CRISTINA FALASCA
GIORGIA FINCATO
STEFANO MINZI
MADDALENA VANTAGGI
interiors a cura di Manuela Pacella
(...) cedendo sovente alla voluttà, alla pigrizia, alla paura di soffrire, tracciamo noi stessi, su un carattere dove alla fine ogni ritocco sarà impossibile, il contorno dei nostri vizi e i confini della nostra virtù. Marcel Proust
GALLERIA UGO FERRANTI
Via dei Soldati 25a, 00186 Roma
Inaugurazione 19 marzo 2010 18.30 dal 19 marzo al 30 aprile 2010 dal Lunedì al Venerdì h. 11-13 e 16-20
+39 06-68802146 info@galleriaferranti.net ugo_ferranti@libero.it
L’intuito e l’innata capacità di seguire gli impulsi sensoriali che giungono alla mente (non necessariamente del sesto tipo) sono costantemente frustrati dalle gabbie sociali e da false etiche nate già all’interno del nucleo famigliare i cui antichi meccanismi relazionali divengono il modello del nostro vivere quotidiano con l’altro da sé. Questo meccanismo di autodifesa e di mancato ascolto del proprio senso intuitivo è talmente forte a volte da dover fare appello alla casualità e alla coincidenza per giustificare il concatenarsi di una serie di eventi altrimenti inspiegabili perchè non convenzionali, non già catalogati. Se questo incredibile timore del proprio io cedesse il passo alla semplice constatazione che molti accadimenti avvengono proprio perchè noi stessi inconsciamente ne abbiamo definito il percorso e ne abbiamo voluto profondamente la nascita, tutto acquisterebbe un aspetto più naturale e ogni cosa prenderebbe il meritato posto in un ordine che non è predefinito dal caso ma è semplicemente voluto da noi. La spontaneità dell’accoglienza determina una sorpresa genuina degli eventi che si incastrano l’un l’altro e danno origine a situazioni, sensazioni, scelte e, nel caso specifico, mostre. Interiors nasce quasi da sé, in maniera tanto spontanea quanto lo è quella del sorgere delle prime gemme primaverili. Ha origine dall’incontro con Maurizio Faraoni con il quale si è stabilita una comunione di intenti che muove le sue basi dalla scelta di giovani talenti attraverso la guida non tanto di impulsi volitivi ma prevalentemente emotivi, sentendo in questo un’urgenza non solo individuale. Maurizio Faraoni ha subito proposto il lavoro della veneta Giorgia Fincato da affiancare a quello di Stefano Minzi che seguo da tempo. Ma mancava qualcosa e ci siamo trovati in una situazione di piccolo stallo risolta non appena abbiamo preso visione delle ultime sculture della romana Cristina Falasca, così letteralmente ‘interne’ che tutto è diventato chiaro e la stessa selezione delle opere di Minzi è stata quasi d’obbligo, volto com’è a indagare con le sue incisioni sia il mondo pubblico – politico e mediatico – sia quello privato, della sua famiglia (con ripetuti richiami alla Storia ma anche alla sotterranea storia privata delle immagini), il tutto recentemente arricchito da aspetti e forme ‘nascoste’ legate all’astrologia e ai tarocchi. Di qui la scelta finale è stata davvero naturale per me che appoggio con entusiasmo il lavoro di una giovane umbra, Maddalena Vantaggi, videoartista e non solo. È stato, quindi, il binomio creatosi tra il disegno compulsivo di Fincato e la scultura viscerale di Falasca a dare il definitivo leitmotiv della mostra. Interiors (dall’omonimo film di Woody Allen del 1978) è inteso come interno nel senso più ampio possibile: da quello delle mura domestiche - fisiche e mentali - della nostra infanzia dove meccanismi e rapporti relazionali si innestano a volte in un precario e mal assestato equilibrio che determina di conseguenza il nostro atteggiamento nel vivere sociale (la nostra famiglia allargata), a quello, chiaramente, del nostro intimo, fisico e psichico. Ben lungi dal voler sollevare tutte le questioni legate a questo amplissimo tema ci si limita con questa mostra a esprimere quattro opinioni, quattro punti di vista che valgono di per sé come esemplarità di diversi modi di essere nel mondo, come artisti e come essere umani. Cristina Falasca (Roma, 1981) ci lascia forse la traccia più sanguigna e organica. Espone una serie di piccole sculture in terracotta, che si tengono nel palmo di una mano quasi fossero organismi da salvaguardare e ammirare come inestimabili gioie, lasciate da una natura ancestrale o da una madre mutilata; alcune infatti sono poste su soffici cuscini di velluto blu, sorta di protezione ed estrema evidenziazione della loro preziosità. Giorgia Fincato (Marostica, VI, 1982), invece, ci attrae e turba con l’esposizione di superfici divenute tattili ma scaturite da ore di disegno a inchiostro con parti ad unico tratto, quindi uscite da una sorta di atto liberatorio. I colori, il segno e le forme che vengono alla luce, quindi, attirano ma possono anche allontanare lo spettatore, quando questi ne capisce il potenziale onirico e collettivo. Se il cuore della mostra si sviluppa al centro della galleria con questo evidente binomio tra mente e corpo (Fincato e Falasca), quasi fossero due approcci differenti che si uniscono in una sorta di attrazione degli opposti (i cui lavori ho invitato a descrivere più nel dettaglio Andrea Fogli e Maurizio Faraoni), l’ingresso della galleria come la sua fine in quanto apice e colpo d’occhio dell’esposizione (sorta di suo padrino) sono caratterizzati da opere apparentemente di significato più diretto ma in realtà costituite da diversi livelli semantici: si tratta di due video di Maddalena Vantaggi e di una grande incisione planografica su 18 fogli di Stefano Minzi (eseguita espressamente per questa mostra) ed esposta insieme a un dittico e ad una matrice.
