy. La semplicità dell’interfaccia rese possibile sdoganare il genere anche su macchine che non disponevano dei mezzi (tastiera) per permettersi degni esponenti del genere: Shadowgate ad esempio venne convertito con successo per NES e vennero prodotti due seguiti per Turbografx16 e Nintendo 64; addirittura il Game Boy Color si aggiudicò una compilation con i due Deja Vu in una sola cartuccia. Al Mac spetta anche il primato di ospitare The Manhole (1988), il primo gioco su CD-Rom. Scritto nel linguag-
il vaso di Pandora era stato scoperchiato: da lì in poi, il Mac non avrebbe potuto nascondere la sua riservata facciata ludica
The Uninvited può essere considerato l’ispiratore di Personal Nightmare della Horrosoft.
Il Joe’s Bar nel leggendario Deja Vu!
Dossier
Al di là dell’oceano, anche il mondo del Sol Levante impazziva per Deja Vu sullo storico PC98!
nel Marzo del 1986 il Macintosh II si presentava con 256 colori su un superbo schermo da 13 pollici gio HyperTalk, sviluppato dai fratelli Miller, gli stessi che avrebbero in seguito creato Myst con la loro Cyan Worlds, il gioco si presenta come un’avventura per i più piccoli: nella prima schermata un tombino può essere aperto per liberare una gigantesca pianta di fagioli che può essere scalata per esplorare mondi fantastici. Schermata dopo schermata, i giovani esploratori possono cliccare su decine di hotspot rivelando nuove location, dialogare con bizzarri personaggi e attivare animazioni ed effetti sonori senza un fine preciso: l’importante è scoprire passo passo le sorprese nascoste nel mondo di gioco e divertirsi. Il seguito spirituale, Deja Vu 1 e 2 in un’unica cartuccia per Game Boy Color.
Cosmic Osmo and the Worlds beyond the Mackerel (1989) alza la posta, offrendo un universo di gioco ancora più grande. Osmo è un alieno panciuto e bonaccione e i videogiocatori vivranno avventure a bordo della sua astronave girovagando per sette pianeti (quattro, nella versione ridotta, su dischetto): volete imbrattare la tela nel suo soggiorno con gli strumenti di MacPaint? Scrivere un libro da fargli leggere? Mettervi alla guida della sua astronave o più semplicemente lavare i piatti facendo scoppiare le bolle di sapone solo per scoprire il passaggio per una nuova location nello scarico? Il quantitativo di cose da fare era enorme e Ace non tardò a ritenerlo una pietra miliare nella storia dei videogiochi, definendolo come la prima killer application per Macintosh. Il Mac, quindi, a dispetto della sua apparenza ha sempre avuto il cuore di una vera “games machine”: nonostante il primo modello offrisse un nitidissimo monitor monocromatico alla risoluzione di 512x342, già nel Marzo del 1986 il Macintosh II si presentava con 256 colori alla risoluzione di 640x480, su un superbo Alle prese con un avversario particolarmente brillo, in Shufflepuck Café.
schermo da 13 pollici. E ovviamente i giochi continuavano ad arrivare: Balance of Power (1985) di Chris Crawford é un simulatore geopolitico ambientato nella Guerra Fredda dove il giocatore, nei panni del presidente degli Stati Uniti o del segretario del Partito Socialista, deve attraversare otto anni amministrando crisi e problemi su scala mondiale, evitando di pestare i piedi alla superpotenza avversaria scatenando una guerra nucleare accumulando nel frattempo più punti prestigio degli avversari. O ancora il giocabilissimo Shufflepuck Café (Brøderbund - 1989), un simulatore in chiave sci-fi dell’air-hockey: praticamente Pong in prospettiva contro improbabili avversari, spassosissimo grazie all’utilizzo del mouse. Altro interessante esperimento è The Fool’s Errand (1987) di Cliff Johnson, un metapuzzle contenente decine di enigmi, dalle parole crociate agli indovinelli, passando per crittogrammi, labirinti, immagini scorrevoli e anagrammi. La loro risoluzione permetterà di leggere nuovi capitoli nella storia narrata che vede uno sciocco intento a cercare fortuna nella terra dei tarocchi, in barba ai sortilegi della Sacerdotessa cercando la soluzione della Mappa del Sole, a sua volta un enigma. L’autore lo ha reso di pubblico dominio ma consiglia caldamente di giocare la versione originale per Mac mediante emulatore per via della maggior risoluzione. Un gran titolo, accolto con entusiasmo sull’ultimo numero del TGM inglese, sfortunatamente mai trattato nella versione italiana.
TEMPO DI MARATHON Marathon è una serie di FPS fantascientifici sviluppata da quei Bungie che anni dopo avrebbero trovato fama internazionale grazie ad Halo. I ragazzi avevano dimostrato classe da vendere con Pathways into Darkness (1993), un rivoluzionario mix tra sparatutto in prima persona e avventura dinamica ambientato nello stesso universo. Tecnicamente superba, la trilogia di Marathon pone grande enfasi sulla narrativa, disseminando terminali nelle aree di gioco con cui il giocatore può scoprire importanti informazioni sulla trama e sull’ambientazione. Questa caratteristica è enfatizzata nel terzo capitolo, Infinity, presentando una narrazione non lineare. Il giocatore viaggia attraverso differenti linee temporali con lo scopo di impedire la liberazione dell’impronunciabile entità W’rkncacnter, riscrivendo la storia prima che l’universo venga distrutto. Ma trama a parte, i giochi sono davvero eccellenti, con un engine all’avanguardia, riscritto nel secondo capitolo per incorporare i combattimenti subacquei e modificato per il terzo, vantando inoltre uno stiloso HUD con tanto di scanner di movimento che fa tanto Aliens Scontro Finale. Coadiuvato dagli editor Forge e Anvil, rispettivamente adibiti a mappe e grafica, il gioco offriva un divertimento duraturo per la sua prolifica comunità di fan. La trilogia è oggi gratuitamente scaricabile per Windows, Unix e Mac OS X permettendo a tutti di (ri)scoprire un importante tassello nella storia del Macintosh.
BUNGIE E IL MAC Prima di diventare famosi per Halo e abbandonare la Mela, Jason Jones e Alex Seropian scrissero Minotaur: The Labyrinths of Crete (1992), un gioco di ruolo competitivo per due giocatori, praticamente un riuscito incrocio tra Lords of Chaos di Julian Gollop e Bloodwych di Mirrorsoft. Da allora, la loro produzione si è egregiamente distinta con Pathways to Darkness, lo strategico Myth e la trilogia di Marathon. Quest’ultima può essere giocata su computer recenti grazie ad Aleph one, motore open source derivato da quello originale di Marathon 2. Teoricamente il primo capitolo gira su un engine diverso ma, grazie alla conversione M1A1, può essere gustato assieme ai due seguiti sempre grazie ad Aleph one, prelevabile all’indirizzo marathon.sourceforge.net.
La selezione dei livelli in Dark Castle.
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Tmb’s Intro A cura di: Mirko “TMB” Marangon (tmb@sprea.it)
LISTA DELLA SPESA
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Diablo III
Il ritorno di un gioco che ha inventato un genere.
Mass Effect 3
Si chiude con il botto la trilogia del Comandante Shepard.
Max Payne 3
Rockstar riporta in vita il poliziotto più duro della storia!
Grand Theft Auto V
Una serie che non ha certo bisogno di presentazioni.
BioShock Infinite
Rapture è un lontano ricordo, ora si vola fra i cieli di Columbia!
Aliens: Colonial Marines
La stagione di caccia (allo xenomorpho) si sta per riaprire...
Hitman Absolution
L’Agente 47 ha ancora qualche conto in sospeso...
Tomb Raider
Il reboot di Lara Croft riuscirà a riportare la saga ai fasti del passato?
Skyrim
Oblivion ha settato dei nuovi standard negli RPG. Skyrim li vuole superare.
Far Cry 3
Nuovamente su un’isola in mezzo ai tropici circondati da pazzi furibondi!
TGM Dicembre 2011
Cities in Motion Collection
15/11/2011
Paradox
Hearts of Iron III Collection
15/11/2011
Paradox
Jurassic Park
15/11/2011
Telltale Games
Magicka Collection
15/11/2011
Paradox
Anno 2070
17/11/2011
Ubisoft
Saints Row: The Third
18/11/2011
THQ
LEGO: Harry Potter 2
18/11/2011
Warner Bros.
Need for Speed: The Run
18/11/2011
Electronic Arts
Defenders of Ardania
22/11/2011
Paradox
Capitan Morgan
25/11/2011
Playconnection
Winter sports 2012
25/11/2011
dtp Entertainment
Assassin’s Creed: Revelations
02/12/2011
Ubisoft
Assassin’s Creed: Revelations Animus Ed.
02/12/2011
Ubisoft
Star Wars: The Old Republic
13/12/2011
Electronic Arts
Collapse: Devastated World
Q4 2011
UTV Ignition
Confrontation
Q4 2011
Focus Home
Gamma World: Alpha Mutation
Q4 2011
Atari
Ghost Recon Online
Q4 2011
Ubisoft
Iron Front – Liberation 1944
Q4 2011
Deep Silver
Neverwinter
Q4 2011
Atari
Payday: The Heist
Q4 2011
SOE
Resident Evil: Operation Raccoon City
Q4 2011
Capcom
Tera
Q4 2011
Atari
Torchlight 2
Q4 2011
Runic Games
X Rebirth
Q4 2011
Deep Silver
King Arthur II: RPG
10/01/2012
Paradox
Magna Mundi: An EU Game
17/01/2012
Paradox
TGM
TOP
TITLE
Visto che ce lo hanno chiesto sul nostro forum, abbiamo pensato bene di togliere tutti i titoli pubblicati prima del numero 200. E se non lo sapevate, potete ora dire con noi: “Sapevatelo!”.
1 - PORTAL 2 2 - BIOSHOCK 2 3 - STARCRAFT II 3 - COD4: MODERN WARFARE 3 - EMPIRE: TOTAL WAR 6 - THE WITCHER 2 6 - COMPANY OF HEROES 6 - DEUS EX: HUMAN REVOLUTION 6 - BATTLEFIELD - BAD COMPANY 2 6 - EVERQUEST 2: ECHOES OF FAYDWER 6 - FAR CRY 2 6 - BIOSHOCK 6 - DRAGON AGE: ORIGINS
TGM 273 TGM 257 TGM 264 TGM 228 TGM 246 TGM 273 TGM 213 TGM 276 TGM 258 TGM 217 TGM 241 TGM 226 TGM 254
97 96 95 95 95 94 94 94 94 94 94 94 94
TMB’s Intro
CONTRO LA CRISI L’UNICA RISPOSTA POSSIBILE È TGM!
V
isto che di questi tempi non ci sono più sicurezze di alcun genere, lo spread è arrivato a livelli inauditi e si sente odore di elezioni sempre più forte, è meglio partire... no, non all’estero, anche se la tentazione è forte, bensì partire con una campagna per il sostegno delle “belle riviste di una volta” ™. Invece di fare inutili regali alla vostra ragazza, che tanto non ci azzeccate mai, invece di comprarvi un nuovo iCoso, che tanto se ci parlate manco vi capisce, compratevi e fate comprare TGM! È un investimento di gran lunga più affidabile del “mattone” e non è certo rischioso come comprarsi il debito pubblico, cari amici lettori e investitori. Quindi fate i bravi, che Natale è vicino e bisogna essere più buoni, altrimenti niente panettone senza canditi, che tanto non piacciono a nessuno. E tanto per capirci, non è che il numero qui presente non sia rappresentativo delle nostre incredibili capacità, ripieno com’è d’ogni bendiddio videoludico. Abbiamo infatti sudato le proverbiali otto camicie (sette non bastavano) per recensire alcuni dei titoli più attesi di tutto l’anno, dando ovviamente la massima priorità allo scontro più atteso degli ultimi 12 mesi. Parliamo dei due pesi massimi dell’ambito FPS, Battlefield 3 e Call of Duty: Modern Warfare 3, uno scontro al vertice che ha visto da un parte i DICE, forti del loro potentissimo Frostbyte 2 e dell’altra gli Infinity Ward, orfani dei loro fondatori, ma tutt’altro che intenzionati a mollare lo scettro. Sugli esiti di questa epica battaglia non metto parola, primo perché non ho ancora avuto modo di provare i due colossi in questione, secondo perché a pagina 51 troverete un testa a testa al fulmicotone, con un risultato finale che… beh, andatevelo a leggere.
Del resto, io ho avuto ben altro da fare, tipo spolparmi vivo l’ultimo episodio delle vicende di Ezio Auditore, cosa che mi ha praticamente tolto il sonno per diversi giorni. Alla fine Assassin’s Creed: Revelations vince ma non convince e magari Ubisoft farebbe bene a prendersi un paio d’anni di pausa prima di sfornare il prossimo capitolo. Passando oltre, il mostruoso (nel senso buono del termine, eh) Baccigalupi ha lavorato come un pazzo in miniera ultimamente, tanto da ricoprire di firme buona parte della rivista. Oltre alla full immersion in Battlefield 3, si è dedicato al tower defence decisamente sui generis Dungeon Defenders e concorrente diretto, Orcs Must Die. Poi ha maciullato un po’ di zombie nell’ennesimo Dead Rising (Off the Record, per gli amici). Fatemi dire che Capcom sta davvero raschiando il fondo del barile con questa serie e magari qualche idea nuova non guasterebbe… non siete d’accordo? Menzione d’onore per Il Cinese, che si è dovuto “accontentare” di Costume Quest, strana ma tutt’altro che trascurabile produzione che ha coinvolto, Double Fine e, in qualità di consulente, Tim Schafer. Chiudiamo infine con le anticipazioni, perché ora che i pesi massimo sono più o meno arrivati sugli scaffali reali e digitali, tocca iniziare a guardare oltre. Non per nulla vi attendono, proprio qua dietro, quattro pagine di Mass Effect 3, nonché un bello specialone sulle prossime uscite di Electronic Arts, fra le quali figurano l’imminente Need for Speed: The Run e il molto atteso Syndicate. Oh, non sarà come quello per Amiga e PC dei tempi che furono, ma contro ogni previsione sembra davvero un titolo da tenere d’occhio! Mirko “TMB” Marangon Twitter: @ToSo77 tmb@sprea.it
COSA ABBIAMO FATTO TUTTO IL TEMPO?
Twitter: @ToSo77 Twitter: @tmb666
Davide “ToSo” Tosini Twitter: @ToSo77 @ToSo77 Il ToSo ha fatto gli anni, nemmeno lui siTwitter: ricorda più quanti, ma abbastanza da conferirgli quell’aspetto tipico da Barbalbero. Del resto ormai ha piantato le radici davanti alla sua scrivania... Twitter: @ToSo77 Twitter: @tmb666 Twitter: @tmb666
Twitter: @ToSo77 MIRKO “TMB” MARANGON Twitter: @tmb666
Adoro questo periodo dell’anno, perché ho più o meno Twitter: @PamelaPatty quei quindici minuti al giorno per dormire, fra una recensione devastante da scrivere in tempo record e 200 giochi da finire. Però non mi Twitter: @ToSo77 lamento, che poi sembra brutto. Twitter: @tmb666
Twitter: @PamelaPatty
Twitter: @thegamesmachine
Ivan “Kikko” Conte
Claudio “Keiser” Todeschini
La sapevate che il Conte è così vecchio che per navigare su Twitter: @tmb666 internet usa ancora Mosaic? Che per fare una ricerca va ancora su AltaVista? Che voleva spostare GamesVillage su GeoCities? Sapevatelo! Twitter: @PamelaPatty Twitter: @PamelaPatty
Anche il Keiser ha fatto gli anni ultimamente, ma la cosa Twitter: @tmb666 curiosa è che se sommiamo i suoi a quelli del ToSo, non @PamelaPatty arriviamo neanche lontanamente all’etàTwitter: di Ivan Conte. Twitter: @thegamesmachine Toccherà ricorrere alla datazione con il carbonio 14. Twitter: @keiserxol
Nicolò`“Honto” Digiuni Twitter: @PamelaPatty
Twitter: @PamelaPatty Massimo “NKZ” Nichini Twitter: @thegamesmachine
Twitter: @thegamesmachine Abbiamo fatto passare dei giorni davvero d’inferno al nostro grafico Twitter: @thegamesmachine Muscle Glasses, ma del resto qua è un po’ come Tana delle Tigri, se riesci a chiudere in tempo un numero così apocalittico, sali di almeno tre livelli.
Il Nik anche questo mese ci ha raccontato delle bellissime Twitter: @keiserxol favole, tipo che avrebbe risolto il problema del debito @ilcinese Twitter: pubblico, abbassato il differenziale Bund-Btp e consegnato tutti gli articoli in tempo... Twitter: @thegamesmachine
Twitter: @thegamesmachine
Twitter: @keiserxol Twitter: @ilcinese
Twitter: @keiserxol Cinese” Turrini Twitter: @keiserxol
Mario Baccigalupi Twitter: @IIvariety
L’ultima volta che abbiamo incrociato il Turrini era bianco come un cencio e minacciava di farci vedere dal vivo gli effetti del reflusso gastroesofageo. Poi però gli abbiamo dato una Twitter: @keiserxol copia di Barbie Raperonzolo ed è misteriosamente guarito. Twitter: @ilcinese
Cosa si può dire di male su Mario? Nulla, anche perché dopo essersi appropriato di tre quarti di TGM, ha preteso un trono fatto di bacon, un PC ricoperto diTwitter: pelle d’orso e @keiserxol un Twitter: @ilcinese fucile da cecchino. Cosa ne farà, non ci è dato saperlo. Twitter: @IIvariety
Roberto “Il
Legenda
Twitter: @ilcinese
Twitter: @ilcinese
Ecco a voi, brevemente riassunte, le poche informazioni necessarie alla piena Il Best Buy Twitter: @IIvariety comprensione del metodo da noi utilizzato del giudizio dei giochi recensiti. Twitter: @IIvariety indica invece quel prodotto del quale TGM Twitter: @IIvariety si sente di raccomandare Twitter: @ToSo77 Twitter: @ToSo77 l’acquisto ai propri lettori. da 80 a 84 da 85 a 89 da 90 a 94 da 95 a 100 Twitter: @ToSo77
Twitter: @ToSo77
’eroe @ilcinese lTwitter: Twitter: @IIvariety Twitter: @ToSo77
Twitter: @IIvariety Twitter: @ToSo77
de l m e s e Twitter: @ToSo77 Dicembre 2011 TGM
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A CURA DI: Salvatore “Scud” Scudi scudettato@gmail.com
SVILUPPATORE: BioWare - PUBLISHER: Electronic Arts - DISTRIBUTORE: MULTIPLAYER: Internet (co-op) - SITO: www.masseffect.bioware.com
Leader S.p.A.
MASS EFFECT 3
Massì, facciamo il punto. Effettivamente, ci siamo quasi.
Commento A pochi mesi dall’attesissima uscita di Mass Effect 3, per darci qualcosa di diverso di cui parlare rispetto a una Campagna in singolo che si preannuncia ancora più bella, ricca e dinamica delle precedenti, BioWare presenta la sua interpretazione del multiplayer cooperativo per quattro giocatori. A sorpresa – ma neanche tanto – la modalità Galaxy at War non vince né convince granché, almeno in questo primissimo tempo. C’è ancora tutto il secondo più eventuali supplementari per raddrizzare la partita (online), anche se difficilmente il risultato sarà quello ottenuto da BioWare sui suoi tanto amati (e conosciuti) campi offline.
Un intero universo ha ancora bisogno di noi! Combattimenti più dinamici Pare solido come una roccia Modalità cooperativa zoppicante
Giudizio
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TGM Dicembre 2011
A
marzo 2012 uscirà Mass Effect 3 qui da noi. E questo, probabilmente, lo sapevate già. Il gioco, il terzo episodio di una fantastica serie di GdR d’azione d’ambientazione spaziale (oddio, non che il secondo avesse pesanti iniezioni di GdR, eh), per la prima volta nella storia della saga vedrà una modalità multigiocatore affiancata alla classica e superapprezzata Campagna in singolo. E questo probabilmente lo temevate già. Che si tratti di saperi ignoti o condivisi, di timori ignobili o condivisibili, questa anteprima è qui per tirare un po’ le somme della poi non così massiccia massa d’informazioni che gira su questo attesissimo Mass Effect 3. Un gioco che, comunque dovesse andare, avrà un effetto dirompente sui primi mesi videoludici del prossimo anno, un po’ meno affollati di titoli tripla A rispetto a questo ricchissimo periodo prenatalizio. Addirittura a partire da gennaio, parrebbe, visto che BioWare ha confermato sul suo forum la pubblicazione di un demo single e multiplayer proprio nel corso del primo mese del 2012. Le modalità di accesso a suddetto demo saranno co-
MASS EFFECT 3 OFFrirà una modalità multigiocatore esclusivamente cooperativa Chiamata “Galaxy aT War”, riservata a un massimo di quattro giocatori municate prossimamente, ma si sa già che i prodi “redentori” dell’Online Pass di Battlefield 3 verranno automaticamente accreditati di un esclusivo ingresso anticipato al dimostrativo in questione. Un motivo in più per redimersi e a riscattarsi da quel brutto viziaccio rappresentato dall’acqui-
sto dell’usato, eh! O, ancora peggio, del noleggio! Ah, vade retro, non sia mai: tutti subito a riscattare codici per l’online, che ne vale sicuramente la pena! Vero? Ne siamo proprio sicuri? Beh, per il multiplayer di Battlefield 3 certamente sì, per quello di Mass Effect 3 invece...
L’Omniblade è una delle armi segrete del gioco, e rende i combattimenti corpo a corpo di Mass Effect 3 decisamente più frequenti e spettacolari, quasi fosse la lama energetica di Halo.
Preview IL TRIANGOLO NO... ... non l’avevo considerato. Ma, per fortuna, gli sviluppatori sì! Ecco perché qualunque rapporto sentimentale abbiate casomai sviluppato (e consumato...) nel corso dei due precedenti episodi verrà regolarmente importato anche nel prossimo terzo capitolo, dando eventualmente vita a un interessante triangolo amoroso. E tutto ciò senza nemmeno contare i nuovi amori che potranno entrare a far parte della sempre più intricata “telenovela Shepardiana”. Considerando le decine di personaggi maschili, femminili e alieni già coinvolti in base al sesso del proprio alter ego, le combinazioni “amatorie” possibili saranno davvero parecchie, facendo impennare il replay value del gioco.
MASSA CRITICA Allora, lungi da noi l’intenzione di criticare a prescindere la mera esistenza di una data modalità di gioco, soprattutto quando gli sviluppatori della stessa assicurano come si tratti esclusivamente di un elemento bonus, di una componente extra, di un’appendice supplementare. Insomma, di una roba in più, che non inficia l’impegno speso nella parte principale di Mass Effect 3, ovvero quella che siamo sicuri si rivelerà per l’ennesima volta una fantastica oltre che fantascientifica Campagna single player - sulla quale ci dilungheremo più che volentieri
in seguito, non vi preoccupate. Però adesso, oltre a qualche dubbio di origine squisitamente formale sulla necessità di una modalità multigiocatore in una serie a così forte impronta single player, comincia ad affacciarsi anche qualche riserva di carattere un po’ più sostanziale sul multiplayer che Mass Effect 3 offrirà ai suoi giocatori. E la demo tenutasi all’EA Winter Showcase non è stata proprio tutta rose e fiori. Innanzitutto sarà una modalità esclusivamente cooperativa, riservata a un massimo di quattro giocatori e rispondente al nome di “Galaxy at War”. Fondamentalmente, stia-
A differenza di un secondo episodio forse eccessivamente semplificato sul fronte della personalizzazione dell’esperienza di gioco, aspettiamoci armi, armature e abilità altamente customizzabili.
Pilotare il poderoso mech Atlas qui raffigurato dopo aver disarcionato il suo precedente occupante potrebbe davvero far girare le sorti di qualunque battaglia.
mo parlando di una serie di missioni distribuite in giro per la galassia, il cui esito andrà a incidere sul tipo di finale sbloccato per la campagna in singolo. Le missioni saranno sostanzialmente a carattere difensivo, anche se arricchite di qualche estemporaneo obiettivo extra che, se centrato, potrà garantire utili risorse aggiuntive pure per lo stesso Shepard impegnato nel single player. In pratica, entrando in modalità Galaxy at War saremo di fronte alle classiche ondate di nemici in stile “Orda” di Gears of War, da respingere una dopo l’altra per difendere a oltranza le rispettive colonie (contattate da Shepard per dare una mano a una Terra assediata) dalle mire espansionistiche dei soliti Razziatori. Per farlo,
Il tanto discusso multiplayer di Mass Effect 3 sarà limitato a una modalità cooperativa a quattro giocatori detta Galaxy at War, che al momento però non promette di essere esattamente galattica...
agli utenti verrà preliminarmente chiesto di scegliersi una classe e una razza tra quelle già apprezzate nel gioco in singolo, personalizzandole a modo loro in termini di arsenale biotico e convenzionale, da sfruttare a fondo in battaglia. Già da questa semplice descrizione avrete capito come il multi di Mass Effect 3 prometta di essere tanto sparacchino quanto sparagnino in senso GdR. Le innovazioni implementate nel sistema di controllo, di copertura e di combattimento nella Campagna in singolo trovano quindi perfetta applicazione in questo ambito. O almeno la troverebbero, se qualche magagna tecnica di troppo non ci mettesse lo zampino (almeno al momento). A fronte di dinamiche di gameplay cooperativo armi in pugno che, per quanto non certo originalissime, tutto sommato funzionano, la loro implementazione tecnica richiede ancora qualche pesante ritocco, sia in termini di prontezza sia per ciò che concerne la precisione del control system, il livello dell’intelligenza artificiale e il level design delle mappe. L’arena sparatutto nella quale Mass Effect 3 pare aver deciso autonomamente di buttarsi è popolata di esperienze multiplayer coi fiocchi, a dire il vero più pre-
la difficoltà “Normale” di Mass Effect 3 corrisponderà più o meno a quella “Difficile” del secondo episodio Dicembre 2011 TGM
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E DICE CHE DICE? Nice (Nietzsche) che dice? Boh. DICE che dice? Miglioriamo i combattimenti! E l’effetto DICE si sente eccome, in Mass Effect 3. Che i combattimenti del gioco originale non fossero esattamente dei gioiellini di potenza e fluidità non è certo un segreto. Come sottolineato nel corpo dell’articolo, in Mass Effect 3 il combat system proseguirà l’opera di affinamento intrapresa dal secondo episodio, e lo farà anche avvalendosi dell’esperienza di veri e propri specialisti del genere. Tra le fila dell’esercito di sviluppatori fedeli all’egida di Electronic Arts combatte infatti nientemeno che DICE. A gentile richiesta, ecco quindi arrivare qualche utilissimo consiglio dai celebri sviluppatori di Battlefield, soprattutto per quanto riguarda le armi. Queste ultime ora sembrano essere efficacemente più “pesanti” e “cattive”, sia in termini graficoacustici sia per quanto riguarda il gameplay vero e proprio, grazie anche alle cinque elaborazioni disponibili per ciascuna di esse. BioWare + DICE: che per una volta le famose “sinergie” diano davvero qualche frutto concreto?
senti su console che su PC (giusto per tornare a parlare del già citato Gears of War). Il profondissimo “lore” e l’innegabile fascino costruito negli anni dalla saga di Mass Effect, da soli, difficilmente potranno compensare mancanze tecniche e limiti concettuali forse dovuti alla relativa inesperienza di BioWare in campo multiplayer. Fatto sta che, ammesso e non concesso che il gioco sia stato davvero ritardato per inserire e sistemare suddetta modalità co-op, beh, l’impatto sulla Campagna in singolo che tutti aspettiamo ardentemente di goderci si sarebbe già verificato, eccome.
Tutti i mass effect si sono sempre rivelati ottimi prodotti DEEP IMPACT Un eventuale impatto destabilizzante che, peraltro, la Campagna single player sarebbe in grado di assorbire e far dimenticare in pochi minuti, tanto entusiasmante sarà l’impatto (quello sì) profondo delle numerose e significative novità in termini di gameplay sulla pur solidissima struttura di gioco tradizionale. Detto che, ovviamente, la continuità narrativa sarà
Il sistema di coperture è stato notevolmente potenziato, in funzione di combattimenti più fluidamente diversificati non solo dal punto di vista dinamico, ma anche da quello dell’interpretazione tattica.
garantita dall’eventuale importazione dei salvataggi direttamente dai primi due capitoli della serie, il punto di rottura più marcato rispetto al passato è rappresentato dalle innovazioni nel combat system. Punto di rottura che, paradossalmente, si propone di porre rimedio ai combattimenti parCon questo terzo episodio si chiuderà la storia che ha come protagonista il nostro (o la nostra) Shepard, anche se la saga di Mass Effect non finirà certo qui.
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TGM Dicembre 2011
zialmente “rotti” che abbiamo subito soprattutto nel primo episodio, grazie a una fluidità di movimento e a una varietà nelle manovre belliche senza precedenti per la serie. Oltre a un sistema di copertura integrato nuovo di zecca e dotato di tutti quei simpatici “trucchetti” che fanno di un combattente in terza persona una vera e propria macchina da guerra – tra rotolamenti, scavalcamenti, fuoco cieco e sprint in campo aperto – Mass Effect 3 vanterà un arsenale molto più completo e personalizzabile rispetto al secondo episodio, tra mod per le armi e potenziamenti dell’equipaggiamento in generale. La variante tattica garantita dagli scontri corpo a corpo peserà decisamente di più nelle nuove dinamiche di battaglia, anche per merito di una lama olografica Omniblade tanto coreografica quanto efficace, pure nell’ottica delle “istant kill” personalizzate dispensabili da ogni singolo personaggio. A proposito di questi ultimi, anche la gestione tattica e personale della squadra di alleati computerizzati che vi affiancherà è stata notevolmente potenziata e razionalizzata, sia nel senso di alberi di abilità più prosperi e ramificati che di intrecci di relazioni interperso-
Preview SCATOLE CHE GIRANO
Il combat system si sta chiaramente evolvendo in chiave da dinamico sparatutto in terza persona (Gears of War, anyone?), cosa che potrebbe non far troppo piacere ai giocatori di ruolo vecchia scuola.
nali altrettanto rigogliosi e floridi, oltre che in termini di coordinazione tattica delle manovre sul campo di battaglia. Insomma, che si combatta, si parli o si faccia “altro” insieme, Shepard e compagnia saranno un gruppo ancora più affiatato di prima.
ARMAGEDDON TECNICO Passando poi a parlare di pura tecnica applicata alla Campagna principale in singolo, siamo sicuri che i problemi (temporanei?) riscontrati nella modalità co-op rappresentino un caso a sé stante. Trascurando qualche piccola imprecisione più che giustificabile in universi di gioco tanto aperti e complessi, in quanto a sfruttamento dell’engine grafico a sua disposizione e di programmazione del codice offline storicamente BioWare ha sempre dimostrato di saperci fare. Anche in questo caso l’Unreal Engine 3 pare essere stato spremuto a dovere, rendendo sempre più indistinguibili le
Di solito sono le ragazze a farcele girare, le scatole (qui già prevedo il flame portato avanti dalle lettrici… ndToSo). Quindi parliamo di loro. La pesantissima scatola della Collector’s Edition di Mass Effect 3 sarà infatti graziata dalla sinuosa effige della cosiddetta “FemShep”, ovvero la Shepard femmina scelta da una masnada di allupati maschiacci su Facebook qualche tempo fa. L’ha spuntata la tipa “roscia” dallo sguardo di ghiaccio, che di scatole ne farà girare sicuramente parecchie tra i collezionisti, così come di sguardi lubrichi.
sequenze d’azione rispetto a quelle narrative. Stesso discorso per l’intelligenza artificiale, che promette algoritmi in grado di contrastare efficacemente le nuove opzioni bellico/ tattiche a disposizione del giocatore. Non a caso qualcuno si è azzardato ad annunciare che la difficoltà Normale di Mass Effect 3 corrisponderà più o meno a quella Difficile del secondo episodio. Vedremo: a tempo debito verificheremo anche questo. Non c’è comunque alcun motivo per non credere alle promesse di BioWare: tutti i Mass Effect usciti finora, sebbene non impeccabili in tutto e per tutto, sono sempre risultati degli ottimi prodotti, capaci di mostrare una vocazione particolare per la narrazione e la costruzione di un credibile universo fantascientifico. Personalmente, quindi, abbiamo pochissimi dubbi che Mass Effect 3 possa davvero rappresentare la “fine del mondo” anche da un punto di vista meramente tecnico
per questo genere di giochi, soprattutto sui nostri amati PC. Quello che invece continua a lasciarci decisamente meno convinti sono le performance attuali e le potenzialità future di una modalità multiplayer in cooperati-
va della quale, sinceramente, non si sentiva granché la mancanza. Poi, se verrà fuori un qualcosa di godibile anche in quel senso, tanto meglio. Se non altro, quantitativamente l’Effetto Massa ne guadagnerà.
l’Unreal Engine 3 sembra davvero essere stato spremuto a dovere
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A cura di FBI
EA Winter Showcase
Una rapida occhiata alle prossime release targate Electronic Arts!
L
o showcase di EA è ormai una gradita consuetudine, capace di riunire sotto lo stesso tetto un considerevole numero di videogiochi e giornalisti. In una sola ed estenuante giornata di gaming estremo i fortunati invitati si sollazzano con tutte le uscite del
Sviluppatore: EA Black Box
catalogo autunno/inverno di Electronic Arts, da quelle imminenti, come Battlefield 3, che trovate recensito su questo stesso numero, a quelle più lontane, come Syndicate. La vera star dello show è senza dubbio Syndicate, che con la sua indiscutibile qualità ha ribaltato
Produttore: EA
tutti i preconcetti dei fan dell’era Bullfrog, mentre un’inaspettata maglia nera arriva dalla demo della sezione multiplayer di Mass Effect 3. Nonostante la buona volontà dello staff di BioWare, infatti, le sessioni di prova sono state goffe e problematiche, sia per banali problemi tecnici,
sia per gli abbondanti bug della build (parliamo sempre di multi, eh). A parte questo inaspettato incidente, che in ogni caso non pone particolari ipoteche sul futuro di un grande GdR fantascientifico, il 2012 di EA si preannuncia più forte che mai. E ora vi raccontiamo il perché.
Sito internet: www.needforspeed.com/it_IT/therun
NEED FOR SPEED: THE RUN
T
ra anteprime, viaggi stampa e showcase, questo nuovo Need for Speed l’abbiamo visto in lungo e in largo, tanto che potremmo quasi recensirlo (cosa che faremo sul prossimo numero). Nel caso vi foste persi gli ultimi articoli, si tratta di una folle corsa illegale da San
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Francisco a New York, in fuga dalla polizia e dagli scagnozzi della malavita, che alterna gare classiche a eventi più improntati all’azione. Il vero punto forte, però, è l’implementazione del Frostbite 2, lo spettacolare motore grafico creato da DICE per Battlefield 3, che con la
sua potente fisica ha permesso ai game designer di Black Box di condire le piste con crolli, esplosioni e cliché hollywoodiani assortiti. The Run, in parole povere, è il Call of Duty dei giochi di corse: il segreto del suo ritmo sono una serie di eventi scriptati, sempre uguali, che dettano il “groove” dell’azione con spettacolari coreografie ad alta velocità. Il tutto culmina addirittura con dei Quick Time Event (sezioni semi-interattive in cui bisogna premere i tasti che appaiono sullo schermo), durante le quali il protagonista scende dalla macchina e si cimenta in corse disperate à la Die Hard. Bello? Può piacere, a patto di essere pronti a sacrificare la flessibilità e il dinamismo del gameplay in favore di un po’ di esplosioni ben piazzate. Sul fronte PC, purtroppo, c’è un dettaglio che non ci piace per niente, legato al frame rate: The Run, per scendere a patti
“È il Call of Duty dei giochi di corse” con la limitata potenza delle console, è ancorato a 30 FPS, limite che non verrà superato nemmeno sulle macchine in grado di farlo. È un grande peccato, perché in un gioco che ha bisogno di velocità la fluidità è tutto, come del resto ha dimostrato Criterion proprio con Need for Speed: Hot Pursuit.
EA Winter Showcase
SYNDICATE Sviluppatore: Starbreeze Studios
È
la grande star dello show, non ci piove. Considerate un dato: i giornalisti di videogiochi più “attempati”, in un modo o nell’altro, sono tutti dei nerd di vecchia data, gente che con i capolavori di Bullfrog, come Syndicate, ha trascorso felici pomeriggi di ozio adolescenziale. E come si permettono questi senzadio di Electronic Arts di profanare il sacro dei nostri ricordi dorati, trasformando un complesso strategico isometrico in uno sparatutto in soggettiva? Non ci sono più le mezze stagioni! Vi ci vorrebbe una bella guerra, a voi giovani videogiocatori, con i vostri Call of Duty e le vostre diavolerie in 3D! Ecco, sono bastati cinque minuti di Syndicate per ribaltare le opinioni e i preconcetti dettati dalla nostalgia, e a riconfermare l’abilità e il talento di Starbreeze, lo stesso studio che ci ha regalato l’ottimo Riddick e l’interessante The Darkness. È un gioco completamente diverso dagli originali, certo, ma è così valido e divertente che è difficile lamentarsi. Siamo alle prese con uno sparatutto in soggettiva, ma ben lontano dagli standard a cui ci siamo abituati negli ultimi tempi. Il level design, tanto per cominciare, non è troppo lineare, e invece di guidare il giocatore passo dopo passo gli lascia un pizzico di gusto nel capire dove andare e cosa fare. Ci sono dei “micro”
Produttore: EA
Sito internet: www.ea.com/it/syndicate
enigmi legati all’uso delle armi e dei poteri, come per esempio una porta da aprire con i proiettili a ricerca del fucile gauss (immancabile citazione dell’originale), e varie situazioni da risolvere con le abilità di hacking, che consentono al nostro agente di interferire con i tanti dispositivi elettronici sparsi per il mondo. È possibile, per esempio, sovraccaricare le armi dei nemici, o addirittura violare i loro impianti neurali per obbligarli a un brutale suicidio. Procedendo nella campagna si sbloccheranno vari tipi di hack, che sulla carta garantiranno ulteriore spessore e varietà al gameplay. Ancora più interessante, invece, è la modalità cooperativa, che mostra tutta l’esperienza e l’originalità dei ragazzi di Starbreeze. Si gioca in quattro, procedendo per livelli aperti, con passaggi multipli, progettati
In una stanza con Mass Effect 3 e Battlefield 3, tutti erano in coda per farsi un altro giro di coop con Syndicate
per incoraggiare il gioco di squadra. A seconda della classe scelta (predefinita, o personalizzabile) saranno disponibili diversi tipi di armi e hack. Tutti i fucili e le pistole hanno interessanti modalità di fuoco secondario, e restituiscono l’appagante sensazione di fisicità che è propria degli sparatutto di qualità. Da notare come la salute non si rigeneri in automatico e la cura sia affidata alla collaborazione: stando vicini a un alleato e attivando un hack è possibile ripristinare la sua energia, spianando la via a tattiche di attacco creative, e obbligando i partecipanti a cooperare per davvero. Sì, perché la difficoltà
è bella alta, e correndo a caso non si arriva nemmeno al primo checkpoint. Chi si preoccupa che Syndicate, emblema dell’hardcore dei tempi che furono, venga annacquato con la semplicità a prova di niubbo degli shooter moderni potrebbe avere una gradita sorpresa. Quel che è certo è che Starbreeze ci sa fare: in una stanza con Mass Effect 3 e Battlefield 3, tutti erano in coda per farsi un altro giro di coop con Syndicate.
Hype
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Sviluppatore: Trapdoor Produttore: EA Sito internet: trapdoorinc.com/playwarp/
WARP
I
t’s just a jump to the left... no, il Time Warp del Rocky Horror non c’entra niente, ma la simpatia è la stessa. Warp è il classico giochino “indie” senza pretese, sviluppato con un budget ridotto dal solito, piccolo studio emergente. Indie? Ma indie indie per davvero? Leviamoci un sassolino dalla scarpa: se c’è dietro un enorme publisher come Electronic Arts, tutta la definizione di gioco indipendente salta per aria. “Indipendente” uguale “creato, sviluppato e distribuito senza aiuti esterni e giganti dell’industria”. Ormai il termine “indie” è una vera e propria buzzword,
usata troppo spesso a sproposito. Diciamo che Warp è un gioco che cavalca la virtuosa moda dei giochini scaricabili, le caramelle di gameplay che sono prosperate grazie all’avvento di servizi come Xbox Live Arcade, PlayStation Network e Steam. Vivremo la storia di Warp, un buffo alieno intrappolato in un laboratorio dove dei cattivissimi esseri umani lo trattano come una cavia, sottoponendo lui e i suoi simili a esperimenti dalla dubbia statura morale. A un certo punto il nostro piccolo eroe ottiene una capsula che lo rinvigorisce e risveglia in lui un potere sopito: può
“Warp è il classico giochino senza pretese che rischia di dare la birra a gioconi con budget da film”
teletrasportarsi attraverso i muri, e soprattutto può entrare in oggetti inanimati (come i barili) e animati (come le guardie e gli scienziati). Questo dono è fondamentale alla sopravvivenza, anche perché se viene colpito da un proiettile o da un sistema di sicurezza la morte è istantanea. Non si può correre, non si può scappare sperando di non subire troppi danni; bisogna muoversi furtivamente, come nel più classico dei titoli stealth, capendo come interagire con il mondo di gioco. La visuale dall’alto espone esplicitamente tutti gli elementi disponibili, dando a Warp il ritmo di un action e il ragionamento di un puzzle. Le si-
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tuazioni possono essere risolte in tanti modi diversi, anche perché il nostro alieno, dopo aver “posseduto” un oggetto o un corpo, può agitarsi fino a farlo esplodere. Volendo, quindi, è possibile entrare in tutte le guardie e imbrattare di sangue e interiora i laboratori, sfruttando i poteri con un sano guizzo di ultraviolenza. In alternativa si può ricorrere a tecniche più sottili, per esempio facendo vibrare un barile, attirando l’attenzione dei nemici per poi muoversi senza farsi scoprire. Oppure, ancora, è possibile possedere un soldato, fargli dare segni di squilibrio in modo che gli altri se ne accorgano, e poi scappare un secondo prima che decidano di eliminarlo. È un sistema semplice, funzionale, divertente: Warp è il classico giochino senza pretese che rischia di dare la birra a gioconi con budget da film. Il bello è che quello che abbiamo descritto è solo il primo di una lunga serie di poteri, che nelle promesse degli sviluppatori renderanno il gameplay ancora più vario, creando situazioni più complesse e dando ulteriore libertà di scelta al giocatore. E sì, Warp è la piccola sorpresa dello showcase.
EA Winter Showcase Sviluppatore: Klei Entertainment
Produttore: EA
Sito internet: www.shankgame.com
SHANK 2
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l primo Shank, nella sua retroignoranza, ha regalato grandi soddisfazioni, con un misto di azione bidimensionale e mazzate da picchiaduro a scorrimento. Il suo segreto era uno stile grafico da cartone animato, in tutta la gloria dell’HD, abbinato a una marea di armi truculente e a un gameplay a metà tra Final Fight e un Super Mario a caso. Purtroppo, a fronte di un indiscutibile fascino, la magia svaniva dopo le prime partite, per colpa di un level design poco ispirato e di un tran tran che diventava presto ripetitivo. Shank 2 cerca di colmare le
Sviluppatore: Big Huge Games
lacune del suo predecessore, riproponendo lo stesso stile, ma con una maggiore varietà di armi, situazioni e nemici. Il funzionamento di base è rimasto invariato: si corre, si salta e si alternano tre tipi di attacchi (leggeri, pesanti e dalla distanza), che varieranno per portata e danni in base ai gingilli che assegneremo al nostro eroe. Il livello che abbiamo provato, all’inizio, ci ha ricordato troppo da vicino il primo episodio, ma sul finire si è risollevato con un ottimo combattimento con un boss, che sembra promettere una difficoltà più intensa e impegnativa. La vera chicca, però, riguarda la nuova modalità cooperativa, che declina in salsa 2D gli schemi a orda tanto in voga negli FPS degli ultimi tempi (pensate, per esempio, a Bulletstorm). Ci si muove in un
Produttore: EA
Hype
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livello fisso, senza scrolling, e bisogna resistere a ondate di nemici di difficoltà crescente, utilizzando le armi selezionate e sbloccandone di nuove con i punti guadagnati per ogni uccisione. Lavorare di squadra è fondamentale, sia per la gestione delle risorse (ossia i proiettili speciali che si comprano nelle pause tra un’ondata e l’altra), sia per l’utilizzo di una serie di trappole attivabili da del-
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le apposite postazioni. Mentre un giocatore tiene impegnato un boss, attirandolo su una grata, l’altro può tirare una leva facendo uscire una poderosa fiammata dalla medesima, infliggendo danni ingenti senza sprecare munizioni. Shank 2 è divertente, immediato e bello da vedere: se riuscirà a non annoiare dopo lo stupore iniziale sarà un altro giochino scaricabile da avere a tutti i costi.
La vera chicca riguarda la nuova modalità cooperativa, che merita di essere approfondita
Sito internet: www.ea.com/reckoning
KINGDOMS OF AMALUR: RECKONING
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ingdoms of Amalur è un gioco di ruolo in single player con la grafica e lo stile di un MMORPG. Detto così è un’idea balenga, anche perché sembra unire il peggio di due mondi: i limiti dell’offline e un motore superato. Un piano fallimentare? Di sicuro i giocatori accaniti si orienteranno su altri lidi,
buttandosi sugli epici mondi di Skyrim o sulle infinità telematiche di World of Warcraft, Star Wars: The Old Republic e simili. Parlando fuori dai denti, Amalur non è un buon motivo per cambiare idea. Eppure, uscendo per un attimo dalla nostra mentalità da criticoni esigenti, questa avventura ha qualche freccia al suo arco. La grafica è ispirata chiaramente a World of Warcraft, dal quale mutua le vivaci scelte cromatiche e la semplicità dei modelli poligonali. Il sistema di gioco, invece, propone un enorme mondo di gioco, con diverse regioni, pieno zeppo di quest da affrontare: si può seguire la trama
Hype /5
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principale o bighellonare in cerca di oggetti magici e punti esperienza. Si vede a occhio nudo che ci sono una marea di contenuti, tutti all’insegna dei classici temi del fantasy, con un gameplay semplice, senza pretese, ma che si lascia giocare senza intoppi. Non è niente di speciale, certo,
ma ha comunque il fascino della crescita e dell’accumulo di oggetti, come tutti i GdR che si rispettino. Di certo non sarà un capolavoro, ma non è detto che non possa regalare soddisfazioni con la sua longevità e il suo vasto mondo pieno zeppo di nemici, missioni e segreti.
“Un gameplay semplice, senza pretese, che si lascia giocare senza intoppi” Dicembre 2011 TGM
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SVILUPPATORE: Animation Arts - DISTRIBUTORE: Deep Silver - Koch Media USCITA: 2012 - SITO: www.secretfiles.deepsilver.com
A CURA DI: Janis Lea
Secret Files 3
Un’antica pergamena, un matrimonio che salta e un’accusa di terrorismo a carico di Max Gruber. Sta per scatenarsi qualcosa di grosso!
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ra alti e bassi, la serie d’avventura che ha come protagonista la rossa Nina Kelenkov sta per arrivare al terzo capitolo. Il nostro scopo è quello di raccontarvi, in anteprima, cosa vi aspetterà nel 2012, oltre alle cabalistiche profezie lette e sentite fino alla nausea.
Commento Aderenza alla serie e rispetto per il genere di appartenenza. Si basano su questi presupposti le intenzioni di Animation Arts di sviluppare un Secret Files 3 che superi i precedenti con una storia più incisiva ed enigmi diversificati, progettati con una maggior cura. Anche il comparto grafico sembra aver subito qualche aggiornamento, soprattutto nell’illuminazione. A tal proposito, però, la preview ha mostrato solo una piccolissima parte di quello che verrà e non sappiamo dirvi quali e quante altre ambientazioni visiterete. Sarà la versione finale a chiarire tutto, quindi non resta che attendere il 2012.
Storia più profonda Grafica migliorata Possibilità di utilizzare anche altri personaggi Forse troppo ancorato al passato
Giudizio
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In realtà preferirei sapere come mai milioni di persone conoscono le profezie dei Maya, ma ignorano le loro abilità architettoniche e ingegneristiche. Ma immagino di conoscere già la risposta. Non so se lo sapete, ma qualcuno (di cui non ricordo il nome perché me lo sono appena inventato) diceva “mandate in fumo un matrimonio, incarcerate il futuro sposo e otterrete una pulzella imbufalita”. A questo aggiungete che la protagonista di Secret Files è anche un meccanico e gira in moto, insomma un vero e proprio segugio che non esiterebbe a rubare un remo lungo due metri (Secret Files 2), riuscendo a nasconderlo davvero molto bene nella tasca dei jeans attillati: una forza della natura se paragonata all’altro protagonista, Max Gruber, prima amico, poi compagno di vita e in questo terzo episodio della serie promesso sposo. Proprio colui che si rifiutava di trasportare una tavola di legno appena più alta di lui, perché troppo pesante (primo Secret Files). Ah, le piccole contraddizioni che rendono buffe anche le avventure grafiche più misteriose! In realtà, a parte queste piccole forzature del gameplay e qualche difetto sparso più nel secondo titolo della serie che nel primo, bisogna riconoscerlo: Animation Arts ha dedicato molti sforzi nel proporre enigmi decenti, e di diverso genere, senza
La possibilità di controllare personaggi secondari oltre ai due protagonisti principali è una delle caratteristiche della serie cristallizzarsi sulla ricerca sfrenata degli oggetti o di combinazioni agli antipodi della logica. Magari il personaggio di Nina potrebbe dare di più sotto il profilo del carisma, ma paga lo scotto del dover dividere la gloria con il suo partner. Proprio la possibilità di controllare personaggi secondari oltre ai due protagonisti principali costituisce
un’altra caratteristica della serie, che svolge bene la funzione di rendere il giocatore partecipe anche di vicende che non riguardano in prima persona gli eroi dell’avventura, ma piuttosto l’intera vicenda. L’abilità ancora più sottile sta nell’incollare questi pezzi di gioco in maniera credibile, e si può dire che il risultato si sia dimostrato quasi sempre
Spiacente, dovrete usare il cervello per risolvere gli enigmi in Secret Files 3!
Preview NINA & COMPANY
Incappucciati, antiche maledizioni e simboli misteriosi già visti in precedenza...
Max, il partner di Nina, sembra rivestire un ruolo marginale in Secret Files 3. Lo vediamo trascinato via da una squadra speciale anti-terrorismo, ma quasi sicuramente sarà presente anche lui tra i personaggi giocabili, oltre a Nina. La tradizione della serie vuole, inoltre, che al giocatore sia concesso di controllare anche personaggi secondari, per arricchire la trama di punti di vista aggiuntivi. In passato questo avvicendamento dava vita a sequenze cooperative, passando da un personaggio all’altro solo con la pressione di un pulsante e consentendo ai due protagonisti di scambiare oggetti e collaborare per ottenere una combinazione, oppure per liberarsi da una trappola.
