Vol. 10 Master Plan: Zonazione e zonizzazione

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Rapporto tecnico- scientifico conclusivo

Volume 10 Zonazione e Zonizzazione (Da completare dopo essere stata sottoposta alla discussione e verifica con gli stokeholders)


Volume 10 Zonazione e Zonizzazione (Da completare dopo essere stata sottoposta alla discussione e verifica con gli stokeholders)

A cura di

CIRSA

Foto di copertina: V.Zago, 2004


Indice del Volume 10 Introduzione 10.1 – Criteri e metodi adottati 10.2 –Zonazione area costiera 10.3 – Zonizzazione proposta 10.3.1. – Zona Sacca di Goro 10.3.2 – Zona Boscone della Mesola ed aree circostanti 10.3.3 – Sistema Valle Bertuzzi- Lago Nazioni- Foce Volano 10.3.4 – Sistema Valli di Comacchio- Bellocchio- Foce Reno 10.3.5 - Sistema Aree Umide ( Alberete-Canna- Bardello)- Pinete- Piallasse Ravennati 10.3.6 - Sistema Foce Bev ano- Ortazzo/ Ortazzino- Pineta di Classe 10.3.7 - Aree umide di Campotto 10.3.8 – Sistema Pineta- Saline di Cerv ia 10.3.9 - Sistema delle Dune litoranee

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Come da Art.5 della Convenzione attivata la PROPRIETA' E UTILIZZO DEI RISULTATI prevede che: “Il beneficiario ed il partner del progetto Master Plan della Costa del Parco Regionale del Delta del Po sono proprietari dei documenti, delle invenzioni brevettabili o brevettate e delle conoscenze tecniche acquisite nell'ambito del progetto. Ogni diritto di utilizzazione dei risultati della ricerca così come ogni diritto inerente alla documentazione sviluppata spetta in esclusiva al PARCO…”.


Introduzione La “zonazione” e la “zonizzazione” costituiscono sotto il profilo metodologico uno dei più utilizzati e consolidati strumenti operativi anche nel cam po della gestione integrata delle zone costiera. In base alle num erose esperienze di settore sono in realtà suggeriti ed utilizzati diversi approcci, criteri e meccanism i m etodologico- operativi, a dim ostrazione delle diverse specificità da affrontare in cam po territoriale ed ambientale così come dei diversi approcci al problema (Agardy, 1993). E ciò si evince anche dal significato assunto dai termini stessi che qui si è al m om ento preferito sudduvidere, per le finalità intrinseche della ricerca, nella loro accezione più strettamente fisicoambientale, la “zonazione” o “strategico program matorio e pianificatoria”, cioè la “zonizzazione”, . Anche ai fini del Master Plan, il più comune e funzionale tra i criteri adottabili è oggi quello che considera la zonazione e la zonizzazione una utile strategia allo scopo di individuare in un’area quelle zone in cui è possibile ipotizzare un “uso sostenibile”, cioè, in ultima analisi, sulla sostenibilità fisico- naturale e socio- econom ica del sistem a che, nel caso in esame, deve essere prim ariamente focalizzato su un insiem e Terraferma - Transizione- Mare non disaggregabile o fram mentabile strumentalmente all’origine. Questo approccio presenta però, soprattutto nel caso del Parco del Delta del Po- RER, tutti i lim iti e le deformazioni oggettivamente indotte da un approccio esclusivam ente legato al ricercare, attivare ed applicare metodologie adeguate soprattutto in risposta ai contenuti disciplinari previsti dalle vigenti di leggi e norm ative in tem a di pianificazione territoriale ed urbanistica. Sotto questo punto di vista l’artificiosità propria ed intrinseca della “zonizzazione” porta infatti, innanzitutto, all’individuazione di confini fra aree destinate a gestioni diverse che rischia di alterare l’unità organica del territorio e delle Stazioni del Parco, vocato in prima istanza alla conservazione delle risorse naturali (Min. Ambiente, 1997). Di conseguenza, nella programm azione, pianificazione e gestione dei parchi, dove, rispetto alla tradizionale pianificazione si debbono esaltare le dinamiche evolutive di peculiari e qualificanti presenze “naturali”, si rende assolutamente indispensabile adottare criteri di analisi e di progetto interdisciplinari capaci di cogliere la com plessa articolazione degli equilibri della geo- e della biodiversità. Criteri che, ovviam ente, in tal senso non possono essere limitati ai soli approcci e strum enti legati alla “ tutela passiva” o “mediata”, cioè i classici “Piani” (ad esem pio, PTPR, PTSP, PSC, ecc) a contenuto prevalentem ente vincolistico- attuatorio, interessati da una “zonizzazione ufficiale”, che tende a svilupparsi su distinti livelli spaziali ma non tiene conto dell’elemento “tem porale” di evoluzione dinamica del territorio: − una zonizzazione regionale o di am pia scala che, usualm ente, definisce le strategie e gli indirizzi programm atori e pianficatori di carattere generale. Per il caso in esame un esempio in tal senso può essere rappresentato dalla legge regionale in tema di “Difesa del Suolo e Gestione Integrata delle Zone Costiere” e dal previsto ( ma futuro) “Piano GICZ- RER”, dal vigente PTPR (Piano Territoriale Paesistico Regionale e dai relativi PTCP (Piano Territoriale Coordinato Provinciale); − una zonizzazione locale che definisce specifiche scelte all’interno del piano generale, quale, ad esempio, si può verificare nel caso di un PSC/ PRG o in un Piano dell’Arenile o, com e nel caso in esame, nell’articolazione delle singole “Stazioni del Parco RER” condivise dalle singole Am ministrazioni locali oltre che dalla Regione; − una zonizzazione specifica delle aree di Parco ( com unque sovraordinata m a sem pre da mediare rispetto ai precedenti PSC/ PRC ed Arenile) costituita dai limiti delle singole Stazioni e dalla loro articolazione in Zone A, B, ecc di Parco;


Tutti approcci che, si ribadisce, debbono in genere rispondere a specifiche logiche di settore, tra cui non escluse quelle politiche, talora non sem pre del tutto com patibili con le esigenze proprie, alm eno rispetto a quanto in discussione, di una Gestione Integrata delle Zone Costiere. Essi infatti focalizzano in genere l’attenzione su elem enti progettuali che, pur rispondendo a indirizzi e normative nazionali e locali, possono trasformarsi in problem atiche trasform azioni, a livello ambientale, del sistem a preso nel suo insiem e e non per singoli e specifici settori. Con logiche di tipo settoriale inoltre è abbastanza facile, anche nel pieno rispetto della normativa vigente, introdurre trasform azioni/ alterazioni nell’equilibrio territoriale/ am bientale che potrebbero essere a rischio o peggiorative della situazione esistente in virtù di una peculiarità non facilmente/ imm ediatamente codificabile. E’ ormai per altro ampiam ente condiviso che l’artificiosità propria della “zonizzazione norm ativa” porta all’i ndividuazione di confini fra aree destinate a gestioni spesso in grado di alterare l’unità organica del territorio del parco, vocato in prim a istanza alla conservazione delle risorse naturali (M in. Ambiente, 1997). Di qui, dunque, l’esigenza di proporre e dotare il Master Plan della Costa del Parco del Delta del Po di una “zonizzazione” a valenza fisico-dinamico, socio- economica ed evolutiva che segua le logiche della GIZC, oltre che di semplice “zoanazione”; riconoscendone cioè anche le diverse entità che la com pongono nell’ambito d un territorio “m are- transizione- terra” e, soprattutto, le principali interazioni ed interconnessioni che lo controllano e condizionano. Cioè, in altri term ini, mutuando la com une terminologia, passare da “Piani di Azione” a “Piani di Indirizzo” il cui significato è quello di conferire continuità, organicità e prospettiva all’insieme delle conoscenze necessarie per governare con un approccio sistemico questi territori. In definitiva dunque, attivare form e di “tutela attiva”, cioè azioni e zonizzazioni sufficientemente “elastiche” che possano migliorare il bene ambientale e/o territoriale e la sua conoscenza, conservazione dinam ica e fruizione. Del resto, ogni particolare tipo di zonizzazione è il risultato di una scelta: 1) la scelta, prima di tutto, delle variabili in considerazione delle quali si è pervenuti a quel tipo di zonizzazione; 2) una scelta politica, dunque, che ha consentito di discrim inare ciò che si ritiene importante da ciò che, invece, si ritiene non im portante. Allora non sem bra esagerato affermare che la scelta di un particolare tipo di zonizzazione è già, in sé, implicitamente e potenzialmente, la scelta di un particolare tipo di politica che si intende attuare (Preto & Occelli, 1994) In quest’ottica la “zonizzazione” di seguito discussa non ha, ovviamente, nessuna pretesa di sostituirsi o m odificare in alcun m odo le norm ative e zonizzazioni esistenti sotto il profilo amministrativo e vincolistico- pianificatorio. Essa intende essere solo un contributo, ragionato e di riflessione, soprattutto sotto il profilo scientifico e tecnico- operativo, del tutto preliminare ed informale m a certamente in grado di aiutare amministratori e progettisti nel definire, decidere e sintetizzare le scelte da prendere ed attivare localmente, tenendo conto delle reali condizioni di vulnerabilità e sostenibilità delle singole realtà e zone territoriali strettamente e prioritariam ente interconnesse. Zone dunque che non vanno assolutamente interpretate sotto il profilo degli stretti confini amm inistrativi m a in un’ottica di coerente approccio ai diversi, specifici, integrati ed interattivi problemi che, obbligatoriamente, possono variare ed evolversi rapidamente nel tempo e nello spazio ( condizione questa, che caratterizza già oggi le singole specificità del Parco e, soprattutto, che continueranno a delinearlo nell’immediato futuro) . In quest’ottica diviene per altro obbligatorio precisare anche che: a) se il MP, come è, non è un piano come gli altri, m a un piano “che dialoga con gli altri”, e deve “portar ragioni” delle scelte che propone, aprendosi alla loro pubblica discussione; b) si tratta di vedere come e in qual misura


possa contribuire ad una ’azione pubblica di tutela e m iglioram ento della qualità ambientale; attivare cioè le opportune azioni di “tutela attiva”. Un contributo preliminare in tal senso può certamente venire proprio dalla “zonizzazione” proposta che potrebbe rappresentare anche il prim o passo ad una successiva e più puntuale “interpretazione strutturale del territorio”; vale a dire una interpretazione com plessiva e olistica del territorio e delle sue diverse “zone”, tale da mettere in evidenza i “punti fermi”, i valori non negoziabili e le condizioni irrinunciabili da rispettare. Questa condizione infatti non è al m om ento risolvibile, se non parzialm ente, a livello del MP in discussione considerati i limiti temporali, di risorse in gioco e, soprattutto, le finalità intrinseche nelle previste attività e scelte all’origine im postate. Deriva però, im plicitamente, che una puntuale e completa “interpretazione strutturale del territorio” potrà e dovrà costituire una immediata e logica azione successiva al com pletam ento del M P, ottimizzando efficacem ente, a partire dalla scala di intervento locale, tutti quegli elem enti di fondo, peculiarità, e zonizzazioni utili ed indispensabili per giungere ad una fase più strettam ente e tipicam ete “pianificatoria”, anche a livello previsionale, dell’assetto del Parco nel futuro. A fronte delle com plesse interazioni che stanno alla base delle dinam iche ecosistem iche del Delta e che ne caratterizzano le principali criticità, l’ interpretazione “ strutturale e pianificatoria” deve infatti basarsi su approcci realm ente interconnessi, inter-disciplinari e, sem pre più spesso, transdisciplinari ( ad esem pio, anche considerando la sfera pianificatoria in senso stretto che con com poneva una tem atica specifica del M P) sul confronto e l’interazione tra i contributi che provengono dai diversi am biti disciplinari o che maturano fuori dai recinti tradizionali. Di qui l’utilità di una griglia interpretativa comune, nella quale far convergere, in forma sintetica e coordinata, le valutazioni operate sotto i diversi profili analitici. Tale griglia ha un valore, appunto, interpretativo: sconta cioè l’im possibilità di tradurre le conoscenze acquisite e le valutazioni operate in un sistema di “certezze”, oggettivam ente, scientificamente ed irrevocabilmente validate, e la necessità, al contrario, di lasciare aperte le frontiere del sapere e di stimolare confronti ed aggiornamenti continui. Essa tende a evidenziare i caratteri strutturali del territorio, vale a dire quei caratteri (elementi o relazioni tra elem enti) dotati di relativa stabilità o permanenza, che possono assum ere valore condizionante nei confronti dei processi di trasform azione, distinguendoli da quelli che si limitano ad aggettivare o ulteriormente qualificare i diversi ambiti territoriali: in altre parole, le “invarianti” già previste dalla legislazione regionale, che concorrono a definire le “regole costitutive” o gli “statuti dei luoghi” da cui nessuna scelta di piano può prescindere. E’ un contributo importante alla cultura del dialogo e del confronto, che consente una interazione efficace tra il MP e gli altri piani (chiarendo quali sono le poste in gioco e gli spazi della negoziabilità) m a favorisce anche il dialogo sociale e la discussione pubblica delle scelte, avvicinando il sapere esperto al sapere diffuso ed ordinario. In questo senso l’interpretazione strutturale del territorio può rappresentare, per il MP, una cerniera essenziale tra la fase ricognitiva e quella propriamente progettuale. M a il suo ruolo può proiettarsi anche nelle fasi successive di gestione del piano se – com e sem bra possibile – si introdurranno nel MP procedure esplicite di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), e si tenterà di uscire dalla logica “pressione-risposta” per avviare un “processo di gestione della qualità”. Per quanto riguarda gli scenari di riferim ento, gli studi per il M P evidenziano la rilevanza e insieme le difficoltà di previsione dei cam biamenti attesi, a partire da quelli climatici e dalle loro dramm atiche conseguenze territoriali, inasprite dalla subsidenza naturale e di quella provocata dalle estrazioni anche dopo la loro cessazione. Nonostante l’incertezza delle stime, i segnali raccolti inducono infatti a ripensare alla radice il rapporto terra/acqua nel Delta – profondamente alterato nel corso dell’ultimo secolo, in cui le zone d’acqua si sono ridotte a meno di un quarto –