Grafica Maddalena Vantaggi
Cominciamo dall’eugubina e frizzantina MADDALENA VANTAGGI (Gubbio, PG, 1981). Si tratta di una personalità dalla creatività dirompente che difficilmente può essere definita esclusivamente videoartista visto che si esprime anche attraverso la grafica, le arti applicate e la performance. Molto interessante è il versante del design con materiali di riciclo e il suo impegno nell’arte pubblica con il gruppo Publink fondato nel 2007 con Roberta Bruzzechesse e Maria Zanchi e con il quale realizza l’intervento Rifiuto Con Affetto-RCA, vincitore della borsa di studio Bevilacqua la Masa 2007 e presentato a Manifesta 7 nel 2008. Come videoartista Vantaggi lavora sin dal 2006 seguendo due filoni ben specifici: l’uno, più introspettivo, che analizza la collisione tra ragione e sentimento, razionalità ed istinto primario; l’altro di amara critica nei riguardi dell’introduzione della tecnologia nel mondo ludico. Per Interiors è stato chiaramente scelto il primo filone e di questo l’opera che più lo rappresenta: Impasse (2008), lavoro che segna sicuramente l’inizio di un nuovo percorso, da lei definito INTER(iore)AZIONE, caratterizzato da videoinstallazioni la cui prerogativa è il nascondimento del video all’interno di strutture che ne impediscono la visione finché non si entra in relazione ‘attiva’ con esse. Lo spettatore, quindi, diviene la condizione necessaria affinché l’opera prenda vita, interagendo con essa e compiendo una ricerca nell’interiorità dell’artista, divenuta modello di un sentire comune. Impasse è l’opera che mi ha fatto conoscere Vantaggi; un’opera che mi ha colpito immediatamente, anche solo dalla prima visione di alcuni frame come per l’idea generale di vedere delle immagini attraverso un foro all’interno di una scatola nera, richiamo esplicito alla camera oscura. L’artista, con questo video, spinge lo spettatore in un obbligato gesto voyeuristico – quello del guardare attraverso una piccola apertura una donna nuda – e lo costringe inoltre a subire il peso dell’altro che attende perché il video diviene videoinstallazione non solo in quanto inserito all’interno di un piccolo cubo nero ma perché - vedendolo - si costringe gli altri ad aspettare; gli altri che a loro volta divengono impazienti vista la curiosità e l’ansia che scaturisce nel vedere qualcuno chinato ad osservare attraverso un foro. L’artista, quindi, ci obbliga a fare una scelta e, qualsiasi essa sia, sarà sofferta proprio perché o si rinuncia alla visione o si subisce il peso della presenza altrui; sarà molto difficile riuscire a godere dell’esperienza senza risolvere questo impasse. Ciò che si vede è una donna nuda che compie lentamente e ripetitivamente gesti semplici in un ambiente gelido, freddo, spoglio, cementificato, forse un garage o addirittura una vetrina che dà verso la morte, arredata da mensole vuote e da un ampio lavandino. Il video è accompagnato da un sonoro quasi ossessivo costituito dal rumore di alcuni autoveicoli e da assillanti passaggi di vespe. La seconda opera in mostra, Siamo perfetti insieme!, ha avuto origine qualche tempo fa ma ha trovato compimento finale grazie a quest’esposizione. Per Vantaggi questo lavoro costituisce il momento successivo ad Impasse: “Impasse è intimo e voyeuristico, è l’apoteosi dell’incapacità di agire, di vedere le cose come stanno, di rimanere intrappolata nell’oblio della sofferenza amorosa. Siamo perfetti insieme! invece è spudorato, è popolare, è la liberazione dalla sofferenza, è il puro cedere all’illusione. Una volta che si è deciso quel ‘passo’ con il quale superare l’impasse si è già nell’illusione... L’illusione della gioia del primo appuntamento, l’illusione della gioia di non essere più soli.” Il volto dell’artista insieme a quello della sua ‘anima gemella’ campeggiano al centro del monitor con espressioni l’una sorridente, l’altra un po’ attonita. Le loro teste, come quelle dei piccoli decori da cruscotto, traballano l’una accanto all’altra e guardano in macchina. Apparentemente le loro espressioni non sembrano cambiare ma, osservando più a lungo e più attentamente, non solo divengono un po’ irreali e forse inquietanti ma pian piano cambiano e ci si accorge della loro bellezza imperfetta. Il video è mandato in loop su un monitor dove Vantaggi ha ricostruito una scena romantica attraverso il colore, l’incisione diretta e il collage. È uno dei primi incontri, se non il primo, in cui l’uomo dona una rosa alla sua nuova amata in un contesto stereotipato: siamo infatti all’aperto, la coppia è seduta su una panchina ed è circondata da un luminoso cielo stellato dominato da una falce lunare protettiva.
