Riso docet. Comicità e serietà sono due facce della stessa medaglia....

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RISO DOCET

Marco Donati

“Un convegno di saggi e di buffoni: tutto ciò che voglio essere e sono io” (Nietzsche)

A Luciano e Orietta, i miei genitori preferiti


Exlibris RISO DOCET Marco Donati

Copyright Š 2013 by Pioda Editore Cover design di Giulia Arimattei Book design di Giulia Arimattei All rights reserved. No part of this book may be reproduced in any form or by any electronic or mechanical means including information storage and retrieval systems, without permission from the Editor/Author. The only exception is by a reviewer, who may quote short excerpts in a review.

First Release: May 2013 ISBN:978-88-6321-001-9

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Indice Prefazione a cura di Mario Morcellini Premessa Introduzione

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PARTE PRIMA Capitolo 1. La Caduta dell’Homo Ridens 1. Dall’Homo Ludens all’Homo Iper-serius 2. La rivoluzione adolescenziale 3. La mente mente continuamente

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Capitolo 2. La Rivolta del Comico 1. Apollo contro Dioniso 2. La comicità e(’) l’irregolare 2.1. Il principio del piacere e il principio del reale 2.2. Le situazioni comiche 3. L’umorismo 4. L’ironia e il sarcasmo

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Capitolo 3. Il Settimo Senso: il Senso dell’Umorismo 1. Che senso ha l’umorismo? 2. Le componenti dell’umorismo 3. I meccanismi cognitivi: come sono organizzate le informazioni 3.1. La capacità di interpretare l’incongruo 3.2. L’importanza della meta comunicazione 4. I meccanismi dinamici: le fonti di piacere 4.1. Il piacere cognitivo 4.2. Il piacere emotivo: Freud e il motto di spirito 4.3. Il piacere di aggredire: il motto ostile 4.4. Il piacere sessuale: il motto osceno 5. Soggettività e senso dell’umorismo 5.1. Il principio di padronanza 5.2. Il principio di salienza

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5.3. Il principio di sintonia 6. Le funzioni dell’umorismo 6.1. Funzioni intellettive: una palestra mentale 6.2. Funzioni sessuali e aggressive 6.3. Funzioni terapeutiche e psicologiche 6.4. Funzioni relazionali 6.5. Funzioni negative (?) Capitolo 4. Uno Starnuto Mentale: lo Scoppio della Risata 1. Introduzione: il dono di Dio 2. Quanti stimoli? Un problema teorico 3. Il Meccanismo Scatenante Innato 4. La strutturazione gerarchica e lo stimolo risorio 4.1. Gli zimbelli 4.2. Il meccanismo dell’estraneo 4.3. Umiliazione o democrazia 5. Lo scoppio 5.1. Il riso e la paura 6. Dimmi come ridi e ti dirò chi sei: la personalità e il modo di ridere 6.1. La curva della risata

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Capitolo 5. Il Valore di Sorriso e Riso nelle interazioni umane 1. Sorriso e riso: strumenti tutti nostri 103 2. La fenomenologia del sorriso e del riso 107 2.1. Il rapporto fra il sorriso e il riso 110 3. Il sorriso 113 3.1. Il messaggio del sorriso 114 3.2. La funzione antiaggressiva e antigerarchica 118 4. Il riso 120 4.1. La relazione duale: il riso di trionfo e il riso di scherno 121 4.2. La relazione triadica: i due messaggi del riso 124 5. Il messaggio Derisione 128 6. Il messaggio Complicità 131 7. Lo Stimolo 133

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7.1. Il Messaggio Stimolo

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Capitolo 6. Leader, Buffoni e Capri Espiatori: Ruoli e Relazioni Sociali nella Risata 1. Un effetto contagioso … 137 2. La relazione gerarchica 139 3. Il sodalizio di pari 143 4. Ridere di sé stessi: l’autoironia 145 5. Il Buffone 148 5.1. Evoluzione storica del buffone 148 5.2. Il buffone e la gerarchia 150 6. La leadership del riso 152

PARTE SECONDA Capitolo 7. La Comicoterapia 1. Cos’è la Gelotologia? 2. Dalla gelotologia alla Comicoterapia 2.1. La storia di Norman Cousins 3. La Clown Terapia 3.1. Hunter “Patch” Adams 4. Il naso rosso: la figura del Clown Dottore 4.1. I volontari del sorriso 5. Le associazioni in Italia 5.1. !Ridere per Vivere!

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Capitolo 8. Gli usi sociali della Comicoterapia 1. La Comicoterapia in ospedale 1.1. L’esperienza degli altri 2. La Comicoterapia nelle scuole 3. La Comicoterapia nei reparti di psichiatria 4. La Comicoterapia nelle comunità di “diversabili” 5. La Comicoterapia come formazione agli adulti 5.1. La formazione per operatori socio- sanitari 5.2. La formazione agli insegnanti 6. Una strada per la pace: il riso in guerra

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PARTE TERZA Capitolo 9. Riso a ricreazione 1. Premessa: un clandestino a bordo 2. Oggetto di ricerca 3. Quando il riso sale in cattedra 3.1 Il metodo Riso è salute 3.2 Il corso alla scuola “Porto Romano” 4. Le ipotesi di ricerca 5. Il modello di ricerca 6. La metodologia

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Capitolo 10. Analisi dei risultati 1. Risultati della ricerca 1.1. Risultati osservazione partecipante 1.2. Risultati questionario 2. Verifica delle ipotesi 3. Conclusioni

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Allegati Bibliografia, Sitografia, Filmografia

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Prefazione Mario Morcellini

(…) Jorge osservò che, per quanto ricordava, Aristotele aveva parlato di queste cose nel libro della Poetica e a proposito delle metafore. Che già si trattava di due circostanze inquietanti, primo perché il libro della Poetica, rimasto ignoto al mondo cristiano per tanto tempo e forse per decreto divino, ci è arrivato attraverso i mori infedeli... (…) il secondo motivo di inquietudine è che ivi lo stagirita parlasse della poesia, che è infima doctrina e che vive di figmenta. E Venanzio disse che anche i salmi sono opera di poesia e usano metafore e Jorge si adirò perché disse che i salmi sono opera di ispirazione divina e usano metafore per trasmettere la verità mentre le opere dei poeti pagani usano metafore per trasmettere la menzogna e a fini di mero diletto (…)

Umberto Eco, Il nome della rosa

Abbiamo provocatoriamente affidato l’apertura del nostro scritto a un passo del celebre romanzo Il nome della rosa in cui l’anziano frate Jorge da Burgos si pronuncia contro il riso. Nel testo, come i lettori ricorderanno, il ruolo di motore immobile dell’azione è assunto proprio da un volume scomodo: il secondo libro della Poetica, che Aristotele aveva voluto dedicare alla commedia e che non è mai effettivamente pervenuto ai moderni. In quello riportato in esergo, come in altri punti salienti della trama, l’Autore pone al centro della narrazione un Libro e il sapere che nelle sue pagine è custodito e che ha per oggetto il Riso. Lo spunto che la rilettura del romanzo ci propone appare quantomai appropriato al contesto in cui scriviamo: quella che abbiamo tra le mani è infatti una trattazione

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che si propone una sorta di operativizzazione dell’ironia, e perfino della risata più immediata e meno “intellettuale”, orientata a recuperare il senso sociale e aggregante della comicità e delle sue molteplici sfumature. È intanto già interessante, per chi si occupa di cultura e di comunicazione, riflettere sulla definizione della poesia come infima doctrina che vive di figmenta: quasi una dichiarazione di guerra alla finzione letteraria, una critica delle forme narrative e delle storie inventate per il diletto degli umani. Ma le ragioni della critica rivolta dal monaco all’antico libro che nobilita il riso sono più sottili, e coincidono con la possibilità che il sapere contenuto in quel volume indebolisca la paura degli umani nei confronti dei principi superiori che garantiscono l’ordine. Vale a dire la Legge, ma più ancora il timor di Dio, su cui essa si fonda. Frate Jorge riconosce che (…) anche la chiesa nella sua saggezza ha concesso il momento della festa, del carnevale, della fiera, questa polluzione diurna che scarica gli umori e trattiene da altri desideri e da altre ambizioni... (…) Ma qui, qui...” ora Jorge batteva il dito sul tavolo, vicino al libro che Guglielmo teneva davanti, “qui si ribalta la funzione del riso, la si eleva ad arte, le si aprono le porte del mondo dei dotti, se ne fa oggetto di filosofia, e di perfida teologia... (…) questo libro potrebbe insegnare che liberarsi della paura del diavolo è sapienza. (…) Il riso distoglie, per alcuni istanti, il villano dalla paura. Ma la legge si impone attraverso la paura, il cui nome vero è timor di Dio. E da questo libro potrebbe partire la scintilla luciferina che appiccherebbe al mondo intero un nuovo incendio: e il riso si disegnerebbe come l'arte nuova, ignota persino a Prometeo, per annullare la paura.