Prince of Persia? No, sempre Secret Files, in una sequenza introduttiva vagamente stealth.
omogeneo e molto ben sceneggiato, se si considerano le cut scene curate in dettaglio. Nella versione che abbiamo provato, questo dettaglio narrativo emerge più preponderante che mai. L’incipit ricorda un po’ quello del secondo Secret Files, in cui si controllava un prete sfortunato. L’avventura di Secret Files 3 comincia nei panni di un sabotatore. È il 48 A.C, e gli viene affidato il compito (non tanto) arduo di infiltrarsi nella biblioteca di Alessandria e bruciare le preziose pergamene lì custodite. A differenza del passato, già da questo breve prologo si nota che il ritmo di gioco è più incalzante, forte di una sequenza che ricorda un po’ Prince of Persia, dato che il sabotatore deve arrampicarsi da una sporgenza all’altra di un muro, eseguendo il percorso corretto per giungere al varco dal quale sarà in grado di introdursi nella biblioteca. Le visuali di gioco si sono rivelate piuttosto dinamiche nel paio di livelli giocati. Poca roba, ma davvero molto interessante. Oltre a saggiare ancora u-
na volta la bontà dei filmati d’intermezzo, che dimostrano le capacità artistiche dello sviluppatore tedesco, si nota anche il tocco di Neos Film, azienda specializzata in prodotti cinematografici che si è occupata di edificare la struttura narrativa con la collaborazione di tre diversi autori. Il taglio vagamente cinematografico si mostra nell’enfasi delle vicende e delle emozioni dei protagonisti. Andrà tutto a vantaggio della tensione narrativa, si spera senza sovraccaricare emotivamente chi gioca. La maggior parte della storia sarà comunque ambientata ai giorni nostri, immediatamente dopo l’arresto di Max con l’accusa di terrorismo. Non conosciamo granché della storia, a parte che sarà caratterizzata da personaggi vecchi, come gli incappucciati, e nuovi, viaggi in giro per il mondo, scoperte strettamente legate al prologo e a quell’unica pergamena che si salva dall’incendio della biblioteca. Le uniche location visitate, a par-
Nel paio di livelli che abbiamo provato, le visuali di gioco si sono rivelate piuttosto dinamiche Gli enigmi incontrati si sono rivelati scorrevoli e molto intuitivi.
Le avventure grafiche sono fortunatamente meno complicate rispetto alla realtà.
L’utilissimo pulsante che consente di evidenziare gli hot spot in ogni location sarà presente anche nel terzo capitolo.
te Alessandria, sono state ambienti chiusi: la casa di Max ed il suo ufficio, già visto nel primo Secret Files ma evidentemente ridisegnato. Gli enigmi sono diversificati: vanno dalla classica raccolta di oggetti da utilizzare su una zona sensibile alle combinazione fra di essi per utilizzarli in particolari circostanze, rompicapo legati ai documenti in possesso, frasi e numeri da interpretare per aprire casseforti o per ottenere altri indizi. Insomma, tra le tante incertezze legate alle ambientazioni e alla storia, nonché ai personaggi giocabili oltre Nina e il sabotatore, c’è un’altra sola certezza: che gli enigmi saranno vari e basati su logica e osservazione. Il pericolo di perdere il senno a figurarsi soluzioni illogiche, insomma, sembra scongiurato… ed è già tanto. Per il resto tutto è filato liscio con l’interfaccia e i controlli di gioco, che sono quanto di più classico si possa sperimentare. Probabilmente non ci sarà più il diario, definitivamente rimpiazzato dagli obiettivi di
gioco, come suggerisce la presenza di un pulsante apposito sull’interfaccia. Non è dato sapere come si svolgeranno i dialoghi, dal momento che non c’è stato modo di conversare con qualche PNG. Non sarebbe male se ci fosse qualche novità, visto che il resto sembra rimanere ancorato con tutte le sue forze ai canoni tipici delle avventure moderne. La grafica è stata migliorata e risulta più dettagliata, con animazioni più fluide e meno legnose che in passato, a parte qualche stranezza individuata di tanto in tanto. Secret Files 3 è ancora in progress, quindi è inutile porre l’accento su qualche texture slavata e il doppiaggio in tedesco. Animation Arts sembra partita con il piede giusto e probabilmente dietro le aspirazioni perfezionistiche si cela anche qualche sorpresa che riguarda gli aspetti volutamente secretati. Nulla di ufficiale, solo supposizioni... ma se tutto rimane così com’è, perché nasconderlo?
L’aspetto grafico è migliore, ma qualche texture slavata non dovrà più esistere nella versione completa.
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A CURA DI: Claudio “keiser” Todeschini keiser@sprea.it
SVILUPPATORE: 1C-Avalon - PUBLISHER: 1C Company - DISTRIBUTORE: FX Interactive MULTIPLAYER: Internet - LOCALIZZAZIONE: Completa - SITO: offroad-game.com
C’è tutto un mondo, oltre le luci brillanti della Formula 1 e le folli corse a tutta velocità dei vari Need for Speed. Un mondo sporco, fangoso, ruvido e impietoso. Per uomini veri. Uomini che non devono chiedere mai. Neanche dove hanno lasciato le chiavi della macchina.
OFF-ROAD DRIVE
S
e pensate che le corse 4x4 siano quelle del patinato universo di DiRT di Codemasters siete davvero fuori strada (ahr ahr). A ricondurre sulla retta via gli appassionati dell’offroad vero, quello duro e senza compromessi, ci pensa 1C Company con l’ultimo titolo di una serie piuttosto longeva dedicato alla guida con i 4x4, che verrà distribuito nei prossimi mesi in Italia da FX Interactive e che abbiamo provato in anteprima. Scordatevi i circuiti veloci, le curve da prendere in derapa-
Commento Dalle prime ore di gioco ci siamo fatti l’idea che Off-Road Drive sia un prodotto tutt’altro che banale: i parametri della macchina su cui occorre continuamente intervenire sono tanti, tutti ugualmente importanti nell’affrontare i diversi ostacoli. Tecnicamente tutt’altro che disprezzabile, offre una modalità carriera piuttosto lunga e varia. Non è un titolo per tutti, ma rappresenta comunque un approccio originale ai simulatori di guida, senza per questo rinunciare a essere divertente.
Originale simulazione di guida Tecnicamente ben fatto Appeal limitato Alcuni controlli un po’ macchinosi
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ta controllata e persino i “banali” tracciati su sterrato: in Off-Road Drive ci troveremo ad affrontare guadi, sabbie mobili, rocce enormi, scavallamenti e cunette fangose, lastroni di cemento e una serie di oggetti e generiche cose che non sono nate per passarci sopra con la macchina.
VOGLIO UNA GUIDA SPERICOLATA La lunga modalità carriera del gioco ci porterà a visitare i quattro angoli del globo, dalla Russia alla Malesia, passando per Thailandia e Stati Uniti: sei le ambientazioni complessive, ciascuna composta da tre o quattro campionati strutturati in tre gare ciascuno, che promettono di tenere impegnati per parecchio tempo. Le tipologie di gare sono tre: quelle a tempo, quelle a punti e a checkpoint. Il modello di guida è quanto di più lontano siamo abituati a giocare oggigiorno, sia per chi si dedica alle simulazioni sia per gli appassionati di arcade: più che a un titolo di corse, Off-Road Drive fa pensare a un simulatore di volo. Sembra assurdo, ma è così. Ogni tracciato offre diversi ostacoli, più o meno naturali, dalle sabbie mobili a tracciati fangosi a piloni di cemento, assi di legno messe di traverso, guadi profondi, pendenze innaturalmente ripide e via di questo passo: ognuno di essi deve essere affrontato in maniera diversa, con cognizione di causa, evitando nella maniera più assoluta l’approccio dell’accelerato-
Più che a un titolo di corse, Off-Road Drive fa pensare a un simulatore di volo re a tavoletta, che si rivela sempre, sempre, sempre deleterio. Il pilota può intervenire sulla trazione, attivando quella integrale o lasciando la potenza alle sole ruote posteriori, decidere di bloccare o meno i differenziali sui due assali, inserire le marce ridotte, usare il freno a mano laddove necessario, far ricorso al verricello quando le pendenze o gli ostacoli non possono essere superati diversamente, per arrivare addirittura a ridurre/aumentare la pressione degli pneumatici alla bisogna, così da incrementare l’aderenza delle gomme. Per farvi un’idea, sappiate che per controllare tutto quanto non bastano i pulsanti di un normale pad! L’uso del verricello richiede particolare
attenzione: oltre a scegliere a quale “appiglio” naturale agganciarlo (alberi, ma anche rocce o grossi cespugli), si dovrà agire con cautela sulla potenza dell’argano, tenendo d’occhio la forza a cui è sottoposto il cavo onde evitare che si spezzi. Fortunatamente, almeno a quanto abbiamo potuto vedere, il numero di “lanci” consentito è illimitato! Un altro aspetto da tenere in considerazione, almeno nei livelli più avanzati, è l’abbandono del pessimo cambio automatico in favore di quello manuale, che permette un maggior controllo del momento della “cambiata”, così da selezionare le marce giuste al momento giusto. Parte della difficoltà (e del bello) del gioco sta proprio nel ca-
Il gioco offre la possibilità di rivedersi i replay delle gare, utili per capire dove e come migliorare.
Preview La visuale dall’interno dell’abitacolo è, paradossalmente, quella che meno rischia di provocare mal d’auto perniciosi per la vostra tastiera.
ANDARE (IN) FUORISTRADA Di giochi ambientati in fuori strada non ne sono usciti pochi: se non ci credete, sfogliatevi i quasi cento nomi che trovate su Wikipedia nella pagina a loro dedicata, all’indirizzo bit.ly/sd7aSX. Volendo però escludere la fuffa per console o uscita nel ventesimo secolo, tralasciando i titoli prettamente rallistici/competitivi come Richard Burns Rally o i primi episodi della serie Colin McRae, chi cerca un gioco di fuoristrada duro e puro deve quasi necessariamente rivolgersi ad Avalon Style Entertainment, recentemente acquisita da 1C Company e diventata 1C-Avalon, che negli anni passati ha sfornato altri prodotti analoghi, ma meno riusciti: UAZ Racing (distribuito in Italia da Bryo con il titolo di Fuoristrada 4x4 Estremo ), con tanto di “mission pack” Ural Call, e 4x4 Hummer (portato in Italia da Halifax nel 2008).
Quando vi trovate nelle pesti, usate il mouse per guardarvi attorno e capire cosa fare per uscire dal pantano in cui vi siete cacciati.
Ogni ostacolo va affrontato con cognizione di causa, evitando nella maniera più assoluta l’approccio dell’acceleratore a tavoletta, sempre deleterio pire quando utilizzare che cosa; a supporto del giocatore ci sono alcune segnalazioni a video che, in determinati punti del percorso, suggeriscono quali strumenti adottare.
LA SFIDA È SOPRATTUTTO CON SE STESSI Nel corso della carriera avremo modo di sbloccare una ventina di macchine, che spaziano dai SUV (Sport Utility Vehicles) ai truck, passando per buggy e jeep più tradizionali. Il gioco non ha licenze ufficiali, ma se non siete del tutto digiuni di automobili non faticherete a riconoscere a quali modelli reali sono ispirate le vetture presenti in OffRoad Drive. Ogni vettura si differenzia dalle altre per parametri come coppia, accelerazione, guidabilità e tenuta di strada; se questo non dovesse bastare, i più impallinati potranno divertirsi a intervenire su alcuni parametri come il tipo di gomme e le sospensioni: non è molto, ma abbastanza da modificare l’assetto in fuoristrada. I quaranta e passa tracciati contengono ogni sorta di sfida possibile e immaginabile, e questo significa che ci si troverà spesso bloccati senza riuscire a muoversi di un centimetro, con le ruote che girano a vuoto e si rifiutano di far presa Alcuni tracciati, come quelli della Malesia, possono essere affrontati con (relativa) serenità e velocità.
sul terreno. In alcuni casi la frustrazione potrà avere il sopravvento e sarà inevitabile premere Esc per ricominciare una gara; a volte si procederà per tentativi attivando/disattivando più o meno tutto fin quando non si riesce a proseguire; il più delle volte, però, ragionando un pochino, lasciando da parte la fretta e l’ansia da prestazione che un gioco di guida inevitabilmente tira fuori da ciascuno di noi, si riesce a superare un ostacolo apparentemente insormontabile, e la soddisfazione che se ne ricava è davvero notevole. La maggior parte delle gare richiede di arrivare al traguardo battendo il tempo degli altri, il che vuol dire cercare di essere il più veloce possibili, ma attenzione a non farsi prendere la mano: si viene penalizzati, infatti, quando si va fuori strada (e non sto scherzando!) e si rompono i nastri che delimitano il tracciato, errore che soprattutto all’inizio
capita di compiere con un po’ troppa facilità. L’intelligenza artificiale non è particolarmente agguerrita né veloce (si corre contro il tempo, di fatto), ma è lecito aspettarsi che, con il prosieguo della carriera, le cose si facciano più difficili. Se si esclude il fatto che le gare diventano via via più ostiche, non esistono livelli di difficoltà in senso tradizionale.
UNA BELLA CARROZZERIA L’impatto visivo con Off-Road Drive è decisamente buono: non ci troviamo di fronte a una produzione “tripla-A”,
ma i tracciati sono piuttosto curati, ricchi di dettagli e con texture piuttosto definite; molto ben fatti i modelli delle macchine, sia all’interno che all’esterno, e con il povero pilota che cerca disperatamente di barcamenarsi tra leve e interruttori nei tracciati più ostici. Nel corso delle gare le macchine tendono a riempirsi di fango e sporcarsi in maniera anche molto vistosa, aspetto che viene continuamente sottolineato dagli schizzi di acqua e fango che si proiettano sul monitor. Non convince del tutto la gestione della telecamera, specialmente quella esterna, che segue i movimenti della vettura: considerato quanto viene sballonzolata di qua e di là senza sosta, il rischio di essere colti da repentini attacchi di nausea è dietro l’angolo. Speriamo solo che nella versione finale del gioco questo aspetto venga sistemato, offrendo per esempio la possibilità di regolare il “bobbing” della telecamera o di disabilitarlo del tutto...
Magari non lasceranno a bocca spalancata, ma i paesaggi del gioco hanno il loro fascino.
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CPU: Dual Core 1,8 GHz (Dual Core 3 GHz) RAM: 1,5 GB (2 GB) Scheda Video: NVIDIA GeForce Serie 8/ATI Radeon Serie HD 2000 (NVIDIA GeForce GT500/ATI Radeon serie HD 6000) Spazio su HD: 12 GB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: Ubisoft Montreal PUBLISHER: Ubisoft DISTRIBUTORE: Ubisoft MULTIPLAYER: Internet LOCALIZZAZIONE: Completa PREZZO INDICATIVO: €
44,90
assassinscreed.ubi.com/revelations/
ASSASSIN’S CREED:
REVELATIONS
I destini di Ezio Auditore, Altair e Desmond stanno per incrociarsi: troveremo finalmente le risposte a tutte le nostre domande?
Q
uattro giochi in cinque anni sono davvero un bel record per un franchise, soprattutto se si vuole proporre qualcosa di diverso da una simulazione sportiva o da un sparatutto in soggettiva. Assassin’s Creed, in particolar modo, rappresenta uno sforzo davvero impressionante, data la sua natura free roaming, un genere che proprio non si presta bene alla serializzazione, come dimostrano certi ben noti capisaldi (quanto tempo è passato da GTA IV?). Del resto, gestire aree di gioco più o meno vaste, con tonnellate di NPC, un dettaglio grafico da Oscar, il tutto magari completamente esplorabile, anche
verticalmente, è un vero e proprio incubo per qualsiasi team di sviluppo. Ma con una programmazione quasi perfetta e un incredibile lavoro da parte di tutti i maggiori team di Ubisoft, sparsi fra l’altro per i quattro angoli del pianeta, il miracolo si è tramutato in realtà e noi giocatori abbiamo potuto godere di una saga che un tempo avrebbe richiesto tempi biblici di sviluppo. Certo, Assassin’s Creed ne ha fatta di strada rispetto agli esordi nel lontano (si fa per dire) 2007, quando un misterioso personaggio incappucciato e di bianco vestito, se ne andava in giro in Terra Santa a uccidere Tem-
Il lancio delle bombe è facilitato da questo indicatore: piuttosto preciso, simulerà anche l’eventuale rimbalzo.
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Assassin’s Creed ha fatto molta strada rispetto agli esordi, nel “lontano” 2007 plari. Era un titolo rivoluzionario per certi aspetti, ma anche piuttosto immaturo, sebbene ricco di potenziale. Un potenziale che Ubisoft ha saputo concretizzare due anni dopo con il seguito diretto, introducendo un personaggio entrato di diritto nell’immaginario videoludico comune: Ezio Auditore da Firenze. Nei panni dell’assassino fiorentino abbiamo affrontato e talvolta affiancato la nobiltà
rinascimentale italiana, fra Firenze, Forlì, San Gimignano e Venezia, per poi giungere addirittura in Vaticano e affrontare nientemeno che il Papa Rodrigo Borgia, a capo di una famiglia storicamente fra le più discusse. Non per nulla in Brotherhood sono stati assurti al ruolo di arcinemici, da combattere nel loro stesso territorio, una Roma che mai ha potuto vantare una rappresentazione digitale altrettanto
Fare a sportellate con i carri è un’attività piuttosto pericolosa. L’importante, tuttavia, è evitare di finire sui ciottoli.
Review In Revelations ritroviamo un Ezio piuttosto incanutito e segnato dalle infinite battaglie.
L’idea di questo capitolo è quella di mettere un punto fermo su determinate questione lasciate in sospeso nei precedenti episodi accurata e spettacolare. Il tutto ovviamente nel tentativo di ritrovare la leggendaria Mela dell’Eden, un manufatto dalle origini più o meno sconosciute, dotato però di un potere inaudito, tale da soggiogare la debole mente degli uomini, ma anche di fornire risposte che potrebbero cambiare per sempre le sorti dell’umanità. Ovvio che un oggetto di tale valore non poteva che scatenare una vera e propria guerra sotterranea, che si è protratta per secoli e che ha visto da una parte gli Assassini e dall’altra i Templari, infiltrati a ogni livello e in ogni movimento politico, religioso e culturale, tanto da operare ancora oggi con il nome di Abstergo. Questa incredibile e potentissima multinazionale non solo possiede la tecnologia di mezzo mondo, ma è riuscita a costruire un’apparecchiatura (detta Animus) in grado di far rivivere a determinati soggetti le esperienze dei propri avi, nel tentativo di ritrovare la Mela dell’Eden, nascosta chissà dove. Insomma, è un gran pastrocchio che si trascina da tempi immemori e che nei vari episodi del gioco si è ulterior-
Ecco una scena che non avremmo mai voluto vedere né sentire: Ezio in versione menestrello...
Riuscirà la bella e intelligente Sofia Sartor a fare breccia nel cuore di Ezio Audiotore? In ogni caso la ragazza ha grandi doti...
mente complicato, tanto da richiedere qualche risposta certa prima di andare oltre. Del resto, se il sottotitolo di questo Assassin’s Creed è proprio Revelations, il minimo che uno si possa aspettare è di ricevere qualche “rivelazione” di una certa importanza. Ma sarà andata proprio così?
EZIO ESPLORATORE L’idea di questo capitolo, che dovrebbe chiudere definitivamente le vicende di Ezio Auditore, è di mettere un punto fermo su determinate questione lasciate in sospeso, una su tutte la vita di Altair, dopo il finale del primo gioco. Capiremo quindi
Paragonati ai machiavellici enigmi di Brotherhood, le sequenze dei ricordi di Desmond sono un po’ la morte delle idee...
cosa ne è stato del frutto dell’Eden, quale destino è toccato all’Assassino e alla sua compagna Maria, e riprenderemo anche le redini dell’esistenza di Desmond Miles, attualmente intrappolato nell’Animus, dopo il rocambolesco finale di Brotherhood. Ezio dovrà cercare le sue risposte dapprima a Masyaf, un tempo dimora di Altair e degli Assassini, scoprendo che all’interno della loro roccaforte vi è una sorta di mausoleo accessibile solo con l’ausilio di alcune chiavi molto speciali. Ovviamente la cosa non è sfuggita ai Templari, con i quali Ezio avrà immediatamente un durissimo scontro. Da lì a ritrovarsi nella splen-
dida città di Costantinopoli il passò sarà piuttosto breve, ma recuperare i cinque manufatti necessari per accedere all’ultimo segreto di Altair richiederà un po’ più di tempo. La città che oggi conosciamo come Istanbul non è stata certo scelta a caso. Più volte al centro di dispute e guerre, ha subito l’influenza di molteplici civiltà; fu una delle capitali dell’Impero Romano, diventò un centro fondamentale dell’Impero Bizantino, mentre all’epoca in cui è ambientato il gioco si trovava sotto il governo ottomano e del suo sultanato. Ritroveremo poi un Auditore che ha
L’immancabile sincronizzazione ci permette di gustare la splendida realizzazione grafica di Costantinopoli.
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NELLE PUNTATE
PRECEDENTI... C
on quattro giochi all’attivo e diversi spin-off al seguito, può essere complicato raccapezzarsi nell’universo di Assassin’s Creed. Non per nulla, Ubisoft ha dato alle stampe un volume di oltre 200 pagine sull’eterna lotta fra Assassini e Templari. Noi ovviamente non abbiamo certo intenzione di riempire 3 numeri di TGM con dettagli biografici sulla vita di Ezio Auditore, ma in compenso pensiamo che un bigino per i nuovi arrivati potrebbe essere d’aiuto.
Assassin’s Creed II uggito dall’Abstergo con l’aiuto di Lucy e
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il supporto di Shaun e Rebecca, Desmond si dovrà immergere nuovamente in una seconda versione dell’Animus, questa volta per rievocare le vicende di un suo antenato, Ezio Auditore da Firenze. Da ragazzotto combina guai e un po’ superficiale, Ezio dovrà presto fare i conti con un terribile complotto che porterà suo padre e i suoi fratelli a essere giustiziati. Fuggito con la madre e la sorella a Monteriggioni, verrà addestrato all’arte del combattimento dallo zio Mario, in preparazione della vendetta. Una volta diventato un vero Assassino, il nostro eroe partirà per un lungo viaggio fra Firenze, Forlì, Venezia, San Gimignano e infine Roma, alla ricerca dei cospiratori templari. Lungo questo peregrinare, Ezio troverà anche alcuni validissimi alleati, come Leonardo da Vinci e Niccolò Machiavelli, che lo aiuteranno in più occasioni, fino al confronto finale con il Papa Alessandro VI, alias Rodrigo Borgia. In una cripta sotto il Vaticano avremo poi un incontro con la dea Minerva, che ci racconterà di una Prima Civiltà ormai scomparsa, di un’imminente apocalisse e altre cose più o meno criptiche. Neanche il tempo di capirci qualcosa che Desmond e i suoi compagni verranno attaccati dall’Abstergo e quindi costretti a una nuova fuga.
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Assassin’s Creed mbientato fra il 1100 e il 1200 in Siria,
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vede l’esordio di Altair Ibn-La’Ahad, un giovane Assassino destinato a grandi cose, fra le quali trovare e uccidere nove componenti dell’Ordine dei Templari in Terra Santa. Scoprirà suo malgrado che è tutto frutto di un complotto ordito dal suo stesso Gran Maestro e mentore, El Mualin, a dir poco ossessionato della Mela dell’Eden. Solo alla fine del gioco ci renderemo conto che in realtà quello che abbiamo vissuto è un ricordo indotto attraverso l’Animus, un sistema di controllo mentale che permette ad alcuni soggetti di rivivere in prima persona vicende accadute secoli or sono. Il nostro vero alter ego altri non è che Desmond, un ragazzo cresciuto sotto il credo del codice degli Assassini. L’Abstergo, potente entità e multinazionale erede del potere templare, lo ha sfruttato per scoprire i segreti della Mela dell’Eden (a quanto pare suddivisa in molteplici pezzi) e, finito il suo compito, intende liberarsene. Sarà un’Assassina infiltrata, la dottoressa Lucy Stillman, a salvarlo poco prima della fine del gioco.
Assassin’s Creed: Brotherhood iunti a Monteriggioni, Desmond
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e compagnia si nasconderanno ai satelliti dell’Abstergo prendendo dimora sotto il maniero della famiglia Auditore. Ezio sarà ancora una volta protagonista assoluto e in questa occasione dovrà confrontarsi con l’intera famiglia Borgia, in particolare i due figli di Rodrigo, Cesare e Lucrezia. I fratelli, assetati di vendetta, attaccheranno direttamente Monteriggioni, uccidendo Mario e ferendo gravemente Ezio. L’azione si sposterà poi a Roma, città degradata e corrotta, che però avremo l’onore (e l’onere) di rimettere in sesto, riportandola agli antichi splendori e ripulendola dall’oppressione dei Borgia. Alla fine, Ezio riuscirà a eliminare Cesare e recuperare la Mela, nascondendola poi sotto la chiesa di Santa Maria in Aracoeli. È l’informazione che Desmond e gli altri cercavano da tempo e quindi, tornati al presente, si recheranno proprio in quel luogo per recuperare il leggendario manufatto. Sfortunatamente neanche il tempo di entrarne in possesso che Minerva farà nuovamente la sua apparizione, prendendo il controllo dei Desmond e facendogli accoltellare la povera Lucy... il resto lo saprete giocando a Revelations.
EZIO IL BOMBAROLO
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ome ho più volte ribadito nel corso della recensione, una delle novità introdotte in Revelations è quella relativa all’uso delle bombe, suddivise per utilizzo, potenza e materiali. Approfondiamo un po’ questi aspetti e cerchiamo di capire per quale motivo dovremmo utilizzare l’olio di puzzola invece
CONTENITORI Involucro a impatto: esplodono al contatto diretto con una superficie o contro uno sventurato nemico.
Involucro a innesto: avendo una miccia, esplodono 3 secondi dopo essere state lanciate. Hanno la brutta abitudine di rimbalzare, quindi è meglio non usarle sui tetti. Cavo innesco: la versione medioevale delle moderne mine. Chiunque si trovi nell’area dell’arma si becca una bella esplosione in faccia. Sacca adesiva: Questa invece è la versione medioevale delle granate al plasma di Halo. Si attac-
ca ai nemici grazie a una resina ed esplode 5 secondi dopo.
POLVERE DA SPARO
Polvere pirica indiana: è quella meno potente, ideale se si vuole essere precisi ed evitare di coinvolgere altre persone. Polvere pirica araba: più efficace, utile specialmente quando volete coinvolgere più bersagli senza fare un strage. Polvere pirica inglese: tanta roba, può anche colpire 4 nemici contemporaneamente! Occhio però ai civili!
MATERIALI
Sono questi componenti a differenziare il vero utilizzo delle bombe, che possono servire per uccidere, distrarre o confondere i nemici.
BOMBE LETALI Frammenti metallici: micidiali pallini di ferro che possono uccidere in un istante.
del sangue d’agnello... Anzitutto dovete considerare che ogni bomba è formata da tre componenti, ovvero l’involucro, la polvere da sparo e il materiale che verrà fatto detonare. Iniziamo dai primi due, dato che valgono indipendentemente dalla tipologia di ordigno che andremo a realizzare. Polvere di datura: sprigiona un gas velenoso che provoca la morte.
Olio di puzzola: un olezzo che fa fuggire chiunque sia nelle vicinanze.
Polvere di carbone: un ulteriore additivo esplosivo che non lascia scampo.
Zolfo: un potente botto che non crea danni ma attira l’attenzione dei soldati.
BOMBE TATTICHE
Sangue d’agnello: i nemici si ritrovano coperti di sangue e vanno nel panico. Triboli: rallentano i movimenti dei soldati rendendoli estremamente vulnerabili. Fosforo: un fumo denso e nero che confonde e ci rende invisibili.
BOMBE DIVERSIVE
Sale di petra: un leggero fumo che distrae i nemici. Monete di pirite: una bomba di finte monete d’oro che farà impazzire la gente nei dintorni.
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La sezione tower defence non è esattamente una delle cose più entusiasmanti di sempre nell’universo di Assassin’s Creed.
Torna la doppia sincronizzazione (50 o 100%), tornano i punti Uplay e finalmente vengono introdotti gli obiettivi. Meglio tardi che mai.
combattuto per una vita, decisamente invecchiato, finanche stanco di questa lotta apparentemente senza fine, ma non per questo meno deciso a conoscere la verità, qualunque essa sia. Nella città turca non sarà comunque solo: fin da subito, infatti, verrà affiancato dal capo degli Assassini locali, tale Yusuf Tazim, che ci introdurrà fra l’altro ad alcune nuove meccaniche di gioco. In particolare verremo subito dotati di una nuova versione della lama celata, l’arma base di tutti gli Assassini: si tratta della cosiddetta Lama Uncinata, con la quale potremo effettuare tutta una serie di nuove azioni, sia offensive sia difensive, nonché di scivolare su delle particolari corde sospese presenti su alcuni tetti della città. È un metodo sicuramente molto comodo per sposarsi e permette persino di effettuare degli attacchi dall’alto, peccato solo che Costantinopoli non sia ricoperta di cavi,
quindi l’utilizzo rimane limitato solo a determinati punti. L’altra grossa novità sono le bombe, molto più sofisticate di quelle fumogene viste fino a oggi. Si tratta di veri e propri ordigni di varia natura, suddivisi in tre categorie (offensivi, difensivi e diversivi) e in grado di dare a Ezio un vantaggio notevole, sia negli scontri sia nelle missioni dove occorre essere più discreti. Troverete nelle pagine centrali di questa corposa recensione tutti i dettagli in merito: per ora sappiate che per quanto l’idea sia apprezzabile, il risultato finale non è poi così memorabile. Le bombe davvero utili, a livello pratico, sono giusto un paio e indubbiamente rendono il nostro Assassino fiorentino fin troppo forte, tanto che molte volte una grossa esplosione può risolvere nel giro di un paio di secondi una missione, alla faccia di coltelli, dardi avvelenati e altri gadget da killer silenzioso.
Il Senso dell’Aquila ci permetterà non solo di distinguere nemici e obiettivi, ma anche i loro movimenti attraverso la scia luminosa lasciata sul terreno.
Solo recuperando i cinque Sigilli di Masyaf potremo accedere all’ultimo grande segreto di Altair. Ma avremo le risposte che cerchiamo?
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Una grossa novità è rappresentata dalle bombe, molto più sofisticate di quelle fumogene viste fino a oggi EZIO SALTATORE “Nulla è reale, tutto è lecito”, così recita il credo degli Assassini e del resto anche a questo giro le cose funzionano proprio così. La formula adottata in Revelations non si distacca neanche di un millimetro dal passato e ritroviamo le stesse identiche dinamiche di sempre. Ezio può muoversi liberamente per la città e può arrampicarsi su qualsiasi palazzo o struttura o muro, purché vi sia un appiglio. Con la nuova Lama Uncinata è anche facilitato nella scalata di alcuni passaggi e può inoltre aggrapparsi al volo, rischiando meno che in passato di mancare l’aggancio e precipitare nel vuoto. Possiamo anche affidarci alle invenzioni di Leonardo da Vinci ereditate dal passato, come il paracadute e la pistola incorporata negli antibracci, anche se sarà quasi sempre la Lama Celata a fare la differenza. Uccidere i nemici arrivandogli silenziosamente alle spalle è sempre una bella soddisfazione, ma anche nei combattimenti diretti può fare la differenza, se usata con dovizia. Ovviamente una bella spada o un’arma pesante come un martellone o un’ascia, risultano assai più pratiche quando ci si ritrova circondati da molteplici nemici e occorre agire in fretta. Anche sotto questo aspetto, le differenze rispetto al passato sono risicatissime: nella maggior
parte dei casi conviene starsene buoni e attendere che sia l’avversario a fare la prima mossa, in modo da compiere una contromossa e ucciderlo con un colpo solo, per poi continuare la catena delle uccisioni in maniera abbastanza meccanica. Del resto, quasi mai i nemici attaccano in contemporanea, e dopo aver giocato a Batman: Arkham City, si sente davvero la necessità di introdurre un sistema più dinamico e soprattutto più rapido. Si può anche sfruttare la nuova lama ricurva per agganciare un nemico e scaraventarlo via, ma a dirla tutta, quando vi trovate circondati è più pratico passare gli avversari da parte a parte con un metro di acciaio affilato. Fidatevi, è così. Le guardie bizantine inoltre sembrano meno sveglie di quelle romane, seppur molto più aggressive e fastidiose quando vi spostate sui tetti. Armate come sono di fucili, possono anche colpirvi da una certa distanza e ci mettono davvero poco a prendervi di mira, con una determinazione al limite dell’ossessivo. Se poi vi trovate in una condizione particolarmente famigerata (non manca il classico indicatore in merito), basterà un nonnulla per attirare le attenzione dei Giannizzeri, le guardie scelte del sultano, una vera e propria elite assai sfrontata e parecchio agguerrita, forse Revelations ci permetterà di capire cosa è successo ad Altair (e alla Mela dell’Eden) dopo il finale del primo capito del gioco.
Review La nuova Lama Uncinata ci consente di utilizzare le corde sospese per spostarci molto più velocemente del normale.
Non c’è che dire, vedere il non più giovane Auditore all’opera è sempre un piacere.
EZIO CANTAUTORE Che Revelations sia un po’ una versione concentrata e meno dispersiva dei precedenti episodi lo si nota anche da altri particolari. Sono infatti spariti completamente gli enigmi, non dovrete più dare la caccia ai Glifi nascosti chissà
dove e anche le sezioni in catacombe e grotte varie non richiedono più un tempismo lampo per averne ragione. Ritrovare i cinque Sigilli di Masyaf è quasi una passeggiata di salute, specialmente per i veterani di Assassin’s Creed, che dovranno necessariamente scendere a patti con un livello di difficoltà notevolmente livellato verso il basso. Questo si riflette anche sull’economia generale di gioco, tanto è vero che basta potenziare relativamente l’armatura di Ezio e comprare un’arma decente per poter uscire indenni dalla maggior parte delle situazioni. Manca lo stimolo per restaurare i monumenti o per mettersi alla ricerca di eventuali tesori nascosti: sì, ci sono le 10 pagine del diario segreto di Niccolò Polo, ma senza una ricompensa ben definita (si parla di un generico tesoro) è difficile farsi prendere dalla voglia di raccoglierle tutte. Leggermente diverso invece il discorso che riguarda la ricerca dei cosiddetti Frammenti di Animus, strani cristalli sparsi in giro per la città, in grado di farci accedere ai ricordi di Desmond. È un vero peccato però che tali sequenze siano state realizzate in modo così approssimativo e privo di idee, da risultare finanche irritanti. Ci si ritrova a muoversi in questi stanzoni/corridoi, con la visuale in prima persona e con la facoltà di generare due tipologie di piattaforme, da sfruttare intelligentemente per spostarsi da un’area all’altra. Avremo così una sorta di parallelepipedo a mo’ di passerella per i passaggi orizzontali e un altro oggetto poligonale simile a una rampa per quelli verticali. Non è tuttavia così banale districarsi in questi Quando il livello di attenzione templare sale troppo, si possono corrompere i banditori con un centinaio di monete.
Ritrovare i cinque Sigilli di Masyaf è quasi una passeggiata di salute, specialmente per i veterani di Assassin’s Creed ambienti, poiché dovremo confrontarci con muri in grado di distruggere le nostre passerelle e sezioni in cui non sarà proprio possibile generarne. In alcuni casi troveremo anche delle griglie in movimento a complicarci la vita, il tutto per apprendere attraverso la voce di Desmond alcuni racconti relativi al suo passato, di come è stato cresciuto per diventare un Assassino e sia poi finito a fare il barista a New York. I retroscena fanno sempre piacere e arricchiscono la storia, ma se per arrivarci occorre passare per tutta una serie di stage un po’ noiosi e poco ispirati, beh, forse se ne poteva fare anche a meno.
EZIO SVILUPPATORE Chiudiamo parlando dell’aspetto tecnico, sul quale per fortuna non ci sono molte recriminazioni da fare. Anzitutto, per una volta, l’utenza PC non ha dovuto aspettare la grazia di Ubisoft per mettere le mani sul gioco, e anche se al momento non abbiamo alcuna informazione sulla protezione eventualmente adottata, fa piacere notare che il comparto grafico esce a testa alta dal confronto con le console. Texture di qualità superiore, ombre più definite e soprattutto antialias e risoluzione più alta giocano a favore di questa edizione, che oltretutto gira a una media di fotogrammi al secondo ben più alta rispetto a Xbox 360 e PS3. Tradotto in giocabilità pura significa una migliore risposta ai comandi, che non fa certo male. La resa generale è come sempre superlativa: Costantinopoli è renderizzata con una dovizia per i particolari formidabile (ma Roma era un’altra cosa, se mi consentite la partigianeria) e anche la (breve) sezione in Cappadocia risulta convincente. L’evocativa colonna sonora, a cura di Jesper Kyd, è ancora una volta di ottimo livello, ma meno ispirata del solito e anche in questo caso si percepisce una discreta
sensazione di déjà vu. Segnaliamo infine l’introduzione degli Obiettivi oltre ai soliti punti Uplay: anche se rimangono confinati all’ambiente di Ubisoft, almeno rappresentano un passo avanti, ma ciò non di meno l’ambiente PC dovrebbe iniziare a pensare seriamente a uno standard unico di riferimento. Mirko “TMB” Marangon tmb@sprea.it
Commento Chi vi scrive è un grande fan delle avventure di Ezio Auditore. E non vi nascondo che avessi grandi aspettative in merito a queste “rivelazioni”. È stato quindi un filo deludente constatare che non tutti i quesiti abbiano avuto risposta, per non parlare dell’ennesimo cliffhanger finale, che onestamente mi sarei risparmiato, almeno a questo giro. A parte la questione “finale”, Revelations non riesce a raggiungere i livelli di eccellenza toccati da Brotherhood, limitandosi a riciclare quanto proposto in precedenza e a aggiungendo veramente poco a quanto visto fino a oggi. Sia chiaro, non è un brutto titolo e mi rendo conto che la piega delle recensione potrebbe esservi sembrata fin troppo negativa, ma volevo essere molto chiaro sulle cose che non funzionano in questo capitolo di Assassin’s Creed. Rimane un’esperienza di gioco piacevole e interessante, ma da una saga di tale caratura si può e si deve pretende molto di più.
Graficamente eccelso. Missioni varie e interessanti. Si lascia giocare con gusto. Poche le idee nuove... ... e quelle che ci sono lasciano perplessi.
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VOTO
anche troppo in alcuni frangenti. Alcuni settori di Costantinopoli, inoltre, sono controllati dai bizantini. Esattamente come in Brotherhood (sta diventando una cantilena, eh?), dovremo liberarli uccidendo il capitano e salendo sulla torre che domina l’area, in modo da reclamarla come nuova base per gli Assassini. A questo giro, infatti, non solo potremo restaurare le botteghe e i monumenti (molti meno rispetto a quelli romani, ma era prevedibile) nelle vicinanze, ma anche occuparne la sede, cosa che ci permetterà di reclutare nuovi adepti. Sarà però fondamentale non far salire il livello di attenzione da parte dei templari, altrimenti i bizantini attaccheranno le nostre basi, nel tentativo di riappropriarsene. Se dovesse verificarsi questa sfortunata ipotesi, dovremo approntare una difesa, cosa che ci porterà ad affrontare un tutt’altro che entusiasmante sottogioco. Trattasi di una sorta di tower defence game, nel quale ci toccherà fermare le ondate di nemici piazzando barricate e Assassini di vario genere sui tetti: non è proprio una roba da strapparsi i capelli e a meno che proprio non andiate pazzi per questo genere di giochi, troverete queste sezioni tra l’inutile e il fastidioso.
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CPU: Processore Dual Core 2,2 GHz (Dual Core 2,8 GHz) RAM: 2 GB (4 GB) Scheda Video: Una qualsiasi con 256 MB, compatibile con gli Shader 3.0 (Una qualsiasi con 512 MB, compatibile con gli Shader 3.0 Spazio su HD: 15 GB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: Infinity Ward/Sledgehammer Games PUBLISHER: Activision Blizzard DISTRIBUTORE: Activision Blizzard MULTIPLAYER: Internet LOCALIZZAZIONE: Completa PREZZO INDICATIVO: € 59,99
www.callofduty.com/mw3
La Terza Guerra Mondiale è roba per bambini, rispetto alla battaglia per l’FPS bellico dell’anno. Activision e Infinity Ward combattono in prima linea con il nuovo COD, e non solo...
CALL OF DUTY:
MODERN WARFARE 3
A
ltro giro, altro regalo. Anche quest’anno, con la solita puntualità, l’inverno è salutato dall’arrivo di un nuovo Call of Duty, atteso da milioni di fan sparsi per il mondo. Negli ultimi anni il cavallo di battaglia di Activision si è trasformato in un vero e proprio fenomeno videoludico, il cui più grande risultato è stato trascendere il solito pubblico degli hardcore gamer, raggiungendo il grande mercato. È diventato uno di quei titoli conosciuti anche da chi non legge blog, forum e riviste, e, soprattutto, in certi ambienti è diventato sinonimo di videogioco. Quanti amici avete che hanno comprato una console solo per giocare a uno dei due giochi di calcio, che acquistano ogni dodici mesi, ca-
scasse il mondo, anche se gli spiegate che l’altro è meglio? Ecco, per molti Call of Duty è diventato così, un gioco da avere, da aspettare, da farsi regalare per il compleanno. Molti non hanno mai giocato online, e se provano a farlo prendono così tante mazzate che tornano nel confortevole reame del single player. Altri, invece, sono gamer più scafati, e aspettano religiosamente COD per la sua dimensione competitiva, che unisce abilità e coordinazione a un sistema rapido e immediato. Il segreto del successo di questa serie è che riesce a parlare a audience così diverse, differenziando la sua offerta con due realtà ben distinte. Abbiamo campagne in singolo brevi, lineari, e in ultima analisi a prova di babbeo, e mo-
Il design dei livelli multiplayer, rispetto a BF3, ha meno imbuti che incanalano i giocatori.
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dalità multiplayer gigantesche, ricche di opzioni e variabili, con sistemi di livelli e sblocchi che danno assuefazione. Il risultato può piacere o meno, ma è innegabile come Activision abbia trovato la quadratura del cerchio, con una formula invidiata da tutto il resto della industry. Black Ops, lo scorso episodio, ha superato i venti milioni di copie vendute, replicando il successo del suo predecessore, Modern Warfare 2: chi cambierebbe una così proverbiale squadra che vince? Questa immobilità crea una terza fascia nel pubblico
di COD, che ogni anno spera in una significativa evoluzione, o magari in una rivoluzione, che lo renda più aperto, meno scriptato, più longevo, o magari con un multi più strategico. C’è, insomma, chi vorrebbe un gioco che, a conti fatti, non è COD. È un’illusione, e lo sappiamo tutti. Sebbene gli sviluppatori cerchino sempre di tenere il piede in due scarpe, raccontandoci di stage “più ampi” e di “maggiori livelli di interattività”, il risultato è sempre lo stesso: il multiplayer dell’anno scorso viene aggiornato e potenziato con nuo-
Modern Warfare 3 è un Call of Duty. Il solito Call of Duty. Un grande Call of Duty
Le classiche modalità a obiettivi di Call of Duty sono presenti in grande spolvero e traggono beneficio dalle nuove streak.
Review
KILL CONFIRMED Tra le nuove modalità multiplayer spicca Kill Confirmed, un semplice deathmatch a squadre nel quale, affinché un’uccisione conti ai fini del punteggio, bisogna raccogliere la targhetta identificativa lasciata cadere dal nemico abbattuto. Se la raccoglie un membro della squadra alleata il punto viene assegnato, ma se la recuperano gli avversari l’uccisione viene negata. È un piccolo accorgimento che cambia radicalmente il ritmo delle partite, e soprattutto rende la vita più difficile ai cecchini, che saranno obbligati a coordinarsi con gli altri giocatori.
vi contenuti, mentre il singolo adatta la solita filosofia di design a una trama nuova, possibilmente ancor più spettacolare ed esplosiva della volta prima. Da un lato è un peccato, e verrebbe voglia di scoprire cosa succederebbe se Activision facesse sua la scintilla di follia dei grandi innovatori, invece di affidarsi alla sicurezza del marketing. Dall’altro, considerando che ci sono milioni di fan, è giusto che Call of Duty sia Call of Duty. E, indovinate un po’? Modern Warfare 3 è un Call of Duty. Il solito Call of Duty. Un grande Call of Duty.
GUERRA SOLITARIA Se vi aspettate qualcosa di veramente nuovo dalla campagna di Modern Warfare 3, saltate pure questo paragrafo. Non c’è niente da vedere, qui. Vi ricordate la campagna di MW2? Quella di Black Ops? Perfetto, funziona esattamente alla stessa maniera. I livelli sono lineari al 100%, con corridoi più o meno espliciti lungo i quali il videogiocatore procede docile con un ovino, sparando alle orde di nemici che danzano sullo schermo al ritmo degli script di un burattinaio invisibile. Non si può divagare, non si può esplorare, e se non si va nella direzione decisa dai designer non scattano gli eventi che portano avanti la missione. È come un film nel quale noi siamo gli attori protagonisti: siamo dei superfigaccioni, ma quando il regista dice di fare qualcosa ci tocca obbedire ciecamente. Altrimenti qualcuno grida “stooop” e si riparte dal ciak.
Il nuovo sistema di streak sblocca aiuti e rifornimenti extra anche per i principianti.
Gli script funzionano alla perfezione, tanto che a volte sembra quasi che non ci siano.
Il trucco è che, limitando la libertà di movimento del giocatore, è possibile prevedere dove si troverà, creando script che gli diano la sensazione di essere sempre nel cuore dell’azione, nell’occhio del ciclone. Call of Duty è una grande illusione, e Infinity Ward è il David Copperfield della situazione. Conosciamo bene le limitazioni di questo sistema, ma è impossibile non notare come tutto funzioni a dovere, e come ogni pezzo vada al suo posto, come in un puzzle. Per esempio, l’Intelligenza Artificiale è un po’ stupida, non è capace di organizzare manovre di squadra e si limita a sparare nella nostra direzione, aggiungendo qualche sapida granata, restando al riparo per schivare i nostri proiettili. Non fa altro, ma grazie alla struttura chiusa dei livelli il problema passa in secondo piano: noi non possiamo aggirarli o circondarli, e la loro mira è sufficiente a darci una sfida impegnativa, specie ai livelli Hardened e Veteran. È un’approssimazione di quello che succede veramente su un campo di battaglia, certo, ma funziona. Guardando la campagna di Battlefield 3, che punta chiaramente a conquistare lo stesso pubblico di quella di COD, le cose vanno diversa-
mente: l’IA è sì e no la stessa, ma i livelli hanno quel tot di spazio in più che ci permette di aggirare i soldati, che però, spesso e volentieri, non notano la nostra presenza e vanno avanti a sparare dall’altra parte. Si può criticare all’infinito la mancanza di libero arbitrio in Modern Warfare 3, ma sulla qualità della realizzazione non si discute. Tutto funziona come in un orologio, dando vita a un’esperienza da cinema, che baratta il gusto dell’esplorazione con l’intensità di un azione in costante crescita. Se fosse una canzone, questo COD sarebbe uno di quei pezzi metal fatto interamente di assoli di chitarra e rullate a trecento all’ora. Le meccaniche, del resto, sono identiche in tutto e per tutto a quanto abbiamo visto in Black Ops e nello scorso Modern Warfare. La salute si rigenera in automatico quando non si subiscono colpi per qualche secondo, si è affiancati da uno o più alleati controllati dal computer e l’azione orbita interamente intorno alle sparatorie. I cambi di ritmo, di conseguenza, sono dettati proprio dalle armi che ci vengono fornite: si passa da sezioni con velleità stealth, con coltelli e fucili silenziati, a momen-
ti di furia con le postazioni fisse di jeep e carri armati. Si prova il brivido dell’assalto frontale, con corazze e fucili con lanciagranate, si piccionano soldati dalla distanza con i fucili da cecchino, si abbattono gli elicotteri con gli immancabili bazooka. E quando non si spara, si prende parte a delle semplici sequenze d’azione, che vanno dalle incursioni subacquee mostrate nei trailer dell’E3 ai più classici inseguimenti appiedati. L’unico vero cambiamento rispetto all’anno scorso riguarda la trama (ci mancherebbe!), che riprende dalla fine di Modern Warfare 2. Ritroveremo volti noti come Soap e Price, incontreremo nuovi soldati delle forze speciali americane e inseguiremo in giro per il mondo
La durata della campagna è poca roba, certo, ma di grande qualità: sarebbe stato difficile ottenere la stessa intensità con una avventura spalmata su dodici ore
Quei grossi tubi stanno per rovinare sul nemico. Si tratta, ovviamente, di un evento precalcolato.
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CALL OF DUTY: ELITE cita di Call of Duty: Ee 3 coincide con la nas l lancio di Modern Warfar ti. Creare un account ani acc online per i fan più catolite, un nuovo servizio per incontrare altri gio tto a tantissimi servizi iche (oltre, tist sarà gratuito e darà diri sta prie pro le io iche e tenere d’occh ri, apprendere nuove tatt ount premium, per la ciall’inverosimile). Gli acc rsi mia scim a e, ovviament tenuti scaricabili e a con i i daranno diritto a tutt fra di 49 dollari l’anno,
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e su pc?
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peci. Questa descrizione, ni a premi, digitali e fisi sa pos si nto qua una serie di competizio ambizioso di to Elite è più grande e è addiver, ser rò, è riduttiva: il proget dei e tion ges la ti punti di vista, come immaginare. Sotto cer y può permettersi di marchio come Call of Dut un solo che ia, foll siste il servizio, rittura una con a cos in pagine vi raccontiamo rischiare. In queste due rg. è solo la punta dell’icebe ma tenete presente che
all of Duty: Elite si basa su una mole impressionante di dati raccolta dai milioni di partite disputate tutti i giorni, e deve potersi fidare delle statistiche che riceve (anche perché deve usarle per attribuire premi fisici per i concorsi premium). Ci saranno decine di persone addette alla moderazione e al controllo dei punteggi per minimizzare le possibilità dei cheater, ma non solo. In un primo momento, considerando la maggiore “hackerabilità” dei PC, il servizio debutterà solo su Xbox 360 e PlayStation 3. Il tutto arriverà presto anche sulle nostre macchine, anche perché è nei diretti interessi del futuro di COD, ma potrebbe volerci qualche tempo. Meglio un po’ di attesa che un servizio buggato, no? Tanto è acerbo...
c’è un app per tutto!