rimettendo in discussione sotto tutti i profili (geologico, ecologico, agronom ico, paesistico e culturale). Non solo le scelte del MP ma anche e, soprattutto, l’”interpretazione strutturale del territorio, dovranno fare i conti con questi scenari. Dovranno consentire di fronteggiare rischi e criticità più severi degli attuali, di cogliere opportunità nuove e in parte imprevedibili, di gestire processi di crescente com plessità. In questi scenari, gli obiettivi assunti non sembrano in alcun modo raggiungibili con misure di basso profilo, tese a sm orzare gli esiti meno desiderabili e a salvare le risorse di m aggior pregio. Ciò vale per il patrimonio naturale, che va protetto con politiche di sistema, atte a ridurre gli effetti negativi della framm entazione e a ripristinare le reti ecologiche e le continuità vitali. E vale per il paesaggio, nell’am pio significato attribuitogli dalla Convenzione Europea del Paesaggio: mai com e in questo contesto, non si salva il paesaggio se non si salva il paese. Paradossalmente, quanto più stringente è l’opzione conservativa, tanto più essa va interpretata in senso innovativo, rim ettendo in discussione quelle tendenze e quei processi che hanno mutilato o degradato un patrimonio unico al m ondo. Una conservazione efficace di questo patrimonio richiede la messa in cam po di strategie di vera e propria “ri-territorializzazione”, dopo le potenti spinte destrutturanti che, soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, ne hanno investito i rapporti storici con le culture, le econom ie e le società locali. In questo senso le strategie conservative possono e debbono concorrere efficacemente allo sviluppo locale sostenibile: di cui anzi, nella peculiare situazione del Delta, costituiscono la condizione necessaria. E inversamente, il rafforzamento dei sistemi locali e delle loro capacità di gestire con modalità durevoli le risorse locali è la condizione di successo di ogni strategia di autentica conservazione. Questo mutuo rapporto conferisce al quadro strategico del MP il carattere di un grande progetto collettivo, che chiama a raccolta la pluralità dei soggetti locali coinvolgendoli in un processo aperto di “governance” territoriale. Di qui, una duplice considerazione finale: è necessario che la form azione del MP si apra ad un processo di confronto e di dialogo che porti alla condivisione più larga possibile delle scelte strategiche di fondo: ed è necessario che il contributo di idee e di conoscenze prodotto dal M P, collegandosi ai piani e ai program mi che riguardano il Delta, trovi al più presto il suo posto nei processi di cooperazione, di concertazione e di co-pianificazione necessari per governare il cambiamento.


10.1 - Criteri e metodi adottati Per l’area in esam e si è proceduto ad una prima “zonazione” fisico- am bientale di base a cui segue una, seppur prelim inare, prelim inare “zonizzazione attiva” che, a partire dagli obbiettivi e dalle finalità stesse del MP, riuscisse a compendiare, con le esigenze e le realtà locali, le più recenti indicazioni, anche regionali, in tema di GIZC e di sviluppo sostenibile. Tale zonizzazione rispecchia alcune consolidate esperienze comunitarie ed internazionali e traduce in termini operativi alcune prim arie indicazioni m etodologiche recentemente messe a punto a livello nazionale e locale. Tra queste, in particolare, vengono considerate prioritarie, oltre a quanto sporadicam ente indicato dalla norm ativa nazionale, alcune linee guida adottate e/o indicate dalla Regione E/R in tema di redazione di studi di fattibilità (VAS/ Valsat, Valutazioni di Incidenza, ecc) e, soprattutto, il “Piano GIZC- RER”. Soprattutto in term ini di VAS/ Valsat ( per la RER) va ricordato che essa è il risultato della forte spinta impressa dai principi di sviluppo sostenibile. Questo strumento permette di contemperare nella fase della valutazione - le diverse esigenze della program mazione e della pianificazione territoriale con approcci innovativi quali la geodiversità e l’ecologia del paesaggio. Le affinità con la valutazione di impatto am bientale (VIA), nonché l' obbligo di allegarla ai piani ed ai program mi da presentare all' Unione europea (UE) per i finanziamenti, hanno favorito negli ultimi tem pi un particolare interesse in materia. Attualmente, in attesa di una direttiva, l' unico riferimento è rappresentato dal Manuale redatto dall' Unione Europea per la valutazione ambientale di Piani di sviluppo regionale e dei Programm i dei Fondi strutturali. La VAS viene applicata nella fase di program mazione e pianificazione ambientale com e per esem pio, nella valutazione dei piani di settore (Piano Rifiuti; Piano Cave; Piani Territorio), oppure nella valutazione di Piani di sviluppo, program mi di sviluppo, di finanziam ento, ecc. Ciò sulla base di "scenari" che vengono elaborati all' interno della VAS m a in proposito va sottolineato che, in generale, prevedere impatti e scenari a livello strategico com porta una serie di fattori di incertezza: a) Incertezza a livello scientifico dovuta ad un orizzonte temporale molto prolungato, alla complessità delle interazioni o alle scarse conoscenze disponibili; b) Scarsa precisione nella misurazione dell’impatto; c) Incertezza sulle attività e sulle misure precise di attuazione dei piani o dei program mi (ad esempio, dove sarà localizzato lo sviluppo). In generale per questo tipo di valutazioni vengono poi adottate specifiche tecniche di valutazione, tra cui (avendo le stesse costituito un processo portante nel processo di azione ed elaborazione del MP del Parco e, quindi, certam ente idonee per affrontare sim ili processi): http://cst.provincia.bologna.it/ptcp/conf_pian/Valsat/allegati_valsat.pdf 1)Analisi delle tendenze. Consente di valutare nel tem po la situazione di una risorsa naturale, di un ecosistema o di una zona sensibile. Di solito fornisce una proiezione delle condizioni passate e future e può essere utilizzata per calcolare eventuali cambiam enti avvenuti nel tem po, nella frequenza o nell’i ntensità di un fattore di pressione; 2) Sovrapposizione di mappe e sistemi d’informazione geografica (GIS). Consente di aggiungere una dimensione spaziale all’analisi e ai dati raccolti. Questa tecnica può essere usata per individuare le zone idonee alla localizzazione o quelle di cui occorre limitare o addirittura evitare lo sviluppo (cartografia dei vincoli) o quelle che subiranno l’impatto ambientale maggiore (ad esempio, potenziale invasione delle zone sensibili da parte degli sviluppi previsti) o anche la valutazione comparata di localizzazioni alternative. Questi strumenti possono essere particolarm ente utili per l’analisi degli im patti cumulativi, in quanto individuano le zone dove tendono ad accum ularsi le pressioni dovute allo sviluppo.


3) Analisi della biodiversità e dell’ecosistema. Questo strumento è particolarmente utile a livello strategico perché imperniato su approcci olistici e su ampie prospettive regionali e interregionali. Può servire ad affrontare il tema dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. In genere si basa sui confini naturali o sulle zone sensibili. In particolare la zonizzazione preliminarmente qui adottata si fonda dunque sulle seguenti verifiche e valutazioni iniziali: − − − − −

Analisi dei principali lineamenti storico- evolutivi; Analisi dei principali aspetti m eteomarini e geom orfologici; Analisi dei principali aspetti socio- economici; Analisi dei principali aspetti ambientali e della pianificazione; Rapporti con gli strum enti urbanistici in atto/ vigore.

In sostanza cioè, la zonizzazione proposta prende l’avvio da una possibile azione di “site planning”, fatto che implica innanzitutto una attenta analisi dei diversi dati disponibili sull’area ( socio- dem ografici, economici, fisico- naturali ed ambientali, ecc.) in grado di fornire quella serie di elementi conoscitivi delle realtà territoriali ed am bientali che, a vario grado, potranno essere interessate da significative modificazioni fisiche ed ambientali a medio- breve term ine.. Diviene allora innanzitutto necessario, anche per rispettare le esigenze di una chiarezza e standardizzazione dei dati e degli approcci analitici, classificare in m odo univoco il “sistema costiero”. La sua classificazione o zonizzazione può infatti variare a secondo delle esigenze e dei criteri di approccio (giuridici, econom ici, urbanistici, ecc) ma il principale e prioritario tra questi, oltre che il più utile per gli scopi in esame, è quello "geomorfologico"; basato cioè sulle “form e” del rilievo che, a loro volta, sono strettam ente legate ai processi abiotici, biotici ed antropici che caratterizzano l’area. In questo contesto è allora importante ribadire alcune considerazioni, condivise e fatte proprie in questa proposta di zonizzazione, concernenti la questione dello spazio e della sua concezione, così come proposta da alcune “filosofie e/o linee di pensiero” in campo urbanistico e pianificatorio. Filosofie dove il problem a dello spazio assum e l’aspetto di questione fondamentale e prioritaria quando si affrontano problem i connessi con la pianificazione territoriale (Preto & Occelli, 1994): “… Individuare infatti ambiti territoriali per le politiche di piano è un problema la cui risoluzione comporta, necessariamente, in modo più o meno implicito, determinate concezioni dello spazio le quali non sono neutrali rispetto alle politiche stesse. Rendere esplicito ciò che è implicitamente contenuto in un particolare tipo di zonizzazione significa allora chiarire le intenzioni, le prospettive, all' interno delle quali una politica si muove, significa evidenziare la direzione in cui essa si muove…Dunque, il proporre semplicemente un' elencazione di quei metodi e di quelle tecniche che consentono, operativamente, di pervenire a definite individuazioni di ambiti di intervento per le politiche di piano, può apparire, per il suo carattere di oggettività tecnica, un' operazione corretta in quanto prodotto di un modo corretto di operare da parte dei tecnici. Ma così non è, perché ogni particolare tipo di zonizzazione è il risultato di una scelta: la scelta, prima di tutto, delle variabili in considerazione delle quali si è pervenuti a quel tipo di zonizzazione, una scelta politica, dunque, che ha consentito di discriminare ciò che si ritiene importante da ciò che, invece, si ritiene non importante. Allora non sembra esagerato affermare che la scelta di un particolare tipo di zonizzazione è già, in sé, implicitamente e potenzialmente, la scelta di un particolare tipo di politica che si intende attuare.” In quest’ottica nell’am bito del M aster Plan e della zonazione e zonizzazione qui indicate è stato quindi innanzitutto applicato ed adottato il concetto di “Geodiversità”; concetto che si fonda sulle


variazioni del substrato, dei depositi, delle forme del terreno e dei processi fisico- naturali che modellano i paesaggi e ne determ inano e controllano strettam ente l’evoluzione anche bioecologica e socio- economica. La “Geodiversità” trova per altro il suo fondamento e si manifesta nelle significative diversità del paesaggio; essa fornisce infatti le tram e e le strutture di base per lo sviluppo degli ecosistemi e della biodiversità possibile in una determ inata area. Di conseguenza ed in ultima analisi, le qualità formali del “contenitore” non sono da considerare puri e sem plici caratteri fisici, cui può venire più o m eno riconosciuto un valore estetico o paesaggistico, ma esse rappresentano l' insieme di elementi dinamici cui sono legati, in modo irreversibile, funzioni e gradi ecologici complessi ( ma, per m olti versi, anche socio- economici e culturali) che vanno perduti se la forma va perduta o se ne vengono alterati, in modo sensibile, le qualità, gli equilibri e le dinam iche fisiche. Secondo questo criterio, ormai in buona parte adottato anche in termini di gestione e pianificazione territoriale ed a cui facilm ente possono essere “aggregate” le altre suddivisioni (ad esem pio quelle normative in rapporto ai limiti di urbanizzazione, sfruttamento delle risorse turistiche, ecc), il litorale è costituito da ambienti che, innanzitutto, sono stati notevolm ente influenzati dalle variazioni relative del livello del m are anche nei tem pi più recenti. Am bienti che riflettono cioè i continui cam biamenti che avvengono nelle relazioni, naturali o m eno, tra subsidenza, oscillazioni eustatiche e processi dinam ici che agiscono a tali livello. Sull’argomento vale per altro ricordare come questo tipo di considerazioni non possono essere scisse, oltre che dal contesto “spaziale”, da un altrettanto im portante contesto “tem porale”, cioè evolutivo e che, di norma, non costituisce, rispetto a quanto invece inteso con la zonizzazione in esame, un elemento fondante nella logica dei PTPR, PTCP, ecc. ed anche nella stessa Legge istitutiva del Parco che determ ina un prim o livello di zonizzazione dello stesso. I processi ed i meccanism i che, infatti e soprattutto in un sistem a altam ente dinamico quale quello deltizio, determ inano grado e livello delle variazioni e trasformazioni delle form e del terreno che possono essere raggiunte (nel passato così com e nel futuro) sono infatti regolati da una serie di “meccanism i” che, sostanzialm ente, si ripetono e si succedono nel tempo in funzione del diverso rapporto o, meglio, “equilibrio” che si instaura in un determ inato mom ento, più o m eno lungo, tra clim a, acque, sedimenti e dinamiche fisiche, ma che non sono previsti dalle norm ative. Una normativa infatti, quale PTCP o Stazioni del parco, sono generalmente strutturate in senso statico, cioè considerano un territorio sotto il profilo strettamente “burocratico- amm inistrativo” relativo ad un contesto “del m om ento”, cioè risultante della “fotografia” di un territorio in un certo momento del suo specifico assetto. Un assetto che, invece, in un sistem a deltizio quale quello del Parco sottende im plicitamente una dinam icità m olto più elevata e rapida di quella che normalmente intende un’azione “regolatrice e/o normativa” del territorio che, soprattutto, traccia “confini” di cui, la naturale evoluzione di uno specifico ambito territoriale o ambientale non può certamente rispettare e seguire gli obblighi. In questo contesto diviene poi ovvio com e l’esistenza, le caratteristiche e la funzionalità territoriale ed ambientale dell’insiem e com plessivo di queste aree non possono essere svincolate nè delle acque marine costiere nè, soprattutto, dalle caratteristiche idrologico- idrogeologico superficiali e sotterranee del sistema idrico di terraferma. Per quanto riguarda le acque m arine è evidente che le loro dinam iche (m eteomarine, m areali, ecc), qualità e fenom eni di eutrofizzazione, ecc., possono determinare sostanziali variazioni ed evoluzione dei complessivi caratteri ecologici, di naturalità, vulnerabilità e rischio riscontrabili nelle acque di transizione. Il condizionamento ed il controllo esercitato dal reticolo idrografico di terraferma contribuisce ovviamente in m odo altrettanto im portante alle possibili modificazioni ed alterazioni.