Si stabiliscano pure tempi e luoghi in cui gli uomini possano esercitare il riso e sperimentare l’abbandono catartico, dunque, ma da

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questi non si deroghi. Il rischio del caos provocato dal dubbio e dalla sospensione del timore verso l’Autorità – conseguenza che la comicità elevata ad Arte provocherebbe, se portata alla conoscenza degli umani – appare qui ben evidente e terrorizza il monaco. Il quale ricorrerà ai mezzi più estremi, pur di impedire la diffusione dei contenuti del Libro. Questa digressione letteraria, rimodulata nel contesto del volume che ci troviamo a presentare, fornisce un importante spunto di riflessione circa quella sorta di miopia mostrata da molta parte dei settori del lavoro nel cogliere il valore aggiunto del buonumore. Una miopia che sembra avere la sua radice nella difficoltà o forse perfino nella paura, propria di chi si trovi ad occupare posizioni di qualche rilievo gerarchico in ambito lavorativo, di mettersi in discussione, di rischiare una rinegoziazione delle regole. Eppure, il ridere è una componente essenziale del benessere che ciascuno dovrebbe recuperare dalla frequentazione dei luoghi deputati allo svolgimento delle attività lavorative. L’immagine ancora oggi dominante del lavoro lo rappresenta come una dimensione della quotidiana esperienza umana del tutto contrapposta allo svago o al diletto. Ma continuando ad accreditare questa rappresentazione si nega la possibilità stessa che lavorare possa essere un piacere, si inibisce la visione del processo lavorativo come occasione di arricchimento, e dunque come opportunità di crescita individuale e collettiva – del singolo e della comunità dei soggetti che cooperano. Tutte eventualità positive, che dovrebbero scoraggiare dal proseguire in una considerazione superficiale della risata, interpretata come rallentamento della produttività, ostacolo allo svolgimento del proprio compito o addirittura elemento di pericolo per la disciplina interna alle organizzazioni, alle aziende, alle istituzioni.

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La necessità del ben-essere nei luoghi di lavoro appare ancor più urgente oggi, in un tempo in cui il lavoro assume spesso forme e declinazioni non sempre vicine alle aspettative di una popolazione – ci riferiamo qui innanzitutto a quella delle nuove generazioni più altamente scolarizzate, ma il discorso si estende naturalmente ad ogni fascia sociale e a ciascun settore dell’attività professionale – che deve rincorrere i miraggi sempre più impalpabili della stabilità e della continuità lavorativa, quando non della retribuzione tout court. La cronaca ci consegna quotidianamente storie di ordinaria precarietà, di vissuti simili ad annaspamenti nel mare magnum di un mercato del lavoro tanto fluido quanto capriccioso e spesso dispotico. Sappiamo bene che non sarebbe sufficiente una risata a capovolgere le sorti di biografie lavorative che ben altri strumenti richiederebbero per essere innalzate al rango della dignità; né quella stessa risata sarebbe in grado, da sola, di seppellire alcuni perversi meccanismi del mercato e degli interessi che lo attraversano, determinando le esperienze di vita dei contemporanei. Ma l’attenzione verso un uso consapevole dell’umorismo può almeno fornire segnali concreti di cambiamento delle routine relazionali tra gli uomini. Questo suggerimento, utile per ogni ambito della sfera lavorativa contemporanea, assume un senso ed un valore particolare nei settori in cui la relazione – una buona relazione – costituisce il fulcro stesso dell’attività di lavoro. Alcuni di essi sono più facilmente intuibili: pensiamo alla formazione, all’assistenza medica (soprattutto a bambini e anziani), alla scuola, alle carceri. Altri appaiono invece inediti, come le missioni umanitarie e perfino le organizzazioni aziendali, più rigidamente organizzate da un punto di vista gerarchico. Imparare a ridere in un modo che non sia canzonatorio, umiliante o sanzionatorio – come è spesso il riso arrogante del Potere – è

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dunque possibile, e le esperienze concrete che questo volume racconta, accanto a riflessioni più generali e in alcuni passaggi storiche sul tema, sono qui a testimoniarlo. Dalle pionieristiche esperienze della Clown Terapia alle più recenti sperimentazioni nei campi della riabilitazione, della prevenzione e della formazione, il contributo di questo testo può risultare utile a chiunque sia interessato a una riflessione sul comico, e sia magari disposto ad abbandonare il proprio rassicurante aplomb professionale. Rinunciando così, almeno temporaneamente, a rifugiarsi nelle gabbie garantite dai ruoli, che mentre tutelano il sé professionale dalle incursioni di critiche e antagonismi, in molti casi appaiono bloccare la comunicazione e ingessare le dinamiche relazionali. Si ride lavorando per stimolare flussi comunicativi improntati a positività e fiducia: il ridere assieme, infatti, sancisce una sorta di patto fra gli individui, stabilisce complicità e favorisce l’aggregazione. Instillare nel proprio quotidiano lavorativo piccole ma significative dosi di carnevale può allora essere un modo per ripristinare empatie ed equilibri o costruirne di nuovi e più condivisi, rinsaldando allo stesso tempo i rapporti tra persone che si trovano a condividere uno spazio e un tempo decisamente significativi nell’economia complessiva dell’esistenza.

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Premessa Questo testo nasce da molto lontano, ovvero da quando ancora bambino inventavo le barzellette per far ridere amici e parenti. Nessuno rideva. Nonostante questo, continuai imperterrito ad essere spinto da una profonda curiosità personale di conoscere e sperimentare l’affascinante fenomeno del ridere, tanto che nel 2005, conclusi i miei studi universitari con una tesi proprio su questo argomento. Ricordo ancora il giorno della laurea, tra risate durante la discussione e foto con i nasi rossi indossati da me e dalla mia relatrice, davanti agli occhi stupiti del preside e del rettore. Per qualche anno quella tesi rimase nel cassetto, rispolverata all’occorrenza per farla leggere a qualche amico che me la chiedeva in prestito. Visto il successo e la qualità di quel lavoro, i miei genitori spesso mi esortavano a farne un libro e pubblicarla, ma non gli diedi mai molto ascolto. Fu così che a mio padre gli si “spezzò il cuore”. Non perché non pubblicassi il libro… semplicemente ebbe un infarto. Era il 14 agosto del 2012, primo giorno di meritate ferie, quello che aspetti da un anno fantasticando di passarlo al mare, tra sole, cocktail e bikini … e invece mi ritrovai a correre in ospedale in macchina di mia sorella, seduto nei sedili posteriori, in mezzo ai due seggiolini dei miei nipoti e a un pupazzo gigante di Winnie The Pooh. Proprio mentre mio padre era ricoverato, tra l’agitazione e la tensione di quei momenti ripensai alla storia di Norman Cousins che seppe guarire dall’infarto grazie alle emozioni positive, bombardandosi di film comici e libri di umorismo. Pensai quindi che potesse funzionare anche con mio padre, e così gli portai la bozza del

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mio libro sperando potesse in qualche modo aiutarlo ad alleviare e rallegrare la sua degenza. Purtroppo le cose non andarono come speravo e lui non fece in tempo a leggerlo. No, tranquilli… niente di tragico, mio padre è vivo e vegeto e sta leggendo questo libro comodamente sul divano, proprio come voi, però andò a finire che le infermiere, incuriosite dal libro, durante tutto il periodo del ricovero se lo passarono tra di loro per leggerlo, per cui mio padre non ebbe il tempo neanche di aprirlo … ma nonostante questo, guarì. Fu in quell’occasione che mi decisi a pubblicarlo: anche in quei momenti drammatici, infatti, la voglia di sdrammatizzare, ridere e ironizzare che ha sempre contraddistinto la mia famiglia, emerse con prepotenza e mi fece rendere conto sempre di più della sua importanza. Pensai che in qualche modo dovevo condividere con tutti questa mia consapevolezza, che si manifestava concretamente con questo libro. Così ripresi in mano la bozza, aggiornandola e risistemandola per renderla un vero e proprio libro… ed eccola qui! Prima di lasciarvi alla lettura, è d’obbligo fare qualche ringraziamento: primo fra tutti alle infermiere che hanno dato un contributo decisivo affinché mi decidessi a portare avanti questo progetto; un grazie va poi ai miei genitori e alla mia famiglia, per avermi trasmesso la capacità di ridere e ironizzare anche nei momenti più difficili; un grazie doveroso va ai miei amici, fonte inesauribile di sana demenzialità. Infine, un grazie cumulativo va a tutti coloro che in un modo o nell’altro, volenti o nolenti, hanno dato un contributo alla realizzazione o all’ispirazione di questo libro. A tutti voi ripeto le parole che Garibaldi disse ai suoi uomini appena sbarcò in Sicilia:

