La battaglia dei mille

Page 1

La battaglia dei mille

Realizzato da Marco Vinciguerra


I

l Generale in Camicia rossa si accorse della presenza di fronte a lui di uno schieramento di soldati borbonici, subito diede disposizioni ai suoi uomini di predisporsi per la battaglia. Il Maggiore Sforza che comandava il raggruppamento di napoletani, tratto in inganno dall’esiguo numero di armati schierati, ra l’altro quasi tutti in abiti borghesi e creduto quindi che trattavasi di una banda raccoglitiera, fu solerte nell’ordinare l’attacco. I borbonici decisero così dal colle sul quale si tramavano per tentare di risalire quello di fronte sul quale erano attestati i garibaldini. Questi, contrariamente alle aspettative degli attaccanti, non solo non si sbandarono e non arretrarono, quando, ad un dato momento, dopo delle precise scariche di fucileria, costrinsero i soldati napoletani ad indietreggiare nella vallata tra le due colline. A questo punto, Garibaldi, cogliendo l’attimo favorevole, ordinò degli attacchi alla baionetta. Attacchi, sempre condotti con successo, che in breve costrinsero la fanteria borbonica, a ritornare, risalendo a fatica sette terrazzamenti di terreno al punto di partenza. Ivi, un ultimo assalto diretto sul fianco sinistro ed operato dall’intera forza garibaldina, nonostante fossero pure arrivati dei rinforzi borbonici, fece sbandare l’intero schieramento, il quale costretto ad arretrare andò a rinchiudersi nell’abitato di Calatafimi. * * * I mille restarono così padroni indiscussi del campo di battaglia. In merito a questo scettro, durato all’incirca sei ore e che costò una trentina di morti ad ogni schieramento, oltre ad un ben più alto numero di feriti, va detto che si concluse positivamente per i Legionari, sia per il loro coraggio e la loro disciplina, ma anche perché molto più esperti nella lotta corpo a corpo. Circa questa battagli va altresì affermato che, pur essendo nella storia militare solo un episodio bellico di poco spessore, in confronto alle grandi battaglie del secolo, pur aver consentito il prosieguo dell’amezzata garibaldina, si guadagnava di diritto l’accesso tra i momenti più significativi del nostro risorgimento. Infine, come non rilevare altresì che se i Mille non fossero riusciti a re-


spingere la colonna borbonica, di certo non avrebbero ricevuto quell’aiuto da parte dei locali che poi subito ebbero e la spedizione si sarebbe trasformata in un massacro. Massacro, al quale dopo l’Esercito avrebbero preso parte anche i tribunali e di sicuro pure quelle plebi rurali, così come già accaduto ai tempi di Pisacane e dei Fratelli Bandiera. Dopo la vittoria Garibaldi puntò decisamente su Palermo, mentre il contingente si ingrossava sempre più per l’adesione spontanea di molti giovani siciliani, i cosiddetti “ picciotti “. Costoro, fatte le debite eccezioni per idealisti, rappresentarono soprattutto l’espressione della ribellione di una classe contadina oppressa da una miseria millenaria, la quale, unendo questione politica e questione sociale, sperava che il trionfo di Garibaldi sui Borbone segnasse finalmente l’inizio di quella rivoluzione agraria da tempo attesa. Le loro aspettative in breve andarono deluse ! I moti di brante, duramente repressi dal Bixio, ne saranno una cruda testimonianza. Al momento però il loro contributo fu prezioso ed intervenne a dare nuova forza e slancio alle camicie Rosse. * * * In merito al citato episodio di Bronte, in onore alla verità storica e lontano da qualunque posizione ideologica di parte, va anche detto che i Garibaldini erano andati in Sicilia a fare l’Italia e , non una rivoluzione sociale. Essi erano unicamente degli ardenti patrioti anelanti solo all’unità nazionale e non anche al riscatto degli oppressi, di cui, tra l’altro, ignoravano pure le misere condizioni in cui versavano. Affinchè il quadro sia completo diciamo pure che Garibaldi venne appoggiato anche da tutti i liberali dell’isola, indipendentemente dl loro ceto. Ciò, in quanto costoro vedevano in Vittorio Emanuele II, che sarebbe subentrato a Francesco II, quel re il quale avrebbe loro dato quella Costituzione che i sovrani borbonici si erano sempre ostinati a non voler concedere. Garibaldi arrivò a Palermo, quasi di sopresa, all’alba del 27 Maggio. Arrivo che aveva fatto seguito all’invio di una colonna di camicie Rosse verso altra direzione, al fine di attirare dietro di essi una parte delle forze borboniche. LA colonna caduta nel tranello era al comando del


