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Manuel Cau
ABYSSVM
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Ricordati che il tempo è giocatore avido: guadagna senza barare, ad ogni colpo! È legge. Il giorno declina, la notte cresce; ricordati! L’abisso ha sempre sete; la clessidra si vuota. Charles Baudelaire, L’Orologio
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DESOLATUM
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L’ABISSO Pascal aveva il suo abisso e sempre gli era accanto. - Ahimè! tutto è abisso, - azione, desiderio, sogno, parola! e sui miei peli che ritti si levano, spesso della Paura sento passare il vento. Su, giù, ovunque, la profondità, il greto, il silenzio, lo spazio orribile e seducente... Sul fondo delle mie notti Dio con dito sapiente disegna un incubo multiforme e perpetuo. Ho paura del sonno come d’un enorme buco, fitto di vago orrore e dall’ignoto sbocco; da ogni finestra non vedo che infinito, e, perseguitato dalla vertigine, il mio spirito invidia al nulla la sua insensibilità. Ah! dover restare fra gli Esseri e la Molteplicità! Charles Baudelaire, da I Fiori del Male
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«Allora finalmente le porte maledette si aprono, stridendo sui cardini con suono orrendo. Riesci a vedere che sconvolgente figura siede nell’atrio? Chi custodisce le porte? È Tisifone. E dentro, ancora più feroce, c’è l’Idra spaventosa, enorme, con cinquanta bocche spalancate. Poi si apre a precipizio il Tartaro e s’inabissa sotto le ombre, due volte più profondo del cielo che a perdita d’occhi s’alza sino all’Olimpo. Rotolano laggiù, piombativi dal fulmine, i Titani, la prole antica della Terra.» Virgilio, tratto dall’ Eneide
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Io sono, si perdoni la metafora, un sepolcro ambulante, che porto dentro di me un uomo morto, un cuore giĂ sensibilissimo che piĂş non sente ec. (Bologna. 3 novembre 1825). Giacomo Leopardi, da Lo Zibaldone
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Tutto era pieno, tutto era in atto, non c’era intervallo, tutto, perfino il più impercettibile sussulto, era fatto con un po’ d’esistenza. E tutti questi esistenti che si affaccendavano attorno all’albero non venivano da nessun posto e non andavano in nessun posto. Di colpo esistevano, e poi, di colpo non esistevano più: l’esistenza è senza memoria; di ciò che scompare non conserva nulla — nemmeno un ricordo. Jean Paul Sartre, da La nausea
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L’UOMO E IL MARE Uomo libero, tu amerai sempre il mare! Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima Nello svolgersi infinito della sua onda, E il tuo spirito non è un abisso meno amaro. Ti piace tuffarti nel seno della tua immagine; L’accarezzi con gli occhi e con le braccia e il tuo cuore Si distrae a volte dal suo battito Al rumore di questa distesa indomita e selvaggia. Siete entrambi tenebrosi e discreti: Uomo, nulla ha mai sondato il fondo dei tuoi abissi, O mare, nulla conosce le tue intime ricchezze Tanto siete gelosi di conservare i vostri segreti! E tuttavia ecco che da innumerevoli secoli Vi combattete senza pietà né rimorsi, Talmente amate la carneficina e la morte, O eterni rivali, o fratelli implacabili! Charles Baudelaire, da I Fiori del Male
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Infatti; io è un altro. Se l’ottone si desta tromba, non è certo per colpa sua. La cosa mi pare ovvia: io assisto allo sbocciare del mio pensiero: lo guardo, lo ascolto: do un colpo d’archetto: la sinfonia si agita nelle profondità, oppure salta con un balzo sulla scena Arthur Rimbaud, da Opere
