Poster Master Plan: Fauna, flora, fattori di minaccia, specie aliene, e casi di studio

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Pressioni: specie aliene diventate invasive Munari C., Rossi R., Mistri M. Dipartimento di Biologia, Università di Ferrara

Con il termine di specie aliena o alloctona si indica una specie dispersa naturalmente o, nella maggior parte dei casi, introdotta, volontariamente o involontariamente, in un habitat che non le è proprio, designando invece come autoctone le specie originarie del luogo. Le specie alloctone, largamente diffuse nel mondo, si trovano in tutte le categorie di organismi viventi ed in tutti i tipi di ecosistemi. Ne fanno parte, ad esempio, piante ornamentali ed alimentari, animali domestici, pesci di acquario, insetti, parassiti e così via; i tipi più comuni, comunque, sono rappresentati da mammiferi, piante ed insetti. Il movimento di specie da una parte all’altra del mondo, pur avendo origini antiche (variazioni climatiche, mutamenti ambientali, ponti di terre, fino a giungere alle attività umane collegate alle esplorazioni e alla colonizzazione), ha assunto dimensioni ed importanza via via crescenti nell’ultimo secolo. L’attuale globalizzazione economica lo ha ulteriormente accentuato, tanto che appare oggi come un fenomeno tipico dei nostri tempi, con i numerosi e gravi problemi connessi alla crescita esponenziale delle introduzioni. L’immissione di una nuova specie, anche quando viene considerata positiva dall’uomo (piante alimentari, pesci e molluschi per l’allevamento, ecc.), è pur sempre un evento negativo per un ecosistema, perché, in ogni caso, trasforma la composizione e la struttura dell’area invasa, andando i nuovi arrivati ad interagire con la popolazione locale, con possibili squilibri nei rapporti interspecifici (competizione, predazione, associazione, ecc.). Le problematiche riguardanti le introduzioni di specie aliene sono: • a) quelle connesse ai cambiamenti ecologici; • b) quelle connesse ai possibili influssi genetici sulle specie native; • c) quelle connesse all’introduzione, nelle popolazioni indigene, di patogeni non endemici. Non mancano studi che pongono l’accento sulle ripercussioni disastrose che molti organismi esotici, in genere predatori, competitori o parassiti, hanno su flora e fauna native. Queste specie, dette invasive (NIS), persi i fattori che ne controllavano lo sviluppo numerico e la diffusione, crescono e si affermano nei nuovi territori a danno della popolazione locale, favorite o dall’assenza di predatori, o dalla scarsità di competitori, o dalla sovrabbondanza di risorse dietetiche o spaziali, o da favorevoli condizioni abiotiche, o infine da una combinazione di questi ed altri fattori, non ultimi malattie e parassiti che hanno portato con sé e a cui le specie locali non sono resistenti. La loro competizione vittoriosa può trasformare l’habitat a tal punto da rendere difficile la vita ai nativi, i quali, se incapaci di sviluppare adeguati meccanismi di difesa, non riescono a mantenere spazio e cibo, avviandosi pertanto all’estinzione. Le specie introdotte rappresentano una delle più gravi minacce per la biodiversità globale, in quanto nelle aree invase alterano la composizione e la struttura di comunità. Alcuni studi mettono in particolare rilievo questa minaccia, portata non solo a livello di specie, ma anche a livello genetico. Infatti, oltre alla diminuzione delle popolazioni indigene a causa della predazione e della trasformazione dell’habitat, gli invasori possono determinare un altro cambiamento, più sottile e insidioso, ma altrettanto distruttivo: l’alterazione del pool genetico, attraverso l’incrocio con i nativi. Inoltre, potendo agire su alcuni processi a livello di ecosistema, quali, ad esempio, la produttività primaria e secondaria, il riciclaggio di nutrienti e l’idrologia, possono giungere a controllare il funzionamento dell’intero ecosistema. Quindi una specie aliena, trasformando le caratteristiche di un ecosistema, può alterare le regole fondamentali di vita di tutti gli organismi di quell’area, non solo delle specie con cui compete. Altri studi mettono in luce come le NIS possano interagire tra loro, divenendo dannose, dove separatamente sarebbero invece innocue; oppure possano facilitare nuove invasioni, fornendo ad altri alieni vie di trasporto e corridoi ormai stabilizzati, ed un habitat reso da loro più vulnerabile. Secondo il modello dell’ Invasional Meltdown, con l’aumentare delle immigrazioni, la comunità residente viene destrutturata, aprendosi ad ulteriori invasioni; inoltre, una volta stabiliti, alcuni alieni possono alterare le condizioni dell’habitat in favore di altri immigranti, creando così un sistema a feedback positivo, che accelera l’accumulo di specie non indigene e potenzia il loro impatto sinergico; teoria oggi prevalente, in contrapposizione con il concetto di resistenza biotica, fino a poco tempo fa assai diffuso e dominante in letteratura, secondo cui l’arrivo di specie aliene in un nuovo habitat è fortemente contrastato dagli organismi viventi autoctoni.