Von Mechel. Nella città, al comando del generale Laura, erano presenti circa 20.000 soldati, i Garibaldini erano invece poco più di mille, i restanti, erano serviti per portare fuori zona gli inseguitori di cui dicevano. A questo punto dalle navi in rada e anche da alcuni forti sulla terraferma , fu iniziato un feroce ed inconcludente bombardamento sulla città. Bombardamento che non portò ad alcun vero risultato strategico, mentre servì invece ad accrescere l’astio ed il desiderio di combattere da parte dei palermitani. * * * Mentre la nobiltà cercò riparo sulle navi inglesi, per tre giorni le camicie rosse si batterono con determinazione e coraggio contro le truppe napoletane, guidate, oltre che da Garibaldi, anche da Bixio, La mase, Crispi, Carini, Sirtori e Tiirr. Il giorno 30, il Generale Letizia, con un piccolo seguito, su delega del comandante in capo Lanza, incontrò Garibaldi sul territorio neutrale di un vascello britannico ancorato nel porto. Nel corso del colloquio i rappresentanti borbonici, disorientati, non motivati ed incapaci di gestire la situazione, chiesero ed ottennero una tregua di tre giorni. Al termine, dopo altri pochi giorni ed esattamente il 6 Giugno fu firmata la capitolazione costituzione, in seguito alla quale l’intera forza armata, ancora in gran parte intatta e sempre cospicua nel numero, incapace di riprendere i combattimenti, si imbarcò per fare ritorno sul continente. Intanto, von Mechel, capito che stava inseguendo solo una paruta schiera di Legionari ed informato di ciò che intanto stava accadendo a Palermo, fatta una convenzione, fu sollecito a raggiungere le porte della antica capitale normanna. Ivi, da parte del generale Lanza, gli venne però impedito di attaccare i Garibaldini così come avrebbe voluto. La presa di Palermo fu una grande vittoria, non solo campale, ma anche ideale e psicologica per le camicie rosse, che diede loro gloria, prestigio, fama, stima e notorietà e fece nascere quel unito destinato ad accompagnarli nella storia. Per i borbonici, invece, non fu solo una sconfitta militare, ma anche una demolizione di immagine, non solo da un punto di vista tattico e strategico, ma anche in un quadro di etica, di morale e di spiritualità. In merito a questa vittoria dei garibaldini e le altre a seguire, va detto che tale travolgente avanzata molto deve anche ad una tecnica di com-


