Docente Relatore ANDREA JACCARINO
Candidato: Marco Siccardi, matricola 583DC Nuova Accademia di Belle Arti – Milano Diploma Accademico di II Livello del Corso di Design della Comunicazione Anno Accademico 2016/2017
Indice
Introduzione
11
Capitolo 1. Breve storia dell’advertising
14
1.1 Dall’età Pre-Moderna al XIX secolo
16
1.2 Il XX secolo e l’avvento della New Economy
22
1.3 L’evoluzione dell’advertising online
30
1.4 Lo scenario contemporaneo
38
1.5 L’alba di un cambiamento paradigmatico
60
Capitolo 2. Il bisogno di cambiamento dell’advertising
64
2.1 Le criticità contemporanee e la necessità di un decisivo “salto evolutivo”
66
2.2 Il concetto di Invertising di Paolo Iabichino
80
2.3 Il futuro dell’advertising secondo eminenti professionisti del settore
90
2.4 Una condivisa prospettiva da perseguire
106
Capitolo 3. Una prospettiva evolutiva per il futuro dell’advertising
110
3.1 Internet of Things: la portata rivoluzionaria di un inedito scenario tecnologico
112
3.2 Evoluzione, diffusione ed ambiti applicativi dell’IoT
116
3.3 Advertising of Things: l’IoT come step-change di un nuovo paradigma pubblicitario
132
3.4 Il concetto di Thin-ternet come nuovo modello comunicativo per l’Advertising
160
3.5 Un’evoluzione non priva di rischi e di implicazioni etiche
166
Conclusioni
174
Bibliografia
176
Sitografia
178
Indice delle figure Fig. 1.1 Affresco raffigurante prodotti in vendita su un resto murario di Pompei
20
Fig 1.2 Johannes Gutenberg (1390-1403 circa)
21
Fig 1.3 Stampante a caratteri mobili di Gutenberg
21
Fig 1.4 Manifesto pubblicitario per le terme di Salisbury, William Caxton, 1477
22
Fig 1.5 Eldorado Music Hall, Jules Chéret, 1894
23
Fig 1.6 Manifesto pubblicitario per Campari, Fortunato Depero, 1931
23
Fig 1.7 Telegrafo di George May Phelps, 1880 circa
24
Fig 1.8 Volney B. Palmer (1799-1864)
24
Fig 1.9 Stazione Radiofonica di WEAF, 1920 circa
26
Fig 1.10 Televisore, 1948
27
Fig 1.11 Prima pubblicità televisiva della storia per un orologio Bulova, USA, 1941
27
Fig 1.12 Albert Lasker (1880 - 1952)
28
Fig 1.13 Team creativo di Landor Associates, 1941
30
Fig 1.14 Team creativo di Pentagram, 1972
30
Fig 1.15 New York City, 1975
31
Fig 1.16 Pubblicità televisiva per Marlboro, 1971
32
Fig 1.17 Pubblicità del computer ISC Intercolor 3621, 1979
33
Fig. 1.18 Primo banner pubblicitario della storia, su HotWired, 1994
34
Fig. 1.19 Pop-up spam
36
Fig 1.20 Doubleclick interface
37
Fig 1.21 Google Adwords interface
39
Fig 1.22 Evoluzione dei telefoni cellulari: dal semplice mobile phone allo smartphone
44
Fig 1.23 Esempio di interstitial ad per Amazon Prime
45
Fig 1.24 Facebook Analytics
47
Fig 1.25 Esempio di in-search ad di YouTube
51
Fig 1.26 Esempio di pre-roll ad su YouTube
53
Fig 1.27 Operazione di Real Time Marketing realizzata da Barilla in seguito al celebre “morso
54
di Suarez” a Giorgio Chiellini, , Italia-Uruguay, Mondiali di calcio 2014 Fig 1.28 Operazione di Real Time Marketing realizzata da Tempo per le 500 milioni di
55
visualizzazioni del videoclip “Hello” della cantante Adele Fig 1.29 Infografica sul funzionamento del Programmatic Advertising
58
Fig 1.30 Infografica sul processo di Retargeting
59
Fig 1.31 Esempio di Native Advertising su Twitter
61
Fig 1.32 Esempio di Native Advertising visualizzato su diversi devices
62
Fig 2.1 Naomi Klein, autrice del saggio “No Logo”
70
Fig 2.2 John Naish, giornalista del Time e autore del pamphlet “Enough” (tradotto in italiano
71
con il titolo “Basta!”) Fig 2.3 Messaggio di protesta su una pubblicità OOH di Parigi da parte della Résistance à
72
l’Agression Publicitaire Fig 2.4 Messaggi di protesta su una pubblicità OOH in Italia
72
Fig 2.5 Manifestazione Culture Jamming negli USA
73
Fig 2.6 Copertina del Time, 2007
75
Fig 2.7 Copertina di Wired, 2007
77
Fig 2.8 Adblock Plus interface
78
Fig 2.9 Crescita dei download dei mobile ad blocker da Gennaio 2015 a Gennaio 2016,
79
indagine di PageFair 2016 Fig 2.10 Principali motivazioni per lo scaricamento degli ad blocker, indagine di PageFair 2016
80
Fig 2.11 Paolo Iabichino, Chief Creative Officer di Ogilvy & Mather Italy
84
Fig 2.12 Philip Kotler, Johnson & Son Distinguished Professor of International Marketing
86
Fig 2.13 Brian Fetherstonhaugh, Chief Executive Officer, OgilvyOne Worldwide
86
Fig 2.14 Copertina del Cluetrain Manifesto, Riedizione del 2015
88
Fig 2.15 Copertina di Invertising di Paolo Iabichino, Guerini e Associati Editore, 2009
90
Fig. 2.16 John Cosley, responsabile del global brand marketing e delle attività di comunicazione
94
per Microsoft Search Fig 2.17 Indagine di MC sull’impatto della personalizzazione sui tassi di conversione relativi
95
alle campagne di web marketing, 2014 Fig 2.18 Susan Wojcicki, CEO di YouTube
96
Fig.2.19 Felipe Calderon, Partnership Manager di Google
101
Fig 2.20 Mark Parker, CEO di Nike, Inc.
102
Fig 2.21 Logo di Nike +
102
Fig 2.22 Nike + kit (IPhone 3G, iPod nano, sensore Nike +)
103
Fig 2.23 Nike + app (formato tablet)
103
Fig. 2.24 Mitch Barns, Chief Executive Officer di Nielsen
105
Fig 2.25 Crescita del volume globale dei dati, dal 2008 al 2017 (con previsione fino al 2020)
105
Fig 2.26 Illustrazione dell’articolo “The world’s most valuable resource is no longer oil, but data” su The
106
Economist, 6 maggio 2017 Fig 2.27 Urban Spam di pubblicità OOH nel centro di Tokyo
113
Fig 3.1 Kevin Ashton, Cofondatore dell’Auto-ID Center al Massachusetts Institute of Technology
116
Fig 3.2 Tag RFID (Identificazione a radio frequenza)
117
Fig 3.3 Esempio di ecosistema IoT nell’ambito di una smart city, Nokia Networks, Technology Vision
118
Fig 3.4 Processo di rilevazione, codifica e raccolta dei dati e rielaborazione delle informazioni di un
121
sistema IoT, infografica di Meetweb Fig 3.5 Infografica sulla crescita dell’IoT e sulla diffusione degli smart devices, con previsioni fino al 2020
123
Fig 3.6 Big Data Landscape 2016 , FirstMark Capital
125
Fig 3.7 Esempio di smart home
130
Fig 3.8 Infografica su un esempio di ecosistema IoT
131
Fig 3.9 Infografica su un esempio di smart city, National League of Cities 2017
133
Fig 3.10 Mercedes F 015
134
Fig 3.11 Carlo Noseda, presidente di IAB Italia
137
Fig 3.12 Brian Wong, CEO di KIIP
137
Fig 3.13 Illustrazione sull’interconnessione M2M, M2P e P2P all’interno degli ecosistemi IoT
138
Fig 3.14 Collegamento tra un iBeacon e uno smartphone
140
Fig 3.15 Philips Connected Retail Lighting System, esempio di iBeacon utilizzati in un contesto retail
141
Fig 3.16 Infografica sul sistema di raccolta e sistematizzazione dei dati IoT della piattaforma Evrythng
146
Fig 3.17 Infografica su un Data Hub generico
147
Fig 3.18 The Magic of Flying, OgilvyOne Worldwide per British Airways
150
Fig 3.19 The Coughing Billboard, Akestam Holst per Apotek Hjärtat
151
Fig 3.20 Hair-Raising Subway Ad, Akestam Holst per Apotek Hjärtat
152
Fig 3.21 #LookingForYou, OgilvyOne UK per Battersea Dogs and Cats Home
153
Fig 3.22 Drinkable Ad, Ogilvy & Mather NY per Coca Cola Zero
154
Fig 3.23 Snappin.io di FW
161
Fig 3.24 Johnnie Walker Blue Label Connected Bottle, Diageo e Thinfilm
161
Fig 3.25 Tom Goodwin, exec VP and head of innovation di Zenith
164
Fig 3.26 Scena tratta dal film “Minority Report” di Steven Spielberg (2002): il
166
protagonista John Anderton cammina in un centro commerciale del futuro ed innumerevoli ologrammi pubblicitari si rivolgono a lui chiamandolo per nome tramite una tecnologia a scansione e riconiscimento della retina Fig 3.27 Progetto “Hyper-Reality” di Keiichi Matsuda: pubblicità visualizzate in
166
Augmented Reality che invadono ogni spazio dell’ambiente urbano; uno scenario che esemplifica l’utilizzo di tale tecnologia secondo logiche puramente quantitative, opposte al modello di Goodwin Fig 3.28 Google Glass per l’Augmented Reality
167
Fig 3.29 Esempio di Augmented Reality visualizzata tramite Ipad
167
Fig 3.30 Differenaza tra il modello dell’approccio push (messaggi pubblicitari
168
indifferenziati veicolati secondo modalità broadcast e capaci di generare un certo numero di lead tra i tanti destinatari intercettati) e il modello del Thin Advertising a cui l’Advertising of Things dovrà aderire (messaggi pubblicitari mirati sul singolo utente, modellati sulle sue specificità e sul contesto spazio-temporale che lo riguarda, all’interno di un ecosistema interconnesso)
A Mamma e Papà , al mio Amore Nicola, a Fabrizio ed Ergita, allo Zio Emanuele e alla Zia Lina, a Pinuccia, Davide e Matteo, a Iacopo e Simone, ad Andrea, Valeria, Giorgia, Barbara, Federica Ilaria, Elena, Paolo, Lisa, Eleonora e Renè.
14
Introduzione
Il progetto di tesi muove dall’analisi delle criticità dell’advertising contemporaneo e si pone l’obiettivo di individuare, sulla base delle ricerche svolte, una possibile chiave evolutiva per il futuro della comunicazione pubblicitaria, che prospetti il potenziale superamento delle problematiche rilevate. Professionisti del settore come Paolo Iabichino, John Cosley, Sarah Villegas, John Still, Susan Wojcicki, Felipe Calderon, Mark Parker, Mitch Barns, Claudio Davide Ferrara (rispettivamente Chief Creative Officer di Ogilvy & Mather Italy, responsabile del global brand marketing e delle attività di comunicazione per Microsoft Search Advertising, Head of Marketing & Business Development di Exterion Media, giornalista di The Guardian, CEO di Youtube, Partnerships Manager Google, CEO di Nike, Chief Executive officer di Nielsen e giornalista di Edit) condividono, infatti, la convinzione che l’advertising, per far fronte agli ostacoli e alle criticità che sta vivendo nell’era contemporanea, dovrà presto compiere un vero e proprio “salto evolutivo”, ricercando le giuste leve tecnologiche. Essi sostengono che si sta da tempo verificando una radicale perdita di utilità ed efficacia delle attuali modalità pervasive ed interruttive dell’advertising online e offline e dell’approccio “push”, secondo cui i messaggi pubblicitari vengono “spinti fuori” in direzione di target di massa, poiché l’effetto principale che ne consegue è la produzione del cosiddetto “advertising waste”, termine che definisce lo “spreco” di un messaggio pubblicitario che, invadendo più spazi possibili con la finalità di intercettare il maggior numero di destinatari che possano considerarlo per se stessi rilevante, finisce per lo più per essere
subito dalla maggioranza di essi, che ne accusa la pervasività, non essendo interessata ai suoi contenuti. L’aumento della banner blindness da parte degli utenti, la diffusione dei programmi per l’ad blocking o le contestazioni dell’urban spam rappresentano alcuni esempi delle conseguenze negative di questo inefficace approccio alla comunicazione pubblicitaria. Il minimo comune denominatore delle idee di questi studiosi sul futuro dell’advertising consiste, pertanto, nella convinzione che esso dovrà evolversi sempre più in direzione della personalizzazione dei propri contenuti sulla base dell’analisi e dell’interpretazione dei dati relativi alle specifiche caratteristiche delle singole persone a cui si rivolge (e non più di target predefiniti); tali contenuti, inoltre, dovranno essere adeguati al contesto spazio-temporale che esse stanno vivendo nel momento della comunicazione, privilegiando la rilevanza piuttosto che la pervasività e ragionando sempre più in termini di connessione e di interazione piuttosto che di mero contatto. In sintesi, secondo tali studiosi, si presenta con sempre maggiore urgenza la necessità di re-immaginare l’advertising del futuro come un cosmo eterogeneo di contenuti che si modellano sulla base delle specificità degli individui; l’advertising dovrà “interagire con le singole persone, con i contenuti giusti e nel momento giusto, per ciascuna di esse”, considerando parole come “rilevanza”, “personalizzazione”, “tempismo”, “interattività”, “connessione”, “etica” la propria linfa evolutiva. Data la naturale ed inevitabile relazione, da sempre biunivoca, tra il progresso delle tecnologie comunicative e la fenomenologia dell’advertising, risulta ovvio che la
15
consapevolezza di tali obiettivi per il futuro di quest’ultimo non possa, da sola, rappresentare la realizzazione del “salto evolutivo” auspicato dagli studiosi contemporanei, e che essa debba necessariamente incontrare i giusti mezzi tecnologici in grado di concretizzarli. La sfida per il prossimo futuro consiste, pertanto, nella capacità di individuare e sviluppare tecnologie in grado di guidare l’advertising verso questo nuovo paradigma, affinché possano aprirsi definitivamente le porte di una nuova era. L’ipotesi fondamentale che il progetto di tesi intende dimostrare si fonda sull’idea che, per il compimento di questo passaggio evolutivo, potrà essere decisivo servirsi delle potenzialità delle innovative tecnologie IoT (Internet of Things), in fase di forte sviluppo, finora prevalentemente oggetto di studio ed applicazione ad ambiti come telecomunicazioni, domotica, sicurezza, mobilità, energia o sanità. Secondo quanto ipotizzato, infatti, l’IoT potrebbe costituire una concreta prospettiva evolutiva per il futuro dell’advertising e rappresentare un efficace strumento tecnologico in grado di rispondere al suo bisogno di cambiamento.
16
17
CAPITOLO 1
Breve storia dell’advertising
L’advertising contemporaneo ha mosso i primi passi all’interno di una nuova fase del proprio percorso evolutivo: le inedite possibilità comunicative introdotte dai nuovi sistemi di comunicazione online nel digital advertising, le nuove dinamiche relazionali tra i brand e i consumatori nate con l’affermazione dei social network, il programmatic advertising, il native advertising, rappresentano l’alba di un cambiamento paradigmatico nel mondo della comunicazione pubblicitaria, sempre più “data-centrica”, contestualizzata, personalizzata ed intesa come un processo interattivo che persegue obiettivi relazionali e non più come un flusso unidirezionale di contenuti diretti ad un “target di riferimento”. Tali innovazioni, tuttavia, non sono ancora sufficienti a portare a compimento la profonda evoluzione di cui l’advertising contemporaneo, secondo i principali esperti del settore, ha bisogno per poter rispondere alle istanze dei nuovi consumatori. Ma prima di illustrare le ragioni di quest’ultima affermazione e per meglio tratteggiare lo scenario dell’advertising contemporaneo e descriverne le criticità alla base del sistema di ipotesi che questa trattazione intende proporre, è necessario ripercorrere preliminarmente le fondamentali tappe evolutive della storia dell’advertising, dalle origini della pubblicità dell’età pre-moderna fino ai giorni nostri.
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
1.1 Dall’età Pre-Moderna al XIX secolo
La collocazione temporale della nascita della pubblicità risulta assai difficile da definire con esattezza. Nell’antico Egitto veniva utilizzato il papiro per la realizzazione di messaggi pubblicitari e antiche forme di “manifesti”; altre forme di affissioni pubblicitarie sono state ritrovate tra le rovine di Pompei e di molte città dell’Arabia antica, nelle quali era assai diffuso l’utilizzo, da parte di commercianti intenzionati ad attirare i clienti all’interno dei propri locali, di insegne per la segnalazione delle attività commerciali (le più antiche delle quali, ritrovate tra le rovine di Babilonia, risalgono addirittura a 5000 anni fa). A Pompei, l’intenzione di ottenere sempre maggiore visibilità da parte dei commercianti si tradusse nel frequente utilizzo di targhe sporgenti, “a bandiera”, che affiancarono le insegne parietali, dipinte o a mosaico, la cui pervasività nell’ambiente urbano indusse le autorità cittadine dell’epoca a disciplinarne l’impiego. Fig 1.1 Affresco raffigurante prodotti in vendita su un resto murario di Pompei
20
Risulta particolarmente interessante come la pratica di invadere con messaggi pubblicitari il maggior numero di punti di contatto possibili, costituisca un approccio, fondato su logiche quantitative, radicato fin dall’antichità. Per quanto riguarda i tempi antichi, ciò è facilmente spiegabile con la sostanziale mancanza di significativi strumenti di segmentazione dei pubblici di riferimento; ma è assai indicativo constatare come le logiche pervasive della comunicazione pubblicitaria caratterizzino in gran parte, ancora oggi, l’advertising contemporaneo. Ma su questo punto si porrà approfonditamente l’attenzione più avanti, proponendo una riflessione che sarà fondamentale ai fini della trattazione dell’argomento principale di questo elaborato.
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
I manifesti erano particolarmente diffusi anche nell’antica Grecia e nell’antica Roma, affiancati da pitture murarie dai contenuti commerciali; questa antica forma di comunicazione pubblicitaria è ancora oggi presente in molte parti dell’Asia, dell’Africa e del Sud America.
Fig 1.2 Johannes Gutenberg (1390-1403 circa)
Fig 1.3 Stampante a caratteri mobili di Gutenberg
Nella Cina antica la prima forma di comunicazione pubblicitaria conosciuta era orale, come riportato ne “Il Libro delle odi” (XI - XVII secolo a.C.), nel quale sono raccolti molti canti utilizzati come primordiali forme di “jingle” per la promozione dei prodotti. Particolarmente interessante è il rinvenimento di matrici bronzee per la stampa di manifesti (risalenti all’età della dinastia Song): questi, infatti, possono essere considerati la più antica forma di “pubblicità stampata”. In Europa, in età medievale, con l’espansione e lo sviluppo delle città e l’incremento delle popolazioni urbane, insegne e manifesti nell’ambiente urbano riportavano per lo più immagini simboliche e raffigurazioni contraddistinte da un forte linguaggio analogico, facilmente comprensibili dalla maggioranza del popolo, quasi totalmente privo di istruzione. In Età rinascimentale si sviluppò particolarmente la tendenza a magnificare le virtù del prodotto soprattutto per mezzo di raffinate realizzazioni pittoriche affidate alle mani di sapienti artisti. Le forme di comunicazione pubblicitaria più diffuse all’epoca erano prevalentemente quelle dei venditori ambulanti, i quali, nelle fiere e nei mercati, descrivevano ad alta voce le merci in vendita, e dei banditori che leggevano ad alta voce gli avvisi al pubblico (precursori dei moderni presentatori di messaggi radiotelevisivi). Il 1455 fu un anno fondamentale per la storia dell’umanità e segnò l’inizio dell’era moderna. L’invenzione della stampa a caratteri mobili ad opera di Johannes Gutenberg determinò la nascita della comunicazione di massa. L’aumento esponenziale del potere di riproducibilità dei mezzi di stampa consentì la rapida diffusione di molti testi letterari e la cultura penetrò in strati sociali che fino ad allora ne erano stati esclusi. Questa nuova tecnologia introdusse potenzialità comu-
21
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.4 manifesto pubblicitario per le terme di Salisbury, William Caxton, 1477
nicative rivoluzionarie, che consentirono di rivolgersi a pubblici la cui vastità, prima di allora, poteva essere difficilmente immaginata. In ambito pubblicitario, fu significativa la diffusione dei primi (in occidente) manifesti stampati con il monopolio dell’affissione del potere politico: fino all’Ottocento, infatti, i manifesti erano per lo più avvisi ufficiali. Una significativa eccezione è rappresentata dal manifesto realizzato dallo stampatore inglese William Caxton nel 1477 per promuovere le cure termali a Salisbury, considerato il primo manifesto di tipo commerciale prodotto con la moderna tecnica di stampa. Nel Seicento, grazie all’evoluzione delle tecniche di stampa, iniziarono a diffondersi nei principali paesi europei le “gazzette”, giornali ad uscita settimanale che riportavano notizie di attualità e articoli di approfondimento su diverse tematiche (dalla politica, alla scienza, alla letteratura). Insieme alle gazzette nacque la cosiddetta rèclame, una
22
forma di comunicazione pubblicitaria tra le più simili alla moderna concezione di advertising. Essa trovò inizialmente espressione nella forma di annunci inseriti tra le pagine degli stessi giornali, privi di illustrazioni e basati su un testo che ricalcava, in una certa misura, le modalità della comunicazione giornalistica. Le più antiche forme di rèclame sui giornali risalgono al 1625 e sono rappresentate dai brevi annunci pubblicitari comparsi sul settimanale inglese Mercurius Britannicus. Nel 1629 nacque a Parigi il Feuille du Bureau díadresse, un prodotto editoriale di soli annunci pubblicitari, creato con l’obiettivo di offrire a privati e società spazi promozionali a pagamento. Nel XVIII secolo la rèclame sui periodici (in particolar modo su quelli inglesi e italiani) assunse forme molto simili a quelle delle pubblicità tabellari dei giornali contemporanei. Non è un caso che questa forma di comunicazione pub-
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.5 Eldorado Music Hall, Jules Chéret, 1894
Fig 1.6 Manifesto pubblicitario per Campari, Fortunato Depero, 1931
blicitaria abbia riguardato prima di tutti l’Inghilterra: essa, infatti, diede i natali alla prima Rivoluzione Industriale, caratterizzata dalla serializzazione dei processi produttivi, un’evoluzione tecnologica che ebbe effetto anche sul mondo dell’editoria e che portò all’aumento esponenziale delle potenzialità di riproduzione dei prodotti editoriali. I periodici, data la considerevole crescita della loro diffusione, divennero mezzi assolutamente appetibili per le aziende ai fini della divulgazione di messaggi pubblicitari. Alla fine del Settecento si può già iniziare a parlare di “sistema dei media” con riferimento alla grande crescita della rete di distribuzione di libri, giornali e riviste: uno scenario precursore della società massmediale moderna. Negli ultimi anni del secolo si assistette all’atto di nascita dell’opinione pubblica, intesa come dibattito razionale, liberale e critico, animato da alcuni settori della società civile indipendentemente (e spesso contro) l’autorità statale, su argomenti di politica e di attualità. Iniziò a consolidarsi l’idea che il sistema dei media potesse rappresentare uno spazio virtuale di confronto e di incontro tra opinioni, una tematica ancora estremamente attuale al giorno d’oggi, soprattutto in riferimento alle contemporanee reti telematiche e, in particolar modo, all’affermazione di nuovi sistemi di comunicazione in rete come i social network. Se il primo medium di massa che la pubblicità ha incontrato nell’arco della sua esistenza è stato la stampa, nel 1800 essa ha conosciuto il manifesto, supporto che ne ha rappresentato la svolta, e mentre nel primo caso gli annunci erano, nel loro aspetto e linguaggio, poco curati, con i manifesti divennero veri e propri prodotti d’arte. Édouard Manet, Jules Chèret, Eugène Samuel Grasset, Henri de Toulouse Lautrec, Leonetto Cappiello, Marcello Dudovich, Umberto Boccioni, Fortunato Depero, sono solo alcuni degli artisti che negli anni, con tecniche e stili diversi, si sono dedicati al manifesto pubblicitario. Nell’800 il sistema mondiale delle comunicazioni era garantito da numerose reti di corrieri a cavallo e di navigazione fluviale e marittima. Si trattava di un servizio molto efficiente, compatibilmente con le possibilità dell’epoca. In generale, però, la diffusione delle notizie su lunghe
23
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
distanze subiva inevitabilmente abissali ritardi rispetto ad oggi in quanto, semplicemente, qualunque informazione doveva essere trasportata con il suo supporto fisico a destinazione. Lo sviluppo delle reti ferroviarie, associato alle prime applicazioni della nascente elettricità, rese possibile un nuovo grande salto qualitativo negli strumenti di comunicazione. Invenzioni come il telegrafo e il telefono, seppure non utilizzate direttamente a fini pubblicitari, introdussero nuove dinamiche comunicative e soprattutto generarono la consapevolezza della possibilità di utilizzare media che, in futuro, avrebbero consentito di superare la separazione tra il mondo dei trasporti fisici e il mondo della comunicazione, e di raggiungere, anche simultaneamente, numeri inimmaginabili di persone, potenzialmente in ogni parte del mondo. Fig 1.7 Telegrafo di George May Phelps, 1880 circa
Fig 1.8 Volney B. Palmer (1799-1864)
La portata rivoluzionaria di queste nuove tecnologie portò ad una sempre maggiore ricerca di nuovi canali per poter comunicare efficacemente e velocemente alle “masse”; la strada che avrebbe condotto alla moderna concezione della società massmediale era, in un certo senso, tracciata. È facilmente comprensibile come tale scenario fu di grande stimolo allo sviluppo del settore dell’advertising, all’espansione del suo mercato e all’innovazione tecnologica degli strumenti della comunicazione pubblicitaria. In questo contesto, nacquero e si svilupparono in molte parti del mondo quelle che possono essere considerate le precorritrici delle agenzie pubblicitarie intese nel senso moderno del termine. Nel 1840 a Philadelphia Volney B. Palmer ideò, per primo, la struttura delle moderne concessionarie pubblicitarie: egli acquistava a prezzo scontato un gran numero di spazi pubblicitari su diversi giornali, per rivenderli poi, a prezzo maggiorato, agli inserzionisti. Palmer non si occupava della progettazione delle pubblicità ma svolgeva la funzione di intermediario, di “broker”. Altre agenzie invece, come la N.W. Ayer & Sonm, nata a Philadelphia nel 1869, o Havas, fondata in Francia nel 1879, si occupavano, invece, dell’intero processo di creazione delle pubblicità, dalla creatività, alla progettazione, alla pianificazione della diffusione dei
24
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
messaggi attraverso i media. Negli ultimi anni del secolo, Thomas J.Barratt,, da alcuni definito “il padre del moderno advertising”, ha creato, per l’azienda Pears Soap, quella che può essere considerata come la prima vera e propria campagna pubblicitaria, che ha coinvolto l’utilizzo di slogan, immagini e contenuti testuali, mirati rispetto al target prescelto. Barratt è stato una figura di primaria importanza nella storia dell’advertising moderno; le sue idee, la sua sensibilità ai mutamenti culturali e tecnologici, la sua comprensione delle profonde trasformazioni sociali del suo tempo hanno incoraggiato l’evoluzione dell’advertising verso inedite dinamiche comunicative. Egli sosteneva fermamente l’importanza di una solida, efficace e strutturata immagine di marca, unica e facilmente riconoscibile dal pubblico; Barratt riteneva inoltre che in una società sempre più “massificata” fosse necessario, inoltre, prevalere sulle marche concorrenti sottolineando l’esclusività della propria offerta e puntando al predominio degli spazi pubblicitari disponibili. La conquista del maggior numero di touchpoint in un’ottica di saturazione degli spazi pubblicitari, rappresenta una concezione dell’advertising che iniziò ad affermarsi energicamente al tempo di Barratt, ma che ancora oggi costituisce un modus operandi notevolmente diffuso nel settore pubblicitario. Barratt comprese, inoltre, l’importanza di un costante studio dell’evoluzione del mercato, finalizzato a monitorare le nuove tendenze e i nuovi bisogni dei consumatori e ad adattarvi conseguentemente la progettazione pubblicitaria; nel 1907 affermò che “i gusti cambiano, le mode cambiano e l’advertising deve cambiare con essi”.
25
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
1.2 Il XX secolo e l’avvento della New Economy
Nella prima metà del XX secolo prese definitivamente forma un concetto che portò a trasformazioni epocali nella concezione dei processi comunicativi e determinò l’inizio di un nuovo paradigma nella storia della comunicazione: quello di “mass-media”, mezzi di comunicazione di massa capaci di rivolgersi a grandi pubblici e di attraversare diversi livelli culturali. La portata rivoluzionaria dell’affermazione dei mass media, che aprirono le porte di una nuova fase nel percorso evolutivo della comunicazione, rende necessario approfondire preliminarmente lo scenario tecnologico e i suoi effetti sulla società dell’epoca, al fine di contestualizzare le argomentazioni che si intende proporre circa l’evoluzione dell’advertising in quegli anni. Il primo mass-medium, inventato all’inizio del Novecento, fu la radio, proposta principalmente da Guglielmo Marconi, il quale applicò le ricerche di scienziati come Maxwell, Hertz, Edison e Volta.
Fig 1.9 Stazione Radiofonica di WEAF, 1920 circa
Questo mezzo di comunicazione introdusse una nuova modalità comunicativa, indicata con il termine broadcast: il termine è mutuato dalla terminologia agricola e corrisponde all’atto di seminare gettando i semi “a spaglio”, ovvero in modo casuale intorno a sé. La comunicazione broadcast, analogamente, “getta” il messaggio pubblicitario nell’ambiente circostante secondo una dinamica che non prevede più una relazione “punto a punto” ma “punto a molteplici contatti” (in particolar modo con la nascita delle stazioni radiofoniche). Come è stato detto, l’invenzione della stampa a caratteri mobili, il conseguente incremento esponenziale delle possibilità di riproduzione seriale dei prodotti letterari e l’incredibile sviluppo del mercato editoriale, avevano
26
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
consentito di raggiungere masse di persone che prima non avevano accesso alla letteratura, provocando uno sconvolgimento paradigmatico della civiltà dell’epoca e aprendo le porte alla nascita di una cultura “di massa”. Tuttavia, fino all’invenzione della radio, nessun mezzo di comunicazione, compresa la stampa, può essere definito un vero e proprio mass-medium: la pervasività della radio, effetto della comunicazione broadcast, infatti, la fa entrare in tutte le case, a qualsiasi ora, rivolgendosi a persone di qualsiasi estrazione sociale; il suo suono comincia a costituire il sottofondo onnipresente della vita quotidiana di milioni di persone, e ciò rappresenta una dinamica del tutto nuova nel mondo della comunicazione.
Fig 1.10 Televisore, 1948
Fig 1.11 Prima pubblicità televisiva della storia per un orologio Bulova, USA, 1941
Dalla radio, il passaggio alla televisione, il mass medium per eccellenza del XX secolo, fu quasi scontato. Già nel 1895 il cinematografo dei fratelli Lumière aveva presentato in pubblico immagini in movimento. Si trattava solo di estendere l’utilizzo dell’etere anche alle immagini. Le prime trasmissioni televisive pubbliche sperimentali ebbero inizio negli Stati Uniti e in Inghilterra nel 1929. Dopo l’interruzione dovuta alla guerra, negli anni Cinquanta, presero il via le trasmissioni pubbliche regolari. Il sistema televisivo conobbe una crescita molto rapida, potendo adottare in buona misura soluzioni e strutture già sperimentate con la radio. Se nel 1948 il 4% delle famiglie americane possedeva un apparecchio televisivo, nel 1960 la percentuale salì all’89% e analoghi trend di crescita si verificarono, con qualche anno di ritardo, anche in Europa. Con la radio e la televisione si arriva a definire il processo della comunicazione di massa come qualcosa di fondamentalmente distinto dagli altri tipi di comunicazione: la comunicazione di massa si basa normalmente su organizzazioni complesse per produrre e diffondere messaggi, “fabbricati” in modi standardizzati, diretti a pubblici molto ampi, comprendenti settori considerevolmente differenziati della popolazione, secondo modalità comunicative pervasive. In tale contesto tecnologico è facile comprendere come l’advertising si arricchisse di nuove dinamiche comunicative.
27
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Nel XIX secolo la relazione tra stampa e advertising era quasi biunivoca: il 1800 può essere considerato il secolo dei giornali e degli annunci pubblicitari stampati in quanto le aziende non disponevano sostanzialmente di altri mezzi per comunicare i propri prodotti. Con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa come radio e televisione si comprese la possibilità di utilizzare canali dalle potenzialità comunicative rivoluzionarie, sia per quanto riguarda l’utilizzo di forme espressive inedite, sia per quanta riguarda la possibilità di raggiungere audience prima inimmaginabili: la naturale conseguenza di ciò fu il grande sviluppo della pubblicità radiofonica ma, soprattutto, televisiva. Ciò in particolar modo negli Gli Stati Uniti, che, grazie alla prosperità a economica del primo ‘900, furono il Paese trainante per le maggiori evoluzioni dell’advertising.
Fig 1.12 Albert Lasker (1880 - 1952)
William M. O’barr afferma che la radio ha liberato l’advertising dall’esclusivo legame con la comunicazione visuale, attraverso la musica, “i jingle” e la parola parlata, e le agenzie pubblicitarie, inizialmente poco convinte, ben presto arrivarono a considerarla come un mezzo dalle infinite possibilità. Uno dei pionieri della pubblicità radiofonica è stato Albert Lasker. David Sloan sostiene che “grazie a Albert Lasker negli anni ‘20 la pubblicità è diventata persuasiva e pervasiva”; l’agenzia di Lasker, la Lord & Thomas, fu responsabile di molti programmi radiofonici americani, tra cui “Amos ‘n’ Andy”, uno dei più celebri. A partire dagli anni ‘20 molte stazioni radiofoniche, come le americane WEAF o AT&T, iniziarono a vendere pubblicità “a tempo” agli inserzionisti, mettendo a disposizione gli intermezzi; esse, inoltre, si offrivano di menzionare le aziende durante le trasmissioni in cambio del loro sostegno economico alla radio. Nel 1926-1927, con la nascita dei network radiofonici NBC e CBS (che anni dopo sarebbero diventati network radiotelevisivi), risultarono definitivamente chiare agli inserzionisti le grandi potenzialità del mezzo e molte agenzie pubblicitarie iniziarono a cimentarsi con la progettazione di pubblicità radiofoniche.
28
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Prima di affrontare la grande affermazione della pubblicità televisiva, che, come è stato già detto, iniziò a svilupparsi e a diffondersi, sia negli Stati Uniti che in Europa, a partire dagli anni ’50 – ‘60, è necessario approfondire un’altra di quelle che può essere considerata come una novità rivoluzionaria nel mondo della comunicazione: la nascita dei “brand” secondo la concezione contemporanea e l’affermazione del marketing. Già nel 1800 i marchi offrivano una rappresentazione sintetica dell’identità dei prodotti, ma perseguivano principalmente il semplice obiettivo di distinguere le merci dalla concorrenza. Con lo sviluppo della società massmediale e soprattutto con la diffusione della televisione e l’affermazione degli inediti scenari che questo medium aveva introdotto nel mondo della comunicazione, i marchi subirono una metamorfosi e si trasformarono in qualcosa di più: mondi semiotici, sistemi identitari dotati di una propria personalità, valori in cui riconoscersi, immaginari a cui aspirare, sogni, ideali, emozioni; in una parola: brand. La prosperità industriale del dopoguerra, e la conseguente massificazione della produzione, portò all’aumento della standardizzazione dei processi produttivi e per le aziende fu necessario trovare una nuova chiave di differenziazione della propria offerta rispetto a quella dei competitor, agli occhi dei consumatori. Negli anni ’50 aziende come Procter & Gamble, General Foods o Unilever compresero l’entità della minaccia rappresentata dalla standardizzazione della produzione industriale e il conseguente aumento della qualità dei prodotti di molti competitor; così, si munirono di reparti di brand management e si affermò la disciplina del marketing: l’analisi del mercato, dei consumatori e dei competitor, lo studio della strategia commerciale da adottare, la pianificazione della comunicazione e la “costruzione” del brand in ogni suo aspetto, divennero assolutamente fondamentali per la sopravvivenza e, possibilmente, lo sviluppo delle aziende. Negli anni ’60, si svilupparono notevolmente nuove for-
me di agenzie pubblicitarie che adottarono un approccio multidisciplinare e affiancarono all’advertising le attività di marketing e la progettazione di brand, agenzie come Landor Associates (il cui primo nucleo fu avviato già negli anni ’40), Primo Angeli Inc., Pentagram, Minale Tattersflield & Partners o XMPR, per citarne alcune. Negli anni ’70 le agenzie pubblicitarie assunsero una configurazione ulteriormente definita nei suoi contorni, e si profilarono professionalità come art director, copywriter, direttori creativi, account, responsabili di produzione, responsabili media e così via. Il presupposto fondamentale per la progettazione di un brand, allora come oggi, consisteva nella comprensione dell’identità, delle preferenze, dei bisogni, dei comportamenti, dei sogni, delle aspirazioni, dei desideri delle persone a cui ci si rivolgeva, al fine di costruire una “brand proposition” in grado di offrire loro un valore non solo funzionale, ma soprattutto emozionale. Tale evoluzione è stata efficacemente sintetizzata dalla frase “le ragioni informano, le emozioni persuadono” formulata da Marc De Swaan Arons per esprimere il passaggio, avvenuto in quegli anni, da una comunicazione informativa (volta appunto ad “informare” circa le caratteristiche del prodotto sforzandosi di motivarne la superiorità rispetto alla concorrenza) ad una comunicazione persuasiva, emozionale (volta a coinvolgere emozionalmente il target). Con il passare del tempo e l’affermazione della cosiddetta “civiltà dell’immagine”, i brand iniziarono a diventare rappresentativi di modelli culturali in cui le persone potevano identificarsi; si trasformarono in sistemi di idee, immaginari, stili di vita a cui aspirare o in cui riconoscersi, divennero simboli attraverso i quali gli individui potevano sentirsi parte di una “categoria” socio-culturale, e quindi, in un certo senso, possedere o meno un determinato prodotto significava intrinsecamente appartenere o meno a un determinato “gruppo” o a una determinata “classe”. Se oggi pensiamo a Coca Cola, Nike, McDonalds, Apple ecc., ci risulta facile associare questi brand agli immaginari che rappresentano, ma quanto appena descritto costituì
29
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.13 Team creativo di Landor Associates, 1941
Fig 1.14 Team creativo di Pentagram, 1972
un passaggio chiave per la storia dell’advertising, e le potenzialità del mezzo televisivo offrirono un contributo assai importante a questa nuova concezione di una comunicazione pubblicitaria essenzialmente emotiva: la potenzialità espressiva, il potere evocativo, la capacità di impatto e di coinvolgimento della pubblicità televisiva, che rispetto alle pubblicità sugli altri media poteva godere di una libertà creativa senza precedenti, giocò un ruolo fondamentale nella costruzione di immaginari e modelli aspirazionali per i consumatori; gli impavidi, fascinosi e audaci cowboy delle pubblicità per le sigarette Marlboro, o le femme fatale di molte pubblicità per marche di profumi come Chanel o Enjoli ne sono perfetti esempi. Con il contributo della televisione, che divenne il “mass medium” per eccellenza grazie alla sua potenzialità espressiva combinata con la vastissima audience conseguente alla rapida diffusione del mezzo, negli anni ’80 la pubblicità entrò di diritto nello star system, i grandi brand si affermarono in tutto il mondo con campagne di comunicazione globali, la comunicazione di massa impose un registro iperbolico, che mosse produzioni e budget rilevanti. I pubblicitari perfezionarono le tecniche di persuasione: si servirono di figure retoriche, mezzi e risorse in grado di generare bisogni ed entrare nelle case di milioni di persone con modelli di riferimento ed utilizzarono la pubblicità come lo strumento di costruzione di un mondo perfetto e patinato. Nell’opulenza della spinta economica mondiale, i messaggi pubblicitari, negli anni successivi, affollarono sempre più la televisione, i giornali, i muri delle città. La necessità di emergere agli occhi del pubblico per i brand si tradusse spesso nella ricerca di soluzioni creative grazie alle quali potersi distinguere, ma ancora più spesso in ingenti spese per l’acquisto del maggior numero di spazi possibili al fine di essere visti con più frequenza. Le pubblicità hanno iniziato ad essere “confezionate a tavolino” sulla base dei target di riferimento, dei cluster-sociodemografici a cui rivolgersi. La cultura del brand aveva preso definitivamente il sopravvento, e i termini “pervasività” “e “frequenza” rappresentavano le parole chiave delle modalità comunicative della pubblicità di quegli anni.
30
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.15 New York City, 1975
31
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Modalità che caratterizzano ancora in maggior misura l’advertising contemporaneo. Il periodo compreso tra la fine degli anni ‘80 e il 2000 vide l’affermazione della New Economy, termine formulato per la prima volta dall’economista canadese Nvala Beck nel 1987, (sebbene si sia cominciato a parlare diffusamente di New Economy solo nel 1997, grazie a un’inchiesta del giornalista Kevin Kelly sulla rivista americana Wired). L’espressione New Economy fu coniata per descrivere gli enormi cambiamenti economici e strutturali di quegli anni conseguenti all’evoluzione e alla crescente diffusione delle tecnologie informatiche. La New Economy rappresenta un evento di rottura rispetto all’evoluzione storica del fatti economici e tecnologici del passato: lo sviluppo e la diffusione di internet ha rappresentato una profonda rivoluzione estesa a livello globale, nel mondo della comunicazione, così come in ogni altro settore, e
Fig 1.16 Pubblicità televisiva per Marlboro, 1971
32
ha trasformato per sempre, profondamente, la vita delle persone, la loro quotidianità, tanto la loro dimensione professionale, il loro modo di lavorare, di studiare, quanto quella privata, il loro modo di relazionarsi, di dialogare, di interagire, si socializzare, di conoscere il mondo. Benché la sua diffusione risalga all’ultimo periodo, la storia di internet ha radici addirittura nel 1969, quando la prima rete telematica, Arpanet, raggruppava quattro laboratori in altrettanti centri universitari statunitensi. Alcune caratteristiche di Arpanet furono riprese successivamente da Internet (tra di esse, ad esempio, l’architettura policefala, ossia l’assenza di un nodo principale nella rete informatica). Negli anni ‘70 si iniziò ad utilizzare il termine Internet (inter-networking) e nel 1971 fu sviluppato il prima sistema di posta elettronica. Nel 1986 Nsfnet prese il posto di Arpanet, e quando nel 1991 Nsf tolse le restrizioni sull’uso commerciale della
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
rete, a Ginervra vennero elaborati i fondamenti del world wide web. A partire dagli anni ’90 la diffusione del mezzo è stato quanto mai rapida, grazie anche alle varie tecnologie di connessione, quali ADSL, Banda Larga e Fibre Ottiche. Gli utenti di internet che nel 1986 erano appena 5.000, ora sono circa 3 milardi e mezzo; con la New Economy il mondo è diventato globale, la sua irruzione è divenuta il momento fondante della globalizzazione, rendendola specifica e distinta da ogni precedente processo d’internazionalizzazione. A partire dagli anni ’90 Internet, al fianco della televisione, tutt’altro che prossima al tramonto, divenne progressivamente il medium centrale nel panorama massmediatico ed introdusse dinamiche innovative e rivoluzionarie nel mondo della comunicazione, costituendo una spinta propulsiva fondamentale per la globalizzazione. Internet rappresenta uno spartiacque nella storia della comunicazione: dopo la nascita del web, la stessa concezione del termine “comunicazione” sarebbe stata destinata a subire un’irreversibile trasformazione, arricchendosi di nuovi significati.
Fig 1.17 Pubblicità del computer ISC Intercolor 3621, 1979
La possibilità di servirsi di una rete informatica globale, dell’interattività, di una dimensione virtuale fatta di interconnessioni e processi comunicativi in incessante sviluppo, di uno strumento di comunicazione sempre più immediato, capillare, evoluto e che integra costantemente nuove potenzialità, rappresentarono ragioni a partire dalle quali risulta facile comprendere perché l’advertising, dagli anni ‘90, avesse intrapreso un processo di crescente digitalizzazione, sfruttando le potenzialità del web, diffondendosi sempre più nella rete e affinando nuovi strumenti e nuove forme di comunicazione.
33
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
1.3 L’evoluzione dell’advertising online
Il 27 ottobre del 1994 l’advertising inaugurò il suo lungo e articolato percorso nel mondo della rete con il primo banner pubblicitario apparso sul web: un testo dai colori kitsch recitava “Have you ever clicked your mouse right here? You will”. Questo annuncio apparve su HotWired (web magazine che faceva riferimento alla nota rivista Wired) il primo magazine online, nonché il primo sito internet ad ospitare un’inserzione pubblicitaria. “L’era del display advertising”, da quel momento, si sarebbe imposta nel panorama della pubblicità online.
telefonica statunitense AT&T, che pagò 30.000 dollari per un’inserzione della durata di tre mesi.
HotWired aveva messo a disposizione “porzioni” del sito da vendere agli inserzionisti, traslando su internet le modalità di vendita e acquisto degli spazi pubblicitari tipiche delle riviste cartacee: l’acquisto di questi spazi, denominati per l’appunto “banner”, prevedeva un costo iniziale fisso per una durata prestabilita dell’inserzione (una modalità assai diversa dall’attuale pay-per-click). Il banner sopra citato era una pubblicità della compagnia
A partire da quell’iniziativa, i banner pubblicitari iniziarono ad imperversare sulla rete e a saturare sempre più i siti web: gli inserzionisti erano fomentati dai bilanci notevolmente positivi delle prime esperienze e i proprietari dei siti utilizzarono questo meccanismo per garantire agli utenti la possibilità di fruire i contenuti gratuitamente, potendo sostenere i costi necessari al loro mantenimento grazie ai profitti generati dalla vendita degli spazi. Non
Fig. 1.18 Primo banner pubblicitario della storia, su HotWired, 1994
34
Il bilancio per l’iniziativa fu assolutamente positivo: l’idea aveva funzionato e l’annuncio poté godere di una percentuale di click-through del 44%, un numero che lascerebbe a dir poco increduli gli inserzionisti di oggi: per chiarire il livello di sproporzione tra ieri e oggi, si pensi che mediamente la quota attuale di click-through sui banner si aggira intorno allo 0,06%.
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
passò molto tempo prima che altre società web, come Time Inc. e CMP’s Tech Web si adoperarono nella ricerca di inserzionisti per il finanziamento dei loro siti. L’approccio quantitativo al posizionamento dei banner sui siti venne definito “spray and pray”, per indicare la tendenza a saturare gli spazi disponibili, “pregando” affinché, tra i tanti, fosse possibile “colpire” i giusti destinatari dei propri messaggi. I primi anni novanta videro anche lo sviluppo dell’email marketing, una tipologia di direct marketing che si serve della posta elettronica per comunicare messaggi commerciali al pubblico. Nonostante sia possibile riconoscere a questo tipo di comunicazione alcuni significativi vantaggi (come la possibilità di inviare messaggi mirati sulla base dei dati demografici, a costi irrisori rispetto ad altri canali e con risultati facilmente verificabili) e nonostante, rispetto agli invii massivi dei primi anni, oggi ci si stia concentrando sempre più sulla qualità del contatto (con una profilazione delle utenze in miglioramento e una maggiore cura della customer satisfaction). L’utilizzo sovrabbondante di comunicazioni elettroniche da parte delle società commerciali, ha causato fenomeni di rigetto da parte degli utenti, tanto da aumentare drasticamente i fenomeni di posta indesiderata (spam). Nel 1995, con la crescente popolarità dei banner pubblicitari, gli inserzionisti si mostrarono sempre più interessati alla possibilità di posizionare gli annunci in base alle caratteristiche demografiche degli utenti, piuttosto che puntare sul semplice acquisto del maggior numero di spazi possibili nella speranza di essere visti dalle persone “in target”; ciò condusse all’inizio del “targeted ad placement”, il posizionamento di annunci mirati. WebConnect, un’agenzia pubblicitaria specializzata nell’advertising online, iniziò a svolgere attività di consulenza, aiutando i propri clienti ad identificare i siti più visitati dai loro “consumatori ideali”: le aziende ebbero la possibilità di posizionare gli annunci dove sarebbero stati visti
dai propri target con maggiore probabilità; ciò costituì un notevole passo avanti nell’evoluzione dell’advertising online: non solo le aziende riuscirono ad ottenere audience più consistenti, ma i siti che ospitavano i loro annunci furono anche in grado di mostrare banner più coerenti con il profilo dei visitatori. WebConnect introdusse, inoltre, il tool CustomView; la diffusione dei banner pubblicitari, nel giro di soli due anni si era già trasformata, infatti, in affollamento pubblicitario e si iniziò a considerare l’opportunità di sviluppare dei sistemi di limitazione della pervasività degli annunci, al fine di evitare la cosiddetta “banner fatigue”, ossia il fastidio generato dalla loro sovraesposizione. CostumView pose un limite al numero di volte che un annuncio poteva essere mostrato ad uno stesso utente, un limite superato il quale al posto di quel determinato annuncio veniva visualizzato un altro contenuto pubblicitario. Tuttavia strumenti come il CustomView non furono altro che un tentativo marginale di limitare lo spam dell’advertising online, che continuava ad affollare le pagine dei siti internet. Nel 1996 l’introduzione di alcuni strumenti per il monitoraggio del ROI iniziarono a rassicurare gli inserzionisti circa la possibilità di valutare l’efficacia degli annunci; in un ambiente sempre più affollato e confusionario era necessario riuscire a misurare i risultati relativi alle interazioni degli utenti, al fine di gestire in modo più efficiente il posizionamento delle pubblicità sui siti. DART (Dynamic Advertising Reporting & Targeting) era un servizio del tool Double Click, uno dei primi strumenti di misurazione del ROI per le campagne pubblicitarie sotto forma di banner. Esso consentiva di rilevare il numero di visualizzazioni e di click-through di un annuncio pubblicitario su molteplici siti internet. La caratteristica più importante di DART consisteva nella possibilità di monitorare le performance delle inserzioni ed eventualmente apportare modifiche ad una campagna attiva: precedentemente era necessario attendere il
35
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
completamento del ciclo di vita di una campagna, prima di poter analizzare i risultati ed ottimizzare le performance dei successivi banner (di conseguenza, anche a fronte di scarse performance di una campagna pubblicitaria, si era costretti ad attenderne il termine prima di poter intervenire e adottare misure correttive per le successive inserzioni). In conseguenza delle potenzialità del Doubleclik, fu possibile passare al modello di princing Cost per Impression (CPM): se precedentemente gli annunci avevano un costo fisso proporzionale ad una predeterminata durata dell’in-
Fig. 1.19 Pop-up spam
36
serzione, grazie a Doubleclick si passò ad un modello di pricing basato sulla misurazione del ROI per le campagne. Gli strumenti informatici appena descritti, sebbene abbiano offerto un contributo a cui va riconosciuta una certa importanza (soprattutto contestualmente agli anni in cui vennero sviluppati) nel tentativo di contenere l’affollamento pubblicitario in rete e di consentire agli inserzionisti una migliore misurazione delle performance delle campagne, non riuscirono a rappresentare un fattore di traino sufficiente a portare l’advertising verso dinamiche comunicative che non prevedessero modalità pervasive.