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lite sembra studiato appositamente per farci sviluppare delle ossessioni compulsive, dandoci accesso al mondo di COD ovunque ci troviamo. Siamo sul PC dell’ufficio? Con un comodo portale possiamo accedere a tutta la suite di funzioni di Elite, inviando e modificando dati che verranno sincronizzati automaticamente al primo avvio del gioco. Siamo in metropolitana? Possiamo avviare l’apposita app per iPhone (o Android) per decidere il carico d’armi, esaminare i match della sera prima e contattare altri giocatori. Queste funzioni di sync e le app sono a disposizione di tutti gli utenti, premium e gratis.
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E IN ITALIA?
al sointeressante, ma come tutto molto bello e molto o. L’alto ietr ind so pas un di ane lito il nostro stivale rim B ride un mercato di serie tasso di pirateria ci ren tre nos le del ne alcu e , nia Germa spetto a paesi come la e di concorsi a pretion ges la ata plic com leggi rendono più premium, utenti italiani, anche se mi. La morale è che gli fisici, e che mi pre re ai concorsi con non potranno partecipa ua. Non ling tra nos la nel tradotti i contenuti non saranno alle trasmissioni he anc ma cia, rfac inte ci riferiamo solo all’ paesi scantematici organizzati. Nei televisive e agli eventi si natalizi cor con rebbero esserci dinavi, per dirne una, pot simile. Il di la nul mo avre qua non con motoslitte, mentre piani per la già o ha detto che ci son responsabile di Elite ci cose posste que che gna inse ia ci localizzazione, ma la stor ). fine n buo (e non sempre a sono andare per il lungo
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La reda in multiplayer ToSo: il regala frag
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n gergo tecnico, io sono la carne da cannone dei server di Call of Duty. Era stato così con Modern Warfare 2 e, purtroppo, la situazione non è cambiata con questo Modern Warfare 3. La cosa positiva è che mi diverto comunque un sacco, benché la mia modesta esperienza non mi consenta di raggiungere le streak vere. Grazie all’introduzione di MW3, ovvero le streak di supporto, ho finalmente trovato il mio posto nell’universo multiplayer di Activision. Scherzi a parte, il multi di CoD è veramente tanta roba: le mappe non sono particolarmente vaste, come è logico visto il numero di giocatori coinvolti, ma c’è da dire che funzionano veramente bene. I deathmatch a squadre, probabilmente la modalità preferita dai “regala frag” come il sottoscritto, sono sempre frenetici e divertenti. In una parola: funzionano. E da subito, non come in Black Ops. Davide “ToSo” Tosini
II-Variety: l’ordinato
kikko: cec... ato!
Q
uella del cecchino è un’arte che va coltivata nel giusto modo. Non si tratta di camperare, ma di attendere con pazienza, animo e fiato trattenuto nei polmoni (Camper! ndToSo). In questo, le partite frenetiche di COD non è che aiutino molto ,visto che molte mappe sono urbane, o comunque costruite attorno a un incastro di stradine e vie che poco si presta al mio modo di giocare. Poco male, perché una bella coltellata alla giugulare a chi viene a stanarmi nella mia posizione nascosta non la nego di certo a nessuno. Ivan “Kikko” Conte
Warfamultiplayer di Modern nvece di stancarmi, il di Linus, calda na erti cop la e com o re 3 sta diventand forile considerazione vale e rassicurante. E una sim o mistero della fatt i ma ha non che se doppio per uno esperienie di Battlefield. Delle sua preferenza per la ser mer, ham dge Infinity Ward e Sle ze online imbastite da rgespa no pia sap non che tranne però, si può dire tutto, do, flui ice cod mani, forti di un re divertimento a piene in questo caso la stratehe anc o: dat lau col e pulito con tirare dentro l’azione, nel ”, lica gia è quasi “diabo prile e tter me per per ci o velo i rank iniziali che scorron zazione; nel giro aliz son per di i ion opz me, fondamentali clasilità di creare la propria di 5 livelli c’è la possib a”, dotata di uno oss mm tiso “an lla que se e accedere a MW2) o (lo Striker, già visto in shutgun semiautomatic a, per volt di sembrare la chiave abbastanza potente da partima ulti all’ a prim la dal isioni assicurare sfilze di ucc le del una che erano di MW lo sa, ta. Ma un rilassato vet aanc affi da co, gio al za costan armi migliori rimane la tesimo ro: i giocatori oggi al ven re ai riflessi di un giagua giorno e lch qua fra che ssi gli ste rank (al day one!) sono gari ma rci, cra finestra per massa vedremo uscire da una lì, con il o em sar noi E ”. rate i “tig con una coppia di arm li nel didietro. perk giusto per spararg alupi Mario “II Variety” Baccig
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fbi: il professionista
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elido come solo il miglior soldato sa essere, non mi faccio spaventare dalle ondate di nemici che provano a interrompere le mie kill streak. Giocando con il ToSo e gli altri teppisti redazionali, posso tuttavia confermarvi che sono semplicemente il migliore. FBI Dicembre 2011 TGM
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Le armi dettano il ritmo dell’azione, scandendo nettamente i momenti di assalto frontale da quelli più “riflessivi”, con i fucili da cecchino.
Le missioni alternano ritmi diversi, passando dal silenzio dello stealth al frastuono delle postazioni fisse.
l’ultranazionalista Makarov, che con un colpo di stato russo riesce a mettere in ginocchio il mondo intero, scatenando la Terza Guerra Mondiale. Il fascino della campagna di Modern Warfare 3 è che, oltre alle solite ambientazioni africane e russe, propone livelli in America, Francia, Germania e Inghilterra. Le città coinvolte sono riprodotte con tutte le licenze poetiche del caso, ma il risultato è notevole, e rende l’avventura molto più intensa. Si combatte in luoghi alle porte di casa nostra, si assiste alla distruzione dei simboli del nostro stile di vita e si prende parte a un conflitto brutale, senza vincitori, capace di annientare l’intera umanità. La trama è la quintessenza della fantapolitica e delle esagerazioni à la “Rambo”, ma diverte con una narrazione serrata, che come da copione cambia costantemente punto di vista, facendoci rimbalzare da un angolo all’altro del pianeta. Quanto dura? Niente sorprese, anche qui. Giocando normalmente si finisce tutto in sei ore scarse (forse anche meno, per i più esperti), alle quali si aggiunge qualcosa se si selezionano i livelli di difficoltà più alti. È poca roba, certo, ma è di grande qualità: sarebbe stato difficile ottenere la stessa intensità con un’avventura spalmata su dodici ore. Se comprate il gioco solo per il singolo e non avete modo (o voglia) di entrare nel mondo della competizione online, vi porterete a casa un titolo bello ma poco longevo.
AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA Il multiplayer di Modern Warfare 3, oltre alle classiche esperienze competitive, propone anche un’intera sezione dedicata alla cooperativa, chiamata “Special ops”. Queste operazioni speciali, a loro volta, si dividono tra il survival, dove bisogna resistere a infinite ondate di nemici sempre più potenti, e sedici missioni che ripropongono gli avvenimenti della trama da altri punti di vista. Per esempio, se nella campagna abbiamo impersonato una guardia che difende un presidente, in coop potremmo fare parte del team di assalto che cerca di rapirlo. L’idea è esattamente la stessa di Modern Warfare 2, ma sviluppata più a fondo: le situazioni proposte sono in tutto e per tutto simili a quelle del single player, ma sono declinate per lasciare spazio al lavoro di squadra, fondamentale per fare punti e scalare le classifiche. Ancora una volta, infatti, Modern Warfare tiene conto delle statistiche della missione, dai danni subiti al tempo impiegato, a fini di un punteggio che incoraggia i team a competere per la prima posizione. Il dato importante, però, è che le sedici missioni sono ben fatte, oltre a essere sensibilmente più difficili, e aggiungeranno almeno tre o quattro ore di divertimento a chiunque le affronti in compagnia. Il survival, invece, è forse il punto più debole dell’intero pacchetto. Si gioca sulle stesse mappe del multiplayer competitivo, in due, respingendo gli
La visuale dal mirino è fondamentale: quando non è impiegata, la dispersione dei proiettili è elevata (e forse un tantino eccessiva).
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infiniti assalti del nemico. All’inizio arrivano dei soldati semplici, ma dopo un po’ ci si trova alle prese con forze speciali, corazzati ed elicotteri. Tra un’ondata e l’altra, con i punti guadagnati per le uccisioni, si possono comprare armi aggiuntive, accessori, corazze, torrette e attacchi aerei. Tutto funziona come si deve, ma il rischio di annoiarsi è sempre in agguato, anche perché, nonostante le grandi dimensioni delle mappe, si gioca sempre e solo in due. Perché non in quattro, almeno? Con un solo compagno si fa del gioco di squadra, ma le potenzialità tattiche sono limitate. Il vero pregio è che, aggirandosi liberamente, si impara più in fretta la struttura dei livelli, preparandosi per le grandi guerre del multi competitivo.
GUERRA TOTALE Il piatto forte di questo Modern Warfare 3 è il multiplayer competitivo. Prima di parlarne a fondo chiariamo subito che, mentre il nostro parere su sul singolo e sulla coop è definitivo, per pronunciarci sul multi dovremo aspettare almeno un mesetto, osservando come si comporterà nel mondo reale, sotto le stress dei milioni di giocatori che prenderanno d’assalto i server. Lo abbiamo provato a fondo, con circa dodici ore di sessioni con altri membri
IN PRIVATO Scegliendo le partite private si accede a una serie di modalità aggiuntive che possono essere personalizzate a piacimento. Un buon esempio è Gun Game, nato nelle partite “d’azzardo” di Black Ops. È un deathmatch nel quale a ogni uccisione corrisponde il passaggio a un’altra arma: in MW3 potremo decidere senza limitazioni quali armi si sbloccheranno, e in quale ordine. Oltre al ripescaggio di vecchie modalità come questa ci sono anche delle valide aggiunte, come Infection, dove gli uccisi vengono infettati e cambiano squadra, e Juggernaut, con la presenza di un super soldato con una corazza molto resistente.
della stampa europea, ma nell’ambito di un evento organizzato da Activision. Possiamo valutare i cambiamenti e le modifiche al gameplay, ma non aspetti cruciali come la qualità del netcode, la stabilità dei match e la presenza di bug o exploit. Detto questo, il multi di Modern Warfare 3 è uno spasso, punto e basta. Lo stile è lo stesso, con mappe prive di elementi distruttibili e feroci scontri per dodici giocatori, con partite che vanno dai classici deathmatch alle modalità a obiettivi. Ogni giocatore crea il suo soldato perfetto, scegliendone le armi e i tre perk, ossia le abilità che conferiscono bonus aggiuntivi: mano a
Il survival è forse il punto più debole dell’intero pacchetto
Sparatorie in assenza di peso su un aereo che precipita? A chi non è mai capitato, suvvia!
Review Alcuni momenti dell’avventura sanno di D-Day. Nonostante l’apparenza, però, i livelli sono sempre lineari.
Modern Warfare 3 è un capolavoro di psicologia, che azzecca alla perfezione il rapporto fatica/ricompensa necessario a creare dipendenza in un giocatore mano che si gioca si guadagnano punti esperienza e livelli, sbloccando costantemente nuovi elementi di gioco. Tutto, in Modern Warfare 3, è associato a una progressione di livelli, dal rango del nostro eroe all’efficienza con le singole armi. “Livellando” un particolare fucile d’assalto, ossia usandolo e completando le sue sfide, si otter-
IGIENE E PULIZIA Se c’è qualcosa che salta subito all’occhio di Modern Warfare 3 è l’alto livello di rifinitura e pulizia. Non ci siamo imbattuti in bug evidenti, e siamo rimasti colpiti dall’interfaccia, dalla struttura dei menu, e soprattutto dalla cura per i dettagli. Si vede che gli sviluppatori hanno grande esperienza con questo genere di giochi, e che soprattutto hanno già un sistema ben rodato sul quale lavorare. Il rovescio della medaglia è che, a livello grafico, non ci sono salti in avanti paragonabili a quelli di Battlefield 3.
ranno accessori, come mirini ottici e lanciagranate sottocanna, o abilità, capaci di ridurre il rinculo o di sbloccare uno slot aggiuntivo per i gadget di cui sopra. È come se, a ogni uccisione, si sentisse il caratteristico “kaching!” del registratore di cassa. Da questo punto di vista, Modern Warfare 3 è un capolavoro di psicologia, che azzecca alla perfezione il rapporto fatica/ricompensa necessario a creare dipendenza in un giocatore. Stavamo giocando con account provvisori, sapevamo che non avremmo avuto modo di riportare i dati a casa, eppure ci siamo messi a lavorare come se non ci fosse un domani per sbloccare l’ultimo accessorio del nostro fucile d’assalto preferito. Sapevamo che era fatica sprecata, eppure... Lo stesso fenomeno catturerà moltissimi giocatori, dando loro qualcosa da fare per i prossimi dodici mesi. Contando le modalità Prestige, sbloccare tutto al cento per cento richiederà de-
cine e decine di ore. Dal punto di vista del gameplay vero e proprio, l’unica grande modifica riguarda la gestione delle streak, ossia delle sequenze di uccisioni. Oltre a quelle classiche, che conferiscono bonus d’attacco (come missili guidati e bombardamenti a tappeto) a chi riesce a eliminare molti nemici senza mai finire al creatore, ci sono anche quelle di supporto, dove il conteggio non viene azzerato quando si muore. Danno diritto a bonus più strategici e difensivi, come torrette antiaeree e corazze per i compagni, e rendono la vita più facile e interessante ai principianti e a chi preferisce i ruoli in difesa, puntando più sulla protezione degli obiettivi che non sulla caccia ai punti. Oltre a questo ci sono anche le streak per specialisti, che invece di dare bonus consentono momentaneamente l’accesso a perk aggiuntivi, da selezionare tra quelli sbloccati. Queste idee, insieme alla rimozione di abilità sbilanciate come “Last Stand”, proiettano un futuro luminoso sul multiplayer di Modern Warfare 3. Se non verranno a galla bug o problemi tecnici, la bellezza del sistema di sblocchi e la raffinata struttura dei livelli daranno vita al-
Infinity Ward ama far discutere, e anche in questo episodio ha inserito una sequenza che scandalizzerà i detrattori dei videogiochi.
la miglior esperienza online dai tempi di COD 4. Quel che è certo è che, pur con i suoi limiti e il suo approccio conservatore, Infinity Ward non ha perso il suo tocco magico con gli FPS, in barba alla defezione dei suoi fondatori (scappati da EA per creare Respawn Entertainment). Se cercate innovazioni girate alla larga, ma se siete dei fan della serie, preparatevi a un grande episodio, capace di resistere al violento contrattacco di Battlefield 3. FBI
Commento Se ne parlerà tantissimo, della guerra tra COD e Battlefield, e come spesso succede molti videogiocatori si schiereranno da una parte o dall’altra, difendendo la loro bandiera con la stessa ferocia di un vero soldato. Modern Warfare 3 espone il fianco a tutte le critiche standard che si possono rivolgere alla serie: la campagna dura poco ed è l’essenza della linearità e il multiplayer privilegia la velocità e l’immediatezza, evitando le variabili complesse messe in campo da DICE con BF3. Quel che conta, per noi, è che siamo alle prese con uno dei migliori episodi della serie dai tempi del quarto, sia per la rifinitura, sia per alcuni piccoli ritocchi al game design. Se lo comprate solo per la campagna avrete un gioco bello ma poco longevo, ma se amate il multiplayer (e, soprattutto, lo stile di COD) vi divertirete per un anno intero.
Ritmo indiavolato Contenuti cooperativi Un grande multi in stile COD Molto breve in singolo
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VOTO VOTO multiplayer single player
La grafica vive di alti e bassi, con paesaggi suggestivi e sezioni che rivelano le debolezze del motore, che inizia a mostrare qualche ruga.
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CPU: Dual Core 2 GHz (Quad Core) RAM: 2 GB (4 GB) Scheda Video: ATI Radeon HD 3750/nVidia GeForce 8600 GT (Radeon HD 6950/GeForce GTX560) Spazio su HD: 20 GB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: DICE PUBLISHER: Electronic Arts DISTRIBUTORE: Electronic Arts MULTIPLAYER: Internet LOCALIZZAZIONE: Completa PREZZO INDICATIVO: € 49.90
BATTLEFIELD 3 www.battlefield.com/it/battlefield3
Chiamare un elicottero da guerra, mentre noi ce ne stiamo al sicuro in qualche buco? Non è questo il caso: qui ci si sporca le mani sul campo, sempre.
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davvero difficile staccarsi da un gioco come Battlefield 3, ma è arrivata l’ora di mettere su carta le sensazioni e gli elementi di analisi che l’esperienza mi ha suscitato. Ed è una recensione difficile, perché su questo stesso numero trovate la fresca prova del rivale numero uno del titolo DICE, seduto da diversi anni sul trono degli FPS di guerra (e di tutti gli sparatutto in soggettiva, se guardiamo ai soli risultati commerciali). Tuttavia non è questa la sede del confronto con il nuovo capitolo di CoD, anche se ciò non impedisce di valutare le differenze e le analogie con gli episodi precedenti della saga di Infinity Ward /Treyarch. D’altronde, l’argomento “Modern Warfare 3 Vs. Battlefield 3” è al centro di uno spazio specifi-
co della rivista che avete tra le mani, mentre i miei occhi trattengono ancora le impressioni di cockpit, ripari che si sbriciolano e immensi campi di battaglia, lungo le sequenze che animano i comparti del gioco DICE, da soli, in compagnia di un amico o di altri 63 giocatori. In questi ultimi giorni ho macinato decine di ore di gameplay bellico ad altissimi livelli, con la consapevolezza che BF3 saprà regalarmene molte di più, appena avrò un momento libero. Single player e co-op sono andati ad arricchire la serie, con un’atmosfera opportunamente distante da ciò che abbiamo visto in Bad Company, affiancando un multiplayer competitivo che, beh, semplicemente DICE non poteva sbagliare. Il tutto mosso da un engine,
Il motore Frostbite 2 è capace di alleviare in un attimo i dolori sopportati negli ultimi anni dagli appassionati di PC gaming per il mancato sfruttamento delle tecnologie contenute nei loro case il Frostbite 2, capace di alleviare in un attimo i dolori sopportati negli ultimi anni dagli appassionati di PC gaming per il mancato sfruttamento delle tecnologie contenute nei loro case. Di fronte a un simile pezzo di software, sento di dover fare attenzione nell’elencare i difetti della produzione, al di là del voto finale, perché in ogni istante deve essere chiaro al lettore il quadro generale, potenzial-
mente ai vertici del genere nell’intera storia videoludica. Circa la piena realizzazione di un simile risultato, però, ci sono dei “se” da mettere in campo: Battlefield 3 sarebbe già seduto sull’Olimpo degli shooter bellici, sopra la testa di chiunque, anche della concorrenza più eccellente, se lo storymode single player avesse una tensione drammatica più incisiva, anche in termini di stile narrativo, e se
Uno dei doveri di un buon redattore è di far esplodere tutto per benino, così da mostrare il fuoco e gli effetti volumetrici.
Un Quick Time Event come tanti altri. Se non fosse per una grafica da prendere la mascella e portarla sottobraccio.
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Review Battlefield 3 sarebbe già seduto sull’Olimpo degli shooter bellici, sopra la testa di chiunque, se lo storymode avesse avuto una tensione drammatica più incisiva
Il dettaglio delle armi è assolutamente clamoroso. Scusate se parlo troppo dell’impianto visivo, ma di scorpacciate del genere in giro ce ne sono poche.
la nuova interfaccia browser non fosse così maledettamente ancorata a particolari condizioni, più che a una validità oggettiva e universale. Quest’ultima parte del discorso, riferita al sistema Battlelog, la riprendiamo in un box, insieme alle descrizioni dettagliate della seconda (principale?) anima del gioco, fermamente legata all’ambiente online. D’altronde, non mancheranno nemmeno gli appunti sulla struttura tecnica di Battlefield 3, relativi alla connettività del multiplayer e a piccole sbavature dell’impianto visivo, ma anche questi saranno sovrastati dalle migliori caratteristiche delle produzioni DICE, qui implementate al loro massimo splendore. Al momento il mio problema è solo di ordine “numerico”, nel compito di dover quantificare l’opera agli occhi di chi non ne ha avuto ancora esperienza, oppure di chi aspetta di confrontare le proprie impressioni con le mie/nostre valutazioni (il ToSo può sempre intervenire e sputarmi giornalisticamente in un occhio)(ma anche no, direi. ndToSo). Quindi torniamo in prima linea, per difendere un mondo eternamente in pericolo.
Ecco, lo sapevo. Prima o poi la paura di volare mi avrebbe colpito anche in un videogioco.
Il filmato che lega gli episodi dello storymode è piuttosto canonico. Molto meglio lo stile di CoD: Black Ops, per esempio.
SEMPER FIDELIS Smettete di cercare alzate d’ingegno nelle trame dei moderni shooter militari, perché forse il difetto sta “nel manico”: intrighi contemporanei come quelli di Modern Warfare, Medal of Honor e lo stesso BF3 rischiano di restare sempre uguali a se stessi, nel cinema come nei videogiochi, a meno che lo sceneggiatore non scelga di sconfinare nell’aperta fantascienza oppure nel grottesco più smaccato. Sotto questo profilo, Battlefield si smarca dai toni relativamente leggeri di Bad Company per approdare a qualcosa di più canonico, perfettamente in linea con la fiction bellica di
Non ricordo bene il motivo per cui ho inserito questa immagine. Però è bella, no?
maggior successo: pericoli definitivi si muovono sotto i piedi delle masse inconsapevoli, e nell’ombra c’è sempre qualcuno pronto a parlare di attacco atomico per metterlo davvero in pratica, a meno che i singoli eroi non scongiurino il disegno, magari per caso. Il protagonista di Battlefield 3 è il sergente Henry Blackburn, che troviamo mentre entra disarmato in un vagone della metro pieno di terroristi, in un movimentato flashback iniziale, e subito dopo in un interrogatorio davvero poco amichevole condotto dalla CIA: è accusato di faccende molto serie, alto tradimento e copertura di nemici in possesso di armi di distru-
zione di massa, ma la faccia e il livore dei due agenti fanno presagire qualcosa di ancora più grave, in termini di conseguenze delle azioni del nostro alter ego. È il momento di torchiare il soldato per ascoltare tutta la storia, dal principio, comprese le relazioni con agenti stranieri e il ruolo avuto in vicende belliche apparentemente “normali”, per capire se ciò che è successo è solo uno scampolo di apocalisse, e non l’inizio della fine... Già, ma cos’è successo di preciso? Beh, dando per scontato un avvenimento dal carattere clamorosamente distruttivo, in questa sede non ci sembra opportuno scendere nel dettaglio,
Non poteva mancare la missione a bordo di un carro (noiosa! ndToSo). In questo caso, però, si possono pregustare le possibilità del multiplayer.
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Facebattle? Battletweet? ah, ecco, Battlelog! All’ingresso in una qualsiasi (prima) partita, in BF3 vi troverete di fronte al vostro browser internet, con la richiesta di istallare un particolare plugin. In realtà si tratta di un’ulteriore interfaccia, chiamata Battlelog, che va ad affiancare il programma Origin (comunque necessario per eseguire l’applicazione) con soluzioni estetiche e funzionalità ispirate ai social network più diffusi: i passaggi di grado e gli sblocchi sono visibili in lista, a mo’ di Facebook, e le nostre statistiche hanno una pagina dedicata, con riassunto nel profilo principale, così come le armi e gli accessori da sbloccare. Va detto, però, che le potenzialità di “social gaming” di Battlelog su PC sono piuttosto limitate, principalmente per la mancanza di una comunità esterna a cui appoggiarsi per amici e nuovi contatti. In effetti, nel nostro ambito, non ha aiutato la “rottura” tra EA e Steam (con relativa polemica, su cui non stiamo a tornare), che ha comportato la rinuncia a una vasta base di appassionati, con liste e gruppi già pronti. Naturalmente è possibile creare da zero la propria combriccola di amici/soldati, ma i difetti del sistema risiedono anche altrove: dal browser non è possibile, ad esempio, personalizzare l’equipaggiamento del soldato, oppure cambiare le opzioni grafiche e i comandi (cose possibili solo all’interno del client, con conseguente perdita di alcuni minuti di gioco). Niente da dire, invece, sul duttile sistema di matchmaking, con dettagliata lista server affiancata alla ricerca automatica e tante opzioni per filtrare le partite.
MULTIPLAYER D’ACCIAIO Imbastire un paragone tra B3 e il predecessore del 2005 non è semplice: in effetti, viene più facile inquadrare la nuova creatura come un’evoluzione del comparto competitivo di Bad Company 2, portato su scenari ancora più vasti e dotato di un parco mezzi opportunamente ampliato (soprattutto nel campo dell’aviazione). Sicuramente, rispetto a BF2, va sottolineata la soppressione del ruolo di comandante e la diminuzione delle classi, da 7 a 4, proprio come nel citato spin-off; la differenza più vistosa con Bad Company 2, invece, va ricercata nella scelta di affidare gli strumenti di cura (torna il defibrillatore, naturalmente) all’assaltatore, sopprimendo la classe medica e reintegrando quella di supporto nell’accezione classica, con light machine gun e abbondanti scorte munizioni. A grande richiesta è stata reintrodotta la possibilità di acquattarsi a terra, eliminata in Bad Company 2 per scoraggiare camperaggi prolungati; un risultato simile è stato raggiunto con un’attenta progettazione delle 9 mappe
La qualità grafica resta la stessa in multiplayer, anche a bordo di un aereo. Solo che questa volta lo pilotiamo noi.
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di Battlefield 3, rendendo facile l’accesso a qualsiasi posizione, e così i prolungati occultamenti, negli spazi urbani come nelle ambientazioni più grandi e aperte. Un ritocco ha riguardato anche il respawn, dal momento che il caposquadra è ora il solo a poter rientrare in partita al seguito di tutti i compagni (prima la facoltà era concessa a tutti, previa appartenenza a un team), mentre i soldati possono “ricrearsi” dietro a lui, oltre che nei punti di controllo conquistati. Le variazioni al sistema di ranking, invece, con relativo sblocco di armi, accessori e perk, sono in gran parte legate all’introduzione di Battlelog, visto che le meccaniche e i contenuti restano concettualmente gli stessi: come abbiamo scritto nel box qui sopra, sul controverso sistema adottato da DICE ed EA, non è possibile personalizzare il proprio soldato in contesti diversi da una partita in svolgimento (o dalla breve pausa tra un match e l’altro), e per questo le tante opzioni sono state riorganizzate in un’interfaccia di veloce utilizzo. Le principali modalità di gioco, dal canto loro, faranno sentire a casa i veterani: Conquest prevede il presidio del maggior numero possibile di punti d’interesse, per diminuire i ticket dei nemici, nella tradizione di tutti i titoli DICE; l’opzione “Corsa”, ereditata dalla serie BC, è invece fondata su logiche di difesa/attacco di gruppi di obiettivi, da conquistare in sequenza o tenere fino all’esaurimento delle forze nemiche. Infine, durante la prova non sono mancati problemi di lag o improvvise disconnessioni dai server, che però rientrano nella normale ruotine dei giochi della serie, almeno nelle prime settimane di vita. E quando si entra in una buona partita c’è solo da godere: ottime mappe, alcune giustamente in odor di BF2, armi e mezzi sfiziosi, meccaniche oliatissime. Bravi tutti.
Non li ho distrutti tutti e due: uno dei carri è il mio e l’altro è quello nemico, a cui ho riservato una sorpresina.
Review TOH GUARDA, C’È ANCHE IL CO-OP Il comparto cooperativo è quello che rischia di spiccare di meno, di fronte all’attesa per lo storymode in singolo, inedito nella serie principale, e per un multiplayer da sempre al top del genere. In realtà, l’offerta si dimostra robusta e ben fatta, pur se abbastanza canonica: 6 mappe sono state predisposte per azioni fra loro molto diverse, che contemplano obiettivi stealth, guida di mezzi specifici, difesa di postazioni sotto assedio e via di questo passo. Il ruolo dei due partecipanti può variare o essere lo stesso, a seconda della situazione: entrambi possono essere messi alle mitragliatrici, ad esempio, per difendere un convoglio, ma è anche possibile trovarsi in ruoli diversi, magari nei panni del pilota e dell’operatore di un elicottero. Tra le altre cose, il co-op è connesso al sistema di ranking delle partite competitive: con il punteggio globale, legato alle uccisioni e al livello di difficoltà, è infatti possibile sbloccare armi esclusive, da utilizzare in qualsiasi partita online. Magari, ecco, potevano essere inserite meccaniche cooperative un poco più sofisticate, rispetto al compito di rianimare il compagno o sparare in contemporanea con pistole silenziate.
difendere, trasciil giocatore ferito si può o. Naturalmente, in co-op,nell’attesa che il compagno venga in soccors , olo nandosi in un ang
rendo elicottero, nel co-op, cop Una valle da ripulire in ciali. Molto divertente. spe i corp di un reparto
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IL PARERE DEL ToSo Per quanto riguarda la bontà visiva, Battlefield 3 è un titolo fuori parametro. Il Frostbite 2, nella sua incarnazione PC, lascia senza parole, specie se, come ho fatto io, si giocano le versioni per console e home computer in parallelo. Il single player è totalmente scriptato, a tratti in maniera eccessiva (tanto da farvi morire se superate una “linea invisibile”), e non lascia spazio all’improvvisazione: questo significa, in parole povere, che vi troverete nel solito canalone, su un bel binario che dà solo l’impressione di concedere il lusso del libero arbitrio. La storia non è particolarmente originale, ma forse, come dice Mario, non ha senso cercare qualcosa di originale in uno shooter di questo tipo, ed è raccontata in maniera canonica. Contrariamente a quanto accade in Modern Warfare 2, tuttavia, la trama si lascia seguire agilmente dall’inizio alla fine, anche quando cambia il soldato di cui vestiamo i panni, e non mancano scene dal forte impatto emotivo, a tratti disturbanti (ricordatevi di questa frase quando vedrete una piccola telecamera). Alcuni livelli strappano applausi convinti: su tutti, mi hanno molto impressionato sia la missione in notturna, con fucili a visore termico, sia l’assalto iniziale e la successiva fuga, sia lo stage di Parigi. Ottima da vedere anche la missione a bordo dell’aereo, che però è meglio affrontare una volta sola, visto che al secondo giro l’effetto “wow” svanisce. Moderatamente noiose, almeno a parere di chi scrive, le sezioni a bordo di carri armati, lenti e non facilmente manovrabili. Per ciò che concerne il multi, nonostante i problemi che hanno afflitto i server nei primi giorni di gioco, non si può che fare i complimenti a DICE. Specie perché quel camperone del Kikko si sta lamentando da una settimana per le ottiche dei cecchini (sì, gli odiosi camper!) visibili da sei mappe di distanza. Davide “ToSo” Tosini
e ci limitiamo a dire che l’infausto evento avverrà in una delle principali location di Battlefield 3, scelte fra il Kurdistan iracheno, gli Stati Uniti (dove ha luogo l’interrogatorio), la capitale iraniana Teheran e la raffinata Parigi. Possiamo, invece, descrivere il modo con cui simili eventi vengono proposti: le missioni, come avrete già capito, sono introdotte da memorie e indicazioni evocate dalle risposte di Blackburn, in una sequenza in CG convincente ma non straordinaria, non tanto per la risoluzione contenuta del filmato quanto per il taglio estremamente classico dato alla scena, contrapposto alle potenti cut scene in prima persona interne al gameplay (alcune delle quali condite con Quick Time Event). Anche queste ultime non rappresentano certo un vertice in termini di innovazione e introduzione dei contenuti narrativi, ma tutte le volte che si tratta di questioni tecnico-visive Battlefield 3 raggiunge vette quasi inarrivabili, che contribuiscono a rendere imperdibili alcune sequenze del gioco. In questo senso, la serie di Modern Warfare mantiene il primato sulle piccole/grandi trovate sceniche, inserite per motivi artistici o per puro sensazionalismo, mentre la supremazia qualitativa è molto più difficile da stabilire nell’azione bellica vera e propria, dove BF3 spende al
meglio tutti i suoi assi nella manica. E, ripeto, la rappresentazione grafica non può essere scissa dalla pura immersione, almeno in questo caso: il livello qualitativo si alza quando la visuale apre agli spazi aperti, oppure ci catapulta in una vastissima area urbana, mentre corriamo a perdifiato per le strade cittadine o ci accingiamo a guidare un potente veicolo da battaglia. Per inquadrare meglio la situazione possiamo rievocare una parte specifica dello storymode, collocata nelle missioni iniziali, di fatto una delle sequenze più fotorealistiche mai realizzate; prima, però, è bene sottolineare la presenza di altri personaggi giocabili, un agente segreto russo e un pilota dell’aviazione americana, citati da Blackburn o dagli agenti della CIA nella loro “civile” conversazione: proprio a bordo di un caccia U.S.A. è possibile vivere una scena così con-
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Le feature più vicine a quanto si vivrà in multiplayer, come la guida dei mezzi, sono tenute a bada e introdotte in punti precisi delle missioni vincente da indurre ansia da decollo a chi, come me, non sopporta l’idea di essere sospeso a 10.000 metri di altezza, nella pancia di una fragile macchina (bah, più lo dico e più penso di aver ragione). In questo caso, siamo destinati al sedile posteriore di un F/A 18 Super Hornet, per godere della simulazione visiva mentre ci dedichiamo a missili e mitragliatrice: ci sono un sacco di “piccole” chicche, a partire dallo scatto sulla pista della portaerei con un raffinatissimo motion blur, passando per l’incredibile dettaglio all’interno dell’abitacolo, il mare increspato con convincenti effetti di shading e, una volta in volo, la volumetria delle nuvole e l’opportuno dettaglio a distanza del suolo. Poi si comincia a tirar giù aerei meglio di Top Gun, con eccessiva facilità, ma può andare bene anche così: that’s entertainment, come si suol dire.
Le animazioni per gli script sono ben fatte. Qualche volta, però, episodi di stuttering possono portarle fuori sincrono.
Nel single player è possibile mettere subito le mani su accessori come questo, che in multiplayer costano un bel po’ di sudore sul campo.
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Un viaggio dal deserto a un centro urbano, alla guida di un tank, come solo Battlefield sa fare.
OVVIETÀ E DELIZIE DICE non si è buttata certo allo sbaraglio, per il single player d’esordio della serie “madre”, magari con briefing, bot e regole taglia-incolla dal multiplayer. Allo stesso tempo non ha voluto rischiare nulla sul piano della struttura di gioco: tutto ciò che abbiamo descritto risponde a logiche estremamente lineari, con protagonisti, comprimari e semplici soldati impegnati a “recitare” diligentemente ciò che gli script hanno prefissato, senza eccezioni che non siano legate ai combattimenti. In questo senso, anche le feature più vicine a quanto si vivrà in multiplayer, come la guida dei mezzi, sono tenute a bada e introdotte in punti precisi delle missioni: questa, al di là della naturale predisposizione di Battlefield, è una scelta appropriata per qualsiasi action shooter che voglia veicolare una vicenda bellica “verosimile” senza che
Review Ti ho detto di no! Gli uomini non mi piacciono, e a maggiore ragione quelli che vogliono scatenare una guerra atomica!
Belli i cerchietti colorati, vero? Fanno tanta festa!
Ah, ecco: non c’è niente di meglio di un volo in paracadute per mettere ulteriormente in mostra i muscoli del Frostibite. God rays a go go.
la libertà d’azione porti, ad esempio, un semplice elemento di fanteria alla guida di un elicottero di ultima generazione. Ciò vuol dire che, nei panni di un soldato come Blackburn, possiamo accedere al massimo alle torrette di un mezzo, così come qualsiasi veicolo di aria e di terra ha la sua missione dedicata e suoi personaggi specifici, senza eccessi di “Rambismo” fuori contesto. La stessa cosa si può dire per la distruttibilità degli edifici, che viene introdotta ad hoc nei tanti scenari metropolitani dello storymode (tra i migliori mai visti, comunque, con un alto grado di interattività e tante superfici da sbriciolare), ed è invece la regina degli scontri su vasta scala in spazi aperti, in misura maggiore nelle partite competitive online.
Non mi è piaciuto per nulla, invece, il metodo scelto per racchiudere l’azione in una data area: se non vi piacciono i muri invisibili, non credo che apprezzerete le scritte in rosso in sovrimpressione, ereditate dalle modalità
multigiocatore, magari mentre tentate un largo aggiramento. Per il resto, il single player permette di mettere le mani su armi e accessori disponibili nella modalità online solo dopo parecchi passaggi di rank, da piazzare nei
2 slot primari (naturalmente c’è anche il coltello, per le rare uccisioni stealth, oltre a granate ed eventuale strumento speciale) e scatenare contro i nemici senza alcuna parsimonia, vista l’abbondanza di caricatori addosso ai soldati e nelle apposite casse di munizioni. La gestione della salute è la solita di tutti gli shooter bellici di primo piano, con rigenerazione automatica, anche se le condizioni sul campo risultano, nella modalità più difficile, abbastanza dure da giustificare una simile impostazione, così come avviene nei due Modern Warfare: in effetti, è questa la condizione di sfida che vi consigliamo, mouse e tastiera alla mano, per aggiungere due o tre ore alle circa sei o sette necessarie per completare la campagna di B3 alla difficoltà normale. Sì, lo so, non si tratta di una longevità straordinaria per il single player, ma francamente non so se sia necessario dilatare troppo l’azione, in questo genere di VG; molto meglio accompagnare l’offerta con robuste sezioni online, virtualmente infinite, proprio come avviene in Battlefield 3 e nella diretta concorrenza. In questo caso, tuttavia, è lecito affermare che la
Voglio un ACE Combat, su PC, con questa grafica. Subito!
Il livello qualitativo dello storymode si alza quando la visuale apre agli spazi aperti, oppure ci catapulta in un vastissima area urbana Dicembre 2011 TGM
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Molte superfici sono distruttibili, come i sedili di questo vagone della metro, e ognuna possiede il proprio modello di “sbriciolamento”.
Fatta eccezione per la modellazione dei volti, Battlefield 3 probabilmente fa le scarpe a tutti, in termini di dettaglio grafico.
vera “aggiunta” è lo storymode, che va ad affiancare un’esperienza multiplayer già rodata e quasi irraggiungibile, per qualità dei contenuti. Quindi fiondatevi nei box delle pagine centrali, per farvi un’idea completa, prima di leggere la parte finale dell’articolo.
LA FESTA DEL FROSTBITE Ci siamo riferiti più volte alla prestanza grafica di BF3, e su una rivista come TGM la cosa è più che comprensibile. Tecnicamente l’edizione PC lascia indietro di diverse lunghezze le versioni per PS3 e Xbox360 (la console di Sony si comporta meglio di quella Microsoft, se vi interessa), sfruttando in modo esteso le ultime DirectX e la maggiore potenza (per usare un eufemismo) delle nostre macchine da gioco. L’impianto visivo di Battlefield 3 è anche molto duttile e scalabile, ma il vero godimento arriva spingendo al massimo texture, ombre, ambient occlusion ed effetti vari, particellari e volumetrici, con l’aggiunta di tessellation per i dettagli del terreno. Tuttavia, serve l’hardware giusto per godere di tutte le raffinatezze estetiche di questa produzione: prima di disperarvi per le scarse prestazioni del vostro PC, però, eseguite un’installazione pulita dei
driver usciti in queste ultime settimane, in versione ufficiale per NVIDIA, con i 285.62 WHQL, oppure con la terza versione preview dei Catalyst 11.10 di AMD (almeno, questa è la situazione al momento di andare in stampa). Specie nel secondo caso, le informazioni grafiche permettono di ridurre sensibilmente i problemi di stuttering, fino a consentire un’esecuzione sufficientemente fluida, pressoché al massimo livello grafico, anche su una macchina come quella adoperata per la prova, onesta ma non esattamente al top (Quad Core 2.6 GHz, 4 GB di RAM, scheda singola DX11 con 1 GB di memoria video). Di contro, Battlefield 3 eredita alcuni difetti tecnici dei cugini di Bad Company, mitigati ma non ancora risolti del tutto: le IA non sono sempre irreprensibili nello sfruttare le coperture e nel gettarsi allo scoperto al momento opportuno, anche se hanno la scusante di doversi confrontare con ambientazioni vaste e articolate; per dirla tutta non sono nemmeno supportate dal respawn selvaggio in stile CoD, o almeno lo sono in misura minore, e questo è senz’altro un punto di merito, pur se fondato sui danni delle armi e sulla mira da
L’impianto visivo di Battlefield 3 è molto duttile e scalabile, ma il vero godimento arriva spingendo al massimo texture, ombre, ambient occlusion ed effetti vari supereroi. Anche gli script sono leggermente meno precisi, in termini di risposta nelle azioni più concitate, rispetto a quanto è possibile vedere dei giochi di Infinity Ward e, come ulteriore riferimento qualitativo, in Metro 2033 di 4A Games. Talvolta, inoltre, alcune animazioni aggiuntive che infarciscono il single player risultano belle ma un pochino ingenue, magari con i compagni che passano sotto a una staccionata, e noi sempre a saltare come nella pubblicità dell’olio Cuore. Nemmeno i difetti elencati in tutta la recensione, però, sono in grado di portare BF3 al di sotto della concorrenza, in modo perentorio, lontano da ragionamenti su hype e diffusione dei brand. Tutto sta a quanto il giocatore vuole sfruttare dell’offerta di gioco: al di là della qualità grafica, e della buona prestazione dello storymode, sarebbe un vero delitto ignorare la profondità della modalità online di Battlefield 3, a mio personale giudizio
la migliore che ci sia in circolazione. Ecco, l’ho detto. Mario Baccigalupi Secondvariety@sprea.it
Commento Battlefield 3 è difficile da battere in diversi campi, nella prestanza grafica come nella modalità competitiva online, a parere di chi scrive la più divertente in circolazione. La godibilità dello storymode, invece, dipende da fattori più sfumati: la stessa qualità tecnica rende i combattimenti veramente spettacolari, forse i più belli in assoluto, con alcune sequenze degne di essere ammirate da qualsiasi amante degli FPS bellici; allo stesso tempo, il single player segue senza troppe sorprese i dettami del genere, riuscendo ad affiancare sul piano della qualità solo la concorrenza “minore” (non facciamo nomi, tanto avete capito). Al di là del buon co-op, il fulcro di BF3 rimane il comparto multigiocatore, ulteriormente limato sulla base dell’esperienza di Bad Company, capace di presidiare la vita di un appassionato per diversi anni. Senza esagerare.
Graficamente maestoso. Multiplayer “totale”, come sempre. Mappe per le partite competitive ben congegnate. Storymode discreto... ...ma sotto alle aspettative Battlelog migliorabile (eliminabile?)
VOTO VOTO multiplayer Single Player
81 93
50
TGM Dicembre 2011
vs SINGLE PLAYER - Lunghezza campagna Una speed run con Call of Duty porta a completare il gioco in poco meno di quattro ore, a livello di difficoltà infimo. Battlefield 3, invece, dura un pochino di più. Rimane da capire perché uno dovrebbe voler fare una speed run in un FPS. Prima targhetta a BF 3!
SINGLE PLAYER - Intreccio Narrativo
Come al solito, seguire gli sviluppi delle vicende di Modern Warfare 3 non è semplicissimo. Battlefield 3 se la cava meglio: lo stile scelto per raccontare la vicenda è molto classico, forse banale per alcuni, ma funziona.
SINGLE PLAYER - Spettacolarità Campagna Ecco, qui non c’è partita: Modern Warfare 3 ha un modo di presentare quello che succede che lascia sempre senza fiato. Battlefield 3 comincia bene, con una prima missione molto evocativa, poi si perde per strada in un paio di punti (tipo la missione con i carri armati), e si risolleva verso la fine. Ma CoD è imbattibile, sul suo terreno.
SINGLE PLAYER - Intelligenza Artificiale
FBI descrive bene la differenza che c’è tra CoD e BF3, sotto questo punto di vista: di base, sempre di corridoi si tratta, solo che sono più “stretti” quelli del titolo Activision. Il risultato è che l’intelligenza artificiale non può sbagliare, perché non ci sono reali alternative. BF3 è più aperto (nemmeno troppo, a dire il vero), ma meno reattivo.
ENGINE
Il Frostbite 2 non ha rivali, su PC. Non ha proprio senso sprecare parole: non c’è confronto, non c’è paragone. Brava DICE.
CO-OP
Il co-op di Battlefield 3 è meno efficace delle Spec Ops viste in Modern Warfare 3. Non sono cose propriamente paragonabili come esperienza, ma se dovessimo mettere una crocetta per indicare la nostra preferenza, saremmo portati a dare il voto a Call of Duty.
MULTIPLAYER - Immediatezza
Sotto questo punto di vista, CoD è quasi inarrivabile. Tuttavia, sull’altro lato del ring non ci sono degli sprovveduti. Entrambi i titoli funzionano da subito, ma CoD è meno complicato da padroneggiare.
MULTIPLAYER - Mappe e Modalità
Sotto questo punto di vista, tanto Call of Duty quanto Battlefield 3 sono due titoli eccezionali. Caspian Border, tuttavia, è un passo avanti a qualsiasi cosa.
MULTIPLAYER Strategia e coordinazione
Il multi di Battlefield 3 è senza dubbio più cerebrale di quello di Modern Warfare 3. DICE vince questa sfida, perché i cani sciolti non vanno fondamentalmente da nessuna parte.
SINGLE PLAYER - Script
Entrambi i titoli fanno un uso intensivo degli script. Praticamente ogni cosa che vedete a video è mossa da un fantastico burattinaio invisibile. Il problema è che il burattinaio di Battlefield 3 è meno abile nel nascondersi, e tutti i “movimenti coreografati” sono più evidenti rispetto alla controparte. Un esempio su tutti: una missione d’infiltrazione notturna in BF3 prevede che il giocatore ammazzi un soldato colpendolo alle spalle. Un passo un più e morirete, senza spiegazioni. Anche se nessuno vi ha visto.
Dicembre 2011 TGM
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CPU: Dual Core 2.0 GHz (Dual Core 2.4 GHz) RAM: 512 MB (2 GB) Scheda Video: Una qualsiasi con 256 MB di RAM (Una qualsiasi con 256 MB di RAM) Spazio su HD: 4 GB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: Sports Interactive PUBLISHER: SEGA DISTRIBUTORE: Halifax MULTIPLAYER: LAN, Internet LOCALIZZAZIONE: Completo PREZZO INDICATIVO: € 49,00
www.footballmanager.com
Football Manager 2012 La panchina di Football Manager 2012 è ormai paragonabile a quelle reali: sempre calda, con le valigie pronte per nuovi lidi, con un pubblico assordante intorno e con tante parole che possono fare la differenza con lo spogliatoio…
F
ootball Manager 2012, il ritorno del grande e mai superato vecchio, del gioco che letteralmente inventò i manageriali calcistici. Da una sequoia millenaria del videoludo sarebbe difficile aspettarsi miglioramenti marcati e netti. Eppure, ogni anno, Miles Jacobson e i suoi ragazzi di Sports Interactive riescono a superarsi: prendono quello che succede nel calcio vero, dalle liti negli spogliatoi alle novità tattiche, e le piazzano all’interno di un meccanismo ormai rodato e ben oliato. Il risultato? Beh, basterebbe dire che FM 2012 nei
primi giorni di uscita si è giocato il titolo di videogioco più venduto sulla piattaforma Steam (altra novità di quest’anno. Il fatto che fosse disponibile lì, non Steam, eh!) nientemeno che con Battlefield 3… Rende l’idea?
VOGLIO ALLENARE, NON SO COMINCIARE! Le novità introdotte da questo gigantesco manageriale calcistico sono divisibili in tre aree principali. La prima di queste è, anche solo per comodità di esposizione, tutto quello che riguarda i neofiti. Non stiamo parlando
Football Manager, in versione 2012: nuove animazioni e pubblico sugli spalti migliorano il recente motore 3D del gioco.
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TGM Dicembre 2011
Football Manager 2012 è semplicemente il miglior simulatore di calcio manageriale di sempre unicamente di chi non ha preso in mano mai un Football Manager, ma anche di chi arriva da altri titoli molto più intuitivi (e grazie al Mazzo: i rivali hanno almeno una dozzina di feature in meno!) e di chi ha abbandonato anni fa il titolo, irriconoscibile a prima vista. Per questa categoria, FM 2012 propone un nuovo tutorial molto chiaro, accompagnato da una guida
richiamabile in qualsiasi momento e “ricercabile”. Sembrano cose da poco, ma anche uno come me, che ha iniziato su Championship Manager (la scatola ancora mi guarda dalla mensola delle anticaglie), ogni tanto ha avuto bisogno di dare un’occhiata per capire qualche meccanismo come la comproprietà o il funzionamento di un certo tipo di tattica.
In Football Manager è possibile definire ogni aspetto della preparazione di una partita.
Review ERRORI DI GIOVENTÙ PER FOOTBALL MANAGER? Tra le novità di FM 2012 c’è ne una poco visibile ma fondamentale per i fan. Si tratta del passaggio alla piattaforma Steam, non solo in fase di acquisto, ma soprattutto per il supporto alle numerose e sempre frequenti patch di aggiornamento. Questo dovrebbe aiutare l’utenza ad avere il gioco aggiornatissimo a “sbattimento zero”. Il condizionale è d’obbligo, perché mentre scriviamo questo articolo, Steam e SI hanno fatto qualche casotto e per i primi giorni qualche update ha reso inutilizzabile, per alcune persone, la copia di FM 2012, obbligando a reinstallare tutto e cose del genere. Di certo un peccato di gioventù per i SI, abituati a pubblicare la loro creatura alla vecchia maniera, e non avvezzi al mare magnum di Steam. Non vi preoccupate, però: nel momento in cui starete leggendo queste righe, tutto dovrebbe essersi risolto.
L’interfaccia principale di gioco si adatta alla risoluzione dello schermo su cui gira: senza arrivare agli eccessi di questa schermata, colonne e box ricchi di informazioni vanno e vengono a seconda delle impostazioni grafiche.
I ritocchi al motore 3D hanno reso possibile una simulazione molto più ricca esteticamente, anche se non ancora esente da piccoli glitch grafici POSSO ALLENARE, COSA DEVO USARE?
DEVO GUARDARE, DOVE POSSO STARE?