battimento, all’epoca quasi completamente sconosciuta, agli eserciti regolari. Tecnica oggi definita guerriglia e fatta di velci ritirate. Ritirate attuate prima che il nemico potesse dare inizio ad una qualunque reazione di difesa e risposta. Ciò, tra l’altro, creava disorientamento, incertezza, paura e gettona scompiglio. Al termine di tale brillante fatto d’Arma ed al di fuori dei “ picciotti”, alcuni dei quali dopo la conquista di Palermo preferirono fare ritorno alle proprie case, continuarono ad essere pochi i siciliani che andarono ad arruolarsi nell’esercito di garibaldi, nonostante questi avesse anche bandita una leva obbligatoria. Notevoli aiuti dovevano però giungere dal nord, con varie nuove spedizioni e tali da permettere il prosieguo delle operazioni. Il 18 gennaio poi, raggiungere la Sicilia anche un contingente forte di oltre 2500 nuovi volontari al comando del Medici. Ma chi era questo Garibaldi che giungeva e galvanizzava i suoi uomini. Al momento aveva poco più di 50 anni ed un passato che già sapeva di leggenda, pur aver lungamente ed instancabilmente combattuto per la libertà in varie parti del mondo. In possesso di un notevole fascino personale, che sconfinava in una immediata seduzione, era fiero nel portamento, con una figura intrisa di grande semplicità, non priva, nel contempo, di personalità e carattere. Tale carisma gli consentì così di esercitare sulle falle una magica suggestione. Nella vita quotidiana, ma anche nei momenti di maggiore celebrità, fu sempre lontano da affettazione e non abbondonò la sua sobrietà, la sua umiltà e la sua intelligente comprensione per le classi più povere e disagiate. Non solo, in quanto va pure ammirato per una totale assenza di retorica, nonché per il rifiuto di promozioni, gratificazioni e prebende. Anche la ricchezza, va sottolineato, sempre la lasciò del tutto indifferente. * * * Consolidata la conquista di Palermo, Garibaldi si accinse a completare l’annessione della Sicilia. Divisa la propria forza in tre piccole brigate, una, al comando di Nino Bixio, venne inviata verso il Sud. Essa, avrebbe dovuto occupare Agrigento, per poi, spostandosi lungo la costa, arrivare a Siracusa e di li risalire l’isola sino a Catania. La seconda, prima al comando del Tùrr e poi di Eber, puntò invece dritta verso l’interno. Doveva raggiungere Enna e di lì convergere poi verso Catania, ove si


sarebbe incontrata con la prima Brigata. La terza, numericamente più consistente ed al comando del Medici, venne invece inviata ad occupare Messina. Essa, il 20 luglio, sempre ovviamente dal 1860, giunse a Milazzo. Le camicie rosse disposte su tre colonne avanzarono in uno spazio aperto sul davanti della città, contro le schiere borboniche in attesa dello scontro. I garibaldini, complessivamente, erano circa 4000, compresi quelli presenti in città e nel castello. Alle sette di mattina lo scontro ebbe inizio e per tutto l’arco della giornata e Mille non fecero che avanzare a danno dei borbonici che costantemente arretravano verso l’abitato. Nel corso dei combattimenti, nei pressi del ponte di Milazzo, garibaldi circondato da un drappello di Cavalleria nemica, rischiò di essere ucciso. Venne salvato da un deciso intervento di Missori che guidò un reparto in suo soccorso. Nel pomeriggio a sostenere l’impegno militare delle Camicie rosse, giunse, trasportato via mare, un nuovo robusto contingente proveniente da Palermo. Il loro irrompere sulla scena della battaglia ed il cannoneggiamento fatto dalla nave che li aveva trasportati, consentirono così ai Volontari di avanzare ancora più rapidamente ed entrare nello abitato di Milazzo e cingere d’assedio il castello ove i borbonici sconfitti erano andati a trincerarsi. Il giorno 25, resisi conto che una ulteriore resistenza e nulla sarebbe servita, i soldati di Francesco II, dopo una lunga trattativa, firmarono una capitolazione che consentì loro di potersi imbarcare alla volta di Napoli. Ai volontari venivano però lasciati, cannoni, cavalli, muli e materiale vario. Quasi contemporaneamente, il Generale Clary , comandante in capo delle forze borboniche che in Sicilia, firmò una umana capitolazione che rendeva i mille padroni anche di Messina, mentre i 15.000 soldati ancora presenti abbandonavano la città via mare. * * * Occupata Milazzo che era costata ai garibaldini, tra morti e feriti, la perdita di circa 800 uomini, cioè all’incirca un quinto della loro forza amrata, le Camicie rosse iniziarono a trasbordare sul continente, eludendo sia la flotta borbonica che quella piemontese, alla quale pure era stato imposto di impedire il passaggio. Scontri di grosse proporzioni