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OVUNQUE NAUFRAGIO L’invenzione della nave implica in sé l’invenzione del naufragio. L’Effetto Pacman in natura si ha quando si va radicalmente in una direzione così tanto che alla fine si spunta improvvisamente dall’altra. Così, nell’abisso in cui si affonda volontariamente, oltre i resti di Atlantide, alla fine ci sarà nuova luce. La furia del mare pulisce ogni traccia di sepolcro, la forza della marea cancella ogni traccia dalla riva, e poi non resta più nessuno a raccontare. Così, con lo zaino vuoto da ricordi e da speranze, da passato e da futuro, si può piantare una zucca marcia e morta dalla quale nasce una nuova generazione, il seme di mille nuovi coralli. Marnero, dall’album Naufragio Universale
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SPLEEN Ho dentro più ricordi che se avessi mill’anni. Un gran mobile ingombro di verbali e romanze, letterine d’amore, bilanci, poesie, di grevi ciocche avvolte in ricevute, non nasconde i segreti che nasconde il mio triste cervello. È una cripta, una piramide immensa, con più morti della fossa comune… – Eccomi: un cimitero che la luna aborrisce e dove lunghi vermi vanno, come rimorsi, senza posa all’assalto dei morti che ho più cari; un salotto decrepito, gremito d’oggetti fuori moda fra le rose appassite, i pastelli lagnosi e i pallidi Boucher che profumano, soli, come boccette aperte. Niente uguaglia in lunghezza quei giorni zoppicanti che sotto i fiocchi grevi delle annate di neve la noia, triste frutto dell’incuriosità, prende misura d’immortalità. – E tu ormai non sei altro, materia della vita! che un granito assediato da un labile terrore, immerso nella bruma d’un Sahara profondo; vecchia sfinge obliata dal mondo indifferente e che le mappe ignorano e soltanto ai raggi del tramonto ferocemente canta! Charles Baudelaire, da I Fiori del Male
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Non sento mai quello scampanio ondulante ma sono consapevole di una lotta e di un tremito nell’abisso della mia anima, una sensazione come di ricordi che combattono per raggiungere la luce oltre l’oscurità di milioni e milioni di morti e di nascite. Spero di poter restare ad ascoltare quella campana. Yakumo Koizumi, da Farfalle
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CONTEMPLAZIONE Alcuni uccelli saettarono verso l’alto, io li seguii con lo sguardo e li vidi salire in un baleno, infine ebbi la sensazione che non fossero loro a salire, bensÏ io a precipitare. Franz Kafka, da Meditazione
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ALLEGRIA DI NAUFRAGI Versa il 14 febbraio 1917 E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare Giuseppe Ungaretti, da Il Porto Sepolto
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CANTO D’AUTUNNO Presto c’immergeremo nelle fredde tenebre; addio, vivida luce di estati troppo corte! Sento già cadere con un battito funebre la legna che rintrona sul selciato delle corti. Tutto l’inverno in me s’appresta a rientrare; ira, odio, brividi, orrore duro e forzato lavoro e, come il sole nel suo inferno polare il cuore non sarà più che un blocco rosso e ghiacciato. Rabbrividendo ascolto ogni ceppo che crolla; non ha echi più sordi l’alzarsi di un patibolo. Il mio spirito è simile alla torre che barcolla ai colpi dell’ariete instancabile e massiccio. Mi pare, cos’ cullato da questo tonfo monotono, che una bara qui accanto si stia inchiodando d’urgenza. Per chi? - E’ autunno: soltanto ieri era estate! Questo suono misterioso sa di partenza. Charles Baudelaire, da I Fiori del Male
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IL PORTO SEPOLTO Vi arriva il poeta e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde Di questa poesia mi resta quel nulla d’inesauribile segreto Giuseppe Ungaretti, da Il Porto Sepolto
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Io mi nutro di fastidio, come l’uomo Methodo: porto il dolore Lo porto dentro come melma che mi avvolge il cuore Lo porto in giro con i miei pensieri già da vecchia data E mentre io mi nutro di fastidio lui si mangia la mia vita Come un candela rovesciata brucia il doppio piÚ veloce Per questo io non trovo pace Il tempo scorre senza sosta e non si arresta La lancetta gira senza sosta: non resta che abbasar la testa Anche per questa ragione non trovo soluzione alcuna Se non nutrirmi di fastidio e rigirarmi nella mia cancrena Maledicendo la sfortuna che da quando sono nato Non mi ha lasciato mai un minuto. Kaos One, Fastidio
