DIRIGENTE - dicembre 2014

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N. 12 DICEMBRE 2014

LA RIVISTA DI MANAGERITALIA

CARLOTTA SAMI

MANAGER

AL CONFINE Milanese, classe 1970, da gennaio 2014 è portavoce per il Sud Europa dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dopo essere stata direttore generale di Amnesty International ed essere cresciuta in Save the Children.

MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL TERZIARIO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - Decreto Legge 353/03 (convertito in Legge 27/2/04, n.46) art.1, comma 1 - DCB/MI - € 2,20 (abbonamento annuo € 16,50)


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Sommario Editoriale 4 Jobs act, act now

RUBRICHE

Copertina 6 Manager al confine

18 Osservatorio legislativo

InfoMANAGER

24 Non solo consumi

Assidir 65 Non rischiare, aggiorna i tuoi dati

48 Di buon grado

Manageritalia 14 Obiettivo 2024

49 Arte

Intervista 20 Roberto Mania Burattinai di stato

51 Letture per manager

Manageritalia 68 Da professional a executive professional

52 Lettere

70 I vertici associativi

50 Libri

72 Una pioggia di offerte Soloperte

Speciale carriere all’estero 26 Leadership globale 28 Fare il manager in Cina 33 Fare il manager in India 35 Fare il manager in Brasile

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Contratto 36 Il licenziamento collettivo Cultura 42 Dov’è finita la speranza?

N. 12 DICEMBRE 2014

LA RIVISTA DI MANAGERITALIA

CARLOTTA SAMI

MANAGER

MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI MANAGERITALIA Federazione nazionale dei dirigenti, quadri e professional del commercio, trasporti, turismo, servizi, terziario avanzato R

FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO

Fondo assistenza sanitaria dirigenti aziende commerciali

Fondo di previdenza Mario Negri

CFMT Centro di formazione management del terziario

Associazione Antonio Pastore

AL CONFINE Milanese, classe 1970, da gennaio 2014 è portavoce per il Sud Europa dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dopo essere stata direttore generale di Amnesty International ed essere cresciuta in Save the Children.

MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL TERZIARIO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - Decreto Legge 353/03 (convertito in Legge 27/2/04, n.46) art.1, comma 1 - DCB/MI - € 2,20 (abbonamento annuo € 16,50)

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Editoriale a cura del presidente Manageritalia

JOBS ACT, ACT NOW I

l Jobs act è un provvedimento che avrà conseguenze rilevanti su tutti gli attori coinvolti, imprese, lavoratori e sindacati. È stata così consegnata la delega sul lavoro al governo, che avrà tempo sei mesi per tradurre il suo contenuto in cinque decreti: ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive, semplificazione delle procedure e degli adempimenti, riordino delle forme contrattuali, tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e lavoro. Il provvedimento si propone infatti di disciplinare in maniera organica e sistemica diversi aspetti del mercato del lavoro, modificando in modo incisivo il quadro regolatorio dei rapporti di lavoro. Il dibattito è stato molto ampio e si è reso necessario giungere a una sintesi, cercando equilibrio tra l’esigenza di offrire garanzie ai lavoratori e la flessibilità chiesta dalle imprese. Un vero cambiamento o lo smantellamento dei diritti? Ad oggi appare più come una delega in bianco; per dare un giudizio sulla riforma dobbiamo aspettare i decreti attuativi. Vorrei soffermarmi su un aspetto del Jobs act che ci riguarda più da vicino: il coordinamento delle politiche attive e passive e una loro necessaria forte integrazione. L’Italia spende circa 26 miliardi di euro per politiche del lavoro, dei quali 20 miliardi per quelle passive, 5 per quelle attive e solo 500 milioni per servizi (lo 0,03% del Pil). Si tratta davvero di risorse troppo scarse

ma dobbiamo interrogarci anche sulla loro destinazione, sulla qualità e sull’utilizzo. Inoltre l’esiguo numero del personale dedicato è del tutto insufficiente a fronteggiare il crescente numero di richieste (solo uno ogni 200 disoccupati) e forse inadeguato nelle competenze, specialmente per gestire il mercato del lavoro manageriale. Ci auguriamo che il Jobs act possa rovesciare l’impostazione finora adottata dai governi e investire sulle politiche attive, un insieme organico di servizi alla persona e al lavoro. Il quadro normativo richiede una riforma strumentale che deve essere coerente, monitorata e valutata, nell’ottica di risolvere anche il problema delle competenze. A legislazione vigente, se non si vuole intervenire dal punto di vista costituzionale, occorre un forte accordo politico stato/regioni, altrimenti può bloccare l’efficacia dell’intero processo di riforma ed evoluzione del sistema dei servizi. È molto importante dare piena attuazione alla legge delega, anche per quanto riguarda la creazione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione partecipata da stato, regioni e province autonome che coordini e indirizzi i centri per l’impiego, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali. L’Italia ha bisogno che il sistema sia potenziato aumentando il numero degli operatori, adeguando qualità e quantità dei servizi offerti. Solo circa il 3% del totale dei dipendenti occupati in un anno ha ottenuto il la-


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voro tramite i centri pubblici per l’impiego. La realizzazione dell’Agenzia richiede interventi complessi dal punto di vista normativo, ma di certo comporterà un cambio di paradigma nel funzionamento delle strutture organizzative che erogano i servizi pubblici per il lavoro, favorendo anche la collaborazione dei centri per l’impiego pubblici con le agenzie per il lavoro private, con l’obiettivo di intercettare le reali esigenze del mondo produttivo. L’attuazione della Garanzia giovani in ultimo, come accaduto in passato per la formazione, ha reso ancora più evidente l’incapacità di molte regioni di gestire le politiche attive del lavoro, dando prova di un sistema parcellizzato e disgregato di azioni e competenze. Abbiamo richiesto che l’Agenzia nazionale preveda un’apposita sezione riservata ai manager, in virtù proprio delle caratteristiche specifiche di questi lavoratori e con l’obiettivo di favorire realmente il merito e non la cooptazione come oggi per lo più avviene. Il rilancio delle politiche attive può avvenire utilizzando risorse pubbliche. Pe questo abbiamo chiesto al ministero una nuova edizione dei bandi di Italia Lavoro “Manager to work” e il rifinanziamento della legge 266/97. Strumenti a favore delle pmi che consentirebbero di attuare progetti di sviluppo per la crescita dimensionale e di acquisire un’adeguata competitività nel mercato globale. Ma i finanziamenti pubblici non saranno

sufficienti e quindi occorre reperire anche risorse a livello contrattuale. Fino ad oggi, le nostre esperienze come “Comincio… da tre!” e “Managerattivo” hanno dato ottimi risultati e sono state un esempio di modello bilaterale positivo e proattivo. Un progetto voluto da Manageritalia e Confcommercio per favorire il riposizionamento dei dirigenti fuoriusciti dal mercato del lavoro. Da marzo 2010 a maggio 2014 abbiamo fatto 47 edizioni di Managerattivo favorendo il reinserimento di oltre 800 colleghi. I risultati raggiunti ci indicano che dobbiamo insistere sulla necessità di investire nuove risorse nelle politiche attive a favore della categoria. La crisi può rappresentare una buona opportunità per riformare il mondo del lavoro secondo modelli non solo più giusti nell’equità sociale, nella pari dignità del lavoro, nel riconoscimento del merito, ma anche più efficienti con un migliore utilizzo delle risorse umane ed economiche. Siamo consapevoli però che con la riforma del mercato del lavoro non deriva automaticamente più occupazione. Solo una fase di investimento e sviluppo porterà alla crescita occupazionale, che poi deve essere supportata da politiche economiche adeguate e da un mercato del lavoro che garantisca opportunità a chi vuole mettersi in gioco. Guido Carella (guido.carella@manageritalia.it)

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MANAGER AL CONFINE Copertina

Carlotta Sami, classe 1970, da gennaio 2014 è portavoce per il Sud Europa dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. In precedenza è stata direttrice generale di Amnesty International Italia e per dieci anni ha lavorato con Save the Children in operazioni umanitarie nei principali luoghi di crisi. Dal 1998 al 2002 è stata nei territori palestinesi lavorando nei campi profughi con la Cooperazione italiana e coordinando diversi interventi di emergenza. Ha un dottorato in Teoria generale del diritto ed è laureata in Giurisprudenza. È sposata, mamma di una bimba di sei anni e associata Manageritalia Roma.

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È metà novembre, una mattinata soleggiata e tranquilla in questa via un po’ defilata del quartiere Parioli. Probabilmente qualche centinaio di chilometri più a sud, in mare aperto, al largo delle nostre coste, tutta questa tranquillità non c’è. Sicuramente su alcune delle nostre coste in questo preciso momento invece c’è gran fermento: si sta cercando di prestare la prima accoglienza a quei 2.500 migranti che solo nell’ultimo weekend sono approdati sulle nostre rive fuggendo da chissà quale paese in guerra. «Per l’esattezza soprattutto Siria, Eritrea e Iraq» precisa Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. La via tranquilla del quartiere bene di Roma in questione è la sede dell’ufficio regionale Unhcr che coordina Italia, Cipro, Grecia, Malta, Portogallo, Spagna e San Marino, ovvero paesi che coprono la maggioranza delle frontiere a sud dell’Unione europea, un’area ultimamente sempre più interessata da traversate della speranza e purtroppo tragedie del mare. Di diritti umani e operazioni umanitarie Carlotta Sami si occupa ormai da 17 anni, da quando appena terminati gli studi si butta nei territori palestinesi, a lavorare con la Cooperazione italiana nei campi profughi. Oggi, preso il posto lasciato vacante da Laura Boldrini in Unhcr, racconta con precisione numeri e regolamenti internazionali e ci tiene a chiarire argomenti dove spesso la disinformazione e i luoghi comuni colorano la realtà… anche se parlarne, ammette, pur dopo tanti anni di esperienza, non è mai facile, perché qui si tratta di vite umane, non di conti in azienda.

Eliana Sambrotta DICEMBRE 2014

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Copertina Partiamo dall’attualità: la scorsa estate la crisi umanitaria ha raggiunto livelli altissimi... com’è la situazione emergenza rifugiati nel Sud Europa oggi? «Innanzitutto non siamo di fronte a un’emergenza, ma a una situazione difficile che però ormai è strutturale da diversi anni. È difficile perché in continua crescita, ma non è di emergenza perché è causata da una crisi molto grave ma non improvvisa: è nota, quindi i suoi sviluppi possono essere determinati con una certa precisione. I numeri sono in crescita rispetto al 2013, ma questo trend si verifica da diversi anni, ossia da quando si sono create una serie di crisi in Nord Africa e in Medio Oriente. I richiedenti asilo arrivati da gennaio a oggi in Italia via mare sono circa 155mila, di cui almeno il 60% da paesi in guerra. I gruppi più numerosi provengono dalla Siria, dall’Eritrea e un numero in crescita da Iraq e territori palestinesi. Solo nell’ultimo weekend abbiamo avuto 2.500 arrivi (15 e 16 novembre, ndr)». Quali sono le priorità da affrontare in questo momento? «Siccome l’operazione Mare nostrum, messa a punto dal governo italiano, andrà a terminare entro la fine dell’anno, quello che ci preoccupa di più è la situazione che si verrà a creare da marzo in avanti. Temiamo che ci possano essere più morti perché l’area che verrà pat-

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L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è la principale organizzazione al mondo impegnata a salvare vite umane, a proteggere i diritti di milioni di rifugiati, di sfollati e di apolidi. Lavora in 123 paesi del mondo e si occupa di oltre 40 milioni di persone. Istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1950, da allora ha aiutato più di 60 milioni di persone a ricostruire la propria vita. Il suo mandato è guidare e coordinare, a livello mondiale, la protezione dei rifugiati e le azioni necessarie per garantire il loro benessere, esercitare il diritto di asilo e di essere accolti in sicurezza in un altro Stato e ritornare a casa. Entro 72 ore dallo scoppio di un’emergenza, riesce a mobilitare ovunque nel mondo più di 300 operatori altamente qualificati in grado di portare soccorso a più di 600mila persone. Fornisce acqua, cibo, tende, assistenza medica e psicologica. Garantisce l’accesso all’istruzione e alla formazione e alle attività generatrici di reddito.


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tugliata sarà decisamente inferiore rispetto a quanto avvenuto con Mare nostrum, e quest’anno sono stati circa 3mila i morti. Le altre due priorità per quanto riguarda l’Italia sono migliorare la prima accoglienza e fare di più per l’integrazione dei rifugiati che rimangono

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Le associazioni e gli enti che gestiscono i centri per i richiedenti asilo in Italia ricevono circa 30 euro al giorno per il mantenimento della persona. Ognuna poi riceve un pocket money di circa 1,5/2 euro al giorno. qui. A livello europeo, invece, stiamo lavorando perché si metta a punto una strategia di accoglienza dei rifugiati su tutta l’Europa». Secondo lei l’Europa comprende realmente la situazione di emergenza a cui un paese come l’Italia è continuamente sottoposto? «Ripeto, non si tratta di una situazione di emergenza e soprattutto il numero di rifugiati che rimangono in Italia è infinitamente inferiore rispetto al numero di quelli accolti in Germania, Svezia e Norvegia». Ma si tratta di un passaggio successivo… «È un passaggio successivo, ma si tratta di poche settimane. La maggior parte dei rifugiati siriani ed eritrei non si ferma in Italia ma va verso questi paesi. Per cui è vero che il numero di richieste di asilo in Italia è aumentato, anzi è quasi

raddoppiato, ma allo stesso tempo è aumentato esponenzialmente anche il numero di richieste in Germania e Svezia. Sicuramente i paesi del Sud Europa e quelli costieri hanno una difficoltà nei primi giorni, ma in questo momento il problema principale in Europa è che tra gli stati ci sono pesi diversi e alcuni si fanno più carico dell’aspetto dell’accoglienza dei rifugiati di altri». Ma un rifugiato può “scegliere” la sua destinazione finale o i flussi vengono indirizzati in qualche modo? «No, non può scegliere: il Regolamento di Dublino prevede che il rifugiato faccia richiesta d’asilo nel primo paese in cui viene identificato. Il fatto è che, avendo un afflusso così massiccio, l’Italia, soprattutto nei primi mesi di quest’anno, non ha provveduto

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Copertina le imbarcazioni in difficoltà presteranno soccorso (questo è anche nel diritto internazionale marittimo)».

«Il ruolo di Lampedusa sarà molto importante per la prima accoglienza, poi però le persone dovranno essere trasferite nel giro di due giorni al massimo, non come in passato»

all’identificazione di tutti i richiedenti e questo chiaramente ha facilitato il fatto che loro potessero trasferirsi soprattutto laddove hanno più connessioni con famiglie o altri conoscenti. In realtà il Regolamento di Dublino prevede, nell’ultima sua versione, una facilitazione delle riunificazioni familiari, però andrebbe interpretato in maniera corretta,

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in modo tale da rendere più spediti questi processi ed è quello che stiamo chiedendo». Accennava all’operazione Mare nostrum che si sta andando a chiudere: che differenze ci sono con l’operazione europea Triton e che cambiamenti ci dobbiamo aspettare? «Triton è un’operazione completamente diversa: ha il mandato di pattugliare le frontiere e non quello di fare ricerca e soccorso in mare. Inoltre si svolgerà entro sole 30 miglia dalle coste mentre Mare nostrum aveva un’ampiezza operativa molto maggiore. L’operazione è europea e sotto l’egida di Frontex, che è un’agenzia europea, e vi parteciperanno diversi paesi europei, ma sarà un’operazione di pattugliamento: laddove ci saranno del-

C’è chi sostiene che l’operazione Mare nostrum abbia incrementato gli arrivi… «No, questo è un argomento fallace. I trend da diversi anni sono sempre in crescita, ma il problema non è che sono aumentati i fattori che attirano, bensì sono aumentati i fattori che spingono le persone a fuggire. Non dimentichiamo che la guerra siriana è entrata nel quarto anno: circa sei milioni di persone hanno abbandonato le proprie case e più di tre milioni e mezzo sono rifugiati, quindi hanno abbandonato il paese. A questi si aggiungono più di due milioni di rifugiati iracheni dovuti all’inasprirsi della loro crisi negli ultimi mesi. Per cui in questo momento solo nell’area Siria e Iraq abbiamo circa 12 milioni di persone a rischio o che si stanno spostando». Anche nella loro area? «Soprattutto: pensi che un rifugiato siriano prima di scappare si è già spostato dieci volte all’interno del proprio paese in quattro anni e la maggior parte non viene in Europa, ma va nei paesi vicini come Libano, Giordania, Turchia. La Turchia ha speso 36 miliardi di dollari per assistere i rifugiati siriani negli ultimi tre anni, quindi veramente chi arriva in Europa è una minima parte, circa 120mila siriani».


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Copertina Come bisognerebbe agire secondo lei per organizzare questi arrivi di massa? «Finora sostanzialmente le persone venivano intercettate in mare, soccorse, portate su navi mediograndi e sbarcate sulla base di accordi con le prefetture locali con un certo metodo e ordine di preavviso, da luglio in avanti c’è stato anche un accordo fra enti locali e ministero degli Interni, per cui i migranti venivano distribuiti in base alla popolazione che risiede nei diversi comuni. Ora, venendo meno l’operazione Mare nostrum, il timore è che gli arrivi saranno molto meno organizzati, si torna alla situazione precedente in cui le imbarcazioni arrivano da sole, aumentando il rischio di non poter prevedere. Il ruolo di Lampedusa sarà molto importante per la prima accoglienza, poi però le persone dovranno essere trasferite nel giro di due giorni al massimo, non come in passato». Il suo non è un lavoro manageriale paragonabile a quello di chi è in azienda: come fa a gestire il lavoro, le risorse, ma anche lo stress psicologico e l’emotività? «Non è semplice, siamo sempre di fronte a dei drammi personali umani molto forti. Faccio questo lavoro da tanti anni, ma non diventa per questo più facile. In passato ho svolto ruoli di carattere molto più gestionale, ora lavoro principalmente sulla comu-

DIAMO I NUMERI A fine novembre, secondo i dati ufficiali Unhcr, i rifugiati in Italia sono 78mila. Sia la Germania che la Francia ne accolgono circa 200mila ciascuno, il Regno Unito 130mila, la Svezia 120mila e i Paesi Bassi 75mila. Nel Regno Unito e in Germania i rifugiati sono circa 2 ogni mille abitanti, in Francia e nei Paesi Bassi sono tra i 3 e i 4 ogni mille abitanti, in Svezia oltre 11, mentre in Italia i rifugiati sono appena 1 ogni mille abitanti.

nicazione e gestisco un team la cui prerogativa è lavorare in relazione con tutte le componenti che fanno parte della nostra agenzia, per esempio il team che si occupa degli aspetti legali, perché siamo presenti in tutti i porti di arrivo e in tutte le commissioni nazionali territoriali per l’asilo, o quello che si occupa della raccolta fondi. E poi naturalmente ci relazioniamo con il quartier generale a Ginevra». Quando ha capito che questa era la sua strada, la sua missione di vita? «Quando ho iniziato, nel 1997 in Palestina nei campi rifugiati. Non è semplice gestire l’aspetto emotivo. È un tipo di lavoro che, come altri che sono molto in contatto con l’essere umano, riempie totalmente il modo di sentire e di vivere e quindi la gestione dello stress e delle emozioni è una capacità che bisogna acquisire. Ho colleghi che ancor più di me ogni

giorno accolgono rifugiati ai porti, devono riconoscere cadaveri, hanno fronteggiato situazioni veramente difficili: ovviamente vengono aiutati con incontri di counceling». Cosa resta indelebile? «La cosa più forte è vedere persone che scappano dalla guerra e che arrivano ai nostri porti. Io avevo già visto queste situazioni nei luoghi d’origine… però vederli arrivare in Italia, sbarcare da una barca con solo i loro vestiti indosso e i bambini per mano è qualcosa che difficilmente si può descrivere a parole». 䡵

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Tutele, valorizzazione del management e progetti con nuove opportunità: all’84a Assemblea nazionale le linee guida del futuro della Federazione

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ANAGERITALIA STA GIÀ COSTRUENDO il suo futuro. Mattone su mattone, guardando avanti e senza paura di spostare l’asticella sempre più in là. A Milano, il 14 e il 15 novembre scorsi, si è svolta l’Assemblea nazionale, un appuntamento chiave per fare il punto sui progetti in corso e per fissare gli obiettivi della nostra Organizzazione, non solo per i cinque anni successivi al Congresso del 2015 ma arrivando fino al 2024. La ripresa dell’economia del nostro Paese sembra ancora lontana. La riforma del mercato del lavoro tarda a decollare. In questo contesto, la nostra Federazione serra sempre più i ranghi per tutelare e promuovere il lavoro dirigenziale, che vive da alcuni anni un momento critico. Il numero dei nostri associati è tuttavia nel complesso stabile, il dato nazionale registra una leggera inflessione: -0,1%. Questo significa che abbiamo avuto una buona tenuta e i segnali per una debole ripresa ci sono. Il nostro settore sembra aver retto meglio di altri alla crisi, rispetto al 31 ottobre dello scorso anno, oggi ad esempio le nostre Associazioni di Roma e Milano registrano un aumento dei propri associati. Sul fronte del middle management, se osserviamo quello che è accaduto ai quadri aziendali, possiamo notare che dal 2008 al 2012, nel pieno della crisi, questi sono aumentati in Italia del 10%. Il rafforzamento dei quadri è dovuto a un’ampia presenza di imprese familiari che, a differenza degli altri paesi, hanno per lo più management solo familiare. Questo è tra l’altro uno dei dati emersi dalla più grande indagine sui quadri, con cui Manageritalia ha voluto approfondire le esigenze e le prospettive del middle management italiano: oltre 6.000 i rispondenti e i risultati possono essere consultati sul nostro blog crisiesviluppo.manageritalia.it.