non ve ne furono, solo la conquista di Reggio Calabria, le cui forze di difesa erano al comando generale Gallotti, impegnò alquando i due schieramenti. Ivi, il 21 agosto, i garibaldini sostennero uno scontro vittorioso penetrando a tarda sera nell’abitato e vincendo anche la resistenza di alcuni reparti situati sulle colline dei dintorni. Dopo questo evento militare l’avanzata dei garibaldini attraverso le terre di Calabria, Basilicata e Salernitano si trasformò in una marcia trionfale, con molte città che insorsero ancor prima del loro arrivo. A nulla era servito da parte di Francesco II, spinto dal Consiglio della Corona, aver già, a fine giugno, concesso una costituzione. Costituzione per la quale da decenni la parte più avanzata del Reame si era battuta. Era troppo tardi ed il gesto da nessuno fu percepito di magnanimità da parte del Sovrano, ma solo di estrema debolezza. Nel momento in cui i Mille erano oramai in Campania ed a breve distanza dalla capitale, Francesco II di Borbone, la regina Maria Sofia, andarono a rinchiudersi nel forte di Gaeta. Mentre il Regno delle due Sicilie continuava a sfasciarsi sotto i colpi dei garibaldini, il giovane ed inesperto sovrano pagava con la perdita del trono, non solo le sue colpe, lievi per la verità, bensì, soprattutto, per quelle dei suoi avi. Avi, i quali, in decenni di malgoverno e negligenze, percepiti tali anche dalle potenze straniere, vedi la relazione del Gladstone, avevano tracciato un solco incolmabile di incomprensione e distacco tra il Popolo e Corona. Intanto , il 7 settembre Garibaldi, con un piccolo seguito, giungeva a Napoli su un treno partito da Salerno, accolto festosamente dalla popolazione. Solo a pochi era comunque chiaro la vera importanza di ciò che stava accadendo : l’Italia, dopo secoli di divisioni ; lotte featricide, dominazioni straniere e dinastie non nazionali, si apprestava a divenire unanimamente unita, in un’aura costituzionale. * * * Con delle potenzialità belliche ancora intatte, i reparti dell’Esercito di Francesco II, che si eranoritirati tra Gaeta e Capua, quasi come usciti da un torpore ce li aveva avvinti dal momento dell’arrivo dei garibaldi-


ni, ricomposero i quadri ed iniziarono dei seri preparativi per contrastare gli assaltori. Intanto, il Cavour, orientato sempre iù ad intervenire con una spedizione di appoggio, ma anche di controllo nei confronti dei Mille, con una ulteriore, brillante, coraggiosa e spregiudicata azione politica e diplomatica riuscì a carpire a Napoleone III il permesso, come abbiamo visto all’inizio di questa relazione, per attenuare il suo piano. L’11 settembre il Generale Cialdini varcava così i confini con i territori dello Stato della Chiesa ed iniziava una marcia di avvicinamento verso il Sud. Si temeva solo un intervento dell’Austria, che non ci fu per i motivi di cui abbiamo già parlato. Il primo vero importante scontro tra i due eserciti avvenne a Castelfidardo, ove i popolini sconfitti si ritirarono lasciando che i piemontesi continuassero la loro avanzata. Intanto le truppe borboniche rinvigorite dal primo successo dell’intera compagna che erano riusciti ad ottenere a Caiazzo, ove un attacco voluto e guidato dal Tùrr, dopo un iniziale successo, era stato disastrosamente respinto, apparivano pronti a sostenere l’urto con l’ Camicie rosse. Il 1° ottobre l’esercito borbonico , uscito da Capua, punto decisamente contro il nemico. Il comando supremo era stato assegnato al Generale Ritucci e presente vi era anche Francesco II, con alcuni membri della casa Reale. Il piano prevedeva che alcune Divisioni avrebbero dovuto attaccare i centri di Santa Maria e Sant’Angelo, mentre altre dovevano invece attraversare il volturno e puntare su Maddaloni e Caserta Vecchia. L’intento, cmunque, era quello di prendere alle spalle l’intero schieramento garibaldino. * * * Il combattimento davanti Sant’Angelo si concluse con l’arresto dei borbonici operato da reparti al comando del Medici. A Santa Maria invece, ad un dato momento, parve che le truppe napoletane stessero per prevalere. Garibaldi allora, fatte giungere sul posto le unità di riserva, guidate dal Tùrr, diede inizio, sotto la sua guida, ad un furioso contrattacco destinato a concludersi in serata con il ritorno degli attaccanti all’interno della fortezza di Capua dalla quale erano partiti. Delle due colonne borboniche dirette invece a Maddaloni ed a Caserta Vecchia, quella in marcia verso Caserta Vecchia, a Castel Marrone si