“Grazie Mille!” - 14 -


Introduzione “Le rivoluzioni che cambiano il mondo non sono l’opera dei grandi leader oppure quelle che generano cataclismi sociali, ma sono le rivoluzioni silenziose, quelle delle piccole azioni quotidiane delle persone comuni e dei loro gesti apparentemente del tutto marginali. Sono quelle le radici invisibili di ogni cambiamento.” (Gustavo Esteva) Già lo so cosa pensate. Vi state chiedendo: perché un libro che dovrebbe parlare di qualcosa di positivo e pacifico come il ridere e l’umorismo, inizia con una parola così forte e aggressiva come “rivoluzione”? Forse vi sorge anche il dubbio di aver sbagliato a comprarlo, perché temete di trovarvi di fronte a un altro manifesto del “perfetto sovversivo”, con noiose digressioni su politica, società, sistemi economici in crisi, mentre invece il titolo sembrava suggerirvi la trattazione un tema, quello del riso, altamente accattivante, a cui nessuno sa mai dire di no. Beh allora vi do due notizie, una bella e una brutta. Iniziamo con quella brutta: ormai il libro l’avete comprato, i soldi non potete riaverli. Ecco ora quella bella: se non perderete la pazienza e vi soffermerete a leggere le prossime pagine di questo libro, capirete che il ridere ha molto a che vedere con la rivoluzione e il cambiamento. Scopriremo insieme infatti, come la comicità sia un fenomeno psico-sociale altamente sovversivo, capace di ribaltare non solo gerarchie, status symbol e strutture sociali, ma anche nostre vecchie abitudini, vecchi modi di vedere le cose, vecchi schemi mentali, e di mostrarci il mondo e la realtà sotto una nuova veste, più gioiosa e positiva.

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D’altronde è quasi impossibile eliminarla. La comicità ristagna in ogni cosa, permea qualsiasi aspetto della nostra realtà: è pertanto la risorsa più disponibile nella nostra natura sociale, ed è pressoché inesauribile, per il fatto che in qualsiasi cosa si può trovare il suo lato buffo e comico … basta solo scovarlo! Se poi si pensa che il ridere in cui essa sfocia fragorosamente, è nell’uomo un comportamento innato, nonché un’esigenza irrinunciabile per i benefici che lascia a livello fisico, psicologico e relazionale, si può ben capire che tutti i tentativi di reprimerla falliscono già in partenza. Ridere svolge numerose funzioni per il nostro benessere psicofisico e la nostra vita sociale. E’ l'emozione positiva più potente, uno starnuto mentale che permette di vedere i problemi e le paure in una visione nuova, meno minacciosa ed ostile; è una valvola di sfogo e un antidepressivo, in grado di scaricare le tensioni eccessive, che rischiano di trasformarsi in stress e minare la nostra lucidità; è un’ottima palestra mentale per il nostro cervello, in grado di tonificare le nostre capacità cognitive e la nostra creatività. Di fronte al ridere inoltre, nessuno è immune, nemmeno se sei il più potente uomo della terra. "Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso, contro il quale nessuno, nella sua coscienza, trova sé munito in ogni sua parte" diceva Leopardi, che seppure di risate nella vita se ne è fatte poche, aveva capito benissimo l’enorme potere di questa manifestazione tipicamente umana. Dall’altra parte, oltre al suo lato sanzionatorio, è pure vero che il ridere è un potentissimo collante relazionale, in grado di abbassare le nostre difese e disporci favorevolmente verso gli altri riuscendo così a sciogliere anche le più complicate relazioni o situazioni conflittuali. Ecco allora che le parole di Esteva assumono un significato preciso anche per questo libro (visto? Uomini/Donne di poca fede!). Ridere è una di quelle piccole azioni, forse la più grande tra le

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piccole azioni, che se diffusa, valorizzata e trasmessa quotidianamente da ognuno, è in grado di generare quelle rivoluzioni silenziose che cambiano il mondo. Credo che nella nostra società sia sempre più necessario ridare la giusta importanza alla cultura del ridere, troppo spesso messa in secondo piano per dare spazio a ansie, diffidenze, rigidità e corse contro il tempo: basterebbe utilizzarlo non solo come “accessorio” a corredo delle nostre giornate, ma rimetterlo al centro della nostra quotidianità valorizzandone il suo grande potenziale, ridendo di se stessi, con gli sconosciuti, sdrammatizzando le situazioni e cercando il lato comico in ogni cosa, per contribuire ad innescare una serie di piccoli ma significativi cambiamenti che porterebbero ad una vera e propria rivoluzione comica. Tra le rivoluzioni silenziose rientra, nel suo piccolo, anche questo libro: vuole essere anch’esso un impegno personale alla diffusione di una cultura del riso, attraverso la trattazione dei suoi meccanismi, dei suoi benefici, dei suoi segreti e dei suoi significati, ma anche delle sue applicazioni concrete (per fortuna sempre più diffuse) nei vari contesti sociali della nostra società, sotto forma di Comicoterapia.

Questo viaggio nel mondo del riso e della Comicoterapia è composto da tre tappe fondamentali racchiuse in altrettante parti. La prima parte ha lo scopo di cercare di conoscere meglio il riso, il comico e l’umorismo. La struttura di questa prima tappa è da interpretare come se fosse una grande risata, in quanto segue il processo psicologico e comunicativo che porta poi al riso. Immaginiamo quindi, un qualsiasi momento della nostra giornata, magari mentre stiamo camminando per la strada: stiamo

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procedendo freneticamente, assorti tra i nostri pensieri, riflettendo sulla giornata che ci aspetta e preoccupati degli impegni da portare avanti, assumendo pertanto un atteggiamento di serietà. La serietà (o meglio, seriosità), come mostrato dalla teoria antropologica di Branko Bokun, è spesso dovuta ad una mentalità adolescenziale basata su paure fittizie create dalla mente stessa, che finisce per trasformare una specie nata per giocare e ridere, come quella umana, in una specie seriosa, arroccata sulla rigidità delle regole e delle prescrizioni che si è imposta per trovarvi rifugio e sicurezza dalle sue paure, perdendo in parte quella naturale vivacità che le ha permesso di divenire la specie più evoluta e facendo diventare il gioco, il riso e l’umorismo solo strumenti secondari della sua esistenza. L’Homo ludens cede il passo all’Homo iper serius (cap. 1). Ma all’improvviso, mentre camminiamo, succede qualcosa di imprevisto, che attira la nostra attenzione e sconvolge completamente il nostro atteggiamento. Proprio dietro ogni angolo, infatti, si apposta in agguato l’imprevisto, l’irregolare, ciò che non ti aspetti e che ti mostra la realtà sotto un punto di vista nuovo: in una parola, il Comico. E' il trionfo dell'Homo Ridens.

Attraverso le riflessioni che i pensatori di ogni epoca ne hanno fatto, ho ricomposto l’immagine e il carattere di questo particolare modo di interpretare la realtà tipico solo dell’uomo, che fortunatamente spesso compare e ci viene in soccorso per ricordarci che siamo una specie nata per ridere e, attraverso di esso, continuare a valorizzare ed accrescere la nostra intelligenza (cap. 2). L’evento comico poi, per produrre il suo effetto ha bisogno di essere interpretato e tradotto dall’umorismo (cap. 3), che attraverso i suoi meccanismi, ci permette di rielaborare la situazione comica osservata e consentirci così di individuarne lo stimolo risorio (cap.

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4), basato proprio sul senso della gerarchia e attivato quando riceviamo da parte di una persona (ma anche una cosa, un concetto, un’idea) un messaggio di inadeguatezza a ricoprire un determinato ruolo che siamo soliti attribuirgli. A questo punto in noi crescerà un’irrefrenabile reazione che sfocia in una risata incontenibile. Non dimentichiamoci poi che il ridere è innanzitutto un fenomeno sociale che comunica dei messaggi ben precisi che creano rapporti paritari e portano ad un avvicinamento relazionale tra coloro che ridono insieme (cap. 5). Durante una risata poi, si instaurano ruoli e relazioni sociali del tutto nuove: una fortemente gerarchica contro l’oggetto di riso, l’altra di complicità tra i co-ridenti. Ridere pertanto, si presenta come un livellatore gerarchico, che laddove c’è una gerarchia l’annulla e dove non c’è non la crea. (cap. 6).

