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Il diottro oculare del miope
Simona Simonetta, Luciano Graceffa, Pasquale Troiano
L’ottica fisiologica studia la trasmissione della luce attraverso i mezzi oculari in modo che formi sulla retina immagini chiare degli oggetti. Nell’occhio possiamo trovare tre tipi di immagini: catottriche, endottiche e diottriche. Le immagini catottriche sono quelle formate dalla riflessione che avviene a livello delle interfacce oculari. Le immagini endottiche sono quelle formate sulla retina da oggetti collocati sulla superficie dell’occhio o all’interno di esso. Le immagini diottriche sono quelle che usiamo per la visione. Nel miope l’immagine diottrica proveniente dall’infinito, si focalizza prima della retina. L’occhio ha quattro interfacce rifrattive significative: le due superfici della cornea e le due del cristallino. I parametri più importanti di queste interfacce sono: la curvatura, la posizione e gli indici rifrattivi. Il potere rifrattivo complessivo dell’occhio deriva dalla somma dei poteri noti di cornea e cristallino e dall’effetto delle variazioni degli indici di rifrazione e viene stimato in circa 60 diottrie convergenti.
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Costanti ottiche dell’occhio
Superficie anteriore della cornea: nella sua zona ottica, ha un raggio di curvatura medio compreso tra 7 e 8 mm. Siccome questa parte della
cornea agisce come uno specchio convesso, la dimensione delle immagini prodotte varia con la curvatura (maggiore la curvatura minore la dimensione dell’immagine). Superficie posteriore della cornea: produce un effetto ottico che dipende oltre che dalla sua curvatura anche dall’indice di rifrazione della cornea e dell’acqueo. Il suo raggio di curvatura medio è compreso tra 6 e 7 mm. Superfici del cristallino: non solo sono soggette a notevoli variazioni interindividuali ma anche a modificazioni ed aggiustamenti nello stesso individuo in base allo stato rifrattivo e accomodativo. Nonostante queste difficoltà, in occhi emmetropi non accomodati si può assumere un raggio di curvatura medio di 10 mm per la superficie anteriore e di 6 mm per quella posteriore. Posizione delle interfacce oculari: La posizione relativa delle interfacce oculari è inevitabilmente condizionata dallo spessore della cornea, dalla profondità della camera anteriore, dallo spessore del cristallino e dalla lunghezza assiale del bulbo. Una delle misure più importanti è la distanza tra superficie anteriore della cornea e superficie anteriore del cristallino. Mediamente in soggetti emmetropi sani non accomodati lo spessore della cornea è di poco superiore a mezzo millimetro (515-520 micrometri) e la profondità della camera anteriore è di circa 3 mm. Sappiamo anche che la profondità della camera anteriore è uno dei parametri più soggetto a variazioni rilevanti. Una misura semplice della profondità della camera anteriore – anche se non perfetta – si può ottenere mettendo a fuoco la lampada a fessura sulla faccia posteriore della cornea con uno solo dei due oculari posizionato su zero e quindi cercando il fuoco dell’iride peripupillare modificando il potere dell’altro oculare. Dalla differenza in diottrie si può facilmente risalire alla profondità in millimetri della porzione centrale della camera anteriore. Lo spessore medio del cristallino non accomodato è di circa 4 mm. La lunghezza assiale media del bulbo oculare emmetrope è compresa tra 23 e 24 mm.
Fig. 1: struttura del cristallino Figura 1. Struttura del cristallino Combinazione delle componenti ottiche dell’occhio Esaminiamo ora come le diverse componenti ottiche dell’occhio si combinano per realizzare un efficace sistema di focalizzazione delle immagini. A questo scopo, partendo dalla geometria delle singole componenti, analizzeremo le proprietà ottiche delle due strutture anatomiche principali: cornea e cristallino. Ottica della cornea: Il maggiore spessore periferico e la maggiore curvatura posteriore rendono la cornea assimilabile a una leggera lente concava. Infatti, isolatamente, la cornea ha un leggero potere divergente ma nell’occhio diviene una potente lente convergente poiché la variazione di indice di rifrazione tra cornea ed acqueo è praticamente nulla se comparata a quella tra aria e cornea. Il potere delle due superfici corneali viene calcolato in base alla loro curvatura e alle variazioni degli indici di rifrazione dei mezzi. La superficie anteriore della cornea ha un potere di convergenza di circa 49 diottrie; la superficie posteriore ha un potere di divergenza di circa 6 diottrie. Il potere rifrattivo convergente totale della cornea è, quindi, di circa 43 diottrie. Ottica del cristallino: Come abbiamo già visto il cristallino è un sistema di superfici rifrattive coassiali che realizzano un potere rifrattivo convergente complessivo di circa 19 diottrie. Potere ottico dell’occhio: Il potere rifrattivo complessivo dell’occhio deriva dalla somma dei poteri noti di cornea e cristallino e dall’effetto delle variazioni degli indici di rifrazione e viene stimato in circa 60 diottrie convergenti. Punti cardinali dell’occhio: Dato che gli indici di rifrazione della cornea, dell’acqueo e del vitreo sono molto simili possiamo considerare tutte queste parti come un mezzo rifrattivo comune. Così facendo possiamo semplificare il sistema ottico oculare a due elementi rifrattivi: la superficie anteriore della cornea che separa l’aria dall’occhio e il cristallino immerso nel mezzo rifrattivo comune. Questi due elementi si combinano per fornire un singolo sistema di punti cardinali di quello che è noto come occhio schematico di Gullstrand (figura 2).