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.20 Doubleclick interface
37
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
In sostanza, la pervasività dell’advertising online era stata moderatamente contenuta, in una qualche misura gestita, ma non “debellata”, e le logiche comunicative prevalenti continuarono ad essere quelle tipiche dell’advertising tradizionale. A conferma di quanto appena detto, l’anno successivo, nel 1997, ebbe larga diffusione quella che può essere considerata una delle forme di advertising maggiormente pervasive ed interruttive: i pop-up, elementi dell’interfaccia grafica, quali finestre o riquadri, che compaiono automaticamente durante la navigazione su un sito e che solitamente richiedono l’intervento dell’utente per essere chiusi. Questa forma di pubblicità online non gode oggi di una buona reputazione, tanto da essere definita “il peccato originale di internet” e “la tecnica pubblicitaria più odiata”, tanto che uno dei suoi originali sviluppatori espresse pubblicamente il suo rammarico per averne creato il codice. Tuttavia questo tipo di annunci, tanto vituperato, occupa indiscutibilmente un posto di primo piano nella storia della pubblicità online. La creazione del codice che consente agli annunci popup di apparire in una nuova finestra del browser durante la navigazione su un sito viene attribuita a Ethan Zuckerman, programmatore web che successivamente sarebbe diventato uno degli sviluppatori di Tripod.com. Zuckerman giustificò la creazione dei pop-up affermando che l’intenzione alla base del loro sviluppo era quella di poter inserire annunci secondo una modalità che non implicasse la loro integrazione nelle pagine, in quanto la loro collocazione all’interno dei layout destava l’apprensione da parte delle società pubblicizzate, preoccupate che ciò potesse determinare un’associazione troppo diretta tra i brand e il sito internet ospitante. Dapprima i pop-up, a fronte della cospicua diminuzione dei click sui banner pubblicitari alla fine degli anni ’90, sembravano rappresentare un’alternativa in grado di “salvare” il digital advertising dall’inefficacia, sempre più evidente, delle precedenti forme di pubblicità online e da un generale e crescente livello di disattenzione e insensibilità da parte degli utenti nei loro confronti.
38
Tuttavia, non trascorse molto tempo prima che gli utenti esprimessero la propria insofferenza nei confronti di questo tipo di pubblicità: i pop-up risultavano invadenti, facevano perdere tempo, il più delle volte mostravano contenuti irrilevanti e non interessanti per gli utenti, in quanto incoerenti con la tipologia di contenuti dei siti internet ospitanti e, di conseguenza, interrompevano la fruizione degli stessi da parte dei visitatori. Un ulteriore punto debole dei pop-up consisteva nell’impossibilità di tradurli in ROI concretamente misurabili. L’inefficacia dei pop-up viene, infine, testimoniata dal fatto che nei primi anni 2000 molti browser integrassero funzioni di pop-up blocking. L’apparente prevalenza di caratteristiche negative rispetto ai contributi positivi di questo tipo di pubblicità non implicò, tuttavia, il suo abbandono, tanto che, mentre l’uso dei banner pubblicitari risulta oggi notevolmente ridotto, i pop-up sono ancora piuttosto comuni e rappresentano ancora una questione decisamente controversa per l’advertising online. Negli anni dal 1999 al 2002 il web si espanse rapidamente e gli utenti sentirono il bisogno di nuovi strumenti e nuove modalità di navigazione in rete. Con l’evoluzione delle tecnologie di navigazione e l’ascesa dei motori di ricerca, si comprese la possibilità di creare pubblicità mirate sulla base dell’analisi dei percorsi di navigazione degli utenti: il “search advertising” si sarebbe da lì a poco affermato come la nuova frontiera del digital advertising. Nel 1999, GoTo.com, un motore di ricerca emergente, poi acquistato da Yahoo, introdusse il primo servizio “pay-for-placement”: le aziende pagavano per comparire tra i primi risultati dei motori di ricerca, sulla base di un criterio di pertinenza alle parole chiave associate alle ricerche. Ciò consentiva di presentare agli utenti dei contenuti coerenti con i loro interessi contestuali. Inoltre i profitti derivanti dalla vendita delle “posizioni” per gli annunci all’interno delle indicizzazioni dei motori di ricerca consentivano a questi ultimi di sostenere agilmente i costi per il proprio mantenimento. Il modello pay-for-placement si evolse in quello del
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.21 Google Adwords interface
“pay-per-click”. Con questo modello le aziende pagavano, sulla base di un “costo per click” (che poteva essere per esempio di $1), per la propria esposizione trai i primi risultati nell’indicizzazione dei motori di ricerca. Poiché il costo per click corrispondeva ad un’offerta da parte delle stesse aziende, ne conseguì che i risultati dei motori di ricerca furono in gran parte condizionati da quanto le singole aziende erano disposte a pagare: i contenuti corrispondenti alle offerte migliori (in termini meramente monetari) da parte degli inserzionisti godevano di una migliore indicizzazione ed erano pertanto posizionati tra i primi risultati della ricerca, molto spesso anche prima di risultati effettivamente più rilevanti rispetto alla tipologia di ricerca in questione. Ciò rappresentò il maggiore oggetto di contestazione di questa modalità pubblicitaria, in quanto non era chiaro quali risultati godevano della propria posizione in virtù
dell’acquisto di quest’ultima e quali facevano organicamente parte dell’indicizzazione compiuta secondo criteri di effettiva rilevanza. La user experience risentiva notevolmente della mancanza di trasparenza nel placement dei risultati, ma un emergente motore di ricerca, di lì a poco, si propose di risolvere il problema: il suo nome era Google, il motore di ricerca, sinonimo di genialità creativa ed avanguardia tecnologica, che avrebbe introdotto le novità informatiche più sconvolgenti del XXI secolo. Google, infatti, nel 2000 introdusse AdWords, inizialmente con un modello pay-for-placement. L’obiettivo che Google si pose con AdWords era quello di dare forma a ricerche sponsorizzate che generassero profitti, senza compromettere la qualità e la rilevanza dei risultati di ricerca.
39
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
A differenza dei modelli paid search come GoTo.com, che si basavano su un’indicizzazione condizionata dalle offerte degli inserzionisti per il posizionamento dei propri contenuti tra i primi risultati, AdWords introdusse un modello Quality Score (tutt’ora utilizzato) che operava una misurazione del numero di clickthrough per ogni risultato, sulla base della quale determinava l’indicizzazione: in questo modo i risultati effettivamente più rilevanti potevano comunque godere di una posizione migliore rispetto a quelli, “posizionati a pagamento”, che erano però meno coerenti rispetto alla ricerca effettuata. L’importanza dei motori di ricerca nell’ambito del marketing aziendale avrebbe inoltre dato luogo, nel tempo, allo sviluppo delle attività di SEO (Search Engine Optimization): il SEO si riferisce alla creazione (o la modifica) ottimale di un sito internet allo scopo di acquisire una maggiore probabilità che esso compaia tra i primi risultati dei motori di ricerca. Le attività di SEO possono essere della tipologia on-site, inerenti alla struttura e ai contenuti del sito e a come questi vengono comunicati ai software che i motori di ricerca utilizzano per analizzare e valutare la popolarità di un sito, o della tipologia off-site, legate all’aumento della link popularity (la sua popolarità, valutata sulla base del traffico medio sul sito e dal numero di altri siti e blog autorevoli ed affidabili dai quali è linkato). L’affermazione dei social media ha generato delle opportunità inedite, di portata quasi rivoluzionaria, per l’advertising online: con la diffusione di massa dei social network avvenuta a metà degli anni 2000, la necessità di integrare i contenuti pubblicitari in un modo efficace ma al contempo non intrusivo ha prodotto considerevoli passi avanti. L’obiettivo degli inserzionisti era quello di raggiungere gli utenti più giovani del web, sempre più insensibili ai banner pubblicitari (tanto che oggi viene spesso utilizzata l’espressione “banner blindness” in riferimento alla “cecità” degli utenti ai banner), addentro ai meccanismi della rete e immersi nelle dinamiche comunicative dei social network, destinati, quest’ultimi, a trasformarsi nel loro habitat prescelto. Inizialmente Facebook, attualmente il più celebre e
40
grande social network per numero di iscritti (che oggi arrivano quasi a 2 miliardi), rifiutò di ospitare sulla propria piattaforma contenuti pubblicitari, ma a partire dal 2006 iniziò a lavorare con gli inserzionisti per incrementare i profitti della giovane azienda che allora rappresentava. La prima forma di advertising su Facebook era costituita da piccole pubblicità display e da link sponsorizzati; tuttavia, la direzione che presto intraprese, e che tutt’ora mantiene, fu quella di gestire pubblicità mirate sulla base degli interessi e dei profili demografici degli utenti, analizzando post, conversazioni, dati rilasciati dagli iscritti, informazioni recuperabili dai profili, ecc. Nel 2014 il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg affermò pubblicamente: «La nostra strategia non consiste nell’incremento del volume della pubblicità, ma nell’incremento della qualità dei contenuti e della qualità del targeting, al fine di proporre “i contenuti giusti alle persone giuste”». Quanto affermato da Zuckerberg dimostra chiaramente la comprensione da parte di quest’ultimo della necessità di muoversi sempre di più in direzione di un’effettiva rilevanza dei contenuti per le persone, anziché perseverare con l’approccio pervasivo e con la saturazione degli spazi con grandi volumi pubblicitari, e dimostra inoltre di comprendere che i social media possono rappresentare uno strumento efficace a concretizzare tale intento. L’opportunità offerta dalle potenzialità dei social media rispetto alla possibilità di strutturare una comunicazione pubblicitaria più mirata e modellata sulle specifiche caratteristiche degli utenti ha rappresentato un’intuizione anche da parte di altri social media, come Twitter, YouTube, Google+, i quali hanno compiuto apprezzabili sforzi per dare vita ad un advertising meno aggressivo e impersonale. Oltre che a consentire una conoscenza diretta, più dettagliata e più personalizzata del proprio target, i social network hanno aperto le porte a una “nuova comunicazione”, in cui il processo comunicativo unidirezionale tipico dei media tradizionali ha lasciato sempre più il
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
posto a concetti come “conversazione”, “interconnessione”, “relazione”, “condivisione”. Ciò ha rappresentato un’evoluzione di enorme portata per l’advertising: i social network hanno scardinato i “dogmi” della pubblicità tradizionale e l’hanno sottoposta ad una trasformazione possibile solo attraverso l’assunzione di nuove logiche. L’advertising ha dovuto prima di tutto comprendere queste logiche e successivamente mettersi in discussione, mettersi in gioco, all’interno di un nuovo scenario in cui il potere non era più esclusivamente nelle sue mani ma era di fatto migrato nelle mani degli utenti. L’incontro tra l’advertising e i social network ha condotto a dinamiche del tutto inedite nel mondo della comunicazione pubblicitaria, come ad esempio lo user generated marketing, la collaborazione con influencer, le digital pr, il real time marketing (affrontate più nel dettaglio nel prossimo paragrafo). Queste nuove dinamiche, che erano state parzialmente precedute, fin dai primi anni della cosiddetta “era della New Economy”, da altri strumenti (espressione delle nuove potenzialità della rete rispetto all’advertising tradizionale) come Custom View, Double Clik, il search advertising con AdWords e il Quality Score, rappresentano i primi timidi segnali di un potenziale cambiamento paradigmatico nel mondo dell’advertising, un cambiamento che non è ancora in possesso delle “giuste leve” che gli consentirebbero di concretizzarsi e determinare un autentico salto evolutivo. Ma prima di affrontare questo argomento, che rappresenterà la conclusione di questo primo capitolo, è necessario parlare della contemporaneità, dello scenario attuale del mondo dell’advertising, al fine di entrare in possesso di tutti gli strumenti necessari a proporre l’argomentazione conclusiva di questa prima parte, nonché una delle argomentazioni fondamentali alla base della tesi.
41
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
1.4 Lo scenario contemporaneo
Come è stato detto nel precedente paragrafo, con l’avvento delle tecnologie informatiche lo scenario globale dell’advertising ha subito grandi trasformazioni. Le innovative potenzialità dei nuovi media digitali hanno creato le condizioni per il notevole sviluppo di nuovi sistemi di comunicazione e di nuove tecnologie di analisi del mercato e dei pubblici di riferimento; di conseguenza, gli sforzi maggiori e le principali attività di ricerca in questi anni si sono prevalentemente concentrate nel settore dell’advertising online, che ha assistito, e sta tuttora assistendo, ad una notevole crescita. Questo ha fatto sì che le novità prodotte all’interno del campo dell’advertising cosiddetto “tradizionale” non abbiano avuto peso altrettanto significativo e non siano state in grado di introdurre innovazioni di eguale portata. Secondo un’indagine condotta nel 2016 da Accenture (celebre multinazionale statunitense di consulenza e di direzione strategica, servizi tecnologici e outsourcing), l’advertising online ricopre oggi un ruolo di primaria importanza nelle strategie di marketing di molte aziende (che attualmente, per quanto riguarda i piani media, consistono principalmente nel mix di media tradizionali e digitali): mediamente, la quota del budget per l’acquisto di inventory (spazi pubblicitari online) stanziata dai buyers per il digital advertising (search e display) e per il mobile advertising eguaglia gli investimenti destinati alla pubblicità televisiva e supera notevolmente quelli relativi agli altri media; inoltre, la maggior parte degli inserzionisti dichiara di prevedere per il prossimo futuro un ulteriore incremento degli investimenti per l’advertising online, stimato, nell’arco di due anni, oltre il 60% degli investimenti pubblicitari totali. In tale scenario, risulta facile comprendere come la possibilità di innescare un sostanziale processo evolutivo
42
nell’advertising risieda essenzialmente nelle rivoluzionarie potenzialità e nelle inedite dinamiche comunicative a cui le tecnologie informatiche hanno aperto le porte, e rispetto alle quali lo stesso concetto di “rete” ha rappresentato il motore primario e fondamentale. Le innovazioni nel digital advertising possono rappresentare il traino per l’intero settore verso una nuova fase del proprio percorso evolutivo: nell’attuale era della Cultura Convergente (termine coniato da Henry Jerkins per definire la crescente convergenza mediale che caratterizza sempre più radicalmente la società contemporanea), nonché era della comunicazione crossmediale, le evoluzioni del digital advertising possono avere effetto sull’intero ecosistema del mondo della comunicazione. Tuttavia è necessario specificare che allo stato attuale le innovazioni nel campo digitale, per quanto abbiano spesso costituito il punto di partenza per lo sviluppo di attività pubblicitarie declinabili su più mezzi di comunicazione e abbiano determinato una sensibile ridistribuzione del budgt pubblicitario all’interno dei piani media aziendali, nella maggior parte dei casi non intaccano direttamente le modalità di fruizione dell’advertising sugli altri media, che, con alcune eccezioni, rimangono tuttora prevalentemente uguali al passato. Le nuove tecnologie, però, esprimono un potenziale evolutivo latente rispetto al quale si rende sempre più necessaria l’individuazione di una strada che conduca alla sua concretizzazione e pertanto, in tale contesto, non solo è necessario, per non dire urgente, mettere in discussione le logiche che sono state finora predominanti nel mondo della pubblicità, ma risulta altrettanto necessario considerare le innovazioni delle tecnologie informatiche come un essenziale motore evolutivo, e la rete, come il concetto
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
in cui risiede la chiave per poter portare l’intero settore dell’advertising fuori dalla crisi che, come vedremo approfonditamente all’inizio del secondo capitolo, sta, ormai da tempo, vivendo. Nonostante banner pubblicitari e pop-up rappresentino ancora oggi, come è stato detto, una presenza ingombrante, fastidiosamente interruttiva e assolutamente pervasiva nel web (tanto che, oltre all’integrazione di programmi di pop-up blocking nei browser, si sta attualmente incrementando l’acquisto di ad blocker da parte degli utenti) l’advertising online, d’altro canto, sta anche compiendo alcuni rilevanti passi avanti. Le principali innovazioni del digital advertising contemporaneo si stanno muovendo prevalentemente in direzione di una comunicazione “data-centrica”, che si serve di nuovi sistemi di rilevazione dei dati, di più evoluti e sofisticati algoritmi dei diversi network e, in generale, delle nuove tecnologie informatiche, per dare forma ad una pubblicità più diretta e mirata sul singolo utente. L’evoluzione della pubblicità online riguarda sempre più contenuti personalizzati sulla base dell’analisi dei percorsi di navigazione delle persone, grazie ad esempio all’utilizzo dei cookie (file di informazioni che i siti web memorizzano sul computer dell’utente durante la navigazione, allo scopo di identificare chi ha già visitato il sito in precedenza), delle loro interazioni e dei loro movimenti sul web, delle loro attività sui social network e in generale, dei dati che vengono generati dalle loro attività in rete, proseguendo di fatto nel perseguimento degli obiettivi che, fin dai primi anni ’90, già avevano rappresentato la finalità principale di tecnologie come Double Click o Adwords. La raccolta, la sistematizzazione e l’interpretazione di questi dati non ha eliminato le indagini di mercato e i precedenti sistemi di profilazione dei consumatori relativi ai media tradizionali, ma ha rappresentato la possibilità di aggiungere alle informazioni rilevate con i sistemi tradizionali nuove informazioni in grado di restituire una visione più completa e approfondita delle preferenze, degli interessi e delle necessità dei consumatori.
Nel precedente paragrafo, l’ultimo argomento trattato in relazione all’evoluzione dell’advertising online ha riguardato la pubblicità sui social network e le innovative dinamiche comunicative e relazionali che essi hanno, fin dalla loro nascita, messo in gioco. Ma prima di approfondire le evoluzioni della comunicazione pubblicitaria attraverso i social network e il modo in cui questi ultimi hanno rivoluzionato le relazioni tra i brand e il pubblico, è necessario introdurre un’altra delle grandi novità degli ultimi anni: il mobile advertising. Nonostante il mobile advertising abbia di fatto origini lontane di non pochi anni dalla contemporaneità, la scelta di inserirlo in questo paragrafo relativo ai più recenti sviluppi della comunicazione pubblicitaria, e non nel precedente, è dovuto essenzialmente al seguente motivo: il mobile advertising, prima della diffusione dei nuovi devices come smartphone e pad (nonché, anche se considerevolmente meno diffusi, smartwaches) nonché, in generale, prima della diffusione di dispositivi dotati della possibilità di connettersi alla rete, si basava esclusivamente sull’invio di SMS ed MMS con contenuti pubblicitari per lo più testuali. Ciò, oltre a determinare l’impossibilità di inserire questa prima fase del mobile advertising nell’ambito dell’advertising online, risulta poco rilevante ai fini della trattazione, essendo intenzionati, in questa sede, ad approfondire le innovazioni della comunicazione pubblicitaria dei nostri giorni e non essendo di certo i messaggi pubblicitari via SMS o MMS sui telefoni cellulari definibili come tali. Al contrario, essendo il mobile advertising su dispositivi portatili connessi alla rete, come gli smartphone, di maggiore interesse ai fini della trattazione, nonché in via di sviluppo nella contemporaneità, sarà utile ripercorrerne molto brevemente l’evoluzione negli ultimi anni, al fine di fornire una base sulla quale poter sviluppare le argomentazioni inerenti ai giorni nostri e le evoluzioni future che si prospettano. Il 2007 è stato un anno assai importante per il mobile advertising: l’inaugurazione commerciale del primo iPho-
43
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Lo smartphone, infatti, rappresenta il primo “smart object” diffuso tra la popolazione in tutto il mondo dopo il personal computer, ossia il primo oggetto diverso dal pc capace di connettersi alla rete internet.
Fig 1.22 Evoluzione dei telefoni cellulari: dal semplice mobile phone allo smartphone
ne ha rappresentato un punto di svolta sia per l’industria della telefonia mobile, sia per l’industria pubblicitaria, nonché in generale per l’intera società. Nonostante l’iPhone non sia stato il primo smartphone (lo hanno preceduto, infatti, modelli come iPalm OS o Blackberry), le innovazioni tecnologiche degli smartphone Apple hanno rivoluzionato il settore; gli iPhone hanno introdotto funzionalità volte non soltanto al miglioramento della vita professionale delle persone ma anche al loro intrattenimento nel tempo libero. A partire da quell’anno, la successiva smisurata diffusione degli smartphone, conseguente al rapido calo del loro prezzo, ha prodotto profondi mutamenti nel mondo della comunicazione e nella società, ha rivoluzionato in modo sostanziale le relazioni interpersonali, il costume, la vita professionale e personale degli individui, ha introdotto nuove e diverse forme di intrattenimento, rappresentando un fenomeno di cruciale importanza, di portata sociologica e a livello globale.
44
La diffusione degli smartphone ha significato per le persone la possibilità di servirsi di un dispositivo tascabile attraverso il quale poter essere continuamente connessi e utilizzare pattern di servizi personalizzati grazie ai quali poter facilitare la propria vita quotidiana (soprattutto con la diffusione delle app) ha favorito nuove forme di socialità (in particolar modo scaturite dal binomio smartphone-social media); inoltre ha promosso lo studio di nuove forme di interazione IUM che prevedono comandi tattili effettuati su schermi touch (divenuti patrimonio comune a tal punto da aver assunto quasi valore linguistico), ed è diventato praticamente un “simbionte” dell’uomo contemporaneo, che lo considera uno strumento ormai irrinunciabile. Per quanto riguarda l’advertising, lo smartphone ha moltiplicato le occasioni di comunicazione con gli utenti e ha introdotto dinamiche del tutto inedite che fanno leva su elementi quali nuove forme di interattività, l’interconnessione, la geo-localizzazione, per sviluppare messaggi capillari, puntuali e con considerevoli capacità di engagement. Il mobile advertising, per quanto riguarda gli smartphone, ha ancora infinite possibilità da offrire rispetto a quelle esplorate finora ed ha aperto a soluzioni innovative (ed assai promettenti) dopo un intenso percorso evolutivo, all’origine del quale la situazione appariva decisamente diversa. I primi esempi di mobile advertising su smartphone, infatti, riguardavano digital ad il più delle volte mal progettati, la cui user experience risultava tutt’atro che “smart”, per non dire fastidiosa: questo perché le pubblicità su mobile non erano altro che le pubblicità per browser desktop riformattate per l’uso su mobile, senza considerare il redesign del formato (la progettazione di layout responsive sarebbe stata introdotta più tardi).
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Con l’arrivo dell’iPhone 3G, nel 2008, venne introdotto l’App Store, che consentiva agli utenti di utilizzare applicazioni apposite per l’utilizzo di servizi web su dispositivi mobile, al posto della navigazione sui browser tipica dei devices desktop come i personal computer. Quando negli smartphone vennero inclusi i giochi interattivi e la tecnologia GPS, il mobile advertising iniziò a servirsi di tali funzionalità per dare vita a una user experience dotata di maggiore attrattività e coinvolgimento. Negli anni successivi, le app hanno avuto un enorme sviluppo e rappresentano tuttora una delle innovazioni più importanti e lungimiranti delle nuove tecnologie informatiche; grazie ad esse era, ed è tuttora, possibile scegliere servizi, giochi e programmi di qualsiasi genere personalizzati sulla base delle proprie preferenze: ciò rappresenta una logica significativamente innovativa di utilizzo della rete, in cui la personalizzazione prende il posto della ricerca e dell’’”esplorazione” del web tramite i motori di ricerca.
Nel 2010 il settore mobile ebbe una notevole crescita, dovuta anche all’esordio sul mercato del primo iPad. Nel 2012 gli smartphone si diffusero a macchia d’olio e la tecnologia mobile fece grandi passi avanti; di conseguenza, il mobile advertising ha dovuto rinnovarsi ed evolversi piuttosto rapidamente. Dal 2014 è diventata sempre più chiara l’opportunità rappresentata dallo sviluppo e dalla diffusione delle applicazioni per il mobile advertising: il tempo trascorso dagli utenti sulle applicazioni (come i giochi o le applicazioni dei social media) era, infatti, in continua crescita, tant’è che nel 2015 avrebbe rappresentato l’88% del tempo totale da essi trascorso online. Negli ultimi anni le società di mobile advertising hanno iniziato ad introdurre una consistente varietà di pubblicità mobile, come gli interstitial ad (pagine web dai contenuti pubblicitari che si inseriscono durante la transizione
Fig 1.23 Esempio di interstitial ad per Amazon Prime
45
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
da una pagina web all’altra di un sito) o gli overlay ad (particolare formato di banner pubblicitari che vengono visualizzati dall’utente nella finestra del video player durante la riproduzione dei video), dalle caratteristiche, però, ancora preponderatemene interruttive. Tuttavia, attualmente il mobile advertising sta vivendo una continua evoluzione, e le potenzialità delle applicazioni a vantaggio di una sempre maggiore personalizzazione, dell’interattività e di user experience sempre più coinvolgenti ed efficaci possono rappresentare un contributo assolutamente significativo alla possibile evoluzione dell’advertising in direzione di nuove frontiere comunicative che siano in grado di allontanarsi dalle stantie logiche della pubblicità tradizionale. Il motivo per cui la trattazione dell’evoluzione del mobile advertising è stata posta prima dell’approfondimento sulle caratteristiche innovative della comunicazione attraverso il social network risiede nel fatto che il 40% del tempo che le persone vi trascorrono è proprio mediante l’utilizzo di dispositivi portatili (prevalentemente smartphone), e dunque un parte assai consistete della comunicazione pubblicitaria prodotta mediante questi media, sia per quanto riguarda le inserzioni sia per quanto riguarda le attività di comunicazione tramite i profili, viene fruita proprio attraverso un mobile device. Di conseguenza, è opportuno premettere che la portata innovativa della comunicazione attraverso i social network va in buona parte messa in relazione con le nuove opportunità comunicative rappresentate dalle modalità di fruizione dei contenuti pubblicitari offerte dai dispositivi mobili.
divertirsi, consumare ma, cosa più importante, hanno dato voce alle singole idee e opinioni delle persone, hanno offerto strumenti attraverso i quali far valere la propria personale voce, concedendo, teoricamente, a tutti eguale possibilità di farla sentire; hanno posto in primo piano concetti come condivisione, scambio, conversazione, relazione, immettendo nuova linfa nello stesso concetto di rete. Tralasciando le speculazioni circa le caratteristiche negative del Social Media (come la proliferazione delle “fake news” e di falsificazioni di vario genere, delle aggregazioni sociali che alimentano disvalori, o di certi atteggiamenti aggressivi favoriti dallo “scudo virtuale” che essi rappresentano) che non sono di principale interesse ai fini di questa trattazione, ciò che è più importante considerare in questa sede è la trasformazione delle relazioni tra i brand e gli individui e dell’autodefinizione delle persone all’interno dei processi comunicativi. Negli ultimi anni le persone sono cambiate notevolmente, nel loro rapporto con le grandi imprese e con la società; dopo il periodo di fascinazione verso le marche (in particolar modo, come abbiamo visto, dagli anni della diffusione del mezzo televisivo fino ai primi anni successivi alla New Economy), è subentrata in parte una certa diffidenza verso le aziende, complementarmente alle nuove potenzialità offerte dai Social Media per quanto riguarda l’informazione e la condivisione di notizie.
Come anticipato nel precedente capitolo, la diffusione dei Social Network ha rivoluzionato ulteriormente il mondo della comunicazione rispetto a quanto già non avesse fatto l’avvento del digitale, trasformando praticamente tutti gli aspetti della vita quotidiana delle persone, da un lato, e delle strategie delle aziende dall’altro.
I nuovi canali di informazione offerti dalla rete e la possibilità di interagire e conversare con un numero sconfinato di altri utenti sui Social Network hanno consentito alle persone di sentirtisi sempre più consapevoli ed informate nell’ambito dei rapporti che esse intrattengono con le grandi imprese: è venuto meno il ruolo dominante delle marche e il “potere” è passato nelle mani degli individui: essi hanno assunto un ruolo attivo e partecipativo, hanno acquisito autorevolezza e si sono sottratti dalla condizione di passività a cui erano stati costretti dalla comunicazione pubblicitaria tradizionale.
I social network hanno introdotto profondi cambiamenti culturali, hanno rappresentato mezzi con cui informarsi,
Le aziende hanno compreso l’opportunità rappresentata dai social network per la targetizzazione capillare del
46
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.24 Facebook Analytics
pubblico (soprattutto mediante la consultazione degli analytics) e per dare vita a nuove forme di engagement attraverso la costruzione di un rapporto con gli utenti fondato sulla partecipazione e sulla conversazione. Ma allo stesso tempo hanno compreso tutta la propria vulnerabilità, la necessità di comunicare con il pubblico con costante prudenza, facendo attenzione al valore e all’autenticità dei propri contenuti e mostrando una continua sensibilità nei confronti dei mutamenti sociali in corso. In una rete di relazioni sociali in cui tutti possono “fare informazione” e scambiare notizie e pareri con gli altri, è necessario comunicare assumendo il concetto di “verità”
come qualcosa che non ha soltanto valore etico ma che si rende, ora più che mai, necessaria. In definitiva, i Social Media non solo sono un utile strumento per una profilazione più dettagliata delle persone sulla base dei dati che essi generanno con le loro attività sulle piattaforme, ma hanno dato vita a nuove dinamiche comunicative in cui la conversazione e l’interrelazione hanno assunto un ruolo di primo piano. Un altro aspetto interessante dei mutamenti sociali in corso nella contemporaneità, e rispetto ai quali i Social Media hanno giocato un ruolo di notevole importanza, è il cambiamento del rapporto delle persone con la società: si è passati da modelli di appartenenza e gruppi con valo-
47
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
ri e identità condivisi (i target) ad un maggiore individualismo, costruito attraverso percorsi singolari che vanno disgregando il concetto di “stili di vita” omologanti. In un certo senso, si può dire che nell’era dei social, in cui ciascuno può far sentire la propria voce e conquistare uno spazio virtuale personale in cui condividere contenuti o produrne di propri, il concetto di “target” inizia a risultare sempre più improprio, seppur parte di una nomenclatura tutt’altro che passata ed espressione di logiche tutt’altro che tramontate, per non dire ancora largamente affermate. In tale contesto di generale diffidenza nei confronti delle grandi aziende, la ricerca di informazioni su prodotti o servizi da parte degli utenti generalmente non viene condotta attingendo dai “canali ufficiali”, ossia attraverso la fruizione dei contenuti pubblicitari dei brand, ma, piuttosto, attraverso la conversazione in rete con altri utenti, con i quali scambiare opinioni, giudizi, esperienze. Questa tendenza, anticipata dalla diffusione di forum e aree di discussione sui siti, si è consolidata ancora di più con i social network: sul web, e in particolar modo sui social media, alcune persone vengono ormai considerate più autorevoli ed affidabili delle stesse marche, e rappresentano un punto di riferimento per molti utenti, grazie alla credibilità che, attraverso la propria comunicazione, sono riuscite a conquistare. Esse vengono definite Influencer e, grazie alla loro capacità, per l’appunto, di “influenzare” ed orientare le opinioni dei propri pubblici, rappresentano una possibile risorsa, assai preziosa, per i brand, che attualmente stanno rivolgendo loro sempre maggiore attenzione. Già a partire dal 2009, la Trust Advertising Global Report, una ricerca semestrale condotta su oltre 25.000 consumatori in 50 Paesi, sancisce definitivamente e su scala globale il fatto che i consigli personali e le opinioni pubblicate in rete rappresentano forme di advertising di primaria importanza; tale ricerca inoltre conferma a sua volta quanto rilevato l’anno prima da un’indagine con-
48
dotta da Universal McCann, con un campione di 17.000 utenti online in 29 Paesi, le cui conclusioni vengono ben riassunte dal suo titolo “When did we start trusting stranger? How the Internet turned us all into influencers”. In tale contesto è interessante rilevare, seppure non direttamente concernente l’advertising, come le digital pr stiano diventando attività sempre più irrinunciabili per le aziende: poiché la rete, e in particolare i social network, sono diventati importanti canali di informazione per le persone, è sempre più importante impegnare risorse con l’obiettivo di generare un’opinione positiva su di sé, dando vita ad una comunicazione che si sforzi di prestare maggiore attenzione alle specificità dei singoli utenti, che dovranno essere considerati interlocutori piuttosto che semplici “destinatari”. Ciò potrà essere realizzato aprendosi al dialogo e alla conversazione, conducendo una serie di attività volte ad un sostanziale coinvolgimento del pubblico al fine di ottenerne il generale consenso e ricercando la considerazione positiva da parte di color che possono svolgere il ruolo di influencer per il proprio brand (blogger o, in generale, persone con un grande seguito sui social media), con i quali poter eventualmente avviare collaborazioni. Un aspetto interessante delle nuove dinamiche comunicative introdotte dai social network è che ogni utente può diventare, in un certo senso, testimonial di un brand e svolgere attività di comunicazione per le aziende a cui si sente legato, apprezzandone i prodotti o condividendone i valori. Inoltre,quando il livello di “affiliazione” ad una marca è particolarmente profondo per un utente, questo può diventare un “evangelista”, ossia un fan di un determinato brand che, considerandolo un’icona, uno vero e proprio stile di vita, un game changer, svolge attività di comunicazione con l’intenzione di “fare proseliti”, “aggreare seguaci”, propagare commenti e notizie positive sulla marca. Nell’ambito del cosiddetto “user generated marketing”, il canale di comunicazione rappresentato dallo spazio per-
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
sonale di un utente che parla di un determinato brand, canale che viene definito “earned medium”, può rappresentare una potente freccia all’arco delle aziende, ma può rivelarsi anche un significativo fattore di rischio, da non sottovalutare, in quanto a volte i “fan” si appropriano della marca e la portano in direzioni non volute dall’azienda, generando contenuti a volte del tutto incoerenti con l’immagine che vogliono trasmettere, se non addirittura dando forma a comunicazioni dannose per l’immagine del brand. Ovviamente lo user generated marketing e la comunicazione sviluppata dagli influencer non riguardano necessariamente opinioni positive; al contrario, statisticamente, gli utenti sono più preponessi a servirsi dei social media come canale di sfogo per delusioni e pareri negativi piuttosto che per manifestare il proprio apprezzamento nei confronti di una marca ed esaltarne le qualità. In definitiva, i social network hanno introdotto delle inedite dinamiche comunicative in grado di porre al centro della comunicazione le persone: esse acquisiscono sempre più “potere”, assumono un ruolo sempre più attivo e si sottraggono dal passato ruolo di destinatari passivi dei messaggi pubblicitari diventando interlocutori con cui dialogare, sempre più consapevoli ed autorevoli, intenzionati a far valere la propria individualità e sempre meno inclini ad essere considerati in funzione all’appartenenza ad un “target”. La comunicazione, in tal senso, si fa sempre più conversazione, relazione, un dialogo attento che, seppur le attuali tecnologie non consentano nella realtà di farlo agilmente, si sta attualmente sforzando di considerare le singole persone; pertanto queste nuove dinamiche rappresentano una grande opportunità, per i brand, per riuscire a stabilire una relazione diretta con il pubblico e consentono nuove e più profonde forme di engagement, oltre ad offrire strumenti efficaci per una più completa e dettagliata targetizzazione degli utenti. Tuttavia per le aziende i social network costituiscono degli strumenti assai delicati, da utilizzare con assoluta pru-
denza, proprio perché, come è stato detto, espongono i brand al pubblico giudizio degli utenti, quasi insindacabile, e pertanto commettere errori nella propria strategia di comunicazione sui social (per esempio utilizzando un tone of voice non adeguato, mancando di rispetto alla sensibilità delle persone, pubblicando contenuti inopportuni od offensivi) rischia di far esplodere una crisi di reputazione difficile da dirimere. Per i brand la portata innovativa dei social media, consiste, oltre all’opportunità nell’ambito della comunicazione commerciale (e quindi anche nell’ambito della comunicazione pubblicitaria) di creare un rapporto mirato con i propri clienti ed interloquire direttamente con loro, anche nella possibilità di operare un costante monitoraggio delle conversazioni degli utenti in rete. Al giorno d’oggi, infatti, l’attività di monitoraggio della reputazione online, sia sulle piattaforme social che in altri spazi virtuali quali forum e blog, risulta assolutamente necessaria. In estrema sintesi, per i brand, si tratta di ascoltare ciò si dice online su di essi, andando a ricercare attivamente le menzioni fatte, per analizzarle ed apprendere in che direzione tendono le opinioni in rete. A partire da questo primo passo, è possibile disporre di spunti per migliorare le performance (sia dal punto di vista dell’offerta che della comunicazione), identificare aree di rischio e avvertire eventuali segnali di crisi incipienti prima che deflagrino. L’attività di monitoraggio può essere poco o molto complessa da gestire: ciò dipende dal volume delle conversazioni, dalla numerosità delle parole chiave da tenere “sotto osservazione”, dal rinnovarsi o ampliarsi frequente del loro insieme, dalla quantità di risultati da vagliare per trarre un senso dalla ricerca. Sinteticamente, gli step fondamentali del monitoraggio possono essere riassunti in: definire le keyword rilevanti, definire quali ambiti monitorare e definire il team e le procedure. Per piccoli volumi di conversazioni, il monitoraggio può
49
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
essere svolto in proprio, utilizzando un motore di ricerca e software liberamente disponibili che possono offrire un aiuto a velocizzare e ad estendere la ricerca per parole chiave. Questo approccio, tuttavia, può risultare sufficiente se ad operare il monitoraggio è una piccola attività commerciale, ma mostra i suoi limiti nel caso di operazioni più vaste, con centinaia di migliaia di dati, come tipicamente avviene nel caso delle aziende; in questo caso è necessario l’uso di strumenti specialistici, si software proprietari sviluppati da agenzie e consulenti. Tuttavia, sebbene questi software rappresentino un aiuto fondamentale alle attività di monitoraggio, non necessariamente sono in grado di capire che cosa sia davvero rilevante e che cosa lo sia meno; e soprattutto non sono in grado di dare una valutazione affidabile della positività o meno dei commenti. Seppur l’analisi semantica abbia fatto notevoli passi in avanti, le espressioni e le sfumature delle diverse lingue aggiungono complessità all’analisi automatizzata (nella nostra lingua ad esempio il ricorso al sarcasmo o la satira si basano spesso sul dire il contrario di ciò che si intende). Di conseguenza è necessario ricorrere all’intervento di analisti umani, specialisti che valutano ciò che è stato rilevato (o procedono a campione) e per ogni elemento di conversazione individuato danno un giudizio sul sentiment, al fine di redigere un report che tratteggi la reputazione online. La valutazione di questi dati può rappresentare una risorsa importante per orientare la comunicazione di un brand e per strutturare l’advertising (online e offline) sulla base dei risultati ottenuti; inoltre essi rappresentano uno strumento utile per la profilazione e la segmentazione del target, ma in una misura comunque parziale. È necessario specificare che questi dati da soli non sono sufficienti a restituire effettivamente e nella loro totalità i profili degli utenti: le opinioni, i commenti e le condivisioni costituiscono ovviamente una visione parziale dell’identità delle persone, del loro profilo complessivo, ma anche dei loro comportamenti, così come lo sono i
50
percorsi di navigazione nel web. Inoltre, è necessario considerare che i comportamenti che si adottano in rete, e in particolar modo sui social network, facendo riferimento soprattutto al linguaggio, vengono plasmati dalle logiche intrinseche dei mezzi stessi e dalle dinamiche relazionali che li permeano, e il più delle volte non restituiscono realmente il profilo delle persone, ma anzi posso apportare significative distorsioni. Analizzare i singoli social media potrebbe risultare eccessivamente dispersivo ai fini della trattazione, in quanto gli argomenti appena sviluppati, oltre che a descrivere dinamiche che nel complesso riguardano tutti i social, forniscono già gli strumenti necessari per formulare considerazioni utili allo sviluppo dell’elaborato. Tuttavia, dopo aver fatto qualche accenno all’advertising su Facebook nel precedente capitolo (a partire dalla prima fase del display advertising e dei link sponsorizzati, fino all’attuale targetizzazione della pubblicità sulla base delle caratteristiche demografiche degli utenti), è forse ancora più utile, a questo punto, approfondire la pubblicità su YouTube, in quanto possiede determinate caratteristiche peculiari che possono essere considerate rilevanti ai fini della trattazione. YouTube fa parte del network Google ed è uno dei social media più celebri, tanto da venire considerato più importante della televisione dal 45% dei suoi utenti. Rappresenta il canale di video advertising più esteso in assoluto ed utilizza la piattaforma Adwords per l’impostazione e la gestione delle campagne. Grazie ad Adwords il video advertising può essere declinato su smartphone e tablet, funzionalità importante per il network giacché il 25% di tutte le visualizzazioni dei video viene effettuato da dispositivi mobile. Su YouTube la comunicazione pubblicitaria, che ovviamente riguarda con assoluta prevalenza l’utilizzo del linguaggio video, si divide principalmente in cinque categorie: • gli annunci in-search;
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
• • •
•
gli annunci in-display; i contenuti promozionali dei canali ufficiali dei brand; la sponsorizzazione da parte di youtuber che, in virtù della propria notorietà, rivestono il ruolo di influencer all’interno dei propri video; i video in-stream, che precedono, seguono o interrompono la riproduzione dei video di terzi.
Le prime quattro categorie riguardano modalità comunicative non troppo distanti da quanto già affrontato. La prime due tipologie consistono, infatti, nei classici display advertising e search advertising. Le pubblicità in-display su YouTube possono essere visualizzate a destra del video in primo piano (oltre agli annunci in overlay sul video in riproduzione, o le schede sponsorizzate con contenuti pertinenti al video), mentre le pubblicità in-search sono posizionate tra i risultati delle ricerche. L’elemento interessante di questo tipo di pubblicità su YouTube è che gli annunci si presentano nella forma
native (trattata in seguito). Grazie a Google TrueView, inoltre, è possibile pagare per le pubblicità in-display e in-search, così come per quelle in-stream, soltanto quando vengono effettivamente visualizzate, e non skippate, dagli utenti, o quando questi vi interagiscono rispondendo ad una call to action. La terza tipologia presenta dinamiche simili a quelle già esplorate in relazione al Search Advertising e, pertanto, non verranno di seguito particolarmente approfondite. In estrema sintesi, i video pubblicitari organizzati in playlist sui canali dei brand (canali che possono essere collegati a Google+), possono essere visualizzati tra i risultati della ricerca all’interno della piattaforma; l’indicizzazione su Youtube può essere, così come per i motori di ricerca, ottimizzata: la posizione dei video tra i risultati può dipendere, oltre che da fattori quali il numero di visualizzazioni e gli iscritti al canale, dal titolo e dalla descrizione del video, in quanto si tratta di elementi indicizzati (definire in modo efficiente questi elementi, di
Fig 1.25 Esempio di in-search ad di YouTube
51
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
conseguenza, può ampliare potenzialmente il pubblico). Ai fini dell’ottimizzazione, possono essere inoltre utilizzate tag specifiche per i video, che contribuiscono alla loro visualizzazione tra i risultati secondo criteri di pertinenza e rilevanza rispetto alla ricerca effettuata. La quarta tipologia consiste in attività di comunicazione che si servono di YouTuber “influenti” a cui associare il proprio prodotto e, in quanto ascrivibili all’insieme delle attività precedentemente approfondito nell’ambito delle digital pr, si basa sui medesimi meccanismi che sono stati già affrontati poc’anzi. Questo tipo di operazione, come abbiamo detto, finalizzato a beneficiare della reputazione di personaggi noti, e possibilmente graditi, al pubblico, è particolarmente favorita dalle caratteristiche intrinseche di questa piattaforma: l’opportunità di rivolgersi o meno ad un determinato influencer è facilmente valutabile a partire dal numero degli iscritti al suo canale, dal numero di visualizzazioni ed apprezzamenti che totalizza, dai commenti ai suoi video e così via (alcuni YouTuber godono di una notorietà tale e di un seguito così consolidato da essere prevalentemente ascrivibili alla categoria dei testimonial, piuttosto che dei “semplici” influencer). Uno dei pochi elementi distintivi rispetto a questo tipo di attività tra YoutTube ed altri social media in cui è preponderante l’utilizzo del linguaggio testuale, consiste proprio nell’assoluta prevalenza su questa piattaforma del linguaggio audiovisivo; basandosi, ovviamente, le attività di comunicazione degli influncer su questo tipo di linguaggio, è facilmente comprensibile quanto sia più complesso (ma al tempo stesso potenzialmente più efficace) ottenere un video anziché un post testuale, anche per il tempo e lo sforzo richiesto per produrre video di qualità; nel caso dei video, per di più, la qualità è un fattore assolutamente discriminante, in quanto se si può “perdonare” un post dal contenuto interessante anche se scritto in modo approssimativo, l’utente non è generalmente disposto a sopportare un video di scarsa qualità. Nonostante, per completezza, sia stato doveroso tratteggiare le modalità comunicative appena affrontate, come
52
già detto, esse non risultano tuttavia di principale interesse ai fini della trattazione, in quanto ascrivibili alle dinamiche già approfondite in linea generale in precedenza, con la descrizione delle nuove potenzialità comunicative introdotte dallo sviluppo dei social network e della loro importanza nello scenario dell’advertising contemporaneo. Al fine di costruire le argomentazioni di base su cui verrà strutturata la tesi fondamentale di questo progetto (a partire dal terzo capitolo) e in accordo con l’intenzione di rappresentare sinteticamente lo scenario dell’advertising contemporaneo dopo aver ripercorso le principali tappe evolutive che hanno condotto alla situazione attuale, risulta assai più interessante approfondire la quarta tipologia pubblicitaria precedentemente enunciata, in quanto a partire da essa sarà possibile enucleare alcuni concetti utili alla definizione dei presupposti fondamentali alla base del sistema di ipotesi che verrà formulato nei capitoli successivi. I video pubblicitari in-stream possono essere inseriti prima (pre-roll), durante (mid-roll) o dopo (post-roll) la riproduzione del video principale. Sono solitamente della durata di 15-20 secondi (o talvolta, in via piuttosto eccezionale, anche considerevolmente più lunghi) e possono essere “skippati” dopo 5 secondi, o presentarsi nella forma “non ignorabile”. Questo tipo di video advertising, soprattutto i pre-roll, non riguarda esclusivamente YouTube ma, così come i video pop-up e i video in overlay, è presente su molti altri siti. Questa modalità pubblicitaria risulta particolarmente interessante in questa sede perché la sua efficacia presso il pubblico è stata messa ultimamente in forte discussione. Secondo un’indagine IPSOS del 2016 quasi il 50% degli utenti skippa pressoché sistematicamente, quando possibile, gli ad inseriti nei video che sta visualizzando e si dichiara infastidito dalle pubblicità non saltabili. Sempre secondo quest’indagine, inoltre, un altro fattore di particolare fastidio per la maggior parte degli utenti intervistati è rappresentato dal fatto che i video ad visualizzati ven-
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.26 Esempio di pre-roll ad su YouTube
gono proposti senza un apparente criterio di pertinenza con i propri interessi. Inoltre, negli ultimi anni si stanno diffondendo sempre di più i programmi di ad blocking per la pubblicità su YouTube e molte aziende si stanno mostrando sempre più dubbiose circa l’effettiva convenienza di utilizzare questo tipo di canale pubblicitario per la promozione dei propri prodotti: non sono isolati attualmente i casi di aziende, anche multinazionali, che hanno deciso di abbandonare definitivamente Youtube. Per fare fronte a questa crisi, YouTube sta attualmente tentando di adottare alcune misure correttive, ma le iniziative intraprese finora, come l’eliminazione dei video non skippabili da 30 secondi e l’introduzione, al loro
posto, di video non skippabili della durata massima di 6 secondi (detti annunci bumber), si stanno rivelando del tutto insufficienti ed approssimative rispetto alla possibilità di ripristinare compiutamente la situazione. Il peccato originale di YouTube consiste fondamentalmente nell’aver importato le modalità interruttive dell’advertising tradizionale e nell’averle applicate alla gestione del proprio video advertising: gli spot inseriti all’interno dei video, seppure “skippabili”, non rappresentano una novità rispetto alle interruzioni pubblicitarie in televisione: uno spot viene presentato al pubblico associandolo ad un video senza nessun appartenete criterio di pertinenza, ne con i contenuti di quest’ultimo, né con il profilo dell’utente.
53
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Il problema fondamentale di questo tipo di comunicazione pubblicitaria, sia su YouTube che sugli innumerevoli altri siti che la utilizzano, consiste ancora una volta nell’aver privilegiato la massimizzazione della presenza e la visibilità delle pubblicità piuttosto che la loro utilità e rilevanza rispetto agli interessi delle persone.
vertising online contemporaneo e di quanto sia urgente trovare al più presto una soluzione. Un’altra rilevante potenzialità dei sistemi di comunicazione in rete, significativa ai fini di questa trattazione e ancora una volta in gran parte favorita in particolar modo dai social media, è il Real Time Marketing.
Il fatto che YouTube sia, come già detto, uno dei social media più utilizzati in assoluto (si pensi che nel solo ambito italiano l’homepage di YouTube conta 8,9 milioni di impression giornaliere e 3,4 milioni di visitatori unici), nonché il più vasto canale di video advertising esistente, oltre che a spiegare la sua importanza nell’attuale panorama della pubblicità digitale, da un’idea di quanto peso abbia il problema appena esposto nello scenario dell’ad-
Il Real Time Marketing è un approccio al mercato che fa leva sulla capacità aziendale di rispondere velocemente ad eventi e stimoli esterni. Tale approccio può essere meramente tattico e quindi esaurirsi in una serie di pratiche di risposta non organizzate, oppure strategico e, in questo secondo caso, richiede accorgimenti organizzativi e tecnologici.
Fig 1.27 Operazione di Real Time Marketing realizzata da Barilla in seguito al celebre “morso di Suarez” a Giorgio Chiellini, , Italia-Uruguay, Mondiali di calcio 2014
54
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Secondo un’indagine Golin HarrisIl, il Real Time Marketing consente di migliorare la predisposizione delle persone verso la marca e di potenziare gli altri strumenti di comunicazione usati; le situazioni che permettono alle aziende di sfruttare il tempo reale a proprio vantaggio possono emergere da due traiettorie: quella della prevedibilità dell’evento e quella della tipologia di azione aziendale. Il Real Time Marketing può essere fondamentalmente di tre tipologie: la prima riguarda eventi pianificati che possono essere sfruttati proattivamente; la seconda, eventi programmati che danno luogo ad una risposta reattiva, prestabilita; la terza, eventi non programmati che richiedono una risposta immediata.