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Il lavoro manageriale: iniziative concrete Tra i progetti che il presidente federale Guido Carella ha presentato in Assemblea, da sottolineare una vera e propria Agenzia del lavoro, con sede in Campania. Per la sua costituzione abbiamo redatto uno studio di fattibilità e un gruppo di lavoro sta studiando tutte le implicazioni fiscali, finanziarie, burocratiche e amministrative necessarie, cercando di cogliere ogni opportunità di compartecipazione agli oneri da parte delle risorse destinate dai Fondi europei. Puntiamo a offrire più chance professionali. Partendo dal sistema della Garanzia giovani vogliamo inoltre offrire competenze e capa-

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cità manageriali a favore dei giovani inoccupati, per poi approdare, in un futuro più lontano, a un modello di promozione delle politiche attive per tutti i manager, un insieme di strumenti e servizi tra loro complementari e coerenti per aiutare le imprese a crescere, facendo emergere competenza, merito e risultati. Su questo filone ci siamo già mossi nell’ambito dei finanziamenti alle imprese per l’assunzione di nuovi manager: i due bandi di Italia Lavoro – iniziativa sperimentale di politica attiva del lavoro manageriale attuata insieme a Federmanager – hanno avuto un discreto successo e le risorse sono state totalmente impegnate (quasi 10 milioni di euro).

La riforma del mercato del lavoro tarda a decollare. In questo contesto, la nostra Federazione serra sempre più i ranghi per tutelare e promuovere il lavoro dirigenziale

«Ci siamo già attivati con Federmanager e Italia Lavoro chiedendo al ministero del Lavoro un aumento dell’attuale stanziamento per salvaguardare i dirigenti che non sono riusciti a ottenere contributi e sono in lista d’attesa e, soprattutto, un rifinanziamento del bando, integrato

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Manageritalia nel miglior modo per ridurre al minimo le difficoltà burocratiche che non sono mancate! Il nostro impegno va anche nella direzione di attivarci per accudire le aziende nate grazie al bando. Lo sappiamo, ma vogliamo anche dimostrarlo: le aziende nate e guidate con cultura manageriale hanno maggiore speranza di sopravvivere» sottolinea a questo proposito Carella. Attività contrattuale Per quanto riguarda la situazione del rinnovo contrattuale con Confcommercio, il 31 luglio 2013 Manageritalia è stata cofirmataria di un accordo per prorogare di un anno il contratto nazionale dei dirigenti del terziario, fino al 31 dicembre 2014. L’accordo è stato recepito poi in tutti gli altri contratti firmati, ed è stato inoltre sottoscritto il Testo Unico contrattuale, reperibile in formato cartaceo presso le Associazioni (può essere

Marco Ballaré, presidente Assidir

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anche scaricato dal sito di Manageritalia >> Dirigenti >> Contratti >> Contratto commercio). La decisione di prorogare la vigenza del ccnl dimostra la volontà comune di dare risposte concrete e certezze al sistema economico e da parte di imprese e manager la volontà di lavorare insieme per la ripresa. Per quanto riguarda invece la scelta di bloccare per un anno gli aumenti contrattuali, questa è legata all’esigenza irrinunciabile di puntare sulla manutenzione del welfare contrattuale della dirigenza, anche in vista del prossimo rinnovo del ccnl. Per questo motivo le delegazioni sindacali di Confcommercio e Manageritalia dal gennaio del 2014 hanno avviato una serie di incontri a cadenza quasi mensile in cui affrontare e approfondire le specificità dei fondi e degli enti di derivazione contrattuale, in modo da arrivare alla prossima scadenza contrattuale – cioè a fine 2014 –

Pietro Luigi Giacomon, presidente Cfmt

con un solido bagaglio di conoscenze e di proposte. Da segnalare la disdetta da parte di Confindustria del ccnl dei dirigenti delle imprese industriali: «Si tratta di un atto di grave irresponsabilità che rischia di buttare alle ortiche una lunga storia di relazioni sindacali che hanno visto le parti trovare sempre forme di composizione dei reciproci interessi, anche con discussioni dure come quelle in corso. Abbiamo fatto una scelta, quella di rinviare il rinnovo del contratto, che a posteriori si è dimostrata giusta. Un rinvio che ha evitato un possibile, pericoloso e sterile conflitto» spiega Carella. Nuove opportunità e ruolo sociale Tra i progetti più ambiziosi per la Federazione per i prossimi anni c’è quello di istituire un Centro di eccellenza del Turismo. L’obiettivo è coniugare interessi pubblici,

Marco Cosma, presidente Cassa sanitaria Carlo De Lellis


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privati e sociali che concorrono alla generazione di valore per il sistema turistico italiano e destinato a formare “destination manager” (un’opportunità per lo sviluppo e l’inserimento di nuove figure manageriali). Abbiamo presentato il progetto alla conferenza di sistema di Confcommercio a fine settembre e, lo scorso 15 ottobre, anche al ministro per i beni e le attività culturali, Dario Franceschini, che si è mostrato molto interessato. L’attività legata al Piano operativo è stata importante e i Gruppi di lavoro sul territorio hanno saputo raggiungere traguardi am-

Fabrizio Pulcinelli, presidente Fasdac

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biziosi (per un approfondimento vedi sito Manageritalia >> chi siamo >> Federazione >> Piano operativo 2012-16); abbiamo selezionato i progetti sui quali investire di più, quelle attività che caratterizzeranno l’impegno della Federazione. Ad esempio, le politiche attive, i nuovi servizi, l’impegno verso il sociale, le nuove identità di quadri ed executive professional (vedi Infomanager a pagina 68 per un approfondimento). Manageritalia vuole costantemente offrire supporto ai suoi associati, non a caso nel 2015 partirà ufficialmente, dopo una fase di test, il servi-

Roberto Saliola, presidente Gpa Wide Group

zio “Ask Mit”, un’assistenza online che in 48 ore permetterà di avere una risposta su argomenti eterogenei e per trovare una soluzione a problemi pratici di natura fiscale, giuridica, contrattuale, sindacale e non solo. Un modo per stare sul pezzo e soprattutto in perenne ascolto della base associativa. La sfida di Manageritalia per i prossimi anni? Sicuramente affrontare nuove problematiche sociali e diventare sempre più un interlocutore per le istituzioni e il mondo politico. Dobbiamo crescere, si è detto in Assemblea, e puntare in alto: da semplice organizzazione di categoria, dobbiamo allargare la rappresentanza a nuovi target, ampliare i servizi, migliorare il sistema di welfare e dare un contributo per favorire la crescita economica. Le nostre imprese hanno sempre più “fame” di manager preparati per affrontare il futuro e di una cultura manageriale diffusa. La ripresa e lo sviluppo passano da questa strada: noi lo sappiamo bene e non ci stancheremo di ripeterlo. 䡵

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a cura di Manageritalia

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JOBS ACT l dibattito politico di questo autunno si è concentrato sulla riforma del lavoro proposta dal Governo Renzi tramite il Jobs Act. Il disegno di legge approvato dal Senato, e ora all’esame della Camera, contiene cinque distinte deleghe al governo da esercitare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega per intervenire su vari ambiti nel settore del lavoro. Queste le deleghe: 1) per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali; 2) in materia di incentivi per l’occupazione e politiche attive per il lavoro (a tal proposito, Manageritalia sta lavorando per implementare le politiche attive a favore dei dirigenti disoccupati); 3) per la definizione di norme di semplificazione e di razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti, a carico di cittadini e imprese, relativi alla costituzione e alla gestione dei rapporti di lavoro;

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4) per il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e delle tipologie dei relativi contratti, nonché per la razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva; 5) per la revisione e l’aggiornamento delle misure intese a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Riteniamo che i cambiamenti di cui il mondo del lavoro ha bisogno devono essere organici e far parte di un disegno complessivo che tenga conto degli scenari economici e sociali, in una visione prospettica di lungo respiro. Vediamo dunque nei prossimi mesi come procederanno le riforme contenute nel Jobs Act. La loro validità dipende, soprattutto, dalla capacità e dalla volontà di metterle in pratica, ovvero dall’esecuzione. Il disegno di legge all’esame della Camera: http://bit.ly/1trbKXE

ALLA CAMERA DEI DEPUTATI IL BARCAMP SUL F l 19 novembre la Camera dei deputati ha organizzato il suo secondo Barcamp, dove è stata invitata a partecipare anche Manageritalia. Questa volta il tema scelto è quello del futuro del turismo nel Belpaese. Il turismo è importante per l’economia italiana, vale l’11,6% dell’occupazione nazionale e il 10,3% del Pil. Ma si può e si deve fare di più. Siamo quasi assenti, come pubblico e come privati, da un mercato online in forte crescita, diluendo gli investimenti di promozione sui brand regionali. Siamo ancora la meta più desiderata, ma non acquistata. Un settore che, nonostante le potenzialità, rimane marginale nella percezione dominante e mai considerato come vera industria. Abbiamo perso competitività negli ultimi 20 anni,

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passando dal secondo al quinto posto nel mondo per gli arrivi internazionali e dal secondo al sesto per gli introiti valutari. Negli stessi anni in cui si è sviluppato il web come luogo di informazione e intermediazione turistica, l’Italia è rimasta in una posizione di passività rispetto alle innovazioni in questo ambito e dove player internazionali delocalizzano quotidianamente parte significativa di Pil prima commercializzando l’ospitalità tradizionale, poi quella familiare e ora affrontando anche la ristorazione. Evoluzioni che pongono al legislatore nuove sfide per affrontare anche in termini di garanzia i nuovi diritti e le nuove interazioni sociali della sharing economy. Il turismo deve diventare cen-


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STRATEGIE DI CONTRASTO ALL’EVASIONE FISCALE: RISULTATI CONSEGUITI E ATTESE l 6 novembre, presso l’aula della Commissione finanze della Camera, si è tenuto un interessante seminario istituzionale sulle tematiche relative al contrasto dell’evasione fiscale. Sono intervenuti tutti i principali attori istituzionali. La strategia di prevenzione e contrasto dell’evasione fiscale deve fornire soluzioni globali declinate sulla base delle diverse tipologie fenomenologiche: dalla macro evasione internazionale alla micro evasione derivante dall’indebito utilizzo di detrazioni o deduzioni. L’attività di deterrenza e contrasto dell’evasione, tuttavia, non deve mirare solo a recuperare risorse, ma anche a dare risposte alla sempre più diffusa e pressante esigenza di legalità ed equità. La condivisione da parte dei cittadini della strategia fiscale rappresenta, quindi, l’unica strada percorribile per un recupero stabile del tax gap, vale a dire la differenza tra l’ammontare delle imposte che l’amministrazione fiscale dovrebbe raccogliere e quello che effettivamente raccoglie. Per questa ragione è fondamentale la percezione della correttezza e proporzionalità dell’azione dell’amministrazione finanziaria. È necessario, infatti, sia favorire la semplificazione degli adempimenti e la conseguente correttezza dei comportamenti fiscali, sia modernizzare gli studi di settore, in funzione del rafforzamento della “compliance” e di una diversa e moderna relazione tra fisco e contribuenti per ricostruire un

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rapporto di fiducia. Dall’ultimo Rapporto del governo sul tema (http://bit.ly/1pimVqa) si evince che il tax gap, stimato dall’Agenzia delle entrate con riferimento all’Iva, all’Irap e alle imposte dirette sulle imprese e sul lavoro autonomo, ammonterebbe su base annua a 91 miliardi di euro (7% del Pil). Per quanto riguarda i risultati dell’attività di contrasto all’evasione fiscale nel corso del 2013, si evidenzia un aumento della riscossione del 4,8% rispetto al 2012: le riscossioni complessive sono passate da 12,5 miliardi nel 2012 a 13,1 miliardi nel 2013. Per quanto riguarda i primi quattro mesi del 2014, si evidenzia un incremento delle riscossioni complessive (3% circa) dovuto a un aumento dei versamenti diretti. Un ulteriore passo in avanti contro l’evasione dovrebbe avvenire con le disposizioni normative contenute nel disegno di legge di stabilità 2015 che, da un lato, introducono efficaci misure di contrasto dell’evasione in campo Iva, dall’altro rafforzano la capacità di generare tax compliance. Il governo si è infatti impegnato alla definizione di un programma con ulteriori misure e interventi per il rafforzamento dell’azione di prevenzione e di contrasto all’evasione fiscale, allo scopo di conseguire nel 2015 un incremento di almeno 2 miliardi di euro rispetto a quello ottenuto nel 2013. La registrazione integrale del seminario: http://bit.ly/1zoWoqZ

L FUTURO DEL TURISMO trale nell’agenda economica per il rilancio dell’Italia, strumento di valorizzazione di territori e prodotti. È una nostra vocazione, una nostra eccellenza, storicamente. Qualcosa sta cambiando, esiste una maggiore attenzione su questi temi, ma serve una vision, una strategia unitaria e pluriennale che preveda, tra gli obiettivi, la riorganizzazione della governance, una valorizzazione del brand “Italia” e un’innovativa strategia digitale. È necessaria una presenza sui tavoli della programmazione per porre il turismo tra i settori che possono fruire dei fondi destinati all’innovazione, programmi che oggi investono sulla smart city ma che devono guardare alle esigenze peculiari di una smart destination.

Il management può e deve rappresentare uno strumento indispensabile per un reale aumento di capacità del nostro Paese sul piano della produttività e della competitività, anche nel settore del turismo. Per questo Manageritalia e Confcommercio hanno deciso di puntare sull’istituzione di un Centro di eccellenza del turismo per coniugare interessi pubblici, privati e sociali, che concorrono alla generazione di valore per ogni attore del sistema turistico e destinato a formare “destination manager” (un’opportunità per lo sviluppo e l’inserimento di nuove figure manageriali). 2° Barcamp alla Camera su webtv: introduzioni e conclusioni http://bit.ly/1v9KBMG


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Intervista

BURATTINAI DI STATO

ROBERTO MANIA

Il Paese nelle mani dell’alta burocrazia, che blocca ogni possibile tentativo di riforma. Qual è lo scotto da pagare di un sistema chiuso e sempre più potente? Ne parliamo con Roberto Mania, autore del saggio-inchiesta Nomenklatura

Giornalista, è inviato de La Repubblica. Si occupa di politica economica, industria, lavoro, relazioni sindacali. Scrive per la rivista Il

Mulino. Ha vinto il premio Walter Tobagi per il giornalismo sindacale nel 1997.

Enrico Pedretti

Già dal titolo il libro Nomenklatura richiama l’Unione sovietica e si capisce che non ci siamo. Cosa c’è che non va nei nostri alti burocrati? «Quando abbiamo riflettuto con l’editore Laterza sul titolo da dare a questo libro è stato difficile non pensare alla Nomenklatura sovietica. Un gruppo di potere del tutto autoreferenziale, chiuso in se stesso, geloso dei propri riti e della propria esclusività. Con un obiettivo prioritario, mai dichiarato: mantenere il Paese immobile e, dunque, mantenere intatto il proprio potere. Questo è quello che non va. C’è una burocrazia che ha assunto un potere improprio e che per conservarlo impedisce i cambiamenti». Di fatto l’alta burocrazia pubblica dovrebbe essere un contro pote-

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re che difende lo Stato da ogni ingerenza, l’ha mai fatto e quando ha smesso di farlo? «Lo spartiacque è rappresentato dal passaggio dalla prima Repubblica alla cosiddetta seconda Repubblica. Con tutti i noti difetti che hanno portato alla degenerazione partitocratica, non c’è dubbio però che la classe politica della prima Repubblica riuscì ad usare la burocrazia e non, viceversa, a farsi schiacciare. Un patto non scritto tra gli alti tecnocrati dell’apparato statale e i politici garantì ai primi la sicurezza del posto di lavoro con stipendi più bassi del settore privato ma con tante possibilità di integrare grazie agli arbitrati o ai collaudi; e ai secondi la sostanziale fedele collaborazione dei burocrati. Un’operazione tipicamente democristiana. Tanto che l’allora partito


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di maggioranza relativa divenne il partito di riferimento degli alti dirigenti della pubblica amministrazione». È colpa anche dei vertici se abbiamo tutto l’apparato statale, dal centro alla periferia, il famoso pubblico, che non funziona? «È indubbio che sia così. Ciò che conta nella governance della pubblica amministrazione non è tanto il risultato che si ottiene quanto il rispetto corretto delle procedure. Questa è la conseguenza di una cultura che controlla da sempre gli uffici pubblici: la cultura giuridica. Nel libro riportiamo una frase dell’ex potente presidente del Consiglio di Stato e ancor prima del famoso Tar del Lazio Pasquale De Lise: “La competenza giuridica è alla base di tutto”. La pubblica amministrazione ha invece grande bisogno di ingegneri gestionali, di analisti finanziari, di economisti, di agronomi, di geologi ecc. Di tecnici che guardino al risultato e non alle procedure». Possiamo fare qualche nome in positivo della nostra alta burocrazia? «Va da sé che ci siano diverse storie positive nella pubblica amministrazione italiana. Penso all’azzeramento dei processi arretrati al Tribunale di Torino, oppure all’efficienza media dei servizi dell’Inps, un tempo un grande car-

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rozzone di Stato, oggi studiato dai cinesi per mettere a punto il loro sistema di previdenza». E all’estero come sono messi? «Da noi manca da sempre una scuola per la formazione degli alti dirigenti dello Stato. Non abbiamo mai avuto un’Ena – l’École nationale d’administration – dalla quale è uscita anche gran parte della classe politica francese. Non fa parte della nostra tradizione e ritengo che non riusciremo mai ad averla. Gli alti burocrati arrivano dal Consiglio di Stato, dall’Avvocatura dello Stato, dalla Corte dei conti, dagli uffici della Camera e del Senato. Ha fornito un po’ di dirigenti, soprattutto al ministero dell’Economia, alla Banca d’Italia, pensiamo oggi al ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco». Quale può essere il Paese da prendere ad esempio per autorevolezza e funzionamento dell’alta burocrazia statale? «La Francia, appunto, mi pare un buon esempio sotto il profilo della formazione. Meno dal punto di vista dell’efficienza della macchina burocratica». Quanto vale la formazione e il merito per farsi strada nella nostra alta burocrazia? «Non dobbiamo sottovalutare il fatto che i consiglieri di Stato ai quali molto spesso viene affidato