Indici di rifrazione dei mezzi ottici dell’occhio: La determinazione dell’indice di rifrazione della cornea, dell’acqueo e del vitreo è relativamente semplice poiché si tratta di mezzi sufficientemente omogenei. La cornea ha un indice di rifrazione di 1.376, mentre quello di acqueo e vitreo è di poco inferiore 1.336. La determinazione dell’indice di rifrazione del cristallino è resa più complicata dal fatto che questo mezzo ha una architettura complessa. Come si può vedere in figura 1 la forma del cristallino può essere assimilata ad una lente biconvessa centrale (A) costituita dal nucleo, circondata da due lenti menisco (B e C) costituite dalla corticale anteriore e posteriore. L’immagine formata da B è focalizzata in A e da questa in C. Come risultato il cristallino ha un potere rifrattivo molto più elevato di quello che potrebbe avere se fosse omogeneo e, inoltre, questa costruzione riduce le aberrazioni sferiche e incrementa la sua capacità accomodativa. Un cristallino trasparente non accomodato ha nella sezione B un indice di rifrazione di 1.387, nella sezione C di 1.385 e nella A di 1.406.
Combinazione delle componenti ottiche dell’occhio
Esaminiamo ora come le diverse componenti ottiche dell’occhio si combinano per realizzare un efficace sistema di focalizzazione delle immagini. A questo scopo, partendo dalla geometria delle singole componenti, analizzeremo le proprietà ottiche delle due strutture anatomiche principali: cornea e cristallino.
Ottica della cornea Il maggiore spessore periferico e la maggiore curvatura posteriore rendono la cornea assimilabile a una leggera lente concava. Infatti, isolatamente, la cornea ha un leggero potere divergente ma nell’occhio diviene una potente lente convergente poiché la variazione di indice di rifrazione tra cornea e acqueo è praticamente nulla se comparata a quella tra aria e cornea. Il potere delle due superfici corneali viene calcolato in base alla loro curvatura e alle variazioni degli indici di rifrazione dei mezzi. La superficie anteriore della cornea ha un potere di convergenza di circa 49 diottrie; la superficie posteriore ha un potere di divergenza di circa 6 diottrie. Il potere rifrattivo convergente totale della cornea è, quindi, di circa 43 diottrie.
Ottica del cristallino Come abbiamo già visto il cristallino è un sistema di superfici rifrattive coassiali che realizzano un potere rifrattivo convergente complessivo di circa 19 diottrie.
Potere ottico dell’occhio Il potere rifrattivo complessivo dell’occhio deriva dalla somma dei poteri noti di cornea e cristallino e dall’effetto delle variazioni degli indici di rifrazione e viene stimato in circa 60 diottrie convergenti.
Punti cardinali dell’occhio Dato che gli indici di rifrazione della cornea, dell’acqueo e del vitreo sono molto simili possiamo considerare tutte queste parti come un mezzo rifrattivo comune. Così facendo possiamo semplificare il sistema ottico oculare a due elementi rifrattivi: la superficie anteriore della cornea che separa l’aria dall’occhio e il cristallino immerso nel mezzo rifrattivo comune. Questi due elementi si combinano per fornire un singolo sistema di punti cardinali di quello che è noto come occhio schematico di Gullstrand (figura 2). In quest’occhio il fuoco secondario F’ cade a 0.387 mm dietro la retina; i punti principali H e H’ si trovano a 1.348 mm e a 1.602 mm dalla superficie anteriore della cornea. Sia i due punti principali sia i due punti nodali N e N’ sono tra loro molto vicini (0.254 mm) cosicché è possibile considerare ogni coppia dei punti intermedi come un unico punto senza introdurre errori apprezzabili. Questa ulteriore semplificazione rende il sistema ottico dell’occhio assimilabile a una singola superficie rifrattiva ideale nota come occhio ridotto (figura 3). Il raggio di curvatura dell’occhio ridotto è di 5.73 mm e separa due
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fig. 2: occhio schematico di Gullstrand Figura 2. Occhio schematico di Gullstrand In quest’occhio il fuoco secondario F’ cade a 0.387 mm dietro la retina; i punti principali H e H’ si trovano a 1.348 mm e a 1.602 mm dalla superficie anteriore della cornea. Sia i due punti principali sia i due punti nodali N e N’ sono tra loro molto vicini (0.254 mm) cosicché è possibile considerare ogni coppia dei punti intermedi come un unico punto senza introdurre errori apprezzabili. Questa ulteriore semplificazione rende il sistema ottico dell’occhio assimilabile a una singola
In quest’occhio il fuoco secondario F’ cade a 0.387 mm dietro la retina; i punti principali H e H’ si trovano a 1.348 mm e a 1.602 mm dalla superficie anteriore della cornea. Sia i due punti principali sia i due punti nodali N e N’ sono tra loro molto vicini (0.254 mm) cosicché è possibile considerare ogni coppia dei punti intermedi come un unico punto senza introdurre errori La patologia oculare miopica • Pasquale Troiano apprezzabili. Questa ulteriore semplificazione rende il sistema ottico dell’occhio assimilabile a una singola superficie rifrattiva ideale nota come occhio ridotto (figura 3). fig. 3: occhio ridotto Il raggio di curvatura dell’occhio ridotto è di 5.73 mm e separa due mezzi con indice di rifrazione 1 ed 1.336. Il punto principale H cade 1.35 mm dietro la superficie anteriore della cornea e cioè in camera anteriore. Il punto nodale N – cioè il centro ottico – si trova a 7.08 mm dietro la superficie anteriore della cornea e cioè nella porzione posteriore del cristallino. La sua distanza focale anteriore è collocata a 15.7 mm davanti alla cornea. La distanza focale posteriore si trova a 24.13 mm dietro la superficie anteriore della cornea che, nell’occhio normale, è la posizione della retina. Costruzione dell’immagine retinica: La costruzione dell’immagine retinica può essere realizzata dai punti cardinali del sistema ottico dell’occhio ridotto e semplificato come in figura 4.