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A SE STESSO Or poserai per sempre, Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo, Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento, In noi di cari inganni, Non che la speme, il desiderio è spento. Posa per sempre. Assai Palpitasti. Non val cosa nessuna I moti tuoi, nè di sospiri è degna La terra. Amaro e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. T’acqueta omai. Dispera L’ultima volta. Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Omai disprezza Te, la natura, il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera, E l’infinita vanità del tutto. Giacomo Leopardi, da I Canti
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IL BIANCO E DOLCE CIGNO Il bianco e dolce cigno Cantando more, et io Piangendo giungo al fin del viver mio. Strana e diversa sorte! Ch’ei more sconsolato, Et io moro beato. Morte che nel morire M’empie di gioia tutto e di desire. Se nel morir altro dolor non sento, Di mille morti il dì sarei contento Jaques Arcadelt
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SPLEEN Quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio Sullo spirito che geme in preda a lunghi affanni, E versa abbracciando l’intero giro dell’orizzonte Una luce diurna più triste della notte; Quando la terra è trasformata in umida prigione, Dove come un pipistrello la Speranza Batte contro i muri con la sua timida ala Picchiando la testa sui soffitti marcescenti; Quando la pioggia distendendo le sue immense strisce Imita le sbarre di un grande carcere Ed un popolo muto di infami ragni Tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli, Improvvisamente delle campane sbattono con furia E lanciano verso il cielo un urlo orrendo Simili a spiriti vaganti senza patria Che si mettono a gemere ostinati E lunghi trasporti funebri senza tamburi, senza bande Sfilano lentamente nella mia anima vinta; la Speranza Piange e l’atroce angoscia dispotica Pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo. Charles Baudelaire, da I Fiori del Male
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Dagli scritti inediti di
Andrea Atzei
TENEBRIS
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BUIO Buio. Verso il fondo, bestia ripugnante bandita dalla vita, ancora invano tenti impaurita di rivolger lo sguardo ove ormai non è che buio. Irrequieta tremi al pensiero di una nuova luce, ché ad abituarsi a stare nascosti si confonde la voglia con la finzione. Percezioni di tempo soggettivo, allungate in agonie strazianti, e consapevolezze di spazi ormai troppo stretti, limiti invalicabili eternamente dipinti di un verde che di speranza non merita più la nomea. Il fuoco immortale non è più tale, se non per ridurre crudelmente in cenere chi ormai non ha da essere. Oh morte, tu che ignota muovi passi in mezzo a noi, rivela il tuo volto e dimmi che non è già questo. Creatura perduta, in un baratro ancora inesplorato, perpetua il tuo lamento incessante verso l’illusione di un nuovo sole; tu, sola, che stringi ancora con violenza l’otre viscerale; umiliata non incatenata, giaci intrappolata per mano di Daimon; figlia primogenita della dannata stirpe, calpesta le tue ali di polvere, e perenne sprofonda verso la non fine.
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L’OSCURITÀ L’oscurità avvolge anche gli angoli più remoti. Scappare, sopra quell’infinito tapis roulant, non serve. Non si può fuggire. La lentezza di certi gesti, guardare in basso, guardare in alto. Mi resta mezza sigaretta; purtroppo quella finirà. Attorno non più alberi, non più terra, non più vita. Non so se sia peggio essere condannati all’eterna oscurità, o esserne qui e poterne parlare. Prescelti per cosa? Vedere il male. Vederlo, sentirlo, così denso che quasi la mia mano ci affonda. La strada è una, e io sono in mezzo.