Nella prima categoria ricadono gli eventi promossi dall’azienda (lanci di prodotto, conferenze stampa, dibattiti) o ai quali essa partecipa come sponsor (eventi, anche televisivi). In questo caso i contenuti da condividere nei vari ambienti di rete, soprattutto sui social, potranno essere preparati per tempo. Successivamente, durante l’evento, grazie ad un monitoraggio delle keyword legate ad esso, si potranno individuare le opportunità offerte dalle conversazioni (ancora una volta in particolar modo, come è stato detto, attraverso i social network). Nella seconda categoria rientrano le azioni legate a contesti territoriali fisici, realizzate sulla base dei dati provenienti dai dispositivi mobile delle persone (come i dati relativi alla geolocalizzazione). Ne sono esempi l’uso
Fig 1.28 Operazione di Real Time Marketing realizzata da Tempo per le 500 milioni di visualizzazioni del videoclip “Hello” della cantante Adele
55
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
degli “specials” su Foursquare o l’integrazione nelle mappe di Waze per indicare ai guidatori la prossimità ad un punto vendita, ma anche l’uso di nuove tecnologie come iBeacon o NFC (che verranno approfondite più avanti) per proporre offerte personalizzate alle persone che si trovano in una certa area e che le riceveranno sul proprio smartphone. La terza categoria riguarda in particolar modo notizie improvvise che colpiscono l’azienda o che riguardano un argomento che può essere sfruttato a proprio vantaggio (la comunicazione dei brand sui social network offre numerosi esempi di questo tipo di operazioni, in cui fatti di attualità e accadimenti improvvisi di rilevanza pubblica, rappresentano spunti ed occasioni sulla base dei quali pubblicare post e contenuti pubblicitari il cui contenuto non solo è connesso contestualmente ai fatti in questione, ma li sfrutta a proprio vantaggio nel perseguimento di determinate finalità comunicative). Nella stessa categoria possono rientrano le situazioni di Social Caring, che mettono alla prova la capacità dell’azienda di intercettare e rispondere velocemente a richieste esplicite degli utenti, una capacità che ancora poche aziende stanno mostrando, visto che solo il 2% delle aziende offrono con continuità questo servizio su Facebook e Twitter. Sulla base di quanto esposto, è facile comprendere come il Real Time Marketing non possa essere frutto di “improvvisazione”, ma richieda un approccio strategico, che comprende la definizione di procedure, la formazione di risorse e l’utilizzo di strumenti adatti a far emergere quelle informazioni che dovranno essere adeguatamente sfruttate. Il Real Time Marketing mette in luce uno dei grandi temi dell’advertising del futuro, che rappresenterà uno degli argomenti principali della trattazione successiva a questo primo capitolo, relativa agli obiettivi fondamentali verso i quali dovrà necessariamente tendere l’evoluzione dell’advertising per il futuro: il tema della coerenza tra la pubblicità e il contesto spazio-temporale in cui avviene la sua fruizione da parte dei destinatari della comunicazione.
56
Esso rappresenta uno degli aspetti della comunicazione pubblicitaria più trascurati nella storia dell’advertising, a causa dei limiti tecnologici che prima d’ora lo hanno fortemente ostacolato. La pervasività pubblicitaria, come è stato detto, sia per quanto riguarda l’advertising online sia per quanto riguarda l’advertising offline, ha tra le sue cause l’incoerenza dei contenuti pubblicitari con il contesto spazio-temporale nel quale vengono presentati. L’obiettivo di collocare “la pubblicità giusta, nel posto giusto e nel momento giusto” è stato finora perseguito in modo approssimativo e senza tenere conto delle singole persone, ma considerando macro-comportamenti di cluster predefiniti, afferenti a target di riferimento. Collocare un cartellone pubblicitario in un determinato punto della città perché grandemente frequentata dal proprio target, trasmettere uno spot televisivo in una determinata fascia oraria affinché vi siano maggiori probabilità che venga visto dalla tipologia di destinatari prescelti, pubblicare un’inserzione su un sito internet dalla tematica coerente con l’oggetto della comunicazione pubblicitaria, rappresentano delle logiche (tuttora largamente in voga) tipiche dell’advertising tradizionale e costituiscono dei sistemi estremamente approssimativi di contestualizzazione spazio-temporale dell’advertising a fronte delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie in via di sviluppo. Come vedremo in particolar modo successivamente, il tema del tempismo (ossia la necessità, per l’advertising del futuro, di orientarsi verso una comunicazione fatta “nel momento giusto”, i cui contenuti, cioè, risultino pertinenti e utili rispetto al contesto che sta vivendo il destinatario del messaggio nel momento in cui essa viene prodotta) rappresenterà uno dei cardini della trattazione che sarà sviluppata a partire dal secondo capitolo. Estendendo lo sguardo al complesso dei siti internet e delle piattaforme in rete, un’altra significativa innovazione nell’ambito dell’advertising online è rappresentata dal
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Real Time Advertising, che riguarda fondamentalmente la creazione di display-ad sulla base di procedure di Real Time Bidding, che consiste essenzialmente nella vendita all’asta di spazi pubblicitari online. L’advertising online dei primi tempi richiedeva rapporti diretti tra inserzionisti e web publisher. Fino al 2009 sono stati utilizzati gli Ad network, piattaforme di intermediazione tra editori ed inserzionisti che fornivano soluzioni ad alto impatto e a costi ottimizzati per offrire display advertising su larga scala. Dal 2009 alla contemporaneità, l’utilizzo delle piattaforme Ad Exchange ha proposto una nuova offerta di acquisto di spazi pubblicitari ad alto impatto e, soprattutto, in real time. Le piattaforme Ad Exchange consentono di gestire l’acquisto degli spazi secondo, per l’appunto, un processo di Real Time Bidding: tramite un software, il DSP (demand-side platform), in grado di connettersi a migliaia di siti web, l’advertiser sceglie target, budget e crea la sua campagna sul web. Il publisher vende le impression degli utenti che arrivano su un sito web che sta vendendo alcuni dei suoi spazi pubblicitari tramite una piattaforma Ad exchange (utenti a cui sono associati cookie anonimi e la cui identità può essere ipotizzata dagli advertiser sulla base dell’interpretazione dei dati a loro disposizione) e mette quindi “all’asta” i suoi spazi. A questo punto l’advertiser fa una puntata utilizzando Ad exchange, che, in modo automatico, valuta le offerte dei “contendenti” e decreta i “vincitori”. Poiché il Real Time Advertising consente di raggiungere in tempo reale gli utenti considerati, sulla base dell’interpretazione dei dati forniti dai cookie ad essi relativi, potenzialmente interessati alla propria pubblicità, ed essendo quest’ultima relativa a modalità display, ne consegue che, grazie a questa tecnologia, il display advertising (il cui principale problema, come abbiamo visto, era l’alto livello di dispersione) è in grado di raggiungere lo stesso livello di efficacia e rilevanza ottenibili con una campagna di Search Advertising. Il Real Time Advertising, pertanto, rappresenta un significativo passo avanti nel perseguimento di una
pubblicità in cui rilevanza, tempismo e coerenza tra i contenuti e l’ambiente (in questo caso virtuale) in cui essi sono collocati, costituiscano i fondamentali presupposti evolutivi (per quanto, inevitabilmente, come è stato visto, la rilevanza attribuita alle pubblicità nel sistema del Real Time Advertising, oltre che determinata sulla base delle caratteristiche qualitative e contenutistiche degli ad, continua ad essere condizionata dalle logiche di mercato secondo le quali “il miglior offerente vince”). La selezione automatizzata degli spazi virtuali migliori per la pubblicazione di display ad che si esprime nella formula del Real Time Bidding è solo una delle varie tipologie di Programmatic Buying (detto anche Programmatic Advertising), ossia l’insieme delle diverse modalità di negoziazione programmatica, e, dunque, di acquisto/ vendita di digital advertising display attraverso piattaforme automatizzate. Quando si parla di internet e di sistemi informatici automatizzati è impossibile sviluppare la trattazione del tema prescindendo da un breve approfondimento sugli algoritmi. Gli algoritmi (processi informatici che prevedono l’applicazione di una sequenza finita di precise ed univoche istruzioni in un dato ordine, attraverso le quali risolvere specifici problemi) rappresentano, infatti, gli strumenti fondamentali con cui possono essere gestite e semplificate azioni come l’analisi e l’interpretazione di grandi volumi di dati; essi, in un certo senso, offrono chiavi di lettura basate su regole e criteri prestabiliti. Grazie agli algoritmi possono essere setacciati e messi in relazione enormi quantità di dati al fine di estrarre valore, ad esempio, estrapolando informazioni utili da determinati dataset, indirizzando la navigazione in modo diretto ed immediato verso taluni contenuti, ordinando determinati elementi secondo criteri gerarchici, e così via. Quando si parla di algoritmi è quasi automatico pensare all’indicizzazione dei risultati compiuta dai motori di ricerca. Gli algoritmi di ricerca (o algoritmi di ranking) classificano le pagine internet sulla base di una serie
57
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
di criteri predefiniti, ma è opportuno specificare che i dettagli relativi all’esatto funzionamento degli algoritmi che provvedono a determinare il posizionamento delle pagine all’interno dei risultati di ricerca non sono pubblici e la loro segretezza viene gelosamente custodita dai motori di ricerca che li hanno formulati (seppur sia possibile intuirne approssimativamente la struttura sulla base di adeguate conoscenze informatiche in materia). Inoltre, tali algoritmi sono del tutto variabili, e continuamente soggetti e modifiche e miglioramenti: ne consegue che chi svolge attività di SEO debba continuamente aggiornarsi per poter adottare le giuste strategie attraverso le quali garantire una buona indicizzazione dei link alle pagine di loro interesse tra i risultati di ricerca. In ambito del digital advertising gli algoritmi svolgono una funzione fondamentale e sono destinati a ricoprire
Fig 1.29 Infografica sul funzionamento del Programmatic Advertising
58
un ruolo ancor più importante in futuro. Attualmente essi rappresentano una delle più riuscite ed efficaci espressioni degli sforzi computi nell’advertising online in direzione della personalizzazione degli annunci e della rilevanza dei contenuti pubblicitari per gli utenti, nonché uno tra i principali fattori che determina il discrimine essenziale tra le dinamiche comunicative dell’advertising tradizionale e le novità introdotte nell’advertising online. Poiché consentono di compiere in modo automatico ed immediato l’analisi dei dati degli utenti sulla base di criteri stabiliti secondo i quali operare l’estrazione di informazioni indicative, i sistemi che si servono di algoritmi permettono, infatti, di rivolgersi alle “persone giuste”, “nel modo giusto” e soprattutto “a partire dai giusti dati”; tali procedure di valutazione dei dati, inoltre, possono essere perfezionate, come è stato detto, ed adattate maggior-
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Fig 1.30 Infografica sul processo di Retargeting
mente alle proprie preferenze e necessità di analisi grazie all’utilizzo di algoritmi sempre più sofisticati. A partire da ciò, è facilmente comprensibile come gli algoritmi rappresentino lo strumento di base delle varie forme di Programmatic Advertising. Poiché il discrimine tra queste varie tipologie si basa su specificità di natura prevalentemente tecnica, poco rilevanti ai fini di questo elaborato, le varie modalità del Programmatic Buying non verranno approfondite in questa sede, con la sola eccezione del Retargeting (illustrato di seguito), in quanto caratterizzato da dinamiche in grado di offrire utili spunti di riflessione. Ciò che qui interessa sottolineare, infatti, è l’importanza del Programmatic Buying nell’advertising online contemporaneo. Esso, così come il Native Advertising (che verrà trattato successivamente), oltre che a costituire uno dei nuovi sistemi già in uso per la gestione di contenuti pubblicitari secondo criteri di rilevanza, tempismo, e pertinenza rispetto alle specificità degli utenti, rappresenta una delle innovazioni tecnologiche più significative degli ultimi tempi e si sta affermando sempre di più nell’attuale panorama del digital advertising. Sebbene il Programmatic Buying rappresenti una tecnologia già in uso a molte realtà commerciali (soprattutto grandi aziende di impronta avanguardistica, intenzionate
ad esplorare le nuove tecnologie e capaci di investire in sistemi che consentano l’ottimizzazione e la velocizzazione dei propri processi di marketing), è ancora prevalentemente ascrivibile alla categoria delle “tecnologie future” (fatta eccezione per il Retargeting, già largamente diffuso), in quanto attualmente essa è proiettata nella direzione di una significativa evoluzione ed è soggetta, secondo le stime degli specialisti, ad un incremento che nel prossimo futuro diventerà quasi esponenziale: ancora secondo Accenture, infatti, se attualmente buyers e sellers utilizzano, in media, il Programmatic Advertising per il 17% delle inventory, si stima che nell’arco di soli due anni la percentuale salirà a più del doppio. Come già detto, un’ulteriore importante tecnica dei processi di Programmatic Buying, decisamente diffusa nella contemporaneità, è rappresentata dal retargeting. Il retargeting è un processo grazie al quale è possibile presentare ad un utente un contenuto pubblicitario su un sito (sono comuni, ad esempio, i retargeted ad in formato display) che si ponga in continuità con gli interessi espressi dallo stesso utente attraverso le attività di ricerca di informazioni o di acquisto compiute su altri siti. In sostanza, si tratta di quel processo grazie al quale è possibile raggiungere un utente che ha visitato un certo sito in precedenza, nel momento in cui ne sta visitando un altro; in questo modo è possibile non soltanto rivol-
59
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
gere un messaggio pubblicitario ad un utente potenzialmente interessato, secondo parametri di coerenza tra le sue precedenti ricerche ed attività in rete e il contenuto dell’annuncio presentato, ma sarà per di più possibile rivolgersi ad un utente che abbia anche effettivamente già avviato, su altri siti, attività strettamente inerenti ad uno specifico prodotto (o servizio) reclamizzato. Il retargeting funziona così: nel momento in cui un utente visita il sito internet della campagna, un elemento del codice di quest’ultimo trasmette al browser un cookie, grazie al quale sarà possibile presentare allo stesso utente, su altri siti, contenuti pubblicitari inerenti al sito in questione. Il retargeting è un valido sistema per consentire alle persone di visualizzare, prima di tutto, pubblicità per se stesse rilevanti, limitando la dispersione dei messaggi pubblicitari, ma non è esente da limiti e insufficienze rispetto al tipo di evoluzione che l’advertising dovrà necessariamente compiere nel prossimo futuro: gli obiettivi originari del retargeting consistono nella possibilità di presentare agli utenti pubblicità che possano considerare rilevanti e coerenti con i propri interessi o invitarli a finalizzare attività iniziate su altri siti (come ad esempio l’acquisto interrotto di un prodotto su una spazio di ecommerce). Talvolta, tuttavia, tale intento può essere tradito quando, ad esempio, vengono presentati ad un utente prodotti troppo simili o addirittura analoghi ad articoli già acquistati: per esempio, se il consumatore in questione ha appena acquistato un computer potrebbe essere interessato a pubblicità riguardanti accessori come casse, mouse o hard disk esterni; al contrario potrebbe considerare irrilevanti pubblicità relative a computer simili, di altre marche. In quest’ultimo caso si parla infatti di retargeting negativo, che non solo risulta inefficace, ma può essere addirittura dannoso e creare una percezione negativa di un determinato brand, nel momento in cui, oltre che a riguardare contenuti irrilevanti per gli utenti, si esprime in una forma invadente ed ossessiva, in grado di suscitare un senso di fastidio nelle persone.
60
Un’ulteriore insufficienza comune alla generalità dei sistemi di targetizzazione affrontati in questo paragrafo, ma ancor più marcata nel caso del retargeting, consiste nel fatto che tale processo si basa su specifiche azioni e limitati percorsi di navigazione, considerati per lo più singolarmente, e non su insiemi complessi di dati che, messi in relazione tra loro, consentirebbero di comprendere in modo più completo e approfondito le caratteristiche della “persona”, più che dell’utente, che si cela dietro alle specifiche informazioni ad essa associati. I cookie e, più in generale, i dati rilevati attraverso tecnologie simili al retargeting, infatti, offrono informazioni in una certa misura slegate tra di loro, ciascuna riguardante il contesto a partire dal quale sono stati generati i dati ad essa relativi. Queste informazioni riguardano per lo più percorsi di navigazione piuttosto circoscritti che offrono visioni parziali delle persone a cui ci si vuole rivolgere, e che, nel caso del retargeting, possono talvolta portare con sé anche un certo livello di distorsione: è il caso per esempio di azioni (come ricerche o acquisti) compiute occasionalmente per soddisfare una necessità specifica, slegata dai propri effettivi interessi e poco o per nulla coerente con il proprio profilo; a partire da tali azioni, possono pervenire all’utente pubblicità che gli risultano del tutto irrilevanti, se non inutili o addirittura fastidiose. Un esempio concreto potrebbe essere il caso di un regalo di compleanno comprato occasionalmente da un utente per un proprio conoscente su un sito di e-commerce (un acquisto quindi relativo ad una situazione specifica e che non riguarda direttamente gli effettivi interessi personali dell’acquirente, ma una sua necessità contestuale); attraverso il retargeting quell’utente, successivamente all’acquisto, potrà visualizzare su altri siti pubblicità riguardanti prodotti simili o analoghi a quello già acquistato per quella determinata occasione (specifica e riguardante un’altra persona), pubblicità che gli risulteranno quindi, a quel punto, per se stesso inutili ed irrilevanti. Come è stato detto, una delle innovazioni destinate, come il programmatic, ad affermarsi ed evolversi sempre di più nel prossimo futuro, è il Native Advertising: esso consiste in una forma di digital advertising volta a presentare i
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
contenuti pubblicitari in modo esteticamente e strutturalmente coerente rispetto al sito internet che li ospita. La pubblicità nativa consiste in contenuti sponsorizzati promossi e visualizzati all’interno dei contenuti offerti agli utenti, con i quali si integrano perfettamente, senza essere invadenti o disturbarne la fruizione. A differenza dell’advertising tradizionale (che nell’ambito dell’advertising online si traduce in forme pubblicitarie come pop-up, overlay ad o video in-stream, per citarne alcuni), la cui finalità principale è quella imporsi all’attenzione degli utenti con una comunicazione che privilegia la “visibilità a tutti i costi” in una logica puramente quantitativa, il Native Advertising ha l’obiettivo di “immergere” la pubblicità all’interno del contesto, cosicché non risulti assolutamente interruttiva per gli utenti, in quanto il messaggio pubblicitario assume le stesse sembianze del contenuto diventandone parte. La finalità principale del Native, infatti, non è tanto quella di colpire l’attenzione dell’utente (obiettivo principale del display advertising tradizionale), ma di conquistarne l’interesse creando un forte engagement: gli utenti sono ovviamente molto più propensi a fruire e condividere un contenuto sponsorizzato che fornisca loro nuove informazioni rilevanti anziché un banner pubblicitario tradizionale.
Fig 1.31 Esempio di Native Advertising su Twitter
Il Native Advertising, seppur già piuttosto diffuso (i True View di Youtube, i Tweet sponsorizzati e i post sponsorizzati di Facebook, infatti, sono esempi di pubblicità native che siamo abituati a vedere ogni giorno), attualmente è in fase di notevole diffusione e sviluppo tecnologico: algoritmi sempre più avanzati permettono agli inserzionisti di proporre annunci pubblicitari sempre più simili ai contenuti dei siti web. A tal proposito, Robert Andrews, analyst e media commentator, sostiene che «i native ad conquisteranno sempre più spazio nel tentativo di aiutare le aziende a vendere in modo innovativo i loro prodotti o servizi, e i siti ospitanti a trovare finalmente una fonte di revenue interessante ed innovativa. Questo modello metterà a
61
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
dura prova la capacità del lettore di riuscire a distinguere i contenuti editoriali da quelli pubblicitari, ammesso che questa separazione a loro importi ancora».
dei siti ed uniformandone l’estetica al design delle pagine, affinché la visualizzazione degli ad sia sempre meno intrusiva, disturbante ed invasiva.
Il Native nasce come risposta alla diffusione del fenomeno della già citata banner blindness, la “cecità ai banner” che gli utenti abituati a navigare in internet stanno sviluppando nella contemporaneità, in quanto, secondo dati recenti, sono dotati di una capacità sempre maggiore di identificare gli spazi pubblicitari presenti nelle pagine web.
Un’altra potenzialità del Native Advertising, che in questa sede però non viene interpretata del tutto positivamente, è quella di essere praticamente “immune” all’azione degli ad blocker, programmi in grado di identificare gli adv network e di impedire il caricamento e la visualizzazione degli annunci: essendo le pubblicità native parte del contenuto stesso delle pagine dei siti, gli ad blocker non sono infatti, per ora, in grado di riconoscerle, non potendole considerare a tutti gli effetti “inserzioni”. Tuttavia il Native Advertising, date le potenzialità appena esposte, non va interpretato come un tentativo di “inoculare” pubblicità in modo “pseudo-subliminale” aggirando gli ad blocker e mimetizzando gli annunci all’interno delle
La conseguenza dell’incremento di questo fenomeno corrisponde al rischio che gli utenti si mostrino sempre più indifferenti nei confronti di una pubblicità digitale già in crisi e sempre meno efficace: in tale contesto il Native Advertising rappresenta una possibile strada per risolvere questo problema, amalgamando la pubblicità ai contenuti
Fig 1.32 Esempio di Native Advertising visualizzato su diversi devices
62
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
pagine ospitanti (speculazione degna della Bullet Theory di Harold Lasswell), ma come un possibile antidoto a determinate modalità interruttive che ancora oggi pervadono l’advertising contemporaneo. Questa nuova forma di pubblicità, infatti, integrata a tecnologie come il Programmatic Advertising, funzionali a presentare contenuti rilevanti e di valore alle persone sulla base di una targetizzazione sempre più profonda e personalizzata dell’utenza, seppur assai lontana dal potersi considerare compiutamente risolutiva rispetto alle principali criticità dell’advertising contemporaneo, rappresenta un concreto passo in avanti per l’evoluzione della pubblicità digitale, nonché un notevole stimolo per una nuova concezione dell’advertising del futuro.
63
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
1.5 L’alba di un cambiamento paradigmatico
Una volta ripercorse le principali tappe evolutive dell’advertising è possibile anticipare, a questo punto, una riflessione che verrà più volte ripresa e approfondita all’interno di questo elaborato, in quanto rappresenta uno dei punti fondamentali a partire dai quali verrà argomentata la tesi sostenuta in questa trattazione. Analizzando la storia dell’advertising, è possibile notare come abbia per lo più prevalso la “logica quantitativa” nel corso dell’evoluzione della comunicazione pubblicitaria. La comparsa di nuovi media non ha quasi mai eliminato le precedenti tecnologie comunicative, ne ha tuttalpiù ridimensionato l’utilizzo. L’evoluzione mediatica può essere intesa come una sorta di processo di stratificazione tecnologica in cui la comparsa di nuovi media ha di volta in volta alterato gli equilibri, innescato nuove dinamiche comunicative, prodotto effetti (spesso epocali) sulla società, ma perseguendo comunque l’obiettivo di massimizzare i messaggi in direzione di pubblici sempre più ampi. Ogni qualvolta si è affermato sulla scena un nuovo mezzo di comunicazione, l’advertising si è sempre adoperato per presidiarlo, sfruttandone le potenzialità comunicative e adattandovi i propri linguaggi, con l’obiettivo di raggiungere audience sempre più vaste. A partire dall’età Pre-Moderna, l’obiettivo dell’advertising di rivolgersi a pubblici sempre più estesi ha trovato terreno fertile nelle successive evoluzioni tecnologiche dei nuovi sistemi di comunicazione, dalla comparsa sulla scena dei moderni procedimenti di stampa (e della conseguente comunicazione di massa) fino all’avvento dei mass media nel XX secolo, che ha consentito di raggiungere masse di persone prima inimmaginabili e di utilizzare
64
linguaggi dalle potenzialità espressive e dalla capacità di penetrazione e coinvolgimento del pubblico del tutto inedite per l’epoca. In sostanza, la pervasività pubblicitaria ha costituito grosso modo una costante che ne ha attraversato tutte le fasi storiche. Scendendo ad un maggiore livello di dettaglio in questa argomentazione, è indicativo (nonché piuttosto impressionante) come già al tempo di Pompei esistessero delle leggi per la regolamentazione e la disciplina del sovraffollamento delle insegne nell’ambiente urbano; o ancora come, prima della stampa di Gutenberg, i messaggi pubblicitari, data l’impossibilità tecnica di produrne serialmente in grandi quantità, combinata al dilagante analfabetismo, venissero letti ad alta voce dai banditori per raggiungere il maggior numero di persone possibili. Ma pensiamo soprattutto alla storia della pubblicità successiva all’invenzione dei moderni procedimenti di stampa: il ‘600, oltre a continuare intensamente la tradizione dei manifesti, è stato il secolo degli annunci sui periodici e dell’inizio della comunicazione di massa; i giornali, il mezzo al tempo più efficace per la diffusione dei messaggi pubblicitari nelle masse, si popolarono di annunci a pagamento e iniziò la competizione tra gli inserzionisti per la conquista degli spazi sulle gazzette. Nel’700, con la Rivoluzione Industriale e la serializzazione della produzione editoriale, la stampa divenne uno strumento ancora più potente per la diffusione del materiale pubblicitario, “stato di grazia” che mantenne fino all’affermazione della comunicazione massmediale nei primi del ‘900.
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
Con l’invenzione della radio, la pervasività della pubblicità si incrementò esponenzialmente: l’advertising assunse una modalità comunicativa non solo di massa, ma soprattutto “broadcast”; i messaggi pubblicitari e i jingle studiati affinché si potessero insinuare nella memoria delle persone colpivano masse di individui ripetutamente nel corso della giornata, invadendone la quotidianità e diventando il sottofondo costante delle loro vite. Attraverso la televisione, poi, la pervasività pubblicitaria raggiunse un livello ancora superiore: la potenzialità comunicativa di questo mezzo non si tradusse solo “qualitativamente” nella capacità di veicolare contenuti pubblicitari dal contenuto fortemente emozionale (in modo perfettamente funzionale alla necessità dei brand di evocare immaginari e modelli di riferimento), ma anche “quantitativamente” nella possibilità di coinvolgere un’audience difficilmente immaginabile prima della diffusione di questo mezzo, con spot che nel corso degli anni divennero sempre più frequenti ed “invadenti”. La televisione rappresentò la massima espressione della cultura di massa e delle logiche pervasive dell’advertising moderno. “Occupare il maggior numero di spazi cercando di colpire più persone possibili con il proprio messaggio al fine di intercettare, nella massa, il maggior numero di destinatari che possano considerarlo per se stessi rilevante (e quindi gli individui afferenti al proprio target) ,” può essere considerata la tendenza comunicativa decisamente prevalente nel corso dell’evoluzione dell’advertising, una tendenza definita approccio “push” in quanto prevede, per l’appunto, di “spingere fuori” i messaggi pubblicitari in direzione di target di massa, una logica pubblicitaria che ancora oggi non ha perso il suo vigore. Oltre a “pervasività” (intesa sia come frequenza dal punto di vista temporale sia come invasività dal punto di vista degli spazi fisici o virtuali occupati), un’altra parola che ha contraddistinto le modalità comunicative dominanti nel percorso evolutivo dell’advertising è “interruzione”: nel corso della storia, le inserzioni pubblicitarie sono state in maggior misura interruzioni pubblicitarie (un problema ancora oggi tutt’altro che debellato): le pubblicità, nelle diverse forme espressive, in maggior parte interrompono il compimento di altre attività o la fruizione di altri
contenuti, non la accompagnano, non la integrano, non aggiungono valore; questo perché sono decontestualizzate, ossia indipendenti e (quindi nella quasi totalità delle volte) estranee rispetto al contesto spazio-temporale che il destinatario della pubblicità sta vivendo nel momento della comunicazione. L’obiettivo di raggiungere pubblici sempre più estesi è stato tanto più forte (e in un certo senso necessario) quanto meno evolute erano le tecniche e le tecnologie di definizione e segmentazione dei target di riferimento. In sostanza, l’impossibilità, dovuta a limiti tecnologici, di definire con precisione i destinatari ideali dei propri messaggi, ossia quali fossero le persone potenzialmente interessate ai propri contenuti e alle quali ci si potesse rivolgere per realizzare delle comunicazioni realmente mirate ed efficaci, ha avuto come conseguenza il sovraffollamento pubblicitario di spazi fisici e virtuali finalizzato al raggiungimento, tra i tanti, dei destinatari “giusti” per i propri obiettivi di marketing. Nonostante che l’avvento della società di massa nel XX secolo abbia incrementato esponenzialmente la pervasività pubblicitaria, lo sviluppo di nuove tecnologie ha, però, parallelamente (e forse proprio conseguentemente a ciò) offerto la possibilità di definire target dal profilo sempre più particolareggiato. Prima dell’avvento della New Economy, tecniche di marketing sempre più affinate ed, in particolar modo, indagini di mercato dalle metodologie sempre più evolute consentivano già di delineare in modo abbastanza dettagliato il profilo dei cluster psico-socio-demografici a cui rivolgersi nelle attività di comunicazione. Tuttavia, lo sviluppo di tali tecniche ha consentito sì una crescente precisione nella definizione dei target, ma questi sono rimasti comunque, ancora, target di massa. Ma con l’affermazione delle nuove tecnologie informatiche, dagli anni della New Economy, fino alla contemporaneità, lo scenario è mutato sensibilmente; la diffusione del web, in particolare, ha offerto all’advertising l’opportunità di esplorare nuove dinamiche comunicative, dalle potenzialità inedite e di portata rivoluzionaria.
65
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
L’affermazione di internet quale nuovo media dominante nel mondo della comunicazione non ha avuto come sola conseguenza l’esponenziale incremento degli investimenti pubblicitari nell’advertising online da parte dei buyers (investimenti che al giorno d’oggi eguagliano quelli in pubblicità televisiva), ma ha portato anche a profonde trasformazioni socio-culturali. Se nell’era pre-massmediale la comunicazione pubblicitaria si focalizzava sull’esaltazione delle caratteristiche del prodotto e con l’avvento dei massmedia privilegiava l’approccio persuasivo e lo storytelling volto alla costruzione di mondi valoriali ed emozionali intorno ai brand come punti di riferimento per gruppi di appartenenza, la diffusione del web, e in particolar modo quella recente dei social network, ha alimentato progressivamente una certa forma di individualismo. Questo “individualismo” ha trovato terreno fertile in un ambiente virtuale interconnesso, in cui ogni persona può far sentire la propria voce e trasformarsi essa stessa in un canale di comunicazione, dinamica che ha completamente stravolto il tradizionale rapporto tra i brand e gli individui: questi ultimi infatti non sono più i destinatari passivi di messaggi pubblicitari ma si pongono sempre più come interlocutori che si riconoscono sempre meno in target predefiniti e con i quali dover instaurare non solo un dialogo ma un’autentica relazione. Fondamentalmente, a rivoluzionare il mondo della comunicazione è stata l’interattività, che ha elevato gli individui allo stato di attori consapevoli ed attivi all’interno dei processi comunicativi. La diffusione degli smart mobile devices (soprattuto degli smartphone) e delle app, inoltre, ha contribuito sensibilmente allo sviluppo di nuove dinamiche comunicative, delle quali i concetti di interattività e personalizzazione sono il fulcro. Fin dai primi anni ’90, tecnologie come Custom View e Double Click hanno offerto degli strumenti utili a gestire i contenuti pubblicitari del web secondo criteri di rilevanza e pertinenza con il profilo degli utenti, sulla base di una targetizzazione considerevolmente più dettagliata.
66
Con il passare degli anni, fino alla contemporaneità, le diverse modalità comunicative dell’advertising sui social network, nonché innovazioni come il retargeting, il Real Time Advertising (ascrivibili al Programmatic Advertising) e il Native Advertising, con le loro potenzialità avanguardistiche, hanno proseguito l’evoluzione di forme di comunicazione “data-centriche”, meno intrusive, interruttive e pervasive e sempre più contestualizzate e pertinenti con gli interessi, i bisogni e le preferenze delle singole persone. Tuttavia, quanto appena illustrato in merito all’advertising online non rappresenta che una “faccia” della medaglia, nonché quella in condizione di subordine e minoranza rispetto al suo rovescio, perché, se è vero che fin dai primi anni l’advertising online ha esplorato tali potenzialità, è altrettanto vero che a prevalere su di esse sono state le medesime modalità pervasive ed interruttive dell’advertising tradizionale che, fin dai primi anni dell’advertising online, dopo aver attraversato tutti gli altri media, hanno invaso anche la dimensione del web, esprimendosi nelle forme di banner, pop-up, video pubblicitari in-stream, overlay ad e così via. Ciò che sostanzialmente si evince nell’analisi dello ”stato di salute” del digital advertising, pertanto, non è solo il persistere delle logiche proprie dell’advertising “tradizionale”, ma la manifesta incapacità, da parte delle innovative dinamiche comunicative dei nuovi media digitali, di affermarsi compiutamente e di imporsi su di esse. Al contrario, esse si ritrovano a vivere un rapporto conflittuale in una convivenza divenuta ormai critica. Le logiche dell’advertising tradizionale stanno manifestando una crescente inadeguatezza, a fronte di consumatori sempre meno passivi e sempre più abituati all’interattività, a concepire la comunicazione come un pattern personalizzato di applicazioni scelte in base alle proprie necessità, a tecnologie comunicative che guardano in direzione dell’automazione, dell’interconnessione, dell’intelligenza artificiale. La conseguenza di ciò è un generalizzato stato di insofferenza degli utenti, che si traduce nella crescente diffusione dei programmi di ad
CAPITOLO 1 | BREVE STORIA DELL’ADVERTISING
blocking, o nella cosiddetta YouTube Ad Crisis, per citare due esempi. In definitiva, l’advertising contemporaneo sta vivendo problematiche sempre più insostenibili e sta subendo uno scarto sempre più critico rispetto alla velocità dell’evoluzione delle nuove tecnologie comunicative, che stanno aprendo a scenari futuri rispetto ai quali gli individui si mostrano sempre più pronti e maturi. E questo a causa della perseveranza con la quale si serve di dinamiche comunicative dell’advertising tradizionale sempre più parte del passato e sempre meno compatibili con un futuro ormai alle porte. Innovazioni come il Programmatic Advertising o il Native Advertising possono essere considerate novità “apripista”, in grado di aprire la strada ad una nuova era della comunicazione, ma da sole sono insufficienti non solo a “debellare” le logiche pervasive ed interruttive dell’advertising del passato, ma anche a compiere una trasformazione della comunicazione pubblicitaria che avvenga al di fuori del digital advertising, “traghettando” la pubblicità offline verso le innovazioni di cui si fanno portatrici. In sostanza, esse non sono sufficienti a portare a compimento la profonda evoluzione di cui l’advertising ha bisogno, ma possono comunque rappresentare dei primi importanti passi in direzione di un nuovo advertising, sempre meno di massa e sempre più “sottile”, costruito a partire dalle istanze delle singole persone: pertanto, possono essere considerate, in un certo senso, come l’alba di un cambiamento paradigmatico.
67
CAPITOLO 2
Il bisogno di cambiamento dell’advertising
Nello scorso capitolo, quando si è parlato dello stato di insofferenza che le persone nella loro generalità stanno manifestando nei confronti del persistere delle pubblicità interruttive, decontestualizzate, impersonali e pervasive sia nell’advertising offline che in quello online, non ci riferiva semplicemente ad una generalizzata percezione negativa da parte del pubblico nei confronti di un certo tipo di pubblicità, ma ad un fenomeno che sta maturando da tempo, che ha prodotto, e produce tuttora, conseguenze di considerevole portata e che, allo stato attuale, non sembra sostanzialmente diminuire. Per arrivare all’analisi delle criticità contemporanee e per restituire un quadro più completo di queste ultime è utile, in questa sede, approfondire alcuni accadimenti significativi relativi al processo di trasformazione della società nel recente passato, poiché tali elementi precorsero, in un certo senso, le problematiche attuali.
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
2.1 Le criticità contemporanee e la necessità di un decisivo salto evolutivo
Sebbene nel precedente capitolo siano state considerate esclusivamente le trasformazioni tecnologiche all’origine del mutamento del rapporto tra advertising e consumatori, questo fu il prodotto anche di profonde trasformazioni economiche, culturali e sociali, insieme cause e conseguenze delle trasformazioni tecnologiche. Questa sorta di “risentimento verso la pubblicità” iniziò a svilupparsi già a partire dagli anni ’90, quando la diffusione della rete e delle tecnologie informatiche aprì nuovi canali di informazione agli utenti, sottraendo all’advertising il monopolio della comunicazione ed alimentando un maggiore senso critico delle persone, a partire dal quale nel 2000 si sarebbero sviluppate le attività di contestazione dei no-global. Seppur in questa sede possa risultare dispersivo, ai fini del percorso teorico che si intende proporre, approfondire le questioni inerenti al movimento no global, il millennium bug o la bolla speculativa legata alla new economy, è indicativo rilevare come a partire da quegli anni la pervasività dei messaggi pubblicitari sui media e nell’ambiente urbano divenne oggetto di grandi contestazioni, estese a livello internazionale, da parte di chi ne denunciava l’invadenza e l’aggressività (associate nella maggior parte dei casi agli effetti della globalizzazione).
Fig 2.1 Naomi Klein, autrice del saggio “No Logo”
70
A tal proposito è interessante citare, tra gli accadimenti significativi del recente passato, la pubblicazione di No Logo di Naomi Klein, giornalista canadese divenuta icona internazionale del movimento No Global: con il suo saggio Klein ha stimolato a livello globale lo sviluppo di una consapevolezza critica nei confronti delle multinazionali e delle loro strategie di marketing e di comunicazione pubblicitaria.
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
In No Logo scrive: «Negli ultimi anni la questione si è ingigantita a causa della crescente aggressività dei messaggi pubblicitari nel settore pubblico che ricoprono interi edifici e autobus e che invadono scuole, campi da basket e siti internet. Nel contempo, la proliferazione di quartieri cittadini brulicanti di centri commerciali ha creato un numero sempre maggiore di aree in cui gli avvisi pubblicitari sono i soli avvisi consentiti». In questo volume la giornalista simbolo dei movimenti di controinformazione del periodo (tra cui il movimento culture jamming), oltre che a contestare la pervasione degli spazi urbani e di quelli virtuali da parte della pubblicità, ne critica duramente l’aggressività e denuncia l’intenzione da parte delle multinazionali, con i propri messaggi, di perseguire finalità persuasive con intenti manipolatori invece di offrire valore e benefici autentici ai consumatori, mostrandosi sensibili alle loro necessità. Altri esempi indicativi a dimostrazione del fatto che la disapprovazione e il senso di inadeguatezza manifestato nei confronti delle vecchie modalità della comunicazione pubblicitaria di massa da parte di un pubblico sempre più maturo e consapevole rappresenti un fenomeno in evoluzione da diversi anni a livello internazionale, si trovano ancora negli anni successivi alla new economy, quando tale avversione non può essere più relegata all’opposizione ideologica No-Global e diventa invece ormai palese l’insinuarsi di un certo stato di insofferenza nell’opinione pubblica.
Fig 2.2 John Naish, giornalista del Time e autore del pamphlet “Enough” (tradotto in italiano con il titolo “Basta!”)
A testimonianza di quanto appena affermato vi è il pamphlet scritto dal giornalista del Time John Naish, dal titolo “Basta!”, alquanto rappresentativo dell’atmosfera che si respirava in quel periodo. A pagina 17 Naish scrive: «Ogni giorno siamo bombardati da almeno tremilacinquecento spot, uno ogni 15 secondi di veglia. Nel 2004, le aziende in tutto il mondo hanno speso più di duecentocinquanta miliardi di euro in pubblicità. Negli ultimi anni il numero di spot televisivi in Inghilterra è schizzato da tremila a ottomila e i nostri canali si sono moltiplicati da quattro a centoventitré. Ogni giorno vengono spedite dieci milioni di spam».
71
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Altri esempi delle reazioni oppositive alla pubblicità “sovrabbondante” e sorda rispetto alle mutate istanze dei consumatori sono rappresentati dal movimento belga R.A.P. (Résistance à l’Agression Publicitaire) o da quello giapponese AdSuck, iniziativa di contestazione nell’ambito della quale vengono scaricati migliaia di emoticon da internet per essere apposti sui manifesti ritenuti inappropriati ed aggressivi. Tali iniziative condividono molti aspetti in comune con il tipo di operazioni compiute dai movimenti di culture jamming, pratica contemporanea che si appropria della sintassi pubblicitaria, stravolgendola ed utilizzandola per veicolare messaggi di “contro-advertising” finalizzati alla contestazione dell’invasività dei messaggi pubblicitari veicolati dai mass media.
Fig 2.3 Messaggio di protesta su una pubblicità OOH di Parigi da parte della Résistance à l’Agression Publicitaire
Fig 2.4 Messaggi di protesta su una pubblicità OOH in Italia
Il culture jamming esprime una critica radicale del sistema economico che avviene per mezzo dello stravolgimento del suo apparato ideologico-pubblicitario, nel tentativo di liberare l’individuo dal ruolo di ricevente passivo e indurlo ad un consumo critico e consapevole del linguaggio dei media. Particolarmente utili per dare una visione d’insieme delle criticità contemporanee dell’advertising, descrivendo la loro radicazione nelle trasformazioni degli anni passati, sono alcuni severi provvedimenti contro l’invasività pubblicitaria assunti da esponenti politici di diversi Paesi nell’ultimo decennio, che restituiscono efficacemente la dimensione di questa generalizzata avversione alla pervasività dell’advertising e delle sue profonde implicazioni sociali. Gilberto Kassab, sindaco di San Paolo, in Brasile, nel 2006 propose il disegno di legge “Cidade Limpa”, tramite il quale era intenzionato ad impedire ogni forma di pubblicità esterna, argomentando la sua decisione con la necessità di combattere l’urban spam, l’inquinamento visivo prodotto dalla “sovrabbondanza” dell’advertising nelle città, e migliorare il paesaggio urbano. Iniziativa simile fu quella del presidente francese Nico-
72
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Fig 2.5 Manifestazione Culture Jamming negli USA
las Sarkozy, che da gennaio 2009 eliminò tutti gli spot pubblicitari in fascia serale dai cinque canali di stato, estendendo l’editto a tutte le ore del giorno a partire da gennaio 2012. Fece seguito a Sarkozy, solo pochi mesi dopo, il presidente spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero, con un disegno di legge analogo, volto all’eliminazione della pubblicità dalle reti pubbliche spagnole. In definitiva, non solo come affermato da Paolo Iabichino in Invertising, «la pubblicità che gonfia i conti, invade, eccede, straborda, faticava a trovare l’ascendente sul pubblico a cui era destinata» ma iniziava ad essere sempre
più concepita come un vero e proprio “agente inquinante”, che invade tutti gli spazi possibili con l’esclusiva finalità di massimizzare la copertura sul proprio target, senza curarsi del disturbo, se non addirittura del disagio, arrecato a chi viene colpito da messaggi incoerenti, o perfino “sbagliati” rispetto al proprio profilo. Gli esempi prima citati con riferimento al mezzo televisivo si possono riassumere in una sorta di equazione che associa la tv di qualità all’assenza di pubblicità e sono perfettamente sintomatici del cattivo stato di salute che affliggeva l’advertising solo pochi anni fa e che al giorno d’oggi, sebbene sia stata introdotta qualche salutare innovazione nell’ambito dei digital advertising, lo rende anco-
73
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
ra, nel suo complesso, considerevolmente claudicante. Inoltre, il fatto che tali innovazioni abbiano riguardato specificatamente l’advertising online ha avuto come conseguenza quella che può essere definita come una sorta di “stagnazione” delle vecchie logiche della pubblicità tradizionale in un advertising offline che, nello scenario contemporaneo, non ha compiuto significativi passi avanti e che continua ad essere quasi invariabilmente afflitto dagli stessi problemi di alcuni anni fà, esemplificati dagli accadimenti appena riportati (non sono bastate né la crescente crossmedialità della comunicazione pubblicitaria, né alcune innovazioni come le smart tv ad indicare una prospettiva compiutamente risolutiva). Le motivazioni di questa sorta di “crollo del consenso” nei confronti della pubblicità, che a partire dal 2000 accelerò la propria ascesa, vengono efficacemente illustrate da Enrico Finzi (presidente di Astra ricerche), che in occasione di un’intervista rilasciata a Paolo Iabichino afferma: «Aver calcato la mano con troppi annunci, troppo invasivi, troppo disturbanti, ha finito per determinare il paradossale indebolimento dei mezzi costituenti il contesto dei messaggi pubblicitari: per esempio, l’asservimento di molti periodici alla pubblicità, con la conseguente perdita di credibilità e di appeal editoriali, ha finito per segare le gambe della poltrona su cui stavano assisi i messaggi pubblicitari (…). Con un’aggiunta davvero preoccupante: abbiamo assistito alla vittoria di una sorta d “pensiero unico” che, diffondendo omologazione e conformismo, ha negato e nega alla radice quella “differenza sorprendente” che è alla radice la creatività (tra l’altro, non solo pubblicitaria). (…) E poi (anzi: prima di tutto) c’è il continuo calo di stima e dell’affetto collettivi nei confronti dell’advertising». Sintetizzando le parole di Finzi, è possibile rilevare come secondo lui l’invasività pubblicitaria abbia determinato l’indebolimento dei mezzi di comunicazione attraverso i quali venivano veicolati i messaggi, e come l’omologazione della comunicazione, priva della necessaria capacità di differenziarsi sulla base delle specificità de pubblici, abbia influito negativamente sula creatività degli annunci, che apparivano dunque standardizzati, omologanti, rivolti a
74
cluster ancora troppo estesi, a target di massa approssimativamente segmentati. In sostanza, invasività ed indifferenziazione dei messaggi hanno inciso negativamente sull’advertising, compromettendone la qualità e generando una crescente disaffezione da parte del pubblico. Come è stato detto nel precedente capitolo, la causa principale per cui si è radicalizzata l’avversione alla pervasività dell’advertising tradizionale è stata dunque l’affermazione della rete e la diffusione delle tecnologie informatiche, che hanno portato a nuovi livelli di consapevolezza e sono diventate nuovi strumenti di conoscenza capaci di generare un processo di autodefinizione delle persone come individui aventi diritto di far valere la propria unicità e non più disposti a riconoscersi nei target di massa definiti dalle indagini di mercato. Inoltre le potenzialità di internet e dei nuovi sistemi di comunicazione digitali hanno reso le persone consapevoli della possibilità di un nuovo modo di fare comunicazione, in cui esse assumono un ruolo attivo e non più passivo; hanno offerto nuovi e potenti canali di informazione, hanno introdotto l’interattività, la possibilità di scegliere i contenuti e di “navigare” tra di essi in base alla propria volontà. A fronte di tutto ciò la comunicazione di massa dell’advertising tradizionale ha cominciato a mostrare tutta la sua inadeguatezza e la sua insufficienza, ad essere sempre più distante da queste nuove istanze e ad entrare spesso in conflitto con questi nuovi “consumatori 2.0”, sempre meno disposti a sottostare alle vecchie logiche pubblicitarie. Anche in questo caso, a testimonianza di questa maturazione dei consumatori, è possibile citare diverse pubblicazioni, nelle quali si guarda con interesse (e talvolta, da parte dei pubblicitari, con una certa dose di apprensione) al mutamento sociale in corso. La copertina del settimanale Time del 2007 è emblematica delle mutate istanze dei consumatori di cui si dovette prendere atto a partire da quegli anni e che oggi, ancor più di ieri, si impongono in tutta la loro forza nel contemporaneo scenario della comunicazione. Prima di descriverne il contenuto, è necessario premettere che
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Fig 2.6 Copertina del Time, 2007
75
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
l’ultima copia dell’anno del settimanale era, ed è, tra quelle più attese dai giornalisti di tutto il mondo: al suo interno, infatti, figura quella che, secondo il periodico, è “The person of the year”, il personaggio più importante ed influente dell’anno appena trascorso. E nel 2007, al posto del volto autorevole della “persona dell’anno”, ad occupare la copertina di Time vi era curiosamente il monitor di un computer, nel quale era visualizzata l’unica scritta “You”, dalle dimensioni e dal peso decisamente importanti. Sotto al monitor il sottotitolo recitava: «Sì, proprio tu. Tu controlli l’Età dell’informazione. Benvenuto nel tuo mondo». Risulta superfluo parafrasare quanto titolato dal Time, già estremamente chiaro di per sé, ma in questa sede si vuole sottolineare l’importanza e la portata rivoluzionaria di quella copertina (che sarebbe diventata presto iconica): per la prima volta, infatti, su una celeberrima rivista rinomata a livello internazionale, la persona dell’anno è l’uomo comune, a cui viene ufficialmente riconosciuto il potere decisionale nei processi comunicativi, e che la rete e le nuove tecnologie digitali hanno trasformato da destinatario passivo di comunicazioni di massa artefatte e precostruite a protagonista attivo della comunicazione, un interlocutore con il quale interagire, dialogare, e non più monologare. Alla copertina del Time fece seguito, nella pubblica “proclamazione di questa nuova era”, un’altra famosissima testata: si tratta di Wired, la rivista americana già citata nello scorso capitolo che, ribadiamolo, rappresentava e rappresenta tutt’oggi il punto di riferimento in ambito dell’innovazione tecnologica e dell’evoluzione del web. Essa, per annunciare questa svolta epocale ormai giunta a maturazione, titolò, sempre nel 2007, “Get Naked”. Questo titolo, scelto da Chris Anderson (direttore editoriale di Wired degli Stati Uniti) e accompagnato dalla foto senza veli dell’attrice Jenny Fischer, protagonista della serie televisiva “The Office”, non lascia margini all’obbligatorietà di intraprendere nuovi percorsi. Esso rappresentava un’esortazione alle aziende che comunicano sul web di abbandonare, insieme alla falsa illusione di essere le uniche a comandare i giochi nel
76
mondo della comunicazione e di tenere le redini dei flussi comunicativi, le vecchie logiche pubblicitarie che le avevano condotto alla presunzione di poter costruire contenuti ad arte da somministrare ai destinatari dei propri messaggi con intenti persuasivi (se non addirittura, in alcuni deprecabili casi e tradendo l’etica della comunicazione, coercitivi). I brand dovevano prendere coscienza del nuovo ruolo dei consumatori e delle loro nuove capacità di informarsi e rendersi parte attiva della comunicazione, e quindi mettersi a nudo, non solo per scongiurare il rischio di essere scoperti qualora avessero cose da nascondere, ma in quanto abbandonare finzioni e sovrastrutture diventa il valore determinante per relazionarsi con un mercato che, grazie al potere della rete, accede direttamente alle informazioni disintermendiando i processi. Come è stato detto nel primo capitolo, l’affermazione e l’evoluzione dei social media giocarono un ruolo determinate nell’accrescimento di queste nuove facoltà di connessione e interrelazione delle persone in rete, favorirono il dialogo diretto con i brand, le conversazioni e lo scambio di informazioni tra gli utenti e stravolsero gli equilibri nei rapporti tra produttori e consumatori. Gli individui acquisirono sempre più potere nei confronti dei brand, sottraendosi dalla condizione di passività, dialogando direttamente con essi e manifestando pubblicamente le proprie opinioni, forti della possibilità di avvalersi di nuovi e diversi canali di informazione, non più monopolizzati dalle marche, ma costituiti da una rete globale di persone intenzionate a far valere la propria voce (l’importanza acquisita dalle pr digitali e le opportunità per i brand offerte dalla collaborazione con influencer, quali blogger e youtubers con grande seguito sul web, sono, come è stato approfondito nel primo capitolo, una diretta conseguenza di ciò) . Risulta quindi facile capire come, con la diffusione dei social network, quel “Get Naked” di Wired (e quindi la necessità da parte dei brand di relazionarsi con i consumatori assumendo i concetti di “trasparenza” e ”verità”
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Fig 2.7 Copertina di Wired, 2007
come linee guida del proprio modus operandi) rappresentò, per molte aziende, un cambio di direzione sempre più necessario nelle proprie politiche di marketing,. In sintesi, gli aspetti più interessanti che, a valle di quanto appena esposto, è possibile mettere in luce nell’ambito delle trasformazioni tecnologiche, sociali e culturali di questo processo di mutamento dello scenario del mercato e del mondo della comunicazione, possono essere così riassunti: si è verificato il passaggio degli individui da consumatori passivi ad interlocutori attivi, che in virtù della loro capacità di accedere alle informazioni in rete sono diventati sempre più consapevoli e critici ed hanno acquisito
autorevolezza nei processi comunicativi; per questo motivo, i concetti di target di massa, di cluster psico-socio-demografici, sono diventati sempre più inadatti rispetto alle nuove stanze degli individui: i gruppi di appartenenza hanno lasciato il posto all’individualismo delle singole persone, ciascuna con le proprie specificità e intenzionata a dare voce alla propria identità; di conseguenza, le preferenze di acquisto di questi “consumatori 2.0” sono passate, dall’essere basate sui valori assoluti dei prodotti, all’essere orientate dall’opportunità individuale di consumo e la comunicazione dei brand ha compreso la necessità di orientarsi prevalentemente verso l’esperienza individuale dei clienti, piuttosto che verso la persuasione pubblicitaria e la “semplice” narrazione di
77
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
marca (a loro volta succedute alla comunicazione informativa del passato). In questo quadro, riprendendo quanto affermato ad inizio capitolo, è facile comprendere come la comunicazione di massa e certe logiche dell’advertising tradizionale appaiano sempre più distanti ed inadeguate rispetto a queste nuove istanze degli individui, tutt’ora in evoluzione. La situazione dai primi anni del 2000 al giorno d’oggi ha compiuto considerevoli passi avanti nel proporre soluzioni alle problematiche precedentemente descritte. Se è vero che la rete e le nuove tecnologie informatiche possano essere considerate indirettamente all’origine delle criticità che l’advertising sta da anni attraversando (avendo proiettato gli individui verso inedite dinamiche comunicative nei confronti delle quali l’advertising non è riuscito a stare sufficientemente al passo), è altrettanto vero che, fin dai primi anni, hanno consentito allo stesso tempo lo sviluppo di innovazioni atte alla limitazione della pervasività pubblicitaria e ad una gestione più mirata dell’advertising (questo però in riferimento al solo advertising online: ribadiamo ancora una volta che l’advertising offline non aveva infatti subito sostanziali cambiamenti e continuava ad essere afflitto dalle medesime problematiche che avevano portato nei primi anni del 2000 ai fenomeni di contestazione prima illustrati). Nonostante questi sforzi (di cui innovazioni come il programmatic advertising e le pubblicità native rappresentano le ultime espressioni), la pervasività e le logiche interruttive non sono state affatto “debellate” dall’advertising online, tant’è che anche nello scenario contemporaneo le risposte negative degli utenti a queste modalità comunicative hanno prodotto conseguenze concrete e dalle dimensioni misurabili, destinate a radicalizzarsi in assenza di un’efficacie chiave risolutiva. L’incremento di fenomeni come la banner fatigue e la banner blindness presso gli utenti, attestata dai recenti dati, e in generale dell’inefficacia delle forme pubblicitarie tradizionali traslate nell’ambiente online, si pongono in perfetta continuità con la diffusione a macchia d’olio dei programmi di ad blocking che sta avvenendo al giorno d’oggi, fatto che rappresenta un segnale decisamente
78
preoccupante e particolarmente sintomatico della crisi dell’advertising che si perpetua nella contemporaneità. Sebbene già da diversi anni i produttori dei browser avessero integrato nei loro prodotti la possibilità di bloccare gli annunci pubblicitari (ad esempio con i pop-up blocker, programmi finalizzati a contrastare l’invadenza dei pop-up pubblicitari che sempre meno stavano incontrando il favore degli utenti), il fenomeno è scoppiato soprattutto a partire dal 2015, con la contemporanea uscita del sistema operativo iOS9 e il lancio di nuovi servizi come Facebook Istant Articles e Apple News, che consentono di gestire direttamente la visualizzazione della pubblicità (o parte di essa) sulle bacheche e sulle app utilizzate dagli utenti: Apple iOS9 consente il blocco dei contenuti pubblicitari per la versione mobile del suo browser Safari, mentre per quanto riguarda la navigazione desktop attraverso i browser Firefox, Chrome, Safari ed Internet Explorer sono disponibili già da alcuni anni app ed estensioni in grado di inibire i comandi JavaScript di alcuni annunci pubblicitari. Tra i vari plug-in che consentono di gestire le modalità di visualizzazione dell’advertising sul web, i più diffusi sono un gruppo di estensioni che analizzano i codici dei siti per impedire che vengano caricati gli annunci.