Dialogo tra Cristina e un nido È la seconda volta che scrivo per un amico artista qui da Ugo Ferranti. Nel ‘90 per Claudio Givani, ed Ugo c’era. Ora non c’è più, ma il suo spirito è rimasto e così sono felice che Cristina esponga le sue prime opere in questa galleria, come accadde a me 25 anni fa. E magari possa iniziare con Maurizio un altro lungo viaggio. Ma aldilà del luogo che qui ospita le sue sculture, ci sono loro. Ben sedimentato inizio, fiorito, dopo anni di cova, ad esito sicuro. Con la Poetica si nasce, anche se non subito s’incarna in atto operativo, e Cristina era già in queste opere anni fa, non tanto con i lavori elaborati negli anni dell’Accademia, ma con le sue poesie carnali piene di allusioni al mondo naturale, a caverne, cristalli, radici, con i suoi versi scabri e secchi. Poetica del maschile e del femminile, una poetica non tanto sentimentale ma erotica e viscerale, in cui Cristina, voce narrante, si colloca al centro come torre-ventre, e con una lunga coda di capelli che scende dall’ultima finestra e risucchia in un cosmo di carne. Olimpo. Tana dell’orso. Lumaca marina, Euphorbia lactea. Le forme nascono per sintagmi che scandiscono la narrazione del femminile. Il suo ventre, i suoi rami. E i rami qui spesso s’intrecciano a nido, a nido-ventre. L’argilla abbandona la strada verso la creazione dell’uomo e percorre il cammino inverso, verso la terra delle origini dove tutto è intrecciato, animale, vegetale, astrale. Una poetica che condivido da anni con il mio lavoro e quindi so riconoscere ed apprezzare, specie nel contesto di molta arte recente che ha perso il contatto poetico e viscerale con la propria opera. Risucchiati fuori dall’Olimpo, dalla Tana dell’orso, dal ventre umido della Lumaca Marina. E poi dismessi pronti per cavalcare la banalità del presente e l’onda conforme. Qui da noi si vive nelle grotte. La carne ammutolisce nell’estasi. La stretta è forte. Il profilo è greco-egizio, altro che star di Hollywood! Strana coincidenza. Il testo che scrissi anni fa per Givani s’intitolava “Dialogo tra Claudio e un nido”. Un titolo perfetto anche per te: nella terra di Ugo si va per nidi, terra di cova, da lungo tempo. Ora per salutarti Cris cerco d’improvvisare un dialogo tra te e un nido. Non è facile Dovrebbe essere un dialogo allo specchio. E noi abbiamo già le opere a sigillare questo silenzio. Non è possibile... Tu sei il nido. E dialoghi solo con l’Airone... Ma anche lui oggi ha la tua voce, e per parole i tuoi versi: “ il granello che tieni custodito nella cova ante tempo trattiene il cosmo utile ai sogni nella bilia di vetro racchiusi” (a C. da Aug.)