Ovviam ente, tutta la zonizzazione proposta si basa poi sul presupposto che le prescrizioni e le norme urbanistiche ed edilizie vigenti vengano rispettate (Piani Regionali e Provinciali, Stazioni del Parco, PRG, ecc) e che venga focalizzata l’attenzione su alcuni prim ari elem enti ambientali, non rispondenti solo a indirizzi e normative di vario livello, ma che presentino im portanti im plicazioni nell’am bito complessivo di una azione in tema di sviluppo sostenibile e che, ad esem pio, il PTCP della Provincia di Ravenna così sintetizza: “…L' approccio pragmatico alla sostenibilità a livello locale richiede che si traccino innanzitutto i lineamenti essenziali del sistema di attori e di forze che concorrono a formare il profilo della sostenibilità sociale, economica e ambientale… Inoltre la rappresentazione sistemica farà prioritariamente riferimento al punto di vista della ' pianificazione sostenibile’, cioè all' insieme degli strumenti e delle cognizioni a disposizione dell' attore pubblico per praticare politiche di sostenibilità… determinando specifiche condizioni ai processi di trasformazione del territorio, obiettivi e finalità che si richiamano a: 1) conservare i connotati riconoscibili della vicenda storica del territorio nei suoi rapporti complessi con le popolazioni insediate e con le attività umane; 2) garantire la qualità dell’ambiente, naturale e antropizzato, e la sua fruizione collettiva; 3) assicurare la salvaguardia del territorio e delle sue risorse primarie, fisiche, morfologiche e culturali; 4) individuare le azioni necessarie per il mantenimento, il ripristino e l’integrazione dei valori paesistici e ambientali, anche mediante la messa in atto di specifici piani e progetti.” L’i nsiem e delle indicazioni derivanti dai vari Piani territoriali ha ovviam ente perm esso, a partire innanzitutto a livello di Stazioni del Parco, una prima zonizzazione delle componenti terrestri e di transizione del sistem a costiero m a, per loro intrinseca struttura, non potevano certamente soddisfare le esigenze di una com plessiva ed integrata zonizzazione come qui intesa poiché, per il caso in esame, questa doveva prendere in considerazione anche quelle più specificatamente marine. Anche queste ultime infatti sono in genere quasi del tutto trascurate nel campo delle vigenti pianificazioni territoriali ed ambientali e testim onianza ne è che essa non com pare alcun tipo di considerazione i tal senso, neanche a livello di PTPR, PTCP e, molto lim itatamente, di Stazioni del Parco. In proposito vale per altro ricordare che solo la normativa in term ini di SIC/ ZPS focalizza parzialmente l’attenzione operativa sulle zone più strettamente marine indicando com e l’eventuale estensione di aree coinvolgano zone di spiaggia si am pliano agli antistanti fondali. Valutazioni di una qualche valenza specifica si ritrovano infatti solo in piani settoriali di intervento quali, ad esem pio, quelli concernenti i “Piani Progettuali per la difesa della costa dall’erosione” elaborati negli ultimi due decenni dalla Regione E/R. Progetti che però, come esprim e chiaramente il titolo e le relative introduzioni, sono orientati verso un aspetto gestionale- ingegneristico estremamente specifico e, soprattutto, riguardante solo un particolare aspetto, cioè quello dell’erosione costiera. In particolare, per il futuro sarà dunque sempre più necessario ricercare ( mutuando, ad esempio, quanto di interesse a partire dal “Manuale per la zonizzazione dei Parchi Nazionali” del Servizio di Conservazione della Natura del Min. Ambiente, di cui di seguito si riporta un ampio stralcio condividendolo sostanzialmente) una programm azione ed una successiva pianificazione e gestione delle aree di interesse, in grado di garantire la rigida conservazione delle risorse naturali all' interno delle zone di particolare e specifica valenza ed il controllo del sistem i di relazioni già esistenti o nascenti tra aree contigue e ambiti territoriali lim itrofi. Si è in presenza, dunque, di forme di pianificazione specialistica e di settore opportunam ente raccordate con la pianificazione ordinaria m a non attraverso il concepimento di una metodologia di pianificazione delle aree protette mutuabile per intero ed acriticam ente dall’urbanistica intesa come mera trasposizione delle esperienze di zonizzazione già realizzate nella pianificazione ordinaria. Per altro, la comune artificiosità propria della zonizzazione pianificatoria a livello urbanistico, che porta all’individuazione di confini fra aree destinate a gestioni diverse, rischia di alterare l’unità organica del territorio del parco, vocato in prima istanza alla conservazione delle risorse naturali. Sarà invece utile


sperimentare un percorso di piano e conseguente zonizzazione capace di soddisfare esigenze di regolam entazione di uso, conservazione e restauro di am biti territoriali del tutto speciali e significativamente interrelati tra di loro. Nella pianificazione dei parchi dove, rispetto all’urbanistica tradizionale, si esaltano le dinam iche evolutive di significative e qualificanti presenze naturali, si rendono poi ancora più indispensabili criteri di analisi e di progetto interdisciplinari (coinvolgenti com petenze che vanno dal naturalista allo storico) capaci di cogliere la complessa articolazione degli equilibri ecosistemici. Nei parchi italiani dove, in analogia con molte altre aree protette europee, il territorio presenta un' ampia gam ma di risorse naturali e di richieste sociali, il rapporto interattivo analisi - piano si dovrà strutturare in un ambito di competenze sem pre più allargato ed articolato e caratterizzato dall' interdisciplinarietà. Le caratteristiche basilari che dovranno contraddistinguere il percorso metodologico del processo di piano saranno dunque: a) la ciclicità, che si esplica nella costruzione di un processo di piano aperto, perfettibile ed aggiornabile, capace di consentire "reciproci aggiustamenti" dell' analisi e del piano, dal prim o approccio conoscitivo alla definizione dell' assetto dell' area. La ciclicità ed adeguate operazioni di "feedback" devono guidare ed orientare tutte le attività di analisi, valutazione e proposta progettuale, evitando ogni passaggio meccanico "a cascata" dal momento analitico a quello decisionale ed ogni forma di determinismo ambientale che solo alcune forme isolate di rigidezze pseudo-scientifiche continuano con tenacia a sostenere. Tutto ciò significa riconoscere una serie di rapporti interattivi tra le analisi, le valutazioni e le elaborazioni progettuali senza rinunciare però alla distinzione ed alla reciproca autonomia tra il momento analitico e quello propositivo, senza creare quindi confusione tra piano e conoscenza ed in particolare senza delegare in alcun modo la responsabilità della scelta progettuale; b) l' approccio sistemico, che si esplica nella opportunità di andare oltre la rigida classificazione dei diversi settori disciplinari per analizzare e valutare i legam i ed i m utui rapporti che intercorrono tra le molteplici com ponenti della realtà territoriale. Tutto ciò presuppone un consistente im pegno tecnico-scientifico di integrazione interdisciplinare tra i diversi saperi coinvolti (da quelli dell' ecologo a quelli del geologo, del biologo, del pianificatore, del botanico, dell' architetto, del geografo, del paesaggista, ...) capace di evidenziare quel valore aggiunto rispetto alla somm a dei saperi, derivante dalla compresenza di valori diversi. Non esistono metodi collaudati di operazioni interdisciplinari; il più delle volte tutto si risolve nell' assemblare le diverse analisi territoriali e nell' affidare pertanto al "coordinatore" la completa responsabilità della sintesi delle strategie d' i ntervento. La pianificazione dei parchi invece, ancor più di ogni altra esperienza di organizzazione del territorio, necessita di efficaci politiche di tutela e sviluppo che difficilm ente possono essere costruite senza una contestuale partecipazione degli esperti di tutte le componenti naturali ed antropiche costituenti gli ecosistem i presenti. Sarà dunque opportuno sperimentare forme di lavoro collegiali, ricercando accordi di linguaggio e di m etodo, nonchè studiando criteri di valutazione delle analisi raffrontabili. Considerato il costante rapporto dialettico fra conoscenza e strategia di intervento, è evidente che l' attività interdisciplinare dovrà interessare l' intero processo di pianificazione dell' area ivi compresa l' elaborazione di tutti gli strumenti attuativi essenziali soprattutto per la definizione delle aree più intensamente Basi e strum enti che, va ribadito, sono al momento del tutto riferibili ad un processo volontario che solo recentem ente ha iniziato ad affermarsi e che, quindi, richiede ancora forti capacità di sperimentazione e apertura al cam biamento. Ciò, ad esem pio, renderebbe più coerente e concreta la possibilità di procedere ad una valutazione degli impatti cumulativi anche relativi ad elementi esterni al progetto e/o non facilmente quantificabili, com e, ad esem pio, in relazione al previsto “Climatic Change”. Per effetti cum ulativi s’i ntende per altro l’im patto (positivo e negativo, diretto e indiretto, a lungo e a breve


term ine) esercitato sull’am biente e dovuto all’impatto increm entale delle politiche-azioni che si cum ula ad altri piani o programm i passati, presenti e ragionevolmente prevedibili nel futuro. Per tali valutazioni è necessario fissare lim iti spaziali e temporali, al fine di valutare gli impatti incrementali derivanti da una serie di attività in una zona o territorio, laddove i singoli effetti, presi isolatam ente, possono risultare insignificanti. Questo tipo di analisi fornisce im portanti inform azioni in grado di coadiuvare i responsabili delle decisioni a scegliere tra strategie e misure alternative per realizzare le priorità fissate, oltre che per individuare soluzioni che tendano ad evitare, minimizzare e ridurre gli effetti negativi. Non esiste una metodologia approvata o normata per valutare gli impatti cum ulativi e fino ad oggi gran parte delle valutazioni ha riguardato le VIA a livello di progetti e non la valutazione a livello più strategico. Più recentemente, questi concetti hanno però subito, sulla base di numerose esperienze operative, alcune precisazioni ed am pliamenti che hanno portato a definire come la definizione, analisi e valutazione della vulnerabilità differisca in m odo significativo dagli approcci tradizionalmente seguiti nella valutazione degli im patti. In estrem a sintesi (Correl, 2001) una valutazione di impatto seleziona un particolare stress ambientale di interesse (ad esempio, la m essa in opera di un impianto) e cerca di identificare le sue più importanti conseguenze per varie proprietà fisiche, ecosistemiche, socio-economiche. Per contro, la “valutazione di vulnerabilità”, seleziona un particolare gruppo o unità di interesse (ad esempio, comunità costiere, aree um ide ecc.) e cerca di determinare il rischio di specifici risultati negativi per quella unità o gruppo in rapporto ad una varietà di stress, così come di identificare un range di fattori e gli areali che possono essere interessati e ridurre la capacità di risposta e di adattam ento agli elem enti di stress. Va allora sottolineato com e una valutazione di vulnerabilità ( la forma che più si avvicina a queste logiche sotto l’esistente profilo normativo è la VAS o Valsat) guardi a specifici aspetti come causati da molteplici, e possibilm ente sinergici, fattori, mentre la tradizionale analisi di im patto registra i molteplici effetti di un singolo fattore causale. I due tipi di analisi sono in un certo senso reciproci ma la differenza non è solo formale; tale differenza è infatti sostanziale soprattutto per quanto riguarda le procedure, m odalità e tipologia di approccio ed intervento. Nel caso dell’analisi di vulnerabilità infatti, l’approccio non è statico ma dinam ico (che rifletta cioè il vero tem po di evoluzione della perturbazione, sensitività e adattamento) e statisticamente supportato (uso della probabilità di distribuzione per calcolare i valori possibili/ attesi).


10.2 – Zonazione fisico- ambientale della costa Al mom ento, nel caso della zonazione ai fini del M P il primo passo è stato quindi quello di suddividere il territorio costiero in zone e sub-zone a diversificato comportamento e risposta rispetto a quei prim ari aspetti, propri dell’area di transizione, di tipo dinamico- fisico. Tra questi non secondari quelli della scelta dei confini e dell’estensione laterale delle singole zone che dipende dalle caratteristiche specifiche ed ovviamente dagli scopi; in particolare i criteri generali seguiti rispondono alle logiche di segmentazione previste sia dal Corpo degli Ingegneri dell’Esercito degli Stati Uniti (CERC, 1984), sia da quelle adottate negli studi IDROSER condotti nel 1984 e nel 1994 lungo tutta la costa adriatica emiliano-rom agnola. In particolare tali criteri prevedono: − − − −

− −

scala per cui la lunghezza e l’am piezza delle celle deve essere compatibile con il livello di dettaglio dei dati e con la loro distribuzione areale; i confini devono delim itare zone significative dal punto di vista dell’evoluzione costiera, cioè zone in erosione, in avanzam ento e in stabilità; i confini laterali devono essere scelti in modo tale che sbocchi fluviali ed opere che non intercettano completamente il trasporto litoraneo ricadano all’i nterno delle celle; il limite al largo dei tratti litoranei è posto a livello della profondità limite della zona di “movim ento attivo” dei sedim enti, che per la zona studiata è posto all’incirca tra –3 / - 5 m; il limite a terra è stato fissato in modo variabile ed a seconda delle diverse tipologie ( soprattutto socio- economiche oltre che strettam ente ambientali) presenti nel retrospiaggia. livello dei tassi di subsidenza registrabili localmente nell’ultimo decennio.