Fig 2.8 Adblock Plus interface
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Rispetto al 2015, secondo un’indagine condotta da PageFair su scala globale, nel 2016 si è verificato un aumento del 30% degli ad blocker. Nel mondo sono circa 625 milioni i dispositivi (pc, smartphone o tablet) su cui sono stati installati programmi per il blocco dell’advertising online, ossia ben l’11% del totale. Il 62% dei devices su cui vengono utilizzati gli ad blocker sono smartphone e tablet, i dispositivi che hanno avuto il maggior incremento negli ultimi anni. Dal dicembre 2015 al dicembre 2016 il numero dei pc desktop dotati di ad blocker sono passati da 181 milioni a 236 milioni, mentre per i dispositivi mobile l’incremento è stato ancor più significativo, passando da 145 milioni a 376 milioni. Nel 2017 quasi 200 milioni di persone utilizzano abitualmente ad blocker, un numero che, se nel prossimo futuro non verranno adottate le necessarie contromisure, è destinato a crescere sempre di più nei prossimi anni.
I risultati delle ricerche di PageFair incontrano perfettamente quanto scritto da Accenture nella sua indagine del 2016, nella quale si rileva che la maggior parte degli individui intervistati dichiara di aspettarsi un aumento della pervasività pubblicitaria online e offline, nei prossimi anni. Il Digital Marketing Manager di Accenture, nel suddetto documento, afferma che «gli ad blocker rappresentano il modo dei consumatori per dire basta: basta a messaggi non necessari, non voluti, irrilevanti». Ed aggiunge: «le aziende non intenzionate ad investire nella personalizzazione faranno davvero molta fatica a sopravvivere al futuro. Tuttavia la risposta non è il retargeting: i consumatori si evolvono troppo in fretta. Essi vogliono il messaggio giusto, nel momento giusto, sul giusto device, e lo vogliono subito. In altre parole, i consumatori dovranno trovare qualcosa di valore negli annunci affinché questi
Fig 2.9 Crescita dei download dei mobile ad blocker da Gennaio 2015 a Gennaio 2016, indagine di PageFair
79
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
singoli individui». Oltre che alla diffusione degli ad blocker, vi sono numerosi altri indicatori delle criticità che l’advertising contemporaneo (sia online che offline) sta attraversando; tuttavia, per evitare singole trattazioni eccessivamente prolisse ci si limiterà a fare particolare riferimento ad un ulteriore fenomeno significativamente esemplificativo dei problemi che attualmente affliggono lo scenario della pubblicità: la cosiddetta “YouTube Ad Crisis” (o “Adpocalypse” come è stata recentemente ribattezzata), una delle questioni più scottanti dell’advertising online contemporaneo, che in aggiunta ai problemi della pubblicità su questo social network presi in esame nel precedente capitolo, contribuisce ad aggravare una situazione già di per sé instabile.
Fig 2.10 Principali motivazioni per lo scaricamento degli ad blocker, indagine di PageFair
siano efficaci, e ciò significa che le aziende dovranno sapere molto di più delle persone rispetto ai soli genere ed età. In generale, sarà necessario adottare un approccio decisamente più olistico al fine di conoscere i comportamenti delle persone ad un livello più profondo». Sempre secondo Accenture, questo approccio olistico non è ancora compiutamente raggiungibile allo stato attuale; nello stesso documento si afferma: «sia i buyers che i sellers hanno bisogno di una conoscenza a 360 gradi dei consumatori per migliorare il ROI ed aumentare i profitti. Ma ottenere questa conoscenza non è ancora possibile a causa della frammentazione dei dati (provenienti da diversi device e su più database). Ecco perché la maggioranza dei buyers e dei sellers aspira a potersi servire di un database centralizzato per la gestione dei dati degli individui, con lo scopo di affinare le capacità di analisi ed acquisire le informazioni necessarie a strutturare messaggi più mirati e personalizzati sui
80
Una delle modalità pubblicitarie su YouTube analizzate nel precedente capitolo riguarda l’opportunità, da parte dei brand, di beneficiare in termini promozionali della reputazione di YouTuber divenuti celebri sulla piattaforma e, più in generale, di essere associati a contenuti in grado di influire positivamente sulla propria immagine. Ma se il criterio secondo il quale vengono determinate le associazioni tra le pubblicità e i video principali non è strutturato efficientemente, a causa di un algoritmo non abbastanza evoluto, gli effetti negativi prodotti da accostamenti inopportuni possono condurre a danni considerevoli per l’immagine delle aziende. Ed è proprio questo il motivo per cui, al giorno d’oggi, si sta verificando un preoccupante boicottaggio di YouTube ad opera di molte di esse. La crisi di YouTube si è scatenata proprio a partire dal momento in cui gli inserzionisti hanno cominciato a notare che le loro pubblicità venivano riprodotte in associazione a video da essi ritenuti non in linea, o talvolta perfino nocivi, rispetto all’immagine di marca dei prodotti pubblicizzati. Il caso, prima di assumere dimensioni globali, è esploso inizialmente in Gran Bretagna, in cui molte aziende hanno deciso di abbandonare la piattaforma dopo che un’indagine aveva dimostrato pubblicamente come molti
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
annunci di importanti brand venissero visualizzati anche all’interno di video dai contenuti offensivi ed irrispettosi nei confronti di intere categorie di persone o comunque generalmente deplorevoli in quanto contrari all’etica pubblica (non sono risultati infrequenti, ad esempio, pubblicità inserite perfino all’interno dei video di organizzazioni terroristiche). Sebbene questa indagine si sia focalizzata sui casi più estremi, essa ha comunque dimostrato, con un’inchiesta dal grande impatto, la fallibilità della gestione programmatica della pubblicità su YouTube, portando alla luce numerosi altri casi di associazioni negative tra brand e video caricati sulla piattaforma ed innescando una reazione a catena che ha portato sempre più aziende a rinunciare alla pubblicità su questo social media generando un fenomeno sempre più esteso a livello internazionale. I brand che hanno deciso di abbandonare definitivamente YouTube come canale pubblicitario, allo stato attuale, sono più di 250, un numero decisamente allarmante, e ancor più allarmante è il fatto che questo fenomeno abbia coinvolto perfino multinazionali come PepsiCo, Starbucks, Wal-Mart e McDonald’s. Questa migrazione sta destando inoltre l’apprensione di molti YouTuber, preoccupati di non riuscire più a monetizzare a causa della sottrazione di pubblicità e pagamenti ai propri canali, e sta generando una reazione a catena dalle conseguenze sempre più critiche, poiché molti influencer hanno già spostato la propria attività su altre piattaforme, come Twitch. Gli effetti di questa “duplice migrazione” incidono pesantemente sui bilanci di Google, che ha visto calare i propri introiti pubblicitari di 750 milioni di dollari. Le insufficienze del programmatic advertising ovviamente non riguardano esclusivamente YouTube ma, se costituiscono ostacoli mediamente trascurabili su altri siti a fronte di un sostanziale miglioramento dell’ad targeting, rappresentano un problema di tutt’altra entità su questa piattaforma, dal momento che risulta essere il terzo sito più visitato al mondo.
Il fenomeno appena descritto palesa i limiti della pubblicità programmatica che, seppur rappresenti un fattore decisamente positivo e su cui puntare nella prospettiva dell’evoluzione dell’advertising online, risulta essere una tecnologia ancora immatura rispetto all’obiettivo di ottenere una gestione precisa e capillare dei contenuti pubblicitari secondo criteri di pertinenza e coerenza con il contesto in cui sono inseriti e con il profilo di chi li visualizza. Massimo Sideri, giornalista del Corriere della Sera, sull’uscita del 2 aprile 2017, scrive: «Avete presente quella sensazione di essere letteralmente inseguiti dalla pubblicità? A chiunque è capitato di guardare online o anche comprare un paio di scarpe di una data marca per vedersele poi comparire a ogni angolo del web per settimane. Si chiama pubblicità programmatica, si basa su un software che vi insegue sulla base della profilazione personale e le promesse sono molto alte (…) Peccato che non funzioni: il recente caso scoppiato su Youtube, con i brand di alcune società come Audi che venivano associati a fake news o addirittura a siti neo-nazisti che inneggiavano all’odio razziale, ha creato un inatteso test ancora più imbarazzante per chi prometteva così tanto». Tanto che, come riporta ancora Sideri: «La banca d’affari americana JPMorgan Chase, ha raccontato il New York Times, è passata dal programmare la pubblicità su 400 mila siti ad appena 5 mila (…). Nel caso di JPMorgan, la loro pubblicità era finita su siti online come “Hillary 4 prison”, con un effetto doppio: una cattiva immagine per il brand si associava al fatto che una parte dei ricavi, grazie al sistema di revenue sharing, andava proprio ad alimentare siti di fake news o associazioni estremiste (la pubblicità della Bbc era finita sugli spazi online di predicatori estremisti dell’Islam banditi dalla Gran Bretagna). La pubblicità programmatica si basa sull’enorme numero di piccole presenze online. Il network di Google per la pubblicità display ne comprende oltre due milioni. Youtube arriva a tre milioni. Ma ora il test involontario causato dal ritiro della pubblicità di questo genere da parte di grandi committenti, tra cui il gigante della pubblicità
81
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Havas, potrebbe svelare metriche che le società probabilmente conoscevano ma che non volevano diffondere: i grandi numeri e le pubblicità online a pioggia potrebbero essere molto distanti dalla promessa di catturare, grazie a complessi algoritmi, il consumatore giusto proprio mentre sta per tirare fuori la carta di credito». A valle di quanto approfondito all’interno di questo paragrafo è possibile considerare, in modo riassuntivo, come le criticità che hanno iniziato a maturare significativamente con l’avvento del web e la diffusione delle nuove tecnologie digitali continuino ad affliggere l’advertising contemporaneo, tanto quello offline quanto quello online. E non sono state sufficienti le innovazioni del digital advertising a porsi come soluzioni salvifiche del settore pubblicitario nel suo complesso (né tanto meno del solo settore della pubblicità online), seppur abbiano rappresentato in una qualche misura degli slanci positivi verso una possibile evoluzione; tali innovazioni hanno infatti mostrato, talvolta, limiti in grado di generare ulteriori gravi problematiche. Inoltre non è bastata nemmeno la progressiva convergenza mediale a in corso nella contemporaneità a produrre una contaminazione tra pubblicità online ed offline in grado di consentire che i progressi della prima si ripercuotessero positivamente sulla seconda.
più lontani dalle logiche pubblicitarie del passato. Pur facendo riferimento all’advertising italiano, le parole di Boggi possono essere considerate rappresentative di un sentimento generale che nel mondo sta dilagando sempre di più nei confronti dell’advertising contemporaneo; infatti egli scrive: «Mi chiedo, e parlo da semplice cittadino e “consumatore”: quando potremo assistere a un salto di qualità nei contenuti pubblicitari? Ma possibile che nel 2017 ci siano ancora agenzie che puntano sull’attore americano cui fare interpretare scenette improbabili per dirti quanto è buono il caffe, o lo spagnolo che sforna biscotti mentre discute con le galline o il cowboy che in sella a un cavallo ti vuole vendere carne in scatola italiana o decine di altri semplicemente imbarazzanti per superficialità, e per non dire di come presentano le donne che ormai si usano per vendere persino un olio motore?» I toni caustici utilizzati da Boggi evocano, in una certa misura, quel “Basta!” con cui John Naish aveva intitolato il proprio pamphlet più di 10 anni fa, a dimostrazione del fatto che lo stato di disaffezione e di gli atteggiamenti oppositivi del pubblico nei confronti dell’advertising non hanno subito fondamentalmente sostanziali mutazioni nello scenario contemporaneo.
In sostanza, nonostante alcuni sforzi in direzione del cambiamento, rivelatisi insufficienti, l’attuale pubblicità online e offline è ancora considerevolmente condizionata dalle logiche pubblicitarie del passato ed è ancora in larga parte invasiva, interruttiva, decontestualizzata, massificata, incapace di connettersi ai singoli utenti e incoerente rispetto alle specifiche caratteristiche di questi ultimi.
Ovviamente l’attuale crisi dell’advertising si traduce anche in numeri e in conti economici, e risulta ulteriormente chiara se si prendono in esame gli ultimi dati rilevati da Nielsen (multinazionale statunitense leader nelle analisi di mercato) sull’andamento del mercato pubblicitario mondiale, che ne evidenziano le considerevoli perdite negli ultimi anni.
Non a caso, in un articolo del 27 aprile 2017 su IlFattoQuotidiano.it Paolo Boggi sottolinea come l’advertising contemporaneo sia ancora in larga parte succube dei vecchi stilemi e delle vecchie modalità comunicative della pubblicità tradizionale e si mostri complessivamente incapace di rinnovarsi in modo sostanziale e di adeguarsi ai tempi ormai maturi per il compimento di un decisivo, e quanto mai necessario, salto evolutivo, attraverso il quale poter incontrare le nuove istanze di consumatori sempre
Per avere un’idea dell’entità di questa crisi si pensi che Il mercato degli investimenti pubblicitari, stando alle statistiche riportate da Nielsen, nonostante la lenta ma incoraggiante ripresa economica, ad agosto 2016 ha chiuso a -11,3% rispetto allo stesso mese del 2015, registrando una riduzione tendenziale del -2,7% per il periodo gennaio - agosto.
82
I quotidiani, a distanza di un solo anno, hanno subito
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
una flessione del - 10,3%, i periodici del - 10,5%, la radio del - 3,9%, l’advertising outdoor del - 0,2%, il transit advertising del - 4.9%, l’out of home tv del -13,8%, il cinema -29,9% e le direct mail del - 9,1%. Le uniche eccezioni che attestano una lieve crescita, per quanto effimera, sono i dati relativi alla televisione e ad internet, cresciuti entrambi dello 0,9% rispetto all’anno precedente. Il fatto che queste criticità stiano maturando già dai primi anni del 2000 dà una dimensione dell’urgenza con la quale si presenta necessario individuare le giuste “leve” che consentirebbero all’advertising di tornare “al passo con i tempi” e colmare lo scarto che, nel suo complesso, attualmente lo separa dai nuovi consumatori. Inoltre nel prossimo futuro, nel mondo della comunicazione e non solo, si verificheranno profondi cambiamenti, in particolar modo tecnologici: si pensi all’intelligenza artificiale, ai sistemi di automazione e all’interconnessione del mondo fisico; è solo questione di tempo prima che queste innovazioni rivoluzionarie esploderanno, travolgendo la società a tutti i livelli ed incontrando le istanze dei nuovi consumatori (soprattutto delle ultime generazioni), che già oggi si mostrano maturi e pronti ad essere introdotti in questi nuovi scenari, dal momento che possiedono sempre maggiore familiarità con tecnologie e sistemi di comunicazione che rappresentano lo stadio embrionale di questo progresso (gli smart objects sopra tutti). E se è vero che questa evoluzione dell’advertising sarà particolarmente necessaria per i brand dei grandi sistemi commerciali e che per molte realtà commerciali medio-piccole continueranno, per lo meno ancora per diversi anni, ad essere sufficienti le modalità comunicative tradizionali, è altrettanto vero che anche quest’ultime, non essendo immuni dalle problematiche approfondite fin qui, potrebbero ottenere considerevoli benefici qualora si individuasse una chiave risolutiva di questi problemi in grado di favorire l’evoluzione dell’intero settore.
investire per potersi evolvere; e dal momento che siamo attualmente all’alba di profonde innovazioni tecnologiche nel mondo della comunicazione, dovrà mostrarsi capace di essere “al passo con i tempi” e ricercare le soluzioni all’interno dei nuovi scenari che si prefigurano. Infine, poiché le criticità sopra descritte si stanno radicalizzando da diversi anni e l’esplosione di nuove tecnologie, ormai alle porte, proietterà i consumatori in un futuro al quale sono già pronti, è evidente come questo cambiamento sia sempre più urgente. Al contrario, perseverare con le vecchie logiche della pubblicità tradizionale significherà per l’advertising restare sempre più indietro ed incorrere in un inevitabile declino. Fino a questo punto della trattazione, dopo aver descritto la fenomenologia dell’advertising nella storia e aver ripercorso le sue principali fasi evolutive fino all’attualità, sono state messe in luce le criticità dell’advertising contemporaneo nel tentativo di dimostrare come sia necessario che la comunicazione pubblicitaria dei brand compia, con una certa urgenza, un decisivo salto evolutivo. Tuttavia non è stato ancora approfondito quali sono, di conseguenza, gli obiettivi esatti che l’advertising, in particolar modo la pubblicità dei grandi sistemi commerciali, dovrà perseguire nel prossimo futuro, per superare la crisi contemporanea. A tal proposito, nei prossimi due paragrafi verranno esposte le idee in merito di prominenti professionisti del settore, al fine di acquisire punti di vista autorevoli a partire dai quali poter enucleare gli elementi essenziali per definire una condivisa prospettiva da perseguire e sulla base dei quali costruire e sistematizzare la tesi che si intende sostenere in questo elaborato.
In sostanza, l’advertising contemporaneo vedrà erodersi sempre di più alcuni dei propri “vecchi pilastri” e dovrà comprendere quali saranno le giuste strade su cui
83
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
2.2 Il concetto di “Invertising” di Paolo Iabichino
Paolo Iabichino, Chief Creative Officer di Ogilvy & Mather Italy, all’interno del suo libro “Inverstising ovvero, se la pubblicità cambia il suo senso di marcia” espone approfonditamente le proprie idee in merito al futuro dell’advertising, a partire dalla dissertazione sulle cause della crisi che continua da anni, seppure con alcune fluttuazioni, ad affliggere il mondo della pubblicità (argomentazioni dell’autore a cui si è fatto accenno nel paragrafo precedente). Con il suo saggio, Iabichino si propone di individuare i percorsi da intraprendere per condurre l’advertising verso nuovi paradigmi in grado di sovvertire i precedenti secondo una nuova concezione della comunicazione pubblicitaria che si ponga come rivoluzionaria rispetto a quella tradizionalmente assunta fino ad oggi.
Fig 2.11 Paolo Iabichino, Chief Creative Officer di Ogilvy & Mather Italy
In occasione del keynote intitolato “Pubblicità fa rima con Identità”, che si è tenuto nell’ambito del quarto festival dell’economia di Trento, Paolo Iabichino presenta per la prima volta il concetto di Invertising e introduce il proprio discorso con queste parole: «In una società sempre più fluida e attraversata da così profondi travolgimenti ha ancora senso scegliere un target per le proprie comunicazioni? (…) Forse si sta consumando la fine dell’advertising per come è stato inteso fino a qui. » Con queste parole egli ha inteso evidenziare l’incompatibilità tra i nuovi consumatori e la pubblicità rivolta a target di massa: l’ormai fallimentare approccio push e la diffusione a pioggia di messaggi pubblicitari con l’intento di colpire, nella massa, il proprio target, non solo alimenta l’advertising waste (termine che definisce lo “spreco” di un messaggio pubblicitario che, invadendo
84
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
più spazi possibili con la finalità di intercettare il maggior numero di destinatari che possano considerarlo per se stessi rilevante, finisce per lo più per essere subito dalla maggioranza di essi, che ne accusa la pervasività, non essendo interessata ai suoi contenuti) ma sta producendo sempre più effetti nocivi per la società e per il mondo della comunicazione. In un certo senso, i rifiuti comunicativi prodotti con l’approccio push sono veri e propri rifiuti tossici che contaminano gli ambienti della narrazione pubblicitaria ed incidono pesantemente sui bilanci delle aziende, non generando ROI. Nell’ambito dell’analisi condotta da Iabichino sulle origini della crisi della pubblicità, dal momento che nello sviluppo di gran parte delle argomentazioni proposte nel precedente capitolo si è attinto dalle parole dello stesso autore, ci si intende soffermare di seguito in particolar modo su due aspetti (affrontati all’interno di Invertising) di questo processo di trasformazione tecnologico, sociale e culturale all’origine delle criticità dell’advertising contemporaneo (come è stato detto, da anni in fase di maturazione ed innescate dall’affermazione del web e dei devices digitali), in quanto possono essere considerati in una qualche misura ispiratori del concetto di Invertising elaborato dall’autore. Il primo aspetto riguarda la nascita di nuovi approcci alle teorie di marketing, che nacquero proprio a partire dalla necessità di riconsiderare i vecchi paradigmi di questa disciplina: esso offre infatti una chiave di lettura particolarmente significativa dell’insieme di questi fenomeni. Alla fine degli anni ’90 fu Philip Kotler, lo stesso teorico delle celebri “4 P”, a formulare le “4 C”: Cliente, Customer value, Costo per Cliente e Comunicazione. Estremamente indicativo è il fatto che lo stesso Kotler si rese conto della necessità di focalizzare le strategie di marketing proprio sul “Cliente”, divenuto protagonista fondamentale del mercato e non più semplicemente parte “inerme” ascrivibile ad un cluster demografico, idea che si pone perfettamente in continuità con il messaggio
espresso dalla copertina del Time del 2007, descritta nel precedente paragrafo, e con quel computer che indicava il nuovo consumatore come la figura più influente dell’anno appena tarscorso nel panorama del nuovo mercato interconnesso. Indicativo è ancora come la P di Promozione si sia trasformata nella C di Comunicazione, a sottolineare la necessità di ragionare sempre meno in un’ottica informativa o persuasiva e sempre più in un’ottica relazionale (la comunicazione, per sua definizione, prevede uno scambio di informazioni). Fecero seguito alle 4 C di Kotler le 7 T, Transparency, Talk, Try, Tell, True, Trust, Test, con le quali Gianluca Diegoli ha trasformato nella sua ricetta di marketing quel “Get Naked” esclamato sulla copertina di Wired (ancora una volta, si rimanda paragrafo precedente), individuando proprio in concetti come trasparenza, verità e fiducia la chiave per il instaurare un rapporto di successo con un pubblico sempre più informato e sempre meno soggiogabile. Le 4 T di Diegoli non si riferiscono alla mera convenienza di instaurare una relazione trasparente con i consumatori ma introducono un tema etico da considerarsi centrale nell’ottica di re-immaginare l’advertising del futuro: in un mondo in cui la crescente interconnessione è l’aumento esponenziale dei big data generati dagli utenti attraverso le loro azioni in rete, potrebbero rappresentare un mix esplosivo in grado di esporre le persone a preoccupanti rischi di violazione della privacy, la regolamentazione della possibilità di accesso ai dati da parte delle organizzazioni rappresenterà una delle basi fondamentali su cui strutturare qualsiasi futura evoluzione della comunicazione pubblicitaria (un tema decisamente importante, che verrà ripreso più approfonditamente in seguito). Sebbene i nuovi approcci appena descritti rappresentino delle trasformazioni paradigmatiche assai importanti nella descrizione di questo cambiamento del mercato globale, la formula che forse più di tutte individua quelle che possono essere considerate le parole chiave di questa nuova era e che meglio incontra il senso del percorso
85
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
che si intende tracciare all’interno di questa trattazione è quella fornita da Brian Fetherstonhaugh, Ceo di OgilvyOne Worldwide, in un articolo intitolato “The 4 Ps are out, the 4 Es are in”. Le 4 E di Fetherstonhaugh sono infatti le E di Experience, Everyplace, Exchange ed Evangelism: sostituendo la P di Product con la E di Experience, egli mette in luce come l’esperienza personale dei prodotti acquisisca sempre più importanza rispetto ai loro benefit e sottolinea pertanto la necessità che essa diventi centrale nelle attività di marketing, privilegiando la partecipazione delle persone e la loro interazione, ed immergendo gli individui in una comunicazione olistica di cui il design e la tecnologia costituiscono gli strumenti fondamentali e in cui i loro sensi e le loro emozioni diventano il nuovo territorio di conquista per i brand. Fig 2.12 Philip Kotler, Johnson & Son Distinguished Professor of International Marketing
Fig 2.13 Brian Fetherstonhaugh, Chief Executive Officer, OgilvyOne Worldwide
La E di Everyplace al posto della P di Place indica la necessità di abbandonare la logica dell’interruzione in favore della capacità di intercettare gli interlocutori giusti, nel posto giusto e nel momento giusto, ossia quando sono più permeabili ad accogliere i messaggi, ammesso che questi siano per essi rilevanti. La E di Exchange al posto della P di Price si riferisce ad uno scambio che non si limiti ad una semplice transazione commerciale, ma che riguardi essenzialmente uno scambio di valori, ossia l’acquisizione dei valori intangibili legati ai prodotti da parte delle persone in cambio dei valori utili alle aziende per alimentare il proprio business (come ad esempio la cessione alle aziende, da parte degli utenti, di dati ed informazioni relativi alle proprie caratteristiche socio-psico-demografiche, ai propri interessi e al proprio utilizzo delle piattaforme web in cambio di un’offerta, sia in termini di produzione sia in termini di comunicazione, più mirata). Infine, la E di Evangelism al posto della P di Promotion fa riferimento alla possibilità di sfruttare eventuali forme di proselitismo nate intorno al proprio brand come canali assai più potenti della “classica” comunicazione istituzionale, attraverso il contributo di persone afferenti
86
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
al pubblico la cui parola, grazie alle potenzialità della rete, assume spesso maggiore autorevolezza rispetto a quella dei brand, in quanto in grado di stabilire rapporti di fiducia, allo stato attuale inarrivabili per le marche, con le persone di cui si circondano (o con la propria audience, nel caso di influencer che possono vantare una certa notorietà): l’evangelism marketing, infatti, consente in particolar modo di generare buzz, word of mouth e di innescare fenomeni di viralizzazione di messaggi e contenuti favorevoli alla marca.
a partire dal 2000 con l’avvento della new economy, ha ispirato notevolmente Iabichino nell’elaborazione del sistema di idee ascrivibili al concetto di Invertising, offrendo spunti di considerevole importanza per la sua tesi: esso riguarda la lungimirante lezione per le imprese intenzionate ad operare nel nuovo mercato interconnesso contenuta nel Cluetrain Manifesto, un insieme di 95 tesi, organizzate per l’appunto nella forma di un manifesto, o invito all’azione, formulate nel 1999 da Rick Levine, Christopher Locke, Doc Searls e David Weinberg.
Rispetto a quest’ultimo punto è doveroso fare riferimento, ancora una volta, alle potenzialità comunicative offerte dai social network: essi , come approfondito nello scorso capitolo, rappresentano infatti uno strumento di prim’ordine rispetto alla possibilità di innescare questo tipo di comunicazione e il ruolo attivo e partecipativo degli utenti affezionati, essi stessi in possesso di propri canali di comunicazione, rappresenta l’elemento fondamentale su cui poter costruire operazioni di Evangelism marketing.
La lungimiranza di quest’opera traspare particolarmente in uno dei paragrafi iniziali del manifesto, che recita: «È cominciata a livello mondiale una conversazione vigorosa. Attraverso Internet, le persone stanno scoprendo e inventando nuovi modi di condividere le conoscenze pertinenti con incredibile rapidità. Come diretta conseguenza, i mercati stanno diventando più intelligenti e più veloci della maggior parte delle aziende»; o ancora in frasi come «I mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici» o «Ci stiamo svegliando e ci stiamo linkando, stiamo a guardare ma non ad aspettare».
Il successo di questo tipo di comunicazione, infatti, dipende fondamentalmente dalla capacità di andare oltre la “semplice” fidelizzazione del pubblico e di stabilire una relazione stretta e diretta con gli utenti, interagendo e connettendosi con loro, offrendo loro valori autentici e coinvolgendoli attivamente nella vita del brand, affinché siano portati ad utilizzare i propri canali per condividere e diffondere messaggi ad esso favorevoli, coinvolgendo a loro volta altre persone in questo processo. Il passaggio dalle “4 P” alle “4 E” teorizzato da Fetherstonhaugh costituisce uno degli elementi chiave del concetto di Invertising di Iabichino e verrà pertanto ripreso al termine di questo capitolo, in quanto risulta particolarmente importante nella prospettiva di configurare i cambiamenti paradigmatici che l’advertising avrà necessità di portare a compimento nel prossimo futuro. Il secondo aspetto su cui ci si intende focalizzare, oltre che testimoniare ulteriormente la portata dello stravolgimento dello scenario della comunicazione avvenuto
Da queste parole si evince chiaramente la piena consapevolezza da parte degli autori della portata rivoluzionaria dei cambiamenti prodotti dall’impatto di internet sul mercato globale, e dell’urgenza per le aziende di compiere profondi aggiornamenti strutturali (delle proprie politiche di marketing e non solo) per far fronte all’esponenziale evoluzione dei mercati. A partire da questa premessa il documento si pone dunque l’obiettivo di offrire alle organizzazioni delle linee guida per poter approcciare il nuovo mercato, analizzando il cambiamento dello scenario mondiale sia per i consumatori che per le aziende. Le indicazioni elaborate nel Cluetrain Manifesto si ascrivono alla generale volontà da parte degli autori di esortare le organizzazioni a prendere atto del profondo cambiamento in corso munendosi degli strumenti conoscitivi adeguati per comprendere le dinamiche e i meccanismi di questo nuovo mondo interconnesso e
87
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
considerando inedite modalità secondo cui muoversi nel mercato per essere pronti a rispondere alle esigenze di consumatori sempre più emancipati. Seppur arbitraria, è possibile operare una suddivisione delle tesi, utile ad offrire una visione strutturale semplificata dei presupposti principali dell’opera. Il concetto di base delle tesi dalla 1 alla 6 trova la propria sintesi nella frase “i mercati sono conversazioni”: con queste parole gli autori si riferiscono al fatto che Internet offre la possibilità, a chiunque sia connesso al web, di accedere ad un mercato virtuale governato da una rete di conversazioni tra le persone, uno scenario del tutto inedito rispetto all’era dei massmedia, e con cui le aziende dovranno sempre più misurarsi.
Fig 2.14 Copertina del Cluetrain Manifesto, Riedizione del 2015
La tesi 7 può essere sintetizzata con “I link ipertestuali sovvertono la gerarchia”: questo concetto fa riferimento alle nuove dinamiche comunicative introdotte dall’affermazione del web, in cui le informazioni non vengono più presentate secondo una struttura gerarchica che ha un’origine ed una fine ma sono in rete tra loro, collegate, interconnesse, inserite in un tessuto virtuale complesso all’interno del quale ci si muove in modo interattivo, secondo percorsi personali compiuti volontariamente durante la navigazione; di conseguenza i flussi comunicativi non descrivono più una linea retta unidirezionale in cui i messaggi vengono trasmessi da un emittente a un ricevente, ed è necessario per le aziende imparare sempre di più a muoversi all’interno del nuovo “habitat” (come lo definisce Iabichino) costituito dalla rete. Le tesi dalla 8 alla 13 riguardano la necessità di stabilire e consolidare un “collegamento tra i nuovi mercati e le imprese”; in questa parte del manifesto gli autori esortano le imprese ad aggiornarsi per potersi connettere con i nuovi mercati e a superare i vecchi modelli di business e comunicazione ormai incompatibili con i nuovi consumatori. Con le tesi dalla 14 alla 25, a cui potrebbe essere attribuito il titolo “le organizzazioni entrano nel mercato”, gli
88
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
autori intendono sollecitare le aziende ad abbandonare l’illusione di avere ancora un solido potere sui consumatori e di poter quindi, in un certo senso, governare il mercato guardandolo dall’alto in basso e presumendo di avere pieno controllo sui processi comunicativi; al contrario, come essi suggeriscono, è necessario entrare nel nuovo mercato virtuale partecipando alle conversazioni in rete ed assumendo un atteggiamento sempre più ineterattivo ed interlocutorio con i consumatori e sempre meno monologante. All’interno delle tesi dalla 26 alla 40, sintetizzabili con il titolo “marketing & organizational response”, gli autori descrivono gli approcci organizzativi e le nuove strategie di marketing che le imprese devono adottare per poter agire nel nuovo mercato interconnesso (poiché questa parte del manifesto viene presentata su un piano essenzialmente tecnico, e non rappresentando quindi oggetto di principale interesse per la tesi, non verrà esposta nel dettaglio in questa sede). Le tesi dalla 41 alla 52, sintetizzabili con “Le Intranet e l’impatto sul controllo e sulla struttura organizzativa”, intendono stimolare le aziende affinché si servano sempre più delle reti intranet per rendere più efficiente la comunicazione e l’organizzazione interna, sovvertendo così le vecchie gerarchie e gli organigrammi formali; secondo gli autori infatti, come da loro spiegato nelle tesi dalla 53 alla 71 (il cui concetto di base esprime la necessità di “collegare il mercato Internet con le Intranet aziendali”), la destrutturazione dei vecchi schemi comunicatavi in favore della nuova comunicazione ipertestuale sul web si traduce in un modello comunicativo e comportamentale che va sempre più consolidandosi nella vita delle persone, di cui l’interconnessione rappresenta la nuova chiave fondamentale. Questo nuovo modello rappresenta dunque un’opportunità per le aziende, non solo di ottimizzare i propri processi interni, ma di acquisire gli strumenti comunicativi essenziali per potersi interfacciare e collegare con il nuovo mercato.
Infine, nelle ultime tesi dalla 72 alla 95, riguardanti le “aspettative del nuovo mercato”, vengono definite, sulla base delle argomentazioni precedenti le aspettative e le trasformazioni del nuovo mercato sottolineando ancora una volta come tale “metamorfosi” richiederà corrispettivamente che le aziende attivino i cambiamenti necessari per adeguarsi ai nuovi scenari in evoluzione. L’elemento sorprendente di questo manifesto è la sua sostanziale attualità: quando nel 2000 fu pubblicato da Perseus Book non suscitò grande interesse e non riuscì a produrre gli effetti sperati; anche all’interno del settore pubblicitario (tornando quindi all’oggetto di essenziale interesse di questa tesi) l’opera fu per lo più incompresa e sottovalutata, tant’è che, come sostiene Iabichino, gran parte delle sue tesi possono essere considerate, in buona sostanza, valide ancora oggi; non è un caso che nel gennaio del 2015 Doc Searls e David Weinberger abbiano deciso di pubblicare una nuova edizione del Cluetrain Manifesto, in 121 punti, dal titolo New Clues. I nuovi approcci alle teorie di marketing (in particolar modo il passaggio dalle 4 P alle 4 E formulato da Fetherstonhaugh) e il Cluetrain Manifesto non offrono argomentazioni particolarmente nuove rispetto a quelle affrontate fin qui; tuttavia la loro importanza risiede nel fatto che hanno influenzato significativamente le idee di Iabichino non solo dal punto di vista contenutistico, ma in quanto sono state strutturate secondo schemi sintetici che si sono proposti di sistematizzare in modo chiaro e preciso i passaggi fondamentali che le organizzazioni devono compiere, nell’ambito del marketing, della comunicazione e delle politiche aziendali, per potersi muovere nel nuovo mercato. infatti questi schemi rappresentano modelli teorici a cui Iabichino si è potuto ispirare per l’elaborazione del proprio sistema di idee relative ai passaggi paradigmatici che l’advertising avrà necessità di compiere nel prossimo futuro, nell’ambito di una vera e propria inversione di marcia, (quella che lui definisce, per l’appunto, “Invertising”).
89
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Ma prima di entrare nel dettaglio di questi passaggi paradigmatici e prima di esplorare, quindi, i diversi punti della tesi di Iabichino, definiamo finalmente, in sintesi, in che cosa consiste esattamente il concetto di Invertising. Con Invertising si intende un cambio di direzione che l’advertising, secondo l’autore, avrà necessità di compiere per poter fuoriuscire dalla crisi contemporanea e recuperare terreno tornando al passo con le nuove istanze degli individui, per potersi finalmente evolvere lasciandosi alle spalle la logica dell’invadenza, dell’interruzione e della non rilevanza in favore di una comunicazione pubblicitaria che sia utile e che offra valori autentici alle persone. L’Invertising può essere reso possibile dalle innovazioni tecnologiche ma non si traduce esclusivamente in una trasformazione tecnologica, corrisponde invece, innanzi tutto, ad un nuovo atteggiamento, una nuova sensibilità, una nuova attitudine nel “fare advertising”.
Fig 2.15 Copertina di Invertising di Paolo Iabichino, Guerini e Associati Editore, 2009
Secondo Iabichino l’advertising dovrà privilegiare sempre più l’interazione, la connessione, il dialogo, la comunicazione esperienziale per rivolgersi ad un pubblico fatto di persone e non più di cluster demografici, di interlocutori e non più di semplici destinatari o target da colpire, dovrà considerare la creatività e la rilevanza come i fattori fondamentali per catalizzare la loro attenzione, ed assumere i concetti di etica, trasparenza, verità, come gli elementi essenziali per poter stabilire con essi un reale patto di fiducia. In definitiva, in uno scenario della comunicazione così mutato, dove l’interconnessione ha preso il posto dei messaggi unidirezionali, dove l’esperienza personale del prodotto conta più dei suoi benefit e dove sono state stravolte le gerarchie tra brand e consumatori nei processi comunicativi, Iabichino individua la necessità che l’advertising compia delle vere e proprie trasformazioni paradigmatiche. Fare Invertising, infatti, significa passare: •
90
“da push a pull”: sostituire alla comunicazione
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
pubblicitaria di massa che invade e satura gli spazi, attività ed operazioni di advertising che siano sottili, mirate, personalizzate, contestualizzate, ed attirino a sé le “persone giuste”, innescando uno scambio di valore tra i brand e i propri interlocutori; •
“dalla comunicazione alla conversazione”: passare dal processo “emissione del messaggio pubblicitario – ricezione da parte dei destinatari – valutazione dei feedback e delle metriche ad essi relative” ad un sistema comunicativo che assuma il concetto di rete come modello attraverso il quale attivare conversazioni dirette con le persone, coinvolgendole attivamente nella narrazione pubblicitaria, ricercando la loro partecipazione e privilegiandone l’interattività;
•
“dal monologo al dialogo”: abbandonare la concezione della comunicazione pubblicitaria come un flusso unidirezionale che si esaurisce nel momento in cui giunge ad un destinatario ascrivibile al cluster socio-demografico prescelto, in favore di una comunicazione che ponga al proprio centro dinamiche di interazione e dialogo con le persone, che non vengono più considerate semplici target, ma interlocutori attivi e consapevoli, con cui scambiare valore; è importante sottolineare come le parole “monologo” e “dialogo” non siano da intendersi nell’accezione strettamente letterale dei termini, ma, concettualmente, come il passaggio da una condizione di passività a forme sempre più immersive e coinvolgenti di interattività;
•
“da consumer a user”: cessare di considerare gli individui in funzione di ricerche quantitative, classificazioni socio-demografiche e panel di consumo, sostituendo agli schemi attraverso cui prestabilire il profilo dei consumatori a cui rivolgersi, lo studio e l’ascolto attento di chi effettivamente sceglie di utilizzare un prodotto, introducendolo nel proprio universo di valori; ciò significa considerare come imprescindibile il punto di vista di chi compra, anche se non coincide con le precipue finalità dei propri piani di marketing e di comunicazione;
•
“dal contatto alla connessione”: abbandonare le logiche quantitative che prevedono di scegliere i canali di massa attraverso cui veicolare i propri messaggi sulla base del numero di contatti ottenibili, privilegiando, invece, logiche qualitative che prevedano la capacità di entrare in una connessione profonda con le singole persone, su diversi livelli: in primo luogo stabilendo con esse una relazione che si basi sullo scambio di valore, sulla reciprocità, su una continua interazione (obiettivi rispetto ai quali le potenzialità della rete e in particolar modo dei social network stanno giocando un ruolo assai importante); in secondo luogo, predisponendosi all’attento ascolto delle loro esigenze e dei loro desideri, entrando in connessione con la loro vita, mostrandosi sensibili alle specificità di ognuno, alle loro abitudini, ai loro comportamenti, anteponendo l’obiettivo di “essere utili” a quello di “fare utili” e comprendendo come questo non rappresenti un proclama retorico attraverso cui illudersi di poter nobilitare il mestiere del pubblicitario, ma costituisca, a lungo termine, la chiave per poter incrementare concretamente il proprio business; in terzo luogo instaurando una connessione intima, che si basi su una condivisione valoriale, sul coinvolgimento emotivo, sulla capacità di generare narrazioni ed esperienze attraverso le quali rendere le persone partecipi alla vita del brand e farle sentire parte della loro storia (obiettivo ispirato in particolar modo al concetto di Lovemarks di Kevin Roberts, CEO Worldwide di Saatchi & Saatchi);
•
“dalla fedeltà alla fiducia”: grazie da una consolidata connessione con la vita degli individui (e quindi conseguentemente al punto precedente), passare dalla fedeltà dei clienti, acquisita puntando sulla qualità delle caratteristiche oggettive del prodotto, alla fiducia delle persone, conquistata dimostrando loro di avere concreto interesse ad essere utili, ad offrire soluzioni ai loro problemi, ad essere sensibili alle loro specificità, alle loro preferenze e ai loro bisogni contestuali, abbandonando ogni finzione filantropica ed agendo con trasparenza nella creazione di solide relazioni win-win, da cui trarre beneficio a
91
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
fronte dell’offerta di valore; in sostanza, passare dalla fidelizzazione a relazioni genuine con gli individui in cui il profitto sia conseguente all’offerta di concreti benefici. •
“dalla presenza alla rilevanza”: ancora una volta, superare le modalità della comunicazione pubblicitaria massmediale che prevedono la saturazione degli spazi utilizzando come indicatori di riferimento la copertura e la frequenza (secondo l’approccio push o spray and pray), sostituendo all’obiettivo di massimizzare la presenza (e quindi alla pervasività, all’invasività e all’interruzione pubblicitaria), l’obiettivo di sottoporre alle persone giuste i contenuti giusti, pe se stessi rilevanti, utili, interessanti, di valore, agendo secondo modalità il cui fine consiste nel personalizzare la comunicazione modellandola sulla base delle caratteristiche specifiche delle persone e del contesto spazio-temporale che esse stanno vivendo nel momento della comunicazione: in poche parole, dunque, “offrire il messaggio giusto, alla persona giusta, nel luogo giusto e nel momento giusto”;
•
“dallo shopping allo sharing”: come già detto, investire maggiormente in una comunicazione che consideri centrali le nuove dinamiche relazionali tra i brand e gli individui determinate dalla rete e dall’affermazione dei social network, e considerare, quindi, la digital influence come un fattore determinante nelle scelte di acquisto di consumatori sempre più informati ed autorevoli nell’ambito dei rapporti con le imprese; pertanto, agire in modo capillare sul web, attivando iniziative di digital pr e operando un attento ascolto e monitoraggio delle opinioni degli utenti, sempre meno disposti a riconoscersi in comunicazioni massificate, modellate su identità collettive di gruppi di appartenenza, e sempre più desiderosi di contenuti che rispondano alle proprie peculiarità;
•
“dalla persuasione al consenso”: in continuità con il punto in cui si descrive la necessità di passare dalla fedeltà alla fiducia e con i punti successivi a questo, utilizzare i nuovi sistemi di comunicazione anche
92
come strumento di “riqualificazione” dell’advertising: passare da una comunicazione “dall’alto vero il basso”, ad una comunicazione democratica, in rete, significa per i brand poter passare dall’essere concepiti come oligopoli che hanno pieno potere sui flussi comunicativi, ad essere concepiti come attori che partecipano al mondo della comunicazione al pari dei consumatori, da gruppi di potere disposti a tutto pur di curare i propri interessi a realtà interessate ad interagire e con le quali poter scambiare informazioni in cambio di valore (che può tradursi, per esempio, in servizi, offerte mirate o contenuti rilevanti); in questo modo l’advertising può debellare la cattiva reputazione che lo associa tradizionalmente alla funzione di agente di persuasione occulta, e diventare sempre di più agli occhi degli utenti uno strumento di comunicazione fondato sull’interazione e sullo scambio, presupposto fondamentale per poter stabilire un rapporto di fiducia grazie al quale consolidare il consenso presso il pubblico; •
“dall’estetica all’etica”: pensare all’etica della comunicazione come a uno dei pilastri su cui dovrà reggersi l’advertising del futuro, considerandone i principi non come linee guida interpretabili o come un accessorio teorico in aggiunta alla regolamentazione legislativa (o a norme comportamentali come quelle sancite dalla Corporate Social Responsibility), a cui poter far riferimento in minor o maggior misura a seconda dei propri obiettivi di marketing, ma come veri e propri elementi strutturali: nell’ambito di un advertising in cui l’acquisizione e l’analisi di grandi volumi di dati degli utenti sono destinate a diventare sempre più centrali, agire in modo trasparente e rispettare i propri interlocutori non è “solo” un comportamento etico ma si presenta come il presupposto essenziale per poter instaurare con le persone quelle durature relazioni di fiducia che rappresentano la linfa vitale dei brand (nonché il fondamento del loro business); in tal senso, pertanto, comunicare assumendo i concetti di etica, trasparenza, verità, come le basi del proprio modus operandi e dimostrare al pubblico correttezza e rispetto diventa per l’adver-
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
tising uno strumento necessario per conquistare consumatori sempre più attenti e consapevoli, nei cui rispetti la seduzione della pubblicità tradizionale basata sull’attrattività delle sue estetiche e su associazioni ad immaginari e modelli da seguire, mostra ormai tutte le proprie insufficienze; •
“dall’idea all’ideale”: infine, ripercorrendo in sintesi le saliences della tesi di Iabichino esposte fin qui, è possibile affermare che, secondo l’Invertising, la comunicazione deve diventare sempre più interazione, connessione, reciprocità, esperienza, scambio di valori, una relazione fondata sulla fiducia e retta da un’etica comportamentale condivisa, giacché non si esprime più in funzione di logiche di gerarchia tra i brand e i consumatori ma si inserisce in un ambiente interconnesso, fatto di conversazioni; la finalità fondamentale dell’advertising deve essere sempre più quella di raggiungere nuovi e più profondi livelli di engagement, entrando consensualmente nella vita delle persone, in modo capillare, al fine di acquisire un’autentica comprensione del loro profilo (fatto di preferenze, abitudini, bisogni, desideri) nell’obiettivo di poter offrire loro valore, oggetti di consumo o di comunicazione utili, interessanti, rilevanti. Attraverso l’offerta di valore è possibile generare consenso, che si ottiene inoltre attraverso la libertà partecipativa degli utenti alla vita e alla storia dei brand e che si basa sulla condivisione valoriale e sulla connessione empatica con le persone.