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Figura 3. Occhio ridotto
mezzi con indice di rifrazione 1 ed 1.336. Il punto principale H cade 1.35 mm dietro la superficie anteriore della cornea e cioè in camera anteriore. Il punto nodale N – cioè il centro ottico – si trova a 7.08 mm dietro la superficie anteriore della cornea e cioè nella porzione posteriore del cristallino. La sua distanza focale anteriore è collocata a 15.7 mm davanti alla cornea. La distanza focale posteriore si trova a 24.13 mm dietro la superficie anteriore della cornea che, nell’occhio normale, è la posizione della retina. Costruzione dell’immagine retinica La costruzione dell’immagine retinica può essere realizzata dai punti cardinali del sistema ottico dell’occhio ridotto e semplificato come in figura 4. Tracciando delle linee rette dalle estremità dell’oggetto AB attraverso il punto nodale N si produce l’immagine retinica ab. L’immagine è reale, invertita e rimpicciolita. Queste due linee quando incontrano il punto nodale N realizzano l’angolo ANB denominato angolo visivo definito come l’angolo sotteso dall’oggetto al punto nodale. Questo angolo è uguale all’angolo aNb sotteso dall’immagine retinica
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Figura 4. Costruzione dell’immagine retinica nell’occhio ridotto fig. 4: costruzione dell’immagine retinica nell’occhio ridotto
Tracciando delle linee rette dalle estremità dell’oggetto AB attraverso il punto nodale N si produce al punto nodale. La dimensione dell’immagine retinica di una qualunl’immagine retinica ab. L’immagine è reale, invertita e rimpicciolita. Queste due linee quando incontrano il punto nodale N que oggetto esterno dipende dall’angolo visivo. realizzano l’angolo ANB denominato angolo visivo definito come l’angolo sotteso dall’oggetto al punto nodale. Questo angolo è uguale all’angolo aNb sotteso dall’immagine retinica al punto nodale. La Difetti ottici dell’occhio dimensione dell’immagine retinica di una qualunque oggetto esterno dipende dall’angolo visivo. Non esiste un sistema biologico che possa corrispondere all’accuratezza richiesta dall’occhio schematico ridotto che però è utile a comprenDifetti ottici dell’occhio Non esiste un sistema biologico che possa corrispondere all’accuratezza richiesta dall’occhio schematico dere le basi teoriche del sistema rifrattivo oculare e la natura approssiridotto che però è utile a comprendere le basi teoriche del sistema rifrattivo oculare e la natura mativa di tutte le costanti ottiche oculari. approssimativa di tutte le costanti ottiche oculari. Forma della cornea Forma della cornea: La cornea in realtà non è sferica. La porzione parassiale è quasi sferica anche se la La cornea in realtà non è sferica. La porzione parassiale è quasi sferica curvatura varia nei diversi meridiani realizzando quell’astigmatismo che si trova molto rappresentato nella popolazione e che per questo viene chiamato astigmatismo fisiologico. In realtà se volessimo descrivere più anche se la curvatura varia nei diversi meridiani realizzando quell’astig-accuratamente l’area assiale e parassiale della cornea dovremmo rapportarla ad una superficie toroidale matismo che si trova molto rappresentato nella popolazione e che per piuttosto che sferica. Le conoscenze che ci derivano dagli studi topografici sulla periferia della cornea ci questo viene chiamato astigmatismo fisiologico. In realtà se volessimo devono far riconoscere che non è possibile descrivere la cornea nei termini di una costruzione geometrica descrivere più accuratamente l’area assiale e parassiale della cornea semplice, la figura geometrica che più si avvicina – senza comunque raggiungere il grado di complessità dovremmo rapportarla a una superficie toroidale piuttosto che sferica. della forma corneale – alla forma della cornea è il paraboloide di rivoluzione – detto anche paraboloi circolare – cioè una superficie ottenuta ruotando una parabola attorno al proprio asse. Le conoscenze che ci derivano dagli studi topografici sulla periferia Una simile geometria ha il grande vantaggio di riuscire a catturare una maggiore quantità di radiazione e di della cornea ci devono far riconoscere che non è possibile descrivere farla convergere in un solo punto. Questa caratteristica viene utilizzata anche in ingegneria per la la cornea nei termini di una costruzione geometrica semplice, la figu-realizzazione, ad esempio, dei riflettori parabolici o delle antenne paraboliche. ra geometrica che più si avvicina alla forma della cornea – senza coLa descrizione di una struttura così complessa è notevolmente migliorata con l’avvento della topografia ma è ancora lontana dalla perfezione. La tecnologia, sia a riflessione sia a scansione, produce artefatti, l’accuratezza di valutazione della porzione periferica è ancora modesta, una parte dei dati non sono ottenuti da misure reali ma da interpolazioni, i sistemi di elaborazione dei dati misurati ed interpolati vengono gestiti attraverso algoritmi molto diversi tra loro che forniscono informazioni diverse e con notevole impatto sulle valutazioni cliniche. La cornea viene classicamente divisa in un porzione centrale o apice ed una porzione periferica.