Nomenklatura - Chi comanda davvero in Italia, Roberto Mania e Marco Panara, Laterza, pagg. 164, € 15.

il ruolo chiave di capo di gabinetto di un ministero vincono, quando non sono nominati dal governo, un concorso assai selettivo. Stiamo parlando di un’élite nella cui ascesa il merito conta molto. Anche se, dall’altra parte, la ricorrenza di alcuni cognomi dimostra ancora una volta come l’elemento dinastico non sia per nulla secondario. Questa è l’Italia». Insomma, volendo trovare le colpe della nostra nomenklatura, a chi le attribuiamo? «Il potere che ha assunto quella che nel nostro libro definiamo la Nomenklatura è conseguenza di un processo di arretramento della politica con l’inizio della seconda Repubblica. Il tentativo, con tante contraddizioni, del premier Mat-

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Intervista teo Renzi di riaffermare il primato della politica ha acceso un conflitto il cui esito è difficile da prevedere. Perché non è affatto detto che questa nuova fragile classe politica possa reggere alla lunga il confronto con gli alti burocrati che solo tatticamente sembrano oggi indietreggiare. Presumibilmente il primo teatro della disputa sarà il ministero dell’Economia, dove il potere di interdizione della tecnostruttura è maggiore, ma dove Renzi sa di dover penetrare per poter dettare (il primato della politica, per l’appunto) le scelte di politica economica». Cosa possiamo fare per uscirne, per avere un’alta burocrazia che aiuti l’Italia a competere? «Sembra paradossale ma credo che dovremmo imparare a fare meno leggi. La nostra trappola si chiama ipertrofia normativa. Meno leggi, per la cui attuazione servono sempre altre norme e tempi lunghi, e più governo dell’esistente. Per far pagare le tasse agli evasori bisogna far applicare le leggi e non cambiare le norme; per mettere in sicurezza le scuole le leggi e ci sono già, bisognerebbe rispettarle. E così via». Nello Sblocca Italia si parla di burocrazia da snellire, che sia un segnale? «Vedremo. Ma sono cose già sentite, annunciate decine di volte. Ripeto: servirebbe una moratoria legislativa». 䡵

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LE ASSOCIAZIONI TERRITORIALI MANAGERITALIA MANAGERITALIA ANCONA 60121 ANCONA - Via Magenta 5 Tel. 07153624 - Fax 0712075097 ancona@manageritalia.it MANAGERITALIA BARI 70126 BARI - Via G. Amendola 172/a - 172/c c/o Executive Center Tel. e Fax 0805481574 bari@manageritalia.it MANAGERITALIA BOLOGNA 40125 BOLOGNA - Viale G. Carducci 12 Tel. 051399712 - Fax 051307949 bologna@manageritalia.it MANAGERITALIA FIRENZE 50129 FIRENZE - Via F. Crispi 21 Tel. 0554633393 - 055461420 Fax 055472659 firenze@manageritalia.it

MANAGERITALIA NAPOLI 80133 NAPOLI - Via M. Cervantes 52 Tel. 0815513612 / 0814977108 Fax 0815527095 napoli@manageritalia.it MANAGERITALIA PALERMO 90139 PALERMO - Via I. La Lumia 7 Tel. 091583272 - Fax 091587565 palermo@manageritalia.it MANAGERITALIA ROMA 00192 ROMA - Via Ezio 49 - Tel. 063269481 r.a. Fax segreteria 0632694825 Fax sanitaria 0632694826 roma@manageritalia.it MANAGERITALIA TORINO 10125 TORINO - Corso G. Marconi 15 - 1° piano Tel. 0116690268 - Fax 0116507227 torino@manageritalia.it

MANAGERITALIA GENOVA 16121 GENOVA - Via C. R. Ceccardi 1/5 Tel. 010587664 - 010586459 Fax 0105531758 genova@manageritalia.it

MANAGERITALIA TRENTINO-ALTO ADIGE/SÜDTIROL 38122 TRENTO - Via G. Grazioli 85 Tel. 0461235499 - Fax 0461238782 trento@manageritalia.it

MANAGERITALIA MILANO 20121 MILANO - Via Fatebenefratelli 19 Tel. 026253501 - Fax 026590777 milano.segreteria@manageritalia.it milano.sanitaria@manageritalia.it milano.sindacale@manageritalia.it

Delegazione di 39100 BOLZANO - Via G. Carducci 5 - 1° piano Tel. 0471977778 - Fax 0471323576 bolzano@manageritalia.it

Delegazione di: 24121 BERGAMO - Via Casalino, 5/h Tel. 035240585 - Fax 035236159 bergamo@manageritalia.it 25121 BRESCIA - Via F.lli Lechi 15 scala G - III piano - int. 11 Tel. 0303754785 - Fax 0302942317 brescia@manageritalia.it

MANAGERITALIA TRIESTE 34125 TRIESTE - Via C. Battisti 8 Tel. 040371124 - Fax 040370988 trieste@manageritalia.it MANAGERITALIA VENETO 30172 MESTRE (VE) - Via Torino 151/b Tel. 041987477 - Fax 041980742 veneto@manageritalia.it

Delegazione di:

22100 COMO - Viale M. Masia 26 Tel. 031573682 - Fax 031570388 como@manageritalia.it

35129 PADOVA - Via San Marco 11 Palazzo Tendenza - IV piano Tel. 049756841 r.a. - Fax 041980742 simona.defeo@manageritalia.it

23900 LECCO - Via A. Visconti 84 c/o Nh Hotel Pontevecchio cell. 3314734868 (solo in orario di apertura) lecco@manageritalia.it

37138 VERONA - Lungadige Catena 5 Tel. 045915366 - Fax 041980742 marialuisa.piva@manageritalia.it

20052 MONZA - Via Missori 10 Tel. 0392304074 - Fax 0392315933 monza@manageritalia.it 27100 PAVIA - Corso Strada Nuova 86 Palazzo Demetrio Tel. 038229864 - Fax 0382538271 pavia@manageritalia.it 21100 VARESE - Via Magenta 50 Tel. 0332284773 - Fax 0332496175 varese@manageritalia.it

Sede: 00184 ROMA • Via Nazionale 163 • tel. 0669942441 • fax 066781794 Ufficio di Milano : 20129 MILANO • Via A. Stoppani 6 • tel. 0229409078 • fax 0229409836 manageritalia@manageritalia.it • www.manageritalia.it


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NON SOLO CONSUMI

consumi

Cosimo Finzi

IL BRAND: il suo valore oggi in termini di fedeltà

AstraRicerche è stata fondata nel 1983 dal professor Enrico Finzi. Si occupa di ricerche di marketing e sociali per clienti appartenenti a molti settori merceologici, utilizzando molteplici metodologie d’indagine. Si caratterizza per una struttura snella e flessibile, improntata alla qualità e all’innovazione, e affianca al servizio di ricerca la consulenza di marketing e di comunicazione a clienti – imprese nazionali e multinazionali – di tutte le dimensioni. Collabora con Manageritalia con indagini e analisi di dati che spesso mirano a sintetizzare fenomeni complessi o a far emergere informazioni latenti.

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Lo “stato della fedeltà” alle marche in Italia è in calo (lo dicono studi di vari istituti) ma non è solo l’effetto della crisi economica. Certo, la riduzione del potere di acquisto delle famiglie ha portato molti consumatori a dare una rilevanza maggiore al fattore prezzo scegliendo prodotti di fascia più bassa o – spesso – in promozione. Si è quindi passati da un piccolo gruppo di marche prese in considerazione per un acquisto (in molti settori si trattava di 3 o 4 marche) a un set decisamente più ampio. L’estensione a brand nuovi non è totale: non si accettano affatto proposte da brand non ritenuti validi, con cui le esperienze passate sono state negative, o anche solo sconsigliati da parenti, amici, conoscenti, ma si

tengono in effettiva considerazione marche che prima erano ignorate (magari senza criticarle, senza avere di loro un’immagine negativa) o considerate possibili scelte solo in casi straordinari. Risulta quindi sempre più importante essere nel gruppo delle possibili scelte che, con i cambiamenti di cui stiamo parlando, prima di tutto significa non essere nel gruppo di quelle marche per le quali si possono nutrire dubbi o si hanno effettive conoscenze negative. Si lavora sempre di più per non avere negatività associate al proprio brand. Ma non è certo solo la crisi economica ad aver indebolito la fedeltà (media) dei consumatori alle marche. Un altro driver rilevante di questo fenomeno è l’ampliata possibilità di confrontare marche e prodotti. Nello specifico, abbiamo due fattori principali: l’aumento delle proposte al consumatore e l’aumento della possibilità di effettuare confronti immediati. Vediamoli.

Aumento del numero di marche Se è vero che negli ultimi anni non poche aziende hanno interrotto la loro attività facendo così terminare la vita di alcuni brand, il fenomeno opposto è più rilevante: molti settori merceologici hanno visto aumentare il numero di marche che propongono item comparabili a quelli già sul mercato. Un esempio è costituito dalle marche di abbigliamento (il cui numero è ormai non tracciabile): recenti analisi di AstraRicerche mostrano come il consumatore percepisca la crescita del numero di marche valutandola in modo positivo (con alcune riserve ma principalmente con soddisfazione per le crescenti possibilità di scelta).


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Ebbene, i consumatori hanno reagito mettendo in discussione la fedeltà alla marca (o meglio, come dicevamo prima, alle marche parte del loro personale gruppo di “prese in considerazione”). E i risultati sono positivi dal loro punto di vista: più di 4 consumatori su 5 dichiarano di essere soddisfatti delle marche che non avevano mai acquistato prima di due anni fa.

tica è un volano dell’infedeltà. Non si tratta solo di confrontare prezzi (anche se questo argomento, come detto, è di per sé rilevantissimo) ma anche feature: e così polizze assicurative, macchine fotografiche, prodotti per la casa, automobili, prodotti finanziari e così via segnano un aumento dell’infedeltà.

Effetto digital

Abbiamo fornito alcune spiegazioni per il trend all’infedeltà alle marche. Ne manca almeno uno, ma è fondamentale: molti consumatori non riconoscono più il ruolo della marca come garante di qualità costante (nel tempo e tra prodotti). Un buon esempio è la “disillusione” nel settore dei piccoli elettrodomestici: prevale l’idea che a un acquisto positivamente valutato di un certo prodotto non debba corrispondere una fiducia in quella marca per un prodotto di una categoria simile ma non uguale (se il forno è stato un buon acquisto e mi fido di quella marca per i forni, non è affatto detto che proietti tale positività sugli altri elettrodomestici da cucina). Insomma, il vecchio “quella marca fa le cose per bene” è sempre meno nella mente dei consumatori. La fedeltà è sempre più legata al prodotto e alle sue varianti o versioni successive: gli user di iPhone sono molto propensi a sostituire il proprio smartphone con un iPhone di generazione successiva, tendono anche a volere un tablet iPad (e non è solo questione dell’ecosistema: è proprio fiducia in Apple per la categoria “device portatili”) ma non manifestano una particolare propensione ad acquistare prodotti di altro genere di Apple (tv o anche prodotti solo potenzialmente proposti da Cupertino). In

Un aumento del numero di marche sarebbe nulla se non ci fosse una facile, immediata e “di massa” accessibilità a tale varietà di proposte: è qui che interviene l’effetto digital. Proviamo a sintetizzare. Il cittadino è sempre più connesso a internet (non è solo questione di “quanti” ma anche di “quanto”: quante ore, con quale intensità, con quale rilevanza rispetto ad altre attività nella propria vita e rispetto ad altri mezzi di informazione, di comunicazione ecc.) e ha sempre più modo di vedere marche diverse da quelle che conosce già. Si va dalla “classica” pubblicità online a quella sui social network, dalle comunicazioni tra pari all’interno degli stessi social network ai consigli tra sconosciuti sui forum, ma anche alla pressione effettuata grazie alle e-mail giornaliere dei siti di e-commerce e, ancora di più, di couponing (una nostra recente ricerca mostra che, in media, chi riceve email di siti di coupon non conosce il 45% delle marche di prodotti proposte, ma nella quasi totalità dei casi è disponibile a prenderle in considerazione per un acquisto, magari dopo un rapido check sempre online). Non solo: la possibilità di comparare online i prezzi di prodotti affini e di vederne le caratteristiche in tabella sinot-

La marca non più come garante di qualità

generale, le extension a prodotti non affini a quelli classici della marca sono sempre più difficili.

Consumatori sempre più esigenti Potremmo allora pensare che la fiducia sia almeno garantita se diamo soddisfazione al cliente per uno specifico prodotto o servizio: purtroppo nemmeno in questo caso possiamo dormire sonni tranquilli. C’è un modo per rilevarlo: chiedere la soddisfazione per un prodotto e poi chiedere se al successivo acquisto ci sarà una tendenziale fedeltà alla marca. I risultati sono spesso sorprendenti: nemmeno per i clienti più soddisfatti (ad esempio: voti 8, 9 o 10 all’oggetto di valutazione) è maggioritaria la fedeltà dichiarata al brand. In parte si spiega con la voglia di provare soluzioni differenti (tipico del mondo dell’automobile), in parte con la speranza di trovare “ancor di meglio”. In un mondo ipercompetitivo l’asticella si alza sempre di più.

Cosa fare? Una delle strade principali è quella di passare dal rapporto passivo con il consumatore (“io marca ci sono, sceglimi!”) al rapporto attivo (“io marca conosco le tue esigenze e ti faccio proposte specifiche”). La fedeltà non è da intendersi come “pensa a me ogni volta che hai bisogno” ma come “riusciamo a sapere di cosa hai bisogno” (e quindi ti offriamo soluzioni adatte a te). Questo vale o può valere in moltissimi settori differenti ed è potenziato (ma non reso possibile: lo era già) dalla rivoluzione digitale. Non solo: la fedeltà si crea seguendo il consumatore anche quando questo non deve acquistare ma vuole solo informarsi, conoscere, scoprire qualcosa di nuovo.

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Speciale carriere all’estero

LEADERSHIP GLOBALE Gli stili manageriali in quei paesi considerati ormai non più come luogo per produrre ma per consumare: Cina, India e Brasile Fabio Ciarapica Villani

Questo tema è stato oggetto di una recente analisi di Praxi Alliance, worldwide executive search, recentemente sviluppata e discussa tra i partner nel Summit semestrale tenutosi a Shanghai.

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O STILE DI LEADERSHIP MANAGERIALE occidentale, seppur diversamente interpretato a seconda delle culture organizzative delle case-madri e degli head-quarter anglosassoni, o addirittura delle multinazionali tascabili imprenditoriali italiane, ha comunque denominatori comuni ormai ampiamente consolidati e assimilati: dal diritto del lavoro alla contrattualistica, dai background formativi ai piani di carriera, dai modelli di competenza o di valori manageriali. Alcuni elementi evolutivi continuano a modificare le modalità di interazione sui luoghi di lavoro, sia sul fronte “business” e mercati sia all’interno delle strutture organizzati-


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ve stesse: la rete e l’iperconnettività, la gestione delle diversity, i temi generazionali. Da quando la cultura aziendale occidentale ha iniziato a “esportare” managerialità e modelli organizzativi, che siano state le grandi multinazionali nel Far East per grandi progetti industriali o le medio-piccole imprese italiane per la delocalizzazione produttiva nell’Europa orientale, le modalità sono quasi sempre state “top-down” o al limite di opportunismo relazionale. Ovvero, i nostri manager espatriavano per fare tentativi di business development e vendere, attivando quindi solo modalità negoziali, ma anche per riprodurre un modello, gestire, pianificare, controllare,

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dettare localmente uno stile manageriale chiusi in una community. In una parola: “comandare”. Da tempo invece i mercati emersi sono diventati non più un luogo per produrre ma un luogo per consumare. E soprattutto, ormai, dettano le regole del gioco e vanno (e vengono!) a comprare e quindi a gestire asset, aziende e marchi ovunque. Diciamo che, nella migliore delle ipotesi, i rapporti manageriali sono oggi peer2peer non solo con quei manager non occidentali che però si sono formati nelle grandi business school anglosassoni, bensì con colleghi e sempre di più con capi che si sono formati all’estero e sono poi tornati in patria, portatori di una carriera evoluta

Da quando la cultura aziendale occidentale ha iniziato a “esportare” managerialità e modelli organizzativi, le modalità sono quasi sempre state “top-down” o al limite di opportunismo relazionale

tutta all’interno del loro medesimo ambiente originario, che ora è un modello aziendale vincente. Espatriare per sviluppare la propria carriera Oggi la differenza rispetto alle interazioni professionali con capi portatori di leadership manageriale non occidentale – già sperimentata da anni ad esempio da chi opera nelle multinazionali di matrice giapponese e più recentemente coreana, ambedue a forte impatto gerarchico – è data dal fatto che il manager europeo o anglosassone non può più permettersi di giocare in casa. Deve espatriare per sviluppare la propria carriera manageriale andando a gestire funzioni o mercati non abituali, in un ambiente non abituale e con capi e colleghi di cultura manageriale con radici profondamente differenti. Il manager occidentale che cerca fortuna nei paesi emersi deve quindi attuare strategie di leadership style sensibilmente differenti e con strumenti

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Speciale carriere all’estero rivisitati della cassetta degli attrezzi di management. Questo approccio deve valere ormai sicuramente in Cina, in gran parte in India e in alcuni casi in altri paesi emersi, Brasile compreso. È chiaro che social media e professional networking hanno già contribuito e continueranno a contribuire a rendere più interattiva e interconnessa la business community manageriale attraversando i diversi modelli organizzativi e gli stili di leadership. I mondi manageriali si sono ormai duplicati rispetto a un originario modello anglosassone e hanno assunto dignità e autonomia di stile gestionale e risultati economici. Ma questi diversi mondi e stili di leadership sono sempre più interagenti e allineati e i confini classici vengono ridefiniti in continuazione. È sempre più facile incontrare modelli e processi aziendali molto simili ma persistono diverse interpretazioni di cultura e comportamenti organizzativi, con differenze ancora rilevanti. Comprendere queste differenze, valorizzare i punti di forza delle proprie soft skill manageriali e identificare la più corretta sovrapposizione personale con le diverse opportunità nelle varie regioni ormai emerse è un obiettivo fondamentale per la nuova generazione di manager globali che vogliano cogliere opportunità internazionali. Vediamo nelle prossime pagine come fare il manageri in Cina, India e Brasile.

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FARE IL MANAGER IN CINA

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ric Tarchoune di PraxiAlliance China da oltre 20 anni, sottolinea che il talent shortage, ovvero la mancanza e quindi la “guerra” per i talenti annunciata ormai molti anni fa in Occidente, è la prima emergenza oggi per gli hr manager locali, più dell’aumento del costo del lavoro e del turnover di personale: ovvero per 41 milioni di aziende private! La competizione per portare a bordo manager non è più solo delle grandi multinazionali presenti in loco ma delle moltissime grandi (medie per loro, grandissime per noi) aziende private, e 90 sono tra le prime 500 di Fortune. Ed è un’esigenza ormai persino delle aziende di stato cinesi. È un problema di competizione (innovazione, creatività) e di produttività (un indice mediamente basso in Cina) generalmente risolvibile da un buon middle management che in-

vece ancora manca in quasi tutte le funzioni e famiglie professionali aziendali. Da qui la necessità di importare manager (non top manager dato che quelli locali ci sono ormai) con adeguate esperienze professionali, background formativo, conoscenza delle lingue occidentali e skill manageriali e di co-leadership. Non più però capi ma, al massimo, “pari” (vedi tabella 1). Con ancora qualche problema di attraction. Facciamo degli esempi. Le alte aspettative salariali degli expat alimentate dal recente passato non sono più possibili. Ma sempre più per i manager occidentali l’obiettivo non è espatriare per fare carriera ma per continuare a fare carriera o addirittura per mantenere un adeguato livello professionale che si rischia di perdere qui. Poi c’è la relativamente scarsa riconoscibilità del brand di aziende po-


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Tab. 1 - Le 5 principali sfide hr nel 2013 in Cina (n = 531) Carenza di talenti

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Aumento del costo del lavoro

25%

Alto turnover del personale

14%

Difficoltà ad attrarre i candidati validi Lunghi periodi di training per essere validi

10% 8%

Fonte: European chamber business confidence survey 2013, EUCCC in partnership with Roland Berger strategy consultants

Risk management: assumersi rischi, prendere decisioni, intraprendere iniziative; creatività: avere la vision, costruire il messaggio; ispirare: esercitare la leadership situazionale (ovvero integrandosi con l’ambiente), costruire il team condividendo; comunicare: essere sicuri che il proprio messaggio arrivi.

co note, seppur grandi, il timore del contesto ambientale di città grandissime ma non sempre occidentalizzate come Shanghai, la difficoltà delle lingue locali e le opportunità di carriera verticale comunque limitate (vedi tabella 2). Con la necessità di ambientarsi sia professionalmente che socialmente, a differenza del passato, la piramide dei bisogni sociali e personali in Cina ha avuto un’accelerazione eccezionale negli ultimi 15 anni allineandosi a quella occidentale, ma non ovunque e non per tutta la popolazione (quella attiva è di almeno 800 milioni!). Le skill manageriali Quali sono quindi le skill manageriali che devono essere declinate dal manager occidentale che vuole difendere, mantenere, sviluppare la propria carriera con un’esperienza in questo incredibile mercato?