Pertanto, in questo quadro in cui la connessione, la rilevanza, l’etica, la fiducia, la condivisione di valori e di emozioni giocano un ruolo fondamentale, l’advertising non può vivere di sole idee ma deve rappresentare uno strumento attraverso il quale perseguire una missione, un cambiamento, un ideale condiviso da chi sceglie di fare parte del mondo valoriale di un brand: in questo consiste il concetto di Big Ideal elaborato da Ogilvy Worldwide.
lo vogliono e creare grandi esperienze che renderanno i brand una parte della loro vita») esprimono in buona sostanza questo passaggio paradigmatico e i mantra delle più grandi agenzie rappresentano una concreta assunzione di consapevolezza della necessità di questo tipo di cambiamento da parte dei maggiori professionisti del settore (si pensi alla Big Brand Idea di Ogilvy, a Ideas&Ideas di Saatchi&Saatchi, all’Idea-centric di Leo Burnett, alla CBI di EuroRSCG, o a Better Ideas Better Results di DDB), ciò che forse più di tutto sintetizza questo concetto è la formula (che si ispira, ancora una volta, al Cluetrain Manifesto) elaborata da John Shaw (Group Planning Director Ogilvy Eame) e Rory Sutherland (Vice Chairman Ogilvy UK): essi propongono di completare la frase “Il brand X crede che il mondo sarebbe un posto migliore se” per catturare e definire la missione che i brand devono scegliere per la propria comunicazione. La formula di Shaw e Sutherland rappresenta un’efficace linea guida per l’individuazione del Big Ideal e un ottimo strumento per i brand nella prospettiva di individuare le giuste leve che consentano un profondo coinvolgimento valoriale, culturale ed emotivo degli individui. L’elemento interessante di questo passaggio paradigmatico consiste nel fatto che questo ideale, o Big Ideal, trascende il significato delle parole mission e vision utilizzate nei piani marketing: l’ideale di cui parla di Iabichino, infatti, non riguarda significati intangibili che corrispondono agli obiettivi perseguiti dai brand secondo il proprio punto di vista, ma rappresenta una filosofia di marca che parte prima di tutto, ancora una volta, dalle istanze delle persone.
Se già i Lovemarks di Kevin Roberts (spiegati dallo stesso autore come «la capacità di comprendere i sogni dei consumatori, sapere quello che vogliono e quando
93
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
2.3 Il futuro dell’advertising secondo gli esperti del settore
Oltre che le idee di Paolo Iabichino, verranno di seguito esposti gli autorevoli punti di vista sul futuro dell’advertising di alcuni altri esperti del settore, al fine di enuclearne il minimo comune denominatore ed estrapolare quindi sinteticamente le parole chiave su cui l’evoluzione dell’advertising dovrà focalizzarsi per superare le criticità contemporanee, non solo incontrando compiutamente le nuove istanze delle persone, ma anticipandone i nuovi comportamenti e consentendo di porre le basi a partire dalle quali poter avviare un processo di forward-thinking, re-immaginando gli scenari futuri.
Fig. 2.16 John Cosley, responsabile del global brand marketing e delle attività di comunicazione per Microsoft Search
Le opinioni di seguito riportate sono state raccolte a partire dalle esternazioni di professionisti che si occupano di advertising in ambiti diversificati e secondo differenti ruoli (agenzia media, analisti di mercato, client, testate giornalistiche), al fine di offrire una rappresentazione più completa ed inclusiva delle idee espresse dai diversi attori del mondo della pubblicità. Il primo punto di vista preso in esame è quello espresso da John Cosley (responsabile del global brand marketing e delle attività di comunicazione per Microsoft Search Advertising) in un recente articolo pubblicato su Search Engine Land, dal titolo The Future is Intelligent Advertising. Cosley parte dalla constatazione che il consumatore del ventunesimo secolo utilizza così tanti servizi digitali ed è collegato a così tanti dispositivi, che le comunicazioni si moltiplicano sui diversi devices con messaggi che, nonostante crescenti sforzi in direzione della crossmedialità, il più delle volte si sovrappongono gli uni sugli altri piuttosto che integrarsi e complementarizzarsi tra loro. In tal modo, la tecnologia viene sovrastata dalla comuni-
94
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
cazione piuttosto che incanalarla nei giusti percorsi e raffinarne le modalità espressive. Di conseguenza, secondo i dati annunciati recentemente da Microsoft Advertising, il 63% dei consumatori si dichiara fortemente interessato alle tecnologie in grado di filtrare automaticamente il flusso pressoché continuo di messaggi pubblicitari consentendo di fruire solo i contenuti verso i quali si nutre un reale interesse. La manifestazione di questo bisogno si colloca in un più ampio senso di frustrazione dei consumatori che, nonostante la quantità di informazioni personali che rilasciano in rete, continuano ad essere, come già affermato da Iabichino, sovraccaricati di contenuti il più delle volte irrilevanti. Sempre secondo lo studio condotto da Microsoft Advertising oltre il 39% si dichiara, pertanto, disposto a condividere informazioni personali in cambio di pub-
blicità che offrano esperienze migliori, più mirate e più rilevanti (nell’esposizione di questo presupposto, Cosley, per descrivere la necessità di privilegiare comunicazioni customizzate al posto di messaggi invasivi, mutua la celebre frase di Van der Rohe, adottando il suo “Less is More” come linea guida fondamentale per il futuro della pubblicità). A partire da questa considerazione, dunque, Cosley afferma che uno degli obiettivi principali da perseguire con sempre maggiore dedizione per il futuro è la personalizzazione dei messaggi pubblicitari sulla base delle caratteristiche dei singoli consumatori, ritenendo che tale personalizzazione debba inoltre riguardare la coerenza con il contesto in cui avviene la comunicazione. A tal proposito afferma: « I consumatori hanno bisogno che i brand capiscano quando e dove coinvolgerli,
Fig 2.17 Indagine di MC sull’impatto della personalizzazione sui tassi di conversione relativi alle campagne di web marketing, 2014
95
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
e, quindi, che selezionino il posto giusto e il momento giusto in cui sviluppare le comunicazioni. In tali contesti i consumatori saranno disposti a condividere ulteriori informazioni, e la ripetizione di questi processi potrà, di conseguenza, condurre ad un progressivo miglioramento degli stessi ». Cosley sostanzia la propria posizione parlando di come, secondo un recente report realizzato da Econsultancy e RedEye, il 92% dei marketer delle compagnie prese in esame abbia riportato un aumento dei tassi di conversione dei motori di ricerca dopo aver implementato strumenti di personalizzazione. Questo, secondo la sua opinione, rappresenta un esempio rassicurante, a forte sostegno dell’opportunità di intraprendere il consistente sviluppo di nuove tecnologie di personalizzazione. Riprendendo la tesi di Gianluca Diegoli, nonché una delle argomentazioni più importanti di Iabichino in Invertising, Cosley afferma inoltre che, oltre a una comprensione profonda dei consumatori, è necessario che i brand siano assolutamente trasparenti nella raccolta e nell’utilizzo dei dati: ancora secondo il report di Microsoft, infatti, l’83% dei consumatori si aspetta che i brand e gli inserzionisti chiedano l’autorizzazione per l’utilizzo delle informazioni digitali. A conclusione delle proprie argomentazioni Cosley afferma dunque che la chiave per il futuro risiede nella personalizzazione, ossia nella prospettiva di sviluppare sempre di più una pubblicità intelligente « che comprende i singoli consumatori e può offrire contenuti su misura, nel posto giusto, nel momento giusto e sulla giusta piattaforma ». Ancora secondo Cosley, pertanto, « I brand che saranno capaci di veicolare il giusto contenuto, dal web fino alla “punta delle dita” dei consumatori, evitando intelligentemente il sovraccarico di informazioni, saranno ricompensati ». Il secondo punto di vista che si intende proporre in questa sede è quello di Sarah Villegas, Head of Marketing & Business Development di Exterion Media.
96
Exterion Media è un’agenzia media di fama internazionale che si occupa di OOH (Out-of-home), un settore che secondo Villegas è stato a lungo considerato in fondo alla “gerarchia dei media”, all’apice della quale primeggiano i media digitali. Ma con l’avvento del DOOH (Digital Out-of-Home) vi sono tutti i presupposti per proiettare “la più antica forma di pubblicità” nel futuro. Villegas individua nella proliferazione dei dati generati dagli utenti, in corso nella contemporaneità, e nell’interconnessione, le chiavi per potersi servire dell’OOH per raggiungere audience specifiche, nel posto giusto e nel momento giusto, con grande precisione, cosicché questi tipo di media possa affiancarsi ai dispositivi portatili (principalmente gli smartphone) nella possibilità di assolvere questo compito. La posizione delle persone durante i loro spostamenti fisici può essere utilizzata per offrire insight e visioni approfondite dei comportamenti quotidiani dei consumatori, così come delle loro intenzioni contestuali e, a partire da queste informazioni, possono essere intraprese attività di marketing e di advertising puntuali e mirate (ad esempio avvisando gli acquirenti nelle vicinanze delle vendite dell’ultimo minuto oppure esortandoli all’acquisto di merci in esaurimento prima che ne sia terminata la disponibilità). Ai fini dello sviluppo di questo genere di operazioni, il progresso del context aware computing e dell’ubiquitous computing può offrire un importante contributo (seppur, alla radice, permanga la necessità di individuare dei sistemi tecnologici risolutivi delle criticità, quali invasività e comunicazioni decontestualizzate, dell’advertising contemporaneo, fin qui analizzate). In sostanza, Villegas considera l’accesso a dati sempre più granulari e la maggiore flessibilità su quando e dove coinvolgere gli individui in attività di comunicazione, i presupposti fondamentali per l’evoluzione dell’advertising nel suo insieme, e, relativamente al suo specifico ambito professionale, per la “riqualificazione” della pubblicità out-door tradizionale: essa, infatti, a partire
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
dalla digitalizzazione e dall’utilizzo capillare dei dati degli utenti, potrà concorrere sensibilmente allo sviluppo di un advertising sempre più personalizzato, contestualizzato e rilevante per gli individui.
possono rappresentare una risorsa importante non solo per definire dove si trovano le persone con le quali si intende comunicare, ma soprattutto per definire chi sono e ciò a cui potrebbero essere interessate.
Più si riuscirà a progredire in questa direzione, individuando nuove tecnologie in grado di dare forte impulso all’interconnessione e di favorire un’efficace gestione dei dati in tempo reale, più sarà possibile portare le dinamiche appena descritte su nuovi e più evoluti livelli, aprendo nuove strade per l’advertising del prossimo futuro.
Nel prossimo futuro, una delle chiavi evolutive dell’advertising potrebbe essere dunque quella di servirsi di tecnologie (sia mobile che OOH) grazie alle quali affinare sempre di più, e a livelli sempre più profondi e particolareggiati, i pattern dei comportamenti offline delle persone.
Il terzo punto di vista, offerto dal giornalista e scrittore John Still, è in realtà una rassegna di diverse opinioni, raccolte a partire da una webchat che si è tenuta sul sito del giornale The Guardian, in un articolo dal titolo “How technology is shaping the future of advertising “ dello stesso giornale, di cui di seguito verrà proposta una sintesi riportando le considerazioni di particolare interesse ai fini della trattazione.
Grazie ad essi infatti, secondo Monica Ho, non sarà solo possibile tracciare i luoghi in cui si recano i consumatori al fine di intuirne gli interessi sulla base della frequenza delle visite e di altri indicatori simili, ma sarà soprattutto possibile comprendere in modo più profondo e dettagliato “chi sono” a partire dalle loro specifiche azioni. Infine, Monica Ho ritiene l’integrazione tra l’out-door e i mobile devices una delle prospettive più interessanti per poter dare vita ad una comunicazione contestualizzata e ad alto potenziale di engagement.
Jide Sobo di MEC, sottolinea come le nuove tecnologie possano aprire nuove possibilità espressive e nuove potenzialità comunicative ma non possano da sole consentire l’evoluzione dell’advertising, rispetto al quale agiranno piuttosto in qualità di agenti catalizzatori. Ciò che continuerà ad essere fondamentale è il messaggio, e la creatività resterà ancora l’elemento essenziale nell’avvenire dell’advertising. Le affermazioni di Sobo si pongono, in un certo senso, come antitetiche rispetto al celeberrimo “mantra” di McLuhan, “Il medium è il messaggio”: comunicare attraverso le nuove tecnologie significherà soprattutto avere a disposizione innovative potenzialità per dare vita a nuove operazioni attraverso cui coinvolgere le persone non più sul piano della persuasione, ma acquisendone il consenso attraverso l’offerta di valore, di contenuti concretamente utili e rilevanti. Dunque, la tecnologia sarà funzionale all’evoluzione della pubblicità, ma la creatività continuerà ad essere la prerogativa essenziale per il successo dell’advertising. Monica Ho di XAd, concorda con le idee di Sarah Villegas nel dire che i dati sulla localizzazione degli utenti
Glen Wilson di Posterscope, sostiene che la principale chiave evolutiva per il futuro dell’advertising consisterà nel riuscire a soddisfare fino in fondo le crescenti richieste di rilevanza da parte degli utenti. Tuttavia, anche secondo Wilson, così come per Cosley e Diegoli, la vera sfida per il prossimo futuro sarà quella di concretizzare tale obiettivo sviluppando nuovi strumenti che consentano una più profonda e capillare comprensione della vita degli individui, agendo però, sempre e comunque, rivolgendo una costante e imprescindibile attenzione nei confronti della loro privacy. Infine, Matt Wilkins di RetailMeNot, sottolinea come la necessità di realizzare un advertising sempre più contestualizzato rispetto alle situazioni specifiche che stanno vivendo le singole persone nel momento della comunicazione non debba riguardare solo la coerenza dei messaggi rispetto al luogo in cui esse si trovano, ma anche il tempismo con cui vengono proposti i messaggi pubblicitari. Secondo Wilkins, sviluppare tecnologie e sistemi infor-
97
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
matici grazie ai quali poter, ad esempio, conoscere le azioni che gli individui stanno compiendo in momenti e contesti specifici, il modo in cui stanno interagendo con i propri devices e con quale scopo, cosa stanno consumando in un dato momento, come lo stanno consumando (con chi, in quale quantità, secondo quali modalità), ecc. potrebbe significare acquisire informazioni assai preziose per lo sviluppo di messaggi pubblicitari effettivamente rilevanti per i consumatori. Scegliere il frangente temporale migliore, e non solo il luogo, in cui interagire con gli individui, sempre assumendo il rispetto della privacy come conditio sine qua non del proprio modus operandi, potrebbe rappresentare, secondo Wilkins, un fattore determinante nella prospettiva di favorire l’evoluzione di cui l’advertising contemporaneo ha bisogno, concretizzando il passaggio paradigmatico dalla comunicazione massificata ad una comunicazione più sottile, quasi “molecolare”, e ad alto livello di specificità. Dopo la rassegna proposta da John Still su The Guardian, il quarto punto di vista proposto è quello di Susan Wojcicki, CEO di Youtube. In occasione dell’ultima ad:tech conference a San Francisco, Wojcicki ha esposto le sue “cinque idee” sul futuro della pubblicità, esprimendo la seguente considerazione a premessa del suo discorso: « La pubblicità è la linfa vitale di Intenet. Ma sta subendo un enorme cambiamento. Dobbiamo muoverci altrettanto velocemente di quanto lo stiano facendo gli utenti. Per questo motivo trascorro molto tempo in Google pensando al futuro della pubblicità e a come potremmo reinventarla. La prima cosa da fare è pensare agli utenti, a dove andranno e a come cambieranno i loro comportamenti. Immaginate questa donna nel 2020. Si sveglierà e leggerà le notizie su uno schermo, ascolterà la sua musica, guarderà la TV on demand, utilizzerà un assistente mobile quando sarà fuori di casa, ecc. La sua vita diventerà integralmente digitale ». La prima prospettiva individuata da Wojcicki riguarda la volontarietà nella visualizzazione degli annunci da parte
98
degli utenti; secondo la sua opinione, una delle strade su cui investire consiste, infatti, nel superamento dell’invasività pubblicitaria grazie all’impiego di modelli pay-perclick dove gli utenti scelgono se visualizzare o meno pubblicità nella forma di engagement ads, annunci che consentono di attivare, a mouse-over, diverse funzionalità, tra cui la visualizzazione di cataloghi e video. Rendere il fattore della scelta l’elemento centrale di un modello pubblicitario, secondo Wojcicki, può essere un’operazione sostenibile solo a fronte di efficienti sistemi di gestione degli annunci secondo criteri di rilevanza per gli utenti. Il secondo obiettivo definito da Wojcicki consiste nell’offrire la possibilità agli utenti di esprimere le proprie preferenze sui contenuti pubblicitari e creare un pattern personalizzato di canali da cui si è interessati a ricevere gli annunci; in occasione dell’ad-tech conference il CEO di YouTube ha così introdotto questo argomento: «Abbiamo bisogno di informazioni sugli utenti per poter offrire contenuti per essi rilevanti. È molto importante che gli annunci siano rilevanti ed utili, sappiamo che questo funziona. Dal 2010 abbiamo assistito ad un incremento di 30 volte del programmatic buying per gli annunci display. Ma c’è ancora un elemento mancante: dare l’opportunità agli utenti di indicare a quali contenuti sono interessati ». Secondo Wojcicki, dunque, la rilevanza delle pubblicità non è ancora compiutamente garantita né sufficientemente affinata attraverso il programmatic buying. Pertanto, uno dei modi per poter raggiungere nuovi e più solidi livelli di rilevanza potrebbe essere quello di consentire una maggiore partecipazione degli utenti all’ecosistema pubblicitario, offrendo loro valore (dal punto di vista dei contenuti pubblicitari) e una maggiore possibilità di controllo e personalizzazione delle pubblicità, selezionate sulla base delle preferenze di ciascun utente. » Secondo Wojcicki la sfida più grande per il prossimo futuro sarà quella di poter applicare questa modalità di gestione delle pubblicità su larga scala, individuando e
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
sione dei dispositivi (ancora una volta, soprattutto mobile). La sfida più grande, infatti, riguarda la possibilità di mettere a punto tecnologie in grado di porre in relazione dati frammentati, provenienti dai diversi devices in uso agli utenti, al fine di poter restituire un profilo completo, a 360 gradi, delle persone e delle loro vite, al posto di informazioni slegate che consentono soltanto visioni parziali. Solo in questo modo sarà possibile offrire alle persone pubblicità il cui livello di rilevanza possa soddisfare davvero le loro aspettative, i loro interessi, i loro desideri e le loro necessità (conquista tecnologica che si presenta sempre più urgente nell’era dei Big Data, destinata ad un esponenziale e vertiginoso sviluppo nel prossimo futuro). In occasione dello stesso speech, a tal proposito, Wojcicki ha affermato: « Dovremo essere in grado di targettizzare non i devices, ma le persone. Le persone dovrebbero poter ricevere pubblicità rilevanti in base a dove sono e a cosa stanno facendo in quel dato momento ». Fig 2.18 Susan Wojcicki, CEO di YouTube
sviluppando i giusti sistemi tecnologici in grado di concretizzare questo tipo di obiettivi. Il terzo elemento su cui investire, secondo Wojcicki, nella prospettiva di dare impulso all’evoluzione dell’advertising, riguarda la creazione di pubblicità sempre più interattive. Lo sviluppo dell’interactive adverstising, infatti, rappresenta una prospettiva evolutiva necessaria per il settore della pubblicità, all’interno di un mondo della comunicazione che sta guardando sempre di più in direzione di tecnologie comunicative che consentiranno un’interazione costante, sempre più profonda ed “avvolgente” degli utenti con i dispositivi, in particolar modo mobile, in loro uso. Il quarto elemento su cui investire, secondo il CEO di YouTube, riguarda la connessione. Il futuro dell’advertising dipenderà sempre di più dai dati e dall’interconnes-
Il quinto ed ultimo obiettivo individuato da Susan Wojcicki per il futuro dell’advertising riguarda la necessità di utilizzare sistemi che consentano un’esatta misurazione e valutazione dei dati. La frammentazione dei dati provenienti da diversi devices su più database, la parzialità dell’analisi dei percorsi di navigazione in rete rispetto alla necessità di ottenere una comprensione più profonda e globale delle abitudini e delle vite delle persone (al fine di offrire loro valore e contenuti rilevanti) implica la necessità, secondo il CEO di YouTube, di munirsi di sistemi di misurazione ed interpretazione dei dati le cui potenzialità vadano ben oltre l’analisi dei click o le informazioni dei cookie. Tale obiettivo è già da tempo oggetto di studio da parte di Google, che si è concentrato particolarmente nell’offrire ai brand la possibilità di valutare i dati relativi al reach e all’impatto delle loro campagne. Dopo il punto di vista del CEO di YouTube, di seguito verranno illustrate le considerazioni in merito al futuro
99
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
dell’advertising esposte durante l’ultimo Data, Insight & Revenue Summit (che si è tenuto il 21 giugno 2016 a New York) da Felipe Calderon, un altro dirigente di massimo livello del colosso Google (specificatamente, il Partnerships Manager). In occasione di tale incontro, Calderon ha spiegato quali sono gli obiettivi generali che Google sta perseguendo per migliorare l’esperienza degli utenti nella fruizione degli annunci online e per affrontare le attuali problematiche dell’advertising che stanno destando sempre di più la preoccupazione degli inserzionisti e gli atteggiamenti oppositivi dei consumatori (tra cui l’invasività e la scarsa rilevanza, i limiti nell’ad targeting e nella personalizzazione, il basso livello della user experience in molte pubblicità su mobile, la difficoltà di analisi dei dati provenienti da differenti devices e i problemi di identificazione e profilazione dettagliata degli utenti). Secondo Calderon, Google attualmente si trova di fronte ad una sfida: da una parte pensare a nuovi sistemi per presentare gli annunci nel corso della fruizione delle pagine, dall’altra continuare a garantire la facilità d’uso delle interfacce e la velocità e fluidità della navigazione. Nel suo discorso presso il summit, il manager di Google riprende sostanzialmente gli argomenti affrontati dalla sua collega Wojcicki in occasione dell’ad:tech conference: egli descrive i prossimi passi identificati da Google per il futuro dell’advertising, mettendo in luce la necessità di creare esperienze di qualità e sempre più “data-driven”, che riguardino la fruizione di contenuti e il compimento di azioni all’interno di processi interattivi piuttosto che la mera visualizzazione di annunci; inoltre, come già affermato da Wojcicki, affinché tali esperienze possano essere davvero personalizzate rispetto ai singoli utenti, è necessario essere in grado di tracciare le loro attività attraverso differenti devices. Secondo Calderon, uno dei passi più importanti da compiere nel prossimo futuro consiste pertanto in ciò che egli ha definito “Building data trust”, ossia consolidare l’affidabilità dei dati. La diffidenza nei confronti dell’accuratezza dei dati dei publisher sugli utenti, manifestata
100
dagli advertiser, si traduce in una generale preoccupazione da parte di questi ultimi che le operazioni di re-targeting non consentano effettivamente di raggiungere con sicurezza i destinatari giusti per i loro messaggi. Calderon afferma che i publisher più attendibili sono quelli che richiedono la registrazione per poter visualizzare i contenuti all’intero dei loro siti: questi editori sono infatti in grado di identificare con precisione gli utenti e tracciare le attività sui loro siti, requisiti sempre più importanti per gli inserzionisti. A proposito della difficoltà di tracciare i consumatori attraverso i diversi devices e acquisire un path completo e coerente, Calderon afferma: « Gli analisti di mercato stanno concentrando i propri sforzi nella possibilità di comprendere il path integrale degli utenti. Come possiamo creare esperienze realmente adatte a ciascun utente sul web sulla base dei loro percorsi di navigazione? E se questi percorsi hanno caratteristiche inaspettate? Viene meno il riconoscimento dell’utente e l’esperienza può risultare diversa rispetto alle intenzioni originarie ». Con queste parole Calderon ribadisce ancora una volta l’insufficienza dei percorsi di navigazione sul web come base per poter ottenere una conoscenza approfondita e globale delle caratteristiche degli utenti. L’assoluta parzialità di questi percorsi può generare situazioni in cui l’esperienza relativa a determinate operazioni di marketing o advertising può differire dal tipo di risultato che si vuole ottenere, nel momento in cui i percorsi da cui provengono determinati utenti riguardano dinamiche inaspettate per gli advertiser. Secondo Calderon il progresso tecnologico in corso possiede tutte le potenzialità affinché si possano individuare delle possibili soluzioni a questi problemi, ed è necessario, per i professionisti del settore, essere pronti a coglierle. Calderon afferma che nell’arco di cinque anni si riusciranno ad effettuare importanti passi avanti nel programmatic advertising e sarà possibile compiere un concreto salto qualitativo rispetto alla capacità di indirizzare messaggi assolutamente coerenti con il profilo dei singoli
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
trattati all’interno di questo elaborato. Se la pubblicità continuerà ad interrompere l’esperienza degli utenti anziché integrarla e aggiungere valore, se i messaggi continueranno ad essere decontestualizzati ed irrilevanti e se, conseguentemente, gli utenti continueranno a manifestare la volontà di bloccare gli annunci, Google, in questo modo, si mostrerà pronto anche a quest’eventualità: in tale contesto prevarrà l’interesse ad offrire user exerience di qualità e garantire una fruizione delle pagine agevole e veloce, e si procederà pertanto ad una limitazione della pubblicità online, perseguendo l’obiettivo che, estremizzando il concetto, Calderon definisce “Going Ad Free”, ossia muoversi nella direzione di una navigazione in rete libera dagli annunci pubblicitari.
Fig.2.19 Felipe Calderon, Partnership Manager di Google
utenti. Sono alle porte tecnologie che consentiranno nuovi livelli di personalizzazione dell’advertising sulla base di una profonda connessione tra i brand e i consumatori, ed offriranno ad experiences di valore ad utenti che avranno la possibilità di fruire solo i messaggi ai quali sono effettivamente interessati; ciò palesa l’urgenza con la quale è necessario che ci si prepari a queste possibilità: se nel prossimo futuro non entreranno in possesso di strumenti attraverso i quali ottenere una profilazione completa dei singoli utenti e tracciare le loro attività attraverso i diversi devices, assisteranno ad un crollo sostanziale degli investimenti da parte degli inserzionisti. A concorrere nel determinare l’urgenza con la quale è necessario compiere i progressi appena descritti, è un altro importante fattore: la disaffezione degli utenti nei confronti della pubblicità e il senso di fastidio con la quale viene sempre più percepita sta inducendo Google a sviluppare, in parallelo alle tecnologie create nella prospettiva di ottenere maggiore rilevanza e personalizzazione dei messaggi pubblicitari, nuovi sistemi di ad blocking, che rappresentano un’evoluzione rispetto a quelli già
Ovviamente l’impiego di questi sistemi di ad blocking rappresenterebbe un ulteriore sconfitta per il settore dell’advertising, e contribuirebbe ad aggravare una situazione, che nella contemporaneità si presenta già critica. Ma, sebbene Google abbia valutato anche questa opzione, Calderon si dichiara ottimista nei confronti del futuro dell’advertising e, nonostante permangano diversi ostacoli alla possibilità di compiere un concreto salto qualitativo nella realizzazione di ad experiences realmente user-friendly e che si avvalgano di dati più precisi e completi (ostacoli come la frammentazione dei dati, la diffusione degli ad blocker e i limiti in termini di engagement delle pubblicità su mobile), il Partnership Manager di Google afferma di credere convintamente che nuove venture tecnologie consentiranno presto di risolvere questi problemi. Dopo Calderon, altre opinioni di particolare interesse sulle nuove prospettive per la comunicazione pubblicitaria del futuro, sono quelle di Mark Parker, CEO di Nike, Inc. Nike si colloca attualmente tra i brand più innovativi del mondo e ormai da molti anni sta attraversando una progressiva e sempre più consistente trasformazione digitale: Digital IQ, uno studio comparativo di 59 marchi d’abbigliamento negli Stati Uniti, condotto nell’anno 2016, attesta Nike come uno dei leader nel settore digitale, nonché uno dei brand più innovativi rispetto alla capacità di interagire in modo creativo con i clienti e di
101
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
progettare user experience di qualità su ogni device. Nike sembra aver colto appieno, ormai da diversi anni, le tensioni evolutive che attraversano lo scenario tecnologico contemporaneo (pronte ad esplodere una volta eliminati gli ostacoli che attualmente non ne consentono il pieno sviluppo). Non a caso, già nel 2013, lo stesso Parker in un’intervista rilasciata a Fast Company afferma che “Il mondo digitale e il mondo fisico stanno convergendo sempre di più, e ciò rappresenta solo la punta dell’iceberg rispetto a ciò che accadrà”. La strategia digitale di Parker, per quanto concerne le attività di marketing e di advertising, incontra soprattutto la volontà di investire massicciamente nelle nuove tecnologie, secondo l’obiettivo di sviluppare sistemi che consentano di entrare in profonda connessione con i singoli clienti, sempre più in direzione di rapporti 1:1.
Fig 2.20 Mark Parker, CEO di Nike, Inc.
Fig 2.21 Logo di Nike +
La necessità di eccellere nell’advertising digitale per mantenere una posizione dominante sul mercato, a fronte di consumatori che si muovono e acquistano ormai prevalentemente online, ha spinto la multinazionale, in particolar modo sotto la guida di Parker, a sviluppare sempre di più forme di comunicazione altamente interattive, che si servono di tecnologie avanzate per dare vita ad experience di valore e fortemente coinvolgenti. Il CEO di Nike, considerando di primaria importanza (come egli stesso afferma in un articolo su Digital Marketing Magazine del 4 maggio 2016) l’obiettivo di “approfondire i rapporti con i consumatori, adattando ogni interazione alle loro specifiche esigenze”, sposa dunque pienamente l’approccio progettuale User-Centered, eleggendo l’interattività e la personalizzazione a parole chiave del complesso delle attività di comunicazione del brand. Nike offre numerosi case study a testimonianza del suo costante impegno nell’innovazione e nella progettazione di esperienze di comunicazione per gli utenti altamente interattive, personalizzate e modellate sui dati di ogni cliente.
102
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Fig 2.22 Nike + kit (IPhone 3G, iPod nano, sensore Nike +)
Il più significativo di tutti è forse Nike +, un prodotto innovativo pensato per i runner che desiderano misurare e monitorare i loro progressi nel raggiungimento degli obiettivi: attraverso un sensore posizionato sotto il plantare della scarpa, Nike+ consente di misurare l’andatura, la distanza, la durata e le calorie bruciate durante l’allenamento, ottenendo un feedback in tempo reale; queste informazioni possono essere visualizzate tramite l’apposita app o ascoltate grazie ad un sistema di sintesi vocale che legge le informazioni trasmesse al ricevitore posizionato sull’Apple iPod nano (e integrato nell’Apple iPod touch e nell’iPhone 3GS). I dati delle running experience vengono raccolti all’in-
Fig 2.23 Nike + app (formato tablet)
103
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
terno della piattaforma globale online Nike+, dove è possibile visualizzare le metriche relative alle prestazioni degli utenti e i percorsi intrapresi per gli allenamenti; in questo modo la piattaforma assume la forma di una comunità dove è possibile condividere in tempo reale i propri dati per confrontarsi o competere con persone in diverse parti del mondo. Mark Parker, parlando di Nike+ lo descrive come un vero e proprio “ecosistema” interconnesso, in quanto non solo offre agli atleti la possibilità di creare la propria fitness history e accedere a programmi di allenamento, ma è vivificato dalle loro relazioni e dalla condivisione degli interessi sportivi. Lo sviluppo di progetti come Nike+ dimostra pertanto piena consapevolezza da parte del CEO di Nike della necessità di investire nella creazione di progetti di comunicazione sempre più fondati sull’interconnessione, sulla personalizzazione, sull’estrazione di valore dai dati e sull’interattività. E Nike+ costituisce un esempio assai rappresentativo del genere di iniziative in grado di favorire l’avanzata all’interno di in un percorso evolutivo che consenta alla comunicazione pubblicitaria di incontrare le istanze dei nuovi consumatori e che offra nuove opportunità relazionali con i clienti. Un altro punto di vista di significativo è quello di Mitch Barns (Chief Executive Officer di Nielsen), il quale propone le proprie considerazioni in merito al tema dei big data e al ruolo fondamentale che essi giocheranno nel futuro dell’advertising (fatto che ormai risulta assolutamente chiaro alla grande parte degli addetti ai lavori). La crescita esponenziale dei dati generati dai dispositivi connessi alla rete sta producendo enormi volumi di informazioni, sempre più vasti, rispetto ai quali si presenta sempre di più la necessità di sviluppare tecnologie informatiche in grado di migliorarne la gestione. Ogni giorno, attraverso i nostri dispostivi, produciamo 2,5 quintilioni di bytes di dati e il progresso tecnologico porterà nel prossimo futuro a cifre infinitamente maggiori, continuando una crescita esponenziale da anni in corso (si pensi che il 90% dei dati nel mondo sono stati
104
generati solo negli ultimi due anni). Questi dati, raccolti per lo più in cloud e processati nei data center, provengono dai sensori utilizzati per il monitoraggio climatico, dai nostri post sui social media, da immagini e video digitali, dalle transazioni online, dalle operazioni compiute con i nostri smartphone, dai segnali GPS e da innumerevoli altre fonti che pervadono la nostra vita. I big data sono destinati a rappresentare la risorsa più preziosa per il futuro, e consentiranno di facilitare le nostre vite in numerosissimi modi: dai sistemi di automazione applicati in molti settori, alla gestione dei processi produttivi, alla mobilità, alla sicurezza, alla sanità, al marketing, e così via. Non è un’esagerazione affermare che dalla capacità di gestione ed utilizzo dei big data attraverso nuove tecnologie e nuovi sistemi informatici dipenderà il nostro avvenire, e che svariati aspetti delle nostre vite verranno rivoluzionati per sempre. Non a caso, su The Economist, un articolo del 6 maggio 2017 titola “La risorsa più preziosa del mondo non è più il petrolio, ma i dati”. I big data diventano sempre più vasti e i giganti della tecnologia come Google, Facebook, Microsoft, Apple, Amazon, Uber, Tesla, sono destinati ad un’ascesa apparentemente inarrestabile grazie alle loro enormi potenzialità di raccolta e gestione dei dati degli utenti: i primi cinque tra quelli appena nominati rappresentano le compagnie più quotate del mondo, con profitti in crescita che nel primo trimestre del 2017 ammontano a 25 miliardi di dollari (una parte consistente dei quali generati grazie alla vendita dei dati raccolti attraverso le proprie piattaforme e i propri network). Inoltre la parallela rapida evoluzione del Cognitive Computing e delle tecnologie di Intelligenza Artificiale, attualmente in corso, sta offrendo nuove sorprendenti potenzialità di interpretazione dei dati, consentendo di raggiungere nuovi, più profondi e diversi livelli di comprensione delle informazioni raccolte grazie ad algoritmi sempre più sofisticati in grado di simulare processi infe-
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
renziali e di estrarre valore, significati, relazioni, del tutto inedite rispetto alle tecnologie passate. A partire da questa premessa è facile comprendere come i big data siano destinati a rappresentare una risorsa sempre più imprescindibile per l’advertising, così come per praticamente ogni altro settore, e come siano in grado di rivoluzionare completamente le dinamiche del mercato mondiale.
Fig. 2. 24 Mitch Barns, Chief Executive Officer di Nielsen
Mitch Barns afferma che i big data potranno, nel prossimo futuro, rappresentare la “rinascita dell’advertising”, consentendo di ridurre sensibilmente l’advertising waste e di gestire la pubblicità in modo più mirato ed efficiente, incrementando il ROI e stimolando quindi notevolmente gli investimenti nel settore pubblicitario. Ciò che Barns tiene a sottolineare, tuttavia, è la necessità per il futuro dell’advertising di poter entrare in possesso
Fig 2.25 Crescita del volume globale dei dati, dal 2008 al 2017 (con previsione fino al 2020)
105
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Fig 2.26 Illustrazione dell’articolo “The world’s most valuable resource is no longer oil, but data” su The Economist, 6 maggio 2017
velocemente non tanto di “dati grandi”, ma dei “dati giusti”. In questo, infatti, consiste la vera sfida per il futuro e il vero obiettivo rispetto al quale è sempre più urgente individuare ed intraprendere la giusta strada in grado si condurre ala risoluzione delle criticità contemporanee. Barns, così come Wojcicki e Calderon, ritiene che uno dei maggiori problemi che attualmente ostacolano le potenzialità derivanti dall’utilizzo dei big data, sia la difficoltà di mettere in relazione dati frammentati relativi a path circoscritti generati da differenti dispositivi (problemi rispetto ai quali l’attuale livello di crossmedialità e di “osmosi mediatica” non è in grado do offrire significative soluzioni). Anche Barns, inoltre, sostiene che l’impossibilità di estrarre valore da sistemi unitari e coerenti di dati com-
106
positi provenienti da più dispositivi e la limitatezza dei singoli percorsi virtuali consenta interpretazioni parziali dei profili degli utenti; sebbene i path siano rilevati a partire da azioni in rete alle quali possono anche corrispondere, seppur non necessariamente, azioni nel mondo reale, ciò non rappresenta ancora un presupposto sufficiente a poter delineare un profilo completo, unitario e coerente della personalità, delle abitudini, dello stile di vita, dei comportamenti degli utenti che si intende targettizzare singolarmente. Le tecnologie sono ancora limitate nella capacità di determinare in tempo reale relazioni utili alla ricostruzione dell’identità delle persone alle quali ci si rivolge e non consentono, soprattutto, quel livello di autenticità che consentirebbe di strutturare proposte di comunicazione in grado di incontrare compiutamente e profondamente
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
le nuove istanze degli individui. Risulta quindi evidente come investire nello sviluppo di nuovi e più potenti sistemi di interconnessione, a partire dai quali favorire una migliore integrazione ed uniformazione dei dati provenienti da diversi dispositivi e che abitano differenti database, corrisponda ad uno degli obiettivi di primaria importanza per il futuro dell’advertising. Anche Barns, come Calderon, si mostra però fiducioso nei confronti di un futuro che sarà in grado, prima di quanto si immagini, di offrire un ventaglio di soluzioni tra le quali individuare le giuste leve tecnologiche grazie alle quali finalizzare il salto evolutivo auspicato per il settore pubblicitario. Una volta che si avranno acquisite le capacità tecnologiche in grado di condurre a nuovi ed efficienti sistemi di gestione di big data in tempo reale, il settore dell’advertising potrà finalmente essere proiettato, a livello mondiale, in un futuro fatto di scenari inediti e di possibilità che fino a pochi anni fa venivano ancora relegate alle soluzioni narrative immaginifiche tipiche della science fiction. Barns prevede che, una volta conseguito il superamento degli ostacoli appena descritti, ad esempio, le enterprise marketing platform potranno accedere a potenzialità senza precedenti; a partire dai dati sui comportamenti relativi agli acquisti e alle visualizzazioni di milioni di persone, esse, servendosi di software dedicati, potranno combinare le informazioni raccolte con modelli di marketing, modelli di attribuzione e altri analytics tools, definendo predizioni sui comportamenti di acquisto più precise che mai, arrivando a livelli di specificità prima impensabili. Le informazioni risultanti potranno essere quindi utilizzate nei sistemi di programmatic advertising, attraverso i quali sarà possibile monitorare le attività di compravendita di advertising e ricavare informazioni utili, a loro volta, ai modelli di predizione in real time. Ripetendo questo ciclo (che prevede, dunque, l’utilizzo dei risultati dei modelli predittivi dei comportamenti di acquisto degli utenti nei sistemi di programmatic buying
in grado, a loro volta, di offrire informazioni sulla vendita e l’acquisto di pubblicità utili ai modelli di predizione stessi) sarà possibile ottenere modelli sempre migliori, sempre meno “spreco pubblicitario” e sempre più ROI, con un generale incremento dei profitti. Affinché l’intero sistema potrà avere successo, tuttavia, ribadisce Barns, avremo bisogno della tecnologia giusta per gestire i dati giusti e, quindi, poter svolgere le giuste analisi. Barns, inoltre, sottolinea come nello sviluppo delle tecnologie che consentiranno nuove potenzialità nella gestione dei big data, sarà necessario considerare di primaria importanza la tutela della privacy dei consumatori (unendosi, quindi, alle opinioni degli esperti precedentemente presi in esame in questo capitolo). L’acquisizione di innumerevoli dati sulla vita, i bisogni, le preferenze di consumo, le abitudini, le caratteristiche psico-socio-demografiche, secondo Barns, dovrà prevedere lo sviluppo di una regolamentazione legislativa ferrea per la tutela della privacy delle persone e gli attori del mondo della comunicazione, che siano agenzie di advertising, brand o società di marketing dovranno attenersi ad un’etica comportamentale condivisa che consenta di tutelare i consumatore e di mantenere gli equilibri necessari alla sopravvivenza e allo sviluppo del futuro mercato (una necessità individuata anche da Paolo Iabichino che, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, parla del bisogno che l’etica e la trasparenza si sostituiscano all’estetica come temi centrali per l’advertising del prossimo futuro). Le nuove leggi che accompagneranno lo sviluppo delle nuove tecnologie per la produzione e gestione dei big data, dovranno riguardare inoltre temi quali la titolarità dei dati, nuove norme antitrust, nuove misure per la sicurezza dei dati, la regolamentazione della negoziazione e del “mercato dei dati” (definendo esattamente i confini tra pubblico e privato), i diritti di acquisizione dei dati di terzi e così via (questo tema, così come le implicazione etiche a cui si è fatto cenno poc’anzi verrà affrontato più dettagliatamente nel quarto capitolo).
107
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
A conclusione sulle prospettive individuate da Mitch Barns, si riporta di seguito una considerazione proposta dal Chief Executive officer di Nielsen all’interno di un recente articolo su Recode; a proposito dell’impatto dei big data sul futuro dell’advertising egli afferma che: « Ciò che risulta chiaro è l’emergenza di sistemi in grado di combinare in tempo reale, tecnologia, dati ed analytics. (…) Il risultato consentirà ai produttori di individuare, con straordinaria precisione, quale tipo di pubblicità contribuirà maggiormente alle prospettive di crescita dei loro brand. Il punto di partenza cruciale a partire dal quale poter realizzare operazioni mirate saranno i dati. I dati giusti, nella giusta forma, acquisiti nel modo corretto. Questo è ciò che guiderà la rinascita dell’advertising ». Claudio Davide Ferrara, giornalista di Edit, sostiene che la chiave per un’evoluzione dell’advertising “democratica” che offra prospettive di crescita a tutte le realtà commerciali, alle grandi compagnie così come alle piccole e medie imprese, sia il modello Open Source. Secondo Ferrara, se è vero che i big data, come affermato da Mich Barns, saranno “il petrolio del futuro” non solo per l’advertising ma praticamente per ogni settore del mercato, è altrettanto vero che essi non dovranno essere appannaggio dei gruppi finanziariamente più potenti, quelli cioè in grado di poter investire maggiori somme di denaro nell’acquisto dei dati, ma dovranno essere in larga parte accessibili anche a quelle realtà che non dispongono di enormi budget. Ferrara afferma inoltre che la necessità di assumere questo modello per la gestione dei big data si pone soprattutto a partire dal fatto che oggi, così come nel prossimo futuro, un’importante fetta del mercato sarà occupata da piccole e medie imprese (si pensi attualmente le PMI contribuiscono in media al 51% del PIL delle nazioni economicamente più affermate). A tal proposito scrive: “Le aziende che vogliono raggiungere una fetta sempre più ampia di clienti sono di base molto interessate al pensiero e alle abitudini dei proprio
108
clienti. Quindi realizzando un sistema comune ed aperto dove poter reperire ed usare i Big Data, condividendoli tra le varie PMI e le advertising agency, permetterà lo sviluppo di un mercato pubblicitario sia trasparente, perché tutti gli operatori avranno gli stessi dati a disposizione, quanto innovativo e alla portata delle PMI. Permettendo quindi alla maggior parte delle agenzie di raggiungere il loro target e, contemporaneamente l’advertising industry, avrà accesso ad un mercato immenso.” Secondo il giornalista un esempio delle potenzialità di un tale mercato è costituito da Google, che ormai da anni sta realizzando un enorme database di big data nutrito dalle attività degli utenti. Google, insieme a multinazionali come Facebook e Amazon è in possesso di un patrimonio di dati sconfinato, che nel futuro delle nuove tecnologie potranno essere utilizzati, nell’ambito dell’advertising e in svariate altre applicazioni, per rivoluzionare lo scenario globale in ogni settore, dalla comunicazione, alla mobilità, alla sicurezza, alla finanza, alla salute, all’ambiente, e così via. Riassumendo dunque le argomentazioni proposte da Barns e da Ferrara, la ricchezza di questo tipo di risorse, nell’ambito dell’advertising dovrà incontrare le giuste tecnologie in grado di ottimizzarne la gestione, sia per quanto riguarda la possibilità di creare sistemi di dati complessi unitari e non più frammentati sulla base della provenienza da diversi dispositivi, sia per quanto riguarda la possibilità di acquisire nuove chiavi di lettura attraverso cui estrarre valore, mettere in relazione informazioni complesse ed ottenere una comprensione più profonda, omnicomprensiva ed autentica delle caratteristiche degli utenti. Il progresso tecnologico per la creazione e la gestione dei dati dovrà inoltre essere accompagnato da un’evoluzione delle leggi per la tutela della privacy dei consumatori e della sicurezza dei database, e la trasparenza dovrà essere un tema centrale per il marketing e la comunicazione, non solo sulla base di motivazioni etiche, ma anche in quanto condotta necessaria a garantire quel patto di fiducia tra produttori e consumatori (sempre più consapevoli ed informati) che sarà ancor più fondamentale per
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
mantenere gli equilibri del nuovo mercato e consentirne lo sviluppo. L’evoluzione legislativa dovrà inoltre riguardare la regolamentazione delle dinamiche di scambio e compravendita dei dati e della loro titolarità (con la possibilità di guardare, secondo il modello prospettato da Claudio Maria Ferrara, all’opzione open source per garantire gli equilibri di mercato con pari opportunità di accesso ai dati da parte di aziende di diverse dimensioni e disponibilità economiche e consentire l’espansione delle potenzialità di profilazione degli individui, necessarie a poter dare vita a comunicazioni realmente utili, rilevanti, e modellate sulla base delle specificità di ciascuno).
sempre più di soluzioni grazie alle quali poter gestire complessità di crescente portata, per le organizzazioni che non coltivano interessi così estesi, per lo meno nel prossimo futuro, l’advertising attuale potrà continuare ad offrire strumenti sufficienti a sostenerne lo sviluppo. Tuttavia, rivolgendo lo sguardo ad un futuro meno prossimo, è evidente come il compimento del salto evolutivo descritto, nei sui diversi aspetti, attraverso le parole degli esperti presi in esame, sia destinato nel tempo a favorire gradualmente l’evoluzione dell’intero mondo della comunicazione determinando una vera e propria rivoluzione paradigmatica e finalizzando la transizione in una nuova era dell’advertising.