munque raggiungere il grado di complessità della forma corneale – è il paraboloide di rivoluzione – detto anche paraboloide circolare – cioè una superficie ottenuta ruotando una parabola attorno al proprio asse. Una simile geometria ha il grande vantaggio di riuscire a catturare una maggiore quantità di radiazione e di farla convergere in un solo punto. Questa caratteristica viene utilizzata anche in ingegneria per la realizzazione, ad esempio, dei riflettori parabolici o delle antenne paraboliche. La descrizione di una struttura così complessa è notevolmente migliorata con l’avvento della topografia ma è ancora lontana dalla perfezione. La tecnologia, sia a riflessione sia a scansione, produce artefatti, l’accuratezza di valutazione della porzione periferica è ancora modesta, una parte dei dati non sono ottenuti da misure reali ma da interpolazioni, i sistemi di elaborazione dei dati misurati ed interpolati vengono gestiti attraverso algoritmi molto diversi tra loro che forniscono informazioni diverse e con notevole impatto sulle valutazioni cliniche. La cornea viene classicamente divisa in un porzione centrale o apice ed una porzione periferica. Un ulteriore problema che ci viene posto dalla forma della cornea è la definizione di apice corneale. Se definiamo l’apice come il punto di massima curvatura della cornea, questo non coincide con l’asse ottico. Inoltre, è particolarmente difficile definire le dimensioni dell’apice corneale e determinare dove finisce l’apice e inizia la periferia. Convenzionalmente viene considerata area apicale della cornea l’insieme di tutte le aree centrali il cui potere è compreso entro 1 diottria che solitamente corrisponde ai 4 mm centrali. Per introdurre un’ulteriore complessità alla forma della cornea sappiamo che essa varia durante il giorno presentandosi più piatta al mattino per l’effetto combinato della compressione palpebrale notturna e del rallentamento del ricambio lacrimale. Lo stato della pupilla, la temperatura ambientale, il ciclo mestruale e l’attività dei muscoli oculari
estrinseci – soprattutto durante la convergenza – possono modificare la forma della cornea. Il semplice ciclo cardiaco influenza la curvatura corneale per cui ad ogni sistole si osserva un lieve aumento della curvatura corneale. Di tutti questi elementi il più importante è l’effetto sulla curvatura corneale dell’azione del muscolo retto mediale durante la convergenza. Durante la convergenza e l’accomodazione il potere rifrattivo della cornea si riduce di circa 1.5 diottrie sul meridiano orizzontale e di circa 0.5 diottrie su quello verticale per l’aumento del raggio di curvatura orizzontale indotto solo dalla convergenza mentre l’accomodazione risulta ininfluente.
Forma e indice di rifrazione del cristallino Come la cornea anche le superfici del cristallino non sono realmente sferiche ma mostrano un appiattimento verso la periferia. Questo problema non è di facile analisi nell’occhio vivente ed è ancora più complesso da esprimere in termini matematici semplici. Ci sono sufficienti evidenze per considerare le superfici del cristallino di forma ellissoidale. Indubbiamente il cristallino contribuisce all’astigmatismo fisiologico dell’occhio attraverso un suo intrinseco astigmatismo dovuto non solo alle variazioni di curvatura delle sue superfici nei vari meridiani ma anche alla sua inclinazione rispetto all’asse ottico. L’inclinazione del cristallino è dovuta a due componenti rotazionali: una da 3° a 7° attorno al suo asse verticale per cui il bordo temporale si trova più indietro del bordo nasale ed una da 1° a 3° attorno al suo asse orizzontale per cui il bordo superiore è più avanti di quello inferiore. Anche le variazioni dell’indice di rifrazione interne al cristallino contribuiscono all’astigmatismo lenticolare. Infatti, nel cristallino vi sono molte zone di discontinuità in cui si trovano diversi raggi di curvatura e diversi indici di rifrazione. L’indice di rifrazione della corticale varia con la distanza dall’asse ottico essendo di circa 1.375 in prossimità dell’equatore e di circa 1.387 in prossimità dei poli.
L’indice di rifrazione sale a 1.41 nel nucleo fetale. La curvatura aumenta progressivamente spostandosi dai poli verso il nucleo. Come se non bastasse il cristallino cambia radicalmente la sua forma durante l’accomodazione.
Coassialità degli elementi ottici
Asse ottico Le considerazioni di ottica geometrica si fondano sul presupposto che tutti i componenti di un sistema ottico siano posizionate in modo coassiale e simmetrico all’asse ottico. Nessuna delle superfici rifrattive dell’occhio obbedisce a questa condizione. È estremamente difficile individuare l’asse ottico di ogni singolo elemento del diottro oculare e ancor più difficile correlare tra loro i diversi mal definiti assi ottici dei vari componenti. Pertanto, non dobbiamo sorprenderci del fatto che è impossibile individuare l’asse ottico dell’occhio e che ciò che definiamo tale è solo un concetto teorico convenzionale. Invece, potrebbe apparire sorprendente che il miglior asse ottico teoricamente tracciabile nel diottro oculare non cadrebbe sulla fovea. Ne discende che il punto di fuoco del diottro oculare non è collocato sull’asse ottico. In realtà posizioni, indici di rifrazione e curvature dei vari elementi del diottro oculare cercano di compensare i difetti dei singoli elementi. Tenendo in mente queste limitazioni possiamo definire asse ottico del diottro oculare l’asse teorico comune a tutte le superfici rifrattive dell’occhio su cui cadono i centri ottici delle singole superfici rifrattive.
Asse visivo e angolo alfa Visto che l’occhio non è un sistema ottico centrato, è necessario considerare altri assi utili per la visione. L’asse visivo può essere definito come la linea che incontra il punto di fissazione della fovea e, come l’asse ottico, passa attraverso il punto nodale dell’occhio (figura 5) che ricordiamo è un concetto geometrico teorico.