Pressioni: specie aliene diventate invasive Munari C., Rossi R., Mistri M. Dipartimento di Biologia, Università di Ferrara

Tra gli ecosistemi più vulnerabili al mondo, soggetti più degli altri alle invasioni di alieni, che proprio in questi habitat stanno notevolmente aumentando, vi sono gli ecosistemi marini costieri e di estuario, particolarmente importanti per la biodiversità globale, data la grande varietà di specie native che ospitano. Un’invasione biologica è un processo complicato, il cui successo dipende da una serie di fattori, quali le peculiarità dell’invasore stesso, il meccanismo di trasporto e le caratteristiche biologiche e fisiche degli ambienti di origine e di destinazione. L’introduzione può essere: a) non intenzionale, naturale (es. trasporto in acque profonde, o per mezzo di agenti naturali, come pomice di eruzioni vulcaniche o legno); b) non intenzionale, favorita dalla modificazione dell’habitat (es. apertura del Canale di Suez); c) non intenzionale, attraverso gli scarti prodotti dall’uomo; d) non intenzionale, associata al trasporto umano (commercio, sport, diporto), per mezzo di acque di zavorra, incrostazioni di scafi, merci e imballaggi, ecc.; e) non intenzionale, associata all’introduzione deliberata di specie esotiche per l’acquacoltura (es. Musculista senhousia, giunta in Francia dal Giappone al seguito di partite di semi di ostrica) f) intenzionale, illegale, con l’importazione di specie da zone protette, o con la fuga di specie illegalmente importate; g) intenzionale, legale, a sostegno dell’acquacoltura (es. Ruditapes philippinarum); h) intenzionale, legale, per il controllo biologico governativo Le conseguenze delle invasioni, oltre che economiche, per la diminuzione numerica di specie commerciali soggette a competizione, possono essere ecologiche (a livello di specie, di comunità, di ecosistema) ed evolutive (a livello genetico: incroci). Il successo dell’invasore è in genere dovuto a determinate sue qualità: a) capacità di adattamento al nuovo habitat; b) periodo di vita breve; c) capacità di compiere completamente il ciclo vitale nell’ambiente invaso. Studi recenti dimostrano che i più vittoriosi invasori, negli ecosistemi marini costieri e di estuario, sono i bivalvi, provenienti soprattutto dalle regioni asiatiche. Il punto di forza di questi colonizzatori è il loro opportunismo, abbinato alle grandi capacità adattative, per cui risultano spesso occupatori dominanti dello spazio, collegando il sistema bentonico e pelagico attraverso la filtrazione della colonna d’acqua soprastante. Nel Mediterraneo, in particolare, il numero di specie non indigene è in continua crescita. La vulnerabilità di questo mare alle invasioni dipende da varie cause, tra cui la sua posizione tra le regioni Atlantica, Pontica ed Eritrea, la sua storia (Crisi Messiniana e fluttuazioni climatiche del Pleistocene), le caratteristiche del suo bacino. Questa predisposizione naturale è stata aggravata dal pesante influsso umano: canali, dighe, pratiche di pesca, di acquacoltura e di agricoltura, inquinamento e traffico marittimo hanno favorito, con la disgregazione dell’ecosistema litorale, la decimazione del biota mediterraneo a vantaggio degli alieni. Le più frequenti invasioni di bivalvi, nelle aree del Mediterraneo, interessano principalmente gli ambienti lagunari. La straordinaria velocità di penetrazione di specie alloctone nei biotopi lagunari è probabilmente dovuta alle caratteristiche peculiari di questo ambiente estremo, caratterizzato da forti variazioni di temperatura, di disponibilità di ossigeno e di nutrienti, che rendono le lagune ambienti simili in tutto il mondo; in questo modo l’acclimatazione e l’esplosione demografica vengono facilitate. Esempi di invasioni, favorite dall’uomo, sono dati dall’ostrica portoghese Crassostrea ungulata (introdotta dai Portoghesi ed allevata da secoli in Spagna) e dall’ostrica pacifica, Crassostrea gigas (introdotta dai Francesi negli anni ’60). Un altro esempio è l’introduzione (negli anni ’70 in Francia e negli anni ’80 in Italia) di Ruditapes philippinarum, per il restocking dei banchi di vongola verace (Tapes decussatus), ormai esauriti. Sempre agli anni ’80 risale l’introduzione di Saccostrea commercialis, di origine australiana, nella Laguna di Venezia.