È tuttavia necessario, in ultima analisi, proporre la seguente considerazione. Il modello delineato da Ferrara concettualmente incontra appieno il tema etico proposto da Paolo Iabichino in Invertising e rappresenta una prospettiva interessante per il futuro mercato pubblicitario. Ma è assai presumibile che garantire a realtà commerciali circoscritte territorialmente (e il cui mercato non interessa audience e movimenti economici particolarmente vasti) la libera possibilità di accesso a big data su database open source non rappresenta una necessità particolarmente urgente per il prossimo futuro. Sebbene sia vero che le criticità contemporanee dell’advertising descritte nel precedente paragrafo coinvolgano l’intero settore pubblicitario, è altrettanto vero che abbandonare le logiche dell’advertising tradizionale e compiere un salto evolutivo investendo sulle giuste tecnologie (al fine di dare vita ad una comunicazione pubblicitaria più rilevante, personalizzata, contestualizzata, interattiva e basata su dinamiche di interconnessione e relazione che consenta di recuperare lo scarto che attualmente separa l’advertising contemporaneo dalle istanze dei consumatori della nuova era digitale alle porte) sia una necessità da considerarsi particolarmente urgente soprattutto per i brand e i grandi gruppi commerciali. A differenza di questi ultimi, infatti, che necessitano
109
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
2.4 Una condivisa prospettiva da perseguire
A questo punto della trattazione, è possibile evidenziare le saliencies sulla base delle quali introdurre, a partire dal prossimo capitolo, la tesi fondamentale che si intende proporre in questo elaborato. Riassumiamo quindi, in estrema sintesi, questi concetti. Da tempo si sta verificando una radicale perdita di utilità e di efficacia delle attuali modalità pervasive, invasive, interruttive ed intrusive dell’advertising online e offline e dell’approccio “push”, secondo cui i messaggi pubblicitari vengono “spinti fuori” in direzione di target di massa; la produzione del cosiddetto “advertising waste”, fatto di messaggi pubblicitari decontestualizzati ed irrilevanti, l’aumento della banner blindness da parte degli utenti, la diffusione dei programmi per l’ad blocking o le contestazioni dell’urban spam rappresentano alcuni esempi delle conseguenze negative di questo inefficace approccio alla comunicazione pubblicitari. Le criticità dell’advertising contemporaneo sono la conseguenza di un processo di profonda trasformazione della società, in corso da diversi anni, che vede sempre più distanti i nuovi consumatori e le logiche dell’advertising tradizionale (la cui costante nella storia è stata rappresentata per l’appunto, dalla logica quantitativa della pervasività pubblicitaria e dell’approccio push). Le persone si riconoscono sempre meno nelle definizioni dei target di massa e sempre più come individui dotati di una propria identità e di una propria unicità e, soprattutto, sentono di avere acquisito voce in capitolo nei processi comunicativi; questo a partire prima di tutto dall’affermazione di internet e dei media digitali, che hanno introdotto le persone in un nuovo mondo della
110
comunicazione fatto da una rete di flussi multidirezionali, di intersezioni, e governato dall’interattività. Sono queste caratteristiche strutturali di un nuovo scenario globale interconnesso che gli individui hanno profondamente interiorizzato rispetto alla loro stessa concezione del mondo e nel cui ambito, soprattutto con l’enorme diffusione dei social media, sono state stravolte le vecchie gerarchie che ponevano i consumatori in una condizione subalterna rispetto ai brand, introducendo al loro posto nuove dinamiche relazionali basate sul dialogo, sull’interazione e sullo scambio di valore. Tutto ciò ha determinato le condizioni affinché si potessero generare nuove istanze in nuovi consumatori, rispetto alle quali le vecchie narrazioni di marca “orizzontali” – rivolte a target predefiniti - si sono mostrate sempre più inadeguate; in questo nuovo scenario le persone si mostrano sempre più consapevoli, mature e pronte ad, dal momento che stanno acquisendo sempre maggiore familiarità con le nuove tecnologie all’insegna della personalizzazione, dell’interattività e dell’interconnessione, destinate ad esplodere nel prossimo futuro. In definitiva, è ormai chiaro che ci troviamo sempre più vicini ad uno step-change che finalizzerà la transizione in una nuova era della comunicazione e che l’advertising deve essere pronto ad investire sui giusti agenti catalizzatori grazie ai quali potersi integrare al profondo cambiamento alle porte. Tuttavia il mondo della pubblicità, nel suo complesso, è ancora imbrigliato dalle logiche invasive ed interruttive della pubblicità tradizionale, che hanno come conseguenza la produzione di messaggi il più delle volte decontestualizzati, non rilevanti e non pertinenti rispetto
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
al profilo delle persone a cui ci si rivolge, logiche che l’advertising online ha importato dal quello offline. Questo perché gli strumenti tecnologici per la definizione del profilo dei consumatori sono stati finora insufficienti a soddisfare le nuove istanze degli individui, e a consentire un’autentica e profonda conoscenza delle persone, della loro identità e delle loro vite, sulla base della quale poter offrire loro contenuti pubblicitari personalizzati e di valore. E, seppure a partire dalla diffusione delle tecnologie informatiche siano state introdotte innovazioni utili a migliorare considerevolmente la capacità di profilazione degli utenti e la qualità dei contenuti pubblicitari rispetto al loro path specifico (le ultime delle quali, come il programmatic e il native advertising, significativamente “promettenti”), esse non rappresentano che una tensione potenziale al cambiamento, ancora lontana dal suo compimento. Inoltre, nonostante la crossmedialità e la convergenza mediale che sta caratterizzando sempre di più il mondo della comunicazione contemporaneo, tali innovazioni non sono state in grado di produrre effetti sostanziali sull’advertising offline, mostrando limiti ed insufficienze (che hanno portato talvolta a problemi di considerevole portata, come nel caso della YouTub Ad Crisis). Un ulteriore problema che la crossmedialità e la convergenza mediale dell’età contemporanea non sono state sufficienti a risolvere è la frammentazione dei dati provenienti da diversi devices su differenti database, a partire dai quali è possibile ottenere path parziali che non sono in grado di restituire un profilo completo, unitario, coerente ed una conoscenza sufficientemente approfondita della vita e delle caratteristiche specifiche di ciascun utente (conoscenza sulla base della quale, quindi, poter strutturare operazioni di advertising mirate e proporre contenuti effettivamente utili, rilevanti e contestualizzati, in base alle specificità degli individui a cui ci si rivolge). Seppur l’interconnessione tra i diversi dispositivi sia in
fase di forte sviluppo (e siano in fase di forte sviluppo anche nuove tecnologie atte a favorirla, sebbene limitatamente diffuse), essa presenta ancora limiti rispetto alla la capacità di mettere in relazione i dati provenienti dai diversi devices ed individuare, a partire da essi , un “unico path crossmediale” in tempo reale, dal quale poter estrarre informazioni di valore per i sistemi di real time advertising. Tuttavia, gli esperti del settore sostengono, pressoché unanimemente, che il prossimo futuro offrirà soluzioni in grado di superare questi ostacoli, e spetterà a chi opera nel campo del marketing e dell’advertising riuscire ad individuare i giusti sistemi attraverso i quali proiettare il settore pubblicitario nel futuro e far sì che possa compiutamente incontrare le istanze dei nuovi consumatori. Un ulteriore problema che riguarda i dati degli utenti consiste nel fatto che essi si riferiscono comunque a percorsi di navigazione virtuali che non necessariamente presentano un’effettiva e totale corrispondenza con i comportamenti della vita reale. Entrare consensualmente nella vita delle persone, al fine di raggiungere nuovi e più profondi livelli di comprensione dei loro comportamenti (beninteso, adottando una condotta guidata dai principi di trasparenza e rispetto della privacy), rappresenta il tipo di comprensione a cui è necessario giungere per l’advertising del prossimo futuro, per poter stare al passo con l’evoluzione dei consumatori nella nuova era digitale alle porte. Il fatto che le logiche interruttive e pervasive abbiano rappresentato nella storia dell’advertising una costante che si è perpetuata nel tempo e che ancora oggi condiziona largamente lo scenario contemporaneo, ostacolandone l’evoluzione, e che né l’attuale livello di crossmedlaità né le innovazioni tecnologiche finora affermatesi sono state in grado di costituire il motore di un generale e significativo cambiamento, primamente necessario ai brand e alle grandi organizzazioni commerciali, restituisce l’idea di quanto il superamento delle problematiche attuali e la conquista degli obiettivi descritti nel precedente paragrafo rappresenti un vero e proprio cambiamento paradigmatico.
111
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Al fine di definire sinteticamente gli obiettivi fondamentali da perseguire per poter conseguire il salto evolutivo necessario all’advertising per fuoriuscire dalla crisi attuale ed intraprendere una sostanziale evoluzione nell’ambito di un vero e proprio cambiamento paradigmatico, sono state quindi prese in esame le idee in merito espresse da Paolo Iabichino, John Cosley, Sarah Villegas, John Still, Susan Wojcicki, Felipe Calderon, Mark Parker, Mitch Barns, Claudio Davide Ferrara (rispettivamente Chief Creative Officer di Ogilvy & Mather Italy, responsabile del global brand marketing e delle attività di comunicazione per Microsoft Search Advertising, Head of Marketing & Business Development di Exterion Media, giornalista di The Guardian, CEO di Youtube, Partnerships Manager Google, CEO di Nike, Chief Executive officer di Nielsen e giornalista di Edit). Il minimo comune denominatore di queste idee sul futuro dell’advertising consiste nella convinzione che esso dovrà evolversi sempre più in direzione della personalizzazione dei propri contenuti sulla base dell’analisi e dell’interpretazione dei dati relativi alle specifiche caratteristiche delle singole persone a cui si rivolge (e non più di target predefiniti); tali contenuti, inoltre, dovranno essere adeguati al contesto spazio-temporale che esse stanno vivendo nel momento della comunicazione, privilegiando la rilevanza piuttosto che la pervasività e ragionando sempre più in termini di connessione e di interazione piuttosto che di mero contatto. In sintesi, secondo tali studiosi, si presenta con sempre maggiore urgenza la necessità di re-immaginare l’advertising del futuro come un cosmo eterogeneo di contenuti che si modellano sulla base delle specificità degli individui; l’advertising dovrà “interagire con le singole persone, con i contenuti giusti e nel momento giusto, per ciascuna di esse” (più dettagliatamente, sulla base delle conclusioni tratte fin qui, dovrà “interagire con le persone giuste, con i contenuti giusti, nel modo giusto, nel momento e nel luogo giusto, per ciascuna di esse e a partire dai giusti dati”), considerando parole come “rilevanza”, “personalizzazione”, “tempismo”, “interattività”, “connessione”, “etica” la propria linfa evolutiva.
112
Data la naturale ed inevitabile relazione, da sempre biunivoca, tra il progresso delle tecnologie comunicative e la fenomenologia dell’advertising, risulta ovvio che la consapevolezza di tali obiettivi per il futuro di quest’ultimo non possa, da sola, rappresentare la realizzazione del “salto evolutivo” auspicato dagli studiosi contemporanei, e che essa debba necessariamente incontrare i giusti mezzi tecnologici in grado di concretizzarli. Tali tecnologie dovranno inoltre consentire di gestire, sistematizzare, ed estrarre valore da big data i cui volumi sono destinati a crescere esponenzialmente, risolvendo il problema della frammentazione dei dati provenienti da diversi devices e su diversi database e consentendo di passare dalla valutazione di path circoscritti, in grande parte sovrapponibili a slegati percorsi di navigazione, ad una comprensione profonda e a 360 gradi del profilo globale ed omnicomprensivo degli individui, sulla base dell’acquisizione di un “calco digitale” della loro vita, fatta di azioni specifiche ed intenzioni contestuali. In fine, le suddette tecnologie dovranno offrire soluzioni che consentano l’evoluzione non solo del digital advertising, ma anche dell’attuale comunicazione pubblicitaria offline. A valle delle argomentazioni sviluppate è dunque possibile concludere che la sfida per il prossimo futuro consiste proprio nella capacità di individuare e sviluppare tali tecnologie in grado di favorire il salto evolutivo dell’advertising all’interno del nuovo paradigma prefigurato: solo così, infatti, potranno aprirsi definitivamente le porte di una nuova era.
CAPITOLO 2 | IL BISOGNO DI CAMBIAMENTO DELL’ADVERTISING
Fig 2.27 Urban Spam di pubblicità OOH nel centro di Tokyo
113
CAPITOLO 3
Una prospettiva evolutiva per il futuro dell’advertising In merito a quanto affrontato fin qui è possibile proporre la seguente sintesi: nel primo capitolo è stata ripercorsa l’evoluzione dell’advertising nella storia approfondendo la nascita della comunicazione di massa e la persistenza delle sue radicate logiche nello scenario contemporaneo (logiche parzialmente contrastate da alcune innovazioni, ma ancora considerevolmente diffuse); nel secondo capitolo si è quindi proceduto a descrivere le criticità conseguenti all’inadeguatezza di tali logiche rispetto all’evoluzione dei nuovi consumatori innescata dalle nuove dinamiche comunicative introdotte dai media digitali e favorita dal loro esponenziale sviluppo; dopodiché sono stati definiti, sulla base di autorevoli pareri, gli obiettivi fondamentali che sarà necessario perseguire per affrancarsi dalla crisi e dare impulso ad un nuovo percorso evolutivo all’interno di un nuovo paradigma della comunicazione pubblicitaria che preveda il ribaltamento delle logiche dell’advertising tradizionale ormai incompatibili con le prospettive future. In sostanza, fino ad ora è stato esposto il “perché” delle problematiche individuate e il “che cosa” è necessario assumere come obiettivi al fine di superare tali criticità e compiere quel “salto evolutivo” di cui la comunicazione pubblicitaria dei brand ha ormai urgente bisogno; non resta dunque che definire il “come” concretizzare tali finalità, sviluppando argomentazioni in grado di proporre una prospettiva evolutiva per l’advertising.
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
3.1 Internet of Things: la portata rivoluzionaria di un inedito scenario tecnologico
L’ipotesi fondamentale che il progetto di tesi intende dimostrare consiste, dunque, nell’idea che, per il compimento di questo passaggio evolutivo, potrà essere decisivo servirsi delle potenzialità delle innovative tecnologie dell’IoT, (Internet of Things), in fase di forte sviluppo, finora prevalentemente oggetto di studio ed applicazione ad ambiti come telecomunicazioni, domotica, sicurezza, mobilità, energia o sanità. Secondo quanto ipotizzato, infatti, l’IoT potrebbe costituire una concreta prospettiva evolutiva per il futuro dell’advertising e rappresentare un efficace strumento tecnologico in grado di rispondere al suo bisogno di cambiamento.
Fig 3.1 Kevin Ashton, Cofondatore dll’Auto-ID Center al Massachusetts Institute of Technology
Ma prima di sviluppare le argomentazioni a sostegno di questa tesi è necessario offrire, in sintesi, un quadro generale di cosa sia l’IoT, al fine di entrare in possesso delle conoscenze di base a partire dalle quali poter costruire il discorso a dimostrazione della tesi che si intende proporre: prima di tutto, introducendo l’Internet of Things dal punto di vista concettuale, successivamente, ripercorrendo l’evoluzione di questa tecnologia (relativamente alla sua diffusione e alla sua percezione a livello sociale), illustrando le funzioni per le quali è stata concepita, approfondendone gli attuali ambiti applicativi, descrivendone le potenzialità, analizzando l’impatto che ha sull’attuale scenario tecnologico e il livello di consapevolezza ed utilizzo da parte delle persone, e prefigurando gli scenari futuri. Il concetto di “Internet of Things” (IoT), si riferisce all’estensione di internet al mondo fisico degli oggetti e dei luoghi reali (delle “cose”, per l’appunto), ossia alla possibilità, consentita dalle nuove tecnologie, di rendere anche
116
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.2 Tag RFID (Identificazione a radio frequenza)
gli oggetti senza un’originaria vocazione digitale dispositivi dotati di “intelligenza”, collegati ad internet e capaci di interagire con gli altri oggetti in rete, recependo e trasferendo dati, comunicando informazioni su se stessi ed accedendo ad informazioni aggregate da altri dispositivi. In sostanza, l’obiettivo ideale a cui si tende con lo sviluppo dell’IoT è far sì che il mondo elettronico tracci una mappa digitale del mondo fisico, attribuendo un’identità elettronica agli oggetti e agli ambienti reali. Seppure la nascita dell’IoT venga attestata da Cisco (azienda multinazionale leader nel settore della fornitura di apparati di networking) tra il 2008 e il 2009 e lo stesso termine Internet of Things abbia acquisito maggiore risonanza solo negli ultimi anni (nonostante sia ancora ben poco noto ai non addetti ai lavori), questa tecnologia è stata teorizzata per la prima volta addirittura nel 1999 dall’ingegnere inglese Kevin Ashton, in occasione di una presentazione tenuta alla Procter & Gamble relativa al nuovo progetto a cui stava lavorando con i suoi colleghi ricercatori dell’MIT: si trattava dei tag RFID (Identificazione a radio frequenza), speciali etichette elettroniche che potevano essere applicate praticamente dappertutto e lette da remoto con particolari apparecchi radio.
A vent’anni di distanza quei tag sono stati trasformati in sensori in grado di acquisire e trasferire dati potenzialmente ovunque nel mondo, utilizzando i protocolli e le infrastrutture della rete; con l’evoluzione dell’IoT, questi dati son destinati ad incrementare esponenzialmente i propri volumi, la propria varietà e la propria complessità (tant’è che, come abbiamo visto, siamo già nel pieno dell’era dei Big Data, vasti e complessi sistemi di dati che si affermeranno sempre di più come risorsa fondamentale ed imprescindibile per l’evoluzione del mercato, delle nuove tecnologie e della società). A partire dai dati generati dai sistemi di ambient intelligence e dagli smart objects interconnessi, è possibile, quindi, ricavare le più svariate informazioni, dal semplice identificativo (ad esempio, un tag RFId che consente di conoscere il codice identificativo univoco di un determinati prodotto) ad informazioni su proprietà dell’oggetto o dell’ambiente che lo circonda (dalla temperatura alla posizione, dalla localizzazione GPS al peso, dalla composizione chimica al movimento e così via), informazioni che possono essere lette attraverso ogni tipo di device digitale (computer, smartphone, wearable, ecc.), e che, con il progresso tecnologico dell’IoT, sono destinate a diventare sempre più dettagliate, complete e diversificate. L’IoT può riguardare effettivamente qualsiasi struttura degli ambienti fisici in cui ci muoviamo e qualsiasi oggetto di cui ci serviamo nella nostra quotidianità: dai ponti, alle dighe, ai semafori, ai termostati, ai frigoriferi, agli orologi, alle automobili, agli indumenti: ogni cosa può essere considerata un esempio di IoT a patto che sia connessa alla rete e sia capace di trasmettere e ricevere dati. In un certo senso, con l’IoT, gli oggetti “prendono vita”, diventano capaci di relazionarsi con gli altri dispositivi e rispondere ad imput esterni, sono grado di attivarsi e disattivarsi autonomamente a seconda delle necessità, possono interagire con differenti contesti, e ancora molte sono le potenzialità che l’evoluzione di questa tecnologia prospetta. Infatti, si prevede che l’IoT sia destinata ad avere sempre maggiore impatto sulle nostre vite, tanto che il trinomio composto da Big Data, Analytics ed Internet of Things è da considerarsi una delle formule tecnologiche più
117
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
importanti per il prossimo futuro. La diffusione e l’evoluzione di Internet of Things rivoluzionerà i nostri comportamenti, inciderà via via sempre più profondamente e pervasivamente nella nostra quotidianità, cambierà totalmente il modo in cui interagiamo con l’ambiente circostante e con oggetti d’uso o di consumo (quotidiano o meno) che, in collegamento con gli altri dispositivi intelligenti, daranno vita ad ecosistemi, nei quali saremo immersi, fatti di devices interconnessi. Tuttavia, ciò rappresenta ancora una prospettiva ideale, rispetto alla quale sarà necessario, nel prossimo futuro, guadagnare via via sempre maggiori porzioni di concretezza. Allo stato attuale, infatti, quando si parla di IoT ci si riferisce ancora, perlopiù, a micro-ambienti. Non per altro uno dei maggiori settori applicativi dell’IoT in via di sviluppo nella contemporaneità è proprio la domotica (la gestione degli ambienti abitativi favorita da processi
Fig 3.3 Esempio di ecosistema IoT nell’ambito di una smart city, Nokia Networks, Technology Vision
118
informatici ed elettronici), settore subito seguito da altre applicazioni come quelle legate ad attività di monitoraggio (con tecnologie IoT che si servono di sensori ambientali e territoriali) e all’automazione dei processi produttivi. L’Internet of Things nel vero senso del termine e secondo la sua concezione originaria, inteso quindi come “Internet vero e proprio” di “cose” interconnesse, resta un obiettivo la cui concretizzazione non è ancora da considerarsi immediatamente accessibile. Nonostante i progetti di Smartcity siano attualmente in fase di forte ricerca e sviluppo e, come vedremo nel prossimo paragrafo, non manchino esempi di “città intelligenti” che utilizzano in modo significativo l’IoT per le proprie infrastrutture, l’applicazione di questa tecnologia a “macro ambienti” e la creazione di ecosistemi vasti e complessi fatti di dispositivi interconnessi integrati
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
pervasivamente nei diversi habitat degli individui, sarà concretamente possibile su larga scala solo successivamente ad una sua più consistente diffusione, accompagnata da una sua altrettanto diffusa e piena conoscenza da parte degli individui (la maggior parte dei quali ignora lo stesso concetto di Internet of Things sebbene utilizzi comunemente tutt’oggi, in modo inconsapevole, tecnologie ad esso ascrivibili). Tale diffusione attualmente incontra ancora ostacoli non trascurabili, non tanto di natura tecnologica, ma bensì legati prevalentemente a problemi di carattere gestionale e legislativo: tuttavia, la creazione di ecosistemi di oggetti intelligenti interconnessi su larga scala, considerando i dati relativi all’esponenziale evoluzione dell’IoT e alla veloce espansione del suo mercato, è da considerarsi, se non a tutti gli effetti imminente, comunque sostanzialmente ascrivibile al prossimo futuro. L’orizzonte della creazione di un vero e proprio “mondo interconnesso”, di un autentico “Internet of Things” nel vero senso del termine (e quindi di una rete di “smart things” interconnesse a livello globale) è pertanto da considerarsi sempre meno utopico e sempre più concreto e raggiungibile.
che definisce: M2M (Machine to Machine, in riferimento ai sistemi di connessione tra i dispositivi intelligenti), P2M (People to Machine, in riferimento al nuovo modo di rapportarsi con le tecnologie IoT da parte delle persone), M2P (Machine to People, relativamente alle capacità di apprendimento che gli smart devices impiegheranno nell’acquisizione delle informazioni a partire dalle interazione con gli utenti) e P2P (People to People, relativamente alle nuove dinamiche relazionali che si genereranno tra gli individui all’interno dei futuri ecosistemi IoT). In sostanza, la definizione IoE può essere considerata come una prospettiva interpretativa dell’IoT che, oltre all’interconnessione tra gli oggetti, pone particolare attenzione alle nuove forme di “interconnessione tra le persone”, considerando come il cuore di questa rivoluzione tecnologica sarà rappresentato in particolar modo dalla trasformazione profonda delle loro vite, dei loro comportamenti, della loro quotidianità, del loro modo di rapportarsi con le nuove tecnologie, ma soprattutto, del loro modo di relazionarsi con gli altri e con il mondo intorno a sé.
Particolarmente indicativo del livello di fermento intorno allo sviluppo del’IoT, della forza con la quale questo scenario tecnologico si sta imponendo sempre di più sulla scena delle nuove tecnologie, e della portata rivoluzionaria prefigurata circa le sue potenzialità per il prossimo futuro, è il fatto che, ancor prima dell’effettiva diffusione dell’IoT tra la popolazione su larga scala, si parli già del concetto di “Internet of Everything” (IoE) . A coniare questo termine è stato ancora una volta Cisco, per portare ulteriore enfasi al concetto di Internet of Things e per sottolineare come il futuro tecnologico che ci attende, così come è stato quasi unanimemente previsto dai maggiori esperti del settore, riguarderà un mondo dove ogni cosa potrà essere effettivamente interconnessa (oggetti, uomini, piante, terreni, costruzioni, e così via). Cisco, infatti, si focalizza particolarmente sugli aspetti dell’Internet of Things che prescindono dalla dimensione puramente tecnologica e riguardano soprattutto i profondi effetti che questo nuovo paradigma avrà sulla società, distinguendo tali trasformazioni su quattro livelli,
119
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
3.2 Evoluzione diffusione ed ambiti applicativi dell’IoT
Al tempo della sua prima concettualizzazione, l’IoT era stato inizialmente concepito come un sistema di interconnessione che si avvaleva di tecnologie di comunicazione tipicamente a corto raggio (i tag RFID, come già detto, hanno rappresentato uno dei primi esempi in tale ambito), favorendo dinamiche di interazione tra i dispositivi non troppo diverse da quelle consentite dalle tecnologie di proximity communication come iBeacon. Col passare del tempo, però, l’emergere di nuove tecnologie ha consentito di rendere progressivamente più efficiente la comunicazione tra i dispositivi interconnessi: in particolar modo lo standard IEEE 802.15.4 e, soprattutto, il suo recente emendamento IEEE 802.15.4e, in grado di incrementare notevolmente l’affidabilità dei collegamenti a radio frequenza e l’efficienza energetica, grazie all’adozione del meccanismo di accesso al mezzo Time Slotted Channel Hopping. Queste tecnologie, quando integrate in architetture protocollari basate sul protocollo IP, possono dare concretamente vita alla visione dell’Internet of Things, essendo in grado di dialogare con i nodi della rete Internet. In tal senso, è importante menzionare i protocolli IETF 6LoWPAN, RPL, e CoAP, in grado di creare operativamente una rete IP di oggetti che può dialogare con la rete Internet per creare nuovi servizi in molteplici domini applicativi, o ancora i protocolli MQTT, CoAP e il celebre HTTP, i più comuni utilizzati per il trasferimento dei dati. Oltre alle tecnologie di interconnessione anche quelle di raccolta, gestione e lettura dei dati hanno compiuto considerevoli progressi. Nonostante sia necessario compiere ulteriori passi avanti rispetto all’obiettivo di sviluppare macrosistemi interconnessi in cui i dati vengono codificati e trasmessi secondo
120
linguaggi unitari e assolutamente coerenti e rispetto all’obiettivo di sviluppare tecnologie di gestione e analisi di grandi volumi di dati capaci di superarne compiutamente la frammentazione su diversi database e diverse partizioni in cloud, le prospettive di concretizzazione di tali obiettivi per il prossimo futuro sono del tutto ottimistiche. Ciò considerando la rapida evoluzione tecnologica dell’IoT e il significativo progresso dei software di analisi (ad esempio Google Universal Analytics) a cui i dispositivi e gli oggetti interconnessi possono collegarsi per trasferire direttamente i dati dalla vita reale, (software che stanno aprendo sempre di più la strada ai Big Data). Considerando i sistemi relativi alle attuali tecnologie IoT, i processi che riguardano la generazione, la codifica, la trasmissione, la raccolta, l’analisi (e decodifica) dei dati prodotti da smart objects, passando per le infrastrutture che rendono possibile l’incontro tra il reale e il virtuale, sono generalmente sistematizzati secondo gli step di seguito illustrati. I sensori rilevano e registrano dati di input generati da ambienti e cose; i lettori intelligenti, come ad esempio Raspberry “ascoltano” costantemente i dati dei sensori e li trasmettono via Internet; i broker li raccolgono gestendo la coda dei messaggi (questo è il momento in cui i dati passano dal mondo reale, ambienti o cose, al web, attuando il passaggio fondamentale a cui potranno seguire le fasi di intelligenza, elaborazione ed informazione); un servizio fa query sui topic per registrare dati su database non relazionali (o No SQL, con informazioni non distribuite in differenti strutture logiche ma aggregate per oggetto); una web app interroga i database No SQL e rielabora i dati “grezzi” attribuendovi valore ed intelligenza, e raffinando quindi informazioni, leggibili su diversi device, utili alle diverse funzioni cui saranno pre-
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
poste (monitoraggio, azioni automatiche reali o virtuali, e così via).
Things e senza sapere che tali dispositivi sono effettivamente ascrivibili a questa tecnologia.
Come già detto nel precedente paragrafo, l’IoT è una tecnologia che non ha ancora incontrato una diffusa e completa conoscenza da parte del pubblico (soprattutto al livello della popolazione e in parte anche nel mondo aziendale), nonostante i dati relativi alla sua diffusione sembrino attestare il contrario; una parte consistente degli individui, infatti, utilizza oggetti capaci di connettersi alla rete senza essere al corrente di cosa sia l’Internet of
Una recente analisi condotta da Dave Evans, Chief Technologist dell’Internet Business Solutions Group (IBSG) di Cisco, restituisce con una certa evidenza la dimensione della crescita e della portata rivoluzionaria di questo inedito scenario tecnologico. Attualmente, secondo quanto riportato in questo documento, i dispositivi connessi sono circa 25 miliardi, e ciò significa che, in relazione a una popolazione mondiale di
Fig 3.4 Processo di rilevazione, codifica e raccolta dei dati e rielaborazione delle informazioni di un sistema IoT, infografica di Meetweb
121
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
7,2 miliardi di persone, in media ogni persona possiede 3,47 smart objects. Questo numero, che evidenzia una diffusione già significativa dell’IoT, se messo in relazione con i dati relativi al passato, attesta una crescita esponenziale di questa tecnologia e ne prospetta una vera e propria esplosione per il prossimo futuro (che sarà possibile una volta portati a compimento i necessari perfezionamenti tecnici e grazie a un progressivo abbattimento dei costi che favorirà l’accessibilità ai sistemi IoT). Secondo Cisco, infatti, se nel 2003, a fronte di una popolazione mondiale di 6,3 miliardi di persone, gli oggetti connessi erano circa 500 milioni (con una media di 0,08 dispositivi smart per persona) e nel 2010, con un’impressionante ed esponenziale crescita, si è raggiunto il numero di 12,5 miliardi a fronte di una popolazione di 6,8 miliardi di individui (con una media quindi di 1,84 smart devices a persona), nel 2020 si prevede che il numero di dispositivi connessi raggiunga quota 50 miliardi (mediamente, ben 6,5 oggetti intelligenti per persona). Guardando all’andamento e alle dinamiche di diffusione di Internet of Things nel corso della sua breve storia, l’elemento più interessante da evidenziare riguarda proprio il radicale incremento del numero di smart devices in uso alla popolazione nel 2010 rispetto a quello registrato nel 2003. Le ragioni di questo aumento sorprendente sono da ricercarsi essenzialmente nel boom degli smartphone e dei tablet pc avvenuto in quel periodo, cui ha fatto da apripista il primo iPhone presentato da Steve Jobs tre anni prima (precisamente, il 9 gennaio 2007), in occasione della Macworld Conference & Expo. Come già affermato nel primo capitolo, la diffusione degli smartphone tra la popolazione è stato un fenomeno di portata rivoluzionaria, che ha stravolto totalmente non solo il mercato, ma, prima di tutto, la società, la vita stessa degli individui, il modo in cui comunicano, navigano in rete e utilizzano servizi, i loro percorsi di consumo, le relazioni sociali, le abitudini, la vita lavorativa, la vita privata, l’intrattenimento, innescando nuove dinamiche comportamentali e nuove forme di interazione ed interrelazione tra le persone ad ogni livello.
122
Grazie agli smartphone, infatti, per la prima volta le persone possono connettersi alla rete ovunque, anche al di fuori di case ed uffici (possibilità favorita particolarmente dallo sviluppo delle reti wifi), e in ogni momento della giornata, attraverso dispositivi tascabili che possono essere portati sempre con sé. Di conseguenza, ad essere rivoluzionato è soprattutto il modo in cui gli individui utilizzano il web, poiché al fianco della “classica” navigazione in rete si aggiungono ricerche e navigazioni svolte in base a situazioni e necessità ancor più contestuali. Il grande sviluppo delle app si colloca proprio nell’ambito di una crescente personalizzazione da parte degli individui del proprio uso della rete, che avviene sempre più secondo pattern personalizzati di servizi e funzionalità a cui si è interessati. Gli smartphone, la cui diffusione è cresciuta in modo esponenziale grazie ad un rapido abbattimento dei costi negli ultimi anni, oggi, insieme agli altri dispositivi mobile, sono in uso a ben 3,8 miliardi di persone. L’elemento interessante consiste nel considerare come questi devices possano essere considerarti a tutti gli effetti la prima forma di IoT diffusa su larga scala nella popolazione, i primi dispositivi in uso agli individui capaci di connettersi ad internet diversi dal computer (a cui hanno fatto seguito, con numeri però considerevolmente più contenuti, la diffusione dei tablet e quella, ancora agli inizi, dei wearables), seppur la maggior parte delle persone non sia consapevole della stessa esistenza del concetto di Internet of Things e di come impatterà radicalmente sui futuri scenari tecnologici del mondo della comunicazione. Nel mondo aziendale, in particolar modo negli ultimi anni, il livello di consapevolezza riguardo alle potenzialità dell’IoT è considerevolmente cresciuto e risulta assai più esteso rispetto allo scarso livello di conoscenza di questa tecnologia dimostrata da gran parte della popolazione. Uno studio internazionale del 2016 pubblicato da Aruba, intitolato “The Internet of Things: Today and Tomorrow” (consistito in una ricerca condotta su un campione di 3.100 decision maker, IT e business, che operano in 20 Paesi), riporta infatti che praticamente tutti i business leader (98% nel mondo, 99% in Italia) dichiarano di
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.5 Infografica sulla crescita dell’IoT e sulla diffusione degli smart devices, con previsioni fino al 2020
123
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
conoscere l’IoT, nonostante, è bene specificarlo, molti di essi siano incerti sull’esatta definizione e il relativo significato per la propria attività. Lo studio evidenzia inoltre le ottime prospettive di diffusione dell’IoT su ampia scala per il prossimo futuro, a partire dal fatto che l’85% delle aziende a livello globale dichiara di voler implementare tale tecnologia entro il 2019. La crescente diffusione dell’IoT implica, ovviamente, anche buone prospettive di crescita in termini di valore economico per questo settore. Secondo le analisi di mercato compiute dalla multinazionale di consulenza strategica McKinsey&Company (documentate nel report dal titolo “Internet of Things: mapping the value beyond the hype”) nel 2015 il mercato dell’IoT valeva circa 655 miliardi di dollari, destinati a diventare 11000 entro il 2025. Ciò significa che nel giro di 10 anni questo settore assumerà un valore complessivo pari a circa l’11% dell’intera economia mondiale; di questi 11.000 miliardi, 4.000 miliardi arriveranno da mondo industriale, 1700 dalle future “città intelligenti” (o “smart cities”, che verranno approfondite nel corso di questo paragrafo), 1600 dalle applicazioni per la salute e il fitness e 1000 dall’automazione della vendita al dettaglio. Ma l’aspetto più interessante di tale crescita è rappresentato dal fatto che, sempre secondo il documento prodotto da McKinsey, il 90% del valore economico creato dall’IoT sarà generato dagli utenti, a partire dalla crescita esponenziale dei volumi d’acquisto di prodotti e tecnologie IoT. La vigorosa crescita dell’IoT appena documentata in termini di numeri e le buone prospettive per il futuro appena descritte non implicano ancora, però, allo stato attuale, la possibilità di dare vita a quel “mondo interconnesso” immaginato da Ashton in origine. Al fine di dare vita a veri e propri ecosistemi intelligenti su vasta scala, nella prospettiva di estendere l’interconnessione degli smart devices su scala globale, non è sufficiente la mera crescita quantitativa dei dispositivi interconnessi e la moltiplicazione di micro-ambienti intelligenti, ma bisognerà operare sempre più in direzione della creazione di una “rete di reti” sempre più estesa e strutturata secondo linguaggi e sistemi di connessione
124
e trasferimento dei dati che siano comuni, omogenei e coerenti. Attualmente, infatti, l’Internet of Things è costituito da una serie di reti eterogenee, non collegate tra loro e appositamente create per scopi specifici. Si pensi, ad esempio, che oggi in una stessa smart car i sistemi intelligenti per il monitoraggio e il controllo delle diverse funzionalità del veicolo dispongono di più reti per gestire separatamente il funzionamento del motore, le funzioni di sicurezza, i sistemi di comunicazione, e così via. O, ancora, gli smart buildings commerciali e residenziali possiedono diversi sistemi di controllo per HVAC (Heating, Ventilation and Air Conditioning: riscaldamento, aerazione e condizionamento dell’aria), servizi di telefonia, sicurezza e illuminazione, e molti altri ancora potrebbero essere gli esempi dell’eterogeneità dei sistemi di generazione, codifica e gestione dei dati degli ambienti e degli oggetti smart presenti sul mercato attualmente. Affinché l’Internet of Things possa riguardare macro-ambienti interconnessi, financo divenire World Wide, e incontrare effettivamente il modello dell’Ubiquitous Computing permangono alcuni ostacoli da superare. In primo luogo, nonostante rappresenti un problema dalle caratteristiche assai più vaste, articolate e non esclusivamente, e direttamente, associabili al solo ambito del futuro sviluppo dell’IoT , è necessario considerare il fatto che l’alfabetizzazione informatica non può ancora considerarsi un fatto compiuto a livello globale: le ragioni sono sostanzialmente ascrivibili al tema del digital divide (troppo complesso da poter essere esaurientemente argomentato in questa sede), una questione tanto annosa quanto inevitabilmente destinata ad incontrare un progressivo e rapido miglioramento nel prossimo futuro, per lo meno nei Paesi del Primo Mondo. Infatti, se è vero che il divario digitale relativo alle differenze (in termini di possibilità di progresso tecnologico, condizioni economiche, qualità delle infrastrutture, e così via), che intercorrono tra i Paesi “sviluppati” e i Paesi “sottosviluppati” rappresenta un problema estremamente complesso e di enormi proporzioni, è altrettanto vero
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.6 Big Data Landscape 2016 , FirstMark Capital
che, restando nel contesto dei Paesi sviluppati, il problema relativo alle lacune nell’alfabetizzazione informatica delle popolazioni, dovute alle differenze generazionali, è sempre più vicino ad essere azzerato. Il ricambio demografico, infatti, sta portando generazioni sempre più “digitalizzate”, “informatizzate” e vicine all’elettronica; si tratta di quei “nuovi consumatori” di cui si è parlato nel precedente capitolo, rispetto ai quali il web è divenuto ormai un “habitat naturale”: essi sono costituiti in larga parte dai nativi digitali e possiedono totale familiarità con le nuove tecnologie informatiche, sono assolutamente
abituati all’interattività, ad essere protagonisti del mondo della comunicazione, e a vivere immersi in una realtà sempre più interconnessa, in cui la virtualità è ormai pervasivamente compenetrata ed osmotica con il mondo reale. Questi nuovi consumatori, in sostanza, sono ormai proiettati in un futuro in cui l’interconnessione, l’interattività e la personalizzazione avranno un ruolo determinante nelle future tecnologie, e si presentano pertanto giù maturi rispetto ai nuovi scenari che saranno introdotti con la diffusione e lo sviluppo dell’Internet of Things su larga scala.
125
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Il secondo ostacolo all’evoluzione dell’IoT come ecosistema interconnesso su larga scala è rappresentato dall’eterogeneità dei protocolli di comunicazione. Esistono, infatti, numerosi differenti formati, frequenze e standard per veicolare i dati: Wi-Fi, 3G, LTE, Rfid, Nfc, Bluetooth e ZigBee sono solo alcuni tra i principali. Essi, per diverse ragioni, risultano tutti validi ed efficienti ai fini della trasmissione delle informazioni, ma il loro moltiplicarsi ostacola considerevolmente la possibilità di procedere in direzione dell’unificazione e dell’uniformazione delle sempre più numerose reti di dispositivi intelligenti: strumenti diversi, infatti, “parlando”, per l’appunto, “lingue diverse”, sono spesso incompatibili e riescono difficilmente a dialogare e a “comprendersi” vicendevolmente. Un ulteriore fattore ostacolante alla nascita di una rete globale di “smart things” collegate tra loro è costituito dai limiti nella capacità di banda; affinché si possa verificare un’efficace e capillare diffusione dell’IoT è necessario servirsi di reti ed infrastrutture adeguate in termini non solo di larghezza di banda, ma anche di sicurezza; con il progresso dell’IoT, infatti, i dati che potranno essere generati, oltre ad incrementare sempre più i propri volumi (i già citati Big Data), saranno sempre più precisi e dettagliati, e ciò implica necessariamente che in molti casi le informazioni, aziendali o personali, estraibili a partire da essi potranno essere anche particolarmente sensibili e confidenziali. La banda larga rappresenta un tema rispetto al quale nazioni come Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud, risultano già considerevolmente evolute, dal momento che godono di sistemi decisamente avanzati in confronto a quelli europei. Stati come l’Italia rischiano invece di restare preoccupatemene indietro su un terreno sul quale non solo si giocherà la capacità di evolversi tecnologicamente, ma che offrirà, inoltre, notevoli opportunità di rilancio economico. Il tema della sicurezza di grandi volumi di dati sensibili introduce un altro argomento cruciale (già accennato alla fine del precedente capitolo in relazione all’incremento esponenziale dei Big Data nel prossimo futuro), che dovrà necessariamente essere affrontato con estrema serietà affinché sia possibile dare vita ad un Internet of Things
126
effettivamente esteso su vasta scala: il tema della regolamentazione legislativa a tutela della privacy dei diversi attori del mercato, in particolar modo dei consumatori. Questo argomento, tuttavia, non verrà approfondito in questa sede in quanto sarà ripreso più nel dettaglio alla fine di questo capitolo, unitamente al tema relativo alla regolamentazione della titolarità dei dati all’interno dei macro-sistemi IoT. Oltre alla questione relativa alla tutela della privacy delle persone, un altro problema di ostacolo allo sviluppo dell’IoT su vasta scala, affrontato nel precedente capitolo (nell’ambito degli obiettivi individuati da importanti esperti del settore nella prospettiva di dare impulso all’evoluzione di un advertising sempre più data-centrico nel prossimo futuro) è rappresentato dalla già citata frammentazione dei dati, la cui risoluzione, infatti, sarà necessaria anche, e soprattutto, ai fini dello sviluppo di quella “rete di reti” teorizzata da Kevin Ashton, e quindi di un’Internet of Things inteso effettivamente come ecosistema globale di oggetti interconnessi. Come già detto, la frammentazione dei dati su differenti database e separati spazi virtuali in cloud, raccolti e processati in vari datacenter e codificati e trasmessi secondo diversi protocolli e linguaggi non dialoganti tra loro, rappresenta uno dei principali nodi da sciogliere per consentire un’effettiva evoluzione dell’IoT su larga scala. Questo, se non in una prospettiva che veda la diffusione di database open source, come quella auspicata da Claudio Maria Ferrara (riportata nel precedente capitolo), comunque nell’ottica dello sviluppo di un mercato dei dati omogeneo e non granulare che faccia riferimento a macro-sistemi compiutamente interconnessi, in cui le tecnologie IoT si servano di database (centralizzati o meno) con sistemi di raccolta e gestione dei dati conformi e coerenti tra di loro, in grado di codificare e trasmettere le informazioni secondo linguaggi comuni (o comunque compatibili). Infine, per quanto appaia scontato, il presupposto di base in grado di consentire all’IoT di diffondersi su larga scala (e quindi di assumere la forma di un ecosistema globale di smart things interconnesse, a fronte della predisposizione delle condizioni necessarie affinché ciò avvenga,
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
appena descritte), è il progressivo ammortamento dei costi di questa tecnologia. Allo stato attuale, infatti, i dispositivi IoT sul mercato presentano ancora costi considerevolmente elevati e ciò, ovviamente, ostacola la diffusione di questa tecnologia rendendola accessibile solo a privati, aziende ed enti con sufficienti disponibilità economiche. Tuttavia, così com’è stato per ogni altra innovazione tecnologica che ha fatto la propria comparsa sul mercato nel corso della storia, è certamente prevedibile che all’evoluzione tecnologica dell’IoT conseguirà un progressivo abbassamento dei costi; non solo: considerando la rapidità con cui tale tecnologia si sta attualmente sviluppando, si può con ogni probabilità presumere che tale abbassamento avverrà con considerevole velocità nel prossimo futuro. Nonostante allo stato attuale gli ostacoli appena descritti impediscano di fatto di avviare quel processo evolutivo dell’Internet of Things che determinerebbe il passaggio da reti localizzate e circoscritte utilizzate per scopi specifici a un sistema di interconnessione complesso in grado mettere in comunicazione dispositivi intelligenti su larga scala (nella prospettiva della creazione di una rete globale in cui ogni smart object possa trasferire e ricevere dati in connessione con gli altri dispositivi), i maggiori esperti del settore convengono sul fatto che, considerando la veloce evoluzione dell’IoT, i crescenti investimenti in questo settore, e i considerevoli sforzi per il progresso tecnologico di tali sistemi, possa ritenersi questione di pochi anni prima che si mettano a punto le soluzioni necessarie alle problematiche prima descritte. In sostanza, L’IoT come “mondo interconnesso”, o per lo meno come ecosistema di devices collegati tra loro su vasta scala, appare come un obiettivo rispetto al quale presto si possiederanno gli strumenti necessari per potersi incamminare concretamente in direzione della sua concretizzazione. In definitiva, è opinione comune che l’era dell’Internet of Things può considerarsi a tutti gli effetti alle porte e che essa darà vita ad un nuovo paradigma tecnologico che stravolgerà il mondo a tutti i livelli e la cui portata rivoluzionaria è da considerarsi pari a quella determinata dall’affermazione di Internet nei primi anni ’90.