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GLI SPETTRI E in fondo siamo tutti sulla stessa barca. Quando passeggio, per le vie, li vedo. Nessuno si salva, nessuno se lo aspetta, nessuno lo sa. Volti sorridenti riflessi sulle vetrine di qualche insignificante negozio; un vecchietto che a passo lento raggiunge chissà quale lontano ristoro; un bambino che corre ignaro dell’esistenza. Li vedo, gli spettri del dolore. Ogni spettro ha il suo corpo, trascinato come un cane al guinzaglio. Sono loro che ci guidano. Noi siamo senza meta, buttati casualmente, sparsi nel mondo. Vicini gli uni gli altri ma senza connessioni. Finti rapporti, finti saperi; noi siamo nulla. Sono loro che ci guidano, e ci strozzano il collo per farci indietreggiare. Sono loro che ci trascinano via; i pezzi di pelle ancora incollati a terra. Quando passeggio, per le vie, li vedo coi loro cani. Ma giusto pochi passi. Poi cambio strada; ho un nodo in gola.
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SCRIVERE E CANCELLARE Scrivere e cancellare. Di nuovo, e di nuovo ancora. La paura del fallimento, la necessità di perfezione. Le palpebre potrebbero chiudersi per sempre, la schiena ricurva, stanco. Un vecchio? Un giovane? Non ha importanza. Non è forse dell’uomo la consapevolezza del dolore? La vita? Una lunga morte. La gioia? Illusione. Il dolore è certezza, è cemento, è cenere. E su fondamenta salde, che trasudano lacrime, io costruisco la mia non-vita. State lontani dalla casa dei fantasmi; essi vi rapiranno e vi scorteranno in stanze vuote, che rispecchieranno la vostra anima. State lontani dalla casa dei fantasmi; invisibili e subdoli, vagano nelle correnti del destino. State lontani, ve ne prego.
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APRIRE GLI OCCHI Aprire gli occhi, un giorno, e scoprire che in realtà eri sempre tu. Eri tu l’intoccabile guerriero, scortato dai raggi del sole, e dagli stessi presi in prestito dalla luna. Eri tu l’incrollabile statua di sabbia, galleggiando su mari impetuosi, fradicia di sale e solitudine, di sole e di sogni. Eri tu, inginocchiato in mezzo alla folla, estraneo anche a te stesso. Eri tu coi palmi sudati. Eri sempre tu, nel buio di una vita senza trama, vissuta a caso così come i tuoi passi, insicuri, brevi, lenti. Eri sempre tu, ospite di te stesso, nemico di te stesso. Eri tu che ti spiavi, dietro muri scrostati, dietro falsi desideri. Ed ora che riapri gli occhi ti accorgi che sei sempre stato tu; causa ed effetto di tutto, tu, che mi osservi dalla finestra.
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DAL BALCONE Dal balcone, con i gomiti poggiati sul freddo ferro, osservo. La notte è qui, e guardare il buio è un po’ come guardarsi. Viviamo nel caos, e ad esso siamo abituati. Ma la notte riporta alla luce tutto quanto, e tu devi fare i conti. È il mondo che gira troppo velocemente, o sono io che non riesco a stare al passo? Forse entrambe le cose, ed io non mi adatto, non lo voglio. Eppure, da questo balcone, tutto pare immobile. Vedo il silenzio, che riflette sui muri scrostati di qualche abitazione. Vedo la calma, che copre come un manto i tetti spigolosi. Vedo la solitudine. Laggiù, ai piedi di un albero, c’è una pietra, piccola. Non è forse sola? L’albero è lì solo casualmente, così come la pietra vicino, così come la terra su cui giace. Se scendessi di corsa, la prendessi e la lanciassi, essa rimarrebbe sola. Sola insieme ad altri soli. E alla fine ci illudiamo di vivere bene insieme, ci illudiamo di sapere e di essere. E alla fine ci illudiamo, ma la verità è che siamo soli. Ed io mi adatto, lo voglio.