I problemi da affrontare in un’azienda cinese Tra le problematiche personali che un manager occidentale deve affrontare troviamo il riconoscimento della centralità storica e oggi anche economica della Cina, un sentimento molto forte espresso dal management cinese. Gestire le relazioni e le apparenze formali, la “faccia” come si di-

ce in Cina: rispettare le gerarchie, gli anziani (confucianesimo…) e le apparenze. Creare un network consapevoli del proprio posizionamento all’interno dello stesso e scalare le relazioni consapevoli della forza della guan xi, dei legami interpersonali. Gestire la competizione tra “pari” anche all’esterno delle interazioni professionali (famiglia, auto, casa…). Infine, mantenere sempre elevati i propri obiettivi. Comunicazione, problem solving, reimpatrio Quali sono quindi i temi organizzativi solo apparentemente soft da affrontare? Comunicazione: un forte elemento di discontinuità con il recente

Tab. 2 - Le sfide che le aziende devono affrontare per attrarre talenti in Cina (2013) n = 276 Locals

n = 169 Expats

3%

46%

63%

37%

7%

4%

14%

4%

Opportunità di carriera non vista come promettente

9%

5%

Cultura della società non vista come attraente

2%

2%

Altro

2%

4%

Mancanza di volontà di essere assegnato in Cina Troppo alte le aspettative sullo stipendio Programma di formazione inadeguato Il marchio non è ben noto

Fonte: European chamber business confidence survey 2013, EUCCC in partnership with Roland Berger strategy consultants

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Speciale carriere all’estero passato è dato dagli aspetti di comunicazione linguistica. Prima ci si aspettava che i professional locali imparassero perlomeno a parlare in inglese. Oggi è il manager che vuole (o deve) operare in Cina che non può non interagire anche managerialmente nella lingua locale, come persino il fondatore di Facebook ha recentemente dimostrato. Alla corretta comunicazione linguistica si sovrappone però anche la problematica di far arrivare il messaggio manageriale. Infatti, le barriere culturali possono agire anche in condizioni di buona comprensione linguistica reciproca, per problemi di condivisione degli obiettivi e dei compiti. La principale problematica anco-

ra oggi per il manager occidentale in Cina è “come posso essere certo di aver trasferito il progetto nei suoi target e task? come posso essere certo che i collaboratori locali eseguano correttamente quello che mi aspetto?”. Durante i team meeting ci possono essere domande di controllo, ma generalmente sembra che tutti abbiano compreso, salvo verificare il contrario quando il progetto avanza o dovrebbe essere quasi al termine. Problem solving: le dinamiche di individuazione, gestione e risoluzione dei problemi sono ancora sensibilmente differenti. Spesso i problemi vengono dimenticati o risolti in maniera non razionalmente prevedibile dai modelli organizzativi occidentali. Reimpatrio: un lungo periodo in Cina può comportare problemi di rientro e riadattamento manageriale. Le esperienze effettuate potrebbero essere sottovalutate da chi ancora pensa alla Cina come hub produttivo e non come mercato, sia di consumo che di interazione. Pochi colleghi potrebbero comprendere e condividere il valore aggiunto di tale esperienza. In caso di successo e carriera in Cina, difficilmente si potrà avere lo stesso status al rientro, a differenza dei primi manager pionieri di ormai qualche decade fa. La Cina è più vicina Il paradosso dunque è che la Cina appare oggi ai manager occidentali molto meno distante, difficile ma pur sempre l’eldorado di qualche

anno fa, perché oggi giustamente si considerano le difficoltà del necessario totale ambientamento (mentre prima si viveva solo il periodo di distacco entro lo stabilimento o la community in attesa del rientro) proprio quando le opportunità locali sono più reali e numerose. Manager cinesi in Europa Persino le multinazionali teutoniche, dice Klaus Schlagheck di Praxi Alliance Germany, devono prepararsi ad avere propri manager interagenti con manager cinesi decision maker. Nel prossimo futuro potrebbe essere addirittura necessario assumere in Europa manager cinesi con esperienza mista, piuttosto che mandare manager tedeschi in Cina, per coltivare meglio le relazioni soprattutto nel perdurare delle evidenti politiche di ritorsione/restrizione/regolazione che il nazionalismo (sentimento sempre alimentato in Cina) comporta rispetto alle dinamiche del business. Infatti, manager cinesi attivi nelle multinazionali europee potrebbero meglio interpretare le buone relazioni tra le parti: questo potrebbe però significare meno posti a disposizione per i manager locali e necessità di saper interagire con questi nuovi colleghi di cultura manageriale molto diversa. Due temi assolutamente nuovi per il mercato manageriale tedesco e per le radicate caratteristiche di stile di leadership e comportamenti organizzativi tipici delle relativamente poco adattive strutture tedesche.


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Speciale carriere all’estero

FARE IL MANAGER IN INDIA

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o scenario in India presenta alcune similitudini con la Cina, afferma Sonia Singh di Praxi Alliance India. Sono presenti grandi imprese di Stato, grandi multinazionali, ma anche moltissime grandi aziende private con una famiglia imprenditoriale originaria. Aziende che assumono moltissimo e che hanno esigenze forti di managerialità middle e senior. E nelle quali spesso la specifica cultura ed etnia della famiglia proprietaria guida il modello organizzativo. Nel recente passato le skill manageriali fondamentali da declinare coincidevano con l’omogeneità culturale, la similitudine di lingua e il forte senso di appartenenza e lealtà aziendale. E queste caratteristiche di feeling ancora influiscono nella cooptazione di manager da parte degli imprenditori, come noi in Italia ben sappiamo. E le posizioni top sono ancora appannaggio dei membri della famiglia imprenditoriale. Le cose stanno sensibilmente cambiando ma ancora persiste il mito che

nelle multinazionali sia più facile fare carriera. In realtà le imprese familiari molto grandi e internazionali necessitano di middle e senior management in misura simile e con modelli di stile manageriale sempre più simili. Le grandi aziende multinazionali ricercano il matching culturale con la casa madre, quindi assumono manager locali che abbiano intrapreso un percorso formativo occidentale, prevalentemente anglosassone. Tutti cercano familiarità culturale con la cultura organizzativa occidentale. Gli stili di gestione manageriale Lo stile di gestione manageriale tra le multinazionali e le (pur grandi) aziende indiane imprenditoriali è ancora così diverso in certe zone da creare quasi due “silos” distinti di profile manageriali che possono ac-

cedere solo ad alcune opportunità di carriera e non ad altre con scarsa possibilità di osmosi tra i due mondi professionali. In parte questo accade anche in Europa e ovviamente in Italia. Ed è una considerazione importante da tenere presente per il manager Sud europeo, che potrebbe trovare delle similitudini di stile gestionale nelle grandi aziende imprenditoriali indiane familiari. Processi decisionali più rapidi che in Cina Rispetto al modello centralizzato tipicamente cinese, in India i processi di decision making aziendale si possono considerare generalmente più rapidi in queste grandi realtà imprenditoriali, anche rispetto alle multinazionali presenti che devono abitualmente seguire procedure standard e quin-


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Speciale carriere all’estero di spesso rispondono più lentamente alle esigenze dei mercati. Quindi le soft skill manageriali relative alle capacità di decisione e all’orientamento ai risultati, invece che ai processi, può essere particolarmente apprezzata in queste organizzazioni che stanno crescendo e necessitano di management internazionale. La lingua inglese per abbattere i problemi di comunicazione Infine è da ricordare che in India la business community (e non solo) ha un tradizionale utilizzo della lingua inglese che abbatte i problemi di comunicazione, anche se ovviamente

permangono quelli di introspezione culturale dei comportamenti organizzativi, che possono cambiare da regione a regione. Chi ha la visibilità contemporanea sia del livello manageriale cinese che di quello indiano, nota che la disponibilità di talent e leadership manageriale indiana è sicuramente superiore sia in qualità che in abbondanza e reperibilità, nonostante le dimensioni del business siano complessivamente inferiori. La drone mentality, ovvero l’agire meccanicamente come un robot all’interno di un’organizzazione, non è pervadente in India. Al contrario i

professional tendono a seguire i percorsi meno battuti e usare la propria ingegnosità per declinare il problem solving operativo. Si crea così spesso un sovraccarico di creatività e minor processing organizzativo che spesso crea problemi al manager occidentale abituato a lavorare per procedure standard. Così come in Cina, lo status manageriale è fondamentale per moltissimi professional, molto attenti al proprio “ego” manageriale. Spesso le multinazionali, anche quelle europee, fanno ricorso a due differenti titoli manageriali, uno a uso interno e uno a uso esterno.


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FARE IL MANAGER IN BRASILE

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er noi italiani sembra esserci qualche possibilità di sovrapposizione culturale sul mercato brasiliano dove, come segnala Ana Paula Zacharias di Praxi Alliance Brazil, i manager locali sono veloci nell’adattarsi ai differenti tipi di cultura organizzativa, considerando l’abitudine marcata al multiculturalismo sociale e una certa predisposizione al multitasking. L’influenza dei modelli manageriali americani è molto forte, quindi qualsiasi manager occidentale, europeo e italiano pronto a operare in Brasile deve considerare che quello è lo stile di leadership prevalente, molto orientato ai risultati e in misura superiore alla media dello stile brasiliano: operando in contesti misti ci sono quindi difficoltà ma anche opportunità da co-

gliere in tal senso per i manager europei. Da non sottovalutare anche le differenze geografiche, sociali e culturali interne nella declinazione del proprio ambientamento in Brasile, non solo quelle professionali e sull’ambiente di lavoro. Un piccolo plus per il manager italiano mediamente ben predisposto sull’intelligenza emoti-

va. Ad esempio, queste difficoltà persistono nelle relazioni manageriali tra Brasile e paesi asiatici, essenzialmente per problemi comunicativi di lingua ma anche di comportamenti sociali e organizzativi, quali la suddivisione per gradi e gerarchie aziendali e subordinazione manageriale molto lontana dallo stile manageriale ideale in Brasile. 䡵

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Contratto

IL LICENZIAMENTO COLLETTIVO Una breve informativa sull’estensione ai dirigenti introdotta dalla legge europea Daniela Fiorino Villani

Ingresso alla Corte di giustizia europea

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on l’art. 16 della Legge europea 161 del 30 ottobre 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 261 del 10 novembre 2014, in vigore dal 25 novembre scorso, è stata estesa anche ai dirigenti la normativa sui licenziamenti collettivi. Escluso il trattamento di mobilità, che tuttavia decadrà per tutti i lavoratori dal 1° gennaio 2017, quando la normativa Aspi entrerà a regime. In questo modo si è risolta la procedura di infrazione a cui era stato sottoposto il nostro Paese dopo la

sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 13 febbraio 2014 (causa C-596/12). La nuova formulazione dell’art. 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, non modifica le modalità e i termini della procedura sintetizzati nella tabella a fianco, visto che è stata elaborata solo per eliminare la disparità di trattamento tra i dirigenti e gli altri lavoratori dipendenti rilevata dalla Corte di giustizia europea. Pertanto, per effetto del recente intervento normativo, i dirigenti dovranno essere considerati sia nel computo dei 15 dipendenti (la dimensione aziendale oltre la quale si applica la normativa sui licenziamenti collettivi), sia nel numero di licenziamenti (quattro, nell’arco di 120 giorni) al di sopra del quale si configura il licenziamento collettivo. Inoltre, la comunicazione di avvio della procedura deve essere inviata anche alle organizzazioni di rappresentanza sindacale dei dirigenti, che partecipano a tutte le fasi della procedura in tavoli separati. Infine, in caso di licenziamento, e salvo diverse previsioni dei ccnl, anche ai dirigenti verranno applicati i criteri di scelta previsti dal-


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IN SINTESI Licenziamento collettivo – Si configura nel caso in cui il datore di lavoro intenda procedere a più di quattro licenziamenti nell’arco di 120 giorni. Applicabilità – Imprese che occupano più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti. Avvio procedura licenziamento collettivo – L’azienda deve dare comunicazione preventiva per iscritto alle Rsa nonché alle rispettive associazioni di categoria e, in mancanza, alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Contenuti della comunicazione: • motivi che determinano la situazione di eccedenza; • motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a evitare, in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; • numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale eccedente, nonché del personale abitualmente impiegato; • tempi di attuazione del programma di riduzione del personale; • eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione del programma medesimo; • metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva. Direzione territoriale del lavoro (Dtl) – Deve ricevere copia della comunicazione. Esame congiunto – Entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione su richiesta delle Rsa e delle rispettive associazioni. Per i dirigenti si procede con specifici incontri. Scopo dell’esame congiunto – Esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell’ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro. Qualora non sia possibile evitare la riduzione di personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. Termine procedura – La procedura deve essere esaurita entro 45 giorni dalla data del ricevimento della comunicazione dell’impresa.

l’art. 5, commi 1 e 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnicoproduttive e organizzative, pari suddivisione tra lavoratrici e lavoratori in base alla % impiegata in

Comunicazione termine procedura – L’impresa informa la Dtl e le associazioni sindacali dei lavoratori sul risultato della consultazione e sui motivi del suo eventuale esito negativo. Mancato raggiungimento accordo – La Dtl convoca le parti per un ulteriore esame che deve esaurirsi entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione di termine procedura. Riduzione termini procedura – Se i lavoratori interessati alla procedura di licenziamento collettivo sono meno di dieci i termini suddetti (45 e 30 giorni) sono ridotti alla metà. Licenziamenti – Una volta raggiunto l’accordo sindacale l’azienda può procedere con i licenziamenti tramite comunicazione scritta inviata a ciascun dipendente e rispettando i termini di preavviso. Elenco licenziati – Completo dei dettagli indicati al comma 9 dell’art. 4, legge 223/91, deve essere inviato alla Dtl entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi. Modifica mansioni in peius – Può essere stabilita in deroga all’art. 2103 del codice civile dagli accordi sindacali, per evitare il licenziamento. Criteri di scelta – L’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive e organizzative del complesso aziendale, nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi o, in mancanza, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: carichi di famiglia; anzianità; esigenze tecnico-produttive e organizzative. L’impresa non può altresì collocare in mobilità una percentuale di lavoratrici superiore alla percentuale femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione. Sanzioni per difetto di forma scritta del licenziamento – In questo caso anche per i dirigenti è stata mantenuta l’applicazione dell’art. 18, comma 1, ovvero: • reintegrazione nel posto di lavoro o, in alternativa, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale, di fatto non assoggettata a contribuzione previdenziale; • pagamento retribuzioni (e contributi previdenziali e assistenziali) dalla data del licenziamento a quella della sentenza, dedotto quanto percepito nello stesso periodo per lo svolgimento di altra attività lavorativa. Sanzioni specifiche per licenziamento dirigenti – In caso di violazione dei criteri di scelta e delle disposizioni relative alla procedura di consultazione: indennità compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, fatte salve le diverse previsioni contenute nei ccnl.

azienda) e la previsione del pagamento di un’indennità tra 12 e 24 mesi in caso di mancato rispetto della procedura e di violazione dei criteri di scelta. Sarà inoltre possibile sottoscrivere

accordi sindacali di demansionamento, in alternativa al licenziamento, nel caso in cui risulti possibile riassorbire i dirigenti considerati in esubero, adibendoli a diverse mansioni.

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Contratto

L’opinione di due esperti Paolo Salvatori Avvocato, Studio legale Perone & Salvatori consulente legale di Manageritalia Roma «La nuova normativa sui licenziamenti collettivi dei dirigenti è un risultato di rilievo raggiunto anche e soprattutto grazie a Manageritalia perché migliora la tutela contro il licenziamento illegittimo del dirigente. Questa legge dà una lettura complessiva della figura del dirigente più aderente alla realtà dell’attuale mercato del lavoro. Infatti, non nega la specificità della figura dirigenziale e il carattere altamente fiduciario che ne caratterizza il rapporto con il datore di lavoro, ma non lo considera per giustificare, come sino ad oggi è stato fatto, un’esclusione del dirigente e delle sue organizzazioni sindacali di rappresentanza da tutele sindacali e procedurali che con il rapporto fiduciario e la specificità del dirigente poco o nulla hanno a che fare. Infatti, il licenziamento collettivo riguarda una pluralità di lavoratori subordinati e appartiene alla categoria dei licenziamenti fondati su fattori economici inerenti ragioni di riorganizzazione, ristrutturazione o di crisi aziendale. Si tratta quindi di motivazioni oggettive, che prescindono dalla valutazione e rilevanza di aspetti soggettivi e individuali, e tantomeno dal grado di maggiore o minore fiduciarietà che caratterizza il rapporto di lavoro del personale considerato in esubero. Se il fattore di crisi è economico, l’imprenditore per rispondere alle mutate esigenze di mercato organizza l’azienda su basi diverse. Non c’è davvero ragione perché i dirigenti siano esclusi dal doveroso e severo pro-

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cesso di confronto e negoziazione sindacale e di selezione del personale in esubero mediante criteri oggettivi, cui la direttiva comunitaria prima e la legge nazionale oggi, condizionano la legittimità di questo processo collettivo. Questa esigenza di eguale e non discriminatoria tutela, in contesti in cui una disparità di trattamento non avrebbe avuto ragionevole giustificazione nel rapporto di lavoro dirigenziale, è stata a mio avviso un’efficace chiave di volta, sia sotto il profilo giuridico che politico. Manageritalia ha con forza sostenuto la richiesta, fatta poi propria dal legislatore italiano, di un’ampia e piena estensione ai dirigenti delle norme della legge 223 del 1991 (tranne le eccezioni esposte nella scheda tecnica), a onta di numerose voci e istanze contrarie impegnate a dare un’attuazione riduttiva e assai parziale degli obblighi comunitari. Il nuovo contesto normativo pone perciò Manageritalia, al pari delle altre organizzazioni sindacali dei dirigenti, di fronte a nuove opportunità e responsabilità. Innanzitutto, l’obbligo legale di coinvolgimento delle organizzazioni sindacali dei dirigenti – sia a livello di Rsa (ove esistenti) che di articolazione territoriale – in quella che senza dubbio costituisce la più rilevante procedura di informazione e confronto sindacale che l’ordinamento italiano conosca, e che avviene in contesti particolarmente sentiti dall’intera collettività dei lavoratori coinvolti, è per Manageritalia un’importante opportunità per rafforzare la propria attività sindacale, la propria visibilità e presenza “all’interno delle aziende” e al fianco dei propri iscritti. Può così svolgere quell’attività di rappresentanza sindacale e di tutela degli interessi e delle richieste dei dirigenti su un terreno e in un contesto nei quali, per ragioni storiche e giuridiche e per caratteristische soggettive della categoria rappresentata, ha sempre scontato (come tutte le organizzazioni sindacali dei dirigenti) un’oggettiva difficoltà di penetrazione, e non per sua colpa o mancanza di volontà.