Successivamente, verificata la tipologia ed i caratteri di base dei singoli tratti e/o zone costierolitoranee si è passati ad una analisi relativa alle condizioni complessivam ente rilevabili a livello di criticità e possibile evoluzione am bientale, socio- economica, paesaggistica, ecc. Nel contesto sopra delineato è stato pressochè obbligatorio suddividere il sistema costierolitoraneo di interesse in tratti omogenei e/o a simile comportamento dinamico (celle o unità fisiografico- morfologiche omogenee), considerando com e limiti laterali anche i m oli portuali. Sono state così individuate e definite tre distinte unità fisiografiche che, procedendo da sud verso nord, rappresentano significativi insiem i dinam ico- evolutivi differenziati ed a diversa valutazione anche in termini m odellistico- previsionali e cioè, procedendo da sud verso nord (Fig. 3.2.2.1) a) Tratto 1: Zadina (Cervia)- Porto Corsini Il tratto litoraneo ricade interamente nella provincia di Ravenna e si estende per una lunghezza di 31 km a sud di Porto Corsini. Nel tratto sono presenti le foci di Fiumi Uniti, del torrente Bevano, del fium e Savio, del canale del M olino e del canale Scolo Cupa. b) Tratto 2: Porto Garibaldi – Porto Corsini Questo tratto di costa ricade in parte nella Provincia di Ferrara e in parte in quella di Ravenna. Il litorale si estende per circa 20 km, da Porto Garibaldi a Porto Corsini e comprende le foci del canale Logonovo, del Gobbino, del fium e Reno, del canale di bonifica in destra Reno e del fiume Lam one. c) Tratto 3: Porto Garibaldi - Gorino Ferrarese


Il tratto di costa in esam e ricade interamente nella Provincia di Ferrara e si sviluppa da Porto Garibaldi verso nord fino alla foce del Po di Goro. Il litorale ha un’estensione di circa 16,5 km da Porto Garibaldi fino alla foce del Po di Volano, poi si sviluppa la Sacca di Goro.

Fig. 10.2.1 - Suddivisione del litorale f errarese-ravennate nei tre tratti la cui descrizione è riportata nel testo.

In estrema sintesi l' evoluzione del litorale ferrarese può essere schem aticam ente sintetizzato con una tendenza alla progradazione o relativa stabilità della linea di riva per quanto concerne il XIX secolo, a cui è seguito, nei primi decenni del XX secolo, un rallentam ento del trend positivo e successivam ente, fra 1950 e il 1970, l’instararsi di un’accentuata crisi regressiva del litorale. Il continuo verificarsi di fenomeni di somm ersione della costa, in concom itanza delle m areggiate più intense, ha portato a frequenti situazioni d’em ergenza, alle quali si è cercato di ovviare con interventi di difesa di vario genere. Queste opere sono state progettate per ridurre l' intensità e


l' energia del m oto ondoso o per bloccare parzialm ente il trasporto solido litoraneo favorendo, in entrambi i casi, una deposizione dei m ateriali sulla spiaggia e contrastando cosĂŹ la sua tendenza regressiva. Tale politica di protezione fu intrapresa a partire dagli anni ' 60. Ad esempio giĂ nel 1968 esistevano a protezione del litorale 8 scogliere a Porto Garibaldi e 9 al Lido di Pomposa. Successivamente, nel 1971, sono state aggiunte 13 scogliere nel tratto Lido di Pom posa - Lido delle Nazioni (Fig 10.2.2). Nella relazione Idroser (1996) sono censiti tra P.to Garibaldi e Volano circa 9 km di litorale protetto da scogliere a mare e 2,2 km da scogliere radenti, a questi va aggiunto un tratto di litorale protetto da piccoli pennelli in pali di legno. Sono stati inoltre effettuati ripascimenti artificiali per un totale di 85.000 m 3 di materiale, dei quali 34.000 m 3 sono stati versati sulla spiaggia e 51.000 m 3 sui fondali prossim i alla costa. Questi interventi difensivi sono stati eseguiti con un carattere di emergenza che non ha perm esso di valutare, con l' attenzione dovuta, l' impatto dell' opere stesse sul litorale.

Fig 10.2.2- Principali aspetti m orf o-ev olutiv i tra Porto Garibaldi ed il Po di Goro (da: Atlante delle Spiagge, 1997 – modif icato).


Il litorale nel tratto tra Porto Garibaldi e Lido di Volano presenta evidenti problem i d’erosione e arretram ento legati ad un bilancio sedim entario sem pre più deficitario ed in alcuni casi ad opere di protezione, realizzate in passato, che hanno alterato la circolazione idrosedimentaria sotto costa. Inoltre dal confronto delle elaborazioni condotte appare evidente che il fenomeno erosivo non ha avuto, nel tem po, velocità di arretramento costanti e che i focus erosivi hanno migrato lungo il litorale. Malgrado la messa in opera delle strutture di difesa, il fenom eno erosivo non è stato efficacemente contrastato (Fig. 10.2.3), ma si è progressivam ente spostato più a nord, di fronte alla pineta di Volano, dove si è resa necessaria la realizzazione di nuovi interventi difesivi. Inoltre, nell’ultimo decennio, il problema erosivo si è manifestato anche in corrispondenza della spiaggia del Lido delle Nazioni, tratto protetto da scogliere parallele.

Fig 10.2.3 - Percentuale della costa tra Porto Garibaldi ed il Po di Volano in av anzamento, erosione o in una situazione di stabilità anche indotta dalle opere di difesa nel periodo 1984-98 (da Sim eoni et al., 2003).

Non va poi dimenticato che un altro fattore di notevole valenza nell’evoluzione m orfologica dell’area d’indagine è rappresentato dalla subsidenza ( cfr. Vol. 3/1). Essa ha causato negli anni una seria modificazione della quota relativa delle terre rispetto al mare causando una pesante variazione dell’assetto morfologico, batim etrico, idrogeologico e della circolazione idrica del litorale. In questo tratto di litorale i cordoni dunosi sono stati quasi totalmente degradati, singole dune sono presenti al Lido di Volano. Le dimensioni di questi accumuli eolici sono assai contenute presentando altezze m assime di circa 4m, larghezze tra 5 e 40 m ed estensioni, non continue, massim e di circa 10 Km. La quasi totalità presenta però uno stato di conservazione assai preoccupante con evidenti scalzam enti alla base, num erosi washoever fan ed un’evidente antropizzazione (calpestio, varchi, ecc.;Gabbianelli et al., 2002). Gli effetti di questa pesante crisi sedimentaria sono riscontrabili nell’evoluzione della linea di riva dell’ultimo periodo indagato (1978-1996), che consente di evidenziare com e i fenom eni erosivi, già presenti negli anni passati, si sono diffusi anche lungo le spiagge protette. A tal fine sono state individuate 28 sezioni (Figura 10.2.4) distanziate circa 500 m lungo le quali sono state calcolate le variazioni in m (Tab 10.2.1).


Fig 10.2.4 - U bicazione delle 28 sezioni sulle quali sono state calcolate le v ariazioni della linea di riv a per ilperiodo 197696 (Sim eoni et al., 2003).

Tab 10.2.1 - Variazioni in m etri della linea di riv a tra Porto Garibaldi ed il Po di Volano registrate tra il 1974 ed il 1996 lungo le 28 sezioni di Fig 3.2.29.

Attualm ente fenom eni erosivi localizzati interessano, oltre al già più volte citato ampio tratto di foce Reno, sia il Lido delle Nazioni che quello di Pom posa Tra Porto Garibaldi e Porto Corsini gli Autori citati identificano tre paraggi a diversa azione: da P.to Garibaldi alla foce del fium e Reno; dal Reno a Casal Borsetti; da Casal Borsetti a P.to Corsini. I primi due tratti sono situati su di un territorio deltizio la cui formazione è da imputare al Po, con il suo ram o Spinetico (Eridano), proveniente da NW, fino circa al VI secolo d.C., e successivamente al Po di Primaro, particolarmente attivo fra l’VIII ed il XII secolo. Tra il 1767 ed il 1795 questo ram o, che aveva progressivamente perso officiosità, viene definitivamente allacciato il Reno, con una foce orientata verso est. Successivam ente, a causa di alcune opere adottate nel secolo XIX lungo il corso terminale del fium e, si da inizio ad un nuovo sviluppo dell’apparato di foce che progressivamente ruota verso nord. L’area posta im mediatam ente a settentrione viene così interessata direttam ente dagli apporti solidi del fium e i quali, tra il 1920 ed il 1935, danno origine ad un cordone litoraneo che porterà alla formazione delle Vene di Ancona- Bellocchio. Contem poraneamente, le spiagge poste a sud dell’antica foce entrano in crisi erosiva per il mancato apporto dei sedim enti fluviali e nel corso dell’ultimo secolo tale tendenza è stata fortemente accentuata dalla rotazione verso nord della foce del Reno. In sostanza l’evoluzione recente dei due paraggi risulta fortem ente influenzata dagli spostamenti della foce e dalla dim inuzione delle portate del fium e Reno. Nel tratto com preso tra P.to Garibaldi e


la foce fluviale l’andam ento della variazione della linea di riva può essere così sintetizzato (Bondesan et al., 1978): -5,6 m/anno nel periodo 1835-1892; condizioni di inversione nel periodo 1892-1917; +8,9 m /anno dal 1917 al 1935; +5.0 m/anno dal 1935 al 1971. Per il tratto successivo (da foce Reno a Casal Borsetti) l’evoluzione mostra il passaggio da condizioni di avanzam ento a condizioni di arretram ento delle spiagge: +16,0 m/anno tra il 1835 ed il 1892; condizioni di inversione tra il 1892 ed il 1917; -9,5 m/anno tra il 1917 ed il 1935; -7,8 m/anno dal 1935 al 1971. L’evoluzione simmetrica dei due tratti è conseguenza diretta del mutam ento di direzione e di m igrazione della foce del Reno. Nel tratto da Casal Borsetti a P.to Corsini l’alim entazione sedim entaria è da im putarsi principalmente al rimaneggiamento dei materiali derivanti dallo smantellamento operato dal m are sulle cuspidi deltizie del Reno e del Lamone, che m ette foce in prossimità di Casal Borsetti. In misura minore ha contribuito il trasporto verso nord dei sedimenti che, dopo l’ampliam ento dei m oli di P.to Corsini (1968), può essere considerato nullo. La tendenza m edia per il secolo XIX è consistita in un arretramento seguito da un avanzamento ingente sino al 1935 e da una stabilizzazione nel periodo successivo. Le velocità di spostamento medie della linea di riva sono state le seguenti: -1,1 m /anno fra il 1835 ed il 1892; +3,1 m/a tra il 1892 ed il 1935; +0.3 m/a tra il 1935 ed il 1971. Per quanto concerne il suo assetto attuale la costa compresa tra P.to Garibaldi e P.to Corsini può essere suddivisa in alcune ulteriori subunità o zone fisiografico- m orfologiche. Nella prim a, situata interam ente nel Com une di Comacchio, il litorale risulta in forte erosione (Idroser, 1996): alla rottura, avvenuta nel 1981, della sottile lingua di terra che delimitava sul lato mare gli ultim i 3 km del percorso del fiume Reno e alla conseguente formazione di una foce spostata verso sud rispetto alla precedente di 2 km,a questo hanno fatto seguito forti modificazioni della m orfologia costiera; particolarm ente evidenti nel tratto com preso tra la nuova foce del Reno e quella del canale Gobbino, canale collettore delle Valli di Com acchio. Considerata l’importanza e le im plicazioni che quest’area assume a livello di Parco, per una sua più com pleta e dettagliata trattazione della sua evoluzione, al mom ento solo delineata e segnalata, si rimanda a quanto elaborato nei Voll. 3/3 e 8. Per quest’area, elemento dom inante è com unque risultato il mare, che ha continuato ad erodere ciò che era rim asto della vecchia riva destra del fiume, a trasportare verso nord ingenti quantità di sabbia, tanto da realizzare in pochi anni, un' am pia spiaggia laddove vi erano le vecchie foci del Reno e ad allagare la nuova foce portandola ad un’ampiezza di 700 m (Idroser, 1996). In questo tratto gli arretramenti, riscontrati soprattutto nel periodo 1978-83, hanno raggiunto i 120 metri. A protezione del paraggio, nel 1990, sono state realizzate delle difese in Tubi Longard ed un ripascim ento artificiale di circa 40.000 m 3 di sabbia. Malgrado ciò la tendenza erosiva in prossim ità della foce fluviale è continuata compromettendo seriamente anche la funzionalità delle opere difensive. Il paraggio compreso tra la foce del fiume Reno e Casal Borsetti, di pertinenza del Com une di Ravenna, risulta anch’esso fortemente influenzato dall’evoluzione della foce Reno, la cui crisi erosiva è ormai evidente da oltre 60 anni. Tale paraggio è oggi quasi completam ente irrigidito da opere difensive radenti, costruite negli anni ’80 (Fig. 10.2.5). Appare evidente com e l’evoluzione di questo tratto di costa sia fortemente correlabile con l’evoluzione della foce del Reno e, quindi, con la possibilità di trasporto dei sedim enti del fiume stesso. Malgrado sia evidente una ripresa nel trasporto solido, attualmente il volume di materiale trasportato, utile al ripascim ento, non risulta ancora sufficiente a contrastare la tendenza erosiva dei litorali lim itrofi .


Fig. 10.2.5 - Ev idente la rettilineizzazione della costa nel tratto compreso tra Foce Reno e Lam one, ascriv ibile allo sviluppo di una artif iciale e pressoché continua opera radente di dif esa costiera.

La terza subunità, anch’essa situata nel Com une di Ravenna ed all’incirca compresa tra Foce Lam one e la diga nord di P.to Corsini (Fig. 10.2.6), m ostra una prevalente deriva dei sedimenti direzionata da nord a sud, in senso contrario cioè a quanto norm alm ente accade nell’area. Tale condizione non è com unque da considerarsi anomala in considerazione del fatto che la foce Reno rappresenta un punto di divergenza “naturale” della dinam ica litoranea. Ciò determ ina, per altro, un avanzamento della linea di riva per un tratto di circa 2500 metri, localizzato tra il molo nord di Porto Corsini e Marina Romea. Qui i tassi di accrescim ento stimati (Idroser, 1996) negli ultimi 10 anni raggiungono valori di 4m/anno. Il sedim ento accumulato deriva, in parte, dalla continua asportazione del materiale versato artificialmente nel tratto settentrionale di tale subunità (tra la foce del Lamone e le scogliere di Casal Borsetti) o delle precedenti.