La creazione di una rete di reti di grandi proporzioni, ossia di un vero e proprio Intenet di ecosistemi intelligenti interconnessi, rappresenta, inoltre, una prospettiva in grado di aprire nuovi scenari ed offrire nuove potenzialità per la gestione di Big Data volumetricamente sempre più vasti, la cui relazione con l’Internet of Things è destinata a diventare sempre più centrale nella futura evoluzione del mercato in ogni suo settore, e che, proprio con lo sviluppo e la diffusione dell’IoT, andranno incontro ad un esponenziale incremento, sia in una prospettiva Open Source sia in quella di un nuovo (ed opportunamente regolamentato) mercato dei dati su scala globale. Riportando momentaneamente il focus sull’advertising, è possibile affermare che, se già la diffusione dell’IoT, mantenendo l’attuale tendenza, potrà offrire benefici sostanziali per l’evoluzione della pubblicità nel prossimo futuro, le opportunità derivanti dallo sviluppo di una rete globale (o comunque estesa su larga scala) di “things” interconnesse, potranno essere, decisamente, ancora più determinanti (le ragioni di quest’ultima affermazione verranno esposte approfonditamente nel corso di questo capitolo). Dopo aver parlato dell’evoluzione e della diffusione dell’IoT nella prospettiva di una sempre più estesa e capillare interconnessione di “smart things” su scale di crescenti proporzioni, per completare la panoramica di approfondimento su questa tecnologia, verranno di seguito illustrati i principali ambiti applicativi rispetto ai quali l’Internet of Things, allo stato attuale, è prevalentemente oggetto di studio e sviluppo. Essi riguardano principalmente la domotica, la robotica, l’industria automobilistica, la mobilità e i trasporti, il monitoraggio, la telematica, la sorveglianza e la sicurezza, l’avionica, l’automazione dei processi produttivi, l’ambito biomedicale, la telemetria, l’agricoltura, la zootecnica, i sistemi Embedded (il complesso dei sistemi elettronici integrati di elaborazione digitale a microprocessore progettati per applicazioni specifiche), le smart grid (reti elettriche intelligenti dotate di sensori che raccolgono informazioni in tempo reale ottimizzando la distribuzione di energia), e le smart city (la visione per il futuro delle città, trasfor-
127
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
mate, grazie a tecnologie di interconnessione pervasive dell’ambiente urbano, in ecosistemi intelligenti atti alla semplificazione e al miglioramento della vita dei cittadini, per quanto riguarda l’automazione dei servizi, la mobilità e i trasporti, la sicurezza, il monitoraggio infrastrutturale, le telecomunicazioni, e così via). Tali ambiti applicativi possono essere sostanzialmente suddivisi in tre gradi di maturità: applicazioni consolidate, applicazioni sperimentali ed applicazioni embrionali. Le applicazioni consolidate coincidono con quelle già correntemente in uso, nonché, perlopiù, le più semplici: esse corrispondono a sistemi di interconnessione specifici, circoscritti e dedicati a precise funzioni. Le applicazioni sperimentali sono quelle attualmente in fase di ricerca e sperimentazione, studiate secondo obiettivi più autenticamente assimilabili al concetto di Internet of Things, in quanto relative a sistemi di interconnessione più estesi ed articolati, e oggetto di sviluppo principalmente in un’ottica di costruzione di reti su vasta scala. Le applicazioni embrionali, infine, corrispondono a progetti più vicini allo stato di idee che ad un effettivo impiego nella realtà, e sono oggetto di ricerca secondo visioni che riguardano essenzialmente il futuro di questa tecnologia e gli scenari ad esso correlati. Le applicazioni più consolidate e diffuse sono quelle legate alle soluzioni più semplici e di immediata realizzazione. Si pensi ad esempio alla misurazione dei consumi per mezzo di “contatori intelligenti” (smart metering), alla videosorveglianza e alla sicurezza nelle “smart home” finalizzata al controllo e all’antintrusione, o ancora, ad esempio alla gestione delle flotte aziendali, alla tracciabilità degli oggetti o alle attività di monitoraggio (del traffico cittadino, delle condizioni atmosferiche, delle infrastrutture, e così via). All’interno di questi ambiti l’Internet of Things cresce sempre più, data l’applicazione immediata e di facile utilizzo e gestione. Tali applicazioni, tuttavia, pur sfruttando il collegamento tra sensori e devices di vario genere, rappresentano forme di interconnessione elementari, difficilmente assimilabili allo stesso concetto di rete. Nonostante sia ancora impossibile ascriverli al concetto
128
di “Internet” nel vero senso della parola, nella prima categoria è possibile collocare, inoltre, quei sistemi che, seppur assolutamente localizzati, circoscritti e funzionali all’adempimento di specifiche finalità, costituiscono reti di interconnessione più sofisticate rispetto agli esempi prima citati, e, quindi, in piccola parte, più vicine all’autentica concezione dell’Internet of Things “vero e proprio”: ne sono esempi la domotica, i servizi di infomobilità, il cui mercato attualmente procede con una certa lentezza, ma che, con il progresso tecnologico, l’abbassamento dei prezzi ed una maggiore consapevolezza da parte delle persone circa le loro potenzialità, incontreranno in breve tempo, con ogni probabilità, una rapida diffusione. Nella categoria delle applicazioni sperimentali rientrano quei sistemi che, essendo considerevolmente più articolati e complessi rispetto a quelli relativi alle cosiddette applicazioni consolidate, riguardando reti di interconnessione più estese e servendosi prevalentemente di tecnologie RFId, sono, come già detto, maggiormente associabili al concetto di Interent of Things; ne sono esempi i sistemi IoT impiegati per tracciare e controllare le supply chain e per l’automazione dei processi industriali (smart manufacturing), quelli utilizzati nell’ambito “eHealth” (IoT per salute e medicina), in cui significativi passi avanti si stanno compiendo, ad esempio, nei confronti delle tecnologie per il telemonitoraggio dei pazienti, o, ancora, quelli impiegati nei campi della la robotica e della telemetria. Infine, le tecnologie embrionali coincidono con gli ambiti in cui la ricerca nel campo dell’IoT viene condotta secondo quelle che possono essere considerate sostanzialmente visioni per il futuro, scenari tecnologici ancora prevalentemente più immaginati che reali. Ne sono esempi le sperimentazioni in ambito energetico, in particolar modo le smart grid, o lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate e funzionali nell’ambito delle smart cities (per ciò che riguarda le “città intelligenti” è opportuno specificare che, di fatto, alcune tra le maggiori città del mondo, come Amsterdam, Dubai, o la stessa Torino, hanno già compiuto significativi passi avanti nell’informatizzazione di moltissimi servizi e si sono
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
pionieristicamente dotate di avanzate tecnologie, come reti di sensori wireless, estese nell’ambiente urbano, ma, nonostante ciò, devono essere compiuti ancora numerosi e sostanziali passi avanti affinché possano essere compiutamente associate a quell’idea di “città del futuro” che rappresenta l’obiettivo ideale dei maggiori visionari ed esperti del settore). Ovviamente, nell’economia di questa trattazione, approfondire tutti gli ambiti applicativi dell’IoT che sono stati appena citati risulterebbe eccessivamente dispersivo, considerando sia la vastità di tali argomenti, sia, soprattutto, il fatto che la maggior parte di essi coinvolgono interpretazioni, declinazioni ed impieghi dell’IoT che in molti aspetti si distaccano considerevolmente da ciò che, in termini di sistemi e tecnologie, potrebbe rappresentare, secondo l’ipotesi proposta, uno strumento importante per una possibile evoluzione dell’advertising secondo gli obiettivi definiti alla fine del precedente capitolo. Per questa ragione verranno di seguito brevemente approfonditi solo quegli ambiti applicativi a partire dai quali, per motivi diversi, è possibile desumere elementi utili alla dimostrazione della tesi e che offrono un contributo funzionale a definire un quadro sufficientemente completo delle potenzialità di questa tecnologia, sulla base delle quali poter illustrare le ragioni a sostegno dell’argomentazione che si intende proporre. Fra gli ambiti riportati poc’anzi, dunque, uno dei più rilevanti ai fini della trattazione è sicuramente la domotica, l’applicazione dell’informatica e dell’elettronica alla gestione degli ambienti domestici. L’internet of Things nel campo della domotica viene applicata essenzialmente con la finalità di “rendere intelligenti” apparecchiature, impianti e sistemi all’interno delle abitazioni. Elettrodomestici ed impianti diventano oggetti e sistemi smart in grado di raccogliere e trasmettere dati, di dialogare con gli altri dispositivi all’interno della casa e di interagire sia con questi ultimi, sia con gli utenti, secondo sistemi di automazione (reagendo in modo intelligente a condizioni ed imput esterni sulla base di un continuo auto-apprendimento), sistemi di controllo remoto, o compiendo azioni programmate. Le finalità essenziali della domotica sono
il miglioramento della qualità della vita delle persone, il miglioramento della sicurezza delle abitazioni e l’ottimizzazione dei consumi. La domotica può riguardare potenzialmente ogni elemento dell’ambiente domestico: dai termostati intelligenti controllabili tramite app sul proprio smartphone, che consentono notevoli risparmi sui consumi regolando automaticamente la temperatura, attivandosi quando l’utente sta per tornare a casa e aggiungendo una compensazione basata sul meteo, agli impianti elettrici intelligenti controllabili in remoto, che possono autoregolare l’accensione delle luci e degli elettrodomestici per non superare la soglia che farebbe scattare il contatore, fino ai sistemi di sicurezza e monitoraggio dei parametri ambientali (come allagamento oppure presenza di gas) o ad ogni tipo di elettrodomestico (come frigoriferi che monitorano la scadenza dei prodotti al loro interno e “fanno la spesa da soli” secondo le preferenze d’acquisto e le necessità degli utenti, connettendosi con i negozi e pagando telematicamente, lavatrici che provvedono autonomamente, secondo medesime modalità, all’acquisto di detersivi nel momento in cui stanno per terminare, lampadine intelligenti che memorizzano le preferenze di illuminazione degli utenti, cambiano colore ed intensità luminosa a seconda delle diverse circostanze, “agiscono” a ritmo di musica, funzionano come rilevatori d’intrusione e attivano l’allarme emettendo luce rossa, e ancora molte altre possono essere le applicazioni dell’IoT in ambito della domotica). Il controllo della smart home da parte dell’utente può avvenire tramite interfacce come pulsanti, telecomandi, touch screen, tastiere, comandi vocali, che realizzano il contatto (invio di comandi e ricezione informazioni) con il sistema intelligente di controllo, basato su un’unità computerizzata centrale oppure su un sistema a intelligenza distribuita. I diversi componenti del sistema sono connessi tra di loro e con il sistema di controllo tramite vari tipi di interconnessione, tra cui il protocollo Z-Wave è uno di quelli attualmente più utilizzati. L’aspetto più interessante dell’IoT applicata agli ambienti abitativi, consiste proprio nella possibilità di creare un habitat intelligente ed interconnesso modellato sulle spe-
129
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.7 Esempio di smart home
cificità dell’utente, con il quale interagisce costantemente al fine di raccogliere, apprendere ed elaborare informazioni sulla sua vita, di adattarsi alle sue preferenze, alle sue abitudini e alle sue necessità, sistemi in cui i dispositivi si relazionano e dialogano tra loro al fine di operare di concerto nel miglioramento della vita delle persone. Tali ambienti comunicano con gli individui attraverso numerosi punti di contatto ed interazione interconnessi, dialogando con loro nell’ambito di situazioni spesso intime ed afferenti alla dimensione quotidiana. Nonostante l’ioT applicata alla domotica non sia ancora significativamente diffusa a livello globale e lo stato evolutivo che riguarda i sistemi comunemente in uso nella contemporaneità sia
130
ancora lontano dalle potenzialità futuristiche di sistemi di home automation sperimentali ed avanguardistici che utilizzano forme di intelligenza artificiale come il “Jarvis” di Mark Zuckerberg, è opportuno considerare come, con il rapido progresso dell’IoT, e in particolar modo, nella fattispecie, dell’IoT applicato alla domotica attestato per i prossimi anni dai maggiori analisti del settore, le informazioni personali, acquisendo maggiore dettaglio e profondità, richiederanno una regolamentazione più evoluta ed attenta della privacy delle persone. Dal punto di vista della loro diffusione, se le smart home stanno espandendo considerevolmente il proprio mercato negli Stati Uniti, a fronte di un rapido calo dei prezzi
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.8 Infografica su un esempio di ecosistema IoT
di tali sistemi, nella maggior parte del mondo, allo stato attuale, restano ancora, per lo più, appannaggio dei più facoltosi, nonostante le prospettive per il futuro appaiano considerevolmente floride, così come attestato dalle ricerche e dai report periodici di osservatori specializzati come il Digital Innovation del Politecnico di Milano l’Osservatorio Internet of Things, sempre a Milano. Per questioni di completezza, infine, è opportuno appuntare che, ad un livello superiore rispetto alla smart home, l’IoT trova significativo impiego nei cosiddetti “smart building” (o “edifici intelligenti”), in applicazione alla “building automation”, ossia alla gestione coordinata, integrata e computerizzata degli impianti tecnologici
(climatizzazione, impianti di sicurezza, distribuzione dell’acqua, del gas e dell’energia), delle reti informatiche e delle reti di comunicazione degli edifici, nei quali vengono impiegati dispositivi intelligenti interconnessi all’interno di sistemi più complessi ed estesi. Allargando ancora di più lo sguardo in termini di ambienti dotati di sistemi intelligenti di interconnessione IoT, un secondo ambito applicativo il cui approfondimento risulta utile ai fini della tesi è quello delle Smart Cities. Come già detto, sistemi che si compongono di dispositivi smart interconnessi, atti all’adempimento di diverse funzioni complessivamente rivolte al migliora-
131
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
mento della qualità della vita degli individui all’interno dell’ambiente urbano, sono già in dotazione ad alcune delle maggiori città del mondo (nell’ambito italiano, Milano, Torino e Bologna). Ciononostante, tali dispositivi vengono impiegati generalmente secondo funzioni abbastanza specifiche in ambiti significativamente circoscritti, e l’obiettivo ideale di dare vita a smart cities come habitat intelligenti pervasi da reti complesse di sensori e smart technologies in grado di favorire lo scambio di dati e mettere in comunicazione strutture, elementi dell’arredo urbano, mezzi di trasporto, edifici ed infrastrutture delle città, rappresenta un orizzonte che, seppur non ascrivibile ad uno scenario utopicamente futuristico, non vedrà il proprio compimento ancora per diversi anni. Gli obiettivi dell’attivazione di progetti finalizzati alla trasformazione delle città in ecosistemi intelligenti estesi territorialmente, riguardano principalmente l’attribuzione di intelligenza, la gestione coordinata, l’ottimizzazione dell’efficienza, l’automazione e il controllo remoto dei sistemi di sicurezza, dei servizi e dei trasporti (infomobilità e smart mobility per trasporti pubblici e privati), il monitoraggio infrastrutturale, meteorologico, ambientale, e in generale, l’analisi, l’elaborazione, e l’utilizzo (da parte di esseri umani oppure automatizzato) dei dati generati, trasmessi o “scambiati” da sensori e sistemi intelligenti in rete, che permeano le città, forniti in modalità wireless e in tempo reale a cittadini, autorità competenti o, in generale, a chiunque abbia facoltà di accedervi. Se il cronoprogramma sarà rispettato la prima vera “città del futuro” sorgerà in India nel 2020, una vera e propria smart city futuristica dal nome Gift, acronimo di Gujarat International Finance Tec-City: essa sorgerà su un’area di 359 ettari nello stato di Gujarate e rappresenterà un primo reale esempio di ciò che potranno essere le smart city, così come sono state effettivamente concepite, in altre parti del pianeta. Gift sarà un centro finanziario ipertecnologico e iperconnesso, dove una rete di telecamere e sensori assicurerà la sicurezza dei residenti, dove i rifiuti saranno aspirati da condotte sotterranee fino alla discarica a una velocità di 90 chilometri orari con un minimo intervento umano, dove la temperatura degli smart buildings sarà regolata grazie ad un unicoa sistema di climatizzazione centralizzato e dove le acque reflue saranno riciclate per renderle riutilizzabili, così come
132
l’acqua piovana. In tema di IoT applicata alle smart cities, e quindi di reti intelligenti integrate nell’ambiente urbano, è possibile introdurre ulteriori argomenti strettamente correlati a quest’ultimo (nonché considerabili come suoi sottoinsiemi) che, oltre a dimostrare le grandi potenzialità di questa tecnologia per il futuro progresso della società e del mercato in ogni settore, presentano anch’essi aspetti che possono essere reputati rilevanti ai fini della trattazione. In primo luogo, l’Internet of Things può consentire una sostanziale evoluzione dei sistemi dedicati alla gestione delle risorse naturali, all’approvvigionamento energetico, al monitoraggio delle condizioni climatiche e ambientali con il controllo delle emissioni e del tasso di inquinamento e in generale può svolgere un ruolo chiave negli ambiti dell’efficienza energetica e dell’ecososteniblità. Ad esempio con l’ottimizzazione dell’illuminazione delle strade (che, se gestita con le nuove tecnologie, potrebbe contenere del 40% i consumi di energia elettrica) o dell’irrigazione dei parchi (che potrebbero essere irrigati in modo molto più efficiente rispetto a quello tradizionale se monitorati da una rete di sensori capaci di comunicare al sistema di erogazione dell’acqua il reale fabbisogno delle piante, determinato in base alla temperatura, alla stagione, all’umidità del suolo e alle previsioni del tempo), con il monitoraggio della concentrazione di inquinamento in ogni via della città (con la possibilità di servirsi di allarmi automatici che rilevano quando il livello supera determinate soglie), la rilevazione delle perdite nella rete idrica, la mappatura del rumore, l’invio di avvisi automatici da parte dei cassonetti della spazzatura quando sono quasi pieni per ottimizzare le operazioni di raccolta, e così via. Direttamente collegato al tema della sostenibilità è il complesso, nonché altrettanto attuale, tema della mobilità. Secondo esperti del settore, entro dieci-quindici anni l’IoT rivoluzionerà completamente la mobilità delle città. I sistemi di smart mobility management system sono attualmente oggetto di intense attività di ricerca e sviluppo,
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.9 Infografica su un esempio di smart city, National League of Cities 2017
nella prospettiva di creare network all’interno dei quali mettere in comunicazione tutti i veicoli collegati, le infrastrutture e i sistemi di controllo del traffico. Questi tipi di network, chiamati Vehicular Ad Hoc Network (VANET), consentiranno di connettere tra loro i mezzi di trasporto, raccogliere dati sugli stessi veicoli ed informazioni ambientali contestuali che potranno essere analizzate da un sistema centrale, per l’ottimizzazione dell’efficienza del trasporto pubblico e dei dispositivi dedicati nell’ambiente urbano e per il coordinamento capillare del traffico cittadino, fornendo servizi di infomobilità con un’assistenza sempre più puntuale, specifica ed in tempo reale, modellata, nel dettaglio, sulle necessità contestuali delle persone. Ad esempio, sarà possibile intervenire sui cicli semaforici per la gestione della circolazione delle automobili in modo dinamico, i guidatori potranno ottenere informazioni in tempo reale per trovare rapidamente un
parcheggio, risparmiando tempo e carburante e contribuendo alla riduzione dello smog e della congestione stradale, sempre più critica al giorno d’oggi, e non solo la mobilità “ordinaria” delle grandi città potrà “diventare intelligente”, ma sarà possibile inoltre migliorare la logistica urbana e la distribuzione delle merci. Attualmente non sono poche le grandi aziende che stanno compiendo significativi investimenti nel settore della smart mobilty (Ford, Piaggio, e Toyota ne sono esempi), destinati, in particolar modo, ad attività di ricerca e sviluppo relative soprattutto a veicoli intelligenti come smart car e connected car. In ambito delle smart car, grandi sforzi di progettazione si stanno compiendo nei confronti delle driverless car, dotate di intelligenza artificiale e sofisticati sistemi di navigazione. Oltre che alle automobili, la stessa tecnologia
133
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
potrà essere applicata a mezzi pubblici come bus, tram, metro, veicoli “intelligenti”, non solo in quanto automatizzati, ma poiché dotati di sistemi di alimentazione ecosostenibili sempre più sofisticati. Le case automobilistiche non sono le sole a guardare con sempre maggiore interesse al settore delle smart car (la nuova Mercedes F 015 ne è un celebre esempio) ma anche colossi come Google ed Apple stanno investendo sempre di più nel progresso di queste tecnologie, realizzando nuove applicazioni dedicate alla smart mobility e prototipi futuristici. Un ambito particolarmente interessante nel contesto di questa trattazione sono i nuovi sistemi di comunicazione diretta con i conducenti dei veicoli, che non solo, come già detto, consentiranno di comunicare in modo personalizzato con le persone, con servizi di assistenza specifici e messaggi su misura delle loro esigenze contestuali, ma si serviranno di nuove interfacce e devices integrati nei mezzi, anch’essi attualmente in fase di particolare studio e sviluppo (i display per la realtà aumentata integrati nei vetri delle automobili, progettati da Corning, rappresentano degli esempi avanguardistici in tale ambito).
Fig 3.10 Mercedes F 015
134
Ma con l’IoT non saranno solo i servizi di infomobilità ad incontrare una rapida evoluzione. Dal punto di vista delle infrastrutture informatiche e delle telcomunicazioni, l’IoT potrà consentire, infatti, una gestione smart della fornitura di ogni tipo di servizio, in particolar modo servendosi di tecnologie intelligenti di connettività per comunicare direttamente e capillarmente con i cittadini e le imprese, collegandosi direttamente ai devices in uso alle persone. La possibilità di comunicare in modo personalizzato e capillare con i singoli individui, con messaggi mirati, adattati alle loro specificità e contestualizzati in base alle attività che stanno compiendo e alle situazioni specifiche che stanno vivendo in precisi momenti, sulla base dell’acquisizione, dell’analisi e dell’elaborazione dei dati che li riguardano in tempo reale, verrà favorita, inoltre, dalla diffusione di nuovi devices e dalla creazione di nuovi touchpoint con gli utenti. Grazie all’Internet of Things, infatti, i canali di comunicazione potranno moltiplicarsi esponenzialmente e pervasivamente, e consentiranno agli individui di essere sempre connessi, ovunque si trovino e in ogni momento: a casa, per strada, a scuola, in ufficio, in viaggio. Questo, grazie all’ulteriore futuro incremento
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
del numero degli smart devices già popolari (come pc, smartphone, tablet e smart tv) alla prossima diffusione di quelli più nuovi (come wearables, smartwatch, fitness tracker, smart glasses), e alle promettenti aspettative relative a quelli più futuristici, attualmente in fase di studio e progettazione (tra gli altri, i display flessibili sostitutivi dei fogli di carta, i sistemi di controllo touch integrati nei tessuti e così via). Ma non solo: in un ecosistema interconnesso in cui sensori e dispositivi intelligenti potranno essere integrati sostanzialmente ovunque (dagli elettrodomestici, ai segnali stradali, alle vetrine dei negozi, ai cartelloni pubblicitari, e così via), ogni cosa che ci circonda potrà trasformarsi potenzialmente, non solo in un dispositivo intelligente in grado di generare e trasferire dati, ma anche in uno strumento di comunicazione attraverso il quale veicolare messaggi mirati e dare vita, grazie all’interazione con altri dispositivi, ad ambienti effettivamente comunicanti secondo dinamiche del tutto inedite e nell’ambito delle quali l’interaction design ricoprirà un ruolo sempre più importante. Grazie alla diffusione dell’IoT (nell’ambiente domestico, nell’ambiente urbano, sui mezzi di trasporto, e così via) potranno prendere forma nuove e più potenti forme di interattività, in grado di coinvolgere le persone in inediti processi di comunicazione crossmediali, e multi-sensoriali; tali forme di interattività potranno essere favorite non solo dall’interconnessione e dall’interazione tra molteplici smart devices (che opereranno di concerto al fine di immergere gli individui all’interno di ambienti comunicanti in grado, quindi, di generare i “messaggi giusti, nel posto giusto e nel luogo giusto”) ma anche grazie alle nuove tecnologie comunicative, attualmente in fase di sviluppo, che si diffonderanno nel prossimo futuro (come la virtual reality, l’augmented reality, i nuovi sistemi context aware e ubiquitous computing, il cognitive computing, l’affective computing, che saranno ripresi alla fine di questo capitolo), la cui integrazione e complementarizzazione con l’Internet of Things, potrà dare vita a scenari del tutto inediti nel mondo della comunicazione.
135
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
3.3 Advertising of Things: l’IoT come step-change di un nuovo paradigma pubblicitario
Dopo aver tratteggiato una panoramica sull’Internet of Things, averne descritto l’evoluzione tecnologica, il livello di diffusione, le potenzialità e i principali ambiti applicativi (focalizzandosi su quelli di maggiore interesse rispetto agli obiettivi di questo elaborato teorico) si possiedono ora gli strumenti conoscitivi necessari per argomentare la tesi fondamentale che questo progetto intende proporre, ossia: l’IoT, in particolar modo quando la sua diffusione ed evoluzione riguarderà grandi ecosistemi interconnessi in grado di generare Big Data e trasmetterli in rete e non solo la semplice connessione tra dispositivi all’interno di ambienti circoscritti e finalizzata all’assolvimento di funzioni specifiche, potrà dare un impulso decisivo all’advertising nel compimento di un vero e proprio salto evolutivo all’interno del nuovo paradigma pubblicitario all’inizio del quale attualmente si sta muovendo. In questo modo l’advertising avrà la possibilità di lasciarsi ancor più alle spalle la crisi ereditata dall’avvento della New Economy, e generata da una crescente inadeguatezza delle logiche dell’advertising tradizionale nei confronti delle nuove istanze dei consumatori (rispetto alla quale innovazioni come la pubblicità programmatica, la pubblicità nativa o lo sviluppo dei social media hanno rappresentato sicuramente importanti passi avanti, ma la cui dissoluzione non si è mai verificata compiutamente, come chiaramente testimoniato dalla crescente diffusione degli ad blocker). Oltre all’Iot, altre innovazioni, che verranno brevemente approfondite in questo capitolo, (quali l’Augmented Reality e la Virtual Reality, l’iBeacon, il proximity marketing e l’advertising su geolocalizzazione, sistemi sempre più sofisticati di behavioral targeting o le tecnologie afferenti
136
al Cognitive Computing e ai diversi e sempre più evoluti tipi di Artificial Intelligence) concorreranno significativamente a condurre l’advertising verso inediti scenari e rivoluzionarie dinamiche comunicative, ma l’IoT può essere considerato il vero e proprio step-change di questo cambiamento paradigmatico, in direzione di una pubblicità sempre più personalizzata, mirata sul singolo utente, contestualizzata e pertinente con le situazioni contestuali che stanno vivendo gli individui interessati dalla comunicazione e con le azioni che stanno compiendo in un dato momento, ed in grado di aprire a nuove forme di interattività nell’ambito di nuove forme di pubblicità esperienziali. In definitiva, se la creatività al servizio della comunicazione dei brand coglierà in modo sostanziale ed applicherà nell’ambito di iniziative pubblicitarie le rivoluzionarie potenzialità dell’IoT, “traslandole” nel mondo dell’advertising, sarà finalmente possibile compiere un decisivo salto evolutivo all’interno di una nuova era della comunicazione pubblicitaria, verso la quale si è appena cominciata la transizione. I dati rappresenteranno l’imprescindibile e fondamentale materia prima di questo “Advertising of Things”(termine coniato da Carlo Noseda, presidente di IAB Italia, e pronunciato per la prima volta in occasione dello IAB Forum del 2015), di questa nuova pubblicità a cui si potrà dare vita grazie agli ecosistemi interconnessi IoT e di cui “personalizzazione”, “contestualizzazione”, “pertinenza”, “tempistica”, “interattività” e “interconnessione” rappresenteranno le parole chiave fondamentali. Dopo aver ripreso sinteticamente le criticità che l’advertising ha incontrato negli ultimi anni e che le innovazioni finora compiute nell’ambito del digital advertising non
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
sono state sufficienti ad estinguere compiutamente, si procederà di seguito ad argomentare la tesi secondo cui l’IoT potrebbe rappresentare un’opportunità decisiva per un’evoluzione dell’adevertising che si prospetti in grado di eliminare sempre di più il persistere di tali problematiche.
Fig 3.11 Carlo Noseda, presidente di IAB Italia
Fig 3.12 Brian Wong, CEO di KIIP
Enucleando i concetti fondamentali dalle argomentazioni proposte nei primi due capitoli di questa trattazione, è possibile concludere che i problemi che l’advertising si trova ancora a dover fronteggiare al giorno d’oggi possono trovare la propria estrema sintesi nelle seguenti parole: pervasività, irrilevanza, decontestualizzazione, interruzione, incoerenza, saturazione, intrusione. Esse rappresentano le componenti di quell’”advertising waste” conseguente all’inadeguatezza del persistere dell’approccio push (le cui secolare eredità estende le proprie propaggini, pur falcidiate dal susseguirsi di significative innovazioni nel digitale, ancora ai giorni nostri) nei confronti dei consumatori della nuova era digitale, ormai definibili “consumatori 3.0”, la cui vita è sempre più costantemente e pervasivamente connessa alla rete. La prima fondamentale e rivoluzionaria potenzialità dell’IoT consiste proprio nella possibilità di passare dalle indagini di mercato e dall’analisi dei percorsi di navigazione degli utenti sul web alla valutazione di quello che potrebbe essere definito come un “calco digitale” della vita delle persone, un path dettagliato fatto di grandi volumi di dati generati da smart objects interconnessi, informazioni relative ai singoli individui, sistematizzate e messe in relazione tra loro (ciò ovviamente, come sarà approfondito nell’ultimo capitolo, a fronte di una precisa regolamentazione delle questioni relative alla privacy delle persone). Se, come affermato da Brian Wong, CEO di KIIP, lo smartphone e gli altri mobile devices hanno già consentito di passare dalle online sessions alla constant connectivity e alla connected life (ossia da un uso della rete costituito da sessioni di connessione limitate nel numero e relative ad intervalli temporali prolungati ed incastonati nettamente all’interno della vita offline, in modo simile alla fruizione del media tradizionali come tv e radio, ad una connessione costante che integra la vita reale, ad
137
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
esempio, fornendo servizi volti alla sua facilitazione ed influendo profondamente sulla dimensione della socialità e delle relazioni interpresonali), una connettività ecosistemica “persone-oggetti, oggetti-persone e persone-persone” aprirà le porte di un nuovo paradigma, in cui le nostre vite non saranno solo influenzate e condizionate da internet, ma verrà di fatto abbattuta la barriera che vede separate la dimensione online da quella offline, che interagiranno capillarmente ed ininterrottamente. Grazie all’IoT il mondo elettronico traccerà una vera e propria mappa digitale di quello reale in virtù dell’attribuzione di un’identità elettronica alle cose e ai luoghi dell’ambiente fisico. Le interazioni continue, nella nostra quotidianità, con gli oggetti interconnessi, genereranno enormi e dettagliatissimi volumi di dati riguardo a quali prodotti utilizziamo, dove li utilizziamo, quando li utilizziamo e in quale modo li utilizziamo, e saranno quindi in
Fig 3.13 Illustrazione sull’interconnessione M2M, M2P e P2P all’interno degli ecosistemi IoT
138
grado di descrivere con un’inedita profondità le nostre abitudini, i nostri comportamenti, le nostre preferenze, la nostra vita reale, arrivando fino al singolo gesto, alla singola azione. È facile comprendere, pertanto, l’enorme portata rivoluzionaria di un simile scenario tecnologico: l’IoT offrirà ai brand, ai marketer e agli advertiser infinite opportunità di ottenere una visione degli utenti come non mai approfondita, completa, e integrata da preziose informazioni prima inaccessibili; non solo: tutto ciò, grazie ad adeguate infrastrutture quali cloud platforms e ad adeguati software per l’analisi, l’interpretazione e l’estrazione di significato dagli IoT analytics, potrà avvenire in real time; e di conseguenza sarà possibile intervenire, anche in real time, nel contesto di situazioni specifiche che riguardano il singolo utente, con messaggi personalizzati, contestualizzati, e quindi effettivamente rilevanti. Potrà essere compiuto, in definitiva, un enorme passo in avanti
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
rispetto al proposito di veicolare ciò che, riproponendo il più volte citato “mantra” del marketing contemporaneo, può essere definito come “il messaggio giusto, rivolto alla persona giusta, nel momento giusto, nel luogo giusto e nel modo giusto”, approccio ritenuto, come abbiamo visto nel precedente capitolo, ormai imprescindibilmente indispensabile dai maggiori esperti dal settore per poter rivitalizzare l’advertising e dare forte impulso ad una comunicazione pubblicitaria che ritorni ad essere sempre più interessante, utile, rilevante e concretamente valoriale per le persone alle quali ci si rivolge e con le quali si interagisce (e per passare quindi, riproponendo la formula utilizzata da Iabichino in Ivertising, “da push a pull”, da una comunicazione “spinta fuori” verso target di massa secondo modalità broadcast, ad una pubblicità che attiri la benevolenza delle persone, poiché da esse ritenuta utile, di valore e compatibile con le proprie specificità). Come scerive Carlo Noseda nella prefazione di Digital Advertising 3.0: «Il binomio art e science è centrale in questa nuova fase che stiamo affrontando. E diciamo sì a Big Data purché generino “small clusters”, e quindi “insight” precisi e fondamentali per sviluppare messaggi sempre più rilevanti e puntuali per le persone a cui ci rivolgiamo». Prima di approfondire nel dettaglio le modalità attraverso le quali i brand avranno la possibilità di dare vita all’Advertising of Things, secondo le dinamiche sopra descritte, è necessario premettere le seguenti considerazioni. Come è stato detto alla fine del primo capitolo, gli sforzi compiuti per veicolare messaggi in modo mirato, selezionando i destinatari che possano considerarli effettivamente rilevanti per se stessi, e per presentare i contenuti pubblicitari in modo meno invadente ed interruttivo, hanno rappresentato una condotta, da parte di brand ed advertiser, intrapresa fin dagli albori del digital advertising. Da Custom View, a Double Click, passando per AdWords, fino al Native Advertising, al Programmatic Buying, al Real Time Bidding e alle piattaforme Ad Exchange, nonché attraverso le innovazioni portate dal Mobile Advertising e dall’“Appvertising”, e attraverso le rivoluzionarie dinamiche di interlocuzione diretta e
personalizzata con i singoli utenti introdotte con l’esplosione dei Social Media, nell’Advertising Online, fin da subito, si sono susseguite una serie di innovazioni finalizzate alla limitazione dell’advertising waste. Tuttavia, come è stato detto, una combinazione di limiti tecnologici e di logiche di comunicazione scarsamente compatibili con i nuovi consumatori digitali, le ragioni della cui persistenza vanno ricercate soprattutto nella loro ascrivibilità ad un generale, ed in una certa misura arretrato, approccio al marketing da lungo tempo radicatosi, ha prodotto le criticità ampiamente descritte nel precedente capitolo, a fronte delle quali le stesse innovazioni riprese poc’anzi sono risultate insufficienti a consentirne il superamento. Ribadito ciò, è necessario specificare che, sebbene l’IoT presenti, secondo l’idea alla base di questa trattazione, le maggiori capacità risolutive di tali criticità, attualmente sono oggetto di considerevole ricerca e sviluppo nuovi sistemi di Advanced User Profiling volti, per l’appunto, ad affinare e ad approfondire sempre di più la profilazione degli utenti e ad ottenere una comprensione sempre più dettagliata ed omnicomprensiva delle loro specifiche caratteristiche. Ciò consente di oltrepassare in una certa misura alcuni limiti di sistemi come AdWords (relativi soprattutto ad una definizione del valore che tiene conto di parametri come quelli risultanti dall’analisi delle parole chiave utilizzate dagli utenti per le ricerche, ma non considera il fatto che, dagli stessi utenti, il concetto di valore è definito in modo più complesso, integrando le dimensioni relazionali ed esperienziali) e di incrementare notevolmente la capacità di personalizzazione degli ad e delle operazione di marketing. In particolar modo grazie all’integrazione delle preziose informazioni sugli utenti fornite dai social network il behavioral targeting è diventato sempre più raffinato: ad esempio Facebook da tempo permette ai propri inserzionisti di definire con precisione gli utenti ai quali rivolgere i propri messaggi a partire da variabili comportamentali definite con assoluta precisione e con un altissimo livello di specificità. Allo stesso modo Twitter ha lanciato il proprio strumento Analytics Insights che consente di mostrare gli annunci solo agli utenti che rispondono a precisi parametri demografici, e selezionati sulla base dei loro interessi e dei loro
139
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.14 Collegamento tra un iBeacon e uno smartphone
comportamenti sulle piattaforme social. Il limite fondamentale del behavioral targeting, tuttavia, è che attualmente funziona solo su piattaforme chiuse, come i social network, che hanno una profilazione dettagliata dei propri utenti e un accesso tramite user ID che ne consente il riconoscimento. Alcune startup, per superare questo problema, stanno sviluppando sistemi di mobile profiling, che consistono nell’analisi dei dati dei clienti degli operatori telefonici che hanno rilasciato il consenso al trattamento dei dati personali e la loro profilazione in base a parametri socio-demo- comportamentali, sistemi però ancora perlopiù ascrivibili all’ambito delle sperimentazioni di gruppi privati, più che considerabili come pratiche concretamente diffuse e compiutamente strutturate. Nell’ambito dei sistemi e delle tecnologie a diffusione limitata e in fase di forte sperimentazione (e in questo senso da considerarsi più a livello “embrionale” che come sistemi effettivamente affermati e a largo impiego), non sono stati compiuti significativi passi avanti solo nell’ambito della profilazione degli utenti e della personalizzazione dei contenuti pubblicitari, ma anche nel campo
140
della contestualizzazione dei messaggi (come detto all’inizio di questo paragrafo, una delle sfide più importanti per l’advertising del prossimo futuro). Le principali innovazioni riguardano in particolar modo il proximity marketing, ossia la distribuzione wireless di contenuti di advertising associata ad un particolare luogo. I più diffusi sistemi di proximity marketing si servono della tecnologia Bluetooth (che consente di trasmettere attraverso bande radio, file di testo, immagini, video, coupon, codici a barre e anche applicazioni), nell’ambito della quale i dispositivi decisamente più utilizzati sono i già citati iBeacon. Gli iBeacon sono oggetti trasmettitori, creati da Apple, che svolgono sostanzialmente la funzione di antenne e che, servendosi per l’appunto della tecnologia Bluetooth Smarth, permettono di ricevere sul proprio mobile device, tramite una connessione avvenuta e un’applicazione iBeacon-ready con la quale si interafacciano, determinati contenuti in base al contesto in cui ci si trova. Rispetto ai più comuni sistemi GPS gli iBeacon consentono una micro-geolocalizzazione in grado di determinare con estrema precisione la posizione di dispositivi con sistemi operativi a partire dall’iOS7 entro un raggio d’azione di circa cento metri.
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.15 Philips Connected Retail Lighting System, esempio di iBeacon utilizzati in un contesto retail
141
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Più efficienti dei concorrenti sistemi di Near Field Communication (NFC), di minore potenza e dal corto raggio d’azione (circa 50 cm), gli iBeacon vengono utilizzati soprattutto nell’ambito del retail, per veicolare all’interno delle aree di vendita (per esempio nei centri commerciali) messaggi altamente specifici e contestuali, come informazioni sui prodotti, offerte, promozioni, e così via. Ad un esempio, entrando con Bluetooth e servizi di localizzazione attivi sul proprio smartphone all’interno di uno store dotato di antenne iBeacon (collocate su muri, banconi, scaffali, espositori, ecc) e che predispone su App Store un’applicazione dedicata ai propri clienti, è possibile ricevere sull’applicazione un messaggio di benvenuto al cliente, contenuti di advertising sullo store e sul brand proprietario, una guida per utilizzare iBeacon nel determinato locale, un coupon di sconto speciale per acquistare alcuni prodotti, o simili; dopodiché, spostandosi nei pressi di uno scaffale ed arrivando dinnanzi ad uno specifico prodotto, Bluetooth Smart, facendo da tramite tra l’antenna beacon e il posizionamento dello smartphone, può mostrare sull’applicazione contenuti di advertising relativi a quello specifico prodotto (immagini, video, annunci interattivi, ecc) o informazioni utili sull’articolo (recensioni, schede tecniche, descrizioni particolari, ecc); e ancora, spostandosi verso un altro scaffale, dedicato ad esempio ad esclusiva merce in sconto, mediante lo stesso meccanismo, l’applicazione potrebbe inviare un particolare coupon d’accesso a quel determinato sconto, o una percentuale di sconto superiore. I sistemi di behavioral targeting nell’ambito dell’Advanced User Profiling (in particolar modo il Mobile Profiling) e le operazioni di Proximity Marketing e di Proximity Advertising del genere appena descritto, possono essere considerati alcuni tra gli ultimi sperimentali sforzi (ragion per cui non sono stati inseriti nella sezione dedicata all’advertising contemporaneo all’interno di questa trattazione, data la loro condizione prevalentemente embrionale) compiuti in direzione di comunicazione pubblicitaria creata a partire da una profilazione delle persone che non tenga in considerazione solo le loro tracce digitali relative a ricerche, visualizzazioni, click e percorsi di navigazione, ma che integri variabili demografiche e comportamentali più profonde e maggiormente aderenti alla vita reale degli individui, ed inoltre che riguardi la
142
veicolazione di messaggi specifici, contestualizzati, utili, non interruttivi ma in grado di integrare l’esperienza dell’utente aggiungendovi valore. In particolar modo operazioni come quelle di Proximity Advertising valorizzano due concetti assai importanti e in grado di rappresentare, in una certa misura, un elemento di positiva discontinuità rispetto al generale percorso fin qui compiuto dall’advertising: la tempistica e la pertinenza, che costituiranno due tra gli elementi cardine dell’Advertising of Things, come si andrà a breve ad esporre. Ciononostante, così come l’Advanced User Profiling presenta i limiti prima descritti, anche il Proximity Advertising, possiede limiti che ne determinano il netto discrimine rispetto all’idea di Advertising of Things così come la si propone in questa sede, sebbene sotto taluni aspetti possa esserne considerato in una certa misura antesignano. Tali limiti riguardano essenzialmente il corto raggio d’azione di tecnologie come NFC e iBeacon e il fatto che l’interconnessione avvenga secondo relazioni binarie tra dispositivi collegati all’interno di ambienti circoscritti e limitatamente estesi. Sebbene queste innovazioni, così come ciascuna delle innovazioni che si sono susseguite nel digital advertising e di cui è stata data documentazione nel primo capitolo, abbiano introdotto dei significativi elementi di novità utili al progresso dell’advertising e al suo avanzamento in direzione di una pubblicità sempre più intesa come relazione, interazione mirata e scambio di valore con il singolo utente, l’IoT, a differenza di esse, potrà rappresentare il vero e proprio punto di svolta all’interno di questo nuovo paradigma pubblicitario, e gli ecosistemi IoT potranno consentire all’advertising di compiere il salto evolutivo di cui ha i brand hanno bisogno per lasciarsi alle spalle le logiche quantitative dell’advertising tradizionale e la comunicazione orizzontale fatta di massaggi massificati e pervasivi rivolti a target predefiniti, per incontrare autenticamente le nuove istanze dei consumatori. Ciò che rende l’IoT il vero e proprio potenziale step-change di questo cambiamento paradigmatico è il nuovo rivoluzionario concetto di rete che esso introduce: una rete estesa al mondo fisico, non più intesa come un
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
mondo virtuale da cui attingere servizi ed informazioni utili al mondo reale, ma una rete di “cose reali” che comunicano digitalmente tra loro. In tal senso l’IoT si pone come catalizzatore per l’osmosi tra mondo digitale e mondo analogico, come ponte tra mondo virtuale e mondo reale. Se prima dell’avvento di Internet il lavoro di CRM (Customer Relationship Management), le indagini di mercato a campione e la definizione dei target secondo le classificazioni psico-socio-demografiche rappresentavano lo strumento fondamentale attraverso cui definire il pubblico di riferimento e massimizzare l’efficacia dei contatti ottenuti con la veicolazione, attraverso flussi comunicativi unidirezionali, dei messaggi pubblicitari, e con l’affermazione del web i principali sistemi di profilazione hanno per lo più riguardato una combinazione di dati personali rilasciati dagli utenti e azioni da essi compiute in rete (come click, visualizzazioni e ricerche), integrando solo negli ultimi anni le informazioni afferenti alla sfera socio-relazionale e comportamentale estrapolabili grazie a piattaforme come i social media e ad alcune innovazioni tra quelle precedentemente trattate, grazie agli scenari a cui aprirà l’IoT, quando sarà ecosistemica ed effettivamente pervasiva in ogni ambiente della vita quotidiana, sarà possibile passare dal monitorare i comportamenti virtuali delle persone ad entrare nella loro vita reale, passando “dalla porta principale”. Ciò significa non solo una “constant connectivity” ma anche una “hyper-connectivity”, non solo un passaggio “dal contatto alla connessione” (così come lo ha formulato Iabichino in Invertising) ma ad un’interconnessione profonda, multiforme, immersiva, integrata, operando in modo olistico, e muovendosi, come mai prima, in una dimensione crossmediale esponenzialmente più vasta, ricca, reticolare, complessa ed in grado di offrire ai brand infinite opportunità. In un certo senso, se alcune innovazioni nel digitale come il Programmatic Advertising (in particolar modo il Retargeting) consentono di fatto di “intercettare l’utente giusto” all’interno dei suoi percorsi di navigazione in rete, grazie all’IoT sarà possibile “intercettarlo” all’interno della sua vita reale quotidiana, nel mondo fisico, nel momento giusto e nel posto giusto, ossia in un contesto spazio-temporale pertinente con il contenuto della
comunicazione e con il tipo di interazione che si intende innescare. Gli elementi rivoluzionari introdotti dall’IoT saranno dunque la tempistica, la pertinenza, e la coerenza con il contesto. Se, dopo gli sforzi compiuti in tale direzione nel digitale, analizzati in questa trattazione, il proximity marketing e nuove tecnologie come iBeacon e NFC rappresentano di fatto importanti tentativi effettuati con il proposito di traslare questi concetti nel mondo fisico, la differenza sostanziale tra le dinamiche comunicative proprie del proximity marketing e l’”Advertising of Things”, consisterà proprio nel passaggio dai micro-ambienti (nella fattispecie gli store, ad esempio) ad una rete di ecosistemi in cui l’interconnessione riguarderà potenzialmente “ogni cosa” che ci circonda nella vita reale. Proprio il passaggio dai micro-ambienti interconnessi ad un vera e propria rete di interconnessione su grande scala, financo world wide, anche all’interno della stessa IoT, rappresenta, come è stato detto, la grande sfida per il prossimo futuro, e l’attuale impossibilità di concretizzare questo passaggio (come sarà approfondito più avanti, prevalentemente a causa di problemi etici e legislativi, più che tecnologici) costituisce il motivo fondamentale per cui l’Internet of Things si è sviluppata rapidamente in ambiti come domotica, processi industriali ed automotive, e possiede potenzialità inesplose e non ancora significativamente esplorate in ambiti come il marketing e l’advertising, incapaci per questo di compiere il salto evolutivo di cui hanno bisogno. Portare la tempistica e la pertinenza “fuori dallo store”, nel “mondo reale” significherà non soltanto individuare i percorsi migliori nella rete IoT per poter coinvolgere gli utenti ed interagire loro nel modo più efficace, dando vita ad una comunicazione contestualizzata e per questo non interruttiva, ma anche moltiplicare le opportunità a partire dalle quali riuscire ad essere effettivamente utili e rilevanti, offrendo valore autentico ai propri interlocutori. Facciamo un esempio: una persona che indossa Fitbit per monitorare le proprie metriche relative alle attività che svolge durante la giornata (per controllare la dieta, le attività sportive, le ore di sonno, e così via) tornando a casa per cena, in macchina dalla palestra, potrebbe ascoltare una pubblicità riprodotta dall’autoradio su pro-
143
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
dotti alimentari compatibili con il proprio fabbisogno del momento (oppure, in alternativa, potrebbe visualizzarli su un billboard che incontra sulla strada nel frangente in cui vi si trova in prossimità) e il navigatore della smart car potrebbe indicargli i luoghi più vicini dove poterli acquistare, visualizzando in overlay un QR code attraverso cui, connettendo lo smartphone, accedere a sconti ed offerte speciali. L’idea di Advertising of Things appena illustrata esemplifica quanto affermato poc’anzi: questo tipo di pubblicità appare personalizzata, in quanto tiene conto dei dati generati dal dispositivo Fitbit indossato da uno specifico utente e di quelli sulla sua geolocalizzazione, predittiva, in quanto anticipa con tempismo il manifestarsi di un esigenza e l’espressione di un interesse contestuale da parte dell’utente (si può dunque parlare, in un certo senso di predictive behavioral targeting) e contestualizzata, in quanto viene veicolata in un momento pertinente al prodotto pubblicizzato, ossia quando può essere percepita non come un’interruzione, ma al contrario come un aiuto, un’indicazione utile, di valore nello specifico frangente in cui viene fruita (è plausibile che un utente attento alla dieta e dedito allo sport, abituato a fare la spesa prima di tornare a casa per cena, possa ritenere il momento in cui esce dalla palestra per recarsi ad acquistare gli alimenti quello più appropriato per poter fruire simili contenuti); inoltre la comunicazione aumenta il proprio potenziale proponendo una call to action e richiedendo un’interazione, a seguito della quale poter accedere a contenuti ancor più di valore (nella fattispecie, lo sconto); in definitiva, appare chiaro come questa pubblicità non si limiti al semplice contatto ma sia volta a creare una vera connessione con l’utente, proponendogli contenuti adatti alle sue specificità, mostrandosi attenta alle sue esigenze ed utile in un determinato contesto e in uno specifico frangente, ed, infine, essendo finalizzata ad innescare un’interazione sulla base di un’offerta di valore, a partire dalla quale poter generare un lead di qualità. È chiaro come una simile operazione, presupponga un apparato tecnologico ed infrastrutturale già pienamente ascrivibile all’idea di Internet of Things intesa come rete effettivamente pervasiva ed ecosistemica: presupposti necessari saranno inoltre l’uniformità dei protocolli di rete e
144
l’uniformità o, perlomeno, la compatibilità tra i lnguaggi informatici di codifica dei dati, la sistematizzazione degli stessi all’interno delle piattaforme dedicate, lo sviluppo di nuovi software per l’interpretazione e l’elaborazione dei dati al fine di estrarre informazioni di valore, ma anche una nuova regolamentazione internazionale sulle modalità di compravendita dei dati, sulla loro titolarità, sulla tutela della privacy delle persone e delle aziende, sulle modalità di autorizzazione da parte degli utenti all’utilizzo dei propri dati a fini commerciali, e così via. Specificato questo, le dinamiche di interconnessione sottese da questo esempio di Advertising of Things potrebbero dunque essere le seguenti: immaginando la prospettiva di un mercato dei dati IoT esteso e compiutamente regolamentato, Fitbit potrebbe servirsi di una tecnologia come il già citato standard IEEE 802.15.4e per la codifica dei dati dei propri utenti, integrata in un’architetture protocollare basate sul protocollo IP, e servirsi di cloud platform, come ad esempio Evrythng (IoT platform utilizzata dal brand Absolut per le sua connected bottles, progetto che verrà riportato in seguito), per la data collection; la marca di alimentari (ad esempio Lundberg) potrebbe stipulare un accordo commerciale con Fitbit per acquistare in real time i dati degli utenti (secondo dinamiche simili al Programmatic Advertising, già esplorate alla fine del primo capitolo, e previa autorizzazione da parte dei clienti di Fitbit all’utilizzo dei propri dati a fini commerciali e alla loro vendita a terzi) per comprendere meglio le loro preferenze e i loro bisogni alimentari e per creare insights di qualità (servendosi di software di IoT Data Analytics come Apache Hadhoop, Board o AG, e di machine learning algorithms), grazie a metriche in continuo aggiornamento. Immaginando che Lundberg, intenzionata ad avviare un’operazione di Advertising of Things, si sia rivolta ad un’agenzia specializzata e che questa abbia proposto al brand di intercettare gli utenti nel momento in cui si spostano con i propri mezzi, sarebbe possibile, a partire dagli utilizzatori di Fitbit, risalire alle autovetture in loro possesso (ad esempio tramite l’acquisizione dei dati registrati dalle pubbliche amministrazioni). Oltre all’acquisto dei dati di Fitbit Lundberg potrebbe quindi procedere contattando le case automobilistiche per la riproduzione della pubblicità e la visualizzazione degli shop sulle autoradio e sui navigatori
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
integrati, sempre in real time, in un modo simile all’”acquisto di uno spazio publicitario”. Se una procedura del genere può apparire al giorno d’oggi complessa e considerevolmente costosa, è necessario considerare che, con la diffusione dell’IoT (in particolar modo considerando che questa possa avvenire, come previsto dai maggiori esperti del settore, secondo le dinamiche descritte) si andrà incontro, a partire dal prossimo futuro, ad un progressivo ed inevitabile abbattimento dei costi di tali tecnologie, e ciò le renderà sempre più accessibili e largamente utilizzabili. In secondo luogo, anche considerando costi sostenuti per quanto riguarda tecnologie ed infrastrutture informatiche, accordi commerciali con i brand (nella fattispecie Fitbit e case automobilistiche) e retribuzione dell’agenzia pubblicitaria, è possibile considerare ad ogni modo, un grande risparmio in termini di limitazione dell’advertising waste e la certezza da parte del brand produttore dei prodotti pubblicizzati (in questo caso Lundberg) di veicolare i propri messaggi alle persone giuste ed in modo realmente efficace. Il processo appena descritto si basa sull’utilizzo esclusivo di dati IoT, ossia di dati generati da smart objects (il wearable Fitbit, nella fattispecie), ma è importante sottolineare che i dati IoT non saranno sostitutivi di informazioni quali quelle estrapolabili dai Social Media Analytics (come detto alla fine del secondo capitolo, il nuovo “petrolio” del marketing odierno). I Big Data IoT rappresenteranno una risorsa preziosissima e rivoluzionaria, ma una maggiore capacità di “entrare nella vita” delle persone deriverà dall’integrazione di IoT data, Social Media Analytics, dati acquisiti nell’ambito del Mobile Profiling e in generale dei diversi sistemi di profilazione degli utenti (evitando la sovrapposizione delle informazioni). In questo modo sarà effettivamente possibile ottenere una visione completa e a 360 gradi delle persone riguardo a “cosa dicono, cosa pensano, con chi si relazionano, cosa fanno, dove e quando lo fanno”, superando la frammentazione dei dati, e collegando nuclei di informazione diversi tra loro nella ricostruzione di un path unico, di un profilo il più possibile omnicomprensivo e costituito dai differenti aspetti della personalità e della vita degli individui (tutto ciò, ovviamente, ancora una volta, con
l’autorizzazione degli utenti e nel rispetto delle norme sulla privacy, così come saranno riformulate). Ancor prima della diffusione dell’IoT come rete di interconnessione pervasiva, l’integrazione di flussi di dati raccolti da diverse cloud platforms e la connessione tra Social Media Analytics e IoT data è già stata oggetto di ricerca da parte di alcune realtà con particolare spirito di sperimentazione nei confronti delle potenzialità derivanti dall’incontro tra IoT e marketing: piattaforme come Hi Engage (IoT Contextual Marketing Platform) e la già citata Evrythng (IoT Smart Products Platform) stanno già lavorando in tale direzione e si stanno compiendo promettenti passi avanti affinché piattaforme IoT e i Social Media dialoghino tra loro in real time (ad esempio tramite assegnazione di ID univoci e con l’impiego di software di intermediazione che si basano sulla generazione di metadati secondo un linguaggio univoco che consente di mettere in relazione in real time informazioni di diversa provenienza). Nell’esempio di Advertising of Things illustrato, inoltre, si fa riferimento a dati acquisiti dalle pubbliche amministrazioni: quando l’IoT pervaderà ambienti pubblici e privati e quando le smart cities diventeranno realtà diffuse, consolidate e pervasivamente interconnesse, la produzione di Big Data da parte delle “smart things” non riguarderà soltanto i prodotti commercializzati dai brand, ma anche dati pubblici sulle persone, interazioni all’interno degli ambienti pubblici (con elementi dell’arredo urbano, elementi infrastrutturali, mezzi di trasporto, e così via) che integreranno le informazioni già presenti sui database delle pubbliche amministrazioni (come i registri sugli immobili, i pubblici registri automobilistici, e così via); nell’ambito del marketing e dell’advertising questi dati rappresenteranno un’importante risorsa ed offriranno preziose informazioni comportamentali da integrare a quelle fornite dagli smart products, per poter ricostruire in modo effettivamente completo i path degli individui e per una comprensione approfondita delle loro abitudini e della loro vita quotidiana, fatta di spostamenti e di interazioni con svariati devices. Inoltre, sono in fase di sviluppo anche prime piattaforme IoT Open Source (come Kaa e Device Hive), la cui
145
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.16 Infografica sul sistema di raccolta e sistematizzazione dei dati IoT della piattaforma Evrythng
diffusione potrebbe dare impulso ad un mercato dei dati più equo e in grado di coinvolgere nel mondo dell’Advertising of Things non solo i grandi brand ma anche realtà dalle dimensioni meno estese ma che potrebbero ugualmente beneficiare delle profonde innovazioni che questo nuovo scenario tecnologico potrà mettere in campo (così come auspicato da Claudio Davide Ferrara, le cui affermazioni in merito al modello Open Source sono state riportate alla fine del precedente capitolo). Ma la prospettiva più importante per quanto riguarda le piattaforme per la gestione dei Big Data è forse la seguente: l’esempio di Advertising of Things congetturato fa riferimento ad una cloud platform del tipo di Evrythng, e quindi alla raccolta dei dati da parte di un broker che li registra su un database NoSQL; le piat-
146
taforme come Evrythng, che raccolgono dati di smartproducts di diversi brand (nel caso di Evrythng, GE, Coca Cola, iHome, DIAGEO, Avery Dennison, Gooee) possono, in un certo senso, essere considerate il primordio di grandi hub centralizzati per la gestione di Big Data (SAP Asset Intelligence Network ne è uno tra i primissimi esempi), vasti network in grado di accogliere, gestire e sistematizzare secondo linguaggi univoci gli sconfinati volumi di dati che si prevedono aumentare esponenzialmente con l’affermazione e la diffusione dell’Internet of Things (si ricorda che, secondo le stime, entro il 2020 verranno creati 35 zettabyte di dati, ovvero 35 mila miliardi di gigabyte, il quadruplo rispetto a quelli odierni e che Il 90% dei dati oggi esistenti sono stati generati soltanto negli ultimi 2 anni).