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Tutto ciò tenendo fermi e distinti i modi di sentire e dell’essere sindacato di Manageritalia, rispetto alle organizzazioni sindacali dei lavoratori non dirigenti. Come peraltro garantito dal legislatore con la previsione che le organizzazioni sindacali dei dirigenti svolgano la fase di confronto e consultazione con l’azienda su tavoli specifici e separati. Inoltre, e sempre sotto questo profilo, il carattere collettivo dei licenziamenti di cui Manageritalia sarà chiamata a discutere potrebbe costituire un’opportunità per favorire, tra gli stessi dirigenti, fino ad oggi molte volte costretti a confrontarsi e a vivere la vicenda del licenziamento in chiave puramente individuale e solitaria, un approccio alla questione maggiormente solidaristico di condivisione e collettivo. Da un punto di vista più propriamente giuridico, e di assistenza anche legale nella tutela dei singoli dirigenti coinvolti nelle procedure di licenziamento collettivo, Manageritalia ha ben chiaro che d’ora in poi quando ci si confronterà con un possibile licenziamento collettivo del dirigente (ai sensi dell’art. 24 della legge 223 del 1991) avremo a che fare con una nozione radicalmente difforme dal licenziamento individuale dettato dal ccnl, e fondata sul ben diverso canone della “giustificatezza”. Un contesto giuridico profondamente mutato di cui occorrerà tenere presente in termini di disciplina, procedura, condizioni di legittimità e sanzioni per assistere al meglio, anche individualmente, i nostri associati. Non è questa la sede per esaminare nel dettaglio le profonde differenze tra licenziamento individuale e licenziamento collettivo. Basti però pensare che, in primis, la verifica della sussistenza nel merito delle ragioni tecnico-organizzative del dichiarato esubero nel licenziamento collettivo si concentra, principalmente, nella fase di confronto che precede il licenziamento dei lavoratori tra organizzazioni sindacali e datore di lavoro. Il vero soggetto chiamato a verificare la rispondenza al vero o non di tali ragioni (esposte dal datore di lavoro nella lettera che dà avvio al-

la procedura di licenziamento collettivo) sono proprio le organizzazioni sindacali che siedono al tavolo del confronto con l’azienda. Mentre a procedura conclusa e licenziamenti intimati, in sede giudiziale è precluso al giudice un sindacato di merito sulla sussistenza o meno di tali ragioni tecnico-organizzative (che si assumono già vagliate dal sindacato) dovendosi concentrare la verifica giudiziale esclusivamente sul rispetto formale della procedura, e dei rigorosi adempimenti in essa previsti, oltreché, beninteso, sulla corretta applicazione dei criteri di scelta. Esattamente l’opposto di ciò che avviene nel licenziamento individuale del dirigente, nel quale, a licenziamento avvenuto, il giudice o il collegio arbitrale cui si siano rivolte le parti hanno un potere di verifica e sindacato non solo sugli aspetti formali del licenziamento ma, soprattutto, in ordine alle motivazioni del medesimo e cioè sulla rispondenza al vero o non delle ragioni che hanno portato al licenziamento individuale del dirigente, e sulla sua “giustificatezza” o meno. Dunque, anche sotto questo profilo, un ruolo rafforzato e diverso di Manageritalia, che peraltro, affiancando ai nuovi e più incisivi strumenti di tutela del dirigente introdotti dalla legge 161 del 20141 la propria esperienza e capacità tecnica, acquisite e affinate nel tempo, dalle proprie strutture federali e territoriali, nell’assistenza anche negoziale dei dirigenti interessati da provvedimenti di licenziamento, potranno consentire, anche sotto questo profilo, una tutela e assistenza degli associati ancora più incisiva e determinata da parte di Manageritalia. 1

Tra i quali va sin d’ora sottolineata anche la sanzione indennitaria prevista dalla legge, oscillante tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità, per ogni ipotesi di licenziamento collettivo illegittimo, sanzione “più pesante” rispetto all’indennizzo previsto dal ccnl dirigenti per il licenziamento individuale ingiustificato, che prevede un indennizzo, nel massimo pari a 18 mensilità e nel minimo oscillante tra le 6 e le 12 mensilità, a seconda dell’anzianità di servizio del dirigente.

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Marco Saporiti Avvocato giuslavorista, Studio legale Saporiti consulente legale di Manageritalia Milano «L’informativa di Manageritalia costituisce il punto di arrivo, ma anche di ripartenza, di un intenso lavoro sindacale e giuridico che da parecchio occupa la Federazione e i suoi collaboratori interni ed esterni. L’importanza dell’argomento e l’entità delle variazioni sostanziali e procedurali per la disciplina del rapporto dirigenziale in occasione di licenziamenti collettivi sono del tutto evidenti dal contenuto dell’informativa stessa e comunque appaiono già intuitivamente percepibili, specialmente in un periodo economico e sociale come l’attuale. Il ruolo svolto dalla Federazione nella vicenda è stato improntato alla tutela della categoria, necessariamente nel solco di quanto prescritto a livello europeo, evitando il prevalere di opzioni che mirano al sostanziale svuotamento dei benefici derivanti da tale prescrizione. Un ruolo contraddistinto inoltre dall’equilibrio e dalla moderazione nelle proposte, anche per questo ampiamente fatte proprie dal legislatore nazionale che ne ha certamente colto la rispondenza alle istanze europee. Ma anche la “traduzione” delle stesse nell’ordinamento italiano, con le sue specificità riferite alla figura dirigenziale e alla normativa in merito alla stessa, evitando così di lasciare eccessivi margini interpretativi o, peggio ancora, ipotetici vuoti normativi colmabili solo con gravi perplessità sulle soluzioni adottate. Il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali dei dirigenti, già presente nei fatti (a livello

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di intervento sindacale e anche di consulenza legale) su richiesta del singolo associato in ogni ipotesi di chiusura o anche solo di difficoltà nel rapporto di lavoro, permette in tali ipotesi ora il dispiegamento dell’attività della Federazione e delle sue Associazioni territoriali con ancora maggiore forza e adeguatezza alle necessità concrete dei singoli casi. Nel futuro articolarsi dell’attività sindacale però, insieme alla valorizzazione di queste nuove opportunità, andranno considerati con attenzione i possibili rischi di burocratizzazione dell’intervento e delle soluzioni, che probabilmente potrebbero derivare dalla struttura della normativa generale in tema di licenziamenti collettivi. La consapevolezza di ciò e delle specificità del rapporto dirigenziale sembrano d’altra parte un sufficiente presidio affinché ciò non accada. Peraltro, al di là dell’importante vicenda di tale estensione, il metodo seguito su iniziativa del ministero del Lavoro merita apprezzamento, improntato come è stato non a una malintesa concertazione con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, bensì all’effettivo ascolto delle stesse e delle rispettive ragioni. Cosicché il provvedimento potesse essere caratterizzato da effettiva informazione e aderenza alla concreta realtà, con risultati di effettiva equità. Non resta che auspicare che anche in futuro ci si regoli analogamente, in vista dell’armonizzazione delle normative nazionali, nel rispetto però degli spazi lasciati alle situazioni particolari che meritano di essere considerate come ricchezza proprio per la loro diversità e in vista del raggiungimento di un ordinamento complessivo più giusto e più efficiente. Quindi più moderno nel senso migliore del termine».


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Cultura

DOV’È FINITA LA SPERANZA? Negli anni Sessanta dilagava, ora latita. Eppure ne abbiamo ancora enormemente bisogno. Di cosa parliamo? Di speranza. Attraverso queste pagine, riprodotte da un capitolo dell’ultimo libro La vita è piena di trucchi di Enrico Finzi, presidente di AstraRicerche, sociologo e giornalista professionista, possiamo rivivere il sapore di quegli anni e di un Paese che freme, dove il tenore di vita è in crescita e il lavoro abbondante.

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GNI TANTO qualcuno oggi, nel 2014, mi chiede quale sia la principale differenza tra gli anni che viviamo e quelli di quando ero ragazzo, grosso modo gli anni Sessanta. Non ho dubbi: la differenza chiave è la speranza, che allora dilagava e ora latita. Se confrontiamo il presente di allora e quello odierno, malgrado tutto dobbiamo riconoscere che il Paese ora è più ricco, sano, istruito. Ma, se consideriamo il futuro atteso, tutto si rovescia. Ricordo la Milano gravida di futuri. Sì, perché negli anni Sessanta le aspettative non sono le stesse per ognuno: basti pensare alla drastica contrapposizione tra chi spera in una società socialista e chi desidera un’Italia finalmente allineata alle grandi democrazie capitalistiche. Ma quasi tutti condividono la certezza che il domani sarà diverso, migliore. E anche il singolo individuo

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spesso avverte di avere di fronte più futuri possibili. Lo scontro sul passato è feroce (la ferita del fascismo non si è sanata e non può esserlo), i conflitti attuali risultano assai aspri, ma prevale la tensione in avanti, la spinta a forgiare la vita che verrà. Giro la città e la vedo piena di cantieri. Nelle aree ricche tanti edifici di nuova concezione, lontani dalla retorica piacentiniana o neo-classica, con i primi grattacieli (quello “americano” di piazza della Repubblica, così detto solo perché vi ha sede il consolato Usa, il fungo della Torre Velasca, il Pirellone vicino alla stazione, la torre Galfa lì vicino). Nelle periferie alcuni bei quartieri razionalisti: verso San Siro il QT8, con la montagnetta artificiale dove si fanno discese in slittino nei giorni di neve, a nord il quartiere Feltre vicino al nuovo parco Lambro, per me reso centrale dal primo amore; ma pure

centinaia di casermoni senz’anima, frutto della più volgare speculazione edilizia, che però soddisfa la fame di abitazione specie degli immigrati, dove noi comunisti apriamo a fatica nuove sezioni per dare cittadinanza e rappresentanza al proletariato che vi si affolla. Persino la Torre del Parco, presso la Triennale, con l’ascensore che porta al bar su nel cielo, racconta che ora si possono vedere le cose da un’altra (e più alta) prospettiva. La mia classe viene scelta per un programma di integrazione tra nord e sud finanziato dall’Alfa Romeo, l’impresa automobilistica di proprietà pubblica. Prima andiamo noi a Pomigliano d’Arco: un’oasi, ci sembra, di moderna industria e di avanzata classe operaia in una Napoli caotica e sporca, che forse vediamo con gli occhiali degli stereotipi nordisti (ma la pizza è sublime, le famiglie che ci accolgono affettuose, la città splendida pur nel suo degrado). Poi è la classe con cui siamo gemellati a venire a trovarci: scoprono con sorpresa un’Italia diversa ma pure noi – accompagnandoli in autobus per una settimana – incontriamo realtà ignote: lo stabilimento Alfa di Arese, con i primi robot, operai ricchi di orgoglio e di cultura di mestiere, ingegneri appassionati e visionari (uno ci parla di entropia e subito dopo ci recita e traduce una poesia latina); la Centrale del Latte, con le nuove tecnologie finalizzate alla sicurezza alimentare (che uno di noi vulnera la-


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«Persino la Torre del Parco, presso la Triennale, con l’ascensore che porta al bar su nel cielo, racconta che ora si possono vedere le cose da un’altra (e più alta) prospettiva»

sciando cadere una caramella Charms in un bacino di latte: è letteralmente a bocca aperta per la meraviglia e si piega in avanti per seguire dall’alto il fiume bianco); il cantiere a San Babila della prima linea della metropolitana, con l’immensa escavatrice che avanza giorno e notte nel creare la galleria. Il ragazzo che dorme da noi è attento, curioso, educato. Arriva con un grande pacco di specialità partenopee per onorare gli ospiti (dice proprio “onorare”) ma non è e non si sente inferiore: anzi, trasmette dignità e consapevolezza della sua cultura (verrà a fare l’università a Milano con una borsa di studio dell’Iri e poi tornerà in Campania per aiutare la sua terra a crescere). Pare colpito da dettagli che noi non consideriamo: la gente che sa alternare l’uso dell’italiano e del proprio dialetto, le gonne sopra il ginocchio, l’assenza nelle strade di processioni e di venditori di sigarette di contrabbando, la folla che corre sempre veloce e che non canta, gli orologi elettrici in ogni via,

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Cultura

i tram e i filobus, il Mottarello – il gelato industriale con lo stecco – consumato anche d’inverno, il riscaldamento nelle case. La città freme: il tenore di vita è in crescita, seppur non per tutti; il lavoro è abbondante (ovunque si leggono cartelli “cercasi apprendista”); anche la criminalità prospera e si modernizza. Noi comunisti denunciamo le sacche di vecchia e nuova povertà, lo sfruttamento dei lavoratori (organizziamo anche un volantinaggio contro le eterne morti nei cantieri edili), l’ampliarsi della diseguaglianza sociale, i rischi connessi al boom dei consumi privati a

La vita è piena di trucchi, Enrico Finzi, Bompiani, pagg. 270, € 17. Il libro ripercorre attraverso i ricordi dell’autore l’Italia dal secondo Dopoguerra ai primi anni Settanta. Aneddoti, curiosità e la voglia di guardare avanti di un Paese in fermento.

scapito di quelli pubblici. Abbiamo ragione, credo, ma un po’ sottovalutiamo le spinte modernizzanti e un po’ le condividiamo o – almeno – ne intuiamo il contributo innovativo: l’approccio è critico, d’opposizione, ma con lo sforzo di non essere “passatisti”, anche se un certo moralismo ci fa deplorare l’impoverimento etico della nascente società dei consumi, dell’individualismo egoista, del sempre deplorato americanismo (ma il cinema, la fotografia, la letteratura, il dibattito culturale, la scienza Usa – se non militarista – ci entusiasmano e ci coinvolgono). Il terreno sul quale cresce più rigogliosamente la pianta del futuro (del futuro sognato, progettato, rappresentato) è quello culturale. Come molti dei miei coetanei sono immerso in una molteplicità di stimoli. Frequento i circoli culturali: la comunista Casa della cultura, i socialisti Turati e poi De Amicis, il periferico Perini, la cattolica Corsia dei Servi dove ci affascina padre Turoldo. Ovunque quasi tutti discutono con quasi tutti, senza steccati (l’avvocato D’Aiello in ogni serata interviene su qualunque tema, tra i boati degli affezionati critici del suo pomposo eloquio). C’è, diffuso, un senso di urgenza: urgenza di recuperare il terreno perduto rispetto agli Stati più avanzati, urgenza di acquisire competenze per reggere alle nuove sfide, urgenza di orientare le scelte collettive in

direzione di quel che per noi, contro altri, è sicuramente il Bene. Sono travolto dal Piccolo Teatro, dai suoi spettacoli, dalla magia di Strehler, dalla scoperta di Brecht e di Goldoni, di Shakespeare e di Cechov. E il Piccolo non è solo serate memorabili, cui seguono discussioni sino a tarda notte in giro per le strade deserte: è anche iniziative continue nella città, apertura a esperienze straniere, mobilitazione politica. Ci sono poi gli altri teatri e specialmente le compagnie di giro (su tutte De Filippo e i Giovani di Valli, De Lullo, Falck, Guarneri), gli Stabili in visita (adoro Squarzina), lo stralunato Dario Fo e lo sperimentalismo in certe minuscole sale o caves non controllate dai vigili del fuoco. E la musica: dalla Scala (raramente e in loggione: costa troppo e troppo lunghe sono le file per conquistare un posto anche in piedi) alle orchestre del Conservatorio e dei Pomeriggi Musicali (con abbonamenti per studenti), dai primi con-


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«Mi chiedo ora se la memoria non faccia trucchi, se non imbelletti il passato, se non trasferisca alla realtà di allora la nostra gioventù di allora»

certi rock ai recital di grandi cantanti italiani e non, dal jazz sui Navigli al Nuovo Canzoniere Italiano che propone le canzoni politiche e quelle dei ceti subalterni dell’ultimo secolo. C’è soprattutto il cinema. Tutto, in tutte le salse, in tutte le sale. Resto abbacinato da Ejzenstejn e annoiato da Antonioni, deliziato da tutto Fellini e coinvolto fino alle lacrime dal neorealismo. In periferia vedo – proibito per me dalla censura (ma la maschera finge di credere che abbia più di sedici anni) – un casto film di Totò e Peppino de Filippo che tratta delle case chiuse. In centro, al Capitol, assisto alla protesta dei reazionari alla prima della Dolce Vita di Fellini (sono entrato illegalmente da un’uscita di sicurezza lasciata aperta da un complice). Sono, siamo onnivori: passiamo dai kolossal di De Mille alla commedia sofisticata americana, dal primo Truffaut al ce-

rebrale L’anno scorso a Marienbad, dalle pellicole in peplo girate a Cinecittà ai grandi film di guerra hollywoodiani (odio solo i western e comunque faccio il tifo per gli indiani). Organizziamo cineforum, per nulla mortali come nella celebre parodia di Paolo Villaggio, al contrario partecipati e allegri. Mi chiedo ora, entrato nella terza età, se la memoria non faccia trucchi, se non imbelletti il passato, se non trasferisca alla realtà di allora la nostra gioventù di allora. Rispondo negativamente, sentiti tanti che hanno vissuto quegli anni e avendo letto molta documentazione. No, gli anni Sessanta sono stati davvero gravidi di speranze, come mai prima e mai dopo: noi eravamo certi (e orgogliosi) di star costruendo un Paese rinnovato. Torno indietro e sento la fame di co-

noscenza. Riprovo il gusto delle discussioni su ogni tema: con i compagni, per confermare le scelte fatte, e con gli avversari, per imparare qualcosa da loro e per batterli meglio (semmai sono i qualunquisti, gli astensionisti, i cinici quelli che odiamo: spregiativamente li definiamo Ecsnf, acronimo di E chi se ne frega). Avverto ancora la voglia di cambiamento, non solitaria ma condivisa (ogni frase comincia col “noi”). Sento il mix di nostalgia del passato dei nostri modelli e di rifiuto di fermarsi ad essi. Tremo per la persistente indignazione riferita al presente ingiusto e per la pulsione, emotiva e razionale, a trasformarlo in un avvenire più valido, per molte più persone, in molte più aree del pianeta. So ora che tante speranze non son divenute realtà, che il futuro era truccato. Nelle ricerche sociali osservo che adesso la speranza è più debole o nulla. Ma continuo a credere che ne abbiamo bisogno più di ogni altra cosa: forse sto scrivendo per conservarne il ricordo e l’ispirazione, per non perdere la speranza della speranza. 䡵

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INIZIATIVE MANAGERITALIA

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COPPA DI SCI MANAGERITALIA

35 TRA LE NEVI DI MADONNA DI CAMPIGLIO

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IL LAMBRUSCO

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Sembra che il termine generico di vite selvatica, o labrusca, sia diventato il nome proprio di alcuni vitigni derivati dalla domesticazione di viti cresciute spontaneamente, soprattutto nella pianura padana, dove la distinzione fra vite spontanea e coltivata è rimasta sempre molto sfumata. Questo processo di domesticazione ha origini antichissime, se è vero che i primi popoli paleoliguri iniziarono le coltivazioni già 3500 anni prima di Cristo. Sulla vite labrusca esistono testimonianze etrusche e romane (Catone, Virgilio, Varrone, Plinio il Vecchio). Agli inizi del 1300 l’agronomo Pier de’ Crescenzi scrive di un vino ottenuto da uva “lambrusca”, e tre secoli dopo Andrea Bacci, medico di papa Sisto V, annota che “sui colli sottostanti l’Appennino, di fronte a Reggio e Modena, si coltivano lambrusche, uve rosse che danno vini piccanti, odorosi, spumeggianti per auree bollicine, qualora si versino nei bicchieri”. Circa duecento anni dopo, il Lambrusco comincia a essere confezionato in bottiglie di vetro con tappo in sughero, debitamente legato con dello spago, in modo che il vino conservi integralmente fragranza e bollicine e il tappo non salti. Con il XX secolo ha inizio la produzione su scala industriale, che porta il Lambrusco a conquistare anche molti mercati internazionali. Oggi i territori che accolgono la maggior presenza dei vari tipi di Lambrusco sono quelli delle province di Modena e Reggio Emilia, anche se i diversi vitigni sono coltivati un po’ ovunque nella pianura padana (in particolare nelle province di Parma, Bologna, Ferrara, Mantova, Cremona e Rovigo). Una certa diffusione si segnala anche in Trentino e nel trevigiano, e – curiosamente – in tutta

la Puglia. Le varietà principali sono quelle coltivate in Emilia e nel mantovano, cioè Lambrusco di Sorbara, Grasparossa, Salamino. Meno importanti e diffusi sono il Lambrusco Marani, il Maestri, l’Ancellotta, il Montericco, il Viadanese. Nel basso Trentino si coltiva il Lambrusco a foglia frastagliata e in Piemonte la Lambrusca di Alessandria. Benché abbiano caratteristiche ampelografiche differenti, questi vitigni sono accomunati dal carattere dei vini che se ne ricavano: non molto alcolici, aciduli, con una buona effervescenza, da bere freschi e perfetti da abbinare con una cucina ricca di condimenti e di sapori. Nelle sue differenti versioni, il Lambrusco si sposa tradizionalmente con tutti i prodotti della tavola emiliana. Si abbina bene anche con cibi robusti come la carne suina, le salsicce e l’agnello, ed è ideale su un parmigiano-reggiano non troppo stagionato. Può entrare nella ricetta di alcuni primi, come il risotto al Lambrusco o la pasta al Lambrusco, e viene inoltre utilizzato nella preparazione di cocktail leggeri. È infine impiegato nella vinoterapia, per le sue proprietà tonificanti sulla pelle. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso nelle zone storiche di produzione il Lambrusco veniva imbottigliato e fatto rifermentare in bottiglia, senza l’eliminazione dei lieviti: in questo modo faceva il fondo e tendeva a deteriorarsi velocemente. Il mercato era in gran parte limitato al vino venduto sfuso e imbottigliato a casa. A partire dagli anni Sessanta l’industrializzazione del Lambrusco ha portato a vinificazioni più attente e a un processo di spumantizzazione svolto quasi esclusivamente in grandi recipienti d’acciaio, con conseguente imbottigliamento in cantina.