Il viaggio prosegue poi con le altre due tappe, alla scoperta di come oggi la cultura del ridere è di nuovo valorizzata, promossa, esaltata e trasmessa soprattutto attraverso la Comicoterapia e la sua diffusione come strumento formativo ed educativo. Nella seconda (cap. 7 e 8) sono andato alla scoperta del mondo della Comicoterapia, che nella sua forma attiva, attraverso laboratori ludici, si pone come obiettivo quello di far riemergere e riscoprire il ridere e le emozioni positive nelle persone, valorizzandone la loro componente bambina e facendo ritornare così in vita l’Homo ridens; nella sua forma passiva invece, si mostra principalmente con le vesti della Clown terapia, che è anche l’aspetto più conosciuto della Comicoterapia. Nata quasi per caso negli ambienti ospedalieri degli Usa sul finire degli anni ’70, e supportata dalla scoperta dell’effetto terapeutico del riso che alcuni studi del tempo avevano portato alla

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ribalta, la Comicoterapia si diffonde presto negli ospedali di tutto il mondo proprio grazie alla figura del Medico Clown e al film biografico Patch Adams, sulla vita del medico americano che ha dato il via a questo fenomeno. In Italia, negli ultimi venti anni si è assistito ad un proliferare di associazioni, attive non solo negli ospedali, ma in tutti i contesti sociali in cui è presente una forma di disagio, che attraverso il ridere cerca di essere affrontato e sconfitto: scuole, carceri, comunità di diversabili1, reparti di psichiatria, case di riposo per anziani e addirittura nei territori colpiti e devastati dalla guerra (come a Kabul) o da cataclismi naturali (come i terremoti in Abruzzo nel 2009 e in Emilia nel 2012). Si offre inoltre, come valida formazione nei contesti ospedalieri e scolastici ad operatori socio sanitari, infermieri, primari di corsia ed insegnanti, per contribuire al miglioramento generale della struttura e la diffusione di una cultura organizzativa centrata sulla persona e su rapporti più umani e meno spersonalizzati.

Nell’ultima tappa del viaggio infine (cap. 9 e 10), ho analizzato i risultati di una mia ricerca su un concreto caso di applicazione delle potenzialità formative del ridere in un contesto scolastico. La scuola infatti, è popolata da ragazzi che, per la particolare fase della crescita che attraversano, fanno del riso, del gioco e del divertimento la loro “occupazione preferita e più intensa2”, il loro linguaggio e il loro pane quotidiano, indispensabili per lo sviluppo del loro carattere.

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Il neologismo vuol dire “diversamente abili”, ed è il termine con cui nell’ambiente della Comicoterapia preferiscono chiamare i disabili e che utilizzerò anche io nel resto di questo lavoro. FREUD S., Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Boringhieri, Torino 1969, p. 49 2

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A scuola, quindi, la comicità è forse più diffusa dei suggerimenti dal primo banco. Si può ignorare la sua presenza o reprimerla, ma esiste ed è sempre esistita, diventando, in uno stato di clandestinità, qualcosa di pericoloso e sovversivo. Gli unici effetti che un controllo su questi comportamenti potrebbe portare sono solo di tipo negativo. Il riso infatti, si alimenta (chiedo scusa per il gioco di parole) di disgrazie altrui, e può diventare strumento di sanzione e umiliazione. Se si tenta di bloccare tale istinto, prima o poi finirebbe per emergere lo stesso, portando a galla i suoi aspetti più temuti. I ragazzi, ad esempio, finirebbero per usarlo come strumento di ribellione e sovversione dell’ordine gerarchico contro gli insegnanti, che diventerebbero l’oggetto preferito delle loro parodie, delle loro imitazioni e delle loro battute3. Oppure potrebbero dirigerlo verso ragazzi più introversi e con maggiori difficoltà a relazionarsi con gli altri, o semplicemente verso ragazzi particolari, magari perché più creativi e brillanti della media4, escludendoli così dal gruppo classe e creando un clima caratterizzato da rapporti conflittuali e distanti. Dall’altra parte, gli stessi insegnanti, potrebbero usarlo in maniera scorretta nei confronti dei ragazzi stessi, ricorrendo al sarcasmo e all’ironia sanzionatoria, portando solamente all’umiliazione del ragazzo e ad un distaccamento nel rapporto studente/insegnante. Altrettanto dannoso sarebbe non usarlo proprio, perché ci si priverebbe delle sue grandi potenzialità relazionali, ma anche della capacità che ha di sdrammatizzare i momenti difficili dell’aula, della possibilità di stimolare la creatività e le motivazioni

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Non a caso le maestre di Pierino sono, insieme ai calciatori, ai carabinieri e ai capi ufficio, i bersagli preferiti delle barzellette che circolano in Italia. Per esempio, Einstein a scuola era considerato un asociale per via della sua mente così brillante, ed era ridicolizzato dai suoi compagni con il soprannome di vecchio leprottone. 4

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personali dei ragazzi nello studio, facendolo vedere come qualcosa di piacevole oltre che importante per la loro vita; infine, ci si priverebbe dell’utilizzo di un linguaggio che rispecchi la loro naturale vivacità e che sia comune a docenti e studenti: il riso, appunto. Tanto vale quindi, dare piena legittimità ed ufficialità al comico, al riso e all’umorismo, addomesticandoli per sfruttarne le loro potenzialità di lubrificante e di aggregante sociale, in modo da creare rapporti più empatici ed amichevoli, ed avvicinare ragazzi ed insegnanti. Il primo passo da compiere è pertanto quello di partire dall’alto: lavorare cioè sui docenti stessi con aggiornamenti professionali che correggano usi scorretti dell’umorismo con gli studenti e nello stesso tempo stimolino un suo maggiore utilizzo in funzione aggregante, diffondendo e sviluppando in loro una cultura del riso, della gioia, della positività, dell’importanza di rapporti sociali sani e costruttivi e del rispetto dell’altro, in modo tale che, attraverso l’esempio e l’insegnamento, tale cultura venga poi trasferita ai ragazzi, gli adulti di domani. Obiettivo della ricerca è stato proprio quello di illustrare come un corso di formazione professionale in Comicoterapia su un gruppo di docenti, possa trasmettere nuove motivazioni e modalità d’insegnamento più empatiche e coinvolgenti che facilitino i rapporti con i ragazzi e con gli altri colleghi, portando benefici all’intero sistema educativo. All’interno dei capitoli ho inserito frasi divertenti, barzellette e anche degli spazi, che ho chiamato Curiosità, in cui ho messo notizie particolarmente curiose per rendere la lettura più piacevole e divertente, sperando che oltre ad interessare, questo libro riesca anche a strappare un sorriso.

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PARTE PRIMA

“Voglio un mondo comico, che se ne frega se sembra ridicolo…” (Luciano Ligabue)

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La Caduta dell’Homo Ridens

“Una persona che non ride, non è una persona seria.” (F. Chopin)

1. Dall’Homo ludens all’Homo Iper-Serius L’essere umano è una specie animale in continua evoluzione. Molti scienziati concordano nel dire che noi viviamo in uno stato di perenne infanzia o neotenia che ci porta a cambiare continuamente il nostro modo di vivere, di pensare, di muoverci, di essere. Un ruolo importante nell’evoluzione di una specie lo occupa il gioco. Il gioco è un’attività naturale, esplorativa; sviluppa esperienze e conoscenze nuove. I predatori e gli altri felini, prima di potersi liberare dalle scrupolose attenzioni dei genitori, in particolare della madre, e separarsi così dalla famiglia, quando sono cuccioli attraversano una fase di gioco in cui provano e simulano senza aggressività i combattimenti che da grandi permetteranno loro la sopravvivenza e l’evoluzione della specie. D’altronde anche i cuccioli d’uomo, i bambini, non fanno altro che giocare: è la loro professione, il loro scopo. È tramite le attività ludiche che i nostri antenati riuscirono a superare e a sopravvivere ai difficili cambiamenti climatici che ciclicamente accompagnarono la vita della nostra terra. Pian piano esse divennero la loro migliore specializzazione, grazie alle quali poterono fare importanti scoperte, esplorare nuovi spazi e nuove capacità ed inventare gli utensili, che potrebbero essere nati proprio dai giocattoli5. Il gioco ha la capacità di farci affrontare le nuove 5