La seconda macro area di intervento in cui è stato “modificato” FM 2012 è il simulatore vero e proprio. Le cose sono evidenti fin dalla prima schermata: ora tutta l’interfaccia dei menu è gestita da una routine che, in base alla risoluzione, aggiunge alla schermata di riepilogo nuove tabelle, colonne e pulsanti per utilizzare al meglio ogni angolo dello schermo. Qua troviamo un inedito sistema di gestione dei rapporti da parte di osservatori su squadre avversarie e singoli calciatori, a cui si aggiunge l’analisi delle prestazioni in campo della propria compagine. Inutile a dirlo, uno strumento fantastico, una volta capito come usarlo. Molta importanza si è voluta dare, ancora più che in passato, all’interazione tra giocatori e coach: durante il pre-partita, a metà gara e a fine incontro l’allenatore può parlare a tutto lo spogliatoio o al singolo calciatore. Questa non sarebbe una novità se il sistema non prevedesse ora 5 diverse frasi associabili ad altrettanti toni, che spaziano da “accalorato” a “pacato”. Stiamo parlando di una marea di opzioni, forse persino esagerate: ma il rendimento dei giocatori è psicologicamente molto importante, non scordatevelo. Altra novità di rispetto introdotta in questa edizione di FM 2012 riguarda la possibilità, tra una stagione e quella successiva, di aggiungere campionati alla simulazione, senza doversi più limitare alle nazioni selezionate in fase di creazione. Così si rispetta la nuova moda del calcio moderno, in cui, da allenatore, puoi trovarti in men che non si dica su una panchina in Turchia o in Lituania…
Ultima area di intervento, trascurando altri centomila micro aggiustamenti (tra cui la possibilità di postare filmati su Youtube e traguardi su Facebook, ma ormai lo fanno tutti e non fa più notizia), riguarda il motore 3D, la parte più giovane e ancora migliorabile dell’intero progetto. Per questa sezione, Sports Interactive ha pensato di aggiungere un paio di nuove visuali (da dietro la porta e direttore, decisamente utili. La visuale TV, tuttavia, rimane la preferita dalla quasi totalità dell’utenza), di animare il pubblico sugli spalti ma, soprattutto, di migliorare le animazioni di giocatori, arbitri e guardalinee, e rendere più plausibili le condizioni meteorologiche e le ombre. Il risultato è una simulazione molto più ricca esteticamente, anche se non ancora esente da piccoli glitch grafici, dovuti all’enorme mole di dati che il simulatore deve gestire contemporaneamente. Pensate solo che è possibile dare piccoli coman-
La scheda degli osservatori sui giocatori della rosa, sui giovani e sui potenziali acquisti si arricchisce di nuove e importanti informazioni.
di dalla panchina o costruirsi delle macro da usare senza andare a disturbare la pagina tattica!
TUTTO SO FARE, VOGLIO GIOCARE In definitiva, quindi, cosa si può dire di FM 2012? Solo cose buone ed elogi senza fine, come d’altronde siamo abituati a fare ormai da quasi un secolo videoludico. Le novità sono, come sempre, molto ben integrate nella struttura classica, forse solo con qualche forzatura come il numero esagerato di cose da dire e toni da usare con i giocatori o le millemila opzioni contrattuali da tenere sott’occhio in fase di acquisto di un atleta. Ma sono difetti in eccesso, non certo trascuratezze: FM
2012 si conferma re assoluto del suo genere, staccando di parecchi punti ogni rivale. E anche questa volta, lo scudetto è assicurato… Massimo “NKZ” Nichini (nkz@sprea.it)
Commento Football Manager è e rimane il migliore “gioco di calcio non giocato” di tutti i tempi. Come tale c’è solo da rimanere sorpresi che, nonostante una carriera così lunga, ci siano ogni volta così tante novità e tutte importanti. L’edizione 2012 si posizione sicuramente tra quelle più ritoccate senza rivoluzioni estreme, ciò nonostante la nuova interfaccia dei menu, i nuovi rapporti e la cura con cui è stato modificato il simulatore 3D delle partite meritano assolutamente una menzione d’onore. Insomma, un gioco imprescindibile per ogni appassionato del genere, ora reso più appetibile anche da un tutorial e da un sistema di aiuti in grado di convincere anche gli inesperti. Sedetevi in panchina, non ve ne pentirete!
Molte novità, tutte degne di nota 3D più gradevole Sistema d’aiuto per brocchi Qualche problema con Steam, al lancio.
88
VOTO
“Ogni frase detta negli spogliatoi dall’allenatore vale come un tiro in porta, se è bravo”. Non ricordo di chi sia questa massima, ma descrive perfettamente il nuovo sistema di comunicazione con la squadra di FM 2012.
Dicembre 2011 TGM
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CPU: Single Core 1 GHz (Dual Core 2.0 GHz) RAM: 1.5 GB (2 GB) Scheda Video: ATI Radeon X1950/NVIDIA GeForce 6600 (ATI Radeon HD 3650/NVIDIA GeForce 8800) Spazio su HD: 2 GB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: Trendy Entertainment PUBLISHER: Trendy Entertainment DISTRIBUTORE: Steam MULTIPLAYER: Internet LOCALIZZAZIONE: Sottotitoli PREZZO INDICATIVO: € 11.99
dungeondefenders.com
DUNGEON DEFENDERS Sconfiggere 4 ragazzini a difesa di un castello sembra un’impresa facile, per un esercito di mostri. Provate però a dirlo alla pila di Orchi e Goblin accatastata in giardino...
N
egli ultimi tempi abbiamo messo le mani su una vera pletora di ibridi tra azione e tower defence, al punto che, salvo alcuni casi, come quello di Rock of Ages, l’affollamento ha rischiato di mettere in luce, paradossalmente, il limite insito nell’originale schema di gioco. Difendere i propri possedimenti con trappole e unità è una pratica concettualmente semplice sulla quale innestare innumerevoli varianti, ma può anche diventare una gabbia che trattiene dal ricercare strade diverse, soprattutto in termini di obiettivi e gestione delle risorse. In questo senso, lo diciamo subito, Dungeon Defenders si dimostra
il più riuscito esperimento mai operato su questo sotto-genere strategico, e il buon risultato si lega in gran parte all’intelligente utilizzo che Trendy Entertainment ha fatto di regole e stilemi degli action RPG, hack’n’slash in primis, come ingrediente principale da affiancare alla struttura di un classico tower defence. E questa valutazione assume ancora più valore se si tiene presente l’uscita sostanzialmente contemporanea di un altro gioco dalla simile impostazione, Orcs Must Die (recensito su questo stesso numero): il titolo di Robot Entertainment, nonostante la notevole schiera di qualità, rischia di rimanere in ombra proprio
Nelle partite in co-op, le difese dei compagni a un livello superiore mettono relativamente al sicuro gli eroi alle prime armi.
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Dungeon Defenders si dimostra il miglior ibrido action/tower defence in circolazione, anche grazie alla profondità degli elementi di ruolo nel confronto con Dungeon Defenders, dotato di caratteristiche così ben architettate da spostare implacabilmente l’attenzione su di sé, magari per interminabili sessioni di gioco. La longevità dell’offerta è commisurata all’umore della scimmia che si siede placida sulla spalla del giocatore, una volta dentro nelle logiche di gioco, anche a fronte di una quantità di contenuti
nemmeno troppo generosa. In effetti, è l’intelligente mix di modalità e opzioni di personalizzazione a rendere l’esperienza virtualmente infinita, facendola brillare in particolar modo nell’ambiente PC, dove DD può sfogare senza limiti le caratteristiche “custom” e la marcata vocazione per il multiplayer, quasi al livello di un titolo massimo. Anzi, a ben vedere l’acquisto del gioco
Le mappe sono belle da vedere e da giocare: questa, in particolare, è adibita al PvP.
Review ITALIANO FRAINTESO A nostro avviso la localizzazione dei testi non è troppo rilevante per valutare le qualità di un indie-game ben fatto come Dungeon Defenders. Tuttavia, non ci sembra nemmeno corretto sorvolare sulla questione, dal momento che nemmeno il traduttore di Google avrebbe fatto di peggio, senza esagerare. Un esempio su tutto può essere “trader” tradotto con “tradire” (ma come hanno fatto? Un parente che millantava la conoscenza dell’Italiano?), ma di questi ilari fraintendimenti se ne trovano a dozzine.
Specifico che la striscia marrone nell’immagine non è un bug, ma una freccia sparata da una balestra. A ogni modo, una coppia di cavalieri è in grado di fare un vero sfacelo in mischia.
va valutato alla luce di questa predisposizione: la campagna in solitaria è divertente alle prime battute ma rivela presto un alto rischio di frustrazione, a causa di un bilanciamento della difficoltà rivolto, senza tentennamenti, alla collaborazione di 4 giocatori in co-op; la musica cambia, fino a diventare una sinfonia avvolgente, se si scende subito nelle arene con un gruppetto di amici ben affiatati, oppure se ci si affida al duttile sistema di ricerca delle partite online (foriero, però, di qualche problema di giovinezza, come vedremo). In questi ultimi casi la sensazione di puro godimento non abbandona il giocatore nemmeno in caso di sconfitta, tirandolo dentro a un’orgia di grinding appagante e selvaggia. E scusate se di fronte a un bel gioco mi viene in mente sempre il sesso (non la censuro per stima, questa affermazione. ndToSo).
PARGOLI IN PERICOLO? MACCHÉ... Il background scenico di DD è davvero minimale, anche se risulta simpatico e ben studiato. In particolare, la semplice premessa viene aggiornata prima degli scontri più colossali, attraverso disegni ed elementi narrativi altrettanto elementari: di base, si parla di quattro piccoli ap-
prendisti lasciati soli a difesa di un enorme castello, proprio quando le forze oscure decidono di sferrare un attacco definitivo contro la magione, apparentemente mal difesa. In realtà, però, non riusciamo a immaginare cosa potrebbero fare di meglio gli eroi “senior”, partiti per combattere in una lontana crociata, se i loro adepti si dimostrano così letali e potenti: ogni ragazzino ha una specializzazione in linea con il proprio maestro, in termini di armi, abilità e difese da piazzare nelle arene, ed è in grado di evolversi fino a poter annientare centinaia di orchi in pochi secondi, dopo appena una manciata di missioni. Scendiamo nel dettaglio delle classi in un box, che trovate qui intorno, mentre in questo contesto vogliamo sottolineare l’uso creativo che il team di sviluppo ha fatto degli aspetti RPG, plasmando le caratteristiche di gioco senza farsi ingabbiare dalle canoniche meccaniche del genere: la scelta della tipologia di guerriero, ad esempio, è già una decisione che ha a che fare con il livello di difficoltà, dal momento che le abilità e le risorse degli eroi diventano sempre più ostiche da padroneggiare, dal “semplice” battle wizard fino alle doti preminentemente strategiche del frate guerriero. Naturalmente sono presenti le canoniche opzioni per rendere più
I mostri si mettono in fila diligentemente, verso il cristallo o uno degli eroi vicini. D’altronde, le IA complesse non sono contemplate da un tower defence.
Da notare, nella “Scatola degli Oggetti”, i pet ispirati a Team Fortess 2 e il fucile estrapolato da Portal.
Ogni ragazzino ha un suo set di armi, abilità e difese contro l’assedio, ed è in grado di evolversi fino ad annientare centinaia di goblin in pochi secondi, letteralmente! o meno impegnative le partite, ma anche queste sono rese più interessanti dalla robusta dose di personalizzazione che tocca ogni aspetto del gioco, dal numero di ondate nemiche al peso delle opzioni strategiche, dalle semplici variazioni estetiche dei personaggi alle feature giocabili più importanti. D’altronde, lo scopo primario è quasi sempre lo stesso, così come le dinamiche dell’azione: si scende in campo, si dispongono le difese attorno al cristallo del potere, fulcro dei nostri possedimenti, e si combattono i nemici fino al loro esaurimento, curando equipaggiamento e potenziamenti tra un’ondata e l’altra; al di là del taglio unico dato agli scontri, fondato sull’incredibile numero
di nemici, la varietà è però risollevata anche sul versante delle missioni, con una lunga serie di sfide (piuttosto difficili, con tanto di livello consigliato) costruite su regole alternative e obiettivi stravaganti, oppure su piccole ma gradite digressioni PvP. Affrontare queste prove, così come cimentarsi in una data missione a una difficoltà superiore, comporta nuovi oggetti, denaro e cospicui bonus di esperienza da investire sul personaggio, per potenziare gli item rinvenuti nelle arene (intorno ai nemici uccisi o in appositi forzieri, che si “ricaricano” a ogni ondata) oppure per comprarne altri nell’unico hub di Dungeons Defender (la Taverna, vedi box): i pet sono particolarmente
Le opzioni delle schermate gestionali sono di facile lettura e soddisfano pienamente le esigenze di upgrade rapidi ed efficaci.
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IL PARERE DEL ToSo
Sfruttare le abilità in sinergia è fondamentale: in questo caso, le mie trappole hanno indebolito i nemici mentre la sfera li ha rallentati, per il colpo di grazia.
Mi sono avvicinato a Dungeon Defenders quasi per caso, perché il genere, dopo Plants Vs. Zombies, non è più riuscito ad accalappiarmi. Questa produzione, tuttavia, è fantastica: per una cifra più che onesta mette sul piatto un titolo assuefacente, con un sacco di idee carine, un co-op valido e uno stile grafico accattivante. Non è perfetto, ha qualche difetto di gioventù e rischia di essere a tratti frustrante in single player, ma è una piccola gemma da premiare. Esattamente come detto da Mario, Dungeon Defenders vince il confronto con il “rivale” diretto, recensito su questo stesso numero. Davide “ToSo” Tosini
Il cristallo va difeso a ogni costo, con presidi in tutti gli svincoli che portano al suo cospetto.
Una volta superati i problemi di connettività, il gioco si presenta ben oliato in tutte le sue caratteristiche, oltre che particolarmente piacevole in termini grafici
utili in combattimento, oltre che piacevoli da vedere nel loro svolazzare attorno all’eroe, mentre i pezzi dell’armatura sono “invisibili” ma di fatto fondamentali per la costruzione del personaggio, aumentandone la forza e la capacità di reggere/infliggere danni da fuoco, da veleno e da elettricità. In questo senso, tutte le caratteristiche sono chiare e ben leggibili nelle relative schermate, senza troppo incedere in indicazioni numeriche di statistiche e attributi (3 punti da spendere nelle abilità a ogni livello, a cui si aggiungono i benefici delle armature e delle armi); allo stesso tempo, però, la potenza di skill, difese, lame ed eventuali fucili/balestre è ben evidente sul campo di battaglia, dove le unità di difesa e i nemici presentano valori specifici a seconda del modello iniziale e dei
potenziamenti acquisiti. In particolare, i livelli di potenza di orchi, goblin e mostri vari culminano nella forza e nell’imponente quantità di punti ferita a disposizione dei boss, per affrontare i quali consigliamo caldamente la presenza di compagni (a meno di voler grindare da soli per ore e ore, opzione sconsigliata ma comunque praticabile). La gestione delle risorse, dal canto suo, è fondata sulla freschezza a cui facevamo riferimento poco fa, nel ridefinire caratteristiche già note: il mana lasciato sul campo dai nemici, ad esempio, ha un ruolo fondamentale nelle fasi di combattimento, per ricaricare l’energia vitale, oppure per attivare/riparare difese e skill, ma va anche a sommarsi ai fondi per il potenziamento e l’acquisto di oggetti tra un’ondata e l’altra (la compravendita,
peraltro, può avvenire anche tra giocatori), previa raccolta delle risorse lasciate sul campo dai nemici uccisi. A un criterio di intelligenza progettuale risponde anche l’ordine con cui i contenuti di gioco vengono sbloccati, per dare il tempo di imparare al meglio ogni singola abilità (visto che nulla è inutile in DD): l’acquisizione delle skill di combattimento in mischia e delle 5 unità di difesa, a disposizione di ogni eroe, è ben scandita lungo i primi 20 livelli di esperienza, mentre nelle fasi avanzate viene ancora più esaltato il ruolo del looting e delle compravendite, per far propri gli item più costosi e succulenti. Se ciò non bastasse, in termini di feature capaci di protrarre nel tempo l’interesse per DD, portando a termine la campagna è possibile vestire i panni di due unità eroiche, il Barbaro e la misteriosa “Series EV”, con nuove difese e abilità tutte da scoprire. I contenuti speciali inseriti in esclusiva nella versione Steam, poi, per una volta sono utili anche ai fini del gameplay: lungi dall’essere sem-
plici gadget, i pet in stile Team Fortess 2 presentano caratteristiche coerenti ai rispettivi eroi di Valve, mentre il fucile spara-portali a disposizione della Cacciatrice aggiunge nuove possibilità per le trappole, nei modi e nella forma estetica che abbiamo imparato ad amare in Portal. Che ne dite? Io direi che ce n’è abbastanza per far procedere nell’acquisto anche l’hardcore gamer più critico e “cattivo”. Anzi, più un giocatore è esigente, più apprezzerà Dungeon Defenders.
40.000 ORCHI IN FILA PER TRE Prima di procedere sulle questioni relative all’impianto visivo, che segnano un ulteriore punto a favore di Dungeon Defenders, ci sembra giusto segnalare i problemi che affliggono il gioco in queste prime settimane di vita, in gran parte legati alla complessità del sistema online (rigidamente diviso fra modalità classificata e partite libere: solo in queste ultime è possibile esportare eroi dal singolo al co-op) e alle ridotte dimensioni del team di svilup-
Il mana, sotto forma di cristalli colorati, proviene dai nemici uccisi e dai forzieri. È necessario raccoglierlo con attenzione, perché serve un po’ a tutto.
A volte è possibile perdere di vista il personaggio, in mezzo alle mischie. Va anche detto, tuttavia, che l’energia vitale non è un problema primario, in Dungeon Defenders.
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Review DUE CHIACCHERE IN TAVERNA
PICCOLI EROI CRESCONO
All’ingresso in una qualsiasi sessione di gioco (a parte la prima partita, con incipit narrativo e tutorial) ci troviamo nella Taverna, ovvero nel luogo preposto alla personalizzazione degli eroi e della struttura cooperativa di DD. C’è un negozio che propone pet, armi e pezzi di armatura generati semi-casualmente, a seconda delle imprese riuscite, e c’è il piccolo tempietto chiamato “Fucina degli Eroi”, presente anche nelle arene, che permette di visionare le caratteristiche dell’alter ego e di gestire inventario e risorse. In generale, soprattutto nel negozio, vi consigliamo di servirvi da subito della funzione “blocca”, per fermare gli oggetti a portata di tasche, perché in genere i prezzi sono da rapina. Infine, semplice ma utilissimo si rivela l’inserimento di fantocci su cui sperimentare i DPS delle proprie armi, a disposizione di tutta la combriccola di amici in co-op, con fuoco e lampi che volano per tutto il baretto.
Come detto, la scelta iniziale sul personaggio va operata sapendo che i 4 eroi sono progressivamente più difficili da maneggiare, in termini di approccio all’azione e alla strategia. A ogni modo, è anche vero che in single player si ha la possibilità di sperimentare maggiormente, magari usando un personaggio alternativo durante la fase tattica (chiamata “Accumulo”, tra un’ondata e l’altra) per disporre delle sue unità di difesa. Anche per questo, e anche per aver a disposizione più possibilità nelle partite libere in co-op, consigliamo di crearli tutti, già alla prima sessione: il più semplice è l’apprendista wizard, che dispone di magie distruttive e di torrette con palle di elettricità o di fuoco, subito seguito dal cavaliere tank armato di spada, con mosse dedicate e controllo su potenti macchine per respingere l’assedio; più orientate alla strategia sono invece le classi della Cacciatrice, con armi a distanza e trappole non troppo resistenti, e del Frate, votato al contenimento dell’attacco nemico e alla cura degli alleati, con appositi poteri ad area.
Dungeon Defenders non è perfetto e rischia di essere a tratti frustrante in single player, ma è una piccola gemma da premiare po. Personalmente ho sperimentato con disappunto la mancata segnalazione degli achievement su Steam, oltre alla momentanea sparizione di alcune delle missioni completate in single player, dopo una partita cooperativa (le stesse, però, sono riapparse al riavvio del gioco); in diverse occasioni, inoltre, sono stato disconnesso immediatamente all’avvio di una sessione online, oppure mi sono trovato
di fronte a quantità pazzesche di lag, magari a metà di una splendida partita. Detto questo, una volta trovata la situazione giusta (magari ospitando una partita non classificata, sul proprio PC) il gioco si presenta ben oliato in tutte le caratteristiche sopra descritte, oltre che particolarmente piacevole in termini grafici: lo stile estetico richiama contemporaneamente i J-RPG e le colorate soluzioni di WoW, Trine
Abbattere da soli una simile montagna di punti ferita è una pratica sconsigliata, ma non impossibile.
e Torchlight, mentre le caratteristiche dell’UE3 sono state asservite alle particolari esigenze del gameplay, prima fra tutte lo spropositato numero di nemici a schermo, senza mai indispettire sotto il profilo della qualità. In particolare, l’uso di texture sfumate con contorni cel-shading ha contenuto l’impatto delle impressionanti battaglie sull’hardware, insieme alla ridotta complessità poligonale delle unità nemiche; allo stesso tempo, gli sviluppatori non hanno lesinato sugli effetti pirotecnici e sull’uso di un prestante sistema di illuminazione, per rendere i combattimenti belli da vedere anche nell’ottica di un action puro. Magari, ecco, i citati problemi di connettività e registrazione dei progressi non sono certo trascurabili, e finiscono per ridimensionare un poco la valuta-
zione finale. Che rimane lusinghiera, perché Dungeons Defenders merita l’attenzione di tutti. Mario Baccigalupi Secondvariety@sprea.it
Commento Lo schema di un tower defence è ripetitivo per definizione, pur se divertente, ma in Dungeon Defenders ci si dimentica anche di questo: intorno all’azione di difesa, Trendy Entertainment ha costruito un’impalcatura action RPG così sfaccettata da far sembrare nuovo ogni singolo scontro; item e utilissimi pet si affiancano a un duttile sistema di looting, mentre gli eroi acquisiscono, livello dopo livello, abilità in grado di tener desta l’attenzione del giocatore, spingendolo a sperimentare tra le possibilità di tutte le classi. Se questo non bastasse, la base dei tower defence è stata arricchita dalle frenetiche dinamiche d’azione, asservite al co-op e all’incredibile quantità di nemici che popolano le mappe. Non manca qualche problema tecnico, in via di risoluzione, che però non sposta DD dal trono di miglior offerta scaricabile degli ultimi mesi.
Gameplay sorprendentemente profondo. Co-op selvaggio e ragionato in un sol colpo. Graficamente accattivante. Qualche problemino online, in via di risoluzione.
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VOTO
L’arrivo di nemici più grossi è segnalato platealmente: è bene spostare la nostra attenzione su di loro, appena entrano nell’arena.
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CPU: Dual Core 2.0 GHz (Dual Core 2.0 GHz) RAM: 2 GB (2 GB) Scheda Video: ATI Radeon X1950/NVIDIA GeForce 6800 (ATI Radeon X1950/NVIDIA GeForce 6800) Spazio su HD: 5 GB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: Robot Entertainment PUBLISHER: Robot Entertainment DISTRIBUTORE: Steam MULTIPLAYER: Assente LOCALIZZAZIONE: Completa PREZZO INDICATIVO: € 10.99
ORCS MUST DIE! www.robotentertainment.com/games/orcsmustdie
Un titolo, una promessa. E un intero gameplay, già che ci siamo.
E
ccone un altro. Loro aumentano in continuazione e la nostra giornata continua a essere di 24 ore, con tutte le altre faccende da sbrigare (chissà, magari ci verranno in aiuto i neutrini). Che siano videogame con concept relativamente inediti, oppure riferiti ai cari e vecchi generi di punta, escono titoli di valore a getto continuo, spesso trasportati dal gradimento per il sottobosco (che ormai è la foresta pluviale) degli indie game: in una certa misura sono stato anche scortese, nei confronti di questo divertente Orcs Must Die!. Nella recensione di Dungeon Defenders, Una bella molla, se intorno ci sono laghi di acido bollente, è quello che ci vuole.
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pubblicata su questo stesso numero, non ho infatti potuto fare a meno di rimarcare la relativa superiorità del prodotto di Trendy Entertainment, secondo il mio personalissimo parere, per ciò che può offrire a un giocatore PC (specie se RPG addicted). La lotta, però, è tra due tower defence sui generis davvero ben fatti: per entrambi, il concept di base è vicino a Sanctum (mod per UT3, poi commercializzato), e vede il nostro personaggio piazzare trappole e unità di difesa contro nugoli di nemici controllati dalla CPU, per impedire che arrivino uno dopo l’altro nel nostro “nucleo” (che, come tutto il resto, ha una connotazione diversa a seconda del contesto sci-fi o fantasy). La differenza, però, tra i canonici tower defence e giochi come Orcs Must Die!, consiste nel fatto che l’eroe combatte perso-
L’eroe è un apprendista-mago nerboruto e ignorante, “antropologicamente” a metà strada fra il nostro Serious Sam e Ash Williams de L’Armata delle Tenebre nalmente sul campo di battaglia, con dinamiche in perfetto stile action, supportato dai marchingegni piazzati tra uno stage e l’altro. Nei titoli appena citati abbiamo visto diverse contaminazioni, in particolare con gli FPS e gli hack’n’slash, capaci di regalare una certa varietà all’impianto di base, potenzialmente ripetitivo e alienante come pochi; Orcs Must Die!, sotto questo punto di vista, prende la strada più ovvia per poi arricchirsi, missione dopo missione, di caratteristiche in grado di tener desta l’attenzione del giocatore, seppur in forma leggera e non esageratamente impegnativa (almeno
alla difficoltà intermedia: alla fine della campagna viene sbloccata la modalità “incubo”). E il tono della messa in scena è accattivante, esattamente come risulta simpatico il protagonista. Un apprendista-mago nerboruto e ignorante, “antropologicamente” a metà strada fra il nostro Serious Sam e Ash Williams de L’Armata delle Tenebre. Un cretino felice di esserlo, insomma.
UNO STREGONE ALLA PORTA Più che una trama vera e propria, Orcs Must Die! presenta un buffo background: un potente mago è quanto di meglio rimane alle for-
Possono essere evocati arcieri e paladini, fino a un certo numero di unità, ancora più potenti se spalleggiati dalle Tessitrici.
Review L’impianto visivo del gioco di Robot Entertainment è debitamente leggero, ma non manca di spettacolarità.
Gli upgrade delle Tessitrici si riferiscono a eroe, unità di difesa e magie. Nelle fasi avanzate, però, è possibile potenziare una Breccia, in modo che si difenda da sola.
funzioni che di volta in volta si adattano alla struttura di ponti e corridoi, intorno alla sfera da difendere (una o due, a seconda dei casi). Ogni unità può essere migliorata una volta, per aumentarne la potenza o diminuirne il costo, anche se non è il caso di scomodare, per Orcs Must Die!, qualsiasi definizione che abbia a che fare con gli RPG. L’acquisizione di poteri, infatti, è presente ma è valida solo in relazione alla missione in corso: alla fine del primo e del secondo atto (tre in totale) ci vengono presentate le “tessitrici”, potenti maghe che fungono, nell’economia di gioco, da vere e proprie carte-potenziamento, per migliorie comunque non cumulabili tra i vari capitoli; ognuna ha la sua specializzazione, diretta all’ulteriore upgrade delle unità difensive e dell’eroe oppure a maggiori retribuzioni di mana e denaro in seguito all’uccisione dei nemici. Sotto questo punto di vista, a ogni modo, l’uso dei poteri delle tessitrici è facoltativo, pur se fortemente consigliato, e si può sempre scegliere di spendere tutti fondi in trappole più efficaci, disponendole al meglio con i veloci e pratici comandi che il gioco mette a disposizione. Come da tradizione dei tower defence i nemici entrano da ingressi precisi, in questo caso chiamati “Brecce”, e cercano automaticamente la via più breve o meno presidiata, senza troppi slanci d’ingegno, peraltro non necessari: nelle prime missioni basta una
Questi varchi, perfetti per supportare fronti opposti, servono per spostarsi tra aree distanti dell’arena.
In determinati punti della campagna ci vengono presentate le Tessitrici, potenti maghe che fungono, nell’economia di gioco, da vere e proprie carte-potenziamento casella-barriera per fare cambiare direzione al fiume di orchetti, mentre la situazione diventa un poco più complicata all’ingresso in scena di un paio di unità volanti, e a maggior ragione quando i mostri appiedati cominceranno a distruggere le palizzate, armati di ascia pesante. Ma il nostro apprendista è sempre lì a contrastarli, potente e narciso mentre pronuncia frasi del tipo: “uhm, questa è la biblioteca, dove risiedono millenni di saggezza e conoscenze magiche; no, non c’è niente per per me qui...”
FACCIA DA SCHIAFFI Sotto il profilo estetico, Orcs Must Die! prende ispirazione dalla fantasy “demenziale” più nota, dal mitico Dragon’s Lair all’aperta comicità del moderno Shrek. Ai riferimenti visivi, però, in un videogioco deve corrispondere un’opportuna cura sui modelli e sulle animazioni: per fortuna è proprio quello che gli sviluppatori hanno fatto, sfoggiando gusto e preparazione tecnica su questi aspetti come sulle feature giocabili che abbiamo descritto. Casomai, qualche appunto si può muovere sulla varietà: bene per le trappole e le varie macchine, come detto numerose e divertenti da usare, mentre per gli scenari e i nemici si poteva fare senz’altro di più. I primi sono tutti contestualizzati in corridoi, cortili e scalinate di un castello, con una progettazione comunque intelligente in termini di opportunità o preclusione delle stesse; gli avversari, dal canto loro, rispondono a una quantità di tipologie ridotta (in tutto 8 varianti, se non contiamo le diverse armature degli orchi e la crescente potenza delle unità più grosse) e a un design non troppo fantasioso, tra fanteria orchesca, velocissimi goblin e possenti diavoloni. Di certo, poi, sarebbe stata gradita una modalità
multiplayer, giusto perché lo schema di gioco ci è sembrato adatto al coop, magari con scenari più articolati. Tuttavia Orcs Must Die! diverte molto, dalla prima all’ultima battaglia, e questo è sempre il risultato più importante. Risulta assuefante senza portar via la nostra esistenza, con le sue 6-7 ore di campagna. Magari, ecco, il mio allenamento con l’ostico Dungeons Defender potrebbe avermi aiutato, visto che ormai piazzo trappole in casa col pensiero. Mario Baccigalupi Secondvariety@sprea.it
Commento Orcs Must Die! è un’altra proposta unicamente scaricabile da tenere in considerazione, se non avete ancora fatto il pieno. Concettualmente si tratta di un’ulteriore fusione fra action e tower defence, che in questo caso mette ritmo e velocità dei combattimenti davanti a tutto, con feature ben realizzate e un accattivante impianto visivo. Non è troppo lungo né troppo difficile, e nemmeno generosissimo in termini di contenuti, ma risulta comunque ben oliato nelle meccaniche e coinvolgente al punto giusto, grazie ai potenzimenti e alla vasta gamma di unità di difesa. Incidentalmente, però, al momento OMD! ha anche un avversario prestante, al quale non può contrapporre alcun comparto multigiocatore. Un’aggiuntina sarebbe gradita.
Ottimo ritmo. Ben realizzato tecnicamente. Senza impegno... ... a volte sin troppo.
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VOTO
ze del Bene per difendere il reame dall’invasione degli Orchi, ma una sconfitta lo costringe a lasciare il posto al suo discepolo, ritenuto a dir poco “indegno” di tale compito. Anzi, per la verità è un completo deficiente, vanesio e totalmente disinteressato dalle arcane conoscenze; malauguratamente, però, è l’unico difensore rimasto, e per questo gli vengono affidati, uno dopo l’altro, marchingegni contro l’assedio e potentissimi strumenti magici. Anche nell’atto pratico del gameplay, le cose sono poste in modo altrettanto semplice: il nostro eroe ha sempre nel cinturone una balestra e un’affilata lancia per combattere direttamente le orde, e può inoltre scegliere tra un certo numero di trappole e unità difensive, da piazzare sul terreno, sui muri o sul soffitto prima di un’ondata. Alle prime battute gli strumenti sono piuttosto “basilari”, e si presentano sotto forma di spunzoni nel terreno, frecce a muro e caselle-pantano per rallentare i nemici. Dei nuovi elementi vengono aggiunti al completamento di ogni missione, dai semplici arcieri alle balestre automatiche, fino a invenzioni più fantasiose come le spore “converti-orchetto”. In effetti, questa è una delle migliori componenti di gioco: qualcosa come 30 pezzi, tra macchine e spell d’attacco (fuoco, ghiaccio ed elettricità, senza sorprese), vengono introdotti lungo un paragonabile numero di scenari, con
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CPU: Dual Core 2.4 GHz (Dual Core 2.4 GHz) RAM: 2 GB (4 GB) Scheda Video: ATI Radeon HD 3850/nVidia GeForce 8800 GTS Spazio su HD: 8.5 GB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: Capcom Vancouver PUBLISHER: Capcom DISTRIBUTORE: Halifax MULTIPLAYER: Internet LOCALIZZAZIONE: Completa PREZZO INDICATIVO: € 29.90
www.capcom-europe.com/games/Dead-Rising-2-Off-The-Record
DEAD RISING 2:
OFF THE RECORD Va bene ritornare sui propri passi, ma ripercorrerli proprio tutti...
è
quasi imbarazzante dover valutare questo episodio di Dead Rising. In altri tempi contenuti del genere sarebbero stati offerti in un’espansione, magari gratuita, senza lanciarsi in un prodotto stand-alone nemmeno troppo economico: Off the Record, sotto il profilo ludico, è esattamente Dead Rising 2, con le stesse missioni e grossomodo gli stessi personaggi di contorno; è vero che cambia il protagonista, con tutti i dettagli della storia che lo riguardano (e viene aggiunta un’area tematica, Uranus, con quest dedicate), ma in un gioco di questo genere, frenetico e minimale sotto il punto di vista narrativo, simili varianti non cambiano certo la sostanza. Tuttavia, un po’ tardivamente, Blue Castle Games ha almeno in-
tuito le cose da fare per migliorare le prestazioni della serie: tornare allo stiloso protagonista di Dead Rising, il fotoreporter Frank West, e introdurre logiche libere per gustare con calma le ambientazioni, invece di dover sempre correre con il timer alle calcagna. Peccato, però, che i contenuti della principale modalità siano quelli di cui sopra, i medesimi di DR2, comprese le caratteristiche meno riuscite, e che la nuova modalità “sandbox” sia priva di trama e di una vera ragione d’essere, al di là delle sfide per accrescere il livello d’esperienza. La situazione, tuttavia, può essere vista in modo diverso se non avete ancora provato il secondo episodio (e volete farlo). In questo caso, incredibile a dirsi, vi consiglio DR2: Off The Record.
I problemi di Frank West riguardano solo lui. Forse è meglio così, nella grottesca zombie apocalypse di Off the Record.
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In Off The Record tutta l’attenzione torna su Frank West, che deve trovare lo Zombrex per se stesso e scattare fotografie “cool”, proprio come nel primo episodio ZOMBREX OBSESSION Un passo indietro è necessario, a questo punto, per chi non conosce per nulla le meccaniche di gioco. Innanzitutto, diciamo che il gameplay di DR è un po’ particolare, quasi “masochista”, dal momento che introduce logiche free roaming e sandbox per poi annullarle (quasi) del tutto: nel primo come nel secondo capitolo abbiamo a che fare con ambientazioni liberamente esplorabili, dove è possibile utilizzare una quantità di oggetti di fortuna contro gli zombie; la libertà, però, è strizzata tra rigide finestre tempora-
li intorno a qualsiasi missione, che impediscono di dedicarsi per troppo tempo alla sperimentazione o alle quest secondarie. Lo scorrere del tempo è indicato anche a livello “globale” da un countdown che scorre fino all’arrivo dell’esercito, in una trovata affascinante e allo stesso tempo costrittiva: le dinamiche prevedono la crescita del personaggio e la costruzione di fantasiose armi con gli oggetti trovati per strada e nei negozi, ma semplicemente non si ha il tempo di godersi tali caratteristiche. Un po’ di grinding, tuttavia, è necessario per aver ragione di boss e orde
Ogni arma ha la sua mossa speciale, eseguibile con la pressione prolungata del tasto d’attacco. Ci sono altre combo, però, da sbloccare livello dopo livello.
Review Ecco, ho rovinato un incontro pieno di pathos vestendomi come uno sciocco. Povero Chuck Greene.
Un’ulteriore raccolta di punti esperienza viene dalle foto di Frank. La remunerazione non è però il massimo, se rapportata al numero di decessi necessario per eseguire gli scatti.
La nuova modalità sandbox è priva di trama e di una vera ragione d’essere, al di là delle sfide per accrescere ulteriormente il livello d’esperienza sempre più forti, così come talvolta si ha bisogno di denaro per soddisfare la richiesta di un sopravvissuto, oppure per comprare l’indispensabile per sopravvivere. In DR2 il motore dell’azione ruota intorno al biondo motociclista Chuck Greene e alla figlia, che ogni tot ore ha bisogno di iniezioni di Zombrex, un medicinale per impedire la trasformazione in non morti; la cura ha una sua tempistica, come tutto il resto, e al momento opportuno bisogna correre a comprarla a prezzi da rapina (in effetti, il bazar è in mano a una banda di criminali), oppure dedicarsi a missioni particolarmente dure per procurarsela. In questo senso, in Off The Record tutta l’attenzione torna su Frank West, che deve trovare la medicina per se stesso e scattare fotografie “cool” per accrescere la propria esperienza, proprio come nel primo episodio. Per il resto, il blando intreccio narrativo di DR2 è rimasto invariato, con l’invasione di infetti in una simil-Las Vegas, Fortune City, e il compito di indagare sui responsabili sul disastro. Cambiano le scene d’inter-
Questo cattivone è bello tosto. Gli ho scaricato addosso tutte le armi, e adesso vado in mezzo agli zombi per rallentarlo.
mezzo, con l’assenza della ragazzina, e cambia leggermente la rete di finali multipli, applicando più o meno lo stesso concetto: tenere tutto il mantenibile, spostando qualche virgola qua e là (punti di salvataggio e robe così), e riscrivere le parti poco coerenti con il nuovo protagonista. L’inizio, ad esempio, è spostato da un’esibizione di motocross a un incontro di wrestling, dove Frank cerca di recuperare la fama guadagnata a Willamette (e poi persa, dopo
un passo falso mediatico), sempre all’interno del TV-show “Terror is Reality”; le altre eccezioni riguardano il nemico dello scontro finale, la nuova area a tema fantascientifico, con relative attrazioni e vestitini, e il gustoso cameo di Chuck, dolente e disperato come non mai. La sequenza, tra le altre cose, dimostra come il personaggio avrebbe potuto essere sfruttato meglio, magari in una storia più tesa e lineare. In effetti Frank è molto più a suo agio nella follia che
regna in DR, ad ammazzare zombie in modo “creativo”, con addosso un costumino ridicolo. Ha tutto il cinismo che serve, mentre Chuck Greene ha troppi problemi per fare il figo a Fortune City.
BLOB DI ZOMBI La valutazione di DR2:OtR è difficile proprio perché, alla fine, il titolo è lo stesso anche sul fronte dei pregi, piccoli o grandi che siano: la struttura spinge a finire il gioco più
Le armi da fuoco più potenti sono legate a nemici specifici: è possibile, però, trovare pistole e fucili a pompa in mano a qualche poliziotto-zombie.
Asatamaiò!!! Dicembre 2011 TGM
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Chi sarà il super-villain, questa volta?
Avrei preferito slip più striminziti per la signorina. Farmi vestire così, in mezzo ai gloriosi zombie di Romero...
Frank West ha tutto il cinismo che serve, mentre Chuck Greene ha troppi problemi per fare il figo a Fortune City per frenesia che per vera partecipazione, ma almeno si è circondati da un’ambientazione piacevolmente dissonante e da masse di zombie classici, nello stile di Romero, in una quantità difficile da trovare in altri videogame. Come da tradizione della serie, la distesa di non-morti ciondolanti diventa quasi un mo-
stro a sé, che in modo “liquido” si sposta e invade tutti i pertugi; non a caso gli scontri con i boss (personaggi grotteschi, impazziti dopo l’invasione) spesso si svolgono in mezzo alle povere creature, che possono intralciare Frank ma anche i suoi nemici. E dal punto di vista tecnico la sarabanda di carne morta
La mappa è importante nelle missioni di salvataggio, per portare i sopravvissuti al rifugio.
Frank, il caso è tuo! Non ancora stanco di spiegare cose già dette dal buon Marangon nella recensione di DR2, aggiungo un paio di precisazioni sulla struttura di gioco. Anzi, in effetti lo schema riguarda tutta la serie: in particolare, le avventure della quest-line principale sono raggruppate nei “Casi”, ovvero in gruppi di 2 o più missioni che lasciano, al completamento degli obiettivi, un po’ di tempo per dedicarsi a compiti secondari, con tanto di riferimento su un orologio (nel mondo di gioco, grossomodo, il tempo scorre 10 volte più veloce). Al fallimento di un Caso vengono precluse le missioni della trama ma non la continuazione del gioco, che va avanti fino alla nuclearizzazione dell’area da parte dell’esercito. Far scadere il tempo non è una pratica fine a stessa, perché porta a 3 dei 6 finali predisposti dagli sviluppatori, altrimenti legati alla soluzione di tutti i compiti (con altre scelte da compiere, naturalmente, spesso legate allo Zombrex). Le indicazioni dei Casi appaiono automaticamente a lato dello schermo, al momento opportuno, insieme alle scadenze per le missioni secondarie e al bisogno della medicina per non trasformarsi in zombie.
è realizzata in modo convincente, tenendo a freno la complessità poligonale senza far mancare dettagli gustosi, con un frame rate più stabile rispetto a DR2 “liscio”. Ribadiamo, però, di non far troppo affidamento sulla modalità sandbox, in sede di acquisto, perché i contenuti sono piuttosto sterili e limitati. Riportati a Fortune City da un elicottero, possiamo andarcene in giro senza limiti di tempo, alla ricerca di sfide, in un crescendo di difficoltà e punti esperienza da accumulare. Beh, basta piangere! Se non mi sposi più, ti capisco.
Molto meglio il co-op: almeno non fa finta di essere qualcosa di nuovo. Mario Baccigalupi secondvariety@sprea.it
Commento Per chi ha già giocato a Dead Rising 2 non si tratta di un grande affare: Off the Record propone bene o male gli stessi contenuti del recente predecessore, dalla trama all’ambientazione, dal gameplay alle missioni vere e proprie. Nel ruolo del protagonista torna il fotoreporter del primo episodio, Frank West, e con lui arrivano una nuova area tematica, con estetica e attrazioni sci-fi, e una serie di variazioni per scene d’intermezzo e dialoghi; per la verità è stata aggiunta anche una “nuova” modalità sandbox, che però si rivela insipida e poco coraggiosa, con una sequela di banali sfide. Tuttavia, se pensate di far vostro il secondo episodio con il ritardo del saggio giocatore, tenete presente che Off The Record presenta un protagonista più carismatico, oltre che più spensierato.
Frank West è proprio un buontempone. Un mare di zombie ha sempre un suo perché. In termini ludici è esattamente DR2. Modalità sandbox quasi inutile.
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La guerra del Vietnam in un buon strategico in tempo reale? Questa è già di per sé una notizia.
MEN OF WAR VIETNAM A
bbiamo già analizzato il lungo e in largo lo scenario dei “Namgame” in un dossier dedicato di qualche numero fa e tutte le volte che ci è capitato di poter approfondire la questione, con preview e recensioni su titoli ispirati al sanguinoso conflitto. Dunque abbiamo sottolineato più di una volta come le vicende legate a questa guerra, pur se sfruttate in diverse occasioni dagli sviluppatori, non siano mai riuscite ad alimentare con costanza un brand videoludico, facendolo uscire dal contesto di episodi semi-isolati oppure dal novero degli spin-off puri e semplici. Gli ultimi esempi sono CoD: Black Ops e la recente espansione per Bad Company 2 (se non vogliamo considerare il demenziale DCL per il divertentissimo Magicka), e non a caso si tratta di giochi legati a saghe che prendono ispirazione, ahi noi, da un quadro internazionale particolarmente prodigo di spunti, nel suggerire trame fosche
per un gioco di guerra moderna. Memore dei momenti d’oro delle fiction fondate sul conflitto indocinese, però, personalmente sono stato felice (ludicamente parlando, s’intende) di veder riapparire questo scenario in un RTS della validissima serie Men of War: prima di tutto ho intravisto la predisposizione del gameplay rispetto all’ambientazione specifica, per gestire manipoli di uomini dispersi dietro le linee nemiche, nella giungla, magari senza scorte di equipaggiamento; questo perché MoW, lo ricordiamo, offre una gamma di opportunità così sfaccettata da poter coordinare in scioltezza situazioni diverse da un canonico scontro RTS, in campo aperto fra decine di unità, comprese le lunghe passeggiate di 5 uomini fra vegetazione e corsi d’acqua, tra sabotaggi, azioni di supporto e corpi in cui frugare. Per fortuna, pur con qualche distinguo, l’interesse è stato ripagato da un videogame solido, capace di
Le azioni della squadra vietnamita risultano più “introduttive” delle dinamiche di gioco, e sono anche animate da una tensione “drammatica” più incisiva fare esattamente ciò che ho appena descritto con l’aggiunta di qualche epica battaglia, che non guasta mai.
LUNGO IL MEKONG La particolarità di MoW:Vietnam non risiede solo nel connubio tra ambientazione e genere videoludico rispetto a uno schema di base già ottimo, ma anche nella scelta di mettere in evidenza gli eventi relativi a un manipolo di nordcoreani, prima ancora delle “solite” avventure dei marine statunitensi. Intendiamoci, la campagna di americani e alleati (l’esercito regolare del sud) è presente e si fonda sulla classica iconografia veicolata dal cinema e dai videogiochi, con mimetizzazioni da veterani e braccia snudate a reggere l’M60; allo stesso tempo, però, le
azioni della squadra vietnamita, composta da 3 soldati locali e 2 specialisti dell’Armata Rossa, risultano più “introduttive” delle dinamiche di gioco, e sono anche animate da una tensione “drammatica” più incisiva, in termini di motivazioni e obiettivi dell’azione. Innanzitutto, il piccolo reparto si trova immediatamente tagliato fuori dal grosso dell’esercito, dopo un’offensiva americana, e deve dunque cercare equipaggiamento aggiuntivo e mezzi per tornare a casa: ciò impone fin da subito di utilizzare le avanzate caratteristiche di micro-gestione di MoW, studiando l’inventario di ogni soldato e rimpinguandolo con munizioni, armi, medikit e addirittura elmetti, rinvenuti sui corpi di nemici o alleati uccisi; già alle prime battute, inoltre, l’abissa-
A livello scenico, MoW: Vietnam si difende bene, con notevoli punte qualitative nei fumi volumetrici. Peccato per le texture degli sfondi, non troppo convincenti.
L’inventario dei singoli soldati, visto in tutti gli episodi della serie, è particolarmente utile in questo capitolo. Qui sto costruendo un perfetto Vietcong. Dicembre 2011 TGM
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I soldati, al di là della modellazione poligonale, presentano texture appropriate anche se osservati da vicino. La stessa cosa non si può dire del terreno.
Nella campagna con i nord-vietnamiti, sabotando gli elicotteri americani possiamo evitare scene come questa. Per chi ama l’iconografia cinematografica sulla “sporca guerra”, alcune azioni risultano particolarmente evocative.
le inferiorità numerica (gli americani, in questo senso, alla prima missione presentano un maggior numero di unità di fanteria) porta a servirsi di un altro elemento chiave della giocabilità della serie, vale a dire il controllo diretto di un elemento della squadra. Chi ha già giocato ad altri titoli di MoW sa bene a cosa mi riferisco: per mettere silenziosamente fuori gioco sentinelle isolate, oppure per avvicinarsi a un punto d’interesse con discrezione, è possibile guidare un soldato (oppure il caposquadra, con alleati a seguito) con i tasti direzionali, mentre il curso-
re permettere di dirigere il fuoco con maggiore precisione. Allo stesso tempo va sottolineata, per chi la serie non la conosce, la lontananza di questa impostazione da qualsiasi logica action shooter, vista l’impossibilità di risolvere le situazioni in solitaria e considerata l’impostazione libera della visuale, strettamente nei canoni RTS (pur se con un generoso livello di zoom). Naturalmente, dato il contesto, potete ben immaginare il peso dato dalla vegetazione come ulteriore fulcro dell’azione: nella maggior parte dei casi è necessario spostarsi con circospezione, di
Una squadra è composta al massimo di 8 elementi. Se ce n’è uno di più, viene creato un nuovo team.
cespuglio in cespuglio, senza dimenticare che le foglie, a meno di future mutazioni genetiche, non sono ancora a prova di proiettile; per lo stesso motivo, i ripari sicuri sono merce preziosa, ed è necessario osservare bene la mappa alla ricerca di rocce, veicoli distrutti e capanne, dove i nostri soldati possono essere posizionati con certosina precisione, per livello di aggressività, postura e linea di fuoco. Al di là del pathos che caratterizza l’azione, per una volta dalla parte dei soldati con la stella rossa, ritmo e contenuti delle due campagne non sono poi così distanti: sono presenti diverse variazioni allo schema sopra descritto, ad esempio negli obiettivi legati alla liberazione e al reclutamento di altri alleati, da equipaggiare con risorse sul campo, oppure nelle azioni di supporto per favorire attacchi in grande stile, ai quali prenderemo parte come elemento d’elite o come improvvisata squadra di guastatori. Niente di nuovo, naturalmente, ma le azioni sono innestate su scenari evocativi
e ben studiati in termini di opportunità, magari lungo le rive del Mekong, alla ricerca di carburante per la chiatta dei nord-vietnamiti, oppure dispersi in un’insidiosa palude nei panni dei marmittoni americani, con il rischio di far affogare mezza squadra. Inoltre, da una parte e dall’altra non mancano le unità di supporto per gli scontri su scala più ampia, come gli elicotteri, e nemmeno i mezzi da usare sul campo di battaglia, con controllo diretto e opzioni di riparazione: il team di 1C, però, ha voluto contenere l’impiego di questa caratteristica, per non snaturare i tratti distintivi di MoW: Vietnam, offrendo comunque la possibilità di mettere le mani su carri, cingolati, furgoni e jeep (tutti estrapolati con meticolosità dal contesto storico, così come le armi). Allo stesso tempo, decine di mezzi guidati dall’intelligenza artificiale partecipano agli scontri più ciclopici, per supportarci o semplicemente per combattere, mentre il nostro manipolo s’incarica delle azioni più rischiose.
FUMOGENI E TRACCIANTI NEL 1968 Prima di passare alle questioni tecniche, è bene sottolineare la precisa impostazione ludica di MoW: Vietnam, non troppo distante da quanto visto negli altri titoli della serie: l’esperienza è spiccatamente rivolta ai giocatori RTS più esperti ed esigenti, con parametri realistici per i danni ai soldati e ai veicoli, sommati alla notevole complessità della gestione RTS, con sezioni e sotto-sezioni per ogni a-
Nella azioni di guerriglia vengono in aiuto le sfaccettate opzioni di micro-gestione di Men of War, magari per procurarsi equipaggiamento alternativo 68
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Review Il tentativo di rubare veicoli può riservare brutte sorprese, mettendoci maledettamente nei guai.