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ARTE Claudia Corti

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arte

TRE UOMINI E UNA STELLA: I RE MAGI

Presenza immancabile nei nostri presepi sono i cosiddetti “re Magi”. Da sempre la storia e l’arte ci tramandano la vicenda di tre sovrani che, seguendo una stella cometa comparsa in cielo all’improvviso, si sarebbero recati a Betlemme ad adorare Gesù Bambino riconoscendolo come unico e vero re. Dal punto di vista strettamente storico i Magi certamente non erano re! Si trattava con buona probabilità di sacerdoti di origine persiana, esperti in astronomia e con un ruolo attivo nella vita politica del tempo. Con lo sviluppo della dottrina cristiana si perse totalmente la loro veridicità storica e parallelamente le tre figure iniziarono a rivestirsi di un manto di regalità molto amato dagli artisti di ogni epoca. Il loro affrontare un lungo viaggio, ben tredici giorni (non a caso la festa ricorre il 6 gennaio), per recarsi a rendere omaggio a Gesù fu interpretato come l’inchino simbolico da parte dell’aristocrazia pronta a convertirsi alla nuova religione. Per prima cosa fu modificata la loro provenienza geografica: non più tre persiani, ma un europeo, un asiatico e un africano, ovvero una chiara rappresentanza dei tre continenti del mondo all’epoca conosciuto che si inchinavano contemporaneamente di fronte al Re dei re, unico in grado di unire tutti i paesi. Poi fu la volta della loro età anagrafica:

da tre coetanei a un anziano, un uomo adulto e un giovane, simbolo di tutte le età dell’uomo. In ultimo, ma non certo per importanza, il tema dei doni che ogni re avrebbe portato in omaggio al Bambino: l’oro, elemento regale per eccellenza, l’incenso, a ricordare la natura divina di Gesù, la mirra, tradizionalmente usata in ambito funerario, a evocarne la sostanza mortale. Tra i soggetti più amati dalla pittura di ogni tempo, l’Adorazione dei Magi si presta perfettamente ad essere di volta in volta interpretata in base all’interesse degli artisti. Il pittore tardo gotico Gentile da Fabriano, ad esempio, pone l’accento sulla moda dell’epoca rivestendo i suoi personaggi, animali compresi, di preziosi tessuti, sete e broccati. Sandro Botticelli, invece, approfitta dell’occasione per dare ai suoi protagonisti i volti degli esponenti della nobile famiglia fiorentina dei Medici. Infine, in un brano di eccezionale poesia, Albrecht Dürer (nell’immagine, Adorazione dei Magi, olio su tavola, 1504, Firenze Galleria degli Uffizi) crea una suggestiva ambientazione in cui le rovine architettoniche di sfondo richiamano la leggenda secondo cui a Roma, nel momento esatto della nascita di Gesù, sarebbe crollato un tempio pagano, profetica anticipazione del seguito della storia.

CURIOSITÀ In alto a sinistra, Adorazione dei Magi, Albrecht Dürer. Pur senza una prova certa si dice da sempre che l’artista avrebbe ritratto se stesso nei panni dell’uomo maturo dai tratti somatici europei.

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LIBRI Davide Mura

Quando non si ha nulla da dire Spesso i nostri interlocutori ci chiedono opinioni sulla politica, il calcio, l’economia o il surriscaldamento globale. Ammettiamolo: non sempre abbiamo qualcosa di intelligente da dire. Il libro di Claudio Nutrito propone una serie di escamotage linguistici, una lista di parole-salvataggio entrate nell’uso comune che fa sorridere perché si sentono quotidianamente, dai talk-show televisivi alle chiacchiere da bar, e che sono in grado di far proseguire o interrompere le conversazioni e i dibattiti lasciando quella vaga ma rassicurante sensazione di aver espresso comunque il proprio pensiero. Quant’altro, Claudio Nutrito, Novecento Editore, pagg. 138, € 9,90.

Dieci passi per la ripresa

Dare alla luce la pubblicità

Il direttore della Scuola di management e comunicazione dell’Istituto europeo di design ha scritto un libro che può essere definito un vero e proprio manifesto generazionale: in una società come quella italiana, dove i punti di riferimento e le certezze legate a una vita professionale stabile sono definitivamente crollati, ora tutto va ricostruito. Con un approccio propositivo, Alessandro Rimassa delinea in dieci punti le priorità per riprogettare il Paese, sulla base di alcuni trend che stanno già dimostrando la loro efficacia. Un metodo che abbandona utopie e slogan per andare dritto al nocciolo dei problemi da risolvere. È facile cambiare l’Italia, se sai come farlo, Alessandro Rimassa, Hoepli, pagg. 152, € 14,90.

Un vademecum agile per addetti ai lavori ma che si rivolge anche a coloro che stanno valutando se dare o meno vita a una campagna pubblicitaria legata a brand, prodotti o servizi. Con un linguaggio tecnico ma allo stesso tempo chiaro, Enrico Lehmann, un esperto del settore che ha lavorato per grandi gruppi internazionali di comunicazione, descrive le fasi del processo che sta alla base di una strategia pubblicitaria, con un interessante focus sui target a cui si decide di puntare. I consumatori oggi sono cambiati e la pubblicità si adegua, pur rispettando sempre alcune linee guida tradizionali. Come si realizza una campagna pubblicitaria, Enrico R. Lehmann, Carocci Editore, pagg. 139, € 12.

La nonna mi ha detto di sì

libri

Vittoria Cesari Lusso indaga le sfide che oggi devono affrontare due ruoli determinanti per il processo di crescita dei nostri figli: genitore e nonno. Se è sempre più complicato stabilire paletti e responsabilità e se il tempo per riflettere sulle scelte educative migliori è oggettivamente scarso, occorre capire come queste figure siano evolute nel tempo. La relazione genitori-nonni è oggi messa in crisi da una pluralità di fattori. Nessuno insegna a svolgere i propri compiti nel migliore dei modi e molto spesso ci si trova ad essere padri, madri o nonni con un’impreparazione totale. Le cose si complicano perché a livel-

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lo psicologico i confini di una figura e quelli dell’altra non sono più così marcati e in questa confusione di identità si attraversa un terreno minato. Il saggio affronta senza tabu sentimenti quali la gelosia, l’attaccamento morboso e il narcisismo, raccogliendo una serie di testimonianze che mostrano come molto spesso le ragioni di questi “conflitti” non sono mai così chiare e che, magari mossi da buoni intenti, si corre il rischio di commettere errori in grado di inficiare la crescita serena dei bambini. Interessante il capitolo dedicato alle nuove tecnologie e a come queste abbiano già da tempo un forte impatto nell’educazione dei più piccoli: tra sms, email e chat forse è opportuno riscoprire l’autenticità dei rapporti umani diretti, senza filtri, ma soprattutto senza il terrore di ferire piccoli sempre più viziati ed esigenti. Genitori e nonni: alleati o rivali? Vittoria Cesari Lusso, Erickson, pagg. 286, € 15,50.


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LETTURE per MANAGER

...per manager

Marco Lucarelli

Negoziare di più e meglio Entrate in una libreria, dirigetevi verso la sezione “Libri di management!”, scorrete i vari titoli ben allineati sugli scaffali. Focalizzatevi sulla voce “Tecniche di negoziazione”. È uno degli scaffali con il maggior numero di titoli, corretto? Il tema negoziazione è da sempre un classico della letteratura manageriale, libri e libri scritti da guru del management hanno scomposto il tema “negoziazione” in tutte le sue sfaccettature possibili. Inutile aggiungere altro, scrivere ancora su quest’argomento. Un dubbio però persiste e si insinua anche nelle prime pagine di questo libro Manager della negoziazione. Creare valore e capitale sociale in azienda di Alessandra Colonna (Mind Edizioni, 2014, 158 pagine). La questione è: se è vero che negoziamo in ogni istante della nostra vita quotidiana, come conseguenza dovremmo trovare sempre, o quasi, degli accordi frutto di negoziazione. Come conseguenza, il mondo dovrebbe essere «migliore di quello che è sotto tanti punti di vista, in primis in termini di benessere economico e relazionale, sul piano personale quanto su quello sociale. Se si negoziasse di più e meglio, il mondo sarebbe diverso in buona sostanza da come invece è». Ineccepibile, a volte il semplice buon senso ha un potere scardinante.

Leggi e commenta tutte le recensioni di Marco Lucarelli sul blog

#letturexmanager

Negoziazione come metodo Quando si parla di competenze manageriali, spesso si fa riferimento a qualcuno con una leadership innata, spiccato talento nelle vendite o abile negoziatore. Curioso come il mondo del business, per definizione razionale e attento ai risultati, attribuisca spesso capacità manageriali e gestionali a tratti di personalità o caratteriali innati. In realtà i cosiddetti leader naturali, i talenti delle vendite e gli abili negoziatori, applicano un metodo ben preciso. Metodo che permette loro, in differenti situazioni, di chiudere con successo molte negoziazioni complesse. Come? Ad esempio con un’attenta preparazione dell’agenda e avendo già chiari gli obiettivi di entrata e quelli di uscita, ossia i target minimi da raggiungere per considerare soddisfacente il risultato di una trattativa.

Perché leggerlo Questo libro scritto da Alessandra Colonna, partner della società di consulenza e formazione manageriale Bridge Partner, ha un tratto distintivo che lo distingue da molta della letteratura esistente sul tema negoziazione. Ha un approccio pragmatico, sorvola le grandi teorie e arriva al dunque, grazie anche all’utilizzo di casi concreti presi dalla vita quotidiana, professionale e non, che aiutano a contestualizzare meglio. Poi demolisce una serie di luoghi comuni che affliggono da sempre quest’argomento. Del diffuso innatismo abbiamo già detto sopra ma sussiste anche un certo buonismo, figlio del filone win-win che vuole la buona negoziazione come figlia del compromesso: tu rinunci a qualcosa, io rinuncio a qualcosa, entrambi vinciamo. No, in realtà, come ci ricorda l’autrice, entrambi perdiamo qualcosa, non abbiamo massimizzato il beneficio reciproco che una “buona” negoziazione dovrebbe raggiungere.

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LETTERE Daniela Fiorino (daniela.fiorino@manageritalia.it)

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La pensione di reversibilità per la prima moglie

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A seguito della morte del mio ex marito dal quale ero divorziata, con sentenza che mi ha attribuito l’assegno divorzile di mantenimento ho fatto ricorso al Tribunale per la suddivisione delle quote di reversibilità tra me e la vedova e sono in attesa di una prima udienza. Ora mi viene detto che, poiché la vedova ha contratto matrimonio col mio ex marito ultrasettantenne e tra i due intercorrevano più di vent’anni di differenza e il loro matrimonio è durato solo sette anni, la quota di pensione che le spetta equivale al 60% meno 30% = 30% del totale. Mi viene altresì detto che, poiché alla moglie divorziata spetta una quota – stabilita dal giudice – dell’“unica quota” di pensione percepita dalla moglie superstite, sarò penalizzata anch’io dalla stessa legge, anche se il mio matrimonio è durato vent’anni e dovremo pertanto dividerci soltanto il 30% anziché il 60% come a me spetterebbe di diritto. Può confermarmi questa circostanza? Certo è che, se le cose stanno così, si tratterebbe secondo me di una circostanza di una gravità estrema per cui fare ricorso. G.Z. – Milano L’informazione da lei ricevuta è errata. La normativa a cui sarà soggetta, nel caso specifico, solo la seconda moglie è stata introdotta a decorrere dal 1° gennaio 2012. L’intento è disincentivare il ricorso a matrimoni di comodo tra pensionati e persone generalmente molto giovani al solo fine

di percepire, in un futuro più o meno prossimo, la pensione di reversibilità. Il tutto con un notevole aggravio per le casse dell’Inps, considerando anche la prolungata durata dell’esborso, vista l’età del coniuge beneficiario. Si è quindi stabilito di assoggettare l’importo della pensione spettante al coniuge superstite a una riduzione progressiva, rispetto alla disciplina generale, se il deceduto ha contratto matrimonio a un’età superiore a 70 anni, e se la differenza di età tra i coniugi sia superiore a 20 anni. Ove si verifichino entrambe le suddette condizioni e, al momento del decesso del pensionato, non siano trascorsi almeno dieci anni dalla data del matrimonio, verrà applicata una penalizzazione sull’importo della pensione di reversibilità pari al 10% per ogni anno di matrimonio mancante rispetto ai dieci anni stabiliti dal legislatore come periodo “ragionevole” per statuire che il matrimonio non sia stato contratto allo scopo di fruire indebitamente della pensione di reversibilità. Tale penalizzazione non viene applicata qualora vi siano figli minori, studenti o inabili. Se non ci si trova nella situazione sopra descritta, come avviene nel suo caso, la pensione di reversibilità – se il beneficiario è il solo coniuge superstite – è pari al 60% dell’assegno pensionistico percepito dal dante causa. Pertanto, nel caso prospettato il giudice, sulla base delle capacità di reddito delle beneficiarie, stabilirà la percentuale di pensione di reversibilità da corrispondere a ognuna sul valore massimo erogabile dall’Inps (60% della pensione originaria). Sarà poi l’Inps a effettuare le trattenute di legge, se applicabili, tenendo conto di ciascuna specifica situazione.


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inserto mensile di Dirigente n. 12 / 2014

DIRIGIBILE

a cura di Thomas Bialas

Segnali di futuro visti dall’alto #10 Numero speciale / China connection

FUTURE BUSINESS Il futuro degli affari in 12 pillole

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节日快乐 A Natale siamo tutti più… Buoni? No, più cinesi. Come ogni Natale i nostri figli troveranno sotto l’albero giocattoli recapitati dal Babbo Natale made in China. Come ogni Natale i tradizionali mercatini dell’Alto Adige esibiranno sulle bancarelle suggestivi addobbi e articoli in perfetto stile tirolese made in China. Parlare dunque a dicembre della grande fabbrica del mondo è quanto mai opportuno. Non per maledire ma per capire con chi abbiamo a che fare e per fare (o non fare) affari con loro.

FUTURE NEGOTIATION Trattare con il miao mao tao

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La Cina, ormai lo sappiamo, è il regno dei contrasti: ricchezza e povertà, comunismo e consumismo, crescita e stagnazione, drago e dinosauro. Così lontana (geograficamente) così vicina (economicamente). Non esiste attività imprenditoriale che può oggi esistere senza fare i conti con loro. Semmai il problema è che molti conti non tornano più per l’ex impero celeste. Non è tanto questione di un Pil che cresce a ritmi (per loro) più moderati o del 20% degli immobili vuoti e inutilizzati ma del fatto che i nodi (come vuole il proverbio) prima o poi vengono al pettine. Vediamone tre. Primo nodo. La grande campagna anticorruzione del governo è giusta e anche popolare ma ha sulle imprese cinesi un effetto frenante: rallenta l’euforico (e veloce) decisionismo della prima ora e i consumi interni ostentativi (il lusso da esibire). Secondo nodo. L’inquinamento e i devastanti effetti sull’ecosistema e su intere popolazioni non sono più (solo) un problema ambientale ma economico e sociale. In questa nuova fase la classe media pretende una qualità della vita decente. Aumentano le ong

FUTURECHECK Lezioni di cinese

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cinesi e i gruppi di attivisti. Dopo il rodaggio degli ultimi vent’anni, la Cina entra (o cerca di entrare) nella fase di industrializzazione di qualità. Terzo nodo. Mercato immobiliare caratterizzato da un surplus dell’offerta e dall’insolvenza di molti operatori. Cina kaputt dunque? Per niente. Ma rispetto alla fase pionieristica degli affari con loro (i primi vent’anni) la nuova fase opportunistica (prossimi vent’anni) richiede accortezze e attitudini diverse. La crescita a qualunque prezzo appartiene al passato. Nei prossimi dieci anni assisteremo a una nuova Cina più evoluta nei consumi e nelle partnership d’affari. Quello che non cambierà invece è la complessa gestione delle relazioni e delle trattative con loro.

Dirigente mensile di informazione e cultura manageriale editore Manageritalia Servizi design: CoMoDo


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FUTURE CHINA CONNECTION IL FUTURO DEGLI AFFARI IN 12 PILLOLE 1994-2014. La prima cavalcata della tigre si è conclusa e possiamo farla coincidere con il dominio del made in China inteso come la fabbrica del mondo. 2014-2034. La seconda cavalcata che sta per iniziare possiamo farla coincidere con l’ambito better made in China. Ovvero, fare cose meglio o perlomeno alla pari con gli occidentali e questo in ogni ambito: dalle automobili fino ad arrivare agli articoli di lusso e prodotti di alta gamma. La loro strategia attuale e futura è fin troppo chiara: raggiungere velocemente ogni vetta anche tramite l’acquisizione di aziende e del knowhow mancante. Abbiamo codificato in 12 pillole segnali di cambiamento, stimoli, piccole dritte e opportunità per fare affari con o tramite loro. Perché molto spesso i migliori investitori per le pmi sono proprio i businessman con gli occhi a mandorla. A differenza di molte private equity, che investono per speculazioni a breve, gli investitori cinesi portano in dote (oltre al denaro) pazienza e interessi strategici a medio-lungo termine.

TRAVEL TRENDS

CURRENCY TRENDS FINANCE TRENDS

PILLOLA 01

PILLOLA 02

PILLOLA 03

Un esercito di 100 milioni (di viaggi all’anno) diretto soprattutto in Europa. Entro il 2020 questa cifra raddoppierà facendo diventare il “cinese viaggiatore” un mercato boom. Come intercettarli? Anticipando le future esigenze come ha fatto il TUI Think Tank con lo scenario New chinese tourists in Europe from 2017. Sì, perché la classica formula 20 città in 10 giorni e dei viaggi di gruppo appartiene al passato. Già oggi un terzo dei turisti predilige viaggi organizzati e gestiti individualmente. Un trend in crescita. Alcuni consigli basici per conquistare il turista cinese: create una china unit interna all’azienda; lanciate la versione cinese del vostro sito, compresa localizzazione e mappe (solo così i loro motori di ricerca trovano le vostre offerte); offrite nelle strutture ricettive servizi in cinese (per esempio canali tv) e menu che prevedono alcuni piatti per loro irrinunciabili (come il Congee, base per la colazione).