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.17 Infografica su un Data Hub generico
L’espansione e la diffusione di simili network consentirà di risolvere significativamente gli attuali problemi legati alla frammentazione dei dati (di cui si è parlato nel precedente capitolo), e il tutto potrà essere reso ancor più potente ed efficace se nell’ambito di tali network sarà previsto l’impiego dei sistemi, citati poc’anzi, di aggregazione e di integrazione di dati diversi (quali IoT data, Social Media analytics, informazioni da pubblici database ecc), e di connessione tra nuclei di informazioni di differente origine, affinché possano essere definite relazioni tra i dati sempre nuove, secondo diversi algoritmi, e possano essere creati insight sempre nuovi, sempre più precisi ed aderenti a specifiche necessità di marketing e di advertising. È necessario, in ultima analisi, specificare che ai fini della comprensione, dell’interpretazione e
della definizione di diversi e sempre più articolati sistemi di relazione tra i dati, giocheranno un ruolo oltremodo fondamentale, inoltre, le tecnologie di artificial intelligence e machine learning (per analisi predittive di Big Data, data scoring, data modelling, e così via), tema ora più che mai attuale (nonché, sotto certi aspetti, controverso), che verrà sviluppato più approfonditamente nel seguente capitolo. Riprendendo quanto affermato subito prima dell’esposizione dell’idea di Advertising of Things, proposta al fine di esemplificare le considerazioni precedentemente esposte, è possibile sviluppare le argomentazioni in merito a quella che può rappresentare per l’advertising, secondo la tesi proposta in questo elaborato, la seconda fondamen-
147
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
tale e rivoluzionaria potenzialità dell’IoT; se l’Internet of Things può essere considerata come la rottura della barriera che separa il mondo virtuale dal mondo fisico, come il “ponte tra internet e il mondo delle cose” ciò significa che (ancora una volta in particolar modo quando l’IoT si sarà affermata a tutti gli effetti come nuovo scenario tecnologico che coinvolgerà pervasivamente gli ambienti pubblici e privati del mondo fisico) essa potrà rappresentare anche il ponte tra l’advertising online e l’advertising offline. Sarà possibile dunque operare quella che può essere considerata come una “riqualificazione digitale” (o “riqualificazione informatica”), dei mezzi di comunicazione tradizionali dell’advertising offline (billboard, riviste, radio, transit adv, e così via), che, con l’applicazione dell’IoT, potranno acquisire intelligenza, evolversi e diventare capaci di collegarsi alla rete ed interconnettersi, consentendo quindi di dare vita all’Advertising of Things secondo le dinamiche comunicative esposte nel corso di questo capitolo, (al pari di smart devices già evoluti quali smartphone, e in generale l’intero comparto mobile, pc o smart tv) privilegiando soprattutto inedite forme di interattività. Come è stato detto nel secondo capitolo, la crescente inefficacia dell’advertising offline tradizionale, si è tradotta ormai da tempo in minori investimenti e minore capacità di generare ROI, producendo, in definitiva, un bilancio economico che continua ad essere negativo (si ricorda che, secondo i dati riportati da Nielsen, aggiornati ad agosto 2016, il mercato degli investimenti pubblicitari ha chiuso a -11,3% rispetto allo stesso mese del 2015, registrando una riduzione tendenziale del -2,7% per il periodo gennaio – agosto, con i quotidiani che, a distanza di un solo anno, hanno subito una flessione del - 10,3%, i periodici del - 10,5%, la radio del - 3,9%, l’advertising outdoor del - 0,2%, il transit advertising del - 4.9% , l’out of home tv del -13,8% e il cinema -29,9%), mentre, al contrario, l’advertising online e la televisione hanno registrato entrambe (in particolar modo grazie alle innovazioni nel digital advertising e all’introduzione della personalizzazione degli ad nelle smart tv) una lieve crescita, +0,9% ad agosto 2016 rispetto all’anno precedente, (seppur insufficiente a poter affermare che godano entrambe realmente di buona salute).
148
La “riqualificazione IoT” dei mezzi di comunicazione tradizionali, e quindi l’attribuzione di intelligenza e della capacità di connettersi alla rete ai mezzi di comunicazione offline, si pone di fatto in continuità con un processo di trasformazione il cui inizio può ritenersi l’avvento dello smartphone, che può essere considerato come il primo rivoluzionario dispositivo IoT diffuso globalmente presso la popolazione. Tale processo di trasformazioni ha coinvolto in tempi relativamente recenti anche la televisione, con la diffusione delle smart tv, televisori capaci di connettersi alla rete e, in un certo senso, ibridati con i personal computer. Nonostante la recente diffusione presso il pubblico la storia delle smart tv ha in realtà origini piuttosto lontane nel tempo. Già all’inizio degli anni Novanta lo studioso americano Press (1990) riteneva che la digitalizzazione dei media avesse prodotto due diversi trend: da una parte il televisore aveva cominciato ad integrare la capacità di elaborazione e l’interattività dei computer, trasformandosi progressivamente in un teleputer; dall’altra il computer aveva iniziato ad acquisire la capacità di elaborazione e di visualizzazione di contenuti video, evolvendosi verso il compuvision. Le smart tv, che da pochi anni hanno iniziato significativamente a diffondersi, valicano questa semplicistica distinzione e rappresentano un’integrazione tra questi due mezzi che non coincide con una contaminazione tra computer e televisione sbilanciata verso l’uno o verso l’altro medium, ma che si pone di fatto come un mezzo di comunicazione nuovo e dalle potenzialità innovative. L’interattività applicata al mezzo televisivo, la sua capacità di connettersi alla rete, di memorizzare le preferenze degli utenti, di proporre contenuti personalizzati (pubblicitari e non), e di utilizzare applicazioni configurate in pattern personalizzati, sono solo alcuni degli elementi che hanno introdotto il concetto di televisione 2.0, una televisione che trascende il mezzo televisivo e che sfrutta l’interconnessione per trasferire la propria narrazione su diversi dispositivi (soprattutto i mobile come smartphone e tablet), trasformarsi in una multipiattaforma crossmediale in grado di veicolare una narrazione sempre più esperienziale ed immersiva, (grazie anche all’incontro del
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
mezzo televisivo con tecnologie come la virtual reality, grazie al quale è possibile dare vita, ad esempio, agli experiential movie). Ma, se è vero che smartphone e smart tv rappresentano già una realtà concreta e diffusa presso il pubblico, è altrettanto vero che per l’advertising il vero salto evolutivo in direzione dell’Advertising of Things, potrà essere compiuto quando la “riqualificazione IoT” potrà essere estesa anche a tutti i mezzi di comunicazione, e quindi anche a quelli tradizionali statici come riviste e billboard. Anche se relativamente a questi ultimi mezzi di comunicazione la pubblicità interattiva esiste in realtà già da diversi anni ed è da tempo in fase di significativo sviluppo (nonché in crescita, come attestato dai dati IAB), saranno, ancora una volta, gli ecosistemi IoT a segnare il punto di svolta: i mezzi di comunicazione “tradizionali” divenuti smart (e quindi a tutti gli effetti IoT devices), capaci di connettersi, di trasmettere dati a partire dalle interazioni che registrano e di farsi veicolo di comunicazioni interattive a cui dare vita in real sulla base di dati contestuali sulle persone con i quali si interagisce (integrate o meno con le informazioni relative alla profilazione di tali utenti), contribuiranno infatti, a dare vita a quella comunicazione contestualizzata, personalizzata, basata sulla pertinenza, sulla tempistica e sull’interconnessione di cui si è precedentemente ampiamente parlato (una prospettiva che sposerà di fatto l’idea di evoluzione del DOOH espressa da Sarah Villegas e riportata nel precedente capitolo), consentendo quindi di comunicare con gli utenti, cogliendoli nel post giusto e nel momento giusto. Ma il vero punto di forza sarà la possibilità di sviluppare nuove forme di interattività, di comunicazione eperienziale, immersiva, secondo un approccio olistico, integrato. Prima di approfondire questo punto (che costituisce la terza fondamentale e rivoluzionaria potenzialità che l’IoT può offrire all’advertising), è interessante illustrare brevemente alcuni progetti che che possono essere considerati alcuni primi iniziali passi avanti nell’ambito della “riqualificazione IoT” dei media tradizionali e che rappresentano le prime sperimentazioni nell’ambito dell’Advertising
of Things OOH. Questi progetti abbastanza simili tra loro, costituiscono i primi esempi dell’Internet of Things applicata ai mezzi di comunicazione out-door e, seppur le dinamiche comunicative che mettono in gioco possono apparire più assai elementari rispetto alle potenzialità dell’Advertising of Things prefigurate in riferimento ad uno scenario tecnologico che riguardi una rete di interconnessione ecosistemica e pervasiva, giacché si basano fondamentalmente su sistemi di interconnessione che prevedono il dialogo al più tra due devices e che quindi non possono che essere considerate un “accenno” di quella comunicazione esperienziale, immersiva ed olistica e che può prendere vita grazie ad una vera interconnessione ecosistemica, risultano ugualmente significativi poiché introducono già alcuni degli elementi basilari su cui si fonderà l’idea Advertising of Things sviluppata in questo paragrafo, quali contestualizzazione, interattività e tempistica. Il primo progetto, dal titolo “The Magic of Flying”, riguarda una pubblicità creata da OgilvyOne Worldwide nel 2014 per la compagnia aerea British Airways, vincitrice di numerosi prestigiosi premi come la D&AD Yellow Pencil per la categoria Integrated and Earned Media. Questa pubblicità consisteva in un billboard digitale interattivo installato a Picadilly Circus, a Londra: sullo schermo del billboard venivano riprodotti vari annunci di diversi brand eccetto quando un aereo della British Airways sulla rotta M4 per l’aeroporto di Heathrow si trovava a volare sopra di esso; in quel momento si attivava la pubblicità della British Airways in cui un bambino colmo di meraviglia inseguiva l’aereo che nel mondo reale si trovava effettivamente a volare nel cielo sovrastante, inseguendone con il dito puntato verso l’alto l’effettiva traiettoria. Successivamente all’uscita del bambino dallo schermo, compariva una scritta del tipo”Look, it’s a flight BA475 from Barcelona” seguita dalla call to action #lookup, attraverso la quale le persone potevano accedere ad informazioni aggiuntive riguardo le diverse destinazioni dei voli e a link al motore di ricerca per le prenotazioni dei voli British Airways sul sito della compagnia. Dal punto di vista tecnologico questo progetto si avvaleva di un’antenna DSB, una tecnologia di sorveglianza
149
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
in cui gli aerei possono determinare la propria posizione tramite navigatore satellitare, rendendola tracciabile. Quest’antenna, per la campagna “The Magic of Flying”, è stata montata su un tetto nel centro di Londra per rilevare ogni transponder (sistema elettronico di identificazione della rotta), degli aerei ed acquisirne i dati, trasmessi attraverso la rete e gestiti in real time da una super low latency platform, in un raggio d’azione di 200 km. Il secondo progetto, a firma dell’agenzia Akestam Holst è una campagna contro il fumo creata per la farmacia svedese Apotek Hjärtat , anch’essa vincitrice di prestigiosi premi quali Cannes Lions e D&AD Pencil. La pubblicità consisteva in un billboard digitale interattivo, installato nel centro di Stoccolma nel periodo natalizio dell’anno 2014, che riportava quella che, apparentemen-
Fig 3.18 The Magic of Flying, OgilvyOne Worldwide per British Airways
150
te, sembrava essere la semplice fotografia di un uomo che guardava verso l’osservatore; se una persona che si trovava in prossimità del billboard stava fumando una sigaretta, però, l’uomo raffigurato nello schermo iniziava a tossire infastidito. Successivamente appariva la scritta in svedese “Nytt år, nya löften”, ossia “Nuove promesse di capodanno”, e venivano visualizzati alcuni prodotti di diverse marche per smettere di fumare (quali gomme da masticare e pastiglie alla nicotina), venduti nella farmacia. L’effetto prodotto da questa pubblicità era tanto efficace e sorprendente quanto elementare era il sistema di interconnessione di cui si serviva; l’interattività era resa possibile da un rilevatore di fumo che comunicava con lo smart billboard in cui era integrato, e il cui sensore generava dati che, una volta processati in rete, determinavano l’attivazione del filmato sullo schermo.
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.19 The Coughing Billboard, Akestam Holst per Apotek Hjärtat
Assai simile è un’altra pubblicità DOOH per una nuova linea di prodotti per capelli realizzata nello stesso anno dall’agenzia svedese Akestam Holst. ancora una volta per Apotek Hjärtat. All’interno della metropolitana di Stoccolma è stato collocato, anche in questo caso, un billboard interattivo e, così come nella pubblicità contro il fumo appena illustrata, l’immagine di partenza era la semplice fotografia di una ragazza con lo sguardo rivolto verso l’osservatore; all’arrivo (o passaggio) dei treni, però, i capelli della ragazza iniziavano a scompigliarsi al vento, come mossi dal movimento reale di quest’ultimi. In questo caso l’effetto era ottenuto tramite la dotazione di sensori collegati ai treni al fine di monitorarne lo spostamento, che generavano dati trasmessi in rete per mezzo di un Raspberry Pi computer collegato allo stesso billboard nel quale erano integrati, e grazie ai quali era
possibile attivare l’animazione sullo schermo. Il successo riscosso da questa pubblicità ha spinto perfino l’agenzia Garbergs a riproporla servendosi del medesimo sistema tecnologico ma secondo una diversa interpretazione, un diverso scopo ed un differente messaggio: questa volta il passaggio del treno nella metropolitana, dopo aver inizialmente scompigliato i capelli di una giovane ragazza ritratta sullo schermo del billboard, li faceva letteralmente volare via, rivelando così che si trattava di una parrucca e che la ragazza era in realtà calva. L’effetto di spiazzamento così prodotto era finalizzato a richiamare l’attenzione attorno al tema del cancro giovanile, e ad invitare le persone ad inviare donazioni alla fondazione Barncancer per il sostegno dei giovani malati di cancro e per la diffusione delle informazioni utili alla prevenzione.
151
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.20 Hair-Raising Subway Ad, Akestam Holst per Apotek Hjärtat
152
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Un’altra pubblicità DOOH di successo dalla caratteristiche simili a quelle appena illustrate, è la campagna “#LookingForYou”, creato da OgilvyOne UK per il centro di salvataggio degli animali Battersea Dogs and Cats Home. Davanti al centro commerciale Westfield Stratford di East London, alcuni volontari del centro hanno distribuito ai passanti volantini nei quali erano stati incorporati tag RFID in grado di attivare diversi video nei billboard interattivi posizionati all’esterno dell’edificio. All’interno del primo schermo faceva la sua comparsa un cane che letteralmente inseguiva il possessore del volantino più vicino, seguendo con precisione i suoi spostamenti, fermandosi quando egli si fermava, avanzando nuovamente
quando riprendeva a camminare, tornando indietro ad una loro inversione di marcia. Ma l’elemento più interessante di questa pubblicità è che “l’inseguimento del cane” non avveniva soltanto all’interno dello schermo collocato fuori dal centro commerciale; i voloantini muniti di tag RFID erano in grado di collegarsi anche ad altri billboard ospitanti la medesima campagna in giro per la città; il cane, a seconda della posizione del possessore del volantino rispetto allo schermo dei billboard, continuava ad inseguire quest’ultimo o talvolta gli si avvicinava andandogli incontro, accompagnato dalla scritta “There’s a dog looking for you at Battersea” e dal sempre presente hashtag “#LookingForYou”.
Fig 3.21 #LookingForYou, OgilvyOne UK per Battersea Dogs and Cats Home
153
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
L’ultimo progetto che si andrà di seguito ad esporre è la campagna “Coke Zero Drinkable Ad” realizzata ancora una volta da Ogilvy & Mather, precisamente dall’agenzia con sede a New York. Questa campagna ha riguardato essenzialmente due operazioni con due diversi tipi di interattività: uno analogico e uno digitale. La pubblicità OOH del primo tipo è consistita in un grande billboard in cui la scritta corsiva “Taste it” era costituita da un unico tubo di gomma all’interno del quale scorreva vera Coca Cola Zero, che, confluendo in appositi distributori, poteva essere prelevata “alla spina” dai passanti. Di maggiore interesse ai fini della trattazione, però, è la pubblicità del secondo tipo, quella che prevedeva un sistema di interattività digitale: se nel primo caso la pubblicità era concretamente “bevibile” in loco, nel secondo caso il “drinkable ad” faceva riferimento al reward offerto da Coca Cola agli utenti che decidevano di “connet-
Fig 3.22 Drinkable Ad, Ogilvy & Mather NY per Coca Cola Zero
154
tersi con la pubblicità” attraverso il proprio smartphone, ossia una Coca Cola omaggio da poter sbloccare all’interno di bar e diversi punti vendita. L’interconnessione con la pubblicità poteva avvenire grazie all’applicazione Shazam, con la quale Coca Cola aveva creato una partnership: la pubblicità sui billboard e trasmessa in televisione mostrava una bottiglia di Coca Cola Zero inclinata nell’atto di versare la bevanda, senza mostrare però dove quest’ultima andasse effettivamente a finire; il video era accompagnato da un audio nel quale veniva riprodotto il rumore di una Coca Cola versata da una bottiglia, suono che, se “Shazammato” con il proprio smartphone, poteva attivare la visualizzazione, sullo schermo di quest’ultimo, di un bicchiere vuoto. Inquadrando il video pubblicitario con lo smartphone era possibile connettere il proprio telefono al device attraverso cui veniva riprodotta la pubblicità e, posizionando il bicchiere vuoto al di sotto della bevanda versata,
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
osservare come questo iniziava a riempirsi; una volta colmato il bicchiere era dunque possibile ricevere un buono per una Coca Cola omaggio. Un elemento particolarmente interessante di questa operazione pubblicitaria riguarda proprio la sua versatilità e la multimedialità con la quale è stata sviluppata: oltre a billboard e televisione sono stati infatti coinvolti numerosi altri media tradizionali, utilizzati come strumento di l’interconnessione: il filmato, ad sempio, è stato riprodotto, anche su maxi schermi in occasione di eventi come fiere e concerti, o, ancora, l’audio della Coca Cola versata, con lievi varianti, è stato riprodotto perfino all’interno di spot radiofonici (con la possibilità di sbloccare la Coca Cola omaggio direttamente a partire dal riconoscimento da parte di Shazam dello specifico suono impiegato per la trasmissione in radio). Dal punto di vista tecnologico, il sistema di interconnessione di questa pubblicità è, ancora una volta, tanto semplice quanto efficace: era bastato infatti aggiungere al database di Shazam il suono della Coca Cola versata e la sua variante destinata alle trasmissioni radiofoniche. Una volta analizzato il suono, semplicemente, l’applicazione Shazam, così come per le 11 milioni di canzoni registrate all’interno della sua piattaforma, si connetteva alla rete per accedere al proprio database e ricercare al suo interno la traccia sonora con un’impronta acustica compatibile; una volta associato l’audio “ascoltato” al suono della Coca Cola versata, Shazam, anziché inviare al mobile device in uso all’utente, titolo ed informazioni su una canzone, attivava sul suo schermo la visualizzazione del bicchiere vuoto (o, nella variante dell’audio destinato agli spot radiofonici, sbloccava direttamente la Coca Cola omaggio). Questi progetti, riportati al fine di esemplificare le potenzialità dell’IoT applicata ai mezzi di comunicazione tradizionali, nonostante mettano in gioco dinamiche di comunicazione assai più elementari rispetto a quelle che potranno prendere vita all’interno di una vera e propria rete ecosistemica IoT, iniziano ad introdurre alcuni degli elementi che rappresenteranno le fondamenta dell’Advertising of Things così come viene concepita all’interno di questa trattazione. Tutte queste pubblicità infatti danno vita ad una comunicazione che non è più
“orizzontale”, perpetua, sempre uguale a se stessa; queste pubblicità non sono “sempre vive”, non comunicano di continuo, ininterrottamente, intercettando tra le innumerevoli persone che vengono colpite dai loro messaggi alcuni individui ad essi effettivamente interessati (secondo l’approccio push). Queste pubblicità “prendono vita” soltanto con alcune persone, o meglio a partire da specifiche azioni compiute da specifiche persone e, in tal senso, sono personalizzate, poiché ogni comunicazione che producono si rivolge esclusivamente a quei determinati individui che l’anno attivata. Questo tipo di comunicazione non è più “orizzontale”, ma è “verticale”, diretta a specifici interlocutori con l’obiettivo di connettersi con ciascuno di essi. In definitiva esse “prendono vita” in un qui ed ora”, in uno specifico contesto spazio-temporale e sono innescate partire da specifiche azioni compiute da specifiche persone con le quali si interagisce al fine di stabilire con esse un’autentica interconnessione. Se già questo tipo di interattività racchiude in sé il seme del nuovo paradigma pubblicitario all’interno del quale, grazie all’affermazione degli ecosistemi IoT, si potrà fare breccia con inedita forza, l’Advertising of Things inteso nel senso precedentemente esposto potrà dare vita, come è stato detto, a forme di interattività rivoluzionarie, in grado di avvolgere completamente gli individui in un nuovo habitat comunicativo, un nuovo cosmo comunicativo modellato sulle loro specificità e all’interno del quale saranno a tutti gli effetti protagonisti. Proprio parlando delle nuove forme di comunicazione interattiva che potranno prendere forma quando l’advertising potrà servirsi di una vera rete ecosistemica IoT, è possibile arrivare a quella che, secondo il percorso concettuale sviluppato in questa trattazione, può essere considerata come la terza e ultima potenzialità rivoluzionaria che l’Internet of Things, in un simile scenario, potrà offrire al mondo della comunicazione pubblicitaria: oltre ad introdurre inediti touchpoint con l’utenza, gli ecosistemi IoT potranno consentire di creare esperienze completamente nuove e diverse, dando forma ad una comunicazione realmente transmediale, avvolgente, immersiva, multisensoriale, autenticamente esperienziale,
155
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
secondo un approccio olistico, integrato. L’Interent of Things permetterà ai brand di dare vita ad una comunicazione realmente consumer-centric e data-driven che non si limiterà alla veicolazione di messaggi personalizzati, pertinenti e contestualizzati, ma che consentirà di migliorare la costumer experience, andando oltre alla semplice comunicazione contestuale, e proseguendo un’offerta di valore che, attraverso l’interconnessione con gli utenti, potrà proseguire dopo e oltre il messaggio. In questo senso è possibile concepire l’Advertising of Things, come una pubblicità che sebbene si generi, si inneschi, prenda vita in un momento ed in un contesto specifico (ossia “nel luogo e nel momento giusto, interagendo con la persona giusta”), allo stesso tempo non muoia, non si esaurisca in quel contesto, riguardando un’offerta di valore estesa ad interazioni con gli individui che vadano oltre il momento contestuale della comunicazione pubblicitaria. “Fare Advertising of Things” non significherà soltanto creare un cosmo di servizi con i quali circondare la comunicazione pubblicitaria affinché possano costituirne propaggini prosecutorie a seguito di un lead generato (con la funzione di puntellare il livello di engagement nel tempo, fuori e dentro gli store) e il cui vero punto di forza sarà l’ottimizzazione, ossia la capacità di migliorarsi, plasmarsi e aumentare la propria efficacia in real time a partire dalle interazioni degli utenti e secondo i loro bisogni e le loro preferenze contestuali (ad esempio, a seguito della risposta ad una call to action da parte di un utente, ad egli presentata in occasione di un’operazione pubblicitaria di un brand con la quale è stato coinvolto, consentendogli di visualizzare su un’applicazione brandizzata i posteggi liberi all’interno del parcheggio esterno al mono-brand store nel quale si è recato, connettendo al suo smartphone sensori dedicati a tale funzione posizionati sui posti macchina; o ad esempio, connettendo sensori posizionati all’interno dello stesso store al suo smartphone affinché, attraverso la medesima applicazione, possa ricevere in real time pubblicità, materiale informativo, coupon, sconti e promozioni riguardo ai prodotti di fronte ai quali si trova, in modo simile agli iBeacon o
156
magari visualizzandoli attraverso un sistema di Augmented Reality; o, ancora, sempre attraverso un’applicazione brandizzata, consentendogli di ricevere messaggi su prodotti alimentari o medicinali sulla base dei bisogni rilevati da un dispositivo wearables, con informazioni sulle loro caratteristiche e sui negozi migliori e/o più vicini dove poterli acquistare; e così via). “Fare Advertising of Things” significherà prima di tutto avere la possibilità di “pensare fuori dagli schemi”, di guardare non solo al messaggio ma all’intera esperienza end-to-end dei consumatori, per poter continuare ad essere rilevanti; significherà adottare un approccio olistico, integrato, guardare all’Advertising of Things non solo come a una pubblicità che, grazie all’interconnettività dei digital devices, consentirà ai brand di inviare il giusto messaggio, alla persona giusta, nel momento giusto, nel luogo giusto, nel modo giusto e sul giusto device (ascoltando e rispondendo in tempo reale ai bisogni dei consumatori), ma anche e soprattutto come a una pubblicità che consenta di generare nuove relazioni con i singoli individui secondo modalità del tutto inedite. Non si tratterà solo di messaggi personalizzati con i quali colpire gli individui nel momento opportuno, ma di coinvolgere le persone immergendole nel mondo del brand grazie ad una multimedialità ecosistemica in cui ogni strumento di comunicazione svolgerà il proprio ruolo, la propria funzione, e, di concerto con gli altri, interagirà con gli individui consentendo loro di vivere esperienze inedite, in grado di trasmettere loro significato, valore, elementi di preziosità in grado di conquistarne il consenso affinché decidano di avviare una connessione con la marca che non si limiti ad una fidelizzazione periodicamente rivitalizzata da sconti e promozioni, ma che rappresenti una relazione basata sulla capacità da parte dei brand di continuare ad essere utili e rilevanti per le singole persone anche oltre il momento della comunicazione, oltre il messaggio, proseguendo con loro un’interconnessione che consenta di portare avanti lo scambio di valore. In questo senso sarà possibile portare il concetto di comunicazione transmediale, formulato da Henry Jenkins nel già citato testo “Cultura Convergente”, su nuovi livelli: la narrazione prenderà vita dall’interconnessione
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
e l’integrazione tra diversi medium non avverrà solo nella virtualità ma nel mondo fisico; lo stesso concetto di medium trascenderà la considerazione dei soli dispositivi che ci sono familiari, e coinvolgerà potenzialmente ogni oggetto, ogni elemento del mondo fisico che ci circonda, che diventerà “intelligente” e “comunicante” e che, di concerto con gli altri con i quali si integrerà (ognuno in grado di offrire il proprio contributo, secondo le proprie funzioni, le proprie potenzialità e le modalità comunicative che gli sono proprie), svolgerà il proprio ruolo nel dare vita e significato ad una nuova comunicazione. Questo ecosistema comunicante in cui il mondo fisico che ci circonda, attraverso inediti canali di comunicazione, sarà in grado di aprire a nuove forme di interattività, consentirà di immergere le persone in una comunicazione profondamente esperienziale e passare dallo “scegliere un touchpoint” al “creare un touchpoint”, a partire dall’interconnessione, dall’integrazione, dalla complementarizzazione e dalla commistione di inediti “oggetti comunicanti”, ciascuno in grado di servirsi di forme espressive e di modalità comunicative inedite, secondo la propria natura e le proprie caratteristiche. “Creare un touchpoint”, composto da pattern di smart objects comunicanti, plasmato sulla base di specifiche esigenze comunicative, significherà, in ultima analisi, dare vita ad una comunicazione che non sarà un flusso unidirezionale, ma sarà avvolgente, esperienziale, interattiva e perseguirà, in un modo del tutto nuovo, obiettivi profondamente relazionali. Una comunicazione che riconoscerà pienamente il ruolo attivo degli utenti e si concentrerà a coinvolgerli profondamente per stimolarli a proseguire l’interazione, suscitando in essi emozioni, sensazioni, interessi, condivisione di valori, affinché l’esperienza, dopo il momento della comunicazione pubblicitaria, continui con nuove connessioni da parte di quest’ultimi, interessati a partecipare alla vita del brand e a beneficiare del valore che ha da offrire (ciò consentirà di passare dall’approccio “push” ad un approccio “pull” ed incontrare quindi pienamente uno degli obiettivi fondamentali per l’advertising del prossimo futuro inividuati da Paolo Iabichino). Pensare ad un advertising contestualizzato, in grado di
interagire in tempo reale con gli individui rispondendo alle loro esigenze, con messaggi pertinenti e personalizzati sulla base delle interazioni delle persone, non vorrà dire soltanto avvicinare l’Advertising ad una serie di servizi in real time; creare pubblicità all’interno di un cosmo ecosistemico di smart objects comunicanti ed interconnessi, significherà soprattutto poter dare forma alla creatività in infiniti modi. L’Advertising of Things infatti non dovrà ridursi ad un’insieme di semplici messaggi veicolati da diversi devices. Assumere un approccio olistico nel “fare Advertising of Things” significherà creare un valore nella comunicazione superiore alla semplice somma dei messaggi trasmessi dai devices attraverso cui la pubblicità si esprime: l’interconnessione e il concetto di ecosistema saranno il cuore di nuove forme di creatività (tesi condivisa da Adrian McEwen nel suo libro Designing the Internet of Things), alla base della quale dovrà esserci sempre un Big Ideal, in cui l’esperienza sarà la protagonista e rispetto alla quale l’interattività costituirà il motore essenziale. Se le prime due potenzialità dell’IoT per l’advertising sono state accompagnate da esempi esplicativi (la prima attraverso l’esempio della pubblicità del brand Lundberg in partnership con Fitbit, volta ad esemplificare la capacità dell’Advertising of Things di dare vita ad una comunicazione contestualizzata, pertinente, utile e rilevante per le persone rispetto alle loro preferenze e alle loro esigenze contestuali, la seconda attraverso una raccolta di progetti che, “riqualificando” con sistemi IoT mezzi di comunicazione tradizionali offline, tendono all’Advertising of Things nel senso inteso in questa trattazione), i concetti appena espressi in merito a questa terza potenzialità rappresenteranno gli elementi principali che il progetto di Advertising of Things allegato a questo elaborato teorico intenderà esemplificare (progetto che, seppur, come appena detto, rivolgerà particolare attenzione a questo terzo punto, sarà altresì finalizzato ad esemplificare i primi due). A valle di quanto esposto in questo paragrafo, una volta illustrato in che modo l’advertising potrà evolversi grazie all’Internet of Things è possibile dunque dimostrare
157
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
come le potenzialità che potranno scaturire dall’incontro di questi due mondi potranno essere determinanti rispetto al superamento delle criticità, riportate nel secondo capitolo, che, seppur indebolite da alcune innovazioni nel digital advertising, continuano ad affliggere il mondo della pubblicità, online ed offline. I problemi legati all’inadeguatezza dell’approccio push rispetto ai consumatori 3.0 e di una pubblicità che continua a ragionare in termini di target di massa e secondo logiche quantitative che privilegiano la presenza piuttosto che la rilevanza e che prevedono la saturazione degli spazi con l’obiettivo di “colpire” quante più persone possibili con i propri messaggi affinché tra di esse sia possibile contattare coloro che possano esservi effettivamente interessati (con la conseguente produzione di advertising waste e all’origine della recente crescita dei programmi per l’adblocking e del generale bilancio passivo del settore pubblicitario), grazie all’Internet of Things, potranno essere significativamente superati: come è stato detto, la prima potenzialità che l’Intenet of Things potrà offrire all’advertising riguarderà la capacità di entrare nella vita delle persone con un’inedita profondità. A partire dagli spostamenti e dalle azioni che gli individui compiranno all’interno degli ecosistemi IoT, e più correttamente a partire dai dati generati dalle interazione con gli smart devices che li circonderanno nella loro vita quotidiana, sarà possibile acquisire una visione completa delle abitudini e delle preferenze delle persone, entrando nella loro vita “dalla porta principale” e riuscendo ad operare una profilazione che potrà integrare alle informazioni ottenibili con ricerche di mercato, a quelle relative alle ricerche e alle azioni compiute sul web, ai social media analytics, e alle informazioni acquisite tramite operazioni di mobile profiling, dati comportamentali con un livello di dettaglio prima inarrivabile (sia nella prospettiva di un nuovo mercato dei dati con operazioni di compravendita in real time, che del parallelo sviluppo di nuovi modelli open source). Rimandando al capitolo conclusivo di questa trattazione le implicazioni etiche e la necessità di una ferrea regolamentazione per la tutela della privacy delle persone (considerando che la conditio sine qua non di un simile
158
scenario dovrà essere sempre l’autorizzazione da parte degli individui all’utilizzo dei propri dati) è possibile evidenziare come l’IoT, dando vita ad una vera e propria mappa elettronica, ad un calco digitale del mondo reale, e quindi della vita reale delle persone, potrà consentire non solo di profilare ogni individuo fino alla singola azione da egli compiuta, ma di acquisire questi dati in real time e, dunque, poter rispondere il real time alle sue esigenze e ai suoi desideri contestuali. Le smart things che pervaderanno gli ecosistemi IoT, infatti, oltre che strumenti di imput per l’acquisizione di dati saranno, ovviamente, anche strumenti di output, ossia strumenti di comunicazione; gli ecosistemi IoT offriranno inediti touchpoint attraverso i quali sarà possibile interagire “con le persone giuste, nel momento giusto, nel luogo giusto, nel modo giusto, e attraverso i giusti device” dando vita a forme di comunicazione profondamente interattiva, che, oltre ad essere personalizzata, sarà anche contestualizzata, ossia coerente con gli specifici contesti spazio-temporali che riguardano gli interlocutori a cui si rivolge; e non solo: le comunicazioni a cui si darà vita potranno plasmarsi, modellarsi in real time sulla base delle interazioni effettuate dagli utenti e delle loro specidificità, ottimizzando la propria efficacia in relazione alle specifiche caratteristiche delle persone con le quali si interagisce. Ciò significa poter dare forma, grazie all’Internet of Things, ad una comunicazione pubblicitaria profondamente interattiva che non riguarderà solo la capacità di inviare in real time, in modo capillare, messaggi ultra-mirati e ultra-personalizzati agli utenti, né riguarderà soltanto la possibilità di corredare l’advertising con una serie di servizi brandizzati offerti sempre in real time, ma riguarderà piuttosto la possibilità di dare vita ad infinite nuove forme di creatività, un elemento imprescindibile per un’evoluzione autentica dell’advertising che scongiuri il rischio di uno sterile avanzamento tecnologico non sostanziato dalla fantasia e dalle idee. Le rivoluzionarie ed infinite possibilità di dare vita a nuove forme di creatività scaturiranno soprattutto dalla possibilità di immergere gli individui in un cosmo di smart-things interconnesse, ciascuna delle quali in grado di comunicare attraverso le modalità e le funzioni che gli sono proprie e che derivano dalle proprie caratteristiche. Ogni device, inoltre, potrà dialogare, integrarsi, com-
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
plemetarizzarsi con gli altri device con i quali lavora di concerto per contribuire a dare forma ad una comunicazione profondamente transmediale, secondo un approccio olistico, integrato. La forza di questa comunicazione, inoltre, non coinciderà con la semplice somma dei messaggi che, secondo diverse forme espressive e diverse modalità comunicative, “costruiranno” la comunicazione che prenderà vita attraverso un pattern di smart things composto sulla base delle esigenze di comunicazione di brand marketer ed advertiser e sulla base delle specificità delle persone a cui ci si rivolge; la forza dell’Advertising of Things, il suo vero valore, oltre che basarsi su criteri di utilità, rilevanza e pertinenza, risiederà soprattutto nella possibilità di connettersi con inedita profondità con persone “immergendole” in una comunicazione fortemente esperienziale, in cui saranno proprio l’esperienza gli strumenti attraverso i quali ispirare, emozionare e coinvolgere gli individui nel mondo del brand, veicolando idee, suscitando sensazioni, emozioni, che non saranno vissute passivamente ma che troveranno proprio nell’interattività e nello scambio di valore la propria forza. A partire da tali considerazioni, presentate come sintesi dei tre punti fondamentali affrontati nel corso di questo paragrafo, è semplice capire come, grazie all’Internet of Things sarà possibile superare i problemi legati alla pervasività, all’irrilevanza, alla decontestualizzazione, all’interruzione, all’incoerenza, all’intrusione, all’invasione, alla saturazione, di molta parte dell’advertising contemporaneo, di come sarà possibile sueprare l’approccio push ed approdare compiutamente all’approccio pull, coinvolgendo per ogni operazione di comunicazione pubblicitaria solo gli individui che possano effettivamente considerarla per sé stessi rilevante; o ancora, riprendendo i passaggi paradigmatici formulati da Iabichino, passare ancor più dal contatto alla connessione, dal monologo al dialogo, dalla presenza alla rilevanza. È inoltre evidente come tale modello di Advertising of Things possa rispondere agli obiettivi di cambiamento per l’advertising (riportati nel secondo capitolo) individuati da John Cosley, Sarah Villegas, Susan Wojcicki, Felipe Calderon, Mark Parker e relativi alla necessità di
dare vita ad una comunicazione pubblicitaria più personalizzata, contestualizzata, interattiva e modellata sulle specificità degli individui. Ma, in generale, è soprattutto evidente come, grazie all’Internet of Things, gli obiettivi alla base della condivisa prospettiva da perseguire secondo le idee degli esperti del settore prese in esame nel secondo capitolo, il cui minimo comune denominatore può trovare la propria sintesi nelle parole “contestualizzazione”, “personalizzazione”, “pertinenza”, “tempistica”, “interattività”, “interconnessione”, potranno essere, come mai prima, soddisfatti. Un altro problema che lo sviluppo dell’IoT sta già contribuendo significativamente a risolvere è la “frammentazione dei dati”. Com’è stato detto, infatti, una delle principali criticità nella profilazione degli utenti è costituita dalla difficoltà di collegare tra loro dati diversi, provenienti da diversi database e diverse cloud platforms, raccolti attraverso sistemi di profilazione differenti (dal mobile profiling, al tracciamento della navigazione degli utenti, ai Social Media Analytics, e così via), codificati secondo diversi linguaggi ed utilizzando diversi protocolli di rete. L’aumento esponenziale dei dati generati dagli utenti negli ultimi anni ha iniziato a produrre la creazione di grandi network per la data collection che si servono di sistemi di sistematizzazione e di linguaggi univoci. Il progresso dell’Internet of Things, l’aumento degli smart devices, sempre più diffusi presso il pubblico, e la previsione, relativa al prossimo futuro, dell’affermazione di una vera rete IoT in cui l’interconnessione crescerà sempre di più e diverrà esponenzialmente più pervasiva (estendendosi a macro-sistemi, financo divenire worldwide) ha, ancor più con forza, posto la questione dei Big Data, evidenziando la necessità che database e cloud platform si predispongano ad ottimizzare la gestione di dati dai volumi vasti come mai prima. Il progresso dell’Internet of Things ha iniziato quindi a produrre la creazione di vasti hub informatici in grado di sistematizzare Big Data IoT secondo sistemi e linguaggi univoci e di integrarli ad informazioni di diversa provenienza (attraverso dedicati software di intermediazione tra diversi sistemi di codifica). L’affermazione dell’Interent of Things avrà necessaria-
159
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
mente come conseguenza, pertanto, anche una crescente capacità di superare la frammentazione dei dati, utilizzando sistemi di gestione di Big Data sempre più efficienti, ed incoraggerà una sempre maggiore risoluzione dei problemi precedentemente esposti (rilevati tra gli altri, come riportato nel secondo capitolo, da esperti del settore quali Felipe Calderon e Mitch Barns). Grazie all’Internet of Things, inoltre, sarà possibile rivitalizzare il settore dell’advertising offline e “dare nuova vita” ai mezzi di comunicazione tradizionali (quali radio, billboard, riviste, e così via, che insieme a smartphone, smart tv, computer, tablet, wearables e, in generale, agli smart devices già diffusi presso il pubblico, nonché insieme alle smart things che costelleranno le smart cities pervandendo gli ambienti pubblici e privati nei quali viviamo, entreranno a fare parte dell’ecosistema IoT); ciò in quanto l’Internet of Things consentirà di rompere la barriera che separa il mondo di internet e il mondo fisico “delle cose”, rappresenterà un ponte tra virtualità e mondo reale, tra mondo digitale e mondo analogico, e consentirà di “riqualificare” attraverso i sistemi di interconnessione IoT (e quindi attraverso l’attribuzione di “intelligenza” e capacità di connessione in rete) i mezzi tradizionali dell’advertising offline. Se fino ad ora le innovazioni in direzione di una pubblicità più mirata e meno invasiva ed interruttiva hanno riguardato il solo digital advertising (con il search advertising, il programmatic advertising e il native advertising per citarne alcune) ciò, significherà poter immettere nuova linfa evolutiva in un settore come quello dell’advertising offline che, nonostante la lieve ripresa economica degli ultimi anni, nonostante tipologie pubblicitarie come il DOOH siano una già una realtà esistente da diversi anni e siano stati già sviluppati alcuni progetti “avanguardistici” che rappresentano primi tentativi di incontro tra OOH e IoT, è rimasta in maggior parte legata all’analogico e alle modalità comunicative tradizionali, e che, secondo i dati Nielsen riportati nel secondo capitolo, continua ad essere in perdita e ad avere un bilancio passivo. È evidente, in ultima analisi come tale prospettiva di “riqualificazione IoT” dell’advertising offline sia in grado
160
di concretizzare gli obiettivi di evoluzione dell’advetising esposti da Sarah Villegas (riportati, ancora una volta nel secondo capitolo), la quale individua proprio nell’interconnessione e nella proliferazione dei dati generati dagli utenti i presupposti per una possibile evoluzione del settore OOH. In ultima analisi, ai fini di una maggiore completezza, è necessario specificare che, se è vero che l’applicazione dei sistemi IoT all’advertising e al marketing risulta essere ad uno stadio considerevolmente embrionale rispetto ai livelli di progresso raggiunti in ambiti applicativi quali domotica, automotive e Industria 4.0, è altrettanto vero che i progetti e le sperimentazioni condotte in questo campo da un certo numero di startup e agenzie stanno producendo risultati del tutto promettenti. Oltre ai grandi network di pubblicità e marketing del calibro di Ogilvy & Mather (come il gruppo Publicis e BBDO, per esempio), a dare forte impulso allo sviluppo dell’Advertising of Things sono anche i progetti sviluppati da realtà quali startup come FW, agenzie di digital design come R/GA, e mobile advertising network come KIIP, per citarne alcune. Inoltre, sta progressivamente crescendo il numero di brand, (ad esempio, oltre ai già citati Coca Cola e Nike, marchi come Johnnie Walker Blue Label e Apotek) che, con lungimiranza, stanno iniziando ad investire in tecnologie IoT nell’ambito di operazioni pubblicitarie e di marketing. Oltre alle innovative ricerche nell’ambito dell’applicazione delle tecnologie IoT al DOOH compiute da Coca Cola ed Apotek, i cui progetti sono stati precedentemente illustrati, particolarmente rilevante ai fini di questa trattazione è il progetto Snappin.io di FW, startup con sede a Milano, che consiste in una soluzione all-in-one per la gestione delle user experience all’interno degli ambienti retail, servendosi di una combinazione di sensori display e applicazioni touchs-screen per migliorare l’engagement dei clienti attraverso contenuti pubblicitari personalizzati e “plasmati in real time” sulla base delle loro interazioni; ad esempio, servendosi di beacon BLE per rilevare ed identificare un cliente all’interno dello store e attivare uno schermo ad egli vicino affinché possa visualizzare
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.23 Snappin.io di FW
Fig 3.24 Johnnie Walker Blue Label Connected Bottle, Diageo e Thinfilm
un annuncio pubblicitario coerente con la sua recente storia d’acquisto, e presentando al contempo gli analytics delle interazioni dell’utente al proprietario del negozio attraverso una dashboard con rappresentazioni di data visualization semplici ed intuitive, affinché possa prendere decisioni per migliorare il modo in cui il proprio smart store si connette con i clienti. Un altro progetto sviluppato con l’obiettivo di migliorare la user experience nelle aree retail, particolarmente importante nell’ambito dei primordi dell’Advertising of Things, riguarda la preannunciata Johnnie Walker Blue Label Connected Bottle, ossia l’applicazione della tecnologica IoT all’iconica bottiglia di whisky Blue Label, un prototipo realizzato da Diageo, impresa mondiale sul mercato degli alcolici, in collaborazione con Thinfilm, compagnia di printed electronics norvegese. La smart bottle Blue Label è dotata di un sensor tag costituito da un’antenna e da un circuito integrato (IC) stampato sull’etichetta, realizzato con la tecnologia OpenSense di Thinfilm, che si serve dell’NFC, tecnologia grazie alla quale è possibile ricevere, avvicinando lo smartphone
161
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
all’etichetta della bottiglia, pubblicità e diverse tipologie di informazioni (ad esempio, quando la bottiglia si trova sullo scaffale dei supermercati, le informazioni possono riguardare eventuali promozioni uploadate dall’azienda, mentre, una volta aperta a casa, le informazioni possono cambiare e riguardare, ad esempio, ricette di cocktail in cui impiegare il liquore come ingrediente), una modalità di marketing e di comunicazione pubblicitaria che incontra significativamente l’idea relativa alla necessità per l’advertising di muoversi in direzione della volontarietà nella fruizione dei messaggi pubblicitari da parte degli utenti, espressa da Susan Wojcicki e riportata nel secondo capitolo. Infine, è opportuno ribadire, anche e soprattutto in questo contesto, quanto Nike + rappresenti un progetto assai interessante ai fini di questa trattazione: come è stato detto nel precedente capitolo, infatti, la piattaforma Nike + è un esempio calzante del concetto di ecosistema che si è inteso introdurre in quest’ultimo capitolo, o meglio, di luogo virtuale di incontro ed interconnessione tra individui che prende vita grazie ad un ecosistema IoT in cui le interazioni prodotte per mezzo di smart devices interconnessi rappresentano il seme delle interrelazioni tra utenti che ivi si creano. In tal senso l’inteconnessione tra oggetti (nella fattispecie, smart shoes e wearables, ad esempio) è uno strumento funzionale all’interconnessione ed interrelazione tra le persone, elemento imprescindibile per un’evoluzione della comunicazione pubblicitaria che possa definirsi tale (come verrà approfondito al termine di questa trattazione). Nike +, in definitiva, non è solo un prodotto ma è uno strumento attraverso il quale gli individui partecipano attivamente alla vita del brand e vengono immersi nel suo mondo, che non è fatto solo di comunicazioni uno ad uno tra il consumatore e la marca ma è fatto prima di tutto di relazioni tra utenti, e costituisce un’operazione funzionale alla brand image e alla creazione di nuove forme di engagement (rappresentando dunque, per questo motivo, l’espressione di un’accorta ed efficace strategia di marketing da parte di Nike). Si potrebbero proporre ancora altri esempi di operazione
162
di marketing e di advertising che si servono di tecnologie IoT, ma ciò che più importante sottolineare è come, nonostante sia tra pubblico che nel mondo aziendale la consapevolezza circa le potenzialità dell’Internet of Things non sia ancora concretamente diffusa, nonostante al settore del marketing e della pubblicità, rispetto ad altri settori, sia stata rivolta scarsa considerazione nell’applicazione e nello sviluppo di tali tecnologie e nonostante gli ostacoli alla creazione di una vera rete ecosistemica estesa e pervasiva di things interconnesse impediscano di fatto di sfruttare appieno le potenzialità che in un tale scenario acquisirebbero i sistemi IoT, i progetti riportati rappresentano dei positivi segnali di cambiamento e dimostrano che, nonostante i limiti sopra citati, la sperimentazione in questo campo è viva, dinamica, e pronta ad incontrare una rapida crescita nel prossimo futuro. A conclusione di questo paragrafo è possibile proporre la seguente considerazione: sintetizzando la tesi fondamentale che questo elaborato teorico ha cercato di dimostrare, è possibile ribadire che essa coincide con l’idea che l’Internet of Things (non inteso come sistema di interconnessione limitato a micro-ambienti, qual’è prevalentemente nella contemporaneità, ma come vero e proprio “internet”, come una rete di interconnessione ecosistemica ubiqua e pervasiva di ogni ambiente della vita quotidiana degli individui, così come viene prefigurata dai maggiori esperti del settore della comunicazione e delle nuove tecnologie), potrà rappresentare per l’intero settore dell’advertising lo step-change di un cambiamento paradigmatico già timidamente avviato da diverse innovazioni introdotte nel digital advertising, consentendogli di compiere un vero salto evolutivo, e di lasciarsi alle spalle le criticità derivanti dall’inadeguatezza delle vecchie logiche della pubblicità tradizionale, ancora persistenti, nei confronti dei nuovi consumatori sempre più proiettati verso la nuova era tecnologica alle porte, e in direzione di una comunicazione pubblicitaria che incontri compiutamente le loro istanze. Detto questo, a valle degli argomenti affrontati in questo paragrafo, si possiedono ora tutti gli elementi per poter schematizzare in modo completo i cambiamenti fondamentali di questo mutamento paradigmatico che sono stati sviluppati nel
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
corso di questa trattazione, ed è possibile dunque sintetizzare che tale mutamento riguarda fondamentalmente il passaggio: •
•
dal monologo al dialogo;
•
dal racconto di ciò che si ha da offrire, al racconto dell’offerta strutturato sulla base di ciò che le persone hanno da raccontare (attraverso le loro parole in rete, le loro condivisioni, i loro comportamenti e le azioni quotidiane che compiono);
•
dall’interruzione pubblicitaria, alla coerenza dell’advertising con il contesto spazio-temporale in cui avviene la comunicazione e con gli interessi e le esigenze contestuali delle persone alle quali ci si rivolge;
•
dalla comunicazione, all’interazione, ad un’interattività immersiva;
•
dalla narrazione crossmediale, all’esperienza transmediale;
dall’approccio push all’approccio pull;
•
dallo spingere fuori messaggi pubblicitari in direzione di target di massa all’interagire con la persona giusta, nel contesto giusto, nel momento giusto, nel modo giusto e attraverso i giusti device;
•
dalla presenza alla rilevanza;
•
dal contatto, alla connessione, all’iper-connessione;
•
dai target di massa, alle micro-segmentazioni, alle singole persone;
•
pale delle loro vite), interagendo ed interloquendo con loro in real time;
dalle classificazioni psico-socio-demografiche, alla profilazione sul web, al calco digitale della vita delle persone;
•
dalla profilazione demografica, alla profilazione comportamentale, fino alla conoscenza delle singole azioni quotidiane delle persone;
•
dalla scelta di un touchpoint alla “costruzione” di un touchpoint (componendo pattern mediali personalizzati sulla base delle specificità dei singoli individui);
•
dal targeting, al behavioral targeting al real time targeting;
•
•
dalle indagini di mercato, all’acquisire dati a partire da azioni compiute sul web e intercettare le persone giuste negli ambienti virtuali in rete, ad acquisire dati a partire da interazioni compiute nel mondo reale ed intercettare, individualmente, le persone giuste negli ambienti reali;
dalla pubblicità broadcast di massa, alla comunicazione targettizzata, ad una pubblicità sottile, che avvolge l’individuo, “modellandosi” in real time sulla base delle sue interazioni e delle sue preferenze ed esigenze contestuali e che prende vita attraverso un pattern mediale personalizzato composto sulla base delle sue caratteristiche specifiche;
•
dalla comunicazione orizzontale, di massa, ad una comunicazione verticale, mirata sul singolo individuo;
•
dall’essere di fronte al pubblico come su un palcoscenico monologando la propria narrazione all’essere al fianco delle persone (entrando dalla porta princi-
Quest’ultimo passaggio introduce un concetto che rappresenterà il modello comunicativo a cui l’Advertising of Things (parallelamente ad altre tecnologie o in commistione con esse, di approfondite), secondo l’analisi sviluppata in questo capitolo, contribuirà a dare vita nel prossimo futuro: il concetto di Thin-ternet e di Thin Advertising, di “pubblicità sottile”.
163
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
3.4 Il concetto di Thin-ternet come nuovo modello comunicativo per l’advertising
Nel corso di questa trattazione si è lungamente parlato dell’inadeguatezza dell’advertising tradizionale nei confronti dei nuovi scenari del mondo della comunicazione, della nuova era digitale alle porte, verso la quale i consumatori si mostrano già