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fig. 5: Asse ottico (ANB), asse visivo (FNM), angolo alfa (ANF) e angolo gamma (FNC)Figura 5. Asse ottico (ANB), asse visivo (FNM), angolo alfa (ANF) e angolo gamma (FNC) Le dimensioni di questi angoli come mostrati in figura 1 sono esagerate per rendere comprensibili le loro relazioni. Appare evidente che quando asse ottico ed asse visivo si incrociano al punto nodale teorico formano un angolo, denominato angolo alfa. Solitamente l’asse ottico incontra la retina circa 1 mm sopra e nasalmente alla fovea come l’asse visivo passa attraverso sopra e nasalmente all’apice corneale. Questa situazione crea un angolo alfa positivo di 5°. In particolari condizioni come la miopia elevata l’asse visivo passa temporalmente all’apice corneale facendo divenire l’angolo alfa negativo. Asse di fissazione e angolo gamma: Una razionalizzazione della complessità introdotta dall’asse visivo e dall’angolo alfa è possibile con l’introduzione dell’asse di fissazione cioè della linea che congiunge il punto di fissazione con il centro di rotazione dell’occhio (C). L’angolo che si forma tra questo asse e l’asse visivo al centro di rotazione è noto come angolo gamma. Mentre il punto nodale è un concetto geometrico teorico, il centro di rotazione dell’occhio non solo non può emergere sul piano teorico ma è anche praticamente molto difficile da localizzare poiché i movimenti oculari si sviluppano in un modo che porta a escludere l’esistenza di un singolo e ben definito centro di rotazione. Assi pupillari e angolo kappa: Sul piano pratico il decentramento del diottro oculare può essere valutato evitando di fare riferimento ad assi che attraversano punti puramente teorici o impossibili da localizzare. Diviene necessario individuare un punto di riferimento preciso e di facile localizzazione. Il centro della pupilla può rispondere bene a questa esigenza e può essere utilizzato come riferimento per due assi molto simili all’asse ottico e all’asse visivo. Come si può vedere in figura 6 uno è l’asse pupillare centrale cioè la linea perpendicolare alla superficie corneale che passa per il centro della pupilla (A) che può rappresentare l’asse ottico. L’altro è la linea principale di visione cioè la linea che congiunge il centro di ingresso della pupilla con il punto di fissazione (FD), che può rappresentare l’asse visivo. L’angolo kappa è definito come l’angolo che si forma tra l’asse pupillare centrale e la linea principale di visione (ADF). L’asse pupillare centrale attraversa la cornea al centro della zona ottica con pupilla centrata di diametro non superiore a 4 mm.
Le dimensioni di questi angoli come mostrati in figura 1 sono esagerate per rendere comprensibili le loro relazioni. Appare evidente che quando asse ottico ed asse visivo si incrociano al punto nodale teorico formano un angolo, denominato angolo alfa. Solitamente l’asse ottico incontra la retina circa 1 mm sopra e nasalmente alla fovea come l’asse visivo passa attraverso sopra e nasalmente all’apice corneale. Questa situazione crea un angolo alfa positivo di 5°. In particolari condizioni come la miopia elevata l’asse visivo passa temporalmente all’apice corneale facendo divenire l’angolo alfa negativo. Asse di fissazione e angolo gamma Una razionalizzazione della complessità introdotta dall’asse visivo e dall’angolo alfa è possibile con l’introduzione dell’asse di fissazione cioè della linea che congiunge il punto di fissazione con il centro di rotazione dell’occhio (C). L’angolo che si forma tra questo asse e l’asse visivo al centro di rotazione è noto come angolo gamma. Mentre il punto nodale è un concetto geometrico teorico, il centro di 37
rotazione dell’occhio non solo non può emergere sul piano teorico ma è anche praticamente molto difficile da localizzare poiché i movimenti oculari si sviluppano in un modo che porta a escludere l’esistenza di un singolo e ben definito centro di rotazione.
Assi pupillari e angolo kappa Sul piano pratico il decentramento del diottro oculare può essere valutato evitando di fare riferimento ad assi che attraversano punti puramente teorici o impossibili da localizzare. Diviene necessario individuare un punto di riferimento preciso e di facile localizzazione. Il centro della pupilla può rispondere bene a questa esigenza e può essere utilizzato come riferimento per due assi molto simili all’asse ottico e all’asse visivo. Come si può vedere in figura 6 uno è l’asse pupillare centrale cioè la linea perpendicolare alla superficie corneale che passa per il centro della pupilla (A) che può rappresentare l’asse ottico. L’altro è la linea principale di visione cioè la linea che congiunge il centro di ingresso della pupilla con il punto di fissazione (FD), che può rappresentare l’asse visivo.
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Figura 6. Asse pupillare centrale (A), linea principale di visione (FD) e angolo K fig. 6: Asse pupillare centrale (A), linea principale di visione (FD) e angolo K Parassialità della luce incidente: Un sistema ottico è tanto più efficiente quanto più piccola è la sua apertura in modo da limitare l’ingresso ai soli raggi parassiali. Negli strumenti ottici un’apertura di 10° è generalmente considerata la massima compatibile con un sistema efficiente.
L’angolo kappa è definito come l’angolo che si forma tra l’asse pupillare centrale e la linea principale di visione (ADF). L’asse pupillare centrale attraversa la cornea al centro della zona ottica con pupilla centrata di diametro non superiore a 4 mm.