Andrea Fogli, 27 febbraio 2010
Sulla parete di fondo della galleria campeggia un’immagine, quasi un’icona della mostra, quella della nostra infanzia. Si tratta del piccolo STEFANO MINZI (Milano, 1976) che è stato da lui stesso sottoposto a una doppia scomposizione: quella per trasferire la fotografia su carta con la tecnica planografica e quella della suddivisione in 18 fogli da 40x25 cm. circa dell’intera immagine. Questa sorta di polittico moderno racconta una storia di famiglia e la racconta a tutti in maniera apparentemente diretta. Infatti, come del resto in tutte le opere di Minzi, la lettura ravvicinata delle sue stampe è molto confusa e faticosa e in questo caso lo è ancor di più, anche se ci si pone dal giusto punto di osservazione, ossia dall’ingresso dello spazio espositivo. Questo perchè la fotografia a colori selezionata ‘casualmente’ da Minzi era di per sé molto scura ed è stata trasferita solo usando l’inchiostro nero. Le figure, quindi, si vedono faticosamente tra tutte quelle macchie scure e si riconosce un bambino e una figura femminile. Si tratta della tata peruviana del piccolo Minzi. Il luogo è una stanza della casa a Milano dove ha trascorso l’infanzia. I suoi genitori hanno appena divorziato e la tata diviene il perno anche affettivo per la famiglia ormai disunita. Le viene allestita una piccola stanza con un divano letto: quella grande macchia nera sulla sinistra. Quando la famiglia decide di trasferirsi a Roma questa donna abbandona anch’essa il bambino, in un modo probabilmente percepito da lui come inspiegabile e improvviso. Quando Minzi ha scelto la fotografia per Interiors sapeva che sarebbe stata poco leggibile ma ha voluto proprio questa perchè è affezionato a quel piccolo se stesso che già ha riprodotto per altre mostre e in modalità diverse; infatti non aveva mai incluso la donna di cui fino a qualche tempo fa non ricordava bene il nome e il ruolo che ha scoperto ora, in occasione della mostra. Che non sia un caso lo sa lo stesso Minzi che, dopo aver realizzato l’opera in 18 fogli, ha voluto riprodurre sul diciottesimo retro la carta numero 18 dei tarocchi, la Luna, la Madre cosmica (per esplicitarlo in mostra ci sarà accanto all’ultimo foglio una stampa della stessa carta); l’opera infatti s’intitola 18 (la lune). Minzi espone inoltre per la prima volta non una stampa ma una matrice, sempre di soggetto privato, con una donna – sua nonna – all’interno di una macchina. Infine, come sintesi del suo lavoro, ha scelto un dittico su tela con due iconografie simili. Minzi è ormai incline a sovrapporre i significati nei suoi lavori; troviamo spesso i tarocchi sul verso delle sue tele o carte, come sin dalla sua prima mostra con opere di carattere privato (Family game del 2008), usa combinare immagini di famiglia ad altre storiche facendo riferimenti incrociati tra gli eventi pubblici e quelli privati. È questo il caso del Dittico del 2009 anche se qui l’analisi va ancora più in profondità e non è immediatamente percepibile. Si tratta di due scatti molto simili: due ritratti di gruppo in bianco e nero. In entrambe al centro c’è un ragazzo ma in una si intende che l’occasione è la Prima Comunione e sappiamo da Minzi che il giovane al centro è suo padre; nell’altra, invece, il ragazzo tiene per mano la sorellina mentre una coppia è ai loro lati, probabilmente i genitori. Un ritratto di famiglia per eccellenza, di quelli che sanno ben rappresentare i rapporti tra i singoli componenti all’interno di una posa obbligata di fronte all’obiettivo. Si tratta di un ritratto privato di un tempo in cui Berlusconi non pensava ancora all’immagine che voleva dare di sé al mondo e in cui la sua famiglia aderisce ai canoni iconografici tipici e caratterizzanti l’intera storia della fotografia di famiglia di tutti i tempi. Lui, il ‘padre’ degli italiani, è ritratto come tutti i padri, in una famiglia come tutte le altre, esattamente come in quella di Stefano Minzi.
Manuela Pacella
Giorgia Fincato “Il mio è un segno prospettico che non vuole imitare nessuna forma ma attraverso la sua continuità realizzare spontaneamente il proprio limite nella superficie del foglio bianco...”. Nessun racconto per scelta, mancano quelle forme riconoscibili a cui diamo il nome di soggetti, che sono anche i puntelli perché possa iniziare una narrazione; restano quei segni sulla carta, geometrici, rigidi o grovigli sinuosi e sembra di vedere lo strato che viene fuori, sorretto da un ordine silenzioso che ne stabilisce il ritmo, i rapporti tra le forme, mentre s’indovina che c’è altro, depositato in una profondità remota e destinato a rimanere lì, come a costituire le fondamenta. Dai suoi disegni quel che appare immediato è un approccio meditativo, una sorta di viaggio introspettivo attraverso un aspetto indipendente, trasversale e necessario. Questa sua visione sviluppa un linguaggio autonomo ed espressivo attraverso l’elaborazione e l’intreccio di una lunga linea di sua invenzione, segnata con un unico impulso e con un ritmo cadenzato dalla gestualità della sua mano; una linea che non ha né tempo né misura. Non sono delle mappature terrestri come banalmente il nostro sguardo può indurci a vederle, piuttosto delle mappe spontanee, costituite da un immaginario di tante micro forme pseudo mentali.
Maurizio Faraoni