Per fare affari, e non solo con i cinesi, bisogna facilitare gli scambi con gli strumenti che il mercato mette a disposizione. Uno di questi è il denaro o più esattamente la valuta locale. In futuro diventa conveniente e auspicabile gestire le transazioni direttamente in yuan. Per una serie di motivi. Primo: molti analisti prevedono che in futuro sarà lo yuan il vero concorrente del dollaro come valuta globale. Secondo: fissando i prezzi in yuan potete approfittare del costante apprezzamento della valuta cinese con buoni margini di guadagno, con lo stesso prezzo in yuan ottenete oggi il 40% in più della stessa merce rispetto al 2005. Terzo: con molti clienti cinesi si entra in affari solo se si è disposti a trattare con la loro moneta locale. Quarto: si possono ottenere dai fornitori cinesi sconti nell’ordine del 5% applicando la valuta locale. Molte multinazionali gestiscono ormai i loro affari in Cina con la moneta locale. Ma anche alle piccole conviene oggi gestire un conto corrente in yuan.

Il mercato finanziario cinese è come una nave che ha a livello della linea di galleggiamento una perdita insanabile. L’avaria è in agguato. Noto come sistema bancario ombra, circuiti di credito informale fuori controllo e con prodotti “farlocchi”, vale almeno la metà del Prodotto interno lordo dell’ex Celeste Impero. Un fattore rischio con cui ogni impresa deve fare i conti. Per molti analisti il sistema bancario e finanziario è marcio in profondità con continui e pesanti casi di insolvenza, bancarotte e salvataggi in extremis da parte del governo centrale. Stare all’erta mettendo al sicuro le proprie attività è il minimo che ogni operatore deve fare.


DIRIGIBILE SEGNALI DI FUTURO VISTI DALL’ALTO

SHOPPING TRENDS ECONOMIC TRENDS PILLOLA 04

PILLOLA 05

Chi viaggia tanto fa anche tanto shopping, soprattutto i cinesi che in questa “attività ricreativa” del girare da un negozio all’altro per effettuare acquisti superano oggi gli stessi russi, noti per essere spendaccioni compulsivi. I dati lo confermano: per l’80% dei turisti cinesi lo shopping è parte integrante del viaggio. Lusso e brand affermati, certo, ma non solo. Prodotti con un alone di autenticità sono molto graditi così come le cosiddette “limited edition”. Fondamentale è anche l’accoglienza nei negozi che deve essere gradevole e servizievole secondo la loro tradizionale cultura. Per i pagamenti è un must, anche per gli esercizi più piccoli, aderire al circuito cinese UnionPay, l’unica carta di credito che di fatto utilizzano. Poi c’è lo shopping in grande stile e per grande stile intendiamo immobili, ville, tenute e anche aziende. La propensione a investire in tal senso cresce per un semplice motivo: il governo cinese incoraggia le assicurazioni locali a investire i propri capitali nel settore immobiliare estero. Le principali mete sono New York, Londra e Berlino, ma anche l’Italia cresce di interesse. Ragione in più per assumere personale cinese per gli affari di real estate.

Ci stiamo avvicinando alla fine del fenomeno Cina come El Dorado delle opportunità e degli affari? Diciamo che sta svanendo l’euforia del “tutti in Cina per la corsa dell’oro” o, per dirla con le parole di Jeffrey Immelt, potente presidente e ceo di General Electric: «La Cina è grande. Ma è difficile. Altri mercati sono altrettanto grandi. Ma meno difficili». La crescita automatica in ogni settore e business è acqua passata, il costo del lavoro aumenta, alcuni mercati iniziano a diventare saturi e già molti si leccano le ferite. Esempi: il fatturato del Cognac Rémy Martin crollò nel 2013 nell’arco di 9 mesi del 30% mentre nello stesso lasso di tempo Yum! Brands, Inc., leader americano a livello mondiale della ristorazione rapida, perse per strada un buon 16% del fatturato. Per non parlare di quelli che si sono già ritirati parzialmente o del tutto dal mercato cinese come Revlon, L’Oréal, Best Buy, Media Markt, Yahoo e Tesco. Bisognava esserci ma restarci diventa sempre più difficile. Nuove leggi a difesa dei consumatori e nuovi attacchi alle multinazionali. Ora che la Cina ha “copiato e imparato”, il gioco si fa più duro. Quelli che prima erano dei partner oggi sono tutti dei concorrenti. Ciononostante vale la pena restare e lottare per degli spazi che altrove (per esempio Europa) manco ci sono. L’importante è affrontare la Cina del futuro con nuovi occhi e nuovi gesti. Molti nuovi mercati sono nella parte ovest della Cina.

PATENT TRENDS PILLOLA 06 I cinesi sfornano laureati e brevetti a getto continuo. Anzi, a essere più esatti la Cina è attualmente campione mondiale per brevetti depositati. Ciononostante, il tasso di innovazione è ancora piuttosto deludente. Si semina tanto (denaro) ma si raccoglie (per fortuna nostra) ancora poco. Nel 2012 sono stati depositati 1,6 milioni di brevetti ma di questi solo un terzo sono vere invenzioni o innovazioni. Tutto il resto è aria fritta o meglio un bluff e gioco delle ombre cinesi per impressionare o forse spaventare il mondo intero. Il governo cinese finanzia e supporta le imprese che sfornano brevetti e idee nuovi e addirittura dimezza o riduce la pena ai carcerati inventori e start upper. Tra aziende cinesi e occidentali il divario è tuttora enorme e la strada da percorrere per le imprese cinesi è ancora lunga prima di entrare nell’olimpo delle aziende più innovative. Nel ranking mondiale dei brevetti effettivamente utilizzabili il presunto numero uno è solo 20° nella classifica.


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WORKER TRENDS

SMOG TRENDS

PILLOLA 07

PILLOLA 08

I cinesi sono tantissimi ma il personale qualificato spesso scarseggia. Come se non bastasse, il turn over sta diventando sempre più elevato nelle imprese cinesi. Un quinto dei collaboratori abbandona ogni anno la propria impresa in cerca di nuove e migliori condizioni. Questo vale soprattutto per i profili migliori e i cosiddetti knowledge worker. Per l’operatore occidentale quella delle risorse umane sta diventando la risorsa più difficile da controllare e gestire. Per evitare continue fughe e costose ricerche di nuovo personale bisogna attrezzarsi con strategie di contenimento e difesa. Qualcosa si può copiare dalla tedesca Zollner Elektronik Ag, che nel suo sito produttivo di Taicang ha attivato le seguenti contromisure per contrastare un eccessivo esodo di collaboratori. Job rotation periodiche per migliorare le competenze, programmi di formazione finalizzati agli scatti di carriera, premi di produzione collettivi, facilities come le colonnine di ricarica per scooter elettrici. Inoltre, per evitare che dopo le vacanze di fine anno molti collaboratori non si presentino più in azienda (prassi in molte fabbriche), Zollner paga metà della tredicesima al rientro dalle ferie. Sa di ricatto ma funziona.

Più che la crescita del Pil, impressiona la crescita dello smog. Viaggiando da Pechino verso sud quello che ci riserva la vista dal finestrino per almeno 800 miglia è un’enorme cortina di fumo, un paesaggio spettrale che inquieta anche il più cinico degli uomini d’affari. Un prezzo altissimo non solo per loro (secondo The Lancet i decessi per smog sono 1,2 milioni all’anno) ma anche per noi occidentali. Il problema vero infatti non è aprire una filiale in Cina ma evitare la fuga di collaboratori migliori, che di regola dopo tre mesi ne hanno già le scatole piene. I fatti: causa smog il 50% delle imprese fatica ad attrarre i professionisti di alto profilo; solo 3 delle 74 città cinesi ha degli standard di qualità dell’aria accettabili; le famiglie abbandonano velocemente il manager in trasferta. Che fare dunque? Incentivare economicamente anche con formule “supplemento smog” (lo fa Panasonic), volo di ritorno mensile pagato; ferie extra, sostenere i costi per schermare la casa dallo smog e mantenere centri fitness all’interno dell’azienda (KPMG). Ma tutto questo potrebbe non bastare.

ONLINE TRENDS PILLOLA 09 Alibaba, la più grande piattaforma commerciale B2B del mondo, è solo la punta dell’iceberg. Il commercio online nelle sue varie declinazioni e manifestazioni rappresenta ormai un movimento di massa. Si prevede che il prossimo anno i consumatori cinesi ordineranno merce online per un valore complessivo di circa 540 miliardi di dollari. Per fare un paragone con la patria dell’e-commerce: in Usa sono solo 345 miliardi. In Cina sta per nascere una macro economia fatta di micro imprenditori che vendono via internet di tutto. Il fenomeno si chiama Taobao Villaggi e fa riferimento a Taobao, il più grande sito di shopping online. Perché parlarne? Perché è un’ottima palestra per testare linee di prodotto e prezzi sul mercato consumer prima di investire nel retail fisico (il marchio K’Nex specializzato in giochi di costruzione sta facendo proprio questo: vendere esclusivamente online per valutare il potenziale mercato futuro). Punto critico: logistica e spedizione.


DIRIGIBILE SEGNALI DI FUTURO VISTI DALL’ALTO

SCARICA LO SCENARIO NEW CHINESE TOURISTS IN EUROPE FROM 2017 http://tinyurl.com/lqaxj5l

SCARICA IL RAPPORTO STATISTICAL YEARBOOK OF THE REPUBLIC OF CHINA http://tinyurl.com/mwfucxn

http://tinyurl.com/kj59clg http://tinyurl.com/m58a7b7 http://tinyurl.com/mh4x5yl https://vimeo.com/41063789 http://www.taobao.com http://www.zollner.de/en/ http://www.qorosauto.com/en

COMPETITION TRENDS

TRAINING TRENDS

PILLOLA 10

PILLOLA 11

Cina come enorme magazzino del low cost (importare) o come enorme mercato di sbocco (esportare) appartiene (in parte e in prospettiva) già al passato. Il futuro è già scritto: le imprese cinesi sono ora in grado di conseguire una leadership sia sul mercato interno che nei mercati internazionali con livelli di avanguardia anche nella qualità. Il caso più emblematico è forse l’automobile Qoros 3, la prima autovettura di produzione cinese a ottenere le cinque stelle nel test Euro NCAP e a vincere addirittura il premio Small Family Car come vettura con il miglior punteggio tra le 33 provate nell’anno 2013. La nuova strategia cinese? Veloce acquisizione del know how. Il top management di Qoros è composto da ex manager (spesso prossimi alla pensione) di Volkswagen, Opel e Bmw e il design è opera di Gert Hildebrand, che già firmò le linee per la Mini. Conseguenze? Qoros sta diventando un modello e modus operandi strategico-gestionale. Aspettatevi in futuro nei settori e mercati dove operate nuovi e qualitativamente agguerriti concorrenti cinesi.

Quando un paese industrializzato entra in una fase più evoluta e avanzata nasce spontaneo il bisogno di formazione, motivazione e aggiornamento professionale, non solo basico ma anche su temi più sofisticati e personalizzati. È quello che sta accadendo in Cina ora. Business trainer capaci di riempire enormi sale di teatri o palazzetti dello sport (d’accordo, in Cina, visti i numeri, è più facile) e di gasare la platea al grido di “sì tu puoi” sono attualmente molto richiesti e seguiti. Una delle star del momento è un tale Chen Anzhi, un motivational speaker cinese che fa il verso al life coach e guru americano Anthony Robbin. Certo, siamo ancora lontani dall’organizzare conferenze interne in azienda in perfetto stile Ted per diffondere il sapere e stimolare il personale, ma una cosa è chiara: il mercato della formazione sta per esplodere offrendo alle imprese occidentali (e quindi anche italiane) grandi opportunità soprattutto per coaching personalizzati, workshop di innovazione e seminari su trend e temi di frontiera. Da non snobbare.

MARKET TRENDS PILLOLA 12 Se siete arrivati fin qui, vi sarete fatti un’idea di un futuro mercato pieno di insidie, ma con ottime prospettive in almeno 5 settori. Green building: i crescenti costi energetici e l’impatto ambientale spingeranno il settore immobiliare sostenibile di alta qualità verso soluzioni all’avanguardia. Energy efficiency: dal 2008 il costo del lavoro è più che raddoppiato. La bolletta ha ora una priorità strategica. Ottime chance per consulenza e interventi di risparmio energetico. Robotic automation: anche nei prossimi anni la Cina investirà in sistemi di automazione e robotizzazione industriale e dei servizi. Per dire, l’anno scorso Kuka ha venduto ventimila robot ai cinesi. Shale gas production: i cinesi hanno un disperato bisogno di abbandonare il carbone. Si prevedono grossi investimenti per acquisire il knowhow e le tecnologie per favorire la produzione di gas. Design services: il prossimo obiettivo è affermarsi nella progettazione e realizzazione di prodotti dal design accurato.


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FUTURE NEGOTIATION TASSONOMIA DEL MIAO MAO TAO Il gioco delle ombre cinesi può essere molto ingannevole, anche negli affari. Ciò che appare grande potrebbe rivelarsi piccolo e viceversa.

CAVALCARE LA TIGRE “Non abbiamo bisogno di niente, possediamo già tutto”. Con queste secche parole, nel lontano 1793, l’imperatore cinese Qianlong respinse le offerte di collaborazione commerciale degli inglesi. Fu una delle ultime volte che i cinesi difesero il loro dorato isolamento. Da lì a poco (1841) avrebbero perso la guerra dell’oppio, l’isola di Hong Kong e il loro millenario modus operandi e vivendi. I cinesi, però, hanno una concezione ciclica del tempo. Attesero con pazienza il divenire dei mutamenti in corso. Oggi, dopo due secoli di umiliazioni, il goffo gigante ha messo in pista danzatori sfrenati che impongono un ritmo che ci coglie impreparati. È un boomerang che ci torna indietro. Che fare dunque? Assecondare il passo o osare e quindi domare? Il detto orientale “cavalcare la tigre” significa - come ricorda il filosofo italiano Evola - non farsi travolgere e annientare da quanto non si può controllare direttamente. Sopravvivere, dunque, con un fine spirito da pioniere. Perché una cosa è chiara. La Cina è una palestra che mette ogni impresa a dura prova: chi si impone lì, si impone ovunque.

DICA 36

IL BUSINESS CHE NON VACILLA Chi ben comincia è già a metà dell’opera. I fondamentali sono il Tao Te Ching, il Libro della Via e della Virtù di Lao Tzu (edizione Adelphi oppure nella versione di Evola per Mediterranee edizioni); il Zhuāngzг, un altro dei grandi classici del taoismo (edizione Adelphi); Confucio, studio integrale e l’Asse che non vacilla, magari nella versione curata da Ezra Pound (ed. All’insegna del Pesce d’oro); l’antica bibbia cinese I Ching, il libro dei mutamenti (edizione Adelphi) da cui deriva ogni tipo di pensiero e saggezza cinese; Storie da proverbi cinesi (Mondadori) e per finire anche l’Antologia di Mao Tse-tung (Edizioni Oriente): perché lo stesso comunismo cinese si riferisce con allusioni più o meno chiare alla logica dello ying e yang.

Secondo gli antichi strateghi cinesi, la miglior vittoria si raggiunge con l’astuzia e gli stratagemmi. Ai 36 stratagemmi derivati dall’arte della guerra cinese, ricchi di astuzie e sofisticate strategie, Harro von Senger, sinologo svizzero e docente universitario, ha dedicato parecchi libri. Un classico si chiama 36 Stratageme für Manager (The Book of Stratagems nell’edizione inglese) ed è un adattamento ad uso e consumo dei manager. Al testo cinese è anche ispirato l’ottimo volume italiano Trentasei stratagemmi di Gianluca Magi, che ha ispirato a sua volta l’album Dieci stratagemmi del cantautore e compositore Franco Battiato. Ottimo anche l’ormai classico When Yes Means No di Laurence Brahm. Da non snobbare: in Cina la saggistica economica conta moltissimi titoli dedicati al management con i 36 stratagemmi.


DIRIGIBILE SEGNALI DI FUTURO VISTI DALL’ALTO

AUTENTICI FALSI DI QUALITÀ Ossimoro made in Cina: “non acquistate gli smartphone clonati contraffatti” allarma sia i consumatori che il produttore JiaYu che per primo aveva avuto l’idea di clonare l’iPhone della Apple. La sua personale crociata contro le altre società cinesi che hanno iniziato a loro volta a clonare i suoi smartphone clonati ci porta al tema della copia della copia o all’autentico falso di qualità certificata. In un mondo dove il falso rappresenta secondo alcune stime almeno il 10% del Pil mondiale, la questione non è solo più materiale (distinguere prodotti falsi) ma anche immateriale (distinguere trattative false). Il gioco delle ombre cinesi può essere molto ingannevole, anche negli affari. Ciò che appare grande potrebbe rivelarsi piccolo e viceversa.

TRATTARE CON IL TAO

ENTRARE NEL GIRO Attenzione ai cliché. Agopuntura, Feng-shui, Tai Qi, meditazione e arti marziali o film come L’anno del dragone e più in generale Chinatown, danno un’immagine distorta del cinese, che oscilla fra sofisticati valori spirituali e brutali violenze da triade mafiosa. C’è, ovviamente, dell’altro. Per esempio, il cinese ama il successo e la bella vita, solo che a differenza dell’occidentale la vuole e la deve (per confuciana moralità) condividere con famiglia, parenti e amici stretti. Per questa (e altre) ragioni, il networking è obbligatorio per operare. La società cinese ha una complessa struttura a clan e chi la vuole bypassare affonda nella giungla dei regolamenti locali e cade in trappole ostili. Meglio far parte della famiglia. Cosa che a molti italiani non dovrebbe riuscire difficile.

Se non si comprende il Tao non si può comprendere l’uomo d’affari cinese. Se dice di sì, può voler dire di no, se dice di no, può voler dire di sì, o entrambe le cose simultaneamente. O, detto con il Tao: se si vuole ottenere una cosa bisogna iniziare dal suo opposto. Lo ying e yang non è un giochino new age per perditempo. La condotta cinese si ispira sempre alla fluida contaminazione degli opposti che convivono sincronicamente. Come il comunismo con il capitalismo. Non c’è da studiare e ragionare da bravi occidentali, c’è da contemplare (come i koan Zen) il simbolo per cogliere l’essenza della trattativa cinese, abbandonando l’occidentale dualismo che tutto separa e nulla unisce.