Pressioni: specie aliene diventate invasive Munari C., Rossi R., Mistri M. Dipartimento di Biologia, Università di Ferrara

Musculista senhousia è un mitilide invasivo originario dell'Asia, endemico delle coste siberiane. Indicata come migrante lessepsiano nel Mar di Levante alla fine degli anni ’80 è stata rinvenuta in alcune lagune francesi della regione di Marsiglia (Etang de Tau, Etang D’Or, Balaruc les Bains). Successivamente, è stata segnalata nel nord Adriatico, sui fondali delle lagune salmastre di Ravenna e della Sacca di Goro. Per l’assenza di un gradiente di distribuzione, è da escludersi per questo mitilide un’introduzione naturale. In molti casi, la sua presenza in nuovi ambienti è dovuta al trasporto delle larve per mezzo delle acque di zavorra delle navi da carico. In parte, la sua dispersione è da attribuirsi anche ai traffici commerciali riguardanti la molluschicoltura. Si pensa, infatti, che possa essere arrivato in Francia assieme a partite di semi di ostrica, provenienti dal Giappone; allo stesso modo potrebbe essere pervenuto nell’Alto Adriatico, con partite di semi di bivalvi (ostriche o vongole) francesi. Dal 1995, M. senhousia risulta essere costantemente presente nella Sacca di Goro, con abbondanze via via crescenti, fino a raggiungere densità di anche 104 ind m-2; in ampie aree della laguna è la specie numericamente dominante. In generale, il successo delle specie invasive viene contrastato dalle disponibilità nutrizionali: l’ingresso, in un ambiente, di un ulteriore consumatore riduce l’abbondanza totale delle risorse disponibili per ogni singola specie; nel caso della Sacca di Goro, invece, oltre alla presenza di quantità di materiale organico derivante dalla decomposizione dei letti macroalgali di Cladophora e Ulva, l’apertura di una nuova bocca a mare e l’ingresso, attraverso questa, di acque ricche di nutrienti, hanno sostenuto, in termini nutrizionali, la specie invasiva e ne hanno consentito lo stabile insediamento nell’ecosistema. Si ipotizza, inoltre, che M. senhousia si sia venuta a trovare in un ambiente con sedimenti abitati da comunità bentoniche fortemente impoverite. Per questi motivi, è forse più corretto considerare il mitilide come un colonizzatore, piuttosto che come un invasore, in quanto, più che intromettersi nella comunità e sostituirsi ad altre specie indigene, ha sfruttato un ambiente eutrofico, fortemente disturbato e caratterizzato da una componente biotica depauperata. M. senhousia è una specie a rapida diffusione e, non essendo commercialmente sfruttabile (non è ritenuta edule), non è soggetta a sforzo di pesca, quindi può competere vittoriosamente per spazio e cibo. In molti ambienti,in cui è stata introdotta, il suo successo è anche dovuto alla mancanza di predatori specifici. Presenta i tratti tipici delle specie opportuniste: piccola taglia, crescita veloce, alte densità, lungo stadio di dispersione planctonica, vita breve, mortalità elevata; risulta inoltre avere un'elevata fecondità. E' caratterizzata anche da notevoli fluttuazioni nella densità della popolazione. Ha vita breve, in media due anni. Per quanto riguarda la Sacca di Goro, la grande maggioranza degli individui è annuale, e solo una piccola frazione ha un periodo di vita superiore all’anno e mezzo. In estate, la popolazione è caratterizzata da un’elevata mortalità; per esempio, tra Giugno e Settembre ’99, la riduzione di individui nella Sacca è stata dell’80% circa. Una causa di questo decremento è da imputare alle difficili condizioni ambientali, che caratterizzano la laguna nel periodo estivo, quali le alte temperature dell’acqua e l’anossia prolungata. M. senhousia è, infatti, una specie che presenta bassa tolleranza al decremento di ossigeno. A funzione protettiva della sottile e fragile conchiglia, il mitilide forma un nido di filamenti di bisso. Quando la sua popolazione supera la densità critica di circa 1500 ind m-², i bozzoli individuali di bisso si fondono insieme a formare un tappeto continuo, strutturalmente complesso, che ingloba sedimento, conchiglie ed alghe, e che copre la superficie del substrato, alterandone le proprietà; quest’ultimo, infatti, sotto i letti di M. senhousia appare generalmente nero ed anossico, perdendo l’idoneità alla coltivazione di bivalvi. Il mitilide è dunque un ecosystem engineer, dato che, attraverso queste complesse trame di bisso, è in grado di alterare l’habitat bentonico: i tappeti sono particolarmente nocivi, in quanto, facendo da barriera tra fondale e colonna d'acqua, limitano gli scambi gassosi, danneggiando fortemente le coltivazioni di bivalvi fossori; rendono inoltre inaccessibile il sedimento al settling di altre specie di bivalvi e, aderendo alle maglie della rasca (rastrello usato per la raccolta delle vongole), ne riducono la selettività .







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