Fig10.2.6 – Evidente il progressiv o accumulo sedim entario che si registra nel tratto all’incirca compreso tra foce Lamone e la diga nord di P.to C orsini, con conseguente continuo avanzam ento della linea di riv a negli ultimi decenni.

In particolare, vale segnalare che prossimità dell’abitato di Casal Borsetti la spiaggia mantiene una certa stabilità sia grazie alle opere che la difendono sia alla ridistribuzione del sedimento derivante dagli interventi di ripascimento realizzati, sul finire degli anni ’80 (sia a nord sia a sud).


Nella Fig. 10.2.7 sono poi m ostrate le variazioni altimetriche intervenute negli antistanti fondali nell’arco dell’ultim o m ezzo secolo circa (Gabbianelli et al., 2002), accompagnate da una stima dei volumi relativamente al litorale ravennate. In generale si può notare come a nord del porto prevalga un innalzam ento dei fondali al largo, soprattutto in prossimità della sua im boccatura, lungo il molo nord ed in prossimità dell’abitato di P.to Corsini. Verso riva si ha un increm ento della quota dei fondali nei pressi di Casal Borsetti m entre si registrano abbassamenti sui fondali a nord del Lamone. Complessivam ente per questi fondali è stato indicativamente calcolato un abbassamento medio di circa 4 cm in un’area di 40,8 Km 2 , ciò indica che m ediamente le zone in erosione sono bilanciate da quelle in accumulo.

Fig. 10.2.7- Variazione dei fondali (in m etri) dal 1968 al 2000 registrabile nell’area ravennate. In rosso è rappresentata la batim etrica -0.25 considerata com e linea di costa 2000 e in nero la linea di costa del 1968 ( da C om une di R avenna, 2002).


10.3 – Zonizzazione proposta In riferimento alla zonizzazione proposta e facendo riferimento a condizioni di ricercata omogeneità dei comparti costieri analizzati, possono essere com plessivamente individuate almeno cinque diverse situazioni ambientali dell’area del Parco a cui dovranno essere date differenziate risposte operative e gestionali: −

zone di peculiare ed inestim abile pregio ambientale interessate da trasformazioni e pressioni ( principalm ente antropiche) ancora relative ed in cui la principale azione dovrà essere m irata soprattutto a preservare le condizioni attuali come prima finalità di ogni tipo di interventi, attuali e futuri. Rientrano in questo ambito, ad esempio, le zone del Boscone della M esola, delle Aree Um ide- Pineta- Baiona e di Bevano- OrtazzoPineta di Classe;

zone in cui l’esistente e prim aria com ponente ambientale è già oggi in forte sofferenza, modificazione e trasformazione rispetto alle pressioni antropiche e, soprattutto, presentano una m arcata tendenza negativa rispetto agli scenari previsionali ipotizzabili che sem brano potenzialm ente indicare perdite significative. Vi rientrano sostanzialm ente le zone di Goro, delle Valli di Com acchio- Bellocchio- Foce Reno, differenziando la componente (subzona) di Bellocchio- Reno per ormai raggiunta lagunizzazione e marinizzazione;

aree in cui è necessario valorizzare e difendere le condizioni ambientali esistenti a livello subordinato per m igliorare le condizioni qualitative complessive e trovare una migliore integrazione con il loro utilizzo a scopi soprattutto itticolturali e turisticobalneari e ricreativi. Vi rientrano le zone di Goro, Valli di Comacchio ( subzona)Bertuzzi (subzona), Subzona Baiona, Pineta- Saline di Cervia ;

aree in cui tentare di recuperare, per quanto è possibile, situazioni ambientali fortemente comprom esse dall’azione antropica, pur nella consapevolezza che non è possibile, alm eno nel breve-medio term ine, modificare in modo sostanziale la struttura socio-economica che vi grava e che pone, purtroppo, la preservazione dell’am biente naturale al secondo posto dopo lo sfruttamento delle risorse. Rientrano in questo am bito le zone di Goro, Baiona- Porto di Ravenna, Pinete di Cervia- Saline e Sistema delle Dune;

zone non rientranti direttamente e/o prioritariam ente nell’area del Parco ma di cui è sin d’ora auspicabile una futura definizione e determinazione al fine di un indispensabile supporto esterno al futuro sostentam ento e miglioramento delle peculiarità del Parco, anche a livello socio- econom ico. Vi rientra l’istituzione di alcuni Geositi, Corridoi ecologici e, non ultim e, nuove aree umide, oltre a quella del Bardello, per la prevedibile dim inuzione delle disponibilità di acque dolci ( e conseguenti eventuali costi di prelievo) a supporto delle esigenze del Parco oltre che per il m iglioramento com plessivo della qualità delle acque ( m arine com prese).

Tali analisi hanno portato alla prelim inare definizione delle seguenti zone omogenee, sia di com portam ento che di risposta a vulnerabilità, criticità, rischi e potenziale evoluzione previsionale (Fig. 10.3.1): 1) Sacca di Goro e aree circostanti; 2) Boscone della Mesola ed aree boscate circostanti; 3) SistemaValle Bertuzzi- Lago Nazioni- Foce Volano;


4) 5) 6) 7) 8) 9)

Sistema Valli di Comacchio- Bellocchio- Foce Reno; Sistema Aree Umide ( Alberete-Canna- Bardello)- Pinete- Piallasse Ravennati Sistema Foce Bevano- Ortazzo/ Ortazzino- Pineta di Classe Aree um ide interne di Cam potto Sistema Pineta- Saline di Cervia Sistema delle Dune litoranee

Per ovvii motivi non vengono singolarmente trattate aree non inserite nel Parco m a che si ritengono indispensabili per sostenere il futuro m antenim ento e sviluppo delle peculiarità del Parco. Queste com prendono zone tra cui sono da considerare prioritari i Corridoi Ecologici e le nuove aree um ide tipo Bardello, future casse di espansione e/o lam inazione, ecc. Di conseguenza per le singole zone sopra riportate non è stato ovviam ente delim itato un confine o bordo ben definito in considerazione dell’approccio dinam ico- evolutivo dato alla zonizzazione.

Fig. 10.3.1 – Schematica distribuzione della zonizzazione proposta ai f ini del MP del Parco. Legenda: 1- Sacca di Goro; 2- Boscone della Mesola; 3-Valle Bertuzzi- Lago nazioni- Foce Volano;4- Valli di Comacchio- Bellocchio- Foce Reno; 5Sistema Aree Um ide dolci- Pinete- Piallasse Rav ennati;7- Foce Bev ano- Ortazzo/ Ortazzino- Pineta di C lasse; 8- Aree umide interne; 9-Pineta- Saline di C erv ia; 10- Sistem a delle D une litoranee. Base inform ativ a C orine land C over 2000Apat, 2005 (http://www.clc2000.sinanet.apat.it


Nel merito di queste considerazioni è poi possibile individuare sin d’ora per gran parte delle zone indicate una basilare “condizione o valore unificante”. Questa va innanzitutto ricollegata agli allarmanti tassi subsidenziali che più o meno intensam ente interessano le zone indicate e da cui prendono origine gran parte delle prim arie condizioni di vulnerabilità e instabilità (Fig. 10.3.2).

Fig. 10.3.2 – Tassi di subsidenza annua (in mm ) registrati da Arpa (2003) in base ai dati InSAR lungo la costa ravennateferrarese.


Com e per altro ben rilevabile dalla precedente figura, questa situazione negli ultimi 40 ha reso particolarm ente vulnerabile gran parte della costa ferrarese rispetto ad alluvionamenti ed inondazioni (m areggiate ed acque alte) e tanto più lo sarà per il futuro in previsione delle previste variazioni climatiche (cfr. Vol. 8). Problem a questo che non interessa solo le zone più strettam ente litoranee m a tutto il territorio costiero che si trova sotto il livello del m are. Più in generale, per fronteggiare tale em ergenza nella zona ferrarese è stato realizzato negli ultimi decenni un sistem a di difesa articolato su tre linee: la barriera litoranea costituita da argini in terra o sabbia; l' argine Acciaioli che da Volano arriva a Porto Garibaldi; le arginature sui corsi d' acqua (Coast21, 2004). Ciononostante il territorio dei com uni costieri ferraresi è stato interessato più volte nel passato anche recente da significativi eventi alluvionali (Fig. 10.3.3).

Fig. 10.3.3 - Carta schem atica degli allagam enti nel periodo 1958/1992. L'andamento delle aree alluv ionate è funzione della quota altimetrica del terreno oltre che dello sv iluppo di rilev ati stradali, arginature di f iumi e canali (da C oast21, 2004).

A questo si aggiunga che Il PAI Delta individua le fasce a diverso grado di rischio di inondazione fluviale. In particolare, nel territorio com preso tra il fiume Po di Goro ed il fium e Po di Volano si rileva un' ampia fascia di rischio che coinvolge i territori com unali di Codigoro, M esola e Goro (Fig. 10.3.4): a) la fascia di deflusso della piena, compresa nel sistem a delle arginature m aestre, denominata fascia A-B; b) le aree inondabili per tracim azione o rottura degli argini m aestri, delimitate in funzione di condizioni di rischio residuale decrescente


Fig. 10.3.4 - Pericolosità d'inondazione per il tratto terminale del f ium e Po. In rosso (1) celle a pericolosità molto elevata, in arancione (2) celle a pericolosità elev ata e ingiallo (3) celle a pericolosità m edia (Autorità di Bacino del Fiume Po, 2001).Parte del territorio comunale di Mesola e di Goro ricadono nella zona rossa (da C ost21, 2004).

Vale infine ricordare che nell’ultim o quarantennio il territorio in oggetto ha presentato condizioni di elevata criticità facendo registrare, nella famosa “acqua alta” del 1966 ( cfr. Vol. 8), am pie som mersioni per concomitanti inondazioni da parte di acque m arine oltre che fluviali (Fig. 10.3.5).

Fig. 10.3.5 – Schematica ricostruzione dei più critici ev enti alluv ionali registrati nell’area costiera nord f errarese ( da Bondesan et al., 1997). In legenda i graf icismi di specif ico interesse sono: 8) aree norm alm ente sotto il livello del mare; 9) aree allagate da acque marine nell’ev ento del nov em bre 1966; 10) aree allagate da acque f luviali nell’ev ento del nov embre 1966; 11) aree allagate nell’aosto del 1979 a seguito dell’interruzione di elettricità alle pom pe delle idrovore; 17) ubicazione idrovore e stazioni di pom paggio


Contem poraneamente al precedente, altro fondamentale elem ento unificante è rappresentato dagli effetti ed impatti che i previsti im patti climatici, seppur ancora non valutabili con precisione, potranno esplicare a livello di Parco. Tra questi avranno valenze certamente significative sia quelli legati ai previsti innalzamenti del livello marino sia quelli connessi alle possibili variazioni clim atiche ( temperature, precipitazioni, eventi estremi, ecc; cfr. Voll. 1 e 8). In quest’ottica ed ai fini di una zonizzazione strategico- programmatoria assumeranno prim aria im portanza i problemi connessi al ruolo e disponibilità delle acque viste sia in term ini di dinam iche che qualità: prim i fra tutti i possibili fenomeni di inondazione e/o alluvionamento e la progressiva risalita del cuneo salino. In questo contesto assume allora ancor maggior significato, come già in precedenza afferm ato, le considerazioni per cui l’esistenza, le caratteristiche e la funzionalità territoriale ed ambientale dell’insieme complessivo di queste aree non possono essere svincolate nè delle acque marine costiere nè, soprattutto, dalle caratteristiche idrologico- idrogeologico superficiali e sotterranee del sistema idrico di terraferma. Si ribadisce quindi ancora che le qualità formali del “contenitore” non sono da considerare puri e sem plici caratteri fisici, cui può venire più o m eno riconosciuto un valore estetico o paesaggistico, ma esse rappresentano l' i nsieme di elementi dinamici cui sono legati, in modo irreversibile, funzioni e gradi ecologici complessi ( ma, per molti versi, anche socio- economici e culturali) che vanno perduti se la forma va perduta o se ne vengono alterati, in modo sensibile, le qualità, gli equilibri e le dinamiche fisiche. E’ pertanto im pensabile il concepim ento di una m etodologia di pianificazione delle aree protette mutuabile per intero dall’urbanistica intesa come mera trasposizione delle esperienze di zonizzazione già realizzate nella pianificazione ordinaria. Per altro, la comune artificiosità propria della zonizzazione pianificatoria a livello urbanistico, che porta all’individuazione di confini fra aree destinate a gestioni diverse, rischia di alterare l’unità organica del territorio del parco, vocato in prim a istanza alla conservazione delle risorse naturali. Sarà invece utile sperimentare un percorso di piano e conseguente zonizzazione capace di soddisfare esigenze di regolam entazione di uso, conservazione e restauro di ambiti territoriali del tutto speciali e significativam ente interrelati tra di loro. Nei confronti delle aree già esistenti dovranno dunque essere definiti al più presto adeguati piani che, ad esempio, prevedano una fascia di rispetto intorno al sistema delle acque di transizione e un progressivo allontanamento delle attività agricole verso l’esterno; l’ampiezza della fascia di rispetto dipenderà dal tipo di attività agricola e dalla capacità di fitodepurazione delle cenosi vegetazionali costiere (canneto, tifeto, ecc.). Al m om ento, sono in proposito prevedibili almeno due preliminari indicazioni di carattere generale che si ritengono indispensabili e cioè: a) il mantenimento di necessari ed adeguati livelli di acqua; b) censire i possibili tipi di approvvigionam ento d’acqua dolce, com prese le possibili fonti alternative per gli usi m eno nobili (ad esempio, il recupero delle acque in uscita da depuratori); Per quanto riguarda gli argini, dovranno essere previsti i interventi per riqualificare le sponde, ove necessario, con progressiva eliminazione, per quanto possibile, delle opere in cemento al fine di riqualificare il tipo di contatto terra/acqua. Contatto che è fondamentale sia per la riattivazione dei processi naturali di depurazione biologica sia per aumentare gli spazi disponibili per la nidificazione e, più in generale, per la presenza della fauna caratteristica. Le opere di sistemazione degli argini e delle aree limitrofe alle zone umide dovranno prevedere interventi mirati anche a migliorare la funzione dei corridoi ecologici, che possono essere fortemente favoriti e facilitati da una program mazione m irata e attenta. In tal senso non è quindi possibile trascurare che sull’area costiera gravitano diverse m igliaia di chilometri di canali di bonifica, gestiti dal punto di vista idraulico da diversi Consorzi, che da aprile