DIRIGIBILE SEGNALI DI FUTURO VISTI DALL’ALTO

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FUTURECHECK LEZIONI DI CINESE I CINESI NON HANNO FUTURO Difficile capire. Difficile imparare. Nella loro lingua il futuro è dietro, perché non lo conosci, non lo puoi vedere. Il passato invece è davanti, perché lo vedi, lo puoi conoscere. Per noi europei è esattamente l’opposto. Per cui il confuciano “studia il passato se vuoi prevedere il futuro” ci suona inappropriato, ma a torto. LESSON 1 TUTTO È POSSIBILE

LESSON 14 QUANDO SIETE DISPERATI PENSATE ALLA REGOLA NUMERO 1. AUGURI

LESSON 2 NIENTE È FACILE

LESSON 12 A GRANDI LINEE “NESSUN PROBLEMA” SIGNIFICA “GRANDE PROBLEMA”

LESSON 3 LA LOGICA AZIENDALE OCCIDENTALE NON È APPLICABILE

LESSON 11 “DISPOSIZIONI INTERNE” SIGNIFICA CHE HANNO LE SCATOLE PIENE DI VOI

LESSON 4 UN PROGETTO SENZA TIMING PRECISO È UN PROGETTO MORTO IN PARTENZA

LESSON 10 “NUOVE DISPOSIZIONI” SIGNIFICA CHE SI È TROVATO IL MODO DI EVITARE DI FARE QUALCOSA

LESSON 5 LA CINA ESASPERA I DIFETTI DI UN’IMPRESA STRANIERA ED ESALTA I SUOI PREGI

LESSON 6 MAI ABDICARE, LA CINA RICHIEDE PAZIENZA E PERSEVERANZA

LESSON 13 QUANDO SIETE EUFORICI PENSATE ALLA REGOLA NUMERO 2

LESSON 9 “LEI NON CONOSCE LA CINA” SIGNIFICA CHE NON SI È D’ACCORDO CON VOI

LESSON 7 IN CINA LA FIDUCIA CONTA PIÙ DI UN BUON CONTRATTO

LESSON 8 IL FALLIMENTO È SPESSO LA LEVATRICE DEL FUTURO SUCCESSO


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ASSOCIAZIONI S ERVIZI ANITÀ CONTRATTO S PREVIDENZAFORMAZIONE

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PREVIDENZA INTEGRATIVA INDIVIDUALE

NON RISCHIARE, AGGIORNA I TUOI DATI! Le informazioni per le nostre assicurazioni sono aggiornate? È molto importante comunicare tempestivamente le variazioni della propria situazione familiare o della propria volontà per poter usufruire delle prestazioni previste a cura di Assidir

Q

uante volte capita di scoprire che non si è rispettata una scadenza amministrativa o non si è comunicato qualcosa di importante?

I casi più tipici sono quelli relativi ad adempimenti non frequenti come, ad esempio, il rinnovo della patente di guida e quello della carta d’identità, oppure la comunicazione del cambio di indirizzo ad associazioni, enti e altri soggetti che riteniamo non rivestano per noi un interesse primario e, di conseguenza, finiscono nel cosiddetto dimenticatoio. I rischi che si corrono vanno dalla semplice mancata con-

segna di un periodico associativo a una multa se sorpresi alla guida con la patente scaduta o al fermo amministrativo della propria autovettura. Altri casi, non meno importanti, sono quelli nei quali gli aggiornamenti da apportare sono legati a problematiche previdenziali, assicurative e così via. In questi ultimi, escludendo i ritardi nei pagamenti, i rischi delle dimenticanze sono legati alla necessità di tutte le parti in causa (fondi o contraenti collettivi, imprese di assicurazione, intermediario) di avere un archivio fedele alla situazione reale per poter erogare in modo corretto le prestazioni a chi ne ha titolarità. Concentriamoci ora sulla necessità di tenere costantemente aggiornate le informazioni relative alla nostra previdenza integrativa individuale: la Convenzione assicurativa Antonio Pastore.

Le prestazioni della Convenzione Antonio Pastore e la modulistica Costituiscono il “terzo pilastro previdenziale” e consistono in una serie di garanzie di rischio assicurativo collegate a una forma di risparmio a favore dei dirigenti Manageritalia in attività con ccnl del terziario, dei trasporti, degli alberghi, agenzie marittime e magazzini generali. A questi vanno ad aggiungersi i prosecutori volontari che hanno deciso di man-

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ASSIDIR

INFOMANAGER_12_14

tenere in essere le polizze assicura-

una rendita mensile vita natural

ve compilare in quanto è stato au-

tive cui hanno avuto accesso in

durante o fintanto che persista lo

tomaticamente assicurato per le

precedenza.

stato di non autosufficienza, cioè

polizze sopra citate.

Cerchiamo ora di scendere negli

l’incapacità a svolgere autonoma-

aspetti di dettaglio relativi alla ne-

mente le principali attività ele-

I moduli AB e VB

cessità di aggiornare tempestiva-

mentari del vivere quotidiano.

mente le informazioni relative alla

Per tutte queste polizze è necessario

Convenzione Antonio Pastore, con

compilare moduli appositamente

Designazione dei beneficiari e variazioni La compilazione del modulo AB è

particolare riferimento alle polizze

predisposti con cui l’assicurato può

più di un atto formale; è la possibi-

vita Temporanea caso morte, che

indicare (designare) la/le persone

lità di esercitare un proprio diritto,

garantisce un capitale prestabilito

che potranno beneficiare delle pre-

quello di fare una sorta di “testa-

ai beneficiari/eredi legittimi; Capi-

stazioni previste dalla polizza e che

mento” relativo alle somme messe

tale differito rivalutabile, che ga-

l’assicurato stesso, per evidenti mo-

a disposizione dalle polizze Tempo-

rantisce la liquidazione di un capi-

tivi, non potrà percepire o, nel caso

ranea caso morte e Capitale diffe-

tale derivante dal versamento di

della Ltc, non potrà gestire in prima

rito. Questa designazione, secondo

premi che si rivalutano nel corso

persona. Ne consegue che se la de-

il codice civile non è soggetta alle

degli anni sino alla scadenza pre-

signazione non viene effettuata o

norme della successione legittima

vista; Rendita collegata a proble-

diventa obsoleta perché non rispec-

e non fa parte dell’asse ereditario.

mi di non autosufficienza, definita

chia più la situazione personale o

Insomma, ha un’autonomia e una

generalmente come Ltc, acronimo

familiare dell’assicurato, possono

libertà non consentite a nessun al-

del termine inglese Long term ca-

sorgere problemi di non poco con-

tro bene di proprietà. Infatti nel

re, che prevede l’erogazione di

to, poiché le prestazioni erogate da-

modulo, in alternativa alla classi-

gli assicuratori rischiano di finire

ca dizione “eredi legittimi e/o testa-

nelle mani sbagliate.

mentari”, possono essere indicati

Entriamo nel merito partendo dal-

altri soggetti identificandoli, per

l’origine. Al momento della nomi-

maggior sicurezza, con nome e da-

na a dirigente, l’interessato riceve

ta di nascita. Inoltre è possibile in-

da Assidir i moduli AB e DD, che de-

dicare liberamente le percentuali

ASSIDIR Via Stoppani 6 - 20129 Milano numero dedicato

02277981

info@assidir.it - www.assidir.it

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di beneficio spettante se si tratta di

a favore dell’assicurato non auto-

porta a livello pratico notevoli vin-

più soggetti. In sintesi, le persone

sufficiente. Il soggetto è il cosiddet-

coli e rallentamenti.

indicate come beneficiari attraver-

to “delegato” alla riscossione.

Anche per la designazione del de-

so questo modulo sono gli “aventi

Ricordiamo che, in assenza di tale

legato è quindi importantissimo

diritto” alla prestazione, indipen-

designazione da parte dell’assicu-

che da parte del titolare della po-

dentemente dagli eredi legittimi o

rato, potrebbe essere addirittura

lizza ci sia sempre un’immediata

testamentari.

un “giudice tutelare” a nominare

comunicazione di variazioni in ba-

Ne consegue l’importanza di ponde-

una persona deputata a riscuotere

se al mutamento della situazione

rare al meglio questa incombenza

la rendita mensile e a gestirla a fa-

personale o familiare, sempre at-

essenziale e non solo al momento

vore dell’assicurato, cosa che com-

traverso Assidir e il modulo VD.

della nomina. Col passare del tempo, infatti, le situazioni cui fanno riferimento i documenti compilati pos-

COME COMUNICARE

sono cambiare: la nascita di un nuo-

le informazioni su beneficiari e delegato

vo figlio o la separazione dal coniuge. In questi casi è indispensabile ricordarsi di aggiornare tempestivamente le informazioni non più valide, contattando Assidir per una consulenza e compilando il modulo VB.

I moduli DD e VD Designazione del delegato e variazioni Per quanto riguarda la polizza Ltc, tramite il modulo DD si designa il soggetto a cui erogare la rendita

Tutte le informazioni di cui abbiamo accennato nell’articolo devono essere trasmesse ad Assidir attraverso i moduli AB (designazione beneficiari) e DD (designazione delegato per Ltc) in caso di prima nomina. In caso di variazioni intervenute successivamente, invece, i moduli da utilizzare per trasmettere le informazioni sono rispettivamente VB (variazione beneficiari) e VD (variazione delegato per Ltc). I dirigenti e i prosecutori volontari che sono entrati nel programma assicurativo prima del 1997 hanno attiva anche la Convenzione Previr, polizza per il solo capitale differito. Di conseguenza, trattandosi di un contratto differente da quello attuale, si ricorda di comunicare le variazioni dei beneficiari per tutte e due le polizze. Volendo, gli assicurati avranno anche la possibilità di definire beneficiari e quote diverse per quanto spetta a fronte delle contribuzioni fatte a Previr e ad Antonio Pastore. I moduli si possono compilare anche online nell’area riservata di Assidir, www.assidir.it, sezione “I tuoi moduli”.

mensile prevista affinché la utilizzi

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MANAGERITALIA

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DA PROFESSIONAL A EXECUTIVE PROFESSIONAL Sono associati a Manageritalia e hanno identità molteplici, ma sono tutti riferibili alla managerialità che noi rappresentiamo Guido Carella

a molti anni la nostra As-

D

È indubbio che all’interno dei pro-

sempre maggiore appiattimento

sociazione si rivolge, oltre

fessional transitano dirigenti che

delle organizzazioni e gerarchie

che ai dirigenti e ai qua-

vivono esperienze professionali al

aziendali, richiede sempre più

dri, anche ai professional, una “ca-

di fuori del contratto, manager che

spesso contatti quotidiani con i ver-

tegoria” di difficile interpretazione

non hanno quel contratto, ma an-

tici e, quindi, capacità anche ma-

in quanto multiforme e riferibile a

che professionisti di diversi settori

nageriali.

identità professionali molteplici,

con carriere assimilabili a quelle

Nel frattempo, sono evidenti a tut-

che spesso sfuggono a standardiz-

dei manager e che hanno scelto

ti i cambiamenti nel mercato del

zazioni, e che quindi hanno rivela-

soluzioni contrattuali diverse, ma

lavoro manageriale, e la fram-

to bisogni di rappresentanza al

che pur fanno parte del mondo del

mentazione delle carriere – non so-

contempo significativi e “scomodi”

management. Anche un’elevata

lo negli aspetti professionali ma

nella nostra tradizione associativa.

professionalità oggi, a fronte del

anche in quelli contrattuali – ci porta a guardare alle diverse categorie che rappresentiamo non soltanto in termini “verticali” (dirigenti, quadri, professional, per l’appunto), ma anche “orizzontali”, lanciandoci la sfida di tracciare e di seguire le carriere dei nostri associati nel tempo anche nelle variazioni dei loro assetti contrattuali. E oggi il cambiamento repentino e continuo del lavoro, delle competenze e delle modalità di lavoro, per tutti e soprattutto per alte professionalità, vede questi professionisti accomunati da necessità di avere validi supporti per districarsi in una professione sempre più sfidante. Per questo l’adesione dei professional a Manageritalia va qualificata definendo un’offerta di rappresentanza più incisiva rispetto al passato.

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CARLO ROMANELLI IL NUOVO RAPPRESENTANTE DEGLI EXECUTIVE PROFESSIONAL NAZIONALE

Ed è per questo che i professional di Manageritalia hanno cambiato denominazione: da ora si chiamano executive professional. Lungi dal voler rappresentare un mero esercizio di restyling, la nuova denominazione intende prima di ogni cosa cogliere un elemento identitario che qualifica la categoria e la sua appartenenza a Manageritalia: gli executive professional associati a Manageritalia sono espressione di identità molteplici,

Carlo Romanelli è co-fondatore e presidente di Net Working, società di training e management consulting con sede a Bologna nata nel 1997. Psicologo del lavoro e studioso esperto di organizzazione e comportamento organizzativo, in precedenza ha operato presso altre società di consulenza e come hr manager in una grande impresa di costruzioni, oltre che in strutture associative. Psicologo del lavoro, partner italiano di The Hardiness Institute presso l’Università della California di Irvine e certificato Apco-Icmci come consulente di organizzazione, è fondatore dell’accademia Sport & Management. È associato a Manageritalia Bologna dal 2002.

ma tutte riferibili alla managerialità che noi rappresentiamo.

che non implica un contratto di la-

realizzata per i quadri (vedi Diri-

Infatti, l’executive professional di

voro subordinato e a tempo indeter-

gente di novembre), con l’obiettivo

Manageritalia è colui o colei che,

minato, e che offre i suoi servizi in

supplementare di meglio com-

operando con professionalità, eti-

maniera libera e indipendente a or-

prenderne l’identità e i bisogni;

ca, trasparenza e responsabilità so-

ganizzazioni private e/o pubbliche.

䡵 la Certificazione di esperienza

ciale, con modalità differenti da

Da alcuni mesi, quindi, gli executive

degli executive professional che

quelle del dirigente, eroga conti-

hanno un loro rappresentante nazio-

attesterà l’appartenenza di profes-

nuativamente i suoi servizi e svolge

nale, individuato nella persona di

sionisti dotati di solide e provate

la sua attività in modo tale da in-

Carlo Romanelli, professionista ope-

esperienze nei loro rispettivi ambi-

fluenzare i processi decisionali del-

rante da più di 20 anni nel mondo

ti di azione, dando valore aggiun-

le organizzazioni clienti. Lo fa inte-

delle organizzazioni ed ex manager

to alla loro appartenenza a Mana-

ragendo principalmente con i grup-

d’azienda, e tutte le Associazioni ter-

geritalia e, ci si augura, alla loro

pi dirigenti e i decisori primari e con-

ritoriali hanno definito o stanno defi-

collocazione nel mercato;

tribuendo alle scelte operative, de-

nendo il loro rappresentante.

䡵 la progressiva costruzione di un

cisionali e strategiche dei propri

Il team operante a livello naziona-

sistema di welfare dedicato – che

clienti, collaborando in maniera di-

le è al lavoro sui seguenti principa-

certamente è il traguardo più com-

retta al raggiungimento degli obiet-

li traguardi:

plesso e ambizioso – in maniera mo-

tivi dell’organizzazione cliente.

䡵 la realizzazione di un’indagine

dulare, ossia in grado di aggiunge-

L’executive professional esercita

nazionale sugli executive profes-

re progressivamente tessere a un

una professione, ordinata o meno,

sional, simile negli intenti a quella

mosaico che parte quasi da zero.

DICEMBRE 2014

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16 12 2014

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MANAGERITALIA

I VERTICI ASSOCIATIVI Ecco il quadro attuale dopo le recenti nomine nelle Associazioni territoriali, negli enti contrattuali e nelle societĂ collegate

COMITATO DI PRESIDENZA Guido Carella presidente

(Manageritalia Milano)

Alessandro Baldi vicepresidente

(Manageritalia Ancona)

Mario Mantovani vicepresidente

(Manageritalia Bologna)

PRESIDENTI ASSOCIAZIONI TERRITORIALI Paolo Moscioni

Manageritalia Ancona

Giuseppe Trisciuzzi

Manageritalia Bari

Roberto Breveglieri

Manageritalia Bologna

Massimo Menichini

Manageritalia Firenze

Carlo Ghio

Manageritalia Genova

Roberto Beccari

Manageritalia Milano

Rossella Bonaiti

Manageritalia Napoli

Luca Mencarelli

Manageritalia Palermo

Marcella Mallen

Manageritalia Roma

Silvio Tancredi Massa

Manageritalia Torino

Maria Gabriella Girardi

Manageritalia Trentino-AltoAdige

Sandro Caporale

Manageritalia Trieste

nuovo

Roberto Bechis

Manageritalia Veneto

nuovo

nuovo

PRESIDENTI DEI FONDI ED ENTI COLLEGATI A MANAGERITALIA Assidir Associazione Antonio Pastore Cfmt Cibiesse

Marco BallarĂŠ

(Manageritalia Milano)

Luigi Catalucci

(Manageritalia Milano)

Pietro Luigi Giacomon

(Manageritalia Veneto)

Alberto Corsi (Confcommercio) Pietro Luigi Giacomon vicepresidente (Manageritalia Veneto)

nuovo

Cida Cassa sanitaria Carlo De Lellis Fasdac Fondir

Silvestre Bertolini

(Manageritalia Milano)

Marco Cosma

(Manageritalia Milano)

nuovo

Fabrizio Pulcinelli

(Manageritalia Firenze)

nuovo

Alessandro Vecchietti Paola Vignoli vicepresidente

(Confcommercio) (Manageritalia Roma)

Fondo Mario Negri Gpa Wide Group Manageritalia Servizi

Alessandro Baldi

(Manageritalia Ancona)

Roberto Saliola

(Manageritalia Roma)

Marisa Montegiove

(Manageritalia Milano)

Sui siti di Manageritalia, Fondi ed enti tutti i dettagli delle carche sociali.

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15 12 2014

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Aiutaci anche tu a combattere l’epidemia. Il tuo sostegno sarà prezioso e si aggiungerà al ricavato del Concerto di Natale organizzato da Manageritalia Roma e già devoluto a Medici Senza Frontiere.


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Hanno collaborato a questo numero FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO

MENSILE DI INFORMAZIONE E CULTURA DI MANAGERITALIA FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO

I NOSTRI

BLOG

FEDERAZIONE NAZIONALE DEI DIRIGENTI, QUADRI E PROFESSIONAL DEL COMMERCIO, TRASPORTI, TURISMO, SERVIZI, TERZIARIO AVANZATO

Thomas Bialas, futurologo, è responsabile del progetto Future Management Tools di Cfmt e curatore dell’inserto Dirigibile. (55) Fabio Ciarapica è consigliere di amministrazione di Praxi e managing director di Praxi Alliance ltd. Si occupa da sempre di valorizzazione delle persone nelle organizzazioni (26) ed executive search a livello internazionale.

crisiesviluppo.manageritalia.it

Oltre la crisi, per cogliere opportunità e sviluppo

Claudia Corti è laureata in lettere, indirizzo moderno artistico, ed è guida turistica per le province di Milano, Pa(49) via, Monza e Brianza.

CFMT - CENTRO DI FORMAZIONE MANAGEMENT DEL TERZIARIO

ASSOCIAZIONE ANTONIO PASTORE

Cosimo Finzi è amministratore delegato di AstraRicer-

Direttore responsabile: Guido Gay

che, società leader nelle indagini sociali e negli scenari di (24) mercato.

Coordinamento: Roberta Roncelli

Piero Valdiserra è direttore marketing e relazioni ester-

Conversazioni tra uomini e donne sulle pari opportunità

FONDO DI PREVIDENZA MARIO NEGRI

Editore: Manageritalia Servizi srl

Marco Lucarelli lavora nella direzione strategy di una multinazionale Tlc dove si occupa di operatori virtuali. Cura anche la rubrica #letturexmanager sul blog crisiesviluppo.mana(51) geritalia.it.

donne.manageritalia.it

FONDO ASSISTENZA SANITARIA DIRIGENTI AZIENDE COMMERCIALI

ne di uno dei maggiori gruppi italiani operanti nel beverage alcolico. È anche sommelier, nonché fondatore e presidente del club enogastronomico bolognese Gaudio (marketing@ri(48) naldi.biz).

da Manageritalia Daniela Fiorino ufficio sindacale Federazione. (36 e 52)

Redazione: Davide Mura, Enrico Pedretti, Eliana Sambrotta Direzione, redazione, amministrazione: 20129 Milano - via Antonio Stoppani 6 tel. 0229516028 - fax 0229516093 giornale@manageritalia.it www.manageritalia.it

Le opinioni espresse dagli autori impegnano esclusivamente la loro responsabilità Concessionario pubblicità PUBLIMASTER 20146 Milano - via Winckelmann 2 tel. 02424191 - fax 0247710278 direzione@publimaster.it Grafica THE GRAPHIC FORGE snc 20129 Milano - via Antonio Stoppani 4 tel. 0229404920 - www.graphicforge.it Stampa ROTOLITO LOMBARDA spa Via Sondrio, 3 - 20096 Pioltello (Milano) tel. 0292195.1 - www.rotolitolombarda.it Registrazione Tribunale di Milano n. 142, del 24 aprile 1974 Associato all’USPI Unione stampa periodica italiana

pensioni.manageritalia.it

Per i pensionati di oggi e di domani

Accertamenti diffusione stampa La diffusione di dicembre è di 35.440 copie


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