Gli effetti di trasparenza degli edifici sono molto funzionali: perché non è stata fatta una cosa simile per la vegetazione?
zione o comando. Anche per questo, passa in secondo piano una delle possibili critiche che si possono rivolgere all’impianto grafico: il massimo livello di zoom mette in mostra una definizione relativamente contenuta per le texture del terreno e i modelli della vegetazione, ma il potenziale difetto rimane nel contesto di un prodotto che mette il gameplay davanti a tutto, e per questo non lesina sull’inquadratura più idonea alla situazione, anche a costo di sfigurare esteticamente. A livello funzionale, tuttavia, avremmo gradito un effetto dissolvenza per gli alberi e gli arbusti visti da vicino,
giusto perché a volte è davvero difficile scorgere i propri soldati in mezzo alle foglie, per gestire le minuzie che il gameplay offre a piene mani. In termini di difetti e piccole sviste, inoltre, abbiamo rilevato alcune indecisioni nelle IA, oltre a una gestione poco convincente dell’azione a bordo mappa: accerchiare il nemico o uscire dall’accerchiamento sono il fulcro dell’azione, in un RTS come questo, e non è piacevole trovarsi davanti a una barriera invisibile mentre si è impegnati nell’impresa. D’altra parte, tanto la ricostruzione scenica quanto gli effetti rispondono ai livelli qualitativi a
Ah, non c’è niente di meglio di una bella corsetta salutare. In una risaia, perché anche il riso fa bene (ToSo, se devi eliminare una dida leva questa, che fa schifo)(no, la lasciamo. Così impari. ndToSo).
Il massimo livello di zoom mette in mostra una definizione relativamente contenuta per le texture del terreno e i modelli della vegetazione cui la serie ci ha abituato, con il solito plauso per le ombre e per la resa dei fumi volumetrici, e tutto si lascia guardare con piacevolezza e qualche punta di puro spettacolo, al di fuori dei casi appena citati. MoW:V completa la sua proposta con una robusta sezione multiplayer, recentemente ampliata fin quasi a eguagliare, per varietà, il “cugino” Men of War: Assault Squad (che rimane imbattibile, al di là dell’assenza di storymode): l’edizione speciale oggetto di questa review espande lo storymode con 5 nuove missioni da giocare in singolo e in co-op, che si vanno ad aggiungere ai 10 capitoli della campagna, 5 per fazione, anch’essi interamente giocabili in compagnia di un amico; cosa forse più importante, per la completezza dell’offerta, è stata introdotta la modalità competitiva online con 3 mappe dedicate, fondata sulla conquista di specifiche aree (di fatto, le meccaniche sono identiche a quanto visto in Assault Squad). E il godimento aggiuntivo non è trascurabile, perché abbiamo a che fare con un gameplay
strategico profondo come pochi, anche in ambito multiplayer: magari la nuova fatica di 1C soffre del confronto con le recenti vette qualitative della serie, ma riesce comunque a offrire decine di ore di divertimento agli appassionati del genere, a maggior ragione se lo scenario incontra i gusti personali. In effetti, MoW:V è anche il più bel RTS moderno sulla guerra in Vietnam, pur se la concorrenza è praticamente inesistente. Mario Baccigalupi Secondvariety@sprea.it
Commento Men of War è forse l’unica serie RTS capace di restituire con efficacia il ritmo e le atmosfere del conflitto in Vietnam, grazie a opzioni di gestione che vanno dai comandi di squadra al controllo diretto del singolo soldato, con tanto di inventario in stile RPG. 1C lo ha dimostrato con questo capitolo, che va ad arricchire una serie ormai completissima in termini di scenari storici e modalità di gioco: Vietnam non è perfetto, sia sul versante tecnico sia perché presenta alcune sbavature del gameplay, ma allo stesso tempo offre notevoli momenti di immersione, nell’atto di gestire con profondità i nostri manipoli di dispersi “dietro le linee nemiche”. Il buon quadro è completato dalla traduzione integrale e dal DLC inserito in questa edizione FX Interactive, con la modalità competitiva e nuove mappe per il co-op.
La guerra del Vietnam in salsa strategica, con competenza. Dinamiche RTS profonde. Campagne avvincenti, anche in co-op. Piccole sbavature, nell’impianto tecnico come nel gameplay.
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VOTO
Ecco, la distruzione del carro al nostro fianco non è un bell’affare.
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CPU: Dual Core 2 GHz (Dual Core 2,4 GHz) RAM: 1 GB (2 GB) Scheda Video: NVIDIA 8600 GTS 512 MB o ATI equivalente (NVIDIA 8800 GTX 1 GB o ATI equivalente) Spazio su HD: 8 GB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: Black Hole Entertainment PUBLISHER: Ubisoft DISTRIBUTORE: Ubisoft MULTIPLAYER: Internet LOCALIZZAZIONE: Sottotitoli PREZZO INDICATIVO: € 49,99
might-and-magic.ubi.com
Might & Magic Heroes VI
Il ritorno degli eroi di Might & Magic è dei più vivaci: nuove caratteristiche di gioco, nuovo sviluppatore, nuova ambientazione per le vicende. Peccato che, certe volte, a cambiare strada troppe volte si rischi di perdere un po’ il sendo dell’orientamento…
U
n ritorno è sempre un ritorno, anche se nel caso di Might & Magic Heroes VI stiamo parlando di un ritorno un po’ particolare. Già, perché la decennale saga di strategici ambientata nel mondo di Might & Magic ha perso per strada i suoi sviluppatori originali, i Nival, in favore dei Black Hole, gli stessi di Warhammer: Mark of Chaos, per intenderci. Anche se il celebre brand di strategici è fini-
to in mani capaci, sono molti i dubbi sollevati dai fedeli seguaci dell’universo M&M: sarà ambientato nella stessa linea temporale dei vecchi titoli? Sarà uguale come gameplay o cambierà direzione? Ci saranno le stesse unità? Tutte domande legittime, a cui daremo presto risposta. Per ora, l’unica certezza che voglio darvi è questa: Heroes VI è letteralmente e dannatamente enorme da giocare, con
Le cinque campagne che compongono l’enorme offerta single player ci vedono alle prese con i vari fratelli che cercano il controllo totale sulle terre di Ashan Tornano le guerre strategiche di Heroes of M&M, nonostante l’inversione nel titolo del gioco!
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un monte ore potenziale che tende all’infinito. Non starò qui a tediarvi, ma sappiate che per completare il tutorial (anche se andrebbe chiamata campagna, perché questo è, a tutti gli effetti) e tutte le missioni che lo compongono ci sono volute una decina di ore di gioco. E meno male che non sono proprio uno sprovveduto di strategici, altrimenti probabilmente non avreste mai letto questo articolo. Chiaro il concetto? Il combattimento a turni è piuttosto semplice e intuitivo.
5 GEMELLI DI 5 RAZZE DIFFERENTI? LA COSA NON MI CONVINCE… Partiamo dalla trama. I Black Hole hanno preso il lore di Might & Magic e lo hanno rispettato, almeno nei canoni. Per liberarsi le mani e cambiare un po’ di carte in tavola, però, hanno deciso di ambientare Heroes VI ben quattrocento anni prima di Heroes of M&M V. Questo ha permesso loro di scrivere una storia senza incrociare altre trame
Review MULTIPLAYER EROICO
L’eroe acquista livelli di esperienza, nuove magie e abilità e un equipaggiamento da indossare, nel classico stile RPG.
Il multiplayer di Heores VI è integrato con la parte in solitaria grazie al sistema della dinastia. I punti conquistati in Campagna permettono di costruire un personaggio da utilizzare online con abilità e caratteristiche tagliate sul nostro stile di gioco. Le modalità a disposizione permettono lo scontro e il combattimento sia in veloci partite sul campo (e quindi solo battaglie tra eserciti), sia nella ben più lunga e articolata mappa multiplayer, che comprende quanto già visto in singolo, con città, risorse e movimenti delle armate. Per quanto possa sembrare un’idea spettacolare il combattere con altri nemici umani, il gioco ha una sua lentezza intrinseca già contro la IA, figuriamoci contro un altro utente che ogni turno deve decidere come muovere gli eroi, cosa acquistare, cosa attaccare e via dicendo… Insomma, per palati sopraffini e per chi ha davvero tante, ma proprio tante, ore da investire.
Le magie e le abilità conquistabili sono decine, divise in cinque rami di magia, cinque skill di combattimento e cinque generiche.
Le varie fazioni in campo sono composte da umani, orchi, popoli dell’aria, dell’acqua e, ovviamente, creature infernali. Nonostante tanta differenza i ruoli delle unità sono più o meno simili tra loro.
in lotta tra loro. Fortuna vuole che il nostro compito sarà quello di portare avanti la nostra dinastia a prescindere dagli scontri, liberandoci da tutti i pretesti per una battaglia.
TRE LIVELLI DI RPG E STRATEGIA, DIREI CHE POSSONO BASTARE…
già raccontate del mondo di Ashan. Oddio, a essere sinceri, forse era meglio se si fossero appoggiati a qualcosa già scritto da qualcun altro, visto che il risultato non è che convinca molto. La nostra storia parla, infatti, della morte di un duca, alla quale hanno partecipato in varie forme i suoi cinque figli. Ora i cinque eredi (gemelli) hanno preso ognuno il controllo di una fazione: Santuario, Rifugio, Roccaforte, Inferno e Necropoli.
Non starò qui a spiegarvi i perché e i percome di questa soap opera in stile Beautiful-Fantasy. Fatto sta che le cinque campagne che compongono l’enorme offerta single player ci vedono alle prese con i vari fratelli che cercano, ognuno a suo modo, di avere il controllo totale sulle terre di Ashan. Detto così può sembrare un po’ banale: in effetti, il risultato di tutta questa storia di parentado assassino è un pretesto per avere cinque diverse fazioni Ogni missione delle varie campagne porta avanti la trama, per quello che conta, anche attraverso filmati
Ok, la parte sceneggiata è solo un mezzuccio per farci combattere tutti contro tutti. Fortuna che la storia non scritta sia molto più vasta e interessante. Heroes VI ci mette nei panni di una dinastia. Questa entità raggruppa tutti i personaggi che andremo a interpretare, sia in singolo sia in multiplayer. Attraverso le nostre gesta nelle campagne in solitario, per esempio, possiamo portare a termine degli obiettivi (generalmente sconfiggere in un certo modo un nemico, o aprire un dato numero di forzieri), che garantiscono punti spendibili nel pannello della dinastia. Il sistema in questione permette di sbloccare alcuni potenziamenti che varranno per tutte le partite o semplici abbellimenti, tra i quali figurano i ritratti per il multiplayer. Stiamo parlando di cose non certo fondamentali, ma che hanno il pregio di motivare il giocatore a ributtarsi in un
nuovo episodio della campagna. Un’operazione che sai quando inizia ma non sai quando e come finisce. Già, perché ogni missione, e qui scendiamo al secondo livello in questa nostra ipotetica scalinata di strategia e gioco di ruolo, è composta da una mappa gigantesca, divisa in città che controllano regioni, ricche di nemici, altari, dungeon e altri millemila ostacoli. Qui l’utente, in base alle quest principali e secondarie che deve completare, può spostare il proprio eroe seguendo una rigida struttura a turni. La sezione tattico gestionale di Heroes VI è sicuramente la parte più complessa del gioco, nonostante i Black Hole abbiano lavorato per renderla più semplice e lineare di quella vista nei vari precursori. L’eroe e i suoi alleati possono costruire in ogni turno un edificio nelle città, per sbloccare nuovi e sempre maggiori reclutamenti di soldati delle varie classi a disposizione o anche solo
La sezione tattico gestionale di Heroes VI è sicuramente la parte più complessa del gioco, nonostante Black Hole abbia lavorato per renderla più semplice e lineare di quella vista nei precursori Durante i combattimenti, brevi filmati sottolineano colpi particolarmente riusciti.
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Ogni città può essere arricchita di parecchi edifici dagli usi più disparati: creazione di nuove unità, gestione delle risorse, evocazione di eroi…
per aumentare l’introito settimanale di denaro e altre risorse. Oltre a questo, il nostro alter ego può muoversi, a seconda del suo potere di spostamento, per battere mostri di guardia a manufatti utili per l’equipaggiamento (sono compresi interi set di armature con bonus specifici. Vi ricorda qualcosa?), per accedere a dungeon con oggetti ancora più rari, o anche soltanto per arrivare alla cittadina o alla guarnigione più vicina per conquistarla. Dal punto di vista pratico, questo enorme board game è stato sollevato da un paio di condizioni che limitavano molto la comprensibilità dei vecchi titoli della serie: il tipo di risorse (e relative postazioni di raccolta ed estrazione) si è ridotto a sole quattro materie prime fondamentali (legno, ferro, cristalli e oro), e i vari edifici che le producono non sono più da conquistare e difendere singolarmente, ma rientrano nella “zona” di una città, conquistata la quale si ottengono, fin dal turno successivo, le relative produzioni. A parte queste modifiche, il gioco, in questa sezione a mappa, non presenta altre novità, se non le già citate dimensioni di ogni livello proposto dalla campagna. Arrivare a conquistare cinque regioni con due nemici che cercano di sfondare le difese dei possedimenti altrui è già complicato, pensate se si aggiungono le inevitabili decisioni come attaccare quell’esercito di nemici
Il gioco è totalmente tradotto in Italiano, per quanto riguarda i testi: l’audio è in Inglese, e ben realizzato.
piazzato a guardia dell’”Elmo della suprema banfaggine” o dei “Gambali del presto che è tardi”! Anche perché le città generano nuove unità ogni settimana, e ogni settimana è composta di sette turni: un errore di spostamento dell’eroe o una relativa debacle del suo esercito potrebbero trasformare un’impresa in una punizione e ci vorranno ore per ritornare ad avere una compagnia delle giuste dimensioni per proseguire con la missione principale…
TERZO PIANO: ABBIGLIAMENTO BAMBINI E CAMPO DI BATTAGLIA Se ancora Heroes VI non vi ha affascinato con la sua complessità e, soprattutto, con le sue innumerevoli occasioni per trascinarvi in ore di deviazioni dalla questline principale, allora potrebbe riuscirci la battaglia vera e propria. Qui, tutti i nodi vengono al pettine: le unità arruolate, con le loro abilità uniche, il livello d’esperienza dell’eroe alla guida dell’esercito, con i suoi incantesimi e le sue skill (comprese quelle che si basano su un orientamento morale, un sistema stile “buono = magie buone, cattivo = magie cattive”, niente di trascendentale), il nemico da affrontare e via discorrendo. Ora, dovrei spiegarvi nel dettaglio come funziona il meccanismo di questa sezione di combattimento, ma in realtà mi appoggerò a una semplice frase: chi
La grafica, per quanto non certo eccezionale in senso assoluto, è sufficiente a rendere giustizia a questo strategico.
La scacchiera dei combattimenti è piuttosto semplice e non offre molte alternative tattiche.
è più grosso, vince. Mi spiego meglio: nonostante tutte le varianti, equipaggiamento, composizione dell’esercito, magie a disposizione, magie dell’avversario, presenza o meno di una cittadella da difendere o assediare e via discorrendo, il risultato è che difficilmente basterà la sola strategia per sconfiggere un nemico sovradimensionato. Questa è la più grossa delusione di Heroes VI. Tantissima carne al fuoco che si riduce, nell’unica sezione in cui conta davvero fare la differenza, in un Risiko vecchia maniera: chi ha centomila carrarmatini sventra il nemico, a prescindere da tutto. È piuttosto frustrante, anche perché nel 90% dei casi nessuno affronterà mai uno scontro pari, visto i tempi e i modi per ricostruire un esercito in caso di sconfitta. Tutto questo porta come situazione inevitabile decine di turni di preparazione per avere la certezza di vincere uno scontro velocemente e senza troppe perdite, trasformando così anche l’enorme potenziale della sezione gestionale in una assidua caccia a nuove unità.
EVVIVA LA STRATEGIA, EVVIVA L’ERREPIGGÌ Che Heroes VI sia un po’ troppo lineare nei meccanismi che contano davvero, leggi la risoluzione delle battaglie, è un dato di fatto. Che questo rovini in parte una struttura di gioco enorme e molto ben congeniata anche. Tuttavia, non
Negli scontri, solitamente, vince chi mette più unità sul campo dovreste farvi prendere dallo sconforto, specialmente se siete appassionati di strategia e fantasy come il sottoscritto: con la giusta dose di attenzione è possibile divertirsi senza fare scelte avventate e quindi gustarsi le sorprese che ogni missione e ogni campagna portano con sé. E qualora questo non dovesse bastare, possiamo rallegrarci anche grazie a una struttura tecnica (mi riferisco all’engine, in particolare) piuttosto leggera e performante, non certo in grado di far gridare al miracolo ma sufficientemente elegante da rendere i combattimenti gradevoli alla vista. Certo, ci vuole un po’ di pazienza, ma senza di quella che gioco a turni sarebbe? Massimo “NKZ” Nichini (nkz@sprea.it)
Commento Questo Heroes VI riprende il filone dei giochi di strategia a turni ambientati nell’universo fantasy di Might & Magic e lo fa attraverso un tentativo di snellire il gioco che in realtà ha privato il medesimo di molti meccanismi che lo rendevano decisamente più strategico e attento ai dettagli. Il risultato non è disprezzabile, ma quel che resta è un titolo più lento e articolato, da affrontare con pazienza. Le mappe di gioco sono così grandi e ricche di cose da fare e gli eroi così pieni di magie e abilità da sbloccare ed equipaggiamenti da indossare, che ci vorranno anni prima di aver visto tutto… sempre che si abbia la voglia di farlo.
RPG a turni per chi apprezza. Centinaia di ore di gioco garantite… … ma troppo spesso il numero vince sulla strategia.
VOTO
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TGM Dicembre 2011
CPU: Dual Core 2.2 GHz (Dual Core 2.4 GHz) RAM: 2 GB (4 GB) Scheda Video: NVIDIA GeForce 8600 512MB o ATI equivalente (NVIDIA GeForce GTX 260 512MB o ATI equivalente) Spazio su HD: 8 GB Connessione: Nessuna
SVILUPPATORE: Ubisoft PUBLISHER: Ubisoft DISTRIBUTORE: Ubisoft MULTIPLAYER: Assente LOCALIZZAZIONE: Completo PREZZO INDICATIVO:
€ 20,00
www.tintin-ilgioco.com
TinTin
Il segreto dell’Unicorno Un giornalista biondo, di età imprecisata, sempre in mezzo ad avventure incredibili, al limite del realistico... Sembra la storia della mia vita, se non fosse la trasposizione videoludica del nuovo filmone animato di Spielberg e Jackson… GALEONI, BISCAZZIERI E TANTA AVVENTURA OLD FASHION La storia alla base di gioco è piuttosto semplice. TinTin, che è curioso al limite del fastidio, acquista un modellino di un veliero, l’Unicorno, solo per scoprire che al suo interno c’è un indizio per trovare il vero relitto, ricco di ogni bendiddio. Contemporaneamente alcuni criminali lo rintracciano e gli rubano il modellino. TinTin e il fedele Milù, che nella vita non hanno proprio niente di meglio da fare, rintracciano i criminali solo per scoprire che altre persone sono alla caccia del tesoro. Insomma, a grandi linee l’avventura è questa, contornata da un’ambientazione stile vecchia Europa (ci troviamo in Belgio, nel pieno degli anni ‘30). Affrontando i vari passaggi narrati nel film, il nostro eroe affronta diversi livelli, diversi per gameplay proposto e accomunati solo
Un veliero in miniatura: è sufficiente questo per scatenare le avventure di TinTin in giro per il mondo!
Colorato e scanzonato come il film, il gioco presenta forti elementi presi dai più tradizionali action adventure.
dalle caratteristiche action e adventure tipiche di queste trasposizioni: dovremo combattere i cattivi, affrontare stage pieni di piattaforme, risolvere semplici puzzle e persino prendere il controllo del cane Milù per raggiungere aree inaccessibili al nostro eroe. Tutto questo attraverso una grafica 3D fedelissima alla rappresentazione della pellicola animata, che spesso però si trasforma in un 2D vecchia scuola, di quelli visti in Mission Impossible o Super Mario, se non sapete di cosa stiamo parlando. Il risultato, un divertissement ben riuscito e colorato, specialmente per chi apprezza personaggio e storia (godibili, ve lo assicuro). Certo, non aspettatevi nulla di più di quello che vi abbiano appena descritto: dopotutto, questo genere di licenze difficilmente regala perle indimenticabili, lo dovreste sapere bene. Massimo “NKZ” Nichini (nkz@sprea.it)
Commento TinTin - Il segreto dell’Unicorno è un classico adattamento da film e come tale deve essere trattato. All’interno di questa categoria, comunque, il gioco di Ubisoft non sfigura affatto: divertente, colorato e ben realizzato nonostante la semplicità del gameplay, fatto di meccaniche di gioco prese qua e là da celebri titoli del passato. In poche parole più che sufficiente nel mantenere le promesse che un titolo del genere porta con sé.
Trama e 3D pari pari al film Gameplay intuitivo Facilotto è dire poco
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VOTO
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ifficile capire la strana alchimia che ha portato TinTin ad approdare sul grande schermo così tanto tempo dopo il suo esordio fumettistico. Personaggio senza tempo per definizione, il giovane ragazzo sempre in cerca di avventure insieme al suo fedele cane Milù ha trovato in Steven Spielberg e Peter Jackson, che non sono proprio Hanna e Barbera, per capirci, due genitori adottivi. Questi, a suon di palate di denaro, lo hanno preso, immerso in un mondo di CGI e Motion Capture, e riportato alla vita dopo un lungo oblio in una pellicola chiamata, guarda caso, Il segreto dell’Unicorno. Ancora più della vicenda in celluloide a noi interessa la sua controparte fatta di bit e poligoni. Attenzione, però: il gioco di TinTin potrebbe rovinarvi la visione del film, visto che la trama è pressoché identica alla pellicola cinematografica.
Dicembre 2011 TGM
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CPU: Single Core 2.2 GHz (Dual Core 2.2 GHz) RAM: 2 GB (3 GB) Scheda Video: NVIDIA GeForce 8400/ATI Radeon 2900 (NVIDIA GeForce GT 420/ATI Radeon HD 5550) Spazio su HD: 4 GB Connessione: Assente
SVILUPPATORE: Eurocom PUBLISHER: Disney Interactive DISTRIBUTORE: Halifax MULTIPLAYER: Locale LOCALIZZAZIONE: Completa PREZZO INDICATIVO: € 29,90
www.disney.it/universe
DISNEY UNIVERSE Un “giochino” Disney? Ma daVero? Uè, ToSo, guarda che io sono un redattore serio! Sono quello che ti gioca a RAGE, a Portal 2, non ho mica tempo per queste pinzillacchere... Uè, ToSo, ma lo sai che sta roba è proprio divertente? Hai già qualcuno a cui dare la rece?
L
a prima cosa che stupisce in Disney Universe è che non si gioca nei panni dei popolari personaggi del colosso dell’animazione americano, ma ci si limita a indossarne i costumi. In una sorta di meta-trama, il protagonista è infatti un piccolo esserino azzurro che deve liberare il parco divertimenti di Disney Universe, caduto vittima di un virus malvagio che si è impossessato dei robot che dovrebbero proteggerne i visitatori, e che invece stanno scatenando un putiferio. Il pretesto ci permette di esplorare sei diversi mondi, costituiti da tre livelli ciascuno, dove risolvere piccoli puzzle, affrontare nemici e boss finali, e liberare gli altri esserini tenuti prigionieri (con relativo costume). Prima di avventurarci in un nuovo livello dovremo scegliere il costume da indossare tra quelli disponibili, oppure acquistare quelli sbloccati in precedenza spendendo un po’ delle monetine che si raccol-
gono a ogni piè sospinto durante il gioco. Il primo mondo accessibile è quello dei Pirati dei Caraibi: gli altri, ispirati ad Alice nel Paese delle Meraviglie, a Il Re Leone, Aladdin, Wall-E e Monsters & Co., vanno comprati esattamente come i costumi.
GAMEPLAY IN PILLOLE Il nocciolo del gameplay riprende, senza troppi guizzi di fantasia, quello ben noto agli appassionati della serie LEGO, compresa la possibilità di giocare in cooperativa (ma fino a quattro giocatori contemporaneamente): in ogni mappa ci sono oggetti da recuperare e collocare da qualche parte, cose da raccogliere (che sbloccano bozzetti, musiche e via discorrendo), mostri da abbattere, minigame da affrontare e un’uscita da raggiungere. Gli stage pullulano letteralmente di bonus, presentati sotto forma di monetine, cuoricini e stelline, che si ottengono distruggendo elementi del
Il nocciolo del gameplay riprende, senza troppi guizzi di fantasia, quello ben noto agli appassionati della serie LEGO, compreso il co-op I power-up sono molto vari ma durano pochissimo, forse non abbastanza per gustarseli a dovere.
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TGM Dicembre 2011
Nel mondo di Wall-E, manco a dirlo, imperversano inquinamento, cubi di rottami e robottini impazziti.
paesaggio, uccidendo nemici, saltando per raggiungerli... Le uniche azioni che non vengono premiate sono giusto il camminare e il saltare! I puzzle sono tutti piuttosto semplici, grazie anche alla presenza di GROSSE frecce e GROSSE scritte a video che indicano in ogni istante con precisione dove andare e cosa fare. Se non vi disgusta l’idea di spremere un goccino le meningi, potete sempre disattivare gli aiuti dalle opzioni del gioco, ma scoprirete che il risultato non cambia poi di molto. La struttura di base dei livelli rimane più o meno sempre la stessa, ma le diverse ambientazioni e le piccole variazioni negli enigmi contribuiscono a diluire il sapore di “già visto”. Non mancano, di quando in quando, alcune piccole trovate che spezzano l’azione, e che avremmo voluto trovare più spesso, come il livello nel mondo del Re Leone in cui ci si muove a bordo di un Simba-trenino in perfetto stile scroller bidimensionale, sparando ai bersagli dei nemici con un cannone, oppure le stanze a gravità ribaltata nel mondo di Monsters & Co., o la fuga dall’ondata di lava in Alad-
din. I minigame sono brevi intermezzi da trenta secondi in cui vengono lanciate sfide di ogni genere al giocatore, dal raccogliere monetine all’evitare i fulmini, passando per l’uccisione di un tot di nemici nel lasso di tempo concesso: pur non discostandosi più
NON MI BASTA MAI! Con tutto quel che Disney ha prodotto in questi decenni, vedere “solo” sei mondi e relative ambientazioni lascia quasi delusi: impossibile non notare le ingombranti assenze dei più grandi successi di Pixar come Toy Story o Cars, o di classici come Biancaneve o Cenerentola. E La Carica dei 101? Il Libro della Giungla? Fantasia? No, dico: Fantasia! Dove sono? Disney ha garantito numerosi DLC nei prossimi mesi: speriamo non si limitino al solo guardaroba.
Review
Tra i potenziamenti ci sono lo sguardo di Medusa, che pietrifica i nemici, il tocco di Mida, che li trasforma in oro, martelli pneumatici, calamite e cappellini-alveare di tanto da queste tre categorie, le sfide sono sempre presentate in maniera piuttosto originale e diversa, rendendole meno ripetitive di quanto non sarebbero altrimenti.
I MONDI DI GIOCO Ogni ambientazione è ispirata a una famosa serie Disney, che caratterizza anche puzzle e nemici, in particolare i boss finali: nel mondo dei Pirati dei Caraibi, per esempio, dovremo abbattere a cannonate una nave pirata e sconfiggere una sirena piangente; in Monsters & Co. dovremo ricostruire una porta e raccogliere le grida dei bambini nei famosi cilindri gialli; in Alice è tutto un tripudio di orologi da taschino, pozioni da bere e scale che si formano e si smontano in continuazione. L’attenzione per i particolari è uno degli elementi vincenti del titolo, e lascia trasparire una cura certosina per garantire la massima congruenza e continuità con i film a cui sono ispirati i vari mondi: tutto, dalle decine di animazioni dei protagonisti alle armi che si portano appresso, al dettaglio di ogni singolo oggetto, è realizzato in maniera sublime. E già che ne parliamo, e come avrete notato dalle foto, dal punto di vista estetico Disney Universe mantiene un look deliziosamente “cute” e colorato che non può non piacere, e che risulta perfetto per
un gioco di questo genere. Del resto, non è da Disney Universe che ci si aspettano dettagli, effetti e quantità di poligoni come nel primo Crysis. In questo, l’unico vero problema è il fatto che la telecamera di gioco è fissa, e non può essere controllata con lo stick analogico destro (o il mouse) come in qualsiasi altro action: in generale va bene, per carità, e si capisce la scelta di non voler complicare troppo la vita ai ragazzini, ma può capitare in diverse occasioni di precipitare nel vuoto perché il nostro ometto blu si avvicina a un precipizio più rapidamente di quanto faccia la telecamera per inquadrare quel che c’è oltre lo schermo. Le vite sono infinite, ma è comunque una seccatura, anche perché il numero di “resurrezioni” entra nelle statistiche di fine livello.
ALLE ARMI! Il combattimento è piuttosto semplice, come potete facilmente immaginare, e si limita ad assestare mazzate una dopo l’altra e all’immancabile doppio salto seguito da colpo stordente sul terreno. Considerato che si tratta di un titolo concepito soprattutto per bambini e ragazzini, la cosa ci può anche stare. Ogni costume (e relativa arma) può essere potenziato fino al quarto livello aprendo gli scrigni presenti nelle mappe, cosa che rende più potenti i
Raccapezzarsi nelle stanze a gravità ribaltata di Monsters & Co. può non essere banale, soprattutto all’inizio!
DU’, TRI, E ANCH FOOR IS MEGL CHE UAN Disney Universe supporta il co-op per quattro: gestibile su console, in salotto, davanti al maxi-televisore, un po’ meno attorno al monitor di un PC. Ci sono problemi anche nel gioco: per dirla con un giro di parole, in quattro diventa un vero caos. In due ci si diverte, ci si possono fare i dispetti, ci si aiuta e si compete allo stesso tempo. Con più persone diventa complicato capire quel che accade, tra stormi di nemici, monetine ovunque, scintille, bombe che esplodono, messaggi sullo schermo a raffica... Non ci si raccapezza più. E il fuoco amico rischia di trasformarsi da sporadico scherzetto a frustrante routine, vista la facilità con cui si finisce giocoforza a colpire continuamente qualcun altro. Va comunque riconosciuto agli sviluppatori di aver modificato i livelli in modo da supportare reali meccaniche di gioco cooperativo, sia nei combattimenti sia nella struttura degli enigmi.
Durante la recensione ho dovuto tenere lontane a forza le mie due figlie di 9 e 3 anni, che mi guardavano giocare con la bava alla bocca. “Eh no, ragazze, papà sta lavorando!”
colpi sferrati. Ad aggiungere un po’ di varietà provvedono i power-up sparsi un po’ ovunque, tipicamente nei punti dove arriveranno i nemici. I potenziamenti sono molto vari e fuori di testa: si passa da tradizionali mitragliette e raggi elettrificanti allo sguardo di Medusa che pietrifica i nemici, al tocco di Mida che li trasforma in oro, normali scudi protettivi ma anche martelli pneumatici o calamite magiche attira-oro, oppure cappellini-alveare che sparano api assassine, e via delirando. Piuttosto prevedibile il comportamento degli avversari, che si fanno più agguerriti nei mondi che si sbloccano per ultimi; di quando in quando compaiono bestioni un po’ più duri da buttare giù, ma niente che possa davvero impensierire. Oltre a cercare di attaccare il nostro esserino, i nemici si preoccupano anche di scombussolargli i piani, piazzando qualche trappola oppure rubando gli oggetti utili alla risoluzione dei puzzle. I bambini non avranno di che lamentarsi, ma i più grandicelli troveranno nei combattimenti uno degli elementi meno riusciti del gioco, per la ripetitività e l’assenza di tipologie diverse di armi e attacchi, magari assegnate a costumi particolari, che avrebbe costituito anche un incentivo alla rigiocabilità. In assenza di questo, l’unico motivo per riprendere in mano Disney Universe una volta completati tutti i mondi, e che il gioco ribadisce piuttosto spesso, è che al “secondo giro” i nemici sono più tosti ma soprattutto si sbloccano altri
costumi! Per i bambini, così come per gli ossessivo-compulsivi e i maniaci da completamento, è davvero impossibile resistere! Claudio “keiser” Todeschini keiser@sprea.it
Commento Un titolo concepito essenzialmente per bambini e ragazzini, che ci si butteranno a pesce e non lo molleranno per un sacco di tempo, ma che non mancherà di esercitare il suo indubbio fascino anche sui più grandi (papà in primis). Il gameplay tende a diventare piuttosto ripetitivo, ma tra la grafica super-carina, le numerose minisfide, i costumi da sbloccare, la varietà di ambientazioni, personaggi e power-up, c’è di che finirlo in scioltezza. Meglio ancora se in due. Con qualche piccola aggiunta, in particolare nei combattimenti, avrebbe potuto puntare a un voto ancora più alto.
Varie e curatissime le ambientazioni Molto “Disney” in ogni suo aspetto Riuscito mix tra puzzle e azione Telecamera fissa Caotico con più di due giocatori
79
VOTO
Alcuni puzzle richiedono maggior tempismo e coordinazione, ma si tratta per lo più di sfide opzionali per la raccolta di collezionabili.
Dicembre 2011 TGM
75
CPU: Dual Core 2.0 GHz (Dual Core 2.2 GHz) RAM: 1 GB (2 GB) Scheda Video: NVIDIA GeForce 8000/ATI Radeon X1300+ da 512 MB Spazio su HD: 600 MB Connessione: ADSL
SVILUPPATORE: Double Fine Productions PUBLISHER: Double Fine Productions DISTRIBUTORE: Steam MULTIPLAYER: Assente LOCALIZZAZIONE: Sottotitoli PREZZO INDICATIVO: € 13.99
www.costumequestgame.com
Costume Quest “Un goniometro eh? Bravissima Lisa, peccato che non abbiamo gnomi da misurare...”. (Homer Simpson - S02E06, 1990)
C
arissima Double Fine, ci eravamo lasciati nel 2005, con quella perla di Psychonauts e ci ritroviamo solo oggi, quando il 2011 è ormai alle battute d’arresto e la conversione di Costume Quest, da XBLA, sembra tutto fuorché un prodotto realizzato con cura. Perché Tim? Cosa ti abbiamo fatto? Noi ti vogliamo ancora bene!
UN AMORE DIFFICILE A quei “duri e puri” che vivono di pane e schede video e che non hanno mai sentito parlare del gioco in questione, basterà sapere che, in origine, Costume Quest era un titolo in esclusiva per il mercato del digital delivery su console. Più di un anno fa, però, il “fuori parametro” Tim Schafer, fondatore dello studio che ha dato i natali anche al poco osannato Brutal Legend, aveva fatto scrivere, nelle FAQ presenti nella sua home page, che sarebbe tornato su PC quando avesse trovato i fon-
di per supportare il team impegnato nell’eventuale conversione. Evidentemente, i soldi trovati non devono essere stati molti, visto che, non bastassero le lacune tecniche, le indicazioni a schermo continuano a dirci che dobbiamo pigiare i tasti del controller Xbox 360. A ogni modo, piuttosto che mettersi subito a frignare per la scarsa attenzione dedicata alla versione distribuita su Steam, meglio concentrarsi sulla fortuna di poter tornare a divertirsi con un prodotto firmato Double Fine.
REYNOLD E WREN L’incipit narrativo è molto semplice: due giovani fratelli escono di casa, la notte di Halloween, per saccheggiare le case del quartiere dei tanti dolci che gli adulti, consenzienti, hanno messo loro da parte, come ogni 31 ottobre che si rispetti. A complicare la faccenda, però, ci si mettono degli gnomi/goblin orrendi che hanno
Costume Quest nasce come esclusiva per il mercato del digital delivery su console invaso la città per depredarla delle riserve di glucosio. Il fratellino del protagonista, a causa del suo travestimento semi perfetto, viene prima scambiato per una “poco pregiata” caramella gigante, quindi fatto prigioniero al pari di ogni altro corpo zuccheroso. Il compito del giocatore sarà quello di... sì, bravi, andare a salvarlo... era così facile?
MECCANICHE Costume Quest è un JRPG “old stile” a tutti gli effetti. I combattimenti avvengono secondo il classico schema a turni in ambienti estrapolati dalle location principali (come per i primi Final Fantasy), con tanto di tasti da premere al momento giusto, contrattacchi e mosse speciali. Ovviamente, la differenza con quanto si è abituati a vedere in prodotti orientali è che
i diversi elementi sono stati declinati secondo i tipici stereotipi americani inerenti la festa di Halloween. Ecco, allora, che il party sarà composto da bambini in apparenza innocui ma che, all’occorrenza, potranno attivare i poteri dei loro costumi per sconfiggere i nemici o risolvere piccoli enigmi legati alle quest secondarie. Il travestimento da patatine fritte di McDonald’s, ad esempio, servirà tanto come diversivo per distrarre altri bambini affamati quanto come arma da lancio per scagliare il sale grosso in eccesso contro gli avversari; quello da ninja, invece, se nella sua versione “liscia” permetterà al team di passare inosservato, nella sua versione “esplosa” darà la possibilità di occultare uno dei compagni durante lo scontro. A queste dinamiche si aggiungono svariate altre cose da fare,
L’attacco secondario impiegherà due turni pieni per caricarsi ed essere, finalmente, utilizzabile.
La quest del “mordere la mela nel catino” si ripeterà per tre volte, con un livello di difficoltà crescente (almeno quello...).
76
TGM Dicembre 2011
Review
IL PARERE DEL ToSo Costume Quest è un “giochino” capace di farsi amare sin da subito, complice uno schema di gioco per niente complicato e appagante. La qualità della scrittura è solida, e ricorda in più di un’occasione un altro titolo “irriverente”, quel Deathspank che forse ora ha stufato ma che, al tempo della prima uscita ci aveva fatto ridere di gusto. I costumi indossati dai bambini sono uno spasso da utilizzare, e riportano un po’ indietro nel tempo, quando le nubi nascondevano draghi, cavalieri e mostri di ogni genere. Onestamente, se non fosse per una conversione realizzata in maniera approssimativa, non ci sarebbero motivi validi per privarsi di un’esperienza piacevole e godibile, proposta a una cifra equa. Ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte… Davide “ToSo” Tosini
Le battaglie contro i boss non sono molte e con il party preparato a puntino non sarà nemmeno difficile avere la meglio.
ATTENZIONE! QUELLA BAMBINA CONOSCE L’ALGEBRA! Tutta l’esperienza di gioco, quest e subquest comprese, è improntata al principio della comicità cinica ed esilarante, sulla falsariga di quanto proposto da cartoni animati come i Simpson o South Park. Anche il design dei personaggi, in un semplice cel-shading caricaturale calato in scenari particolareggiati e realistici, sembra voler stemperare la tensione ludica e offrire, costantemente, elementi di distrazione o svago. La miscela, comunque, funziona alla perfezione e il perdersi per le strade di Auburn Pines o i negozi dell’Autumn Haven Mall, magari impegnati nella ricerca di una spada laser per illuminare i recessi bui del sottoscala del grande magazzino, è quanto mai spassoso. I personaggi
non giocanti, poi, sono tutti ben caratterizzati. Chiunque abbia anche solo un’infarinatura della tipologia dell’americano medio, forse derivante proprio dai cartoni animati citati a inizio paragrafo, non potrà che apprezzare il tentativo degli sceneggiatori di mettere in evidenza tutti i limiti e le ottusità che gli abitanti delle piccole cittadine statunitensi riescono a maturare grazie al connubio tra televisione e propensione al consumo. Le scelte in fase di character design, ovviamente, influenzano anche il registro recitativo, articolato in battute e frasi fatte senza soluzione di continuità, persino in quei momenti che, almeno in teoria, si è soliti vivere in maniera composta. Tutto sommato, anche a livello di gameplay non ci si può lamentare più del dovuto. Per quanto ripetitive, le missioni si susseguono con ritmo, senza impegnare troppo l’attenzione del giocatore, pur chiarendo con esattezza chi, cosa, dove, quando e perché si sta facendo una determinata azione. Pare forse scontato precisarlo, ma non è difficile trovare prodotti altrettanto sfiziosi e freschi, non in grado però di guidare il giocatore a perseguire determinati obiettivi o incapaci di non fargli venire a noia il cliccare tutto a casaccio (DeathSpank, anyone?).
Tutta l’esperienza di gioco è improntata al principio della comicità cinica ed esilarante didascalie
Ciascun personaggio può fregiarsi di un francobollo capace di regalare abilità speciali e potenziamenti di ogni genere.
Qualcuno vede controindicazioni nel farsi sparare da un cannone da circo?
CHE LA PATCH SIA CON VOI Quanto di buono si può trovare in Costume Quest, però, si scontra con una conversione tendente all’inaccettabile. Ferme restando le lacune non tecniche, quali l’assenza di una mappa utile all’orientamento o l’impossibilità di modificare l’angolo d’inclinazione della telecamera, ciò che lascia perplessi è il grado di improvvisazione del porting, che sembra essere stato preso di peso e scaraventato “as is” sui server di Valve, pur di farlo uscire in tempo per Halloween. Partendo dall’icona per l’eseguibile, che manca di una qualsiasi raffigurazione grafica, per arrivare all’assoluta necessità di giocare via pad (e fin qui...) con tanto di menù utile alla sua configurazione che però non funziona bene e che non si può nemmeno resettare, si passa addirittura per alcuni bug che impongono la rimozione e la re-installazione dell’intero pacchetto: un bel quadretto, non lo si può negare. Sia chiaro che non si è di fronte a nulla che impedisca al titolo di farsi portare a termine e lasciarsi giocare anche nella sua espansione compresa nel prezzo, ma è certo che l’utente PC, già allergico alle conversioni “tout court”, avrebbe preferito di gran lunga poter attendere ancora qualche mese il “dolcetto”, piuttosto che trovarsi al cospetto di uno “scherzetto” decisamente poco simpatico. Roberto “il Cinese” Turrini turrini.roberto@tgmonline.com
Commento Qualcuno lo ha definito come un JRPG per gente che ha fantasia e, tutto sommato, non è una definizione che si allontana troppo da ciò che ci si può aspettare da un titolo di Tim Schafer. Un gameplay semplice, una storiella strampalata e tantissima ironia, che si fondono in un’esperienza piacevole e divertente, grazie alla quale intrattenersi in maniera spensierata per non più di sei/otto ore. Il “7 in condotta” per una conversione da console che definire brutale sarebbe una gentilezza, però, non è possibile evitarglielo, anche perché tutti aspettavano il ritorno su PC di Double Fine da più di un lustro... e certe rimpatriate meriterebbero meno fretta e un po’ più di attenzione.
Cinico. Irriverente. Conversione brutale. Ripetitivo, alla lunga.
72
VOTO
come completare la raccolta di figurine dedicate ai dolci, recuperare tutti i componenti utili alla costruzione di nuovi e più potenti costumi, vincere sfide di velocità per sbloccare passaggi segreti, partecipare a gare paesane come quella del “mordere la mela in un catino d’acqua” o quella del travestimento più originale. Insomma, un sacco di carne al fuoco, per quanto, nei tre ambienti presenti, essa si andrà a replicare pressoché sempre uguale a sé stessa.
Dicembre 2011 TGM
77
BUDGET ZONE www.fxinteractive.com
CPU: Single Core 2 GHz (Single Core 3.2 GHz) RAM: Scheda Video: Una qualsiasi Spazio su HD: 3 GB Connessione: Nessuna
512 MB (2 GB)
SVILUPPATORE: Unicorn Games PUBLISHER: 1C Company DISTRIBUTORE: FX Interactive MULTIPLAYER: Internet LOCALIZZAZIONE: Completa PREZZO INDICATIVO: € 9.90
Real Warfare Anthology
La guerra medievale torna sui nostri schermi con tutto il suo cruento splendore, in una collezione ad alto tasso di tattica, ma leggera per il portafogli: il campo di battaglia chiama. Non rispondere sarebbe un peccato.
O
rmai da lungo tempo è in corso un’ampia rivalutazione del periodo medievale: laddove l’Umanesimo e l’Illuminismo vedevano una macchia oscura nella storia d’Europa, molti storici contemporanei individuano la nascita degli stati e delle lingue nazionali. Tutto molto bello, senza dubbio, ma parliamoci chiaro: a noi interessano le mazzate. Come bambini grassocci davanti alla Nutella, ci esaltiamo quando schiere di cavalieri corazzati da capo a piè si picchiano a vicenda con armi dalle più svariate fogge: noi, il Medioevo, vogliamo ricordarlo così. Fortunatamente, il videoludo
non è avaro di battaglie tanto virtuali quanto cruente, ambientate all’epoca di Templari, Saraceni e compagnia cantante. C’è Medieval II: Total War, ormai un classico venerando, ma ancora in grado di offrire una delle rievocazioni più evocative del periodo. C’è King Arthur, per chi gradisse, di contorno alle suddette mazzate, le sconce vicende di Lancillotto e Ginevra. E ci sono anche i titoli firmati Unicorn.
DALLA RUSSIA CON FURORE Unicorn chi? - diranno i nostri piccoli lettori. E in effetti non stiamo parlando di uno sviluppatore notissimo, alme-
Nei titoli della Real Warfare Anthology il controllo non si esercita su singoli soldati ma su interi reggimenti, composti anche da un centinaio di uomini no in Occidente. Unicorn appartiene a quella nuova leva – non più tanto nuova, visto che il fenomeno va avanti da diversi anni – di sviluppatori dell’Est europeo, che sanno supplire alla relativa mancanza di esperienza e di mezzi con buone idee e quella voglia di rischiare e sperimentare sempre più rara qui da noi. FX Interactive ha pensato bene di proporre al pubblico italiano,
in edizione economica completamente localizzata, due opere dei ragazzi di Unicorn: parliamo di XIII Secolo: la morte o la gloria e Real Warfare: 1242, inclusi nella Real Warfare Anthology. Si tratta di titoli piuttosto simili, non solo perché il secondo è seguito diretto del primo, ma anche perché c’è davvero poco che differenzi, a livello tecnico, l’esperienza di gioco, tanto
Le battaglie non sono collegate da una particolare connessione narrativa al di là della cornice storica della campagna.
Capita spesso di trovarsi al comando di una ventina di reggimenti e di un migliaio di uomini.
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TGM Dicembre 2011
Review L’interfaccia è ben fatta e, grazie alla ricchezza di icone, gli eserciti si controllano con facilità in battaglia.
La campagna di Real Warfare: 1242 permette di potenziare le statistiche delle truppe di Alexander Nevskij tra una battaglia e l’altra.
che se ne può parlare in maniera congiunta. Parliamo, in entrambi i casi, di tattici in tempo reale: ovvero, quella tipologia di giochi che i faciloni tendono a chiamare RTS ma che, giusto Cielo, non sono RTS! In titoli del genere manca qualsivoglia gestione delle risorse ed è il controllo tattico sul campo di battaglia a far la differenza. Nei titoli della Real Warfare Anthology, poi, tale controllo non si esercita su singoli soldati ma su interi reggimenti, composti anche da un centinaio di uomini: in sostanza, quello che avviene nelle battaglie tattiche di un qualsiasi Total War. Ed è proprio a questo che assomigliano, almeno superficialmente, i titoli Unicorn: a un Medieval II privato della componente strategica.
CUORE TATTICO In realtà, le meccaniche sono in una certa misura diverse, e a dire il vero più mature e realistiche, rispetto al titolo di Creative Assembly. Innanzitutto, si tratta di giochi più lenti e ragionati, che tengono in maggior conto la manovra e puniscono severamente il ricorso al mischione disordinato. In secondo luogo, offrono una serie di battaglie preparate accuratamente come puzzle tattici, piuttosto che scontri generici. Sul campo, qualsiasi fattore è importan-
te: la stanchezza e il morale degli uomini, il loro addestramento e l’equipaggiamento che portano, persino la presenza o meno di unità amiche a proteggere i fianchi. Imparare a valutare tutti questi elementi diventa ben presto fondamentale, dal momento che le battaglie ci vedono spesso in inferiorità numerica e il trionfo è possibile solo sfruttando al meglio i mesti tapini posti sotto il nostro comando. L’assortimento di truppe è, a dire il vero, piuttosto classico, e non offre nessuna truppa particolarmente eccentrica: un generico inventario di frecce, lance, spade, mortaretti e castagnole, per dirla con Totò. In questo senso, è in forza il classico sistema da morra cinese: i picchieri battono la cavalleria e subiscono da arcieri e spadaccini, e così via. Le nazionalità sono moltissime, ma non sussiste, purtroppo, una reale differenza fra di esse, e gli eserciti si gestiscono tutti in modo simile – ad eccezione dei Mongoli, tutti a cavallo come vuole la tradizione cinematografica. Si distinguono dal grigiore i nobili, cavalieri pesanti che scendono in battaglia con la propria particolare veste araldica: un piccolo tocco di classe, per un’epoca in cui fioccavano i duchi-conti. D’altra parte, questa generale piattezza delle truppe non si avverte moltissimo, visto che
I balestrieri sono, come da tradizione, molto efficaci contro i bersagli corazzati ma lenti a ricaricare e vulnerabili alla cavalleria.
sono le situazioni, il terreno e la tattica, più che la natura degli eserciti, a segnare l’esperienza di gioco. XIII Secolo porta in tavola una consistente offerta, composta da cinque campagne standard più una speciale, tutte ambientate, non troppo sorprendentemente, intorno al 1200. Quasi una trentina di battaglie, in fin dei conti, tratte dalla storia inglese, tedesca, francese, russa e mongola. Alcune famose – a Falkirk, come tutti sanno, combatté Mel Gibson – altre meno, ma comunque importanti: riprodotte, a dire il vero, con più occhio al gameplay che alla realtà, ispirate ai libri di storia più che dettate da essi. Ci troveremo a combattere sul ghiaccio, dalla parte sbagliata di un fiume, ai piedi di una collina, in una grande varietà di paesaggi, tale da imporre un attento studio del campo di battaglia. Real Warfare abbassa il tiro con una singola campagna, ispirata alle imprese di Alexander Nevskij, eroe nazionale russo poi esaltato da Eisenstein, lo stesso regista della famigerata “Corazzata Potemkin”. In questo caso, il numero di battaglie è ridotto, ma la coesione è più forte, e diviene possibile potenziare le proprie unità fra un combattimento e l’altro. Questa particolare struttura è sia il punto di forza che il principale limite dei titoli di Unicorn: le sfide sono stimolanti, impegnano e divertono, ma solo una volta. Parliamo, infatti, di puzzle tattici che
spesso possono essere risolti solo in un modo: sciolti i nodi, non c’è più alcun reale motivo per tornare indietro, complice anche l’Intelligenza artificiale valida, ma fortemente scriptata e adattata ad arte al contesto di un singolo scontro. Detto questo, la scelta è ampia e il prezzo del biglietto basso, quindi non ci si può lamentare troppo. Per chi non ne avesse mai abbastanza, poi, c’è anche una modalità di battaglia rapida e il multiplayer – che, però, non pare più frequentato.