BOKUN B., Ridere per vivere, Mondadori, Milano 1997

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situazioni senza la tensione e la pressione della situazione reale: è una finzione e pertanto è libera dalle paure. Se, quindi, l’uomo è in una perenne infanzia, e la caratteristica principale dell’infanzia è il gioco, possiamo arrivare ad una importante quanto banale scoperta: l’uomo è nato per giocare. La sua natura è gioiosa, allegra, gaia; siamo una specie nata per essere felice, per divertirci e apprendere e crescere tramite questo divertimento. Solo così la grande intelligenza di cui siamo dotati può essere liberata e incrementata. L’Homo Ludens ha preceduto l’Homo Faber. Purtroppo però, la realtà di oggi è un’altra. Attualmente si sta affermando sempre di più l’Homo Iper-Serius. La parte ludica nella nostra vita è sempre più ridotta. Il gioco, dove c’è ancora, assume le forme della competizione, della vittoria ad ogni costo e quindi della serietà nell’impegno. Al divertimento riserviamo solo una piccola parte del nostro tempo, quella che ci rimane libera dagli impegni frenetici di tutti i giorni. Non a caso lo chiamiamo tempo libero. Diventa come un impegno, un dovere sociale da far rientrare nella nostra giornata, perdendo in tal modo la spontaneità che lo caratterizza. A volte invece ricorriamo al gioco solo per scaricarci, per farci assorbire da qualcos’altro, facendogli assumere le connotazioni di un’evasione, sottintendendo così che sono altre le cose più importanti per noi. La serietà, come vedremo, è un artificio creato dalle regole prescritte dalla nostra società. Pervade sempre più ambiti della nostra quotidianità, difesa molto spesso da regole morali, sociali, pregiudizi, tabù e credenze, e sostenuti da ruoli da dover mantenere o modelli e convenzioni da dover seguire. Purtroppo ci stiamo sommergendo di precetti e formalismi, regole che, se eccessive, diventano superflue, perdendo quel sano significato iniziale che avevano di indirizzarci, per finire con l’essere mezzo per comandarci. (continua…)

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La Rivolta del Comico

“Il comico è una faccenda difficile, a capirlo si è risolto il problema dell’uomo su questa terra.” (Umberto Eco) Da quanto emerso finora, ne scaturisce un quadro abbastanza inquietante che ci fa sentire più vulnerabili di prima, e ciò non può che creare quello stress di cui si sta tanto parlando. Ma come avviene tutti i giorni, anche in questo scritto proprio quando meno ce lo aspettiamo, quando la realtà seria sembra prevalere, spunta qualcosa di imprevisto ed inaspettato: l’evento comico, che ribalta la serietà che ci circonda. Dietro ogni cosa, soprattutto se seria, c’è sempre qualcosa di comico. Si crede che censurare la comicità e il ridere sia il miglior modo per eliminarli, ma è proprio qui che questo ristagna e prepara la sua controffensiva. La comicità si nutre di tutto ciò che è serio, e più è serio e più è comico. Non c’è cosa che possa sfuggire ad essa. Forse è proprio per questo che è tanto censurata e temuta. Non si può far niente per evitarla, è una mina vagante pronta ad esplodere in qualsiasi momento; e quando esplode, si cerca sempre di non esserne le vittime, perché è davvero pungente e pericolosa…

1. Apollo contro Dioniso L’uomo è conteso tra due atteggiamenti, il serio e il non serio. - 26 -


Nella mitologia greca6, il serio era rappresentato da Apollo, dio dell’Olimpo, il non serio da Dioniso, che invece viveva sulla terra ed era pertanto più vicino all’uomo e alla sua vita. Entrambi portavano la musica al genere umano, ma in modo nettamente diverso: se Apollo rappresentava la musicalità dolce, serena e tranquilla, quella di Dioniso era di tipo orgiastico, gioioso, chiassoso, sregolato. L’uomo, dunque, seguiva gli esempi a volte di uno a volte dell’altro dio, vivendo in equilibrio tra il carattere Apollineo e quello Dionisiaco e dividendosi così tra uno stato di regolarità, serietà e certezza, tipico di Apollo, e uno stato di disordine e non-serietà tipico di Dioniso. Ma l’importanza e il maggiore prestigio di Apollo ebbero il sopravvento su quella di Dioniso, portando il dominio di ciò che è serio su ciò che non lo è. La regolarità è Apollo, l’irregolare è Dioniso. Il Comico è Dioniso.

2. La comicità e(’) l’irregolare Cominciamo a dare una forma a ciò che è comico. “Non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano” Da questa affermazione di Bergson7 ricaviamo un primo importante indizio: il Comico è una manifestazione tipicamente umana. Ma allora perché ridiamo di oggetti, di animali e anche di concetti astratti? In realtà, ridiamo di queste categorie non umane solo se hanno una certa attitudine con l’umano. (continua…)

6

EURIPIDE, Le Baccanti, in L. A. STELLA, Mitologia greca, UTET, Torino 1975 BERGSON H., Il riso, Rizzoli, Milano, 1961., p. 3 7

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Il Settimo Senso: il Senso dell’Umorismo

Il fiorellino: “Che bello essere nato vicino a te, così mi ripari dalla pioggia! Ma dimmi, sei un vero ombrello o fungi da ombrello?” Il fungo: “Fungo!” (Achille Campanile)

1. Che senso ha l’umorismo? Riaccennando quanto già detto alla fine del precedente capitolo, se il comico è la realtà che si manifesta da sé in modo bizzarro e insolito, l’umorismo è l’interpretazione e la rappresentazione della realtà che coglie, ricerca e pone in risalto volontariamente gli aspetti irregolari, insoliti e bizzarri che sovvertono l’immagine consueta del reale. Il senso dell’umorismo, invece, è la capacità personale di riconoscere il fatto comico; ci porge gli strumenti per farci accorgere della situazione comica e farci notare che tutto quello che ci circonda altro non è che pura costruzione, che non vi è nulla di assoluto e certo intorno a noi. In poche parole l’umorismo è il traduttore dell’irregolare, il senso dell’umorismo è la predisposizione a cogliere l’irregolare. In misura diversa e in modalità diverse siamo tutti dotati del senso dell’umorismo. Risulta raro, se lo raffiguriamo solo di elevata e raffinata qualità. In realtà, in senso ampio e non selettivo, appartiene a tutto il genere umano. Anche perché, il caso estremo, l’agelasta (dal greco = senza riso, colui che non ride mai), che non

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riesce a ridere di nulla, cioè non riesce a cogliere mai qualcosa di umoristico, è un caso teorico, che allo stato puro non s’incontra (anche se qualcuno ci si avvicina molto). La sua immagine non è sempre accompagnata da giudizi uniformi. Questi spesso si ritrovano in molte espressioni della nostra tradizione popolare8. Qualcuno lo definisce un po’ malignamente come “l’arma dei disarmati”: l’immagine che mi viene in mente è quella del film La vita è bella, di Benigni, rappresentazione di un’esperienza di un campo di concentramento vissuta con le armi dell’umorismo da uno che di armi non ne aveva. Sarà pure l’arma dei disarmati e dei disperati, ma a vincere nel film è proprio l’umorismo! Se da un lato “Chi fa ridere altrui, stan tutti con lui”, dall’altro si aggredisce spesso dicendo “Ridi come uno scemo” o si invita a “Non fare il buffone”; in “Chi ride senza un perché, o è pazzo o ce l’ha con me”, oltre alla follia, affiora anche il lato sanzionatorio della risata. Alcuni proverbi e detti esortano ad una sana allegria, ad una risata benefica, terapeutica, che giova alla salute: ad esempio, “Chi ride campa cent’anni”, “Il riso fa buon sangue”, oppure “Ogni risata toglie un chiodo dalla bara”, stando attenti a non correre il rischio di “Morir dal ridere”; altri criticano l’eccessiva spensieratezza perché giudicata fuori luogo: “Chi ride il venerdì, piange la domenica”, “Il riso abbonda sulla bocca degli stolti”. Visioni discordi ci sono poi nel trattare il suo legame con il divino: c’è chi sostiene che “Gente allegra il ciel l’aiuta” e chi invece ci mette in guardia, ammonendoci: “Scherza con i fanti ma lascia stare i santi”. 8

ZINGARELLI N., Lo Zingarelli minore. Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Milano 2005.