Parassialità della luce incidente Un sistema ottico è tanto più efficiente quanto più piccola è la sua apertura in modo da limitare l’ingresso ai soli raggi parassiali. Negli strumenti ottici un’apertura di 10° è generalmente considerata la massima compatibile con un sistema efficiente. Una pupilla con diametro di 4 mm corrisponde ad una apertura di 20° a livello della superficie corneale. La dimensione della pupilla determina la dimensione dei circoli di confusione sulla retina. I raggi incidenti sono rifratti dalla cornea prima di raggiungere la pupilla e i raggi emergenti sono rifratti dal cristallino prima di raggiungere la retina. In pratica sappiamo che ridurre l’apertura crea un vantaggio poiché rende la luce più parassiale e riduce la dimensione dei circoli di confusione. Per questo nella pratica clinica usiamo il foro stenopeico e, istintivamente, i miopi socchiudono gli occhi e gli ipermetropi preferiscono le alte luminanze. Il diametro della pupilla è sempre un fattore critico perché se è molto piccolo può indurre diffrazione mentre se è molto grande si perde la parassialità della luce e compaiono le aberrazioni.
Diffrazione, potere di risoluzione e profondità di fuoco
I coni sono l’elemento finale del diottro oculare. Semplificando possiamo dire che se due punti luminosi sono visti separati, sono stimolati due coni mentre un cono intermedio rimane non stimolato. Conseguentemente la più piccola immagine distinguibile ha un diametro appena superiore a quello di un cono (0.002 mm) che permette di
determinare un minimo angolo visibile di 24.14 secondi d’angolo. Sappiamo che la natura della radiazione luminosa non permetterà mai la formazione di un punto immagine in un sistema ottico con un’apertura definita (pupilla) ma solo di un quadro diffrattivo. La diffrazione è una delle caratteristiche fisiche della luce. Se è vero che la luce viaggia in linea retta nella porzione interna del fronte d’onda – dove la deviazione di ogni singolo raggio viene impedita dalla tendenza equivalente ed opposta dei raggi vicini – al margine del fronte d’onda l’effetto di supporto tra i raggi vicini si riduce e la luce si diffonde. Anche quando si diffondono i raggi interferiscono tra loro creando una serie di bande circolari concentriche alternativamente scure e luminose. L’entità della diffrazione dipende dalla distanza della fonte luminosa e dalla lunghezza d’onda della luce. La profondità di fuoco di un sistema ottico può essere definita come la maggiore distanza attraverso la quale un oggetto può essere mosso rimanendo a fuoco. In tutti i sistemi ottici, incluso l’occhio, la profondità di fuoco dipende essenzialmente da due fattori: la distanza dell’oggetto (maggiore è la distanza maggiore è la profondità di fuoco) e l’apertura del sistema (minore è l’apertura del sistema ottico maggiore è la profondità di fuoco). Nel sistema ottico oculare assumono importanza anche l’acuità visiva, l’illuminazione dello sfondo e le aberrazioni. Nella pratica clinica è utile ricordare che la profondità di fuoco è prevalentemente una funzione del diametro pupillare effettivo. Il ruolo della pupilla nell’ottica fisiologica è essenziale. Controlla il potere di risoluzione dell’occhio e la quantità di luce che raggiunge la retina. Una pupilla piccola è vantaggiosa poiché riduce le aberrazioni e incrementa la profondità di fuoco; però ha lo svantaggio di aumentare gli effetti della diffrazione e di ridurre la luminosità delle immagini riducendo di fatto l’acuità visiva. Se l’acuità visiva viene misurata come funzione del diametro pupillare in condizioni di illuminazione retinica costante si può osservare che partendo da una pupilla di diametro inferiore a 2 mm, aumentando pro-
gressivamente il diametro pupillare l’acuità visiva migliora prima molto rapidamente e poi più lentamente raggiungendo il massimo con una pupilla di diametro compreso tra 3 e 4 mm dopodiché l’acuità visiva comincia nuovamente a ridursi. È stato dimostrato che il riflesso pupillare alla luce aggiusta l’apertura dell’occhio per permettere alla retina di utilizzare la massima acuità visiva per un ampio range di luminanze.
I fattori ottici della miopia
In un sistema di così elevata complessità è assai probabile che anche minime variazioni di uno dei parametri considerati possa produrre effetti negativi sulla focalizzazione delle immagini sul piano retinico. I fattori principali che inducono miopia sono: a) elevata lunghezza assiale del bulbo oculare: ricordiamo che la lunghezza media del bulbo dell’adulto è di 23-24 mm. Ogni millimetro di eccesso di lunghezza corrispondono a circa 3 diottrie di miopia. b) curvatura corneale superiore alla norma: abitualmente questo fattore è scarsamente importante anzi spesso i miopi elevati hanno una cornea più piatta. Il valore più importante è la superficie anteriore della cornea, nella sua zona ottica, ha un raggio di curvatura medio compreso tra 7 ed 8 mm. Siccome questa parte della cornea agisce come uno specchio convesso, la dimensione delle immagini prodotte varia con la curvatura: maggiore la curvatura minore la dimensione dell’immagine. c) curvatura del cristallino superiore alla norma: il raggio di curvatura media della superficie anteriore del cristallino è di 10 mm mentre quello della posteriore è di 6 mm. L’aumento di questi valori sono spesso associati ad anomalie della lente e talora sono implicati nella miopia da spasmo accomodativo. d) aumento dell’indice di rifrazione del cristallino (miopia d’indice); il cristallino normale è un sistema di superfici rifrattive coassiali che realizzano un potere rifrattivo convergente complessivo di circa 19 diottrie.
Le modificazione dell’indice di rifrazione soprattutto a carico del nu-
cleo producono miopia. In presenza di opacità nucleari, talora si può notare l’aumento anche dello spessore medio del cristallino (valore medio senza accomodazione 4 mm).