BATTAGLIE PER TUTTI
Due giochi ben fatti, intelligenti, senza eccessive pretese ma certo capaci di intrattenere: situazioni peculiari, ampia varietà di parametri e un’ambientazione storica evocativa. I tattici in tempo reale sono, spesso, giochi più profondi della media, e i titoli di Unicorn non smentiscono questa tendenza: la sfida c’è ed è anche ostica, roba da lambiccarsi il cervello per un po’. Forse la longevità non è alle stelle e la grafica non esalta, ma per un obolo di circa dieci euro c’è davvero tanta carne al fuoco, ed è carne di qualità.
La Real Warfare Anthology offre un’interessante selezione di battaglie storiche. Particolarmente benvenute, da un punto di vista storiografico, quelle riprese dalla storia russa, spesso sconosciute in Occidente, che ripercorrono i conflitti con i Cavalieri Teutonici e i Mongoli. Bella anche la campagna francese, con due battaglie avvenute in Italia, Benevento e Tagliacozzo, che aprirono la strada alla dominazione angioina. La campagna inglese, invece, ci mette della parte dei “cattivi” del film Braveheart, con il compito di piegare la resistenza scozzese a Falkirk e mandare al Creatore il testosteronico William Wallace.
MEDIOEVO IN SALDO Dal punto di vista tecnico, i due titoli non sono più sulla cresta dell’onda. L’impatto generale non è malaccio, ma aumentando lo zoom ci si rende conto di come le animazioni siano un po’ dozzinali e le mischie riprodotte in maniera approssimata. Belli gli stemmi araldici e alcune livree, ma le truppe lamentano, generalmente, una certa penuria di dettagli. C’è da dire, inoltre, che non si nota una differenza grafica consistente fra i due titoli, sebbene Real Warfare sia più recente. Di buon livello la traduzione italiana, anche abbastanza ricercata nei termini. In fin dei conti, un bel pacchetto, non certo tripla A ma in grado di regalare divertimento di qualità. Sun Tzu
Commento
Qualità Prezzo
XIII Secolo porta in tavolo una consistente offerta, composta da cinque campagne standard più una speciale, tutte ambientate intorno al 1200
5/5
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TGM Classic PHANTASMAGORIA Claudio “keiser” Todeschini keiser@sprea.it
Anno di uscita: 1995 Sviluppatore: Sierra Online Dove trovarlo: GOG.com, 9.99 $
Soppiantato lo scorso mese per lasciar spazio alla Formula 1 di GP2, Phantasmagoria era il titolo perfetto per il numero uscito appena prima di Halloween. Ma non è mai troppo tardi per un brivido di paura lungo la schiena... Chi si trova in difficoltà può sempre cliccare sul teschio in basso a sinistra, che regala discreti “suggerimenti”, spiattellando la soluzione cercata.
L
a premessa di Phantasmagoria è piuttosto banalotta, ma non è priva di un certo fascino inquietante: i giovani sposi Donald e Adrienne si sono appena trasferiti in una vecchia magione, abitata nel secolo scorso dal misterioso illusionista Zoltan Carnovash, le cui quattro mogli sono scomparse senza lasciare traccia. Tutti gli abitanti del piccolo villaggio vicino, manco a dirlo, temono quel luogo come la morte, e lo tacciano di essere maledetto. Il capelluto Donald, vero macho anni Novanta, è un giovane fotografo rampante interessato a fotografare le foreste di quei
Il gioco venne distribuito su ben 7 CD! Un trauma, per tutti coloro che festeggiarono l’avvento dei supporti ottici come la fine del “disk swapping”!
luoghi; Adrienne è invece una scrittrice che, spinta dalla sua innata curiosità, si mette a girovagare per la casa e le sue enormi stanze, piene di misteri, fino a scatenare una maledizione che si abbatte su Don. Man mano che si procede nel gioco verrà a galla una storia di segreti inconfessabili e magie oscure, risvegliate da Zoltan nei suoi deliri di onnipotenza, e che toccherà ad Adrienne tacitare per sempre, prima di finire nelle grinfie del pazzo che vive con lei e che una volta era suo marito. Come dicevamo, niente di trascendentale, ma co-
Ecco come appaiono i filmati di intermezzo. Chi sostiene che i giochi in FMV sono morti anche per colpa dei limiti tecnologici dell’epoca non ha tutti i torti.
Lo stupro commesso dal marito, ormai in preda alla follia, rappresenta una delle sequenze chiave del gioco, il punto di non ritorno della storia 80
TGM Dicembre 2011
munque godibile come un onesto B-movie estivo. Quel che colpisce di Phantasmagoria è la narrazione svolta con la tecnica del Full Motion Video, ossia attori in carne e ossa che recitano su fondali realizzati al computer, e che venne erroneamente accolta come la nascita dei “film interattivi”. Sedici anni fa il gioco ebbe un successo incredibile, decisamente superiore alle sue qualità, sia per l’uso intensivo di attori che recitano nel gioco, una vera novità per l’epoca, ma soprattutto per la quantità di violenza (spesso gratuita, e talmente eccessiva da risultare in alcuni casi quasi comica) che permea tutti e sette i capitoli che ne compongono la storia: torture, abusi, splatter, sangue e viscere, morti truculente, scene di sesso, e persino uno stupro commesso dal marito, ormai in preda alla follia. Pur rappresentando una delle sequenze chiave del gioco, il punto di non ritorno della storia, oltre il quale non è più possibile abbandonarla ma si sente il bisogno di conoscerne la fine, potete immaginare il codazzo di polemiche che si è portata appresso. Tutt’altro che gratuita, quella scena è fondamentale (anche se la stessa Williams ha confessato, diversi anni più tardi, di essere stata incerta fino all’ultimo sul suo inserimento nel gioco) nella relazione tra Don e Adrienne, per come racconta la pazzia che si è ormai impadronita
Tutte le viscere presenti in quel contenitore dove andranno, secondo voi? Disturbante.
TGM Classic Figlia dei suoi tempi, ma comunque irritante, l’assenza della mappa: se non vi piace girare a vuoto, giocate con carta e penna a portata di mano.
I capitoli del gioco possono essere affrontati in qualsiasi ordine: poi però non lamentatevi se vi sfugge qualcosa della trama!
Phantasmagoria ha osato raccontare (e mostrare) ciò che fino a quel momento non era mai stato fatto vedere in un videogame: una storia adulta, matura, scabrosa e spaventosa dell’uomo, e l’amore che lei continua ostinatamente a nutrire nei suoi confronti; dal punto di vista narrativo, la relazione tra i due coniugi è probabilmente l’aspetto meglio approfondito e curato, quello con il quale si entra maggiormente in contatto e che appassiona davvero, mentre la trama principale, quella della casa stregata, dei paesani spaventati e del folle Zoltan tende a essere un po’ troppo stereotipata e poco coinvolgente (tranne forse il capitolo finale, davvero inquietante e dal ritmo serratissimo). Nel suo complesso, il gameplay di Phantasmagoria rimane quello di un’avventura grafica punta e clicca dove, al posto di un personaggio disegnato, si muove un attore (attrice, in questo caso), che deve però sempre esplorare, interagire con gli oggetti, chiacchierare con altra gente e via discorrendo. L’interfaccia è piuttosto povera (anche se occupa metà dello schermo): mancano le icone per le diverse interazioni con l’ambiente, che fino a quel momento erano state la norma, e persino il cursore interattivo che cambia forma a seconda dell’azione che è possibile svolgere sull’oggetto corrente, limitandosi a diventare rosso in corrispondenza di un “hot spot”. È il gioco a occuparsi di tutto, compiendo ciò che è necessario con il semplice click del tasto sinistro. E gli enigmi non sono certo complessi, al contrario! E non per questioni di interfaccia: in molti casi sembrano messi lì più per allungare il tempo di gioco, per tenere fintamente impegnato il giocatore e costringerlo a seguire un percorso lineare, che per presentargli una vera sfida. Nel primo capitolo, per esempio, si trova un passaggio in un muro di mattoni: per superarlo occorre per forza di cose usare un tagliacarte “camuffato” da fermacarte, e solo quello, anche se nell’inventario è presente un martello, ben più adatto allo scopo. Dal punto di vista tecnico, nonostante un budget di quattro milioni di dollari e due anni di lavoro,
Phantasmagoria è invecchiato maluccio: oggigiorno i suoi filmati in formato francobollo (interlacciati, per di più!) appaiono davvero bruttini, così come la grafica dei fondali, realizzata in computer graphic. Ciononostante, le geometrie assurde della casa e i suoi colori sgargianti aggiungono tensione e inquietudine mentre si gioca, trascinandoci in un incubo barocco fatto di camere arredate in maniera esagerata, piene di specchi e broccati rosso acceso, oro e marmo. Il set ideale per un film horror, arricchito da una colonna sonora davvero ispirata, scritta e suonata da veterani di Sierra come Mark Seibert e Jay Usher, che si mantiene paurosa e spaventosa per tutta l’esperienza, e che, di quando in quando, nei momenti più intensi, esplode in un turbinio di percussioni e organo: non è un caso che sia stata messa in vendita separatamente su CD (e non è purtroppo disponibile nel bundle di GOG.com). Phantasmagoria è un titolo tutt’altro che perfetto: puzzle praticamente non esistenti, una recitazione stentata che sfocia spesso nell’amatoriale, un’interfaccia utente che insomma... Ma il gioco in questione merita comunque un posto in questa rubrica perché all’opera di Roberta Williams molti meriti vanno riconosciuti, e non solo quello di aver contribuito – insieme a Myst, a 7th Guest e tanti altri – alla diffusione di massa dei CD-ROM nei computer di mezzo mondo. Innanzitutto perché, al netto dei suoi difetti, rimane un horror tutto sommato godibile, con i suoi “momenti” di paura e un’atmosfera indubbiamente inquietante e tesa. Le scene più gore possono risultare raccapriccianti o disturbanti anche per chi è abituato ai film horror più moderni, e gli ultimi due capitoli sono davvero ricchi, almeno dal punto di vista narrativo. L’ultimo, in particolare, con la sua conclusione (che ad alcuni non è piaciuta) in tempo reale ma non priva di colpi di scena. A questi si aggiungono un paio di altri motivi: essere stato il primo videogame a rivolgersi a un pubblico di giocatori non sfega-
Ehm, in certe occasioni in effetti l’abito cambia...
Il perfido Zoltan alle prese con un “divorzio”.
La storia si dipana nell’arco di una settimana, ma Adrienne non si cambia mai d’abito. Poi ha un bel lamentarsi che suo marito va fuori di testa!
tati, una categoria a cui oggi facciamo riferimento tutti i giorni con la locuzione “casual gamer”, ma che quindici anni fa non esisteva formalmente, e per questo si è rivelato una cocente delusione per gente abituata a sfide molto più impegnative. Più di tutto, però, ha osato raccontare (e mostrare) ciò che fino a quel momento non era mai stato fatto vedere in un videogame, non in maniera così esplicita, urlando – letteralmente – al mondo che le storie fatte di bit e pixel possono essere “adulte”, mature, scabrose e spaventose tanto quanto quelle che leggiamo sui libri, nei fumetti o vediamo al cinema e in televisione.
E SE MI APPASSIONASSI AI GIOCHI IN FMV? Allora buon divertimento! Di materiale non ne manca di certo, specialmente se avete una certa predilezione per l’horror, che maggiormente ha contribuito a ingrossare le fila di questo genere in gran voga negli anni Novanta. Nel 1996, un anno dopo il primo capitolo di quella che sarebbe inizialmente dovuta essere una trilogia, Sierra pubblicò Phantasmagoria 2, caratterizzato da una trama e un’ambientazione del tutto diversi dall’originale. Se vi piacciono le case stregate, gli enigmi facili e le colonne sonore memorabili, potete riscoprire The 7th Guest e The 11th Hour di Trilobyte, ri-pubblicati recentemente anche per iOS. Il miglior titolo di questo “genere” rimane comunque The Beast Within: A Gabriel Knight Mystery, anch’esso disponibile su GOG.com a 5.99 $. Se prediligete il genere noir/ investigativo, gettatevi a capofitto su Tex Murphy, in particolare sui suoi ultimi tre casi: Under a Killing Moon, The Pandora Directive e Overseer. Ma per farsi un’idea di quel che erano i film interattivi in quegli anni, e le aspettative che nei suoi confronti nutriva il mondo dell’intrattenimento, Hollywood in particolare, sappiate che sono uscite anche robacce assai meno riuscite come Frankenstein: Through the Eyes of the Monster, con Tim “The Rocky Horror Picture Show” Curry nei panni del dottor Victor Frankenstein; Black Dahlia, con Dennis Hopper e Teri Garr; ma soprattutto Ripper, con un cast che oggi definiremmo stellare: Christopher Walken, Tahnee Welch, Burgess Meredith, Karen Allen, David Patrick Kelly, John Rhys-Davies e un allora sconosciuto Paul Giamatti. Le robe dei matti, appunto. Dicembre 2011 TGM
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Indie zone Roberto “il Cinese” Turrini turrini.roberto@tgmonline.it
Coming Soon
Q
uesto mese, con qualche settimana di ritardo, voglio riprendere le fila del discorso iniziato dal ToSo nel suo editoriale apparso sul numero dello scorso settembre (il 276). Il giovane [e di belle speranze] paullese lamentava, con cognizione di causa, che la concentrazione dei titoli in arrivo in quello che, allora, era solo l’inizio della stagione autunnale, avrebbe impedito a qualunque malcapitato di usufruire di tutto ciò che era in uscita, anche se fosse rimasto incollato al monitor 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Verso la fine della sua digressione, il caporedattore preferito dalle italiane ipotizzava addirittura che la carne al fuoco “non fosse semplicemente tanta, ma più realisticamente troppa” e che, tosto o tardi, chiunque avrebbe dovuto operare delle scelte, “dagli esiti per nulla scontati”: Cod o Battlefiled? Fifa o Pes? Batman o Assassin’s Creed? Se volessimo traslare questo “dato di fatto” dal mercato mainstream a quello indie, le cose non farebbero che peggiorare. Se il tam tam mediatico della stampa di settore ricorda a tutti, tramite il susseguirsi di hands-on, preview, interviste, speciali e review, che il titolo tripla A sta per essere pubblicato e che è già possibile fare preorder per la limited, ai videogiochi indipendenti, spesso e volentieri, viene dedicato solo una piccolo box, tra l’altro capace di rimanere in home page giusto il tempo di farsi sostituire da una news più fresca o accattivante. Niente di nuovo o che tutti non sappiano già, per carità... solo che il prenderne piena coscienza permette di comprendere quante poche risorse vengano ancora destinate, in linea di massima, a questo cul de sac dell’industry. Volendo prendere, quale terreno di analisi, la qui presente IndieZone, che nei suoi otto mesi di vita certo non può definirsi una veterana della stampa specializzata, è possibile tran-
Evolution, di Dan Goodsell (mistertoast.com - 2011)
Per segnalazioni, osservazioni e insulti, il mio indirizzo di posta elettronica vi e amico. turrini.roberto tgmonline.it
“Talvolta o spesso un uomo si infila in un "cul de sac"; volontariamente o no si entra in un tunnel nel quale, andando avanti, non si intravede la luce e indietro non si può tornare”. (Roman Polanski, 1966) quillamente osservare che, se sono stati catalogati oltre 300 titoli, in archivio ce n’è almeno un altro centinaio che aspetta di essere, prima provato, quindi inserito nella lista dei “degni” di essere, prima o poi, recensiti sulle pagine di The Games Machine. A complicare tutto questo ci si mettono anche gli stessi studi di sviluppo, in particolar modo quelli meno organizzati, che fanno slittare la pubblicazione senza comunicarlo o impiegano anni prima di portare a termine il lavoro (Monaco, anyone?). Sempre per rimanere nella certezza statistica del giardino di casa, per la IndieZone si stanno monitorando una ventina di titoli, in apparenza promettenti, che avrebbero già dovuto uscire e che, per un motivo o per l’altro, non hanno ancora messo il naso fuori dalle rispettive cantine. Il problema, quindi, è che, quotidianamente, questa lista d’attesa ingrassa in maniera esponenziale. Se nei primi mesi, infatti, ne veniva annunciato uno ogni dieci giorni [di videogiochi sfiziosi], ora iniziano ad essere un paio alla settimana... e non voglio immaginare cosa accadrà sul finire dell’anno, quando si comincerà a sentire l’odore di Global Game Jam 2012 e di Indipendent Game Festival presso la GDC di San Francisco. Che sette pagine al mese, presto, possano non essere più sufficienti? 8
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L'arte del brutto A cura di Simone “Karat45” Tagliaferri (simone.tagliaferri@gmail.com)
Siamo sicuri che le esperienze videoludiche che rimangono nella memoria siano soltanto quelle che si adeguano a certi canoni di bellezza?
S
e penso all’epoca dell’Amiga 500, tra i vari giochi che hanno segnato la mia adolescenza, vengono fuori anche titoli dalla qualità dubbia; roba che meriterebbe l’oblio e che, invece, fa parte a pieno titolo della mia ‘cultura’ videoludica. I, Ludicrus; All Dogs go to Heaven o Human Killing Machine, come dimenticarli? Non crediate che sia strano. In fondo anche i professori di una classe imparano prima i nomi degli studenti migliori e peggiori (non necessariamente in quest’ordine), poi gli altri. La “bruttezza” è una qualità estetica quanto la bellezza ed è normale che, affianco ai capolavori, spesso ci si diverta a ricordare e stilare l’elenco dei titoli peggiori di sempre. Chi non conosce il racing game Big Rigs o il famigerato Superman per Nintendo 64? Sono gli estremi a rimanere stampati sia nella memoria individuale sia in quella collettiva, mentre tutto ciò che sta in mezzo è destinato all’oblio e all’insignificanza. È per questo che in mano ad alcuni autori soprattutto quelli provenienti dalla scena indie, la bruttezza può diventare una vera e propria forma poetico/espressiva, una strategia di rappresentazione del mondo consapevole che attrae in
quanto tale e diventa parte del gioco stesso, mettendo in secondo piano alcuni degli elementi considerati imprescindibili in produzioni maggiori.
Il processo d’identificazione Prendiamo il recente The Art Piece as a Video Game (http://ghettoblasters.deviantart.com/art/ THE-ART-PIECE-AS-A-VIDEO-GAME-262590259), piccolissima produzione di ~GhettoBlasters formata da una sola schermata. Il gioco in sé è un platform game in flash oggettivamente brutto, con un gameplay di una povertà assurda che richiede di raccogliere dei pezzi di pizza sparsi per la mappa e raggiungere infine la cima dello schermo, evitando nel contempo le creature demoniache che infestano le piattaforme. È lecito chiedersi cos’abbia di bello un titolo simile e, soprattutto, perché sia stato fatto. Eppure, guardandolo meglio, è chiaro che quell’accumulo di elementi abbia qualcosa di affascinante. La spartanità di ogni singolo aspetto viene compensata dalla ripetizione e dal ritmo di posizionamento degli oggetti nello spazio di gioco, disegnato come un collage di luoghi e colori che
Titoli come The Art Piece as a Video Game hanno una loro identità distinta che non ha senso mettere a confronto con i canoni del bello videoludico The Graveyard ha accentuato lo stacco tra i videogiochi tradizionali e i cosiddetti art games.
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indicare cosa è e cosa non è videcreano un quadro dall’appeal inogioco. Prendiamo ad esempio The negabile. Il fascino della visione Graveyard (http://tale-of-tales.com/ è legato a un limite oggettivo del TheGraveyard/) dei Tale of Tales, cervello umano che, non riuscentitolo di rottura in cui l’anziana sido a leggere contemporaneamente gnora protagonista è la negazione tutta la complessità dell’immagidell’eroe videoludico, a partire dalne, in un certo senso ne amplia i la lentezza dei suoi movimenti, confini ideali deformandone la perche riproducono l’arrancare tipicezione. Basta raccogliere tutti i co delle persone di una certa età. tranci di pizza e uccidere i nemici Non è la classica vecchietta da per ritrovarsi improvvisamente in videogioco easy, simpatica, irriveun luogo idealmente più piccolo e rente e agilissima come può essere oggettivamente più vuoto. la protagonista di un Granny in PaIl problema, per i videogiocatori e, radise qualsiasi. È una ‘vecchia’ soprattutto, per la critica, è riuscinel senso più duro del termine, re a posizionare produzioni simili che vive in bilico tra la vita e la in un contesto coerente, procedenmorte, portandosi dietro il peso do per riconoscimenti più che per della sua esistenza mentre attragiudizi definitivi. Di fatto, titoli coversa un lugubre cimitero. L’età è me The Art Piece as a Video Game incisa sul suo volto rugoso e pase tutti quelli di cui parleremo a sito che assume, di contrasto, la breve, hanno una loro identità dibellezza del tempo e celebra la fustinta che va scoperta e che non gacità effimera di tutte le cose, ha senso mettere a confronto con anche le più grandiose. i canoni del bello videoludico comunemente usati per esprimere giudizi per A una prima occhiata direste
The Art Piece as a Video Game è un’opera che va vista in movimento.
che Don't Look Back è un titolo emozionantissimo?
Edmund ha fatto molto parlare di sé nella scena indie e, pur senza avere meriti particolari, è citatissimo per i suoi contenuti estremi.
Super Columbine Massacre RPG! è riuscito ad andare a fondo nel massacro della Columbine più di alcuni saggi scientifici o pseudo tali.
Se provassimo a immaginarlo con un protagonista e un mondo di gioco dettagliati e colorati, ne ammazzeremmo il senso, rinchiudendolo in un recinto La bruttezza come ricerca interiore In Don't Look Back (http://www.kongregate.com/games/TerryCavanagh/ dont-look-back), Terry Cavanagh esegue un’operazione di sottrazione, ovvero riduce all’osso gli elementi visivi privandoli di dettagli e rendendoli spigolosi. Eppure, di fronte alla povertà tecnica, è difficile non rimanere affascinati da questo piccolo titolo in flash. Il tema è quello classico del viaggio all’inferno, ci sono nemici e boss come nei videogiochi tradizionali, ma a dominare su tutto è una cappa di malinconia, sottolineata dalla monocromia dello scenario e da pochi elementi di contorno come la pioggia o gli alberi spettrali, che esplode in un finale amaro e sconvolgente. Verrebbe da chiedersi come abbia fatto Cavanagh a comunicare uno stato emotivo così profondo, pur ancorandosi a un minimalismo della rappresentazione che, decontestualizzata, può apparire come semplicemente brutta. Eppure funziona e fun-
Phone Story cerca di colpire il sistema dall’interno.
ziona a tal punto che Don’t Look Back ha trovato ben poche persone disposte a criticarlo per la sua relativa povertà e bruttezza. Molti sono stati costretti ad ammettere di essere rimasti affascinati dal gioco, pur avendolo trovato disgustoso e ridicolo a una prima occhiata. La verità è che Don’t Look Back, per come è stato concepito, non poteva essere differente. Se provassimo a immaginarlo con un protagonista e un mondo di gioco dettagliati e colorati, ne ammazzeremmo il senso, rinchiudendolo in un recinto che non gli appartiene.
Il punto di vista del mostro Lo stesso discorso è fattibile per Edmund (http://forums.tigsource. com/index.php?topic=7086.0), ma in un verso completamente opposto. Edmund è un titolo di Paul Greasley, realizzato per la Adult/Educational Compo di TIG Source. Il tema del gioco è tra i più controversi perché mette il giocatore nei panni di uno stupratore seriale e gli impone di viaggiare all’interno della sua psiche. Non è difficile ammettere che provandolo lo si possa rifiutare completamente, soprattutto quando costringe a stuprare una donna per andare avanti. Eppure il gioco non ha una rappresentazione grafica realistica: i personaggi sono degli ammassi di pixel e gli scenari sono appena delineati nei loro tratti essenziali. E allora cos’è che disturba in Edmund più che in un FPS qualsiasi dove si massacrano impunemente centinaia di esseri viventi? Edmund esprime un punto di vista non comune, quello della mostruosità. Ciò che molti giocatori non hanno accettato è la sospensione del giudizio nel momento
in cui avviene lo stupro, reso parte della rappresentazione attiva e a-moralizzato. Greasley usa l’atto sessuale violento in senso simbolico, piegandolo all’economia generale dell’opera (non certo giustificandolo, come diventerà chiaro nel finale), ma il giocatore, non trovando subito la sicurezza di un giudizio morale conforme alle sue aspettative, purtroppo alleggerite dal fatto di trovarsi di fronte a un videogioco e non a un film o a un libro, è portato a rifiutare di dover compiere un’azione che viola i principi del suo io cosciente. Lo stesso rifiuto si è manifestato per un altro titolo decisamente controverso, Super Columbine Massacre RPG! (http://www.columbinegame.com/) che ha tentato di raccontare i fatti della Columbine attraverso delle meccaniche ludiche. Molti criticarono l’autore, Danny Ledonne, più per il fatto di aver usato il medium videogioco per affrontare certi argomenti, che per l’opera in sé, invero piuttosto profonda e articolata, sicuramente migliore di molti saggi dedicati all’argomento che non facevano altro che ribadire il punto di vista del loro committente politico. Parlando in senso stretto, non c’è niente di bello nel gioco, sia graficamente, sia a livello di gameplay, eppure mai come in questo caso la bruttezza diventa un vei-
colo per cercare di comprendere ciò che ha mosso i due assassini, cercando di ricostruirne la cultura e il background culturale, ovvero cercando di assumerne il punto di vista al di là di qualsiasi giudizio morale. Che poi è quello che spesso fanno i grandi scrittori e i grandi registi.
La bruttezza come verità Infine, esiste un tipo di bruttezza videoludica che mira a concentrare il messaggio del gioco, togliendo tutte le possibili distrazioni. Un titolo come You Shall Know The Truth (http://www.kongregate.com/ games/JonasKyratzes/you-shallknow-the-truth) di Jonas Kyratzes, nato sulla scia di http://wikileaks-stories.com/, sito che mira a raccogliere tutti i titoli dedicati all’affaire Wikileaks, mette in gioco solo gli elementi necessari a esprimere la sua aderenza e al progetto socio/politico di Assange, facendosi mezzo di denuncia e mettendo in secondo piano la raffinazione delle meccaniche ludiche. In questo caso, come anche, per fare un altro esempio, in Phone Story (http://www.phonestory. org/) di Molleindustria, che racconta lo sfruttamento e la privazione dei diritti dietro al processo produttivo dell’iPhone e degli oggetti tecnologici tutti, il gameplay viene legato al significato e la spigolosità di certe scelte, così come i limiti imposti dai temi trattati, diventano una necessità per raggiungere il fine comunicativo voluto. Anzi, diciamo di più: la ricerca di un gameplay più piacevole farebbe solo male a questi prodotti, che, intrattenendo troppo, finirebbero per perdere parte della loro forza. Cercando la “bellezza” a tutti i costi farebbero abiura dello scopo per cui sono nati e da pugni nello stomaco diverrebbero delle semplici carezze. 8
In You Shall Know The Truth la rappresentazione non può prescindere dal messaggio.
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Experimental Gameplay Project Roberto “il Cinese” Turrini turrini.roberto@tgmonline.it
“Un nome, un programma”, diceva qualcuno...
N
ella primavera del 2005, quattro studenti dell’ Entertainment Technology Center presso la Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in Pennsylvania (USA), si chiusero in una stanza per un intero semestre e, uno contro tutti, non si dedicarono ad altro che non fosse lo sviluppare videogame. Le regole di questa [ancora sconosciuta] competizione erano solo tre: 1 - ogni gioco doveva essere realizzato, al massimo, in sette giorni; 2 - ogni gioco doveva essere frutto del lavoro, al massimo, di una persona; 3 - ogni gioco doveva ruotare attorno ad un tema comune e univoco (ad esempio: “vegetazione” o “gravità”). Una volta raggiunto l’obbiettivo di sviluppare 50 titoli, i quattro ragazzi si resero conto di quanto, anche grazie all’attenzione della stampa di settore e all’incredibile traffico web generato dall’iniziativa, l’esperimento si fosse trasformato in un qualcosa di molto più grande delle loro aspettative. Più che sui videogiochi, infatti, il loro lavoro si era involontariamente focalizzato sulla definizione di una pratica di sviluppo da loro stessi denominata “crazy”. I tanti feedback ricevuti, inoltre, per lo più vertevano su domande del tipo: “Come fate a sviluppare giochi così velocemente?” e “Come possiamo farlo anche noi?”. Ciò che era nato come un’e-
Leaf, di Grapefrukt (2009)
sercitazione, divenne, quindi, un piccolo saggio dal titolo: “Come creare un prototipo di un videogioco in soli 7 giorni”. Nonostante, di lì a poco, ognuno dei protagonisti si laureò e prese strade professionali differenti, i quattro continuarono e continuano tuttora a portare avanti il progetto iniziato all’università, arricchendolo di competizioni aperte a tutti, manifestazioni mensili a tema e reprise di prototipi lasciati a metà, come il famoso World of Goo, che Kyle Gabler e Ron Carmel hanno rifinito sullo scheletro dell’originale Tower of Goo. Sul sito dedicato all’iniziativa sono presenti tutti i giochi realizzati sotto il cappello dell’Experimental Gameplay Project e, per quanto la navigazione tra i prodotti disponibili necessiti di essere migliorata, è possibile trascorrere diverse sere in compagnia di giochi tutt’altro che banali o anonimi, nonostante il regime di risorse scarse all’interno del quale sono stati sviluppati. Le segnalazioni che seguono sono il frutto di una prima selezione, anche perché di prodotti meritevoli di menzione ce ne sarebbero diversi. Ad ognuno, quindi, il compito di trovare i suoi preferiti.
Invasion, di Vamsi Krishna (2011) Il tema è quello della narrazione e la difficoltà principale della sfida con-
Invasion, di Vamsi Krishna (2011) siste nell’offrire un’esperienza di gioco che sia coinvolgente tanto nel gameplay quanto nello storytelling. Invasion, al pari di un librogame degli anni ‘80, cerca di fondere i due elementi in un unicum ludico e, considerato il contesto, non si può dire che non sia riuscito nell’intento.
Leaf, di Grapefrukt (2009) Nato durante una passeggiata, Leaf è stato realizzato durante la competizione dedicata all’arte e, in questo senso, è possibile anche a giustificare un gameplay che stenta ad essere inquadrato come tale. L’atmosfera generale, però, riesce a restituire con efficacia le sensazio-
Blow, di Kyle Gabler (2005)
ni provate in autunno, quando ci si perde, dopo la pioggia, ad osservare il giallo e rosso fuoco delle foglie bagnate, che con moto ondulatorio precipitano al suolo.
On a raining day, di Shalin Shodhan (2005) “Piove, governo ladro” (da Il Pasquino, 1861) e al giocatore è lasciato il compito di riparare dall’acqua le tante barchette di carta impegnate ad attraversare lo schermo da sinistra a destra. Per farlo, si dovrà costruire un albero di mani, che dovranno afferrare tanti ombrelli, quanti saranno quelli necessari a proteggere, nella sua totalità, il suolo sottostante.
Blow, di Kyle Gabler (2005) Di primo acchito, Blow potrebbe lasciare interdetti. Nessun sistema di controllo, nessun obiettivo da raggiungere, nessuna trama da seguire... un non-videogioco. Poi, quando lo si inquadra nel frame del gameplay sperimentale, il fatto che per sparare all’unico elemento in movimento, un palloncino, si debbano battere le mani, acquista tutto un nuovo significato... e lo fa anni prima dell’arrivo di qualsivoglia Kinect!. 8
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»Sviluppatore: Sebastien Genvo »Sito: www.expressivegame.com
Keys of a GameSpace voto
Roberto “il Cinese” Turrini turrini.roberto@tgmonline.it
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"Quando uno spettacolo naturale viene esageratamente accentuato, finisce per assumere un tono troppo realistico, così che colpisce i nostri occhi a detrimento della mente". (Paul Gauguin, 1890) Dal punto di vista del gameplay, il titolo è un punta e clicca idiota, che non ha nulla da dire a nessuno
P
rima di inquadrare Keys of a GameSpace bisogna prendersi tutto il tempo per digerire il fatto che, un videogioco, possa anche dare fastidio o, meglio, che la trama o le tematiche da esso trattate possano essere tanto crude da far storcere il naso e rivoltare le budella. Non si sta parlando, però, della possibilità di seppellire bambine vive (Rule of Rose, PS2 - 2006) o di tenere testa ai ridicoli scherzetti di altrettanti bulletti brufolosi (Canis Canem Editi, multipiattaforma - 2006), quanto, piuttosto, di fatti assurti alla cronaca per la loro barbara drammaticità.
Cinismo
Il quadretto è inquietante di per sé, ma quando se ne scopriranno i retroscena...
pato con il medium è tale da essere riuscito a farne un lavoro. Più precisamente, Genvo è un teorico della semiotica presso l’Università Pubblica di Limoges (Francia occidentale) che, nel corso della sua seppur breve carriera, ha scritto numerosi volumi sul rapporto tra emozioni e videogiochi. Keys of a GameSpace si inserisce in questa cornice, e nel suo essere una breve e stupida avventura grafica si qualifica come un’autobiografia dell’autore. Il fine sembra essere quello di dimostrare a tutti, moglie compresa, che lo strumento ludico può essere asservito Chi indovina la fonte di ispirazione all’esplicitazione per l’artwork vince un mappamondo. del Sé, come, fi-
Sebastien Genvo non è un game designer. Indipendentemente da quanto si possa leggere in giro, l’unica esperienza di sviluppo passita dal giovane francese si limita ad una collaborazione con il, comunque eccellente, XIII, FPS realizzato nel 2003 da Ubisoft. Ciò nonostante, il rapporto che il transalpino ha svilup-
no ad ora, è stato fatto con il teatro, la scrittura, la musica, il cinema o la fotografia.
Gamefail? Dal punto di vista del gameplay, il titolo è un punta e clicca idiota, che non ha nulla da dire a nessuno. Lo si analizzasse solo per questo aspetto, il gioco sarebbe un fallimento. Il suo valore aggiunto, allora, risiede nel fatto che le vicende narrate sono accadute realmente e appartengono al passato dello stesso Sebastien. Ora, sul fatto che tramite i giochini elettronici si possa raccontare la propria storia, nessuno dovrebbe avere dubbi. Il problema di questo gioco (o il “bello”, dipende da come uno lo vede) è che ciò che ci viene detto sul passato dello sviluppatore è terribile e, a chi ancora non si è fatto operare al menisco, fa venire il proverbiale latte alle ginocchia. In questo senso, ogni spoiler guasterebbe l’esperien-
— commento — Raccontare sé stessi grazie al videogioco... una pratica ormai assodata e che fa parte del panorama videoludico condiviso, specie nella sua falange indipendente. Farlo, però, mostrando a tutti gli scheletri più agghiaccianti che il proprio armadio è in grado di offrire, è una cosa alla quale, ancora, nessuno è abituato. Sebastien Genvo ci prova, anche se il risultato finale è difficile, non solo da giudicare, ma anche da digerire. realizzazione artistica “filologia” strampalata
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za di gioco e il senso generale del lavoro proposto. È bene, però, anticipare, che arrivati alla fine del gioco si avrà di che pensare per giorni.
Difettoso Giudicare un prodotto che fa dell’introspezione il proprio cavallo di battaglia non è facile... L’impegno e il trasporto messi sul piatto sono evidenti e non possono essere semplicemente “lavati in Arno” (Alessandro Manzoni, 1827). Ciò detto, Keys of a GameSpace sarebbe stato un qualcosa da consigliare a Natale, se solo Genvo non avesse utilizzato le [poche] scelte lasciate al giocatore per tracciarne un profilo psicologico, trasformando il tutto in un tentativo di dimostrare eventuali connessioni tra comportamenti, etica e libero arbitrio. Affascinante, per carità, ma pur sempre un tentativo. 8
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»Sviluppatore: GAMBIT »Sito: http://gambit.mit.edu/loadgame/aclosedworld.php
A Closed World A cura di Roberto “il Cinese” Turrini turrini.roberto@tgmonline.it
voto
"Ciò che non è [ri]conosciuto come vero, allora deve essere falso". (Assunzione di Mondo Chiuso Raymond Reiter, 1978)
A
Closed World è un gioco/prototipo nato dalla collaborazione tra MIT e autorità governative della Repubblica di Singapore, volto alla perlustrazione del gameplay quale strumento per veicolare messaggi educativi e culturali. Le centinaia di caratteri spesi nella home page del titolo, però, non saranno sufficienti a chiarirlo. Per capire i termini dell’esperimento, infatti, si dovrà necessariamente provarlo, anche perché il tutto è più semplice di quanto, gli autori, non vogliano ammettere.
JRPG Volendo sintetizzare al massimo il lavoro proposto dal team di sviluppo, si può tranquillamente dire che A Closed World è un brevissimo JRPG che permette di rivivere le vicende sentimentali di un ragazzo qualunque (o
A Closed World è un JRPG che permette di rivivere le vicende sentimentali di un ragazzo/a qualunque, impegnato/a a lottare contro gli stereotipi sessuali
Maschio o femmina, in amore, non conta...
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TGM Dicembre 2011
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una ragazza, dipende dalla scelta iniziale del personaggio), impegnato/a a lottare contro gli stereotipi sessuali che protocollano i suoi comportamenti per etichettarli come adatti, o meno, alla società civile. In fuga da una città oppressiva e bigotta, il/la giovane protagonista deve sconfiggere i demoni e le paure del giudizio dei parenti, che grava sulla sua serenità quasi fosse la famigerata spada sopra la testa di Damocle. Lo scontro tra le parti ha luogo come in un banalissimo gioco di ruolo à la Final Fantasy, con tanto di visuale isometrica e turni da rispettare. Le armi con cui darsi battaglia, però, non sono né oggetti contundenti né magie, bensì principi filosofici inerenti etica, logica e passione: principi che gli avversari si scambieranno in una gara di dialettica che prevede, per ogni colpo inferto, un corrispettivo in punti vita. Per fare un esempio, si può citare lo scontro con i genitori dell’amata/o, che vogliono per la figlia/o una marito/ moglie di più alto lignaggio. Le battute del/della protagonista, lanciate come “frecciatine” in direzione del nemico, verteranno
JRPG, what else?
— commento — Chiunque abbia scritto di A Closed World lo ha inquadrato come un possibile manifesto contro l’omofobia imperante nella società contemporanea. In realtà, il prototipo messo a punto da GAMBIT sembra veicolare un messaggio di libertà individuale a tutto tondo e che non si dovrebbe limitare all’esplicitazione della propria identità sessuale, quanto piuttosto spingersi fino a legiferare sull’arbitrarietà di qualsiasi compromesso sociale. Forse un filo pretenzioso per quello che, a conti fatti, è solo un primo esperimento. Il secondo, sicuramente, riuscirà ad essere più efficace. sperimentale ripetitivo
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sulla libertà di scelta individuale, sulla cecità dell’amore e sul controllo imposto dallo strato sociale di appartenenza. Qualcuna andrà a segno, altre verranno controbattute dall’avversario con altrettante frasi fatte, fino alla vittoria di uno dei due contendenti. Difficile da capire? In realtà, come si diceva all’inizio, è più facile a farsi che a dirsi.
Prototipo Le meccaniche di gioco, infatti, sono davvero banali e si ripetono, uguali a sé stesse, per tutti e quattro gli scontri della story line. La scelta delle battute è imposta dalla categoria di appartenenza e le opzioni di dialogo tra cui orientarsi sono sempre e solamente tre. Anche dal punto di vista del contenuto veicolato, le argomentazioni inserite sono poche e striminzite; tanto che, anche provando a rigiocare, non si riesce a cogliere esattamente il filo del discorso portato avanti dagli sviluppatori. Questo limite evidenzia chiaramente il tentativo di permettere a chiunque di leggere un proprio messaggio, indipendentemente dal genere o dalla cultura di origine. Nell’apprezzare le buone intenzioni, però, non può mancare una piccola critica nei confronti di una direzione di progetto poco decisa e che, in un certo qual modo, impedisce al titolo di centrare pienamente l’obiettivo. In ogni caso, un prodotto da tenere sotto controllo. 8
»Sviluppatore: Paolo Pedercini »Sito: molleindustria.org
Everyday the same dream voto
Roberto “il Cinese” Turrini turrini.roberto@tgmonline.it
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veryday the same dream: ogni giorno lo stesso sogno. Chi non ne ha uno suo, personale? C’è chi sta disperatamente cercando un lavoro, chi un figlio, chi un mutuo per una casa dove crescere la propria famiglia. Qualcuno è ossessionato da un difetto fisico e non desidera altro che eliminarlo in maniera definitiva, altri stanno aspettando l’amore, altri ancora vogliono abbracciare il calore di amici lontani e dimenticati o, ancora, trovare il modo di lasciare il proprio paese, perché affamati dalla guerra o dalle carestie e tentare la sorte in una nazione lontana dove vivere additati come stranieri senza permesso. Ognuno di noi, nel profondo della sua intimità, apre gli occhi la mattina e sogna di raggiungere un qualcosa di non totalmente esplicitato, tenuto segreto anche a sé stesso, forse per paura che, come nel mito di Orfeo ed Euridice, esso
“E ormai non erano lontani dalla superficie della terra, quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla, l’innamorato Orfeo si volse…” (Ovidio - Metamorfosi X, 1-77)
Questa piccola avventura grafica prende a schiaffi tutte le persone distratte... possa dissolversi se messo a nudo fuori dall’oscurità. I più fortunati, quelli a cui la vita ha dato la possibilità di scegliere e sbagliare, spesso desiderano cose che i loro genitori o i loro nonni non sapevano nemmeno fossero passibili di essere sognate... e il lavoro di Paolo Pedercini parla proprio a quelle persone.
Memento mori Beh, se uno proprio non conoscesse lo sviluppatore in questione, farebbe anche meglio a mettere da parte l’articolo per recarsi all’indirizzo molleindustria.org, così da farsi un’idea di chi sia. Altrimenti si dovrà accontentare di sapere che è uno dei game designer italiani più talentuosi e apprezzati al
mondo, tanto per la sua capacità di strumentalizzare il media a fini di critica sociale, quanto per le idee messe in campo. Everyday the same dream è solo uno dei tanti lavori presenti nella sua home page e un qualsiasi motore di ricerca, se opportunamente indirizzato, potrà restituire una caterva di link inerenti l’attività divulgativa dell’autore. Geniale e toccante, questa piccola avventura grafica prende a schiaffi tutte le persone distratte, con la testa sotto la sabbia e occupate a lamentarsi della propria condizione lavorativa/familiare/whatever, quelle che non si accorgono di avere l’opportunità di alzare lo sguardo e reagire. Ogni giorno lo stesso sogno, in un contesto socio-culturale talmente aperto da aver privato il vocabolario del vero significato della parola “libertà”, equivale a dire che ogni giorno, chiunque appartenga alla cerchia dei fortunati, ha il potere di tornare a prendere le redini della propria vita per riportarla sui binari desiderati, nei limiti dell’equilibrio e del sacrificio che ne conseguiranno. Memento mo-
ri, appunto. Un gioco da provare e consigliare a chiunque, anche a chi odia i videogiochi e li considera deboli passatempi per bambini. Parlare, invece, di grafica, gameplay, colonna sonora o sistema di controllo per un titolo come questo, sarebbe come discutere dell’impaginazione di un buon libro: utile solo a chi ha gli occhi, ma non vede, ha le orecchie, ma non sente, ha la bocca, ma non bacia. 8
— commento — Everyday the same dream è un gioco che, non si dovessero individuare le variazioni sul tema, è capace di ripetersi uguale a sé stesso, all’infinito. Vestirsi bene o meno, girare a destra o andare dritto, fermarsi a parlare o tappare le orecchie... azioni apparentemente senza grandi ripercussioni ma che, al contrario, se compiute con cognizioni di causa, possono stravolgere le nostre vite. Ecco, questo gioco pone l’accento proprio sul fattore della consapevolezza della scelta, ovunque essa ci porti. intelligente niente da segnalare
+-
Dicembre 2011 TGM
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HARDWARE A cura di: Paolo Besser, paolone@sprea.it
Debuttano, anche se un po' in sordina, le nuove CPU “Bulldozer” di AMD e, per tanto, parliamo anche di una scheda madre pensata apposta. Oltre che del più “professionale” dei portatili...
I NOSTRI BENCHMARK
I
l TGM Mark 11 è lo strumento con cui The Games Machine valuta l’efficienza di schede video e computer completi con i videogiochi, effettuando test di velocità su diversi titoli, caratterizzati dall’adozione di tecniche e librerie differenti: Crysis, Hawx 2, Far Cry 2, Alien Vs Predator e altri, pronti a intervenire in caso di necessità, tutti aggiornati alle loro ultime versioni. I test vengono effettuati, salvo in casi molto particolari, su un testbed composto da una scheda madre GigaByte GV790, con un processore AMD Phenom II X4 965 a 3,8 GHz, 4 GB di RAM A-Data a 2 GHz e un disco fisso Seagate Barracuda da 7200 giri/minuto, il tutto alimentato da un Enermax Revolution 85+ da 1050 W. Le risoluzioni di riferimento sono 1280x1024, 1600x1200 e 1920x1200 pixel: le impostazioni sono scelte in modo che i giochi offrano la massima qualità visiva e un framerate ottimale, per cui possono cambiare in base al titolo
e alla risoluzione. L’andamento dei frame è indicato nei grafici con differenti linee colorate. Nello schema in alto, una linea orizzontale azzurra posizionata all’altezza dei 45 frame per secondo ci ricorda il livello ideale per la “fluidità” della grafica: l’occhio umano, infatti, comincia a percepire un movimento abbastanza fluido quando il computer riesce a visualizzare un numero di fotogrammi che varia, da persona a persona, tra i 30 e i 60 fotogrammi al secondo. Il valore del TGM Mark viene oggi calcolato in base al numero di fotogrammi prodotti da tutti i giochi, secondo una formula sviluppata all’interno della Redazione, e dovrebbe dare un’idea dell’effettiva potenza del computer o della scheda video recensiti. Quando si valutano i processori centrali, invece, è possibile che vengano utilizzati altri benchmark di vario tipo, per sottolineare alcuni aspetti del prodotto o l’efficienza nella sua globalità.
NEWS IN BREVE IL BIOS TRIDIMENSIONALE
UN’ALLUVIONE DI PREZZI
Prima o poi ci saremmo arrivati, era solo questione di tempo: dopo aver stravolto tutti i generi di gioco nello scorso decennio ed essere diventata in qualche modo più profonda e tangibile grazie alla stereoscopia, la terza dimensione approda anche laddove un tempo erano tutti menu testuali: nel BIOS. GigaByte ha infatti annunciato un’interfaccia 3D “di nuova concezione” per le proprie schede madri dotate di BIOS UEFI. Potenza del marketing...
Il maltempo che ha flagellato la Thailandia, sede delle fabbriche dei maggiori produttori di dischi fissi, ha avuto un’importante ripercussione sui prezzi dei prodotti: i dischi da 1 TB sono aumentati del 180%, mentre i prezzi per i dischi da 1,5 TB e superiori sono praticamente raddoppiati. Non si sa di preciso quando le aziende torneranno agli usuali regimi di produzione, né se l’aumento sarà destinato in qualche modo a perdurare.
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TGM Dicembre 2011
DA EVGA LA... GEFORCE 1120! Ovviamente si tratta di un gioco di parole, ma la sostanza non cambia: EVGA ha annunciato una scheda video dotata di due GPU GeForce GTX 560 Ti che operano in configurazione SLI, con il core clock dei due processori impostato a 772 MHz. La scheda mette dunque a disposizione 768 shader core e 2 GB di memoria GDDR5, ma ha bisogno di una scheda madre certificata SLI per poter funzionare.
IL BORSINO DELL’hardware
The Games Machine tiene sotto osservazione una ventina di componenti hardware di qualità, segnalando le loro variazioni di prezzo col passare del tempo. Di tanto in tanto cambiano, escono o rientrano in classifica, a seconda delle occasioni. Così con un colpo d’occhio è possibile individuare subito gli affaroni del mese!
cpu vid vid vid vid vid cpu cpu vid vid cpu cpu vid cpu vid vid vid cpu
INTEL CORE i7 EXTREME 990X GEFORCE GTX 590 RADEON HD6990 GEFORCE GTX 580 RADEON HD6970 GEFORCE GTX 570 INTEL CORE i7 2600k AMD FX-8150 RADEON HD6950 GEFORCE GTX560 ti INTEL CORE i5 2500k AMD FX-6100 RADEON HD6870 AMD FX-4100 RADEON HD6850 RADEON HD6790 GEFORCE GTX 550 ti INTEL CORE i3 2100
€ 879 € 680 € 579 € 375 € 290 € 260 € 260 € 245 € 190 € 185 € 185 € 150 € 140 € 129 € 120 € 115 € 99 € 99
LEGENDA: cpu = processore centrale; scm = scheda madre; vid = scheda video; ssd = unità storage a stato solido; mem = memorie; hdd = disco fisso; mon = monitor; var = varie ed eventuali L’aumento dell’IVA di un punto percentuale ha determinato una crescita generale dei prezzi, bilanciata in alcuni casi dal deprezzamento fisiologico dell’hardware, ma non sempre. Di fatto, questo mese non registriamo alcun calo. Le “nuove entrate” di questo mese sono determinate dalle attesissime CPU FX di AMD, basate sulla tanto vociferata architettura Bulldozer. Ancora una volta, i sogni di gloria e di rivalsa della società californiana si infrangono contro la dura realtà dei benchmark, ma per noi giocatori questi nuovi processori sono una pacchia! I prezzi dei dischi fissi sono invece raddoppiati per cause di forza maggiore, come possiamo leggere nelle news.
Hardware
IL PC IDEALE
I componenti giusti per creare tre configurazioni da gioco: top (per i maniaci), ottimale (miglior rapporto prezzo/prestazioni) ed economica (per risparmiare).
Il nuovo arrivo di AMD delude un po’ le aspettative ma colpisce nel segno, rivelandosi un formidabile “motore” per una macchina da gioco. Otto core e ampia possibilità di overclock sono le sue armi vincenti.
INTEL CORE i3 2100
€ 99
Economico ma potente, questo dual-core con HyperThreading è un vero asso nei videogiochi. 3,1 GHz spesi molto bene, con cui è possibile giocare degnamente a qualsiasi cosa.
€ 200
Un kit contiene tre moduli da 4GB di velocissima RAM DDR3 da 2.000 MHz, perfetta per gli overclock più spinti.
8 GB KINGSTON KHX1800C9D3K2
€ 150
Un quantitativo ideale di memorie DDR3 che unisce l’ottimo prezzo a buone prestazioni. La frequenza di lavoro è 1.800 MHz.
4 GB KINGSTON KHX1800C9D3K2
Una scheda madre con socket AM3+ ottimale per la piattaforma “Scorpion”, dotata di USB 3.0, porte SATA a 6 GB/s e possibilità di usare più schede video in Crossfire o SLI, a un prezzo davvero incredibile.