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Se poi per Freud è trionfo dell’Io, c’è chi si chiede se “l’humor è un dono concesso dagli dèi o una punizione data da un demone9”. A guardar bene infatti, non è proprio una manifestazione angelica: si alimenta di disgrazie, di vizi e di cattiverie; è apparentemente innocuo ma capace di ferire. L’umorismo si trova, così, spesso a dover fare i conti con diffidenze e svalutazioni. Sostanzialmente però, seppur con qualche ombra, l’umorismo è considerata una risorsa benefica ed è ricercata nelle (e dalle) persone. Probabilmente queste visioni negative sono solo dettate dall’ipocrisia, allo scopo di sminuire la sua importanza per difendersi dal suo attacco ed evitare che qualcuno usi questa arma contro di noi. Ma alla prima occasione buona chiunque se ne servirebbe. Insomma, nessuno ne vorrebbe essere vittima, ma a tutti piacerebbe fare i carnefici. Anche perché sono poche le persone a riconoscere di non possedere umorismo; e se a qualcuno proviamo a dire : “Non hai proprio senso dell’umorismo”, possiamo star certi che cercherà in tutti i modi di smentirci, come se gli avessimo fatto l’accusa più infamante. Preferisco mantenere, quindi, questa immagine di qualità positiva, apprezzabile e apprezzata, magari accompagnando il senso dell’umorismo con un senso dell’opportunità che ci permetta di capire i modi e i momenti più idonei in cui usarlo. Curiosità: in una ricerca svolta per vedere quante persone ritenevano di avere senso dell’umorismo, è stato rilevato che almeno il 94% delle persone ritenevano di avere buone capacità umoristiche, addirittura sopra alla media. Questo dimostra quanto ogni persona ci tenga ad avere l’umorismo come qualità personale, sopravvalutando addirittura le proprie potenzialità. [ALLPORT G. W., 1961] (continua…) 9

KEITH-SPIEGEL. P., Prime concezioni dello humor: varietà e questioni, in GOLDSTAIN J.H. e McGHEE P.E. (a cura di), Psicologia dello humor, Franco Angeli, Milano 1976.

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Uno Starnuto Mentale: lo Scoppio della Risata

Due impiegati stanno litigando: “Non ho mai incontrato uno più cretino di te!” “Dopo te logicamente!” Il capoufficio interviene irritato: “Smettetela, e ricordatevi che qui ci sono anch’io!”

1. Introduzione: il dono di Dio Un antico racconto orientale narra che Dio, dopo aver creato l’uomo, si accorse di quanto fosse triste ed imperfetto. La sua creatura gli parve così goffa che, riflettendo sugli errori commessi, scoppiò in una fragorosa risata: fu allora che, a perfezionamento dell’uomo, Dio gli donò la capacità di ridere. Il racconto riassume efficacemente alcuni elementi caratteristici del riso: “la divinità” di questo atto, la sua funzione di perfettibilità, il suo carattere liberatorio, l’essere tipico oltre che del Creatore anche dell’uomo. Forse dovevamo essere proprio brutti agli occhi di Dio, se pensiamo a quante cose ci potrebbero far ridere, e forse ci sentiamo troppo belli ed importanti se pensiamo a quanto si ride poco… ! È questo un punto importante del fenomeno della risata, su cui molti autori si sono dibattuti. Sono molti gli stimoli a cui siamo sottoposti. Prima ho fatto notare come ogni cosa è potenzialmente comica, perché in ogni cosa può essere visto il suo lato buffo, ridicolo, assurdo. C’è dunque differenza fra gli stimoli che generano riso o possono essere ricondotti ad un denominatore comune?

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Curiosità: un’inchiesta del 1992 condotta dal quotidiano “Le Matin” ci da un quadro di quanto si rida poco nella nostra epoca: dalla ricerca risulterebbe infatti che i francesi nel 1930 ridevano in media 19 minuti al giorno, e nel 1990 la media era scesa a 6 minuti al giorno. Visto il periodo socio economico in cui viviamo, non è facile immaginare che oggi si rida ancora meno. Inoltre, si sa che quando si è piccoli si ride circa 300 volte in una giornata, mentre gli adulti ridono solo 5 volte! [AAVV, Riza Scienze n°59, agosto 1992]

2. Quanti stimoli? Un problema teorico All’inizio di questo lavoro temevo di non trovare abbastanza materiale bibliografico su cui basare la mia ricerca. Ora invece mi ritrovo la scrivania piena di libri di autori che si sono avventurati in questo mondo. Sono rimasto sorpreso di vedere che in ogni epoca, in ogni cultura e in ogni disciplina, il riso sia stato studiato, dibattuto e giudicato. Tutto ciò mi ha fatto capire dell’enorme importanza che questo semplice gesto ha sempre avuto per l’uomo, ma che a volte trova troppo poco spazio nella nostra vita e nei nostri rapporti. Ciò che più di ogni altro aspetto ha incuriosito scienziati e filosofi di ogni epoca è stato quello di cercare di capire perché ridiamo e cosa ci fa ridere: in una parola, lo stimolo. Molte teorie hanno cercato di darne una risposta. Si può partire dalle teorie della superiorità di Hobbes10, secondo cui il riso è la manifestazione di un trionfo personale e si manifesta sempre in corrispondenza delle debolezze altrui; oppure la teoria della sorpresa, dove l’elemento principale del riso è il suo irrompere come improvviso e inaspettato; infine, si possono citare le teorie dell’incongruenza, che insistono sul fatto che il riso è causato da un’insolita e illogica connessione di idee, situazioni, atteggiamenti e comportamenti. (continua…)

10

HOBBES T., ibidem.

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Il valore di Sorriso e Riso nelle Interazioni Umane Fra amici:“Sono due giorni che non parlo con mia moglie...” “Avete litigato?” “No, non voglio interromperla!” (Gino Bramieri)

1. Sorriso e riso: strumenti tutti nostri “L’uomo soltanto, fra tutti gli animali, ride.” (Aristotele, Parti degli animali, III, 10, 673a) L’inizio di questo capitolo non poteva essere migliore, con la citazione di uno dei più grandi filosofi di ogni tempo. È incredibile pensare a quanto una persona esistita molti secoli fa abbia potuto essere così antesignana nel suo pensiero, anticipando teorie e filosofie che non solo hanno condizionato l’evoluzione di tutto il pensiero umano, ma che solo oggi vengono dimostrate dai pensatori moderni. Anche su questa frase riportata qui sopra, Aristotele anticipò conclusioni a cui oggi, solo grazie al contributo di discipline “nuove”, come l’antropologia e la scienza bio- sociale, possiamo pervenire anche noi “comuni mortali”. Effettivamente, l’uomo è l’unica specie animale dotata della capacità di sorridere e ridere. Lo scodinzolare del cane, le fusa del gatto, l’espressione rilassata con la bocca aperta dei primati, possono per certi aspetti essere accostati al riso umano, ma nessun movimento

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espressivo che comporti le complesse relazioni del riso è individuabile in specie diverse dalla nostra. È però possibile individuare in altre specie, qualche movimento espressivo collegabile evolutivamente al riso e al sorriso nostri. Un grande contributo alla dimostrazione di ciò, c’è stato dato da un’importante ricostruzione filogenetica (cioè che riguarda l’evoluzione nella specie umana di questi due movimenti espressivi) operata da van Hooff11. Un primo importante aspetto della sua teoria riguarda la differenza tra il sorriso e il riso: secondo l’autore questi sono filogeneticamente separati, cioè hanno due origini diverse in diversi mammiferi primitivi, ma con l’evoluzione sono venuti poi a convergere e sovrapporsi nell’uomo. Sorriso e riso sarebbero pertanto, due movimenti distinti ed autonomi tra loro, con qualche punto di contatto che li rende assimilabili. Tali accenni saranno la base per alcune considerazioni successive che farò. Tornerò, infatti, più avanti nel del capitolo sulla separazione tra sorriso e riso, affrontandola però dal punto di vista comunicativo. La figura qui sotto rappresenta la ricostruzione dell’evoluzione del sorriso e del riso dai primati fino all’uomo. (continua…)

11

VAN HOOFF J., Analisi comparata della filogenesi del riso e del sorriso, in R.A. HINDE (a cura di), La comunicazione non verbale, Laterza, Bari 1974.

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Leader, Buffoni e Capri Espiatori: Ruoli e Relazioni Sociali nella Risata

“Amo molto parlare di niente. È l’unico argomento su cui so tutto!” (Oscar Wilde)

1.