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URLARE Urlare. È un lamento viscerale, è un grido di dolore, è vomito nero, è estrapolazione di organi, è divisione esistenziale, è catrame e sangue, è merda, è metamorfosi, è sperma avariato, è suicidio esperito, è disperazione, è lacerazione, è buio, è eco, è fine. Voglio avere la forza di cadere. Le mani che stringono terra e polvere, il nero sporco sotto le unghie si mischia al sangue. Dissipato e consumato. Pietre penetrano le ginocchia, che il prezzo della libertà spinge sempre più in basso. Abbandonami, lasciami solo. Smetti di graffiare le pareti della mia stanza. Hai consumato tutto il muro, e oltre, pareti di corpo scoppiano in schizzi di sangue. Il sangue si mischia al vomito, e dal pavimento risale la merda e lo smegma. Sono pronto. Pur di sputare tutto, fammelo assaporare. Fammi godere del male della vita; dammi il colpo di grazia, lascia che dalla mia lingua pendano fili di malessere. Sono pronto. Ho sopportato abbastanza il tuo grasso esistere, il tuo finto aiuto, il tuo alito cadaverico. Ucciditi con le tue stesse mani e compi l’ultimo glorioso gesto verso il nulla.
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Bibliografia
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Charles Baudelaire, L’Orologio, da “Supplemento ai Fiori del Male”, Garzanti, Milano 2015 Charles Baudelaire, L’Abisso, da “Supplemento ai Fiori del Male”, Garzanti, Milano 2015 Publio Virgilio Marone, L’ Eneide, Rizzoli, Milano 2008 Giacomo Leopardi, Lo Zibaldone, Mondadori, Milano 2004 Jean Paul Sartre, La Nausea, Einaudi, Torino 2014 Charles Baudelaire, L’Uomo e il Mare, da “Supplemento ai Fiori del Male”, Garzanti, Milano 2015 Arthur Rimbaud, I Ponti, Opere, Torino, Einaudi, 1990 Marnero, Ovunque Naufragio, Naufragio Universale, Sangue Dischi, 18 Settembre 2010 Charles Baudelaire, Spleen, da “I Fiori del Male”, Garzanti, Milano 2015 Yakumo Koizumi, Principesse e Mononoke (storie di fantasmi giapponesi), Kappalab 2014 Franz Kafka, Contemplazione, Meditazione, Archinto, Milano 2003 Giuseppe Ungaretti, Allegoria di Naufragi, il Porto Sepolto, Marsilio, Padova 2011 Charles Baudelaire, Canto d’Autunno, da “I Fiori del Male”, Garzanti, Milano 2015 Giuseppe Ungaretti, Il Porto Sepolto, il Porto Sepolto, Marsilio, Padova 2011 Marco Fiorito (Kaos One), Fastidio, Fastidio, K-Age 1996 Giacomo Leopardi, A se stesso, Canti, Mondadori, Milano 2004 Jaques Arcadelt, Il Bianco e dolce Cigno, 1539 Charles Baudelaire, Spleen, da “I Fiori del Male”, Garzanti, Milano 2015
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OPERE 6 9 10 13 14 17 18 21 22 25 26 29 30 33 34 37 38 42 45 46 49 50 53 54
Masse d’ombra, 2017, acrilico su carta, 50x50cm Senza titolo, 2017, acrilico su carta, 50x50cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Quintessence, 2017, acquaforte, acquatinta e puntasecca su zinco, 35x50cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Senza titolo, 2017, serigrafia su carta 29x42cm Senza titolo, 2017, serigrafia su carta 29x35cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Corporeal, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Corporeal (dopo le fiamme), 2017, acrilico su carta, 15x35 cm Montagna d’ombra, 2017, acquatinta e puntasecca su zinco, 8x16cm, Senza titolo, 2017, biro su carta, 4x12cm Direzioni, 2017, grafite su carta, 10x10 cm Senza titolo, 2016, acquerello su carta, 14x21cm Senza titolo, 2016, acquerello su carta, 12x12cm Senza titolo, 2016, acquerello su carta, 14x21cm Senza titolo, 2017, biro su carta,14x14 cm Senza titolo, 2017, biro su carta, 14x21cm
In copertina: Il sole al buio, 2017, acrilico su carta, 15x35 cm
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