SAPPHIRE PURE PLATINUM H67
€ 90
Piccola ma efficiente, questa scheda madre ha tutto l’indispensabile e consente l’alloggiamento di un processore Sandy Bridge, di 2 moduli di memoria e di una scheda video PCI Express.
€ 75
Due moduli da 2 GB ciascuno della stessa memoria RAM DDR3, che costituisce il minimo indispensabile per un PC dei giorni nostri.
Nvidia torna a picchiare duro sulla fascia media, con una scheda video dalle prestazioni ottimali, compatibile con CUDA e in grado di offrire un solido sistema di visione stereoscopica.
€ 115
RADEON HD6790
Il budget “minimo” per una scheda video si alza sensibilmente rispetto ai mesi scorsi, ma con i giochi più recenti è meglio disporre di più potenza. E la HD6790 offre tutta quella che serve!
OCZ VERTEX 3 MAX IOPS EDITION 240 GB € 430
EIZO SX3031W-BK
Il drive SSD preferito da chi non vuole compromessi! Fino a 550 MB al secondo in lettura su porte SATA-III a 6Gbps e 500 MB/s in scrittura: un vero fulmine.
30 pollici, 2560x1600 pixel, rapporto di dimensioni 16:10, immagini molto chiare, tempo di risposta di 6 ms e chiave HDCP compresa nel prezzo (nella foto). Costoso ma grande.
2x SEAGATE BARRACUDA 7200.12 1 TB € 210
SAMSUNG 2443BW
Visto il costo dei dischi fissi, vale la pena metterne due in una più veloce configurazione RAID: chi predilige la capienza userà un Raid-0, chi la sicurezza un Raid-1.
Un interessantissimo monitor Full-HD da 24”, di pregevole fattura, dotato di un ottimo design e di caratteristiche tecniche all’avanguardia.
SEAGATE BARRACUDA 7200.12 1 TB
TOP
€ 185
GEFORCE GTX 560 ti
MONITOR
DISCO FISSO
MEMORIE
12 GB PC XPG GAMING SERIES V2
€ 90
GIGABYTE GA-990XA-UD3
AMD e Nvidia giocano ad armi pari con due schede a doppia GPU (questa e la GeForce GTX 590). Questa però costa meno, e a parità di prestazioni...
OTTIMALE
€ 245
AMD FX-8150
USB 3.0, SATA a 6 GBPS, possibilità di montare schede video in SLI e Crossfire, overclock stabile e facile da effettuare, a un prezzo tutto sommato accessibile.
€ 579
RADEON HD6990
ECONOMICA
La nuova “fuoriserie” di Intel si piazza al vertice delle prestazioni, dall’alto dei suoi 6 core con HyperThreading e dei suoi 3,346 GHz. Peccato, però, che il socket LGA1366 non abbia più un roseo futuro di fronte a sé.
€ 299
MSI BIG BANG XPOWER X58
€ 110
Ormai il costo al gigabyte dei dischi fissi è ai minimi termini. Oltre alla capienza, questo disco assicura buone prestazioni grazie a 32 MB di cache e rotazione di 7200 giri/minuto.
LG W2242TE-DF TFT
€ 2.200
€ 240
€ 139
Anche un sistema più economico merita un monitor LCD widescreen da almeno 1680x1050 pixel, con cui godere giochi e film a risoluzione più elevata. Dicembre 2011 TGM
TOP
€ 879
Scheda Video
OTTIMALE
INTEL CORE i7 EXTREME 990X
Scheda Madre
ECONOMICA
PROCESSORE
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- CONSUMI DI ALTO LIVELLO
= SATA E RAID AD ALTA VELOCITÀ
Il TDP dichiarato per il processore FX-8150 è pari a 125 Watt, al pari dei vecchi processori Athlon64 di fascia più alta (quelli accompagnati dalla sigla FX, fra l’altro). Altri modelli si accontentano di 95 Watt ed è presumibile che, in futuro, usciranno revisioni un po’ più parsimoniose nei consumi.
Il southbridge SB950 supporta direttamente sei connettori Serial-ATA che possono essere impiegati anche in configurazioni RAID 0, 1, 5 e 10. Altri connettori aggiuntivi possono sempre essere collegati a controller appositi, integrati sulla scheda madre dal produttore.
= CHIPSET SERIE 900
Il chipset della nuova serie AMD900 è ancora costituito da due chip distinti per northbridge e southbridge. La connessione avviene attraverso un bus HyperTransport di terza generazione.
= MEMORIE PIÙ VELOCI
Il controller integrato nella CPU è molto simile a quello già utilizzato nei processori Phenom con socket AM3, supporta dunque le sole RAM DDR3 ma fino a una frequenza nativa di 1.866 MHz.
NUOVO SOCKET AM3+ I processori della serie FX adottano un nuovo socket quasi del tutto identico al precedente AM3, al punto che i vecchi processori possono essere tranquillamente montati sulle nuove schede madri. Non è possibile il contrario, o comunque non è ufficialmente supportato da AMD.
= SUPPORTO CROSSFIRE E SLI
La piattaforma “Scorpius” di AMD consente finalmente l’impiego di due o più schede video GeForce in configurazione SLI, oltre che di due o più schede Radeon in Crossfire-X. Il supporto, tuttavia, dipende dal chipset montato sulla scheda madre e dal fatto che quest’ultima sia stata certificata o meno.
NIENTE USB 3.0 NEL SOUTHBRIDGE Il southbridge SB950 non supporta direttamente le porte USB 3.0 ma, come avviene anche sul fronte Intel, si possono sempre collegare controller appositi prodotti da altre aziende. Una soluzione che nulla toglie a questa funzionalità e che garantisce una maggiore libertà di scelta.
FX-8150 Produttore: AMD
Prezzo indicativo: € 245
P
er i nuovi processori basati sulla tanto attesa di moltiplicazione, verso l’alto quanto verso il basso e, architettura Bulldozer, AMD ha rispolverato ucome ciliegina sulla torta, si può anche modificare fana vecchia sigla che non usava più da tempo, cilmente la tensione principale, ottenendo overclock quella “FX” che identificava i modelli “per superdavvero estremi (c’è chi, con appositi sistemi di rafappassionati” negli anni d’oro in cui gli Athlon64 freddamento, è riuscito a portarne un esemplare a 8,5 X2 superavano di gran lunga i Pentium 4 in tutGHz!). Il problema, piuttosto, è che questi processoti i benchmark. Oggi quella sigla è stata promossa ri non introducono alcuna rivoluzione nel mercato, a nome proprio di CPU, seguita da un ormai abiessendo complessivamente meno prestanti degli ortuale codice numerico espresso in migliaia che, per mai collaudati Core i7 2600k di Intel. Sono tuttavia una volta tanto, è davvero facile da interpretare, più veloci dei Core i5 2500k, proposti allo stesso visto che il primo numero indica i core a disposiprezzo e, per tanto, possono costituire la scelta nazione. L’FX-8150 (in turale tra i due per chi alto a sinistra, nella foLa nuova architettura di AMD deve comprare un computo)ha dunque otto core debutta fuori tempo massimo, ter ex-novo, oppure quella da proporci, suddivisi in preferita per chi punta a non vince ma convince coppie secondo una loovercloccare il suo PC. gica che spieghiamo Fra le altre cose, questi estensivamente nel TecnoTGM di questo mese, casono i primi processori prodotti a 32 nm da AMD e, paci di funzionare a una frequenza “standard” di 3,6 considerati i risultati del debutto, non possiamo faGHz che può raggiungere addirittura i 4,2 GHz autore a meno di chiederci quali maticamente, toccando facilmente i 4,6 o addirittura saranno le possibili evoluzioni, 5 GHz sfruttando tecniche di overclock più tradizionaindubbiamente più promettenti li. Questo processore, infatti, è del tutto sbloccato: si di quanto non lo fossero i pripossono variare sia la frequenza di base, sia il fattore mi Phenom.
8.5
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TGM Dicembre 2011
4.6 GHz FACILI FACILI
A
MD stavolta ha pensato davvero a tutto e, con la collaborazione fattiva di Asetek, ha deciso di commercializzare un sistema di raffreddamento a liquido pensato apposta per questi processori. Si monta sulla scheda madre dopo aver svitato la base del dissipatore standard e l’installazione è davvero alla portata di tutti. Con questo aggeggio, il processore può funzionare tranquillamente a 4,6 GHz, raggiungendo e in molti casi superando le prestazioni dei più potenti Core i7 di Intel.
Hardware = BIOS UEFI
SOCKET AM3+ Questa scheda madre è pensata per ospitare i processori AMD della serie FX, basati sulla nuova architettura “Bulldozer”. Ma è compatibile anche con i vecchi modelli Phenom II e Athlon II basati su socket AM3.
Per questo modello, ASUS ha deciso di adottare un BIOS UEFI, più moderno, duttile e facile da gestire rispetto ai BIOS standard, visto che si può impostare anche dall’interno del sistema operativo, per mezzo di un’apposita utility fornita nella confezione.
= VOTATA ALL’OVERCLOCK
Come da tradizione per le schede madri della serie ROG (Republic of Gamers), ASUS fornisce tutta una serie di strumenti software e hardware dedicati al tuning. A partire dai tasti on board allo stucchevole sistema ROG Connect, che permette di collegare un secondo computer a una porta USB e verificare su di esso tutti i parametri di funzionamento della scheda. Roba da Pastore, insomma...
= MASSIMA CONNETTIVITÀ
Con un massimo di 6 porte USB 3.0 (di cui quattro disponibili sul pannello posteriore), 12 USB 2.0 e 8 connessioni SATA a 6 Gbps (di cui una esterna), non si può certo dire che mancherà lo spazio per le vostre periferiche esterne! Da notare, nei pressi, anche il pulsantino per resettare facilmente le impostazioni della CMOS.
= FINO A 2133 MHZ!
La Crosshair Formula V spinge ancora di più i limiti del controller della memoria integrato nei processori Bulldozer, offrendo il supporto per i moduli di memoria DDR3 da 2133 MHz. Ovviamente funzioneranno soltanto in overclock. La scheda supporta fino a 32 GB di RAM.
= ALIMENTAZIONE A 10 FASI
L’alimentazione di questa scheda è composta da un designi VRM a 10 fasi, in pratica un regolatore per il voltaggio della CPU con otto fasi dedicate alla tensione principale del processore (VDD o Vcore) e due per il voltaggio VDDNB (controller integrato per la memoria, bus HyperTransport bus controller e cache L3). Il tutto, ovviamente, dotato di un dissipatore passivo per smaltirne il calore.
= SLI E CROSSFIRE-X A TRE VIE
Pur disponendo di 4 connettori PCI Express, ASUS certifica la scheda per funzionare con due o anche tre schede video Radeon in Crossfire-X, o altrettante schede GeForce in SLI. Grazie al chipset 990X, dunque, è nuovamente possibile usare configurazioni in SLI su processori centrali AMD, senza ricorrere a chipset prodotti da Nvidia. Analogamente a quanto avviene nel mondo Intel.
Crosshair Formula V Produttore: ASUS
Prezzo indicativo: € 180
A
ogni lancio di una nuova famiglia di ri (questo è il motivo per il mancato Best Buy), processori si rinnova una piacevole trama chi non vuole compromessi dovrebbe tenere dizione: l’arrivo di una altrettanto nuova questa scheda madre in debita considerazione. scheda madre della “famiglia” Republic of Chi non si accontenta di una sola scheda video Gamers da parte di ASUS. Il motivo di tanpuò optare indifferentemente per una soluzione to entusiasmo è semplice: queste schede, e in SLI (con più schede GeForce) o Crossfire-X (con particolare le Crosshair Formula, hanno sempre schede Radeon), i tre connettori PCI Express una marcia in più e permettono di fare piccoprincipali si configureranno automaticamente le grandi cose (a volte perfettamente inutili, ma come 16x-16x o 16x-8x-8x a seconda del nunon per questo meno entusiasmanti) come conmero di schede collegate. Ma naturalmente il trollare tutti i parametri di funzionamento da pubblico potenzialmente più interessato a queun secondo computer, individuare, selezionasta scheda è quello degli overclocker: ASUS re e riportare tutti i valori mette da sempre a dispodi frequenza e tensione ot- Una piattaforma aggressiva sizione mille strumenti per timali con la pressione di per chi vuole un PC da gioco variare tensioni e frequenze un singolo tasto, modifidi RAM, processore e mecon processore AMD care i parametri del BIOS morie, e abbinando questa direttamente dal sistema motherboard a un nuovo prooperativo e così via, assicurandoci nel contemcessore della serie FX è possibile raggiungere po la massima espansibilità e il supporto alle velocità davvero notevoli, a patto ovviamente di più moderne tecnologie. Tutto questo ha un codisporre anche di un sistema di raffreddamento sto mediamente più alto della media e, a onor adatto. Per concludere, si tratta di un prodotto del vero, con meno della metà dei 180 euro riottimo e ricercato, che farà la chiesti da ASUS per questa scheda è possibile gioia degli appassionati, ma portarsi a casa altre motherboard più spartane, che per l’utenza comune rima capaci di supportare gli stessi processosulterà fin esagerato.
L’UNIONE FA LA FORZA
C’
è spazio per diverse “firme” su questa scheda madre. La scheda di rete è controllata da un chip Intel Gigabit LAN da 1 Gbps, il codec audio integrato è un Realtek ALC982 che supporta il surround fino a 7.1 canali, su cui gira anche un pacchetto software X-FI2 firmato da Creative Labs capace di aggiungere il supporto EAX Advanced HD 5.0, THX TruStudio Pro e ALchemy.
8.5
Dicembre 2011 TGM
93
= CORNING GORILLA GLASS
- GPU INADATTA AL GIOCO
Lo schermo antiriflesso è rinforzato con un vetro particolare che offre una maggiore resistenza agli urti. Nonostante i rinforzi utilizzati nella scocca e nello schermo, il portatile resta indubbiamente sottile (max 2,1 cm di spessore).
Il Thinkpad è un sistema riservato ai professionisti e si vede. Non ci sono GPU aggiuntive alla grafica integrata nel processore centrale che, però, è sufficientemente potente per giocare decorosamente a World of Warcraft e ad altri titoli più datati. Non aspettatevi miracoli, però.
= SICURO E RISERVATO
Lenovo continua a fornire sui Thinkpad un lettore di impronte digitali. Tramite la funzione “Wake on wireless” si può accedere al portatile anche da remoto, il che può tornare molto utile in caso di furto o smarrimento.
= ALTA DEFINIZIONE (O QUASI)
Lo schermo da 13,3” propone una risoluzione hardware di 1366x768 pixel, sufficienti per riprodurre film in HD e per offrire un’area di lavoro moderatamente ampia. I bordi sono un po’ bruttini da vedere, ma contribuiscono a rendere più solido l’apparato. Tramite Intel Wireless Display si possono trasmettere dati a una TV compatibile via etere.
= PREDISPOSTO PER HSPA
Il Thinkpad X1 dispone di un adattatore di rete 3G F5521gw Mobile Broadband Driver prodotto da Ericsson, con cui può collegarsi alle più veloci reti HSPA e arrivare a scaricare dati fino a 21 Mbps (5,7 Mbps in upstream). Non mancano poi le più tradizionali connessioni LAN, Wi-Fi e Bluetooth.
= ARROTONDATA E LUMINOSA
Il Thinkpad si concede qualche vezzo, come i tasti retroilluminati – davvero irrinunciabili per chi lavora spesso in pessime condizioni di luce – e dalla forma molto particolare, arrotondata sul fondo. Una soluzione piacevole da vedere e da usare.
= ROLL CAGE
All’interno del case c’è un’anima in lega di magnesio che protegge le componenti interne da urti e colpi, inserita anche nel coperchio per proteggere lo schermo. La tastiera resiste alle infiltrazioni accidentali, come acqua o caffè rovesciati sui tasti.
Thinkpad X1 Produttore: Lenovo
Prezzo indicativo: € 1.500
I
l nome Thinkpad è circondato da un alone di miparticolarmente resistente ai graffi, oltre che ai risticismo e, a ben vedere, si tratta di una fama flessi. La configurazione hardware è di primissimo più che meritata: dopo essere stato uno dei propiano: il processore centrale è un Core i5 “Sandy dotti di punta di IBM quando ancora si occupava di Bridge” 2520M da 2,5 GHz, la RAM ammonta a 8 personal computer, lo storico brand è passato a LeGB di DDR3 a 1,33 GHz e, come sempre più spesnovo, che gli ha dato un’impronta più moderna e al so avviene nei portatili di pregio, il drive principale passo coi tempi, ma senza mai snaturarlo. I Thinè un SSD SSDSA2M160G2LE da 160 GB prodotto kpad restano così dei da Intel, grazie al quale il Serioso e un po’ caro, il nuovo sistema operativo si cariportatili seriosi e resiThinkpad X1 prosegue una stenti, pensati per chi ca in pochissimi secondi. lunga tradizione di ottimi lavora continuamenCerto, a noi videogiocatote con il computer e ri la grafica integrata Intel portatili deve portarselo in giHD Graphics 3000 può ro, sottoponendolo alle sollecitazioni di un mondo non piacere, ma in fondo consuma poco e permette che non è certo a misura dei prodotti più delicati. di giocare entro i limiti della decenza a tantissimi Il nuovo Thinkpad X1 può dunque resistere agli urti videogiochi, sebbene sia davvero impensabile usare e alle infiltrazioni accidentali (non è affatto il caso un notebook del genere per giocare. Ai lati dell’apdi immergerlo nella vasca da bagno, ma almeno è parecchio non troviamo alcun lettore di DVD o di al sicuro dalla proverbiale tazza di caffè rovesciata Blu-Ray, ma possiamo sempre inserire i nostri dati sui tasti!), inoltre lo schermo è protetto da un vetro per mezzo delle porte USB (2.0 e 3.0) o del lettore
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TGM Dicembre 2011
MEGLIO SOLIDO
L
enovo non lascia nulla al caso e, invece di usare un normale disco fisso, passa direttamente a un SSD Intel da 160 GB, modello SSDSA2M160G2LE. Non si tratta certo del più veloce sulla piazza, ma con 1.537 punti totalizzati con il test PassMark si piazza perfettamente nella media della categoria, riuscendo a fare meglio di molti suoi concorrenti.
di memory card integrato. Il sistema operativo fornito in dotazione è Windows 7 Professional a 64 bit. Qualità che si paga piuttosto cara, purtroppo, ma che costituisce indubbiamente un investimento, qualora fossimo alla ricerca di un buon PC portatile da lavoro.
8.5
Hardware - NIENTE CROSSFIRE
Visto l’ingombro del dissipatore, sarebbe stato davvero improbabile l’uso di due di queste schede in Crossfire, per cui il pettine per l’apposito ponte manca del tutto. Una logica conseguenza che, però, impedisce a questa scheda di offrire di più facendosi aiutare da un’altra.
= INGOMBRANTE MA STANDARD
Il dissipatore è silenzioso ma enorme, al punto che complessivamente la scheda occupa lo stesso spazio di un modello di fascia altissima. Fortunatamente, però, lo spessore resta confinato nei soliti rassicuranti 2 slot a cui siamo abituati.
= BUONA MEMORIA
La memoria GDDR5 è di fatto l’elemento che in qualche modo “salva la situazione”, visto che il bus è ridotto a 128 bit di ampiezza, ma il quadruplo data rate di questo tipo di VRAM mantiene comunque una decorosa banda di trasmissione pari a 80 GB/s. La frequenza però viaggia a 1 GHz (4 effettivi), invece dei “soliti” 1,2/4,8 di questo tipo di schede.
= FULL HD
La Radeon HD 6770 silenziosa di ASUS dispone di tutte le uscite video più diffuse: HDMI (nel dettaglio), D/SUB e DVI. Non c’è un’uscita per le vecchie TV ma, in fondo, ormai a cosa servirebbe?
- UNA 5770, CON QUALCOSA IN MENO = TUTTO SOTTO CONTROLLO
La scheda va alimentata con un cavetto PCI Express da 6 poli proveniente dall’alimentatore, e consuma poco meno di 90 Watt a pieno carico. Le temperature sono ottimali nonostante l’assenza della ventola: 42° C in idle e 75° C durante le sessioni di lavoro sono infatti ottimi risultati.
La GPU è praticamente la stessa delle Radeon HD5770 con un nome diverso, con le stesse 16 ROP, gli stessi 800 shader processor e la stessa frequenza del core di 850 MHz, a cui però è stata leggermente “decurtata” la velocità delle RAM. Quindi le prestazioni faticano a superare la soglia della sufficienza, soprattutto con i giochi moderni.
Radeon HD 6770 DirectCU Silent Produttore: ASUS
I BENCHMARK
Prezzo indicativo: € 140
C
i sono prodotti davvero difficili da inquadrare tropico, dell’antialiasing e della tessellation), ma resta e questo è uno di quelli. Questa scheda videil problema che una GPU di fine 2009, già a sua volta o infatti dovrebbe soddisfare le esigenze di un derivata da un progetto precedente (quello delle Radepubblico affamato di prestazioni, ma senza eccession HD4800), difficilmente riuscirà a garantire la forza ve pretese, purché il computer se ne stia in silenzio bruta necessaria per le sfide che le si presenteranno il più possibile. Un risultato piuttosto difficile da ragin futuro. L’ingombro e il prezzo più elevato della megiungere, che la Radeon HD dia impongono dunque una seria 6770 DirectCU Silent ottieGrande, grossa e silenziosa, valutazione delle alternative sulne solo in parte, offrendo un la stessa fascia: con 140 euro ma senza il necessario livello di framerate “medio” si porta via una ben più potente mordente compreso in quella fascia “criRadeon HD6870, qualcuna abtica” – delimitata dai 30 e bastanza silenziosa, nonostante dai 60 fotogrammi al secondo – che per la maggior la ventola, si troverà certamente. A meno che, naturalparte delle persone è ancora accettabile, ma che all’ocmente, non siate proprio alla ricerca di un prodotto di chio più allenato potrebbe risultare insoddisfacente. questo tipo che, in fondo, svolge Ovviamente le cose migliorano sostanzialmente abbasadeguatamente il suo dovere, sensando le pretenziose impostazioni che usiamo noi per za fare miracoli, ma garantendo i nostri test (in particolare l’incidenza del filtro anisoun silenzio pressoché assoluto.
6.5
A
bbiamo messo a confronto la Radeon HD6770 di ASUS (linee rosse) con una meno prestante HD6570 (linee gialle) e la differenza di prestazioni è indubbiamente notevole. Tuttavia, va evidenziato come la soglia della fluidità (45 fotogrammi, linea blu) sia ancora piuttosto lontana, soprattutto alle risoluzioni Full HD.
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TECNOTGM A cura di: Paolo Besser paolone@sprea.it
AMD presenta finalmente i processori basati sulla nuova architettura Bulldozer. Ma il nome, forse, è un po' troppo impegnativo...
La demolizione può attendere D ella nuova architettura di AMD ormai ne sentivamo parlare da più di un anno e, come spesso succede quando un prodotto è lungamente atteso, al suo arrivo le reazioni possono essere agrodolci. Bulldozer infatti prometteva di essere competitiva con Sandy Bridge e indubbiamente lo è, ma chi sognava una rivalsa dell’azienda californiana, capace di restituirle l’antica leadership ottenuta ai tempi dell’Athlon64, probabilmente rimarrà deluso. Il nuovo processore “top di gamma” FX-8150, infatti, batte di misura un Core i5 2500k ma resta mediamente indietro al più veloce Core i7 2600k, pur offrendo un numero di core complessivamente superiore e un’architettura completamente rinnovata rispetto agli ormai storici Athlon II e Phenom II.
Tante novità Come avevamo anticipato in un vecchio TecnoTGM, i processori della serie FX sono i primi a offrire otto core reali su un singolo die, senza ricorrere a core “logici” come avviene nei processori Intel con tecnologia HyperThreading. Anche in questo caso, però, la moltiplicazione dei core è avvenuta con qualche piccolo sacrificio, in particolare sulle potenzialità della CPU con i calcoli in virgola mobile. I core dei processori FX, infatti, sono suddivisi in coppie, ognuna delle quali va a formare un nuovo elemento chiamato “modulo”. Il modulo contiene anche una FPU condivisa tra i due core, una logica di fetch e una di decode, e una cache L2 condivisa da 2 MB. In pratica, è come se fosse a sua volta un processore dual-core in miniatura, in cui i due motori condividono la FPU e la cache di secondo livello. Questo significa, in altri termini, che quando un modulo deve risolvere calcoli interi può operare al massimo del suo potenziale, ma quando subentrano diversi thread che operano in virgola mobile, soltanto uno di essi può operare sulla FPU condivisa. Un grosso limite? No, se
Direttamente da AMD, ecco spiegato come è suddiviso il die di un processore Bulldozer.
consideriamo che – stando a quanto dice AMD – soltanto il 20% dei calcoli normalmente effettuati da un computer coinvolge effettivamente le FPU e poi, negli ultimi anni, sempre più programmi preferiscono affidarsi alla GPU per questo genere di computazioni, soprattutto se esse devono avvenire con un forte grado di parallelismo. In compenso, ogni FPU è composta da due unità “multiply and accumulate” (FMAC) a 128 bit, che possono operare come una singola a 256 bit o come 4 a 64 bit, favorendo l’esecuzione di qualunque genere di istruzione a oggi implementata sulle CPU di fascia consumer. È infatti considerato l’intero spettro dell’ISA x86-64, cui si aggiungono anche le istruzioni MMX, SSE 4.1/4.2 e AVX (Advanced Vector eXtensions), le stesse di Sandy Bridge, a cui AMD ha aggiunto pure le funzionalità XOP e FMA4, con le quali si possono ottenere degli incrementi prestazionali in diverse funzioni vettoriali, con numeri interi e in virgola mobile. L’unico neo di queste estensioni, come al solito, riguarda il software che andrà a impiegarle: per adesso si limita a una versione sperimentale del benchmark x264 HD fornita dalla stessa AMD che, a onor del vero, ha evidenziato incrementi piuttosto modesti. In futuro non è detto che queste estensioni non possano rivelarsi un’arma vincente, ma l’illustre precedente delle istruzioni 3DNow! è sempre lì a evocare tristi presagi.
Questo schema riassume i modelli che verranno messi in circolazione nelle prossime settimane. Sono immediatamente disponibili gli FX-8150, 8120, 6100 e 4100.
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TecnoTGM
METTIAMO IL TURBO AMD ha riproposto sui processori FX la tecnologia Turbo Core, mutuata quasi pedissequamente da Intel e i sui processori Nehalem (e successivi). In questo caso, però, le cose funzionano un po’ diversamente: quando il totale dei consumi lo permette, tutti i core guadagnano qualche centinaio di MHz in più (tipicamente 300 MHz, ma dipende dai modelli) ottenendo quindi una piccola accelerazione su tutti i processi in esecuzione (“clock turbo”). Quando invece a funzionare sono soltanto una parte dei core, questi ultimi guadagnano uno step ulteriore di velocità, accelerando ancora più bruscamente (“clock massimo”). È notevole il fatto che i processori Bulldozer possano superare facilmente i 4 GHz in questa modalità, ma le prestazioni in overclock sono ancora più sbalorditive: ricorrendo al classico “overclock a mano” e a metodi di raffreddamento non convenzionali, è stato possibile raggiungere gli 8,5 GHz, mentre chiunque può facilmente raggiungere i 5 GHz di velocità con un buon sistema di raffreddamento a liquido.
NOMI RAZIONALI, FINALMENTE Con grande sollievo per chi deve capirci qualcosa, AMD ha trovato un modo semplice per identificare i suoi nuovi processori: la cifra delle migliaia indica infatti il numero di core effettivamente disponibili su quel modello, così sarà sempre possibile sapere che un FX-8xxx dispone di otto core, un FX-6xxx di sei core e un FX-4xxx di quattro.
Fuori dal modulo All’esterno dei moduli troviamo gli altri elementi portanti della CPU: una cache di terzo livello da ben 8 MB (che resta invariata per tutti i modelli della serie), la connessione al northbridge e il controller per la memoria di tipo DDR3, capace di supportare ufficialmente anche i modelli da 1866 MHz. La connessione alla scheda madre avviene per mezzo di un nuovo socket chiamato AM3+ che, di fatto, costituisce soltanto una piccola revisione del precedente AM3. I due connettori sono infatti meccanicamente ed elettricamente compatibili fra di loro, al punto che in linea puramente teorica non dovrebbe essere un problema installare una CPU FX su una vecchia scheda madre dotata del vecchio socket AM3 e di un chipset della serie 800 o 700. La realtà purtroppo è più complessa, in quanto il diametro dei fori è maggiore e le schede madri dotate di socket AM3+ possono inviare più corrente al processore, quindi è assodata la compatibilità delle nuove schede madri AM3+ anche con i vecchi processori Athlon II e Phenom II con socket AM3, ma non è garantito il contrario. Alcuni produttori sostengono che sia possibile montare le CPU FX su vecchi modelli ancora in produzione con un semplice aggiornamento del BIOS, ma solo sulle ultime revisioni già dotate del nuovo connettore (lo si riconosce piuttosto facilmente per il colore nero invece che bianco). AMD, in proposito, si limita salomonicamente a dire che “l’uso di nuove CPU su vecchie schede madri non è ufficialmente supportato”, ma questo non chiude definitivamente le porte a una possibilità di questo tipo. Va da sé, in ogni caso, che una simile configurazione priverebbe le CPU FX di molte funzionalità interessanti, vanificando qualunque vantaggio sulle CPU Phenom II per cui quelle schede madri erano state costruite. Per sicurezza, chi è interessato a una CPU FX farebbe meglio a procurarsi anche una scheda madre certificata.
È la volta dello scorpione Prima ancora delle nuove CPU, AMD ha commercializzato i chipset della serie 900, il terzo elemento portante (assieme ai processori Bulldozer e alle schede video Radeon HD6000) della sua nuova piattaforma “Scorpius”. Il chipset dedicato a noi giocatori incalliti è costituito dal northbridge AMD 990FX e dal southbridge SB950, con cui è possibile gestire diverse schede video in modalità CrossfireX e, finalmente, anche SLI (fine delle ostilità?) esattamente come avviene sul fronte Intel da alcuni anni a questa parte. Curiosamente, anche AMD ha eliminato il supporto diretto alle porte USB 3.0, preferendogli un collegamento PCI Express a 4 linee sul southbridge, al quale i produttori delle schede madri possono ovviamente connettere un controller USB 3.0 prodotto da terze parti, oppure – perché no? – una connessione Thunderbolt. Sono invece garantite dal southbridge fino a 14 connessioni USB 2.0 e 2 USB 1.1, una porta LAN integrata da 1 Gbps e 6 porte Serial-ATA a 6 Gbps con supporto a configurazioni RAID 0, 1, 5 e 10.
Ecco spiegato un modulo: si tratta di una sorta di “processore dual core in miniatura” che va a costituire un “mattoncino” dell’architettura Bulldozer. Non vedremo mai processori a core dispari, quindi.
Analisi delle prestazioni Mettendo alla prova il processore FX 8150 è emerso un quadro generale più che soddisfacente, ma caratterizzato da un andamento molto altalenante. Ci sono occasioni in cui l’FX 8150 si allinea agli stessi valori prodotti dalle precedenti CPU Phenom II X6 1100T (Blender, Cinebench, Euler 3D), altre in cui arriva addirittura a pareggiare con il ben più costoso Core i7 990X (buona parte dei videogiochi), ma se vogliamo tracciare una media delle applicazioni per la produttività personale, le sue prestazioni si collocano fra quelle del Core i7 2500k e quelle del Core i7 2600k, con alcuni sprazzi di super-competitività come con WinRAR 4.10, in cui il nuovo arrivato di AMD le dà di santa ragione a tutti i processori concorrenti. Sono invece eccellenti le prestazioni con i videogiochi, visto che l’FX 8150 dispone di tutta la potenza necessaria per gestire schede video molto impegnative, e fornire loro i dati di cui hanno bisogno. In definitiva, non ci troviamo di fronte a una rivoluzione, né a una “grande rivalsa”, ma di fronte a un progetto concreto che può solo migliorare, e che certamente AMD riuscirà ad affinare con il tempo. Già oggi, infatti, è possibile comprare schede madri con socket AM3+ a prezzi estremamente competitivi, con cui è possibile confezionare ottimi computer risparmiando soldi.
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TIME MACHINE A cura di: Danilo Dellafrana (danilo.dellafrana@gmail.com)
Un viaggio a ritroso nella storia dei videogiochi attraverso gli occhi dei protagonisti che hanno segnato un'epoca.
PETER MOLYNEUX – LA TESTA DEL LEONE
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icapitolando, Populous rappresentò un enorme punto di svolta nella vita di Peter Molyneux: l’etichetta Bullfrog, nata inizialmente come sottoetichetta della Torus poiché la vita insegna che fagioli in scatola e videogiochi non vanno bene assieme, venne creata praticamente per pubblicare il gioco. Da lì in poi, una serie di grandi titoli avrebbe fortificato la fama della neonata softco negli anni a venire, rendendola una delle più importanti nell’epoca d’oro di Amiga. Powermonger (1990) è quello che inizialmente doveva essere Populous, tanto che viene sbadatamente bollato nelle prime preview come il seguito del God Game. In realtà, si tratta di uno strategico bellico che ne condivide la riuscita visuale isometrica, anche se questa volta non c’è nessun dio a smuovere il terreno: a quanto pare, per il suo nuovo gioco Peter era riuscito a risolvere i problemi di pathfinding che affliggevano il titolo precedente. Scherzi a parte, in confronto ai war game dell’epoca, Powermonger sembrava veramente una creatura aliena, e non solo per l’incredibile resa grafica. Nonostante le premesse si rifacessero al più classico dei canovacci del genere, ossia il guidare l’esercito in battaglia fino all’annientamento dell’avversario, il gioco poteva vantare una semplice ma impressionante intelligenza artificiale applicata ai personaggi che popolavano la mappa. Ogni singolo omino aveva il proprio compito da portare avanti, indipendentemente dalle azioni del giocatore che, volendo, poteva interrogare l’interfaccia per conoscerne tutti i dettagli possibili come nome, età e lavoro. L’azione in tempo reale, assieme alla gestione di cibo, equipaggiamento e al bisogno di conquistare le città nemiche sparse per la mappa al fine di potenziare armi e soldati, rendono il gioco privo di tempi morti in un genere da sempre contraddistinto da ponderati turni tra un’azione e l’altra. Anche stavolta, un data disk sarebbe seguito,
M A tratti, Flood sembra una versione dark di Parasol Stars. C’è molta più sostanza di quanto non appaia, in realtà... affiancando al template medioevale originale altre ambientazioni come la Prima Guerra Mondiale con relativa reinterpretazione di armi e unità belliche. Ma il successo della neonata Bullfrog non era un caso isolato limitato ai soli strategici. Come un inarrestabile Re Mida binario, lo studio di Peter riusciva a trasformare in oro ogni nuovo gioco, anche i più assurdi come Flood (1990). Stiamo parlando di un connubio tra platform e puzzle dal look “cute” ispirato agli arcade Taito come Bubble Bobble o Rainbow Islands, caratterizzato da
M Avere a disposizione una civiltà “importante” in Populous 2 significa poter contare su tanto mana da investire in miracoli!
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un’ottima realizzazione tecnica, humor e tante buone idee. Nel gioco, Quiffy, un piccolo blob antropomorfo, deve raccogliere la spazzatura che infesta 42 livelli prima di poter passare al quadro successivo, facendo i conti con nemici e pericoli letali. Tra questi, degno di nota è il livello dell’acqua, che implacabilmente cresce fino a riempire l’area di gioco facendo annegare Quiffy; il liquido sale proporzionalmente al numero di rubinetti e rigoli che contribuiscono da più parti ad allagare lo stage con un effetto notevole per l’epoca. Un concetto parzialmente condiviso con quell’impressionante The Killing Game Show di Psygnosis, qui però ulteriormente evoluto. Per quanto riguarda l’humor, Peter si sbizzarrì, dalla fantozziana espressione di Quiffy nell’intro al suo sguardo perplesso quando si ritrova in mano un innocuo pollo di gomma al posto di un letale lanciafiamme, un evento casuale che può attivarsi ogni volta che si prova a far fuoco con l’arma in questione. Sicuramente il momento più emblematico rimane il cinico finale, quando il protagonista, finiti tutti i livelli, guadagna la libertà solo per essere stirato dai giganteschi pneumatici di un’auto di passaggio! Molti colpi di genio quindi, frutto di altrettante belle menti: Bullfrog aveva la reputazione di riunire creativi geniali, da una parte attratti dal curriculum di tutto rispetto, dall’altra frutto della ricerca di Peter, che visitava e proponeva posti di lavoro ad artisti di suo gradimento o direttamente presso università come Cambridge. Nel 1991 vede la luce Trial of the Olympic Gods, il vero seguito di Populous. Squadra che vince non si cambia e il gioco appare subito una versione riveduta e corretta del successo originale, con una nuova ambientazione ellenica. Circa 30 miracoli sono ora disponibili rispetto agli otto originali per sopraffare la divinità avversaria in un’avventura lunga mille livelli (letteralmente!), con
Zeus in persona ad aspettarci alla fine. Elencare dettagliatamente ogni gioco di Bullfrog è un’impresa per il semplice fatto che ognuno meriterebbe il proprio spazio; basti pensare che anche la possente Cinemaware commetteva passi falsi (S.D.I. e Sinbad su tutti), mentre l’intera offerta del team di Peter non aveva virtualmente debolezze di sorta. Ma Syndicate (1993) un paio di parole le merita, eccome: inizialmente noto come Bob, è uno strategico in tempo reale ambientato in un futuro dove megacorporazioni si contendono il dominio del mondo. Nei panni di un ambizioso dirigente, il giocatore comanderà fino a quattro cyborg in missioni che vanno dall’eliminazione alla cattura di personaggi chiave grazie a un aggeggio opportunamente chiamato “persuadertron”. Quando non è impegnato a comandare gli androidi con una ispiratissima visuale isometrica, il giocatore può investire denaro nei team di sviluppo per potenziare ciberneticamente la sua squadra e creare nuove e più potenti armi. Al gioco seguì un data disc con ventuno, difficilissime missioni, American Revolt, e un ottimo sequel nel 1996, Syndicate Wars. Lo stile oscuro e oppressivo, i temi adulti, la libertà nel modo di affrontare le missioni e il periodo d’uscita resero Syndicate un classico istantaneo. La diffusione dei primi titoli su CD-Rom all’alba degli anni ‘90 aveva riacceso un interesse globale per l’informatica, riportando in un certo verso il cyberpunk in auge, come testimoniano interessanti esperimenti analoghi in altri media come l’iconico fumetto Batman Digital Justice di Pepe Moreno: non a caso, uno dei punti di forza di una vociferata “versione CD-Rom” di Syndicate vedeva le pubblicità sui cartelloni rimpiazzate da filmati in FMV a là Blade Runner per sfruttare la capienza del rivoluzionario supporto. Tante furono le conversioni per svariate piattaforme, dall’Archimedes al Jaguar di Atari, passando per le ormai attempate console a 16 bit che ricevettero una versione semplificata e per certi versi edulcorata del gioco. Peter ha sempre avuto propensione per i team piccoli, poiché rendono più facile seguire e coordinare il lavoro: con questa logica, la buona vecchia Bullfrog vantava circa trentacinque elementi… quando i tempi cominciarono a mutare, telefonata dopo telefonata. Attratti dai successi della piccola softco, molti pezzi grossi contattarono Peter per acquisire la società, da Philips a Electronic Arts. Proprio quest’ultima si aggiudicò l’ambito boccone, nel Gennaio del 1995. Il cambiamento non fu indolore: EA
M Le pubblicità sui cartelloni in Syndicate sarebbero dovute diventare FMV in un ipotetico aggiornamento del gioco su CD-Rom.
espanse lo studio con lo scopo di incrementare la produzione, trasformando un gruppo di persone unite e compatte in grado di lavorare sedici ore al giorno in una forza lavorativa di centocinquanta individui, nominando Peter vicepresidente e consulente del colosso. Tutto questo fu estremamente straniante: durante il completamento di Dungeon Keeper (1997), Peter annunciò M Farsi i fatti degli altri è un’operazione a portata di click in Powermonger! di voler abbandonare Bullfrog e, per risposta, EA gli vietò l’ingresso nella studio. Tuttavia, si tratta ancora una volta di un titolo compagnia da lui stesso fondata, temendo che si seminale, con un seguito all’attivo, un terzo episodio portasse via elementi a lui ancora fedeli. Dungeon destinato a rimanere vaporware nonché ispiratore di Keeper rappresenta quindi il canto del cigno prodotti che, negli anni, hanno cercato di riprenderne il dell’avventura di Peter all’interno del suo (oramai) ex geniale concept (Evil Genius di Elixir Studios, per fare un esempio). In un rocambolesco scambio di prospettive, il protagonista del gioco è un signore del Male intento a espandere il suo labirinto sotterraneo al fine di conquistare poco alla volta il mondo di superficie. Gli stereotipi fantasy impersonati in tanti altri giochi, come guerrieri e maghi, sono stavolta i nemici che cercheranno di invadere il nostro dominio per distruggere il cuore del dungeon, un artefatto da difendere a tutti i costi, pena il Game Over. Essere un dungeon master è tuttavia un lavoraccio: ci sono inetti Imp da comandare per scavare nella nuda roccia ed espandere il dedalo o trovare nuovi incantesimi, mostri più potenti da reclutare, sfamare e tenere in forma con ameni locali quali la stanza delle torture e, ovviamente, feccia di superficie da rispedire indietro con incantesimi, magari, se ci si sente ispirati, possedendo uno dei nostri seguaci per poter seguire lo scontro in prima persona. Un altro grande gioco ma, in questa paradossale situazione, EA trasferì a casa Molyneux parte dello studio per evitare che Peter mettesse piede negli uffici di Bullfrog: una situazione così assurda non poteva portare da nessuna parte, e durante una serata al pub lui, Mark Webley, Steve Jackson e Tim Rance M Un affollato scontro nei meandri del nostro dungeon. decisero di fondare Lionhead Studios.
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REPLAY A cura di: Francesco “Prodocevano” Di Lazzaro (prodocevano@sprea.it)
All’inizio fu il Kaillera, e per un po’ il MAME poté essere sfruttato online, pur con tanti limiti soprattutto legati al lag. Oggi l’utopia dell’arcade globale è tornata prepotentemente in auge grazie al MameHub, di cui parliamo in sede di Focus. Le recensioni ci conducono, dopo qualche mese, nel mondo delle prime console portatili, con due titoli che hanno contribuito a sancirne il mito. Buona lettura!
FOCUS Dragon Warrior III
ONLINE CON IL MAMEHUB A
nni fa, quasi all’inizio della lunga e gloriosa epopea del Mame, un’applicazione fece la sua comparsa come un fulmine a ciel sereno: si chiamava Kaillera e consentiva di sfruttare in rete i giochi dell’emulatore arcade per eccellenza, allo scopo di sfidare amici e sconosciuti in epici “doppi”, sfruttando titoli che avevamo consumato in sala giochi a suo tempo. Lo sviluppo di questo interessante software dopo qualche tempo fu abbandonato, vittima dei suoi stessi difetti, soprattutto legati al lag, e per anni giocare online con la creatura di Nicola Salmoria divenne pura utopia. Nei primi mesi del 2011 un neonato client ha fatto la comparsa sulla scena, il MameHub (code.google.com/p/mamehub), e la sensazione di trovarsi di fronte al nuovo programma di riferimento per il gioco multiplayer in remoto è stata subito fortissima. Non solo infatti questo software garantisce un ping mediamente molto basso e una certa stabilità, ma è pensabile finalmente far girare titoli pesanti e più recenti, del tutto preclusi al tempo del predecessore. Come se non bastasse è possibile impiegare, con lo stesso MameHub, anche i classici emulati dal multipiattaforma MESS, opzione questa che lo rende ancor più appetibile. La release attualmente disponibile è la 0.5a, rilasciata a fine Aprile, molto comoda da utilizzare ed estremamente intuitiva. Al momento del lancio bisogna avere l’accortezza di autorizzare l’applicazione impostando il proprio firewall, e aprendo, laddove necessario, la porta 5805. Una riposante interfaccia grafica blu ci accoglierà una volta ultimate queste operazioni ed effettuato il login: in automatico il programma cercherà le ROM in nostro possesso nella cartella preimpostata, ma si può facilmente lavorare sul pannello di comando per collegare la directory a quella dove abitualmente conserviamo la nostra ludoteca arcade. A questo punto bisognerà decidere semplicemente se vogliamo essere noi a hostare una partita, oppure se desideriamo collegarci al PC di un altro appassionato, già pronto a ospitarci per intense sessioni in multiplayer. Dai test che ho effettuato, il software si è comportato bene anche con titoli non proprio leggeri, come i picchiaduro Neo Geo di inizio XXI secolo. Egregia la resa impegnandosi in testa a testa di fuoco con beat’em up storici come Street Fighter 2 o Mortal Kombat: a parte qualche rarissimo blocco di pochi secondi, l’esperienza è identica a quella che potremmo vivere sfidandoci in coppia sulla medesima macchina. Due le controindicazioni allo stato attuale delle cose: non c’è molta gente da sfidare, e spesso l’attesa per avviare una partita, specie se abbiamo in mente un titolo preciso, può essere snervante; inoltre i clienti Fastweb, privi di IP dinamico, nella stragrande maggioranza dei casi non riusciranno a farlo funzionare. Per tutti gli altri però il MameHub è un autentico must, a patto di avere un po’ di pazienza.
102 TGM Dicembre 2011
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PG di stampo ultra-classico, caSoftware House: pitolo finale di una saga cresciuta Nintendo all’ombra del Nintendo 8 bit, queSistema:: sto Dragon Warrior III, nel suo porting Game Boy per Game Boy Color, trova forse la suEmulatore: a definitiva consacrazione. La struttura è GnuBoy, BGB, KiGB solidissima: guideremo un party compoAnno: 2000 sto da 4 giocatori (appartenenti a classi diverse e ognuno contraddistinto da specifiche caratteristiche) contro il malvagio di turno che ha deciso di conquistare il mondo, manipolato dall’immancabile signore dei draghi Baramos, che continua a perseguitarci. Ovviamente sarà compito del giocatore approntare un gruppo equilibrato, accoppiando sapientemente personaggi con capacità differenti, in modo da prevedere e soddisfare ogni tipo di esigenza che potremmo incontrare nel corso delle nostre peripezie. Al di là del taglio nipponico della vicenda e della grafica, il gioco finisce subito per conquistare consensi: è molto facile appropriarsi delle dinamiche che lo contraddistinguono, evolvere i propri personaggi e affrontare le varie fasi dell’avventura, dal combattimento all’esplorazione, dall’acquisto di armi e oggetti alla ripartizione dei punti abilità man mano che procederemo con l’avanzare dei livelli. Il tutto senza scadere nella ripetitività e nella noia. A questo si aggiunge un comparto tecnico di prim’ordine, con una impatto visivo eccezionale (lo stato dell’arte su Game Boy Color) e un sonoro molto appropriato. A meno che non odiate i giochi di ruolo, non potete assolutamente perdervi DW III.
Track & Field
L
Software House: Konami Sistema:: Game Boy Emulatore: GnuBoy, BGB, KiGB Anno: 1992
a versione da sala di questo mitico gioco, targata 1983, è conosciuta e idolatrata da ogni videomane di vecchia data come il sottoscritto. Non tutti sanno però che, quasi 10 anni dopo il capostipite, fu realizzato un porting per Game Boy, che ampliava in modo robusto il concetto originale, aggiungendo nuovi eventi e introducendo un innovativo sistema di “smanettamento” che riusciva a rendere la neonata incarnazione accattivante e divertente, a dispetto del concept originale datato. In Track & Field ci troviamo ad affrontare una serie di cimenti olimpici di genere disparato: non più solo atletica quindi, come nella controparte arcade, ma anche sollevamento pesi, nuoto, tiro al piattello e quant’altro. Per dare forza ai nostri atleti e superare i vari eventi bisogna premere freneticamente i tasti A e B della console, con grande dispendio fisico. Esistono delle prove basate più sull’abilità e la coordinazione, ma mediamente riuscire a raggiungere un’alta velocità o una notevole potenza rappresenta la chiave per superare i vari cimenti. Splendida e assolutamente divertente la versione multiplayer, giocabile collegando due sistemi tra loro: sfidare un amico rappresenta la summa dell’intrattenimento, come sanno bene gli appassionati di questo genere di titoli. La grafica è chiara e fluida, mentre gli effetti sonori fanno egregiamente il loro dovere, pur senza strabiliare. Se conoscete le simulazioni sportive “rompi-braccia” e le apprezzate, questa ennesima conversione non potrà che piacervi.
MANIA CONSOLE A cura di ToSo, Kikko e TMB
CORNER
Torna Drake, in Uncharted 3. Tornano gli aerei, in ACE Combat. Tornano le sparatorie, in Battlefield 3. E torna pure il Nintendo DS, con un Kirbi nuovo, tutto da assaporare. Insomma, anche a 'sto giro, c'è un sacco di roba con cui allietare le proprie serate...