Un effetto contagioso… “Non gusteremmo il comico se ci sentissimo isolati. Sembra che il riso abbia bisogno di un’eco.” (Henry Bergson)

Ridere crea socialità ed ha bisogno di socialità. È innanzitutto un fenomeno sociale, di gruppo, capace talvolta di diventare più contagioso di un’influenza o di un raffreddore. Quando siamo in compagnia, in genere, allo stesso stimolo risorio si risponde più frequentemente ed intensamente che quando stiamo da soli. Ciò può essere spiegato come un modo per attivare quella complicità che scaturisce dal messaggio che scorre nel canale dei co-ridenti: in un certo senso è come se cercassimo di instaurare un rapporto amichevole con tutti quelli che assistono con noi ad un evento divertente. Gli spettacoli comici di oggi, il cabaret, così come le commedie negli anfiteatri del passato, non sono altro che un luogo pieno di sconosciuti, la cui presenza di ognuno funziona come amplificatore delle risa degli altri. Il segreto del loro successo è proprio quello della socialità con cui vengono fruiti tali spettacoli: sfruttano la voglia dei presenti di creare un rapporto di amicizia con lo

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sconosciuto che sta accanto e che, fuori di lì, è visto spesso come una minaccia (per via del meccanismo dell’estraneo; vedi cap. 4). La contagiosità del riso potrebbe, quindi, scaturire da questa percezione di inoffensività di chi ci sta di fianco, alimentata da uno scambio di messaggi amichevoli. In questa ricerca volontaria del rapporto amichevole con lo sconosciuto, personalmente ci vedo un’insita voglia dell’uomo a cercare la pace e il rapporto con l’altro, bloccato e inibito solamente da un atteggiamento di diffidenza che scaturisce dalla paura dell’estraneo. Curiosità: un caso ormai storico tra gli scienziati, di risata contagiosa, fu quello che si verificò nel 1962 in Tanganica. L’episodio, considerata la prima e unica epidemia di riso verificatasi nella storia, iniziò il 30 gennaio in una scuola missionaria per ragazze e colpì nel giro di due mesi 95 delle 159 alunne che la frequentavano. I sintomi si verificavano all’improvviso: attacchi di riso con una durata che variava da pochi minuti ad alcune ore, seguiti da una pausa e da una ricaduta. L’epidemia contagiò anche un vicino villaggio dove tra Aprile e Maggio, colpì 217 persone. La spiegazione di questa epidemia non fu mai trovata con certezza. Alcuni scienziati e dottori che esaminarono il caso, parlarono di isteria collettiva, ma è indubbio che la componente sociale ha avuto un ruolo determinante nel “contagio”. [WINDERLING O. N., nov. 1996, p. 14-20]

Ho finora analizzato la struttura fondamentale che caratterizza il sorriso e in particolare il riso, esaminando in dettaglio la dimensione comunicativa e i messaggi veicolati. È importante ora indagare, più da vicino, quali relazioni sociali vengono istituite (cioè, create dal nulla) dai tre messaggi individuati. Naturalmente il riso nella stragrande maggioranza dei casi si manifesta in un contesto già socialmente strutturato, ma ciò non è strettamente necessario: anche perfetti estranei che vengano

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semplicemente a contatto visivamente, possono costituire un sodalizio di co-ridenti o impersonare il ruolo di oggetto di riso. Trovandoci di fronte a due diversi messaggi del riso, è indispensabile esaminare le due diverse relazioni sociali che ne scaturiscono.

2. La relazione gerarchica “Nessuno è così grande che non si possa ridere di lui.” (Kluckhohn) La prima relazione che viene creata dal riso è quella che deriva dal messaggio Derisione, che è stato definito come messaggio di dominanza (e quindi gerarchico) nei confronti dell’oggetto di riso. Il significato trasmesso da tale messaggio determina l’instaurazione di una relazione sociale decisamente nuova tra oggetto di riso e co-ridenti, non solo perché può generare, ex-novo, un legame sociale tra attori sociali che un momento prima poteva essere del tutto inesistente, ma anche e soprattutto perché, se un legame già c’è, attribuisce a questo una struttura gerarchica che prima poteva essere decisamente diversa. Trattandosi di messaggio di dominanza, la relazione che si instaura tra i ridenti e l’oggetto di riso è fortemente e pesantemente gerarchica. Essere bersaglio delle risate altrui determina una caduta di rango, una degradazione che porta ad essere in posizione subordinata (anche se temporanea e circoscritta al momento della risata) rispetto a chi ride. Questa relazione asimmetrica così determinatasi con il riso, è del tutto nuova. Precedentemente a tale situazione, infatti, tra i soggetti coinvolti poteva anche non esserci alcun tipo di rapporto gerarchico dichiarato, o perché era un rapporto tra pari o perché tra sconosciuti. (continua…)

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PARTE SECONDA

“Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo…” (Giacomo Leopardi)

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La Comicoterapia

“L’uomo soffre così duramente nel mondo che è stato costretto ad inventare il riso.” (Nietzsche)

1. Cos’è la Gelotologia? La scienza ha ampiamente dimostrato che le emozioni negative, quali paura, tristezza, depressione, rabbia, stress possono farci ammalare in modo anche molto grave. Al contrario le emozioni positive (amore, speranza, fiducia, gioia…) sono potenti alleate della nostra salute fisica e psicologica. Tra le emozioni positive, il ridere è la più potente, duttile e facile da reperirsi. Quando ridiamo, avviene dentro di noi un profondo cambiamento psico-fisico: se ne giova l'intero organismo, il nostro io profondo, l'idea stessa che abbiamo della realtà. La materia che si occupa dello studio di questi fenomeni assume il nome scientifico di Gelotologia (dal greco Ghelos = risata; ghelotos, e vuol dire “cura del ridere”). La Gelotologia è la disciplina che indaga, pertanto, sulla stretta relazione tra il fenomeno del ridere, le emozioni positive e la salute. Questa nuova modalità di prevenzione e terapia di malattie e disagi psico-sociali, che negli USA trova le sue massime espressioni (ma che è in rapido sviluppo anche in Europa e nel resto del mondo), prende le mosse dai più recenti studi di Psico-Neuro-Endocrino-

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Immunologia (PNEI)12, e tende a ricercare, sperimentare e applicare modalità relazionali che, coinvolgendo positivamente l’emotivo della persona, attraverso complessi meccanismi neuro-endocrini, ne migliorino l’equilibrio immunitario da un lato e le abilità psicorelazionali dall’altro. Rafforzare il sistema immunitario vuol dire migliorare i parametri vitali, rendere più resistente l’organismo di fronte agli agenti patogeni, consumare meno farmaci, accorciare le degenze. Dall’altra parte, migliorare le abilità psico-relazionali delle persone significa renderle protagoniste attive nella lotta contro il disagio fisico e psichico, attraverso il ridere e le emozioni positive, aumentandone in tal modo l’autostima e le capacità di relazionarsi (perché libere dalle inibizioni delle proprie insicurezze e delle proprio paure), e favorendo rapporti più umani e improntati sul rispetto e la comprensione. Nell’ambito di una comunità, come ad esempio un ospedale o un servizio territoriale (che potrebbe essere, ad esempio, una scuola statale), l’approccio gelotologico e ludico incide profondamente sulle aspettative, sulle motivazioni e sui vissuti dei degenti/utenti e del personale stesso, migliorando l’efficienza complessiva della struttura e le relazioni interpersonali al loro interno, portando ad una generale umanizzazione della comunità. Nata principalmente con una funzione terapeutica e di prevenzione della salute, oggi la Gelotologia è diventata anche un importante mezzo di formazione ed educazione per bambini, adolescenti e adulti, non per forza colpiti da qualche patologia fisica o psicologica, ma anche semplicemente desiderosi di ritrovare motivazioni personali e una nuova energia positiva per affrontare le frenetiche giornate della nostra società. (continua…) 12

BOTTACCIOLI F., Psiconeuroimmunologia, L’altra Medicina studio 1995.

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Usi sociali della Comicoterapia

“Se volete cambiare il mondo, prendete 5000 clown e metteteli in una città.” (Patch Adams)

1. La Comicoterapia in ospedale “La medicina non è divertente, ma c’è molta medicina nel divertimento!” (L. e M. Cowan) Il primo colpo di martello teso ad abbattere il muro della serietà in un contesto istituzionalizzato, è avvenuto proprio laddove meno ci si aspettava un simile passo: negli ambienti ospedalieri, dove c’è dolore, angoscia, sofferenza e tristezza. È stata questa l’esperienza che ha permesso il diffondersi dell’uso terapeutico dell’umorismo e del riso in molti altri contesti. Molto spesso purtroppo, l’ospedale oltre a contribuire alla guarigione delle persone, è un luogo in cui si genera anche la malattia. Oggi giorno l’importanza dell’umanizzazione dei reparti è riconosciuta anche a livello normativo attraverso una legge dello Stato, la 328/2000, che ne sancisce la necessità. Se bisogna umanizzare, vuol dire che spesso le condizioni sono al limite e che le migliaia di casi di malasanità stanno a significare che c’è ancora molto da fare per raggiungere gli standard ideali.