a settembre sono pieni d’acqua per sostenere la richiesta di acque irrigue. Nei restanti m esi dell’anno, fatti salvi i momenti di forte piovosità e i collettori principali, i canali hanno invece pochissima acqua o sono addirittura vuoti. Questi ambienti sono dunque caratterizzati da forti variazioni di livello, a completa gestione antropica. Sarebbe quindi necessario disporre di più razionalizzate quantità e disponibilità d’acqua dolce in modo di garantire nei canali una sufficiente movimentazione anche per assicurare idonei rifornimenti d’acqua alle circostanti zone um ide se non all’acquifero freatico (forti oscillazioni del livello piezom etrico possono causare subsidenza indotta). I canali possono poi presentare acque a differente trofismo, che consente uno sviluppo algale e di macrofite importante anche a causa degli apporti di nutrienti dalle campagne coltivate circostanti. Per altro, nei canali a flusso lento o stagnante si assiste per lo più allo sviluppo d' i drofite galleggianti, mentre in quelli a corrente più forte, prevalgono quelle radicate. Queste ultime svolgono funzioni im portantissime ai fini autodepurativi del sistem a idrico ed offrono substrati adatti per la riproduzione delle specie fitofile e, più in generale, per un aum ento della biodiversità. Le esigenze, evidentem ente imprescindibili, di sicurezza idraulica del reticolo idrografico com plessivo di superficie non sono in linea di principio in contrasto con quelle di conservazione della natura. Ad esem pio, si può pensare al m antenimento di alberi ed arbusti in alcuni am biti giudicati idonei, con sottobosco sottoposto a regolari interventi gestionali per m antenere libero il suolo e garantire il deflusso delle acque. Questa m isura perm etterebbe di ottenere habitat idonei alle specie di aironi arboricoli e ad altre specie ornitiche ed anim ali in genere e ad alcune specie vegetali di interesse conservazionistico. Dove non fosse possibile mantenere la presenza di alberi, si potrebbero ripristinare e m antenere i prati alluvionali, allagati in inverno e durante le piene ed asciutti in estate, prevedendo un sfalcio annuale, indispensabile sia per esigenze idrauliche che conservazionistiche. Questo habitat è divenuto rarissim o nel Parco del Delta del Po e in tutta la pianura Padana ed un suo ripristino è certamente da incentivare. Entrambe le soluzioni, pur senza arrivare alla sistematica definizione di zone per fitodepurazione, possono garantire una certa naturalità al fiume e un abbattim ento delle sostanze chim iche che vengono riversate direttamente nel corso d’acqua in presenza di attività agricole in golena. Per quanto riguarda queste ultime, la coltivazione delle golene (pioppicoltura, seminativo, prati da sfalcio, ecc), tramite concessione onerosa di porzioni di golena, im plicano spesso un utilizzo elevato di sostanze chim iche e distruzione degli habitat fluviali naturali o semi naturali. La gestione delle golene dovrebbe quindi assicurare che gli interventi vengano eseguiti in m odi com patibili sia con le esigenze di sicurezza idraulica sia con quelle di conservazione. L’attenzione dei concessionari delle golene per la conservazione potrebbe essere aumentata m ediante apposite clausole inserite negli atti di concessione.


10.3.1. – Zona Sacca di Goro Com e indicato anche nelle schede elaborate e pubblicate dal Parco e dalla Regione E/R (http://www.regione.em ilia-rom agna.it/natura2000/indice/indirizzi.htm l), quest’area rappresenta un ecosistema piuttosto fragile ed attualmente sottoposto a diversi e molteplici fattori di minaccia che in parte intervengono anche da elementi territoriali al contorno. Tra le prioritarie va indubbiam ente annoverato il ruolo rilevante qui assunto dal fenomeno subsidenziale (dell’ordine dei 8- 12 m m/anno; Fig. 10.3.1.1), tanto che la maggior parte dei territori presenti sono a quote inferiori al livello del mare e questo fenomeno interagisce continuativamente con le criticità dell’area sia a livello fisico- geometrico che bio- ecologico.

Fig. 10.3.1.1– Tassi di subsidenza annua (in mm ) registrati da Arpa (2003) in base ai dati InSAR per la zona di GoroBertuzzi

Goro stesso si trova infatti in una depressione a circa 50 cm sotto il livello del mare, i cui perim etri sono gli argini del Po di Goro e della Sacca. La pianura circostante è a quote m edie di circa -1 m sotto il livello del mare, con punte di – 2,5 m nelle valli bonificate. Non a caso, l’accesso al porto di Goro avviene già oggi attraverso portoni (chiaviche) che in occasione di m aree particolarmente alte vengono chiusi im pedendo l’allagam ento del paese. Dato che il fenomeno della subsidenza è irreversibile, la situazione sta diventando pericolosa: quando si presentano contem poraneamente alta marea e scirocco (vento da SE), il livello del m are arriva all’orlo degli argini, mettendo in pericolo di allagamento l’intero paese. Per la subsidenza, e il conseguente ingresso delle acque salse, si sono persi diversi terreni adibiti a coltura come Valle Seganda (presso Gorino) o Valle Romanina (ad est del Bosco della M esola).


In particolare, nel merito di questo problema non sono ancora affatto chiare le ragioni e le cause di una così localizzata diffusione degli elevati tassi di subsidenza qui registrabili e, alm eno in prima approssimazione, non imputabili a naturale com pattazione dei depositi sul bordo esterno ( zona di fronte deltizio e prodelta) del sistem a deltizio attivo . Tassi con livelli addirittura assim ilabili a quelli che, più a sud, sono chiaram ente connessi con l’estrazione m etanifera dal sottosuolo. Condizione e giustificazione questa non certo richiamabile per l’area ma indicativa, per sem plice e del tutto preliminare confronto fenom enologico, di possibili elevati emungimenti incontrollati di acque dall’immediato sottosuolo. Allarm anti in tal senso si presentano le forti depressioni localizzate sia in corrispondenza dell’abitato di Goro che, soprattutto, del bordo occidentale della foce di Goro e del Boscone della M esola. Zone per altro, queste ultim e due, in cui non si dovrebbe registrare l’esistenza di particolari pressioni antropiche (insediam enti industriali, pozzi metaniferi, ecc). Anche in tal senso dovranno perciò assumere specifica e particolare attenzione le proposte, in via di arti colazi one ed el aborazi one da parte del Parco, che dovranno regol are, i nteratti vam ente e i nterdi sci pl i narm ente, l a gesti one del l’area com presa nel Si c “Sacca di Goro, Po di Goro, Val le Di ndona, Foce del Po di Volano” (Fig. 10.3.1.2).

Fig. 10.3.1.2 – Schem atica distribuzione della complessiv a area SIC / ZPS nell’area di “Goro”, in diretta connessione con quelle conf inanti, più occidentali, del Boscone della Mesola e di Bertuzzi- Volano

In proposi to, vale al m om ento sottol ineare com e tal i proposte, pur prendendo i n consi derazi one una vasta gam m a di probl em ati che, azi oni e proposte di svi luppo ( dal l ’acquacol tura al turism o, dal regi m e idrologi co a quel l o sedi m entari o, ecc), trascurano l a com ponente l egata al l ’atti vazi one di speci fi ci corridoi ecol ogi ci in grado di suppl i re al m anteni m ento e m i gl i oram ento, com e nel caso degl i argi ni dem anial i da di sm ettere (cfr. Vol 3/2), al m anteni m ento di al cune i m portanti valenze natural i sti che dell a zona. Soprattutto però non sem bra essere stato com pi utam ente e coerentem ente i nquadrato in un contesto di “area vasta” ed i nterconnessi one “form a- fl ussi i drol ogi ci- cli m a m eteom ari ne- previ ste vari azi oni cl im ati che” ( ci oè, i n sostanza, una vi si one evol uti va spazi o- tem poral e di breve- m edio peri odo) preferenzi ando l a focali zzazi one su aspetti a val enza speci fi catam ente l ocal e e/o strettam ente tem ati ca.


10.3.2 – Zona Boscone della Mesola ed aree circostanti Il Gran Bosco della M esola rappresenta la parte residua di un com plesso boscato, un tem po molto più vasto, che si originò intorno all' anno M ille Una parte del bosco è Riserva Naturale Integrale, un' area protetta e lasciata alla sua evoluzione naturale, mentre la restante superficie è Riserva Naturale. Il terreno è di origine alluvionale e presenta un andamento irregolare, sintomo della presenza di antiche dune, che a tratti formano dei ristagni d' acqua, con vegetazione palustre. Un tem po il bosco, essendo circondato da paludi, accoglieva num erose varietà di uccelli, tipici delle zone umide e, seppur parzialm ente, la drastica riduzione della fauna, causata dalle opere di prosciugam ento, è stata frenata con la realizzazione di una zona umida all' interno del bosco, chiamata Elciola, chiusa generalm ente al pubblico. Importante la sua relazione con il Taglio della Falce, al lim ite meridionale del Gran Bosco, in diretta connessione con la Sacca di Goro, e con i contigui Boschi della Goara e Rom anina, mentre verso nord si ricollega alle contigue aree boscate della Pineta Panfilia e poi di S. Giustina o Fasonara A nord- ovest gravita invece l’insiem e delle Pinete moderne delle M otte del Fondo e della Ribaldesa ( Fig. 10.3.2.1).

Fig. 10.3.2.1- Sviluppo territoriale delle attuali aree boscate nell’intorno del Boscone della Mesola e pressochè in continuità, v erso nord. Base inf ormativa Corine land C ov er 2000- Apat, 2005 (http://www.clc2000.sinanet.apat.it/cartanetclc2000/clc2000/consulta_cartografia.asp)


Il Bosco Goara sarebbe da considerare parte integrante dell' attiguo Boscone dal quale (ovest) è separato m ediante una recinzione. A sud è delimitato dall' argine della Sacca di Goro, mentre nei rimanenti lati si affaccia su terreni agricoli. Il complesso sorge dove era la Valle Goara (oggi bonificata), un tem po attigua alla Sacca di Goro. Il piccolo Bosco Romanina, che prende il nom e dall' idrovora om onima posta alla foce del Canal Bianco, sorge su una lunga striscia boscata residuo dei cordoni dunosi che dom inavano il paesaggio prim a delle bonifiche. Nel 1986-87 la Provincia di Ferrara ha provveduto al ripristino dell' immobile Rom anina e di una zona umida adiacente che attualmente si presenta com e un prato umido salm astro. Il sito è stato perimetrato, come gli altri, su base CTR 1978, pertanto i confini, vista la difficoltà a trovare punti di riferimento precisi, potrebbero non ricalcare esattamente l' attuale conformazione dei residui boscati. Il Bosco Panfilia viene spesso citato com e Pineta Panfilia perché è stato interessato da impianti di pino domestico (Pinus pinea) coevi alle Pinete di Mesola; è inclusa nell' Oasi di protezione della fauna denominata Santa Giustina (203 ha). Si sviluppa lungo il corso del Canal Bianco a sud est di Torre Abate nei pressi dell’abitato di Alberazzo. Sorge su un cordone di paleodune ancora ben visibili nella m orfologia del suolo (M antovani e Pelleri 1991).La parte di bosco più rilevante dal punto di vista naturalistico è costituita dalla porzione nord-orientale dove le comunità insediate sono costituite da sem preverdi termofile dominate da leccio (Quercus ilex) e farnia (Quercus robur) e da specie m esofile (pungitopo, biancospino, ginepro). La restante parte di bosco è caratterizzata da boschi di conifere adulte di scarso pregio naturalistico a Pinus pinaster e Pinus pinea. In alcune aree particolarmente depresse compaiono popolam enti igrofili con pioppo bianco (Populus alba), (Corticelli 1999, M antovani e Pelleri 1991, Pagnoni 1998, Pellizzari e Pagnoni 1998). Di particolare importanza la presenza della testuggine di Hermann (Testudo herm anni), con un popolamento relitto isolato (Costa 1998). Il Bosco di S. Giustina- Fasanara ha una lunghezza di circa 4 km ed una larghezza che va da 100 a 500 m, per una superficie totale di 100 ettari; anch’esso è incluso nell' Oasi di protezione della fauna denominata Santa Giustina (203 ha). Può essere ritenuto a tutti gli effettei l' appendice settentrionale del Gran Bosco della M esola per l' aspetto m olto sim ile ma non solo. Il Bosco di S. Giustina e il Bosco della M esola sono infatti insediati su cordoni litoranei, formatisi dopo il XII secolo in seguito all’avanzamento della linea costiera (Bondesan 1982a, 1982b), rappresentano il residuo di un grosso com plesso di foreste term ofile litoranee che nel medioevo si estendevano fino alla foce del Tagliamento. Nell’area deltizia questo insiem e di boschi, per la m assiccia presenza di leccio (Quercus ilex) veniva chiamato Bosco Eliceo. I due boschi si sono sviluppati sulla stessa struttura geomorfologica e presentano identiche com unità vegetali. Il terreno è alluvionale, originato in parte da relitti marini con formazioni dunose di sabbia ed in parte da sedimenti fluviali argillosi (Mantovani e Pelleri 1991, Pagnoni 1998) Ovviam ente, in questo contesto diviene innanzitutto pressoché automatico favorire al m eglio, quantomeno attraverso specifiche interconnessioni ecologiche (corridoi), il collegamento tra le varie strutture residue di diretta origine. Anche in tal senso vanno poi ulteriorm ente sottolineate alcune riflessioni di carattere generale scaturite dal recente “Piano di Gestione del Boscone della M esola” che evidenzia come alcune prospettive, confrontate nel tem po, sono completamente cam biate e le più significative sono: -