La visione di un occhio miope
Un sistema ottico, nella sua forma più semplice, è rappresentato da un diaframma, una lente convergente e uno schermo. Il diaframma lascia passare un fascio di raggi luminosi, che per semplicità consideriamo paralleli, mentre la lente convergente li focalizza in un punto situato sullo schermo. Perché il sistema ottico sia perfetto, si devono verificare tre condizioni: i raggi luminosi devono essere focalizzati in un solo punto, il punto di fuoco deve cadere sull’asse ottico e deve formarsi esattamente sullo schermo. Le prime due condizioni richiedono che l’obiettivo sia ben costruito ed esente da distorsioni; la terza prevede che sia della giusta potenza, cioè che la lunghezza focale corrisponda esattamente alla distanza dello schermo. Se una di queste condizioni non è rispettata avremo un sistema ottico aberrato. Se i raggi luminosi focalizzano in un punto sull’asse ottico, ma non sullo schermo, vuol dire semplicemente che l’obiettivo non è della giusta potenza e si realizza quella condizione che in aberrometria viene definita defocus miopico o ipermetropico a seconda che il fuoco si posizioni davanti o dietro allo schermo. Quando l’obiettivo è in qualche modo deformato e incapace di raccogliere compiutamente i raggi luminosi, questi si disperdono in uno spazio tridimensionale. Questo spazio tridimensionale prende il nome di caustica. La caustica più nota in oftalmologia è il conoide di Sturm. Un occhio miope focalizza i raggi luminosi sull’asse ottico prima della retina. In genere questo si verifica in occhi con lunghezza assiale elevata, ma l’analisi aberrometrica la interpreterà sempre come un eccessivo potere del diottro oculare. In realtà, i raggi luminosi subiscono una rifrazione eccessiva e quindi il
fronte d’onda assume la forma di una calotta sferica più curva di quella che sarebbe in caso di emmetropia. L’aberrometro registra le radiazioni provenienti dalla fovea. I raggi luminosi riflessi dalla retina dopo l’irradiazione del fascio di luce coerente all’interno dell’occhio viaggiano divergenti, fino a quando non vengono rifratti dall’obiettivo oculare. Se questo fosse emmetrope li trasformerebbe in un fascio parallelo con fronte d’onda piano, ma nel miope abbiamo un obiettivo più potente del necessario, che li rende convergenti portandoli a convogliare a una distanza finita, coincidente con il punto remoto dell’occhio miope. Il fronte d’onda non è quindi un piano, ma una calotta sferica con la concavità rivolta verso la direzione dei raggi, quindi dalla parte opposta dell’occhio. Nel diottro perfetto l’unità di misura della diottria rappresenta l’inverso della distanza focale espressa in metri e l’associazione di due diottri (ad esempio occhio e lente correttiva) è data dalla somma algebrica dei diottri. Ciò è applicabile nella pratica clinica della correzione della rifrazione, solo per lenti di basso potere. Infatti il potere teorico di una lente è considerato singolarmente. Quando questa lente viene associata ad un altro sistema ottico (come il diottro oculare) e quindi utilizzata per variare il potere diottrico, è necessario tenere in considerazione la distanza tra lente e sistema ottico. Con il variare della distanza si ha un potere diottrico risultante diverso, secondo se la lente è negativa o positiva: la lente negativa se avvicinata al diottro oculare aumenta il suo potere effettivo, che è il motivo per il quale i miopi sottocorretti avvicinano gli occhiali. Esiste una relazione matematica che lega il potere teorico e il potere effettivo di una lente. La formula più semplice e intuitiva è la seguente: De = D/1-d x D. Dove: - De indica il potere effettivo della lente alla distanza desiderata - D è il potere diottrico teorico della lente posta a quella distanza - d è la distanza apice corneale - lente (espressa in metri).
La variazione del potere è trascurabile con poteri bassi (fino a 4 D), alla distanza di uso degli occhiali (11-15 mm). Per poteri superiori è necessario tenere conto della variazione, anche perché aumenta in modo esponenziale con l’aumentare del potere della lente. Nella valutazione rifrattiva soggettiva e oggettiva della miopia elevata, questo parametro è importantissimo e richiede la registrazione sulla prescrizione dell’occhiale della distanza occhio-lente a cui è riferita la correzione prescritta. In presenza di astigmatismo anche non elevato, associato a base sferica elevata, anche l’entità dell’astigmatismo si modifica poiché il meridiano su cui agisce il cilindro, ha un potere ottico complessivo dato dalla somma tra sfero e cilindro. La distanza occhio lente è calcolata per diottri a contatto con l’aria e viene usata nel calcolo del potere delle lenti a contatto. Per gli impianti e per i trattamenti diottrici intra-stromali le formule adottate dai sistemi di calcolo del potere, tengono conto anche degli indici di rifrazione dei tessuti oculari. Le lenti negative o concave determinano sempre un’immagine virtuale, diritta e rimpicciolita, qualunque sia la posizione dell’oggetto. In un occhio ametrope non corretto l’immagine che si forma sulla retina ha una dimensione diversa da quella dell’occhio emmetrope. Nella miopia si formano immagini più grandi di quelle che si formano nell’occhio emmetrope. Questa differenza di grandezza dipende dalla diversa distanza fra la retina e il punto nodale. La correzione ottica con lenti della miopia modifica le dimensioni delle immagini retiniche che risultano rimpicciolite. Il rapporto fra l’immagine di un oggetto che si forma in un occhio ametrope corretto con lenti a tempiale, e l’immagine nello stesso occhio senza correzione è detto ingrandimento da correzione (Gc) che nelle lenti per miopia è ovviamente negativo. Questo rapporto si riduce semplicemente non considerando la for-
ma della lente e il potere diottrico anteriore e posteriore che dipende dall’indice di rifrazione con la seguente formula: Gc = d x D. Dove: - d è la distanza della lente dall’apice corneale (in cm) e - D è il potere diottrico della lente. L’ingrandimento da correzione è, con una certa approssimazione, direttamente proporzionale alla distanza lente - apice corneale e al potere diottrico della lente.