scontrò con un raggruppamento garibaldino guidato da Pilade Bronzetti. Solo la morte del Comandante e di tanti suoi uomini, consentì alla fine ai soldati napoletani di prelevare e di entrare in città. La colonna che puntava su Maddaloni fu invece respinta, dopo un violento combattimento, dalla Divisione di Bixio e costretta per essa, a fine giornata , a fare ritorno a Capua. Il mattino successivo l’unità borbonica che era riuscita a giungere a Caserta Vecchia, venne circondata e nonostante un vivace tentativo di riprendere l’avanzata, fu sconfitta e presa prigioniera quasi al coperto. A questo combattimento prese parte anche un Battaglione di Bersaglieri, da poco sbarcato nel porto di Napoli. * * * Si chiudeva così negativamente il tentativo posto in atto dall’esercito di Francesco II di ribaltare le sorti di una guerra che lo aveva visto perdente ovunque. Garibaldi invece, con questa vittoria aveva dimostrato al mondo di essere non solo un audace tattico, ma anche un valente stratega. La battaglia sul volturno fu infatti una battaglia manovrata, ove l’eroe dei Due Mondi seppe bene muovere le truppe sul terreno e tenere costantemente sotto controllo l’intero campo di battaglia. I garibaldini, dal loro canto, sottolinearono ancora una volta di non essere solo degli ardenti patrioti idealisti, ma anche dei veri soldati, capaci di sapersi battere con coraggio, determinazione e disciplina. Infine, questa spedizione venne a costituire anche il punto più alto raggiunto dal nostro volontariato nazionale. Ciò, in quanto riuscì ad ottenere il suo risultato più fulgido e brillante. Risultato che gli ha consentito di guadagnarsi un posto di rilievo nella storia militare dell’età contemporanea . Intanto, sempre per volontà del Dittatore, la flotta borbonica veniva consegnata all’Ammiraglio Persano, comandante di quella sarda. In merito alla cattiva priva di se che l’esercito del Regno delle due Sicilie diede nel corso di questa campagna di guerra, va anche doverosamente evidenziata un’anomalia che in parte serve a spiegare un insuccesso tanto clamoroso. Poiché i Borboni da sempre avevano considerato il Reame non uno Stato da governare, bensì un semplice dominio in cui regnare, la forza armata costantemente era stata addestrata, non tanto a difendere i confini, quando a reprimere qualsiasi forma di rivolta e insorgenza interna.


Garibaldi, dopo l’incontro con Vittorio Emanuele II a Taverna di catena, poco distante da Teano, al quale consegnava il reame borbonico da lui conquistato a Caprera. Successivamente, per i successi militari ottenuti, venne insignito della Croce di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare d’Italia e della Medaglia d’Oro al Valor Militare. Tanto talento nell’arte della guerra, unanimamente riconosciuta anche dalla più recente storiografia militare specializzata, ancora oggi continua ad essere un vanto, non solo per la nostra nazione, ma anche per le nostre Forze Armate. Infatti, non a caso una delle nostre migliori unità di proiezione fuori area, la Brigata Bersaglieri, con sede a Caserta, e per l’appunto intitolata “ Giuseppe Garibaldi “. Il 17 marzo 1861, dopo che i due rami del Parlamento già si erano espressi favorevolmente, venne proclamato ufficialmente il Regno d’Italia, con Vittorio Emanuele II re costituzionale. In tal modo tra lo stupore dell’intera Europa, l’Italia diveniva finalmente uno Stato unitario, alla pari degli altri già esistenti, cessando, nel contempo di essere una “ semplice espressione geografica” così come sprezzantemente l’aveva definita il Metternich, ma anche non più “ calpesta e derisa”. In merito a questa raggiunta unificazione territoriale della Penisola e del popolo italiano, mi è gradito concludere invitando a riflettere sul fatto che prima di Vittorio Emanuele II, l’ultimo italiano, escludendo Napoleone, che aveva assunto il titolo cinto la corona di re d’Italia, era stato Arduino d’Ivrea, nel lontanto, ma proprio tanto lontano, anno 1002.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.