Negli ultim i decenni ì cambiam enti al territorio lim itrofo al bosco, in primo luogo con le bonifiche e la m essa a coltura dei terreni, hanno m odificato profondamente le


caratteristiche ecologiche dell' area, rendendo più difficile la conservazione di un' area limitata di naturalità in un contesto fortem ente antropizzato; -

Un tem po la popolazione che gravitava sul bosco era necessariamente quella dei paesi limitrofi e non sempre i prelievi dei prodotti del bosco seguivano una logica ordinata (bracconaggio, furto di legna ecc.). Oggi la fruizione è potenzialmente molto più am pia perché è diventato più facile spostarsi e gli interessi sul bosco sono diversi, sebbene prevalgano su tutti quelli di tipo turistico-ricreativo, conservazionistici, di osservazione e di studio. La creazione del Parco Regionale del Delta del Po ha contribuito ad incrementare il significato "naturalistico" del Bosco della M esola e ad allargarne l' interesse verso un pubblico sempre più ampio;

-

Se il "valore" del bosco di m ezzo secolo fa era dato dalla quantità di legna combustibile ritraibile annualm ente, in tempi più recenti esso si è spostato sulla qualità dell' habitat faunistico, sulla possibilità che le dinam iche naturali si attuino senza profonde ed irreversibili alterazioni, sulla conservazione delle com unità biotiche ecc.;

-

La principale preoccupazione dei precedenti piani di assestamento era il recupero quantitativo di boschi degradati dalle frequenti ceduazioni o addirittura disboscam enti di alcune aree. Oggi la superficie boscata copre quasi tutta la proprietà e il recupero della provvigione non rappresenta più un problema: sembrano invece assai più rilevanti gli aspetti qualitativi del bosco, vero oggetto di studio e di m iglioram ento nel corso di questo piano.

Vale poi ancora una volta ricordare com e il Bosco della M esola ricade in un’area a m arcato effetto subsidenziale ed è intersecato, al suo interno, da una fitta rete di canali che ha una funzione ecologica determinante ai fini dell’evoluzione delle cenosi forestali presenti. L’i drografia superficiale ha sinora consentito di mantenere delle quote idrometriche medie di -1 / 1,5 m s.l.m., che sono largam ente superiori alle quote idrometriche dei canali esterni. La morfologia del cordone dunale dell’area del Bosco condiziona nel dettaglio la quota idrometrica: i valori m inimi si hanno nella parte orientale (cordone dunale più recente: -2 / -2,8 m s.l.m), i valori medi si rinvengono nella parte centro-occidentale (cordoni dunali più antichi: -1,2 m s.l.m .), mentre al bordo meridionale il livello è più elevato (-0,8 / -0,4 m s.l.m.), ma com unque inferiore al livello del mare, cosicché si assiste all’ingresso di acque marine dal lato sud, lungo la linea di costa della Sacca di Goro: in questa porzione si rinviene la vegetazione alofita. Nel 1978, in località “Elciola” e parallelamente al suo canale, è stato realizzato un bacino idrico artificiale il cui specchio d’acqua utile supera i sette ha. Il laghetto è un’ottim a oasi di rifugio e di sosta per gli uccelli migratori; è alimentato norm alm ente dalla falda freatica e, nei periodi più siccitosi, dallo “Scolo del Bassone” (qui “Canale Elciola”) tram ite opportune canalizzazioni di collegamento. Le precipitazioni annuali del Bosco della M esola oscillano fra 600 e 700 m m per cui già in un precedente Piano di Gestione ( Minerbi 1985) veniva sottolineata la criticità del periodo estivo rispetto agli apporti idrici, condizione questa che può essere tranquillam ente estrapolata alle contigue zone boschive. In particolare, è stato valutato (Piano Gestione, 2004) che se i valori di evapotraspirazione reale si aggirassero, durante i m esi tra giugno e settembre, sui 750 mm e le precipitazioni medie per il periodo fossero prossime ai 150 m m, il deficit sarebbe pari a circa 600 mm . Il ruolo che dunque assume l’approvvigionamento idrico grazie alla falda (garantito dal sistema di canalizzazione interno) è di cruciale importanza. Dal punto di vista ecologico, è poi evidente che la


stessa struttura del bosco può condizionare (tram ite densità delle piante e copertura delle chiom e) in maniera m arcata le condizioni di um idità del suolo nei periodi critici (oltre al periodo estivo, anche quello invernale può essere problem atico per il disseccam ento provocato dai venti asciutti nord-orientali). E’ anche per questo motivo che alcune fasi di degradazione della lecceta xerofila com e le radure più ampie stentano a richiudersi per l’effetto di steppificazione prodotto dall’azione com binata dei vari fattori clim atici sui suoli sabbiosi. L’attuale stato del sistem a idraulico (riduzione della sezione nei passaggi obbligati, franamenti spondali, accumuli dei limi sul fondo, assiem e alla vetustà delle chiaviche di uscita ed alla mancanza di chiuse per compartim entare la rete) non consente tuttavia di poter im mettere i maggiori volum i d’acqua richiesti soprattutto nel periodo estivo e dai recenti rilievi fitosanitari che indicano, nella costanza della disponibilità e qualità dell’acqua, uno dei principali fattori utili alla conservazione del bosco. Uno stato di deperim ento del bosco è stato infatti riscontrato in particolare nelle aree maggiorm ente rilevate, lontano dalle canalizzazioni principali e lungo il margine occidentale del bosco, in cui avviene il drenaggio verso le sottostanti aree un tem po occupate dalla ex valle della Falce. Le azioni precedentemente indicate (miglioram ento, risezionamento e manutenzione delle canalizzazioni) non sono tuttavia sufficienti a garantire la disponibilità d’acqua necessaria, considerato anche che l’increm ento della salinità della falda deve essere contrastato con l’apporto superficiale di acque dolci. Occorrerà dunque intervenire nel m edio periodo per garantire, anche a seguito di eventualm ente limitate precipitazioni stagionali, la costanza dell’approvvigionamento idrico da parte del territorio al contorno, realizzando, nel punto principale di imm issione – che attualmente avviene m ediante due sifoni – una presa diretta in grado di consentire il pescaggio anche in caso di livello idrico basso nel Canal Bianco Riprendendo poi quanto precisato ed indicato nel recente Piano di Gestione del Boscone (2002), si deve ricordare anche in questo caso l’im portanza di una pianificazione orientata in senso ecologico attraverso l' applicazione del concetto di rete ecologica. Ciò, oltre a contribuire attivam ente alla tutela del paesaggio, consente di rapportarsi in modo perm anente al principio di salvaguardia della biodiversità, capovolgendo l' i dea di insularizzazione della "natura restante" propria dell' area protetta m ediante un rafforzam ento diffuso delle presenze naturalistiche o, quantomeno, naturaliform i. La necessità di un approccio ecologico alla pianificazione e della gestione del territorio mediante l' applicazione del concetto di rete giova alla politica delle aree protette in quanto da un lato, ne definisce il contesto sotto il profilo spaziale e funzionale, introducendo l' idea di un gradiente delle relazioni con l' esterno, dall' altro predispone m isure esterne e com plementari di sostegno alla presenza delle aree protette stesse, che nella loro configurazione e consistenza areale costituiscono i capisaldi di una rete ecologica estesa dalla scala continentale (es. Programma "Natura 2000", Program ma "Econet") a quella locale. Se esaminata sotto il profilo della crescente dom anda turistico-ricreativa, la pianificazione ecologica del territorio attuata attraverso una visione reticolare del sistem a degli spazi aperti aum enta le opportunità di diffusione della offerta, distribuendo su più vaste aree l' accesso dell' utenza, col vantaggio di aumentare le occasioni di fruizione e di diluire il carico sulle zone dotate di maggior pregio naturalistico e, proprio per questo, caratterizzate da maggiore vulnerabilità. La stessa idea di area protetta com e luogo raro, eccezionale e isolato si stem pera così in una pratica di esperienze multiple e diversificate di fruizione del paesaggio e di accesso alla natura, dove I' istanza escursionistico-ricreativa può articolarsi in forme e modi assai più versatili e specializzati, m oltiplicando assiem e agli am bienti coinvolti anche le opportunità di soddisfacimento da parte dei fruitori.


L' i dea di rete ecologica del territorio assume quindi il significato di un principio-guida da introdurre progressivamente a tutte le scale e in tutti gli am biti in cui si esercitano azioni di prelievo di risorse ambientali e si aprono opportunitĂ di miglioramento della fruizione degli ecosistem i coinvolti. La delimitazione di aree contigue come "buffer-zones" o ponti di connessione biotica con gli ecotopi presenti all' interno della Riserva si situa proprio all' interno di questo tipo di approccio metodologico e quindi rappresenta un primo tentativo per poter superare il concetto di per sĂŠ rigido della “zonizzazione pianificatorie ed amm inistrativaâ€?.


10.3.3 – Zona Valle Bertuzzi- Lago Nazioni- Foce Volano Valle Bertuzzi è una delle aree umide più suggestive del Parco del Delta del Po. Ha una superficie totale di circa 2.000 ettari, com posta da tre bacini che sono a tratti separate da cordoni dunosi emersi dall' acqua. Questo ambiente è privato e utilizzato come valle di pesca e com e azienda faunistico-venatoria. La vegetazione è principalm ente caratterizzata da canneto e da piante alofile. Al centro, tra Valle Nuova e Valle Bertuzzi, cresce un boschetto di lecci, oggi fortemente ridimensionati dalla presenza dei corm orani e delle garzette che vi nidificano E evidente che già ad una prim a e superficiale valutazione cartografica (Fig. 10.3.3.1) è imm ediatamente percepibile com e le problem atiche di quest’area, anche se in parte specifiche e locali, non possono che essere viste e considerate in stretta interconnessione ed attenzione rispetto ad ognuna delle componenti principali e di diretta com petenza fisico- dinamica e cioè, quantomeno, i contigui corpi del Lago delle Nazioni, della Foce del Volano e, seppur in parte, delle antistanti Valli m inori (Canneviè, Peschiere, ecc). Per altro, quest’area rappresenta un delicato sistem a strettam ente e prioritariamente legato all’evoluzione della foce del Volano ed ai connessi rapporti idrologici, sia superficiali che sotterranei, in grado di modificarne significativam ente anche le caratteristiche bio- ecologiche dell’area. Condizione questa che presenta alcune situazioni di allarm e a partire dai fenom eni subsidenziali che si registrano (Fig. 10.3.1.1) e che non sem brano avere anche qui, come nei due casi precedenti, la dovuta attenzione.

Fig. 10.3.3.1 – Assetto territoriale dell’area di Foce Volano- Lago Nazioni- Valle Bertuzzi su base Corine2000 (Corine Land Cov er 2000 (Apat 2005)


Vale poi ricordare com e, per uno specifico approccio e zonizzazione delle acque di transizione ( salm astre o dolci che siano), l’ indice di un buono stato di conservazione è la presenza di elementi contigui catenali, che siano dinamicam ente collegati al gradiente ripario (presenza di microgeosigmeti caratterizzati dalla presenza di specie natanti, radicate ed elofitiche), e la presenza di elementi im portanti dell’avifauna con caratteristiche stenoecie e stenotope. E’ allora evidente come sia questa l’esigenza da rispettare prioritariam ente in un contesto strategicoprogram matorio; esigenza che determina, senza alcuna possibilità di introdurre confini e lim iti preimpostati come avviene in una tipica “zonizzazione pianificatoria”, la sola identificazione e definizione dell’estensione e valenza degli elem enti territoriali al contorno che gravano sul problem a e sull’assetto spaziale dell’area di specifico interesse. Anche in tal senso vale sottolineare com e il previsto aumento del livello marino e l’accelerazione dei tassi di subsidenza che anche qui sono si potranno registrare (sia nei casi delle foci e connesse aste fluviali terminali, sia nelle lagune e nelle zone um ide) im plicherà significative ricadute nei processi di intrusione di acqua salata ( cunei salini fluviali e di falda), aggiungendo all’impatto sulle riserve di acqua dolce quello sulle colture nelle zone di bonifica e sugli ecosistemi fluviali e deltizi di transizione che , nel loro insieme, possono influenzare anche profondamente l’industria ittica e quella agricola. Condizione questa che, ovviamente, non può contare su artefatte ed irrealistiche “zonizzazioni” possibili e realizzabili sotto solo il profilo amm inistrativo e vincolistico. Particolare attenzione dovrà essere quindi posta per la foce di Volano, zona su cui insiste un insieme a forte valenza naturalistica che comprende ambienti molto diversi tra loro; am bienti che vanno dal quello di Pineta alla laguna salm astra, dall’incolto agli scanni sabbiosi ed alle spiagge di Lido di Volano. Le associazioni vegetali insediate in questo sito risultano quindi quanto m ai diverse e num erose sono le specie tipiche emergenti. In quest’ambito dovrà essere affrontata e riorganizzata la fruibilità turistica complessiva dell’area, anche a livello di navigabilità dell’asta fluviale Per questa zona nel passato fu proposto, condividendolo ancor oggi, che il comprensorio di Volano assumesse un complessivo aspetto organizzativo anche a livello politico e amm inistrativo. Di conseguenza, in un’ottica di interventi coerenti e di condivisione delle interconnessioni esistenti, l' attuale Riserva Naturale Volano, lim itata alla Pineta ed allo Scannone, potrebbe essere am pliata inserendovi la Peschiera e le valli settentrionali, compresa Canneviè, nonché il tratto di spiaggia a sud del Lido vero e proprio. La Riserva così am pliata potrebbe poi concordare sinergie gestionali con la Società che gestisce Valle Bertuzzi e con i proprietari dei terreni circostanti il Lago delle Nazioni. Tale progetto, per cui si auspica il coordinamento del Consorzio Parco del Delta, conferirebbe quantomeno una om ogeneità strategico- programm atoria al territorio interessato. Interventi più specifici sarebbero poi da compiere su piccole aree qiali, ad esempio: a) rinaturalizzazione dei terreni agricoli tra Canneviè e la Peschiera, dal momento che si osserva una tendenza alla form azione di giuncheti m arittimi; b) proteggere i m inuscoli lem bi di lecceta presenti ai piedi dell' argine (Pellizzari e Pagnoni, 1998).