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La Comicoterapia, in questo contesto, è una risorsa importantissima, grazie alla carica energetica molto potente che il ridere può mettere in campo. La Comicoterapia negli ospedali è presente sia nella sua forma passiva, attraverso le molte attività di Clown Terapia che si stanno diffondendo, sia nella sua forma attiva, principalmente attraverso laboratori ludico-formativi al personale medico e paramedico, volti come è stato già detto, a far emergere la loro parte umoristica per migliorarne le capacità di relazionarsi con i pazienti e i familiari. La Comicoterapia attiva è spesso usata anche con i pazienti stessi, allo scopo di attivare direttamente in loro la spinta a cambiare le loro emozioni in atteggiamento positivo e ottimistico e superare così, con le proprie forze, e capacità interiori le difficoltà e i disagi di un ricovero. I beneficiari di questo tipo di attività sono sia i bambini che gli adulti. Quando un bimbo entra in ospedale perde la maggior parte dei suoi punti di riferimento. L'ambiente che lo accoglie, spesso, non è a sua dimensione: la sua camera di degenza è fredda ed anonima, non ha con sé i suoi giocattoli, non più i suoi amici e compagni di scuola; gli orari che scandiscono la sua giornata sono diversi ed astrusi. Solo i genitori (in genere la madre) gli sono accanto. Il ricovero è pertanto un evento traumatico, caratterizzato da alti livelli di ansia, paura e stress. La figura del Clown Dottore e del ridere che esso porta nella Pediatria assume pertanto il compito di: • Rendere migliore la qualità della degenza dei bambini ricoverati nei reparti pediatrici.

• Facilitarne le cure ospedaliere, puntando all'ottimizzazione relazionale ed alla umanizzazione delle strutture sanitarie. (continua…) - 42 -


PARTE TERZA

“Ridi e saprai di più su te stesso.” (Marziale)

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Riso a Ricreazione

“Come educatori, non ci resta che l’ottimismo. I pessimisti possono essere bravi domatori, ma non bravi insegnanti.” (Fernando Savater)

1. Premessa: un clandestino a bordo Il sistema di istruzione di un paese civile come l’Italia è una cosa seria. Anche troppo. Possiamo rallegrarci di non vedere più le immagini a scuola di bambini e ragazzi rigidamente seduti su una sedia, intimoriti da un’insegnante pronto a metterli in ginocchio sui ceci. Fortunatamente, infatti, negli ultimi decenni non ci siamo limitati a conquistare lo spazio, ma ci siamo evoluti anche nei metodi di istruzione (che permettono poi di conquistare lo spazio). La concezione della scuola è, però, ancora lontana dall’eliminazione dei rigidi formalismi che la caratterizzano, soprattutto nelle relazioni e nei rapporti interpersonali; è ancora arroccata su metodi, schemi comportamentali e concezioni mentali che creano chiusura e diffidenza verso alcuni comportamenti istintivi e spontanei della nostra natura. Purtroppo, in genere, è la componente burocratica e seria ad avere il sopravvento, come di norma avviene nel resto della società, fino ad arrivare a tarpare le ali a personalità promettenti o escludendo ragazzi con più difficoltà nel relazionarsi con gli altri, o con alle spalle problemi familiari, volenterosi ma inadatti ai programmi che devono rispettare13. 13

FIORAVANTI S., SPINA L., La Terapia del ridere, Red 2002.

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Si cerca di mantenere troppo la distanza tra docenti e studenti, come se un avvicinamento fosse dannoso per l’educazione dei ragazzi (o forse è dannoso solo all’immagine autoritaria che l’insegnante vuole mantenere?). Ci sarebbe bisogno, secondo me, di accorciare tali distanze, di creare un rapporto più amichevole, empatico e armonioso tra due mondi ancora troppo lontani, quello degli insegnanti e quello degli studenti. Da una parte infatti, questi ultimi vedono i professori come dei robot senza cuore, severi, rigidi e noiosi. Dall’altra, i professori vedono i ragazzi troppo frivoli e giocosi, quasi come se questo atteggiamento fosse una minaccia per il loro ruolo14. Ci servirebbe un punto di incontro tra le due visioni, in modo tale che le due parti si incontrassero su un terreno neutrale. Come ogni cosa, la verità sta nel mezzo; e nel mezzo in questo caso c’è anche il ridere. Ridere, infatti, accorcia le distanze, elimina visioni distorte della realtà e del rapporto con gli altri, crea complicità e senso di amicizia. È una risorsa di cui dispongono sia studenti che docenti, è l’emozione positiva più potente che abbiamo, lo strumento di comunicazione, non verbale, più facilmente interpretabile a qualunque lato della terra e da qualsiasi generazione, il modo più facile per migliorare le relazioni, avvicinare le persone e risolvere i conflitti. Inoltre, cosa non indifferente, è la risorsa relazionale più facile da trovare in natura, dal momento che ogni cosa è potenzialmente causa di riso. In poche parole, possiamo dire, che si ride ancora troppo poco e male. (continua…) 14

FORABOSCO G., Il settimo senso: la psicologia del senso dell’umorismo, Franco Muzzio Editore, Padova 1994.

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Analisi dei Risultati

“Beati quelli che sapranno ridere di sé stessi, perchè si divertiranno moltissimo!” (Anonimo)

1. Risultati della ricerca 1.1 Risultati dell’osservazione partecipante Il mio compito di osservatore scientifico è iniziato subito entrato all’interno della scuola. Appena arrivato, infatti, c’era già tutto il gruppo docenti che doveva partecipare al corso. Il gruppo era formato da quattordici insegnanti. La prima cosa che ho riscontrato è stata una formazione di tanti piccoli gruppi ben definiti di docenti nel corridoio della scuola, che non comunicavano tra loro. Il fatto un po’ mi ha colpito inizialmente, credendo che gli insegnanti appartenessero tutti alla stessa scuola ed immaginando, quindi, un diverso rapporto interpersonale tra di essi; mi è stato tutto più chiaro, poi, quando ho saputo che in realtà gli insegnanti non erano tutti della stessa scuola, ma provenivano da scuole diverse di Fiumicino, e che, anche tra quelli appartenenti alla stessa scuola di provenienza, la conoscenza reciproca non era molto approfondita, ma si limitava ad un semplice rapporto di tipo professionale. Un’impressione simile l’ho avuta anche una volta giunti in aula. Tutti i partecipanti erano seduti in modo composto aspettando l’inizio della lezione. Gli scambi di comunicazione interpersonali erano pochi e per lo più rivolti alla persona accanto, il tono della

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voce di tali comunicazioni era piuttosto sommesso, dando l’impressione di una certa formalità nel rapporto. Iniziato il corso, dopo le prime presentazioni e l’accenno alle finalità del corso da parte del formatore, questi ha subito rotto il ghiaccio raccontando tre barzellette per cercare di creare subito un clima consono alle finalità poco seriose del corso. Le tre barzellette erano molto forti a livello di contenuti: toccavano infatti argomenti spesso delicati, come la sessualità, l’aggressività e la religione, su cui non tutti apprezzano che si faccia umorismo. Sono argomenti su cui incide molto la padronanza dinamica del senso dell’umorismo di ognuno, cioè quella parte che ha a che vedere con emozioni, affetti e sensibilità delle persone. Durante i racconti, non ho notato segni metacomunicativi di approvazione umoristica: intendo dire, cioè, che non c’erano ammiccamenti, sorrisi, risolini e smorfie, che spesso accompagnano l’ascolto di una barzelletta, facendo emergere, ancora una volta, la rigidità dei partecipanti. Ad ognuna delle tre barzellette c’è stata, comunque, come risposta uno scrosciare di risate collettive, ma in modo comunque contenuto, senza, cioè, eccessivi attacchi di riso da parte di qualcuno o commenti alla storiella raccontata. Sono risultati assenti anche controbattute di replica alla barzelletta stessa. Forse, le battute forti e a sfondo sessuale, hanno frenato il gradimento dei partecipanti e inibito l’intensità delle risate, temendo probabilmente di essere giudicati dai colleghi. Dietro questa risposta contenuta agli stimoli risori, non vedo solamente una probabile rigidità personale, ma anche un freno di tipo relazionale, generato dal timore di essere giudicati dagli altri di eccessiva frivolezza nel ridere di cose simili. (continua…)

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