Errata posizione della lente dell’occhiale nel miope
Una lente è posizionata correttamente quando il suo asse coincide con quello del diottro oculare (asse visivo), altrimenti il suo potere e le sue caratteristiche rifrattive risultano diverse. Quando la lente è posizionata in modo che il suo asse non coincida con quello del diottro oculare ma resta parallelo a esso si parla di decentramento. Quando la lente è posizionata in modo che il suo asse non coincida con quello del diottro oculare, ma forma un angolo, si parla d’incidenza obliqua. In caso di decentramento si verificano due fenomeni: – la variazione del potere effettivo che, con lenti negative, consiste in un aumento; – effetto prismatico. Le lenti sferiche decentrate determinano un effetto prismatico, con tutte le conseguenze rifrattive dei prismi, che dipende da vari fattori: – potere della lente: l’entità della deviazione prismatica è direttamente proporzionale al potere della lente; – tipo di lente: nelle lenti positive il prisma ha la base nella direzione del decentramento, mentre in quelle negative nella direzione opposta; – caratteristiche della lente: lo spessore, l’indice di rifrazione, la presenza di una o due superfici curve influenzano l’entità dell’effetto pri-
smatico; tra due lenti con uguale potere avrà maggiore effetto prismatico il decentramento della lente con spessore maggiore e quindi con indice di rifrazione minore. Il decentramento può essere orizzontale con effetto prismatico orizzontale o verticale con effetto verticale. Questo effetto prismatico da decentramento è spesso utilizzato proprio nella correzione a tempiale della miopia medio elevata in presenza di disturbi della motilità oculare (soprattutto exodeviazioni e insufficienza di convergenza) ma deve tenere conto degli aspetti sovra citati. La regola di Prentice suggerisce, non senza una discreta approssimazione, che l’effetto prismatico (espresso in diottrie prismatiche), è uguale al potere della lente (in D) moltiplicato per la distanza (in centimetri) dal centro ottico della lente. Nella prescrizione di lenti prismatiche nel miope la somma della correzione sferica e prismatica produce, di fatto, una lente decentrata. Se una lente posta davanti a un occhio viene inclinata o se l’occhio guarda attraverso la periferia della lente si verifica una situazione rifrattiva che produce astigmatismo da incidenza obliqua. Così, come nell’astigmatismo classico, il fuoco della lente non è più costituito da un punto ma da due linee focali. Inoltre l’equivalente sferico di questo astigmatismo, cioè la posizione del cerchio di minor confusione, non corrisponde esattamente al potere sferico della lente. Quindi una lente sferica inclinata ruotando su un asse orizzontale determinerà una combinazione sfero-cilindrica costituita da una lente sferica di potere lievemente più elevato e da un cilindro di segno uguale a quello della lente inclinata con l’asse corrispondente al meridiano su cui la lente ha effettuato la rotazione. L’incremento del potere della lente sferica e il potere del cilindro sono proporzionali all’entità dell’inclinazione e al potere della lente che viene inclinata. Per questo motivo molti miopi sottocorretti inclinano i loro occhiali per vedere meglio.
Distorsione periferica
Le lenti determinano anche distorsioni dovute ai limiti tecnici di fabbricazione (bassa curvatura delle superfici, scarsa inclinazione dei raggi parassiali). Questi fenomeni si verificano principalmente con lenti di potere elevato e maggiormente con lenti otticamente meno sofisticate. Le immagini che vengono viste attraverso la periferia di una lente positiva appaiono più ingrandite con una forma a “barilotto” rispetto a quelle viste attraverso il centro. Le immagini che vengono viste attraverso la periferia di una lente negativa appaiono più piccole e con una forma a “cuscino” rispetto a quelle viste attraverso il centro. Nella distorsione da cilindro il cerchio assume una forma ellittica e il quadrato una forma rettangolare.
Isometropia, anisometropia e aniseiconia
Quando due occhi hanno uguale potere rifrattivo (isometropia), l’immagine che viene messa a fuoco sulla retina è di uguali dimensioni e con lo stesso fuoco nei due occhi. Questa è la situazione ideale per una perfetta visione binoculare. Nell’anisometropia, i due occhi hanno differente potere rifrattivo, per cui l’immagine che viene messa a fuoco sulla retina in un occhio è di dimensioni e fuoco diversi. Questa situazione è molto frequente e se le differenze non sono significative non determina problemi. La differenza di grandezza delle immagini retiniche viene detta aniseiconia che se è elevata determina una incompleta fusione centrale delle immagini. Dal punto di vista quantitativo possiamo dire che ogni diottria di anisometropia corretta determina una differenza di grandezza delle immagini retiniche di circa 1%. La tolleranza dell’aniseiconia è molto variabile e influenzata da vari fattori individuali come l’età (più alta nei bambini) e dalle caratteristiche fisiche delle lenti correttive (occhiali o lenti a contatto).
L’aniseiconia può essere oggettiva o diottrica (dovuta alla correzione ottica dell’anisometropia) oppure soggettiva o sensorio-fisiologica che è quella effettivamente percepita dal paziente. La prima risulta sempre superiore a quella soggettiva in quanto esiste un rapido adattamento sensoriale corticale a immagini retiniche di differente grandezza. Uno dei problemi più importanti, principalmente nei bambini miopi anisometropi, è la differenza d’intensità d’input sensoriale tra i due occhi. Questa differenza, anche se l’anisometropia è corretta perfettamente, è sufficiente a indurre un’ambliopia, finché non viene eliminata l’aniseiconia per mezzo di una correzione ottica che non determini differenza di grandezza delle immagini, per esempio con lenti a contatto o chirurgia.
Bibliografia
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