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e la versione PC dello sparatutto targato DICE è quel gran giocone che il buon Baccigalupi vi ha descritto in questo stesso numero di TGM, la versione console abbisogna di un’analisi un po’ diversa. Per cominciare, la campagna in singolo è afflitta da un maggior numero di bug: gli script, in particolare, hanno il brutto vizio di non attivarsi quando è necessario, o di fare cose totalmente prive di senso. Nonostante questo, il Frostbite 2 fa il suo sporco lavoro a livello visivo, tanto che su console non credo di aver mai visto uno sparatutto in prima persona così bello a vedersi. Questo soprattutto grazie a un uso degli shader davvero d’effetto, in particolare in una missione a bordo di un jet, e in una notturna, dove si vestono i panni di un cecchino sui tetti di Teheran. A ogni modo, anche su console, il cuore pulsante di Battlefield 3 è il multiplayer, che funziona molto bene sia a livello di netcode, sia come design delle mappe. Peccato solo che su Xbox 360 e PlayStation
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BATTLEFIELD 3
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3 non sia possibile affrontare partite con più di 24 giocatori per sessione: ecco il motivo per cui la splendida Caspian Borders, che su PC vale da sola il prezzo del biglietto grazie ai 64 utenti in contemporanea, è qui retrocessa a livello di scenario semplice, e quindi totalmente indifferenziata dalle altre che compongono il lotto delle ambientazioni disponibili per le modalità competitive. Ciò detto, il multiplayer di Battlefield 3 è uno dei meglio riusciti di sempre, anche se, personalmente, non ho apprezzato alcune decisioni di design prese per limitare il camperaggio, che vanno a penalizzare eccessivamente chi fa del fucile da cecchino la propria estasi videoludica. Kikko
KIRBY MASS ATTACK
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GLOBALE
è ancora vita su Nintendo DS! Ben lungi dal decidersi a lasciare il passo al 3DS (complice anche il basso numero di console piazzate da quest’ultimo, almeno fino a oggi), l’handheld più di successo della grande N ha ancora qualcosa da dire, come dimostra chiaramente Kirby Mass Attack. In questo episodio, la famosa pallina rosa “aspiratutto” è stata divisa dal solito cattivone di turno in ben dieci mini-Kirby. Questi devono viaggiare in lungo e in largo per il Dreamland così da rimettere le cose come stavano prima del patatrac. Il sistema di controllo è stato ripreso quasi pedissequamente da Kirby e l’Oscuro Disegno, il che significa che tutte le azioni devono essere effettuate quasi esclusivamente a colpi di Stilo. La divisione da un solo Kirby a dieci mini-Kirby ha come corollario la perdita del potere aspirante, ma apre nuove vie al gameplay, visto che è possibile scindere la combriccola e assegnare a ciascun gruppo compiti diversi. Diciamo che, se siete abituati ai classici stilemi della serie,
farete inizialmente un po’ fatica a prendere il possesso del gioco, ma una volta compresi i meccanismi, il divertimento decolla e si scorgono più facilmente le prelibatezze del lever design. A discapito dell’aspetto puccettoso, Kirby Mass Attack non è certo un titolo per poppanti, ma richiede attenzione nei movimenti e una buona capacità di osservazione e ragionamento. Oltre a una tonnellata di collezionabili, che fanno la felicità di tutti i completisti, è possibile sbloccare una serie di minigiochi particolarmente gustosi, perfetti per riempire i momenti di vuoto tra una fermata e l’altra della metropolitana (sciopero dei trasporti permettendo). Insomma... un grande antipasto in salsa rosa, nell’attesa di vedere cosa ne sarà di Kirby’s Adventure su Wii, atteso a scaffale proprio nei giorni in cui state leggendo queste parole. Kikko
ACE COMBAT ASSAULT HORIZON
UNCHARTED 3: L’INGANNO DI DRAKE
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menticata, nota altresì come l’Atlantide del Deserto. Sarà chiaramente la scusa per mettere in moto tutta una serie di sparatorie, botte da orbi e, soprattutto, scene d’azione degne dei migliori film di Hollywood, quelli davvero fracassoni. La realizzazione tecnica è come sempre fuori di testa: i Naughty Dog hanno ancora una volta usato quella misteriosa magia nera che consente alla PS3 di trasformarsi in una console next-gen, buttando fuori una quantità di poligoni, texture, effetti ambientali e di post-processing in grado di far piangere il 99% degli sviluppatori là fuori. E come se non bastasse, sfoggia pure un 3D stereoscopico favoloso e tutta una serie di ottime modalità multiplayer. Ecco, diciamo che se uscissero 2 o 3 giochi così all’anno, sarebbe un mondo più bello, ma sfortunatamente la vita non va in questo modo e quindi ci tocca sciropparci seguiti meno entusiasmanti. Insomma... per farla breve, se avete una PlayStation 3 e siete indecisi su cosa comprare (ed è pacifico, considerata la quantità spropositata di uscite nelle ultime settimane), a mio avviso sareste completamente folli a lasciarvi sfuggire questa perla. TMB
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una trilogia? Non è una trilogia? Ma soprattutto, a noi, che ce ne importa? Quel che conta davvero è la possibilità di ritornare a giocare a uno dei migliori action game di questa generazione, mica pizza e fichi. Questa volta il buon Nathan Drake è alle prese con un nemico che arriva direttamente dal suo passato, nel tentativo di trovare una città di-
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su PSP. Un marchio che ha sempre rappresentato una sorta di paradigma per tutti quelli che amano sfrecciare nei cieli con i caccia più sofisticati del mondo, senza impazzire con millimila comandi. Certo, la formula, dopo oltre dieci anni, iniziava a mostrare un po’ il fianco, e così i Project Aces, responsabili di questa produzione fin dagli albori, hanno deciso di tirare una bella riga sul passato e proporre qualcosa di più dinamico ed entusiasmante. L’approccio è ben più sincopato che in precedenza, e grazie a una nuova meccanica di gioco è possibile mettersi in coda al nemico, per dare inizio a un adrenalinico inseguimento, degno di Top Gun. Oltre agli arei più famosi dell’intera aeronautica militare mondiale, troviamo anche alcune sezioni a bordo di potenti elicotteri Apache, nonché dei bombardamenti dall’alto a base di AC-130, che sembrano uscire direttamente da H.A.W.X. 2 (e che, difatti, rappresentano la parte meno entusiasmante). Gran bello da vedere, questo è il primo Ace Combat su console casalinghe a presentare un’ambientazione “reale”, fra i cieli di città famosissime, come Miami, Dubai, Parigi e Washington. Apprezzabili le novità introdotte, ma speriamo in futuro di trovare un gioco meno scriptato, perché ogni tanto si ha proprio l’impressione di trovarsi davanti a una specie di Call of Duty volante... TMB
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a quanti anni Ace Combat spunta fuori come i funghi in autunno sul CMania Corner? Tanti, ve lo dico io che me li sono giocati praticamente tutti, dagli esordi sulla prima PlayStation, fino agli ultimi apparsi
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BOVABYTE Davvero in movimento questo angolo di
...che trasforma in un romanzo un volgare trasloco
A cura di: Noi Bovas bovabyte@bovabyte.com
PARENTAL ADVISORY Se state pensando di traslocare fra qualche mese, cominciate subito a imballare le cose: quel giorno, infatti, non ci sarà più tempo!
LA RELOCATION DEL PASTORE
E
bbene sì cari lettori, alla fine è successo: la famiglia del Pastore si è allargata e, all’arrivo dell’ennesimo server da collegare in cluster per il calcolo parallelo, l’intera famigliola ha dovuto trasferirsi in un appartamento dotato di una cantina più grossa. Quelle che leggerete in seguito sono le annotazioni del nostro pecoraio preferito, vergate con la penna Bic su alcuni foglietti volanti di carta igienica.
Cinque mesi prima del trasloco Beeellooooo, ho richiesto un nuovo computer presso la grande Multinazionale, e mi hanno detto che sarà pronto nel più breve tempo possiiibileeee, ovvero dopo che cinquantasei uffici diversi sparsi in tutto il mondo si saranno rimpallati l’ordine fino al giorno prima di iniziare a pagare le penaaaaliiii, ma quel giorno dovrò necessariamente trovare una casa con una cantina più graaandeee, perché ho finito lo spazio nei rack e pure quello per i rack, quindi dovrò spostare altrove il mio dataceeeenteeeer. Sarà contenta la signora Piera che abita nell’appartamento sotto il mio, perché la smetterò di usare la sua corrente a scrocco (sapete, la corrente costaaaa), anche se alla fine la ripagavo facendo confluire il calore prodotto dai miei duecento server nel suo appartameeeentooo, facendole risparmiare un sacco sul riscaldameeentooo.
Tre settimane prima dal trasloco Il tempo paaaassaaaa, ed è ora di cominciare a pensare al trasloooocooo. Mi sono già procurato tutto il necessario, compresi i sacchetti antistatici per raccogliere le viti, i bulloncini e tutte quelle strane appendici di metallo che saltano regolarmente fuori quando si smontano i mobili da una staaaanzaaa. Quei due pezzenti dei Bovas continuano a dirmi che si tratta di una precauzione inuuutileee, ma io non ci credo! Sono solo gelosi della mia professionalità. Adesso chiamo la più professionale delle ditte di traslochi della mia città, per chiedere se possono trasportare i miei server in camion criogenici, per evitare eccessivi sbalzi di tensione. Se mi daranno picche, chiamerò la seconda, la terza e anche la quarta azienda di tralochi in classiiiificaaa (Pastore, ma dove diavolo le trovi le classifiche delle ditte di traslochi di Vigevano? NdBovas).
rimediato un vecchio amico gelataio che mi ha prestato il suo camion frigorifero. Meglio di niente, ma non vorrei mai ritrovarmi un server che sa di fragola e un altro di vaniglia!
Cinque giorni prima del trasloco Oggi, con grande mestizia, sono sceso in cantina e ho deciso di programmare lo shutdown di tutti i miei server. Mentre lo facevo, non potevo non pensare a tutta la storia di quella cantina: il caro nonno Asdrubale ordinava l’uva e ci faceva il vino, usando delle vecchie botti che, mi diceva, “un giorno saranno tue”. L’amorevole nonna Pina ritirava in un altro angolo i gomitoli di lana con cui mi confezionava almeno un gilet all’anno, gomitoli con cui io giocavo provocandone una specie di ira divertita. Lo zio Geppo intanto aveva in un altro angolo ancora tutti gli arnesi con cui intagliava il legno e, spesso, mi faceva dei bellissimi giocattoli con cui mi divertivo un mondo. Tutta robaccia che ho buttato via per fare spazio ai miei seeeeerveeeeer! Beeellooooo!!!
Quattro giorni prima del trasloco Il mio programma per lo shutdown non funzionava come previsto e gli errori nei database si moltiplicavano, così ho interrotto la procedura e ho chiesto aiuto alla Multinazionale. Il consulente personale mi ha spiegato che spegnere i computer avrebL’oggetto più temuto da chiunque abbia effettuato un trasloco. Se ne comprano a dozzine, le si suddividono per scopo, ma si finisce sempre col riempirle “come viene”. E poi gravitano intonse nella casa nuova per mesi e mesi.
Due settimane e sei giorni prima del trasloco Ho chiamato la seconda, la terza e pure la quarta ditta nella classifica pubblicata da www.classificadelleaziendeditraslochi.com (un sito che voi non raggiungerete mai, perché la Multinazionale l’ha realizzato appositamente sulla mia personalissima intranet domestica, gne gne gneeeee) (SBONK! NdBovas), ma non ho trovato nessuno in grado di ibernare i miei server e garantirne il perfetto funzionamento alla riaccensione. Alla fine lo zio Geppo ha
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Il problema maggiore della relocation era costituito dalle connessioni di rete. È praticamente impossibile risalire ai collegamenti esatti quando i cavi sono organizzati in questo modo. Ma il Pastore è oltre, e può far funzionare una rete anche ricollegandoli perfettamente a caso.
BovaByte be richiesto l’apertura di un progetto alla cui realizzazione avrebbero provveduto un architetto, tre sistemisti di piattaforma, dodici sistemisti per le applicazioni, un prete e pure un tifoso napoletano per gli scongiuri di rito. Con un po’ di fortuna, nel giro di un mese tutti i miei cluster per il calcolo parallelo sarebbero stati speeeentiiii, ma io avevo solo quattro giorni di tempo. Alla fine ho usato l’antica tecnica dell’Amiga 1200, e ho staccato brutalmente la spina: si sono spenti tutti all’unisono. I vicini di casa, non sentendo più il rumore delle ventole e dei sistemi di raffreddamento, si sono radunati increduli in cortile, mettendo al rogo i tappi per le orecchie e stappando due bottiglie di champagne. Qualcuno mi ha manifestato il proprio cordoglio per la decisione di trasferirmi altrove, ma nelle sue parole mi è parso di cogliere una sottile ironia...
Il giorno del trasloco Dopo un acceso diverbio con la moglie, che non approvava il mio apparente disinteresse per i problemi legati allo spostamento di tutti gli oggetti contenuti nelle altre – inutili – stanze della nostra abitazione (in realtà me ne sono interessato eccomeeee... ho perfino chiesto allo zio Geppo di darci una mano a spostare il frigorifero), sono tornato nel mio antro e ho cominciato a spostare le macchine dai rack al camioncino del gelataio. È a questo punto che ho compreso che la relocation dei miei server sarebbe avvenuta con maggiore scioltezza se prima eliminavo coni, coppette, e gelati assortiti dal mio mezzo di trasporto. Ho dovuto compiere un bel po’ di viaggi dalla cantina sorgente alla cantina di destinazione, ma alla fine ho spostato tutti i miei server e mi è pure avanzata una Saint Honoré, che ho subito provveduto a regalare a mia moglie. Lei però non l’ha apprezzata per niente: ha messo giù la lavatriL’ipertecnologico camion usato dal Pastore per spostare i suoi server. Garantisce una temperatura costante e, per di più, permette di riempire i tempi morti del trasloco con un buon affogato al caffè.
Alcune delle frattaglie dei server che il Pastore ha dovuto spostare da una cantina all’altra.
ce che stava trasportando sulle spalle e me l’ha spalmata sui capelli. E dire che avevo pure provveduto a togliere i panni dalla lavatrice, prima di fargliela portare a piedi nella casa nuova!
Il giorno dopo il trasloco Beeeeellooooo! Alla fine della lunga, faticosa e stancante procedura di trasferimentooo, tutti i miei server si sono riaccesi e hanno cominciato a macinare numeri. Qualcuno ha fatto le bizze, per cui ho dovuto chiamare nuovamente il mio consulente della Multinazionale. Lui ha aperto una trentina di ticket che sono stati assegnati ad almeno dodici uffici diversi sparsi in tutto il mondo, che poi i medesimi hanno provveduto a rimpallarsi per due settimane fino a che, qualcuno, non li ha chiusi con un laconico “non c’è niente da fare qui, funziona tutto alla perfezione” motivato dal fatto che, nel frattempo, mi ero stufato e avevo già reinstallato il sistema operativo quattro volte.
Almeno due settimane dopo il trasloco Ora che il mio cluster di server per il calcolo parallelo funziona di nuovo, permettendomi di vincere di misura nelle gare di benchmarking, non riesco a esprimere la mia gioia a mia moglie: stranamente, infatti, le chiavi della porta che conducono dalla cantina all’appartamento non funzionano più, e lei non risponde alle mie telefonate. Secondo me è ancora arrabbiata per la Saint Honoré, eppure dovrei saperlo che non le devo regalare una torta quando è a dieta! Vabbè, prima o poi le passerà. L’importante, però, è che adesso i miei computer funzionano nuovameeeenteeee. Beeeeeeeelloooooo! È tutto più professionale! Professionale! Professionaaaaaaaleeeeeee! (SBONK! NdBovas)
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TGM@ MAIL A cura di: Massimo Svanoni xam@sprea.it
Prosopopea - 3 novembre 2011 [Yawn]
H
o appena finito di vedere il trailer di GTA V e l’hype mi è immediatamente salito a livelli di guardia. Hai voglia a sparare contro l’hype e contro tutti i maledetti meccanismi messi in atto per fregarci: basta un filmato e crolla tutto.
Leonardo Renzi sciò Bene. Io pensavo che almeno fra chi lavora nell’ambito della produzione e valutazione del prodotto videogioco esistesse un minimo di autocoscienza, se non è così, significa che è un punto su cui si può costruire. Per quanto riguarda la tua risposta, io ho alcune obiezioni su cui spero vorrai ribattere. 1- “Videogioco è distrazione. È cultura. Ma è cultura che, tendenzialmente, fa riflettere poco.” Sul concetto sono d’accordo, ma non sul tono di disappunto che lo sottende. È vero, il videogioco non fa riflettere, ma la riflessione e l’intimità (i due concetti sono strettamente correlati) sono caratteristiche emerse con la nascita della stampa, e con la rivoluzione antropologica che questa invenzione ha provocato, denominata da Marshall McLuhan rivoluzione “dell’uomo tipografico”. Quest’uomo è diventato egemone come tipo umano solamente dopo una dura lotta con l’uomo medievale (ci sono voluti ben 4 secoli!), che invece si ancorava su una visione del mondo di tipo collettivista e tradizionale. Ora l’homo ludens è praticamente un neonato, che però come visione del mondo porta dei valori che sono incompatibili con quelli dell’uomo tipografico, valori che a quest’ultimo sembrano necessariamente dei disvalori. Tu mi dici che il videogioco non fa riflettere, ma perché dovrebbe avere l’ambizione di farlo? L’homo ludens ama l’azzardo, il possibile più del probabile, la sintesi immediata rispetto alla scomposizione e ricomposizione analitica, la velocità d’azione e reazione rispetto alla ponderatezza delle mosse... per questo modo di pensare, è più simile a uomo tribale sotto anfetamine che al suo parente più prossimo, l’uomo d’acciaio dell’industrializzazione. 2- “Poiché (opinione mia), coinvolge 108 TGM Dicembre 2011
Amen, non volevo parlarvi di questo. E neppure d’altro, a dire il vero. Questo mese ho dato risalto a una questione sollevata sul numero scorso da Leonardo Renzi, con cui ho avuto modo di discutere. Vi riporto un estratto della cosa e, intanto che ci sono, vi gi-
l’homo ludens a un livello più totalizzante, rispetto agli altri generi. Nel momento in cui esiste interazione, non c’è più spazio per l’analisi.” Anche qui concordo sul concetto, ma non sul tono. Il videogioco è totalizzante, mobilita l’homo ludens nella sua interezza, proprio perché lo mette nel terreno che gli è proprio: quello della simulazione. Il terreno analitico è estraneo al modo di pensare dell’homo ludens come lo è il metodo scientifico per l’uomo medievale: l’analisi necessita di una narrazione da scomporre, ma l’homo ludens non ha alcunché da narrare: simula, non costruisce storie da raccontare e raccontarsi. Non ne ha né il tempo né le capacità. Si discute molto della contrazione del linguaggio nei giovani e nell’impoverimento del loro vocabolario, addebitando tutto all’ignoranza e al sistema scolastico; e se invece fosse solamente il segno più evidente di una mutazione della percezione di sé? A che pro avere un vocabolario esteso, in grado di dar voce ai moti intimi più reconditi, quando questi moti non esistono più, perché sono stati sostituiti da una aderenza di tipo totale alla vita così come si presenta, non più filtrata dall’autocoscienza? In questo il giocatore di Quake è più rappresentativo di uno che ama i GDR. 3- “L’homo ludens resta, dunque, semplicemente un’altra sotto categoria, di modesto contributo, nella più ampia accezione della vita come distrazione (fatemi cambiare idea)”. Qui, invece, non sono d’accordo sul concetto. Il giocatore, se è un vero giocatore, non gioca per distrarsi, gioca perché il gioco è il suo habitat naturale, la sua forma mentis. Spesso il gioco viene associato alla leggerezza e al divertimento (odio questa parola!), questo non è del tutto falso, ma è una visione troppo riduttiva: il vero giocatore conosce il
ro il link al blog del neo ingegnere Pietro, che un uccellino ha portato alla mia attenzione: www.gameswisdom.com. Lo so, sembra un po’ la posta del cuore, ma sapete, anche noi redattori marci si vive di sentimenti. Massimo Svanoni
tragico, la serietà, ha esperienza del limite insito nella mortalità, ma affronta questi aspetti con la forma mentis del gioco. Mi spiego: se osserviamo i bambini quando giocano, notiamo che nel gioco mettono tutto, hanno una serietà mortale, se uno di loro bara e viene scoperto viene isolato e aggredito con una ferocia che gli adulti riservano solo ai criminali. La stessa cosa avviene fra i videogiocatori hardcore adulti: il cheater è odiato perché distrugge la serietà del gioco, ne infrange i limiti, riducendo il gioco ad una farsa, ad una irrealtà. Ecco, questi sono gli appunti che muovo alla tua risposta. Considera una cosa (altrimenti rischiamo di fraintenderci): io non sono un apologeta né un entusiasta dell’homo ludens, anzi, per molti versi il suo sorgere è per me una minaccia nei valori in cui credo. Però se il suo affermarsi è una necessità storica (dovuta alla decomposizione delle visioni di vita totalizzanti sia laiche che religiose), meglio accelerarne la venuta, che attenderne a braccia conserte una nascita tardiva. Forse su questa visione siamo in completo accordo. A te Hai sollevato nuovi spunti, ancora più interessanti. Quel che stai suggerendo è dunque un’interpretazione omogenea di una serie di fenomeni dei giorni nostri. Impoverimento dialettico o della lingua (in realtà un processo di evoluzione/ trasformazione che perdura da secoli), banalizzazione delle abitudini e appiattimento dell’interesse per una serie di stimoli culturali (laddove, nello specifico, intendo stimoli “che fanno riflettere”, ossia propri dell’uomo tipografico) e, in ultimo ma non ultimo, il videogioco. Ho sempre considerato la riflessione e l’analisi parte integrante di un proces-
A CHI LO SPEDISCO? DAI, CHE È FACILE! TGM BAZAR:
forum.tgmonline.it/forumdisplay. php?263-TGM-Bazar (oppure tinyurl.com/tgmbazar) È cambiato il link: mi mettono alla prova ma io li frego. Ah, se li frego.
TGM MAIL:
Non solo funziona, ma la form rulla di brullo. Gioitene con me su www. tgmonline.it/contact e TGM Mail o, se proprio volete fare i tradizionalisti, scrivetemi a xam@sprea.it con subject [TGM Mail].
il blog:
Apprendo ora non tanto dell’esistenza di questa entità, quanto della presenza di questa voce all’interno del box. Un po’ il posto giusto per capire il cosacomequando di questa rivista qui: www.tgmonline.it.
LA REDA:
Chiacchierarcela qui ok, ma ci sono milioni di redattori che vogliono sentire quel che avete da dire. [Taralluccio] Li trovate scrivendo a redazione@tgmonline.it.
L’homo ludens ama l’azzardo, il possibile più del probabile, la sintesi immediata rispetto alla scomposizione e ricomposizione analitica, la velocità d’azione e reazione rispetto alla ponderatezza delle mosse... per questo modo di pensare, è più simile ad uomo tribale sotto anfetamine Leonardo Renzi
so di crescita personale. Ammettere il loro accantonamento significherebbe riconoscere nella nascita di questa nuova tipologia un elemento di staticità, proprio come carattere fondamentale. L’homo ludens è votato all’azione, non è più autocosciente, vede prevalere l’istinto alla ragione, distrugge le sovra-
Tgm mail Il giocatore, se è un vero giocatore, non gioca per distrarsi, gioca perché il gioco è il suo habitat naturale, la sua forma mentis. […] Il vero giocatore conosce il tragico, la serietà, ha esperienza del limite insito nella mortalità, ma affronta questi aspetti con la forma mentis del gioco Leonardo Renzi
strutture, non si chiede quel che fa. Al di là dei giudizi (di per sé inutili), è questo che si sta costruendo, mi dici, e il videogioco è parte integrante del processo. E se il principio è quello di una nuova attitudine, ne viene che anche l’analisi, prima ancora che dalla mancanza di storie (perché, dopotutto, la simulazione è semplicemente un altro modo di costruire una storia, un altro linguaggio), viene deposta da questa stessa attitudine. Non ce n’è più voglia, forse neppure necessità. Io dico, intanto, che la necessità non potrà scomparire. L’uomo istintivo o ludico che dir si voglia non ha risolto per costituzione le sue domande fondamentali. Queste sbucheranno, prima o poi, da qualche parte. Come sbucherà il dolore, l’afflizione, lo sgomento (che sono, semplicemente, propri della condizione umana). E questi saranno gli stimoli che lo condurranno di nuovo su una via di indagine. Magari si tratterà di una riflessione meno strutturata, priva degli strumenti che sono propri dell’uomo come lo conosciamo oggi. Ma a questi strumenti, in qualche modo, dovrà tornare. Poiché, anzitutto, ci è già passato. Mi sa che tuttavia debbo darti ragione sul terzo punto. La spinta iniziale è la necessità di distrazione, ma poi si va oltre. Mi piace molto l’idea del gioco come forma mentis. Perché, dopotutto è vero: esiste un’etica del gioco, esiste una serie di regole non scritte, una sorta di cavalleria del giocare che ci potrebbe suggerire un parallelo con altre epoche e altri trascorsi dell’umana gente.
AVVERTENZE D’USO H
o un occhio che protesta a gran voce (modello Igor di Frankenstein junior) e dovrò accontentarlo con il meritato riposo. Ma prima non posso esimermi dalla solita carrellata che tanto ve gusta.
IGOR
CULTURA
Il buon Leonardo Renzi picchia giù duro anche in questo numero e tocca che la star di Dicembre la faccia ancora lui. Quand’è che mi uscite dal bozzolo, voialtri?
Quella cosa evocata più o meno da tutti, dinanzi al manifestarsi di una nuova forma espressiva o di intrattenimento.
È record: cito un termine nell’intro delle Preferenze e poi ce lo infilo dentro. Sarò matto.
LEONARDOSCIO
HARRISONFORD Uomo provvisto di orecchino al lobo sinistro che (apparentemente) adora vestire i panni di chi lo cita.
NATALE Evento che scandisce in modo anche lapidario il calendario delle uscite ludiche di ogni santa annata. Cosa avete puntato, questa volta?
HOMOLUDENS L’argomento tiene ancora banco, eccome, all’alba di un 2012 che Maya e relativi amici vivranno con particolare apprensione.
RAGE Giuoco che tutti noi, più o meno, abbiamo aspettato con apprensione, salvo poi scoprire che... chi vivrà vedrà (uh, da quanto non la sentivo, questa).
TARALLUCCIO The Sciò must go on Vedo che ci siamo intesi perfettamente. Io ho estremizzato volutamente il concetto di homo ludens, perché risalti il più possibile la sua specificità rispetto all’uomo tipografico (e industriale, la storia ha unito inscindibilmente queste due
Lettore il cui nick mi dà immenso piacere riportare nei più reconditi angoli di questa TGM Mail. Anzi, lo elevo in questo momento al rango di primo easter-egg della TGM Mail da che è nata. Contate i punti in cui compare del tutto casualmente all’interno di queste pagine, poi mandatemi la risposta sigillata in busca chiusa via mail (sarà la stanchezza).
A Vitruvio? In miniera!
E
h sì, devo dire che Minecraft è ormai entrato di diritto nella storia dei giuochi su PC nella veste di fenomeno, di quella categoria entro la quale ogni sconfinamento è lecito. E non dico che lo riconoscono anche i casual, però quest’uomo di Vitruvio rivisitato è niente male assai.
XAM Uomo ricoperto di lividi dalla testa ai piedi che, tuttavia, non sa rinunciare al piacere del pernottare tardo, specie quando si tratta di scrivere cose che poi andrete a leggere con tanta gioia.
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Doveva succedere
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k che il quarto episodio è venuto come è venuto. Ok che noi avevamo già giocato l’ottimo Fate of Atlantis in tempi non sospetti. Ok che poi è arrivata l’ora degli Uncharted (salto a pié pari i vari Tomb Raider e gli Indiana Jones ufficiali). Però che Indy passasse il testimone così... tinyurl.com/harunc
categorie) che l’ha preceduto, ma sicuramente dovrà scendere a patti col passato, così come internet ha dovuto ibridarsi coi media tradizionali dell’uomo industriale (giornali e libri). Il problema enorme che hai posto, ossia come l’homo ludens affronterà le domande fondamentali dell’esistenza, è al momento senza risposta: solamente il tempo ce l’ho potrà dire, per ora abbiamo solo dei comportamenti di massa che erano impensabili fino a solo 30 anni fa (nuove forme di famiglia che rifiutano la cornice del matrimonio, ragazzi che scelgono il precariato lavorativo come forma di vita e non come costrizione, ecc...), ma non hanno nessuna coerenza intrinseca a livello di pensiero, né portano a formare vere e proprie personalità inedite, di cui sia possibile tracciare un identikit. Sicuramente l’uomo ludens è per sua stessa natura più fragile ed esposto al dolore rispetto all’uomo della tradizione, per il semplice motivo che il suo continuo cut up di valori, stili di vita, ecc non gli danno nessuna cornice fissa entro cui il dolore possa trovare un senso quindi una giustificazione... l’homo ludens conosce la tragedia (o forse, il grottesco) della vita molto meglio dell’uomo industriale che ha vissuto eventi storici molto più drammatici della crisi economica dei nostri giorni. Il discorso è poi scivolato su altri argomenti che tralascio di riportare. Non aggiungo altro, proprio perché voglio sentire di nuovo l’opinione di voi tutti. Iniziando da quella del qui presente Taralluccio. 110 TGM Dicembre 2011
[Caro John Carmack] vai pure a sviluppare su console se non hai più idee da proporci dai tempi di Wolf 3D, a noi non piace la minestra riscaldata della nonna. Buona fortuna per tutto Ruben Caroli
Tarallucci e vino Secondo me l’homo ludens è una conseguenza della nostra realtà, è una forma di “astrazione legalizzata” dai tanti problemi della nostra società. Io sono stato homo ludens fin quando ho potuto permettermi di astrarmi dalla realtà. Adesso ho un figlio, ho dei problemi che DEVO affrontare e questo ha segnato la morte del mio alter ego ludens. Il videogioco può essere visto come forma d’arte almeno dal lato visivo e musicale, nella creazione di ambientazioni, ma oggi difficilmente diventa cultura (Doom, Serious Sam, Hitman, e via dicendo, possono essere cultura?), spesso i giochi più seguiti sono quelli che fanno della violenza il loro punto forte, e questo è altamente diseducativo, specialmente se messi in mano a bambini. Questo è un altro termometro della nostra società: bambini lasciati soli a se stessi a giocare intere ore a Vice City. Ma la cosa più grave è che probabilmente il genitore ludens (visto nella più ampia accezione del termine) è anche lui videogiocatore o comunque spesso lo è stato e quindi sa di cosa tratta un videogioco e si astrae dalla responsabilità di controllare a cosa stia giocando il figlio, perché così può farsi gli affari suoi senza avere tanti rompimenti di scatole. E questo è sicuramente un risvolto più che negativo del modus operandi dell’homo ludens sulla società. Da qui si entra in un circolo vizioso dal quale difficilmente si riesce ad uscire, perché la stessa cosa farà (se non peggio) il figlio quando sarà cresciuto e avrà una propria prole. Detto questo, spero di poter continuare a epistolare su queste pagine. Saluti e Baci Taralluccio Butterei lì una citazione d’altri tempi e d’altri spazi: chi fa distinzione tra alta e bassa cultura è già stato ampiamente sconfitto dalla Storia (se me la beccate vi taccio d’altro tradimento). Ehm... cough... cough... Detto questo, ti dico che sei bello pragmatico, ma nel tuo pragmatismo giustificato, offri un ulteriore spunto: l’homo ludens ha, dunque, una scadenza?
One and One Ciao a tutti di TGM, Io mi chiamo Mattia, ho diciotto anni e sono un game designer wanna-be.
Recentemente ho creato un gioco ispirato da Braid e Company of Myself di cui ho curato Game Design, Programmazione e Art Direction. Il gioco è chiamato “One and One Story” e l’idea alla base era la suddetta: avere un gameplay che variasse a seconda della narrazione. Ecco che il tema scelto è stato quello della relazione ragazzo-ragazza, roba assai volubile e soggetta a cambiamenti! :D Potete giocarci sul sito dello sponsor, Armor Games: armorgames. com/play/12409/one-and-one-story Il gioco recentemente ha passato le 650.000 view (contando anche quelle fuori da Armor Games) e penso che il numero si triplicherà o più appena lo invierò a Newgrounds e Kongregate. Numerose testate ne hanno parlato tra cui pcgamer.com, indiegames.com, indievault.it, theindieshelter.com e sarebbe veramente una figata (sì, sono molto formale) vederlo su TGM o su Tgm online. È dal 2004 all’età di 11 anni che compro TGM senza mai perdere un numero! Ho sempre guardato la Talent Zone e i mods dicendo “un giorno apparirò anche io lì”. Poi guardavo la sezione del Raffo dicendo “un giorno spero di non apparire lì” (ridendo di gusto per ogni lettera :P) Si può dire che senza TGM non mi sarei mai avvicinato al game dev. Quindi, comunque vada, grazie mille per tutto il lavoro svolto in questi anni. Mattia Dai, eccoti qui. Basta che mi prometti di evitare la sviolinata la prossima volta ;).
Caro John Carmack Caro John Carmack, ho letto il tuo sfogo dopo il fallimento del lancio di Rage su PC, a causa dell’impossibilità di giocarci su molte configurazioni, e devo dire che sicuramente hai ragione sul fatto
che Rage venderà di più per console che per PC. A meno che tiriate fuori una patch che faccia miracoli in tempo record. Ma non sono d’accordo sul fatto che le console abbiano più pubblico rispetto al PC: potenzialmente, esistono molti più computer al mondo in grado di far girare Rage rispetto a tutte le Xbox 360 e le Playstation 3 messe insieme (sicuro sicuro? Stiamo parlando di oltre 100 milioni di console... ndTMB). Le 360 in giro sono 55 milioni, mentre i soli utenti Steam sono 35 milioni, a cui si aggiungono tutti quelli (tanti) che acquistano nei negozi o su Internet il gioco fisico. Quello che però non dici è che i giocatori PC sono molto più accorti e informati da questo punto di vista, e se un gioco non promette assolutamente nessuna innovazione (non dico solo in termini di grafica), anzi risulta retrogrado, i giocatori PC volgeranno lo sguardo altrove. Basti guardare al successo mondiale di Portal 2. Diverso è invece per le console, dove gli investimenti in pubblicità martellante per un titolo sono direttamente proporzionali alle sue vendite, e dove la banalità e la ripetitività la fanno da padrone ormai da un decennio: è solo l’hype a guidare le vendite. Quindi vai pure a sviluppare su console se non hai più idee da proporci dai tempi di Wolf 3D, a noi non piace la minestra riscaldata della nonna. Buona fortuna per tutto Ruben Caroli
AU REVOIR L’acquisto del mese precedente si è risolto in tragedia. Non tanto perché non sia riuscito a perfezionarlo. Non tanto perché non sia riuscito poi a goderne. Quanto perché mi è morta la console per la seconda e definitiva volta e, naturalmente, ho fatto la scelta sbagliata. E ora non mi resta che rosolare nell’amarezza. Taralluccio
Angolo reggalino di Natale
N
atale è alle porte e non sapete cosa regalare alla morosina per convincerla del fatto che non siete nerdacci che pensano soli ai videogiochi? Ecco la soluzione! È morbido, abbastanza peloso e questo è tutto ciò che conta per colpire nel segno (fa nulla se poi, sul divano, sarete voi a cingerlo in un mortale abbraccio d’amore, perdendo completamente ogni vostra velleità di maschi). [Taralluccio]
ADSO
Adso da Melk è uno dei fondatori di NGI, si è occupato dell'organizzazione di eventi legati al gaming quali World Cyber Games, NGI Lan e Smau ILP. Stimato in redazione, il buon Luca si rivela prezioso da inseguire a ogni chiusura numero. E spesso anche oltre.
A cura di: Adso adso@sprea.it
Sic Transit Siamo ben alla seconda “Season Finale” di quella che verrà ricordata negli Annali della Storia del Netgaming come la “Saga Coreana”. E il titolo? Boh.
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l problema della “fuffa iniziale” è che piace a taluni ed è schifata da altri. La verità è che questa è un’eredità dei primi mesi di vita di questa pagina, quando, incalzato da un sempreverde Silvestri che mi martellava obiettivamente meno del ToSo, mi si rinfacciava l’eccessiva brevità del mio scritto e la necessità di condirlo con immagini dalla dimensioni sempre più imbarazzanti. Sagace, quindi, fu l’idea di cominciare con una sequela di inezie, volte alle volte a divertire, ma con l’unico scopo di “riempire”. Oggi invece la parte iniziale ha in realtà un doppio scopo: quella di raccontare le peane del ToSo e l’irrefrenabile impulso di scrivere più testo della Rikkomba Vivente, che ha una paginetta con più foto che caratteri, quantomeno valutandone il peso in kilobytes. Mi rendo conto che tale pratica possa apparire quantomeno sussiegosa: il sottoscritto che si auto-conciona in primis, e che poi non ha altri stimoli se non una mera gara di “celolunghismo” con, in ordine temporale, l’ultimo arrivato a contribuire a questo memorabile magazine. Ma è giunta l’era della resipiscenza. È giunto il momento di dare a questa sezione la dignità che merita. Da oggi è la sezione dove i diòscuri Adso & ToSo continueranno a punzecchiarsi e il posto dove scaldo i polpastrelli, tetragono come una roccia e pronto a riversare fiumane di bei concetti in questa pagi-
na oramai annale nella storia di TGM. Non ultimo per scrivere più caratteri della Rikkomba, eccherazzo (quindi, per questo mese, diamo semplicemente addosso all’ultimo arrivato, la Rikkomba, corretto? ndToSo). [+]Sic transit gloria mundi (“Così passa la gloria del mondo”, in senso lato “Come sono effimere le cose del mondo”) è una celebre locuzione in lingua latina che viene citata anche a proposito di insuccessi seguiti a grandi trionfi, a volte in tono scherzoso (e a volte no), che continuava a rimbalzare nel mio encefalo durante la notte precedente il Grand Final, mentre mi sforzavo di rigirarmi nel letto dell’ampia camera che l’organizzazione aveva riservato a ognuno dei Team Leder nazionali (su certe cose questi non badavano a spese, c’è da dirlo), infastidito dall’attrito unticcio della vaselina che ricopriva tutto il mio corpo (chi è stato a Seul ed ha visitato un certo quartiere SA di cosa parlo) e le lenzuola di seta nera gentilmente fornite dalla struttura ospitante. Il sottoscritto, come raccontato lo scorso mese, aveva deciso di abbandonare alla sua ria sorte il destino dell’organizzazione di tornei aggiuntivi, grondanti di dollari di montepremi, perché, tutto sommato, la nostra nazionale non era più coinvolta nei tornei che non fossero le finali di FIFA, perché ero profondamente offeso dal tentativo tutt’altro che sottaciuto di comprarci a suon di voluttuose e concupiscenti banconote verdi, e perché tutto sommato non volevo tradire lo stereotipo dell’italiano medio tanto ben diffuso fuori dal belpaese sempre saldamente dedito al “chissene”. La mattina delle Grand Finale era giunta. Nella sala dove servivano la colazione (provate ad immaginarvi cosa potevano servire in un posto che ospitava una bella rappresentanza delle nazioni mondiali: un variopinto e carnevalesco buffet con tutto lo scibile immaginabile, da pesci e calamari – taluni vivi – fino a orrende poltiglie cremisi dall’odore nauseabondo vicino a quello dello Kvas andato a male che un team dall’aspetto orientaleggiante divorava con avidità) i vari Team Leader, tra cui quello USA a questo giro senza baffoni ma che non perdeva affatto quell’aria da redneck che tanto lo caratterizzava, che nella notte aveva-
no provato ad organizzare e a portare a termine i tanto citati “tornei riparatori ripieni di dollah che manco un maritozzo alla panna”, e che sfoggiavano lo sguardo stravolto da notte in bianco e che comunque dovevano partecipare al rito finale di tutta la liturgia dei World Cyber Games coreani. La nostra squadra portava gli stessi segni, a parte ovviamente i tre di FIFA, tirati come rasoi, e come al solito evitai di fare domande di cui potevo intuire la risposta. I Bus ci stavano aspettando per portarci nella mirabolante sala dedicata all’evento; struttura che ho già ampiamente descritto nei mesi passati ma che riassumo per chi non c’era con “enorme, con palco grandioso, piena di megaschermi, fulgida di luci, farcita di telecamere di televisioni (tra le quali quelle di MTV Asia), gremita di giornalisti, fotografi e pubblico”. Le varie finali si succedevano con ritmo incalzante, schiave dei tempi televisivi (un’emittente locale trasmetteva in diretta con tanto di banchetto con commentatori vari e VIP nazionali), e del serrato programma al limite dell’“anal-retentive” (ToSo, cerca su google ché non è una parolaccia quindi non segarla. Ah, e non segare manco questo commento ché fa “colore”. E nemmeno quest’ultimo. E nemmanco questo… insomma non tagliare niente con la scusa che dico le “cose sporche” ché così si capisce la lotta serrata sui termini e la tua crociata al limite del puritanesimo) (tu sei? ndToSo), e la “nostra” finale di FIFA si stava avvicinando. Sul palco, il team del 2vs2, con Alessandro “El_Pallettaro” Candelari e Davide “David`125” Anzalone, aveva appena guadagnato un sudato secondo posto e la gioia serpeggiava briosa tra le fila italiche ed europee tutte. Ed ecco giunto il momento già descritto dello “scippo”: il nostro Francesco ”Champion” Di Dio è stato appena sconfitto in maniera quantomeno dubbia e tutto il parterre dei partecipanti all’evento era in subbuglio (pleonastico dire che ovviamente i coreani gioivano sbattendosene allegramente la ciolla). Finita la kermesse il nostro team e io (spalleggiati da Francesi, Olandesi, Tedeschi e Austriaci) eravamo fortemente intenzionati a non far passare sotto silenzio quanto avvenuto. So-
prattutto considerato che, tra le ragioni addotte, c’era quella di non avere il tempo di analizzare quanto accaduto durante il famoso “golden goal” essendo schiavi del serrato programma televisivo. In pratica Francesco si era visto forse soffiare diverse decine di migliaia di banconote in valuta statunitense perché l’organizzazione non aveva il tempo di mandare in onda una lunga sequela di spot pubblicitari o giù di lì. La sera stessa, all’indomani della partenza per l’Italia, chiesi e ottenni un incontro con i più alti vertici dei WCG. Non volevo avere più tra i piedi sedicenti organizzatori le cui facce cambiavano (nel senso che erano davvero diversi!) giorno dopo giorno, di improvvisati “Game Master” ignari di giochi, regolamenti e lingua franca (l’inglese), e di urlanti arbitri di 14 anni che prendevano decisioni avventate durante i match in nome della sempre troppo idolatrata puntualità e fedeltà allo “schedule”. Ottenni una riunione con il CEO (l’amministratore delegato), e la direzione esecutiva di cui era a capo, della società, costola di un famoso produttore coreano di elettronica e molto altro, che gestiva tutto l’evento. Questo figuro (palesemente irritato e forse desideroso di chiudere una settimana di sforzi e problemi) bofonchiò alcuni sconnessi termini nella lingua d’Albione che potevano significare un “oramai è andata così e bon. Ha deciso il game master e la decisione è stata presa”. Accompagnato all’uscita in modo gentil-aggressivo venivo redarguito da uno dei più affabili collaboratori che, scusandosi per l’accaduto, cercava di giustificare il CEO dicendo “english is not one of his best skills” (“l’Inglese non è una delle sue skill migliori”. ndToSo), come se il fatto che il signore parlasse inglese com’io favello l’uzbeko fosse una sufficiente giustificazione. Il mattino dopo, stanchi e frusti, venimmo accompagnati all’aeroporto. E questo è tutto. Dicembre 2011 TGM
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PARADOSSA
A I R O EUF
A cura di: Massimo “NKZ” Nichini euforiaparadossa@sprea.it
La notte porta consiglio, la mattina porta sbadiglio. Il resto del giorno? O coniglio o Robinho, a seconda dei gusti…
C
ari Euforitici Paradotracheali, bentor... coff, coff. Scusate, ma qui è peggio di un lazzaretto in questi giorni: ho genitori in balia di febbri deliranti, ragazza più fibrillata di una distorsione spaziotemporale in grado di fargli venire quei giorni lì cinque volte contemporaneamente. Persino il PC ha deciso di abbandonarmi, non so se mi spiego. Li chiamano malanni di stagione, nel senso che a occhio ci vorrà una stagione per rimettersi in piedi. Ecco perché con le ultime forze confeziono questa paginetta per il vostro ludibrio. Il mese prossimo chissà, forse Babbo Natale mi regalerà quella splendida macchinetta per le inalazioni che in questi giorni sogno più della PS Vita…
IL MIO GIOCO PREFERITO
P
oi si dice che con l’età si smette di giocare ai giochi di quando si era bambini. Io con questo esemplare, anche se sembra un prototipo, tornerei volentierissimo a giocare alla battaglia navale. Anche perché all’epoca si giocava sui quaderni durante le lezioni, mentre oggi potrei farlo con questo set di bicchieri da chupito. E l’idea di giocare con il buon TMB che mi urla “Asssfhondato, bella te… ic” non avrebbe prezzo.
QUANDO IL FURTO DI IDEE SI TRASFORMA IN CLASSE
I
l mercato dell’accessoristica tra lenzuolo e coprimaterasso langue? Bene, allora perché non lanciare una linea di profilattici divertenti e scherzosi, magari con delle frasi a effetto che fanno tanto simpatia, in quei momenti lì? Eggià, la fate facile, voi: inventare slogan pubblicitari costa fatica e impegno. Perché allora non rubarli? Ecco, questo è già più facile, tanto che ci ha già pensato qualcun altro. Qualcuno che, tra parentesi, non ha paura di finire sotto processo per violazione di tutte le più elementari norme sul diritto d’autore. Però il risultato, fino a quando non chiuderanno la ditta produttrice, è esilarante: Un condom che “Si scioglie in bocca, non in mano” al posto delle M&M’s, un altro che “Once you pop, you can’t stop” preso dalle Pringles. Anche se il migliore per me rimane quello rubato alla Gatorade: “Is IT in you?”. Senza prezzo…
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NON ESISTE SOLO LA CUCINA FUSION, MA ANCHE LE CONSOLE!
S
ignori euforotti e signore euforotte, ecco a voi un oggetto di altissimo e indiscutibile pregio. Trattasi della più splendida, inaspettata e a tratti sconvolgente console taroccata rintracciabile sul mercato parallelo. Avete presente quelli splendidi oggettucoli che le nonne sono in grado di acquistare per i nipotini? Quelle con la forma di un pad PS con dentro 1500 giochi pre 1975, per intenderci? Ecco, questa è la più grande paccottiglia che mi sia mai capitato di vedere. Nell’ordine abbiamo: un corpo centrale preso pari pari dalla vecchia Xbox, due joypad Playstation (chissà poi perché), una fedele riproduzione di una beretta. Il tutto, giusto che non era abbastanza, sotto al nome di “BATTMAN”… con due T e qualche foto presa dalle locandine, giusto per infrangere qualche altro copyright. Se riuscite a trovare di peggio giuro che mi travesto da nonna, vado a comprarla e ve la porto a casa di persona (sfida lanciata… ndToSo).
SENZA CONTRASTO, O FORSE CON(TRASTO)…
L
e immagini dedicate alla roditrice questo mese si basano su una mera somiglianza cromatica di due scatti di topomodelle. A renderle simili, appunto, la stessa ricerca di colori, anche se la situazione, la posizione, e persino l’atteggiamento non hanno davvero niente in comune. Però volete mettere? Due amabilis
BACKSTAGE A cura di: Rikkomba, La Vivente rikkomba@gmail.com
Donne obese che in teoria non vorresti Anche questo mese una bella emozione con TGM
B
entornati sulla pagina di Backstage, la rubrica al cui confronto Asereje è un video di Al Qaeda. L’altro giorno stavo suggerendo al Raffo di implementare i pareri multipli nelle recensioni del ciappi, quando all’improvviso, coi dovuti tempi editoriali, ho avuto un’epifania: avevo avuto un successo marginalmente discostato dalle ottimistiche previsioni. La vostra amichevole Rikkomba di quartiere si sentiva come l’ex fidanzata del Cinese: disperata ma pronta a tutto pur di vincere una scommessa. Fin da quando sono stato cooptato per gestire il gioco allegato, ho sempre avuto la massima cura nel selezionare per voi soltanto titoli recenti che valesse davvero la pena giocare. È stata una dura lotta, ma non mi sono mai arreso! Eppure, pare che cotanta dedizione sia stata in parte deleteria, almeno stando a quei fan disillusi che nel frattempo si sono ridotti a giocare porcate immonde come Limbo. Ecco perché questo numero di TGM ha l’allegato definitivo: i soldi. Premessa: in 25 anni equamente divisi tra smanettamenti e smadonnamenti, il denaro è sempre stato l’indice del mio catalogo videoludico. Agli inizi mi chiedevo
spesso quanti credits costassero i credits di Haunted Castle (tutti assieme, diciamo almeno un paio di scomuniche). Andando avanti, i quattrini sono passati a un piano ben più astratto: erano i tempi di ConsoleMania e del Bovas’ Hard Café. Erano gli anni di Lord Sega, Capitan SNK e dell’Anonimo Napoletano. Soprattutto, era un’epoca in cui un videogioco originale costava centomila lire, altro che cinquanta ECU, e in cui mi chiedevo come potessero certi lettori lamentarsi di potersi permettere un solo gioco nuovo al mese, per non parlare dell’utenza NEO-GEO. È quindi per me importante che si possa godere dei propri videogiochi preferiti senza patemi economici, specie considerando che la pirateria è da pipparoli. Come fare? Il mercato dell’usato è d’aiuto, ma non basta: a meno di casi eccellenti del livello di un System Shock 2 scatolato, si tratta pur sempre di giocare in perdita. Eppure, il familiare mercato dell’usato è un ottimo punto di partenza: resta da individuare cosa possa essere rivenduto con profitto. Come ci hanno insegnato Napster e i suoi epigoni, nelle compravendite online la tangibilità è una determinante primaria del va-
lore. La possibilità di generare copie identiche con due click è devastante per i nostri scopi, sia per i pirati che per i Good Old Games di turno. Potremmo discutere a lungo di quale sia il bene ideale, e ciascuno avrebbe un’opinione diversa: per vostra fortuna, scrivendo su TGM ho ragione io. Quello che ci interessa sono giocattoli nuovi o usati ispirati a serie degli anni ’80: Transformers, Soul of Chogokin o Saint Seiya Myth Cloth vanno benissimo per iniziare. Questi prodotti sono facilmente reperibili online, godono di un discreto aumento di valore già nel breve periodo e soprattutto sono ricercati da un pubblico ultratrentenne, occupato e con una nostalgia da decine di migliaia di euro. L’opzione più semplice è gettarsi sulle edizioni limitate: una semplice ricerca su eBay inclusiva di termini come “limited edition”, “convention exclusive” o “store exclusive” vi darà un’idea chiara del loro peso. L’usato concede guadagni anche maggiori, ma richiede più esperien-
za: per i Transformers, siti come tfu. info consentono a chiunque di fare luce sui tesori trasformabili celati nelle cantine. La prossima scheda grafica, in altre parole, potrebbe essere già a casa vostra, abbandonata da vent’anni in un cassettone. Un modo semplice ed efficace di fare cassa sono gli acquisti multipli: in particolare, negli Stati Uniti ogni cinque minuti un collezionista è costretto a svendere la propria Collezione per due soldi perché strangolato dalla carta di credito, e sta a voi approfittarne. Vi stupirete ben presto di quante persone ci siano in giro disposte a farsi radere al suolo il mutuo da Mazinga. Per i più pigri, acquistare un’edizione esclusiva del prossimo Optimus Prime o Pegasus e chiuderla in un cassetto per rivenderla dopo un annetto è il modo più semplice e indolore per iniziare: fossero anche dieci euro di guadagno netto su cento investiti, finalmente ci leveremmo di torno la storica scusa del “sì ma io pirato perché non ho nemmeno i soldi per le edizioni budget”, e scusate se è poco.
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Nel prossimo numero The Elder Scrolls V: Skyrim L’atteso verdetto di TGM su uno degli RPG più attesi di sempre!
Il numero di Gennaio sarà in edicola il 22 di dicembre!
Inoltre, sul prossimo numero... Batman
Need For Speed
...trovi anche: L.A. Noire
Joker può togliersi quel sorriso dalla faccia: il Cavaliere Oscuro è pronto per Arkham City!
Electronic Arts sfreccia a tutta birra per le strade di Need for Speed: The Run!
Rockstar Games mette alla prova le vostre abilità di detective. Raccogliete la sfida!
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