10.3.4 – Zona Valli di Comacchio- Bellocchio- Foce Reno Com e ampiam ente descritto e delineato nel Vol.3/4 e 8, le Valli di Comacchio sono un particolare ambiente paralico lagunare, sia per la loro origine, dovuta più alla subsidenza che non al rimaneggiamento delle barre di foce, che per il fatto di presentare caratteristiche intermedie tra quelle di una laguna vera e propria e quelle di uno stagno costiero. Infatti solo lo specchio d’ acqua più settentrionale, Valle Fattibello, risente dell’ effetto diretto della m area, mentre le restanti porzioni vallive ricevono acque m arine da canali controllati da chiuse. Per altro, com e da più parti evidenziato (cfr. Vol. 3/5) “…è su questo specchio d' acqua (Valle Fattibello), della superficie complessiva di circa 500 ettari, che si articola il ricambio idrico di pressoché tutto il sistema vallivo. Qui confluisce la maggior parte dei collettori di scarico degli impianti idrovori, qui passa l' idrovia ferrarese, qui le acque dolci si mescolano con quelle salate provenienti dalle uniche bocche officiose verso mare (il Porto Canale ed il canale Logonovo), qui le valli cercano di assicurare il loro ricambio idrico”. Le Valli di Comacchio sono per altro soggette ad un’elevata variabilità clim atica stagionale ( ma non solo) ed in particolar modo nel periodo estivo si verifica un elevato abbassamento del livello medio delle acque al loro interno; effetto dovuto alla perdita di volum e per evaporazione che non viene bilanciato da un ingresso di acque marine, sia per i fenomeni naturali d’insabbiamento che si verificano alle foci dei canali, sia per la gestione idraulica in funzione delle attività di pesca, che non prevede l’ingresso di acque nel periodo estivo. Inoltre la circolazione delle acque all’interno del bacino vallivo è limitata dalla presenza di num erosi argini, di cui particolarmente significativi risultano essere quelli realizzati nella parte m eridionale, costruiti per favorire lo sviluppo delle attività di itticoltura, che oltre a comportare una perdita di ambienti naturali (dossi e acquitrini) limitano fortemente la circolazione delle acque prelevate dal fium e Reno. La valutazione delle inform azioni raccolte perm ette al momento di riafferm are che l’assetto idrologico superficiale delle Valli di Com acchio è oggi da considerarsi decisamente inefficiente se non altro rispetto al sistem a di canali di collegamento mare-valli che continuano a non garantire il ricambio delle acque. Di conseguenza, lo scarso ricambio di acque con il m are e la limitata circolazione di esse all’i nterno del corpo idrico, favoriscono l’insorgere di fenomeni di anossia ed eutrofizzazione delle acque vallive, determinandone un peggioramento della qualità. L’i nsiem e di queste condizioni determinano, di conseguenza, la prioritaria necessità di non poter scindere le problematiche della Valle da un contesto complessivo (Fig. 10.3.4.1) che le vede strettam ente interconnesse anche con le Vene di Bellocchio ed Ancona e con le dinamiche in atto e previste per foce Reno (cfr. Voll. 3/2 e 8). Dinam iche che, per altro, non possono essere scisse dai differenziati tassi subsidenziali che si registrano nella zona e che vedono la porzione sudorientale delle Valli tra le più colpite da abbassam eti relativi.


Fig. 10.3.4.1– Assetto territoriale dell’area delle Valle di C om acchio- Bellocchio- Foce R eno. Su base Corine Land Cover 2000 (Apat 2005)


10.3.5 Sistema Aree Umide ( Alberete-Canna- Bardello)- Pinete- Piallasse Rav ennati Seppur oggi estremamente modificate rispetto alla loro originaria formazione ed organizzazione interna per le modifiche indotte dal sistema portuale ravennate, l’insiem e delle singole aree che interagiscono e si interconnetono strettamente in questa zona presentano ancora molteplici aspetti e importanti ricadute funzionali sia a livello morfologico- idrologico che bio- ecologico. Particolarm ente im portanti in tal senso vanno poi considerate per l’area soprattutto i possibili impatti e le connesse riverberazioni e trasformazioni indotte e prevedibili in term ini subsidenziali, decisam ente elevati nell’ultimo decennio proprio in corrispondenza della zona costiera (Fig.10.3.5.1) e l’intrusione salina superficiale e profonda, anche in rapporto ai previsti scenari clim atici.

Fig. 10.3.5.1– Tassi di subsidenza registrati tra il 1998 ed il 2002 nella zona di Marina R omea

Anche in quest’ottica è quindi impensabile disaggregare significativamente, quantomeno a livello strategico-programmatorio, i possibili assetti ed evoluzioni locali in considerazione del com plessivo assetto territoriale che caratterizza la zona (Fig. 10.3.5.2).


Fig. 10.3.5.2 – Assetto territoriale dell’area Corine Land Cov er 2000 (Apat 2005)

In questo caso, per altro, le inform azioni disponibili e le principali problem atiche individuate e prevedibili permettono di raggiungere un livello di zonizzazione che per molti versi si avvicina a quelle tipicam ente pianificatorio- vincolistiche ed urbanistiche. Abbastanza chiari sono infatti i confini e lim iti o. meglio, le interconnessioni fisico- dinam iche della zona rappresentate principalmente da (Fig. 10.3.5.3): 1) a nord dall’asta terminale del fiume Lam one; a est da un sistema spiaggia sostanzialmente stabile ( salvo alcune periferiche e lim itate condizioni erosive a nord) m a con estrem a disaggregazione e disarticolazione dei cordoni dunosi; 3) a sud dal porto canale di Ravenna ed i suoi vincoli e condizionam enti ideologici connesso agli interscambi con le acque marine; 4) a ovest e, parzialm ente a nord, la corona dei terreni di recente bonifica con il relativo sistema di bonifica artificiale, tipologia delle colture, ecc.; 5) una artificiale disconnessione del sistem a, seppur parziale (alm eno superficialmente), indotta dallo sviluppo, all’incirca meridiano, della S.S. Romea che separa le zone umide di acqua dolce, ad ovest (Alberete- Valle Canna), dai restanti elementi ambientali In questo contesto altro “valore unificante” è dato, oltre che dalla subsidenza, dall’intruzione del cuneo salino che tende ad espandersi sem pre più verso terra. Questa situazione è stata ormai ben definita e, almeno preliminarm ente, valutata, individuando nell’orm ai diffusa presenza su tutta l’area ed a m odesta profondità l’i nterfaccia acqua superficiale ( sovrastante) / acque salate (cfr. Vol. 3/)


Fig. 10.3.5.3 – Articolazione dei principali elem enti di interesse naturalistico nella zona


10.3.6. - Foce Bev ano- Ortazzo/ Ortazzino- Pineta di Classe

Fig. 10.3.6.1 – Assetto territoriale dell’area Foce Bev ano- Ortazzo/ Ortazzino- Pineta di Classe. Su base Corine Land C over 2000 (Apat 2005)


10.3.7. - Area umida Campotto

Fig. 10.3.7.1 – Assetto territoriale dell’area della zona di cam potto. Su base C orine Land C ov er 2000 (Apat 2005)


10.3.8. - Pineta- Saline di Cerv ia

Fig. 10.3.8.1 – Assetto territoriale dell’area Pineta- Saline di Cerv ia. Su base Corine2000 (http://www.clc2000.sinanet.apat.it/cartanetclc2000/clc2000/consulta_cartografia.asp)


10.3.9.- Sistema delle Dune Un importante problema riguarda i cordoni dunosi costieri (sia attuali che recenti) che assum ono in prospettiva un ruolo di notevole rilevanza. La presenza di tali cordoni, oggi pressochè del tutto disarticolati, discontinui, in gran parte distrutti, ecc lungo la costa regionale, è infatti una dei maggiori strum enti a disposizione per una efficace risposta agli attuali livelli di disequilibrio costiero: la capacità cioè di poter incrementare le possibilità di salvaguardia e resilienza costiera (azioni di contrasto per l’erosione delle spiagge, salvaguardia terreni retrostanti altimetricamente depressi, ecc) che, soprattutto per il futuro, im plicherà un significativo incremento degli impatti connessi al prevedibile innalzam ento del livello marino (sia per cause eustatiche che subsidenziali). Le dune non svolgono solo un ruolo di naturale protezione delle spiagge contro l’erosione, ma sono strutture in grado di m itigare l’effetto dell’intrusione del cuneo salino, grazie alla presenza di una falda di acqua dolce che si viene a sviluppare laddove i cordoni non sono stati danneggiati. I dati disponibili sull’evoluzione delle dune registrati per l’ultim o m ezzo secolo circa a livello regionale, hanno ampiam ente evidenziato come la loro estensione si sia estremamente ridotta ed i cordoni dunosi abbiano ormai assunto un livello di degrado che solo in pochi punti appare al momento forse irreversibile. A causa dell’i m portante ruolo di difesa naturale del “sistema spiaggia” e dell’imm ediato entroterra è quindi necessario che si afferm i ed aum enti sempre più la consapevolezza che la protezione delle dune residue costituisca, per tutta l’area, condizione prioritaria e primaria di sviluppo. Se le dune sono danneggiate da tale processo o, com e oggi normalmente si verifica, dal quotidiano ed indiscrim inato utilizzo turistico- balneare, i futuri costi di salvaguardia della “risorsa costa” increm enteranno in m aniera esponenziale. E’ dunque essenziale, anche sotto il profilo econom ico, che il sistema dunoso residuo venga mantenuto il più possibile intatto e, soprattutto, si ripristini quello deteriorato e se ne increm enti, per quanto possibile ma prevedendo sin d’ora una temporale cadenza, la progressiva e sistematica costruzione di nuovi segmenti anche attraverso interventi artificiali. Attenzione specifica dovrà essere posta anche nella loro sistem atica gestione, conservazione e salvaguardia anche mediante tecniche di ingegneria naturalistica. L’evoluzione complessiva di tali cordoni è oggi pesantem ente negativa anche se recentemente sono entrate in vigore alcune importanti direttive regionali, quali quelle per l' esercizio delle funzioni amministrative in materia di dem anio m arittimo e di zone del mare, che possono m igliorare per il futuro alcune situazioni del residuo sistema dunoso. Al momento, i cordoni di dune, retrodune e, seppur parzialmente, le antistanti spiagge (che rientrano spesso in zone Sic/ Zps) sono nella maggior parte dei casi vincolati e destinati alla conservazione dell’assetto geom orfologico e, seppur ancora troppo spesso virtualm ente, degli aspetti naturalistici. Laddove ciò non si verificasse, occorre evitare la possibile distruzione delle dune relitte causata dall’espansione del turismo balneare organizzato. In definitiva, sarebbe quindi necessario sistematizzare, innanzitutto e quanto prim a, il censimento, catalogazione e m onitoraggio in term ini GIS di tutti i tratti di litorale con residui di dune, retrodune e spiagge naturali, anche di piccole dimensioni, e garantire per essi una adeguata azione strategicoprogram matoria ed operativo- gestionale, in parte già prevista dai vincoli territoriali ed urbanistici. In tal senso non va assolutam ente sottovalutata l’assenza di una regolam entazione degli accessi, anche solo pedonali, al sistema dunale; problema che può com portare la distruzione della sua vegetazione, la creazione di "stradellamenti" (per l’accesso dei bagnanti alle spiagge) con conseguente esposizione delle dune a processi di erosione, generati dal calpestio e, molto spesso, anche dal passaggio di mezzi motorizzati (magari per la manutenzione della pulizia delle spiagge!).


Problem atiche queste che accom unano tutto il sistema litoraneo- costiero ferrarese- ravennate e di cui, alm eno al momento, una qualche considerazione e focalizzatone, oltre che di un organizzato data base conoscitivo utile in termini GIS, è rilevabile solo nel Piano dell’Arenile del Com une di Ravenna, tutt’ora in fase di elaborazione e discussione (Fig. 10.3.9.1). Piano che al momento prevede quantomeno (pur senza spingersi ad azioni di vero e proprio incremento delle aree dunose) come: “…05.11 - Fermo restando quanto prescritto dal P.R.G., le dune individuate nella cartografia allegata non possono essere intaccate; gli eventuali passaggi non dovranno alterarne l’andamento morfologico. Esse, qualora ricadano nelle aree di proprietà o in concessione, dovranno essere ricostruite secondo l’andamento indicato nella cartografia allegata a cura e spese del concessionario all’atto di ogni intervento edilizio di manutenzione straordinaria, restauro e ristrutturazione senza ampliamento, nuova costruzione e/o demolizione con o senza ricostruzione. Ai fini dell’attivazione di processi di forte riqualificazione ambientale, il Piano individua con apposita simbologia le aree marginali degradate e le aree retrostanti le strutture turistico-ricreative, Tali aree sono destinate ad interventi che permettano una maggiore continuità tra arenile, cordone dunoso e area pinetata: pertanto gli interventi sono finalizzati ad una mitigazione e riduzione degli impatti delle strutture all’interno di elementi naturali.”

Fig. 10.3.9.1 Esempio di def inizione, archiv iazione e interconnessione dei sistemi dunosi intrapresa a liv ello di Piano dell’Arenile del C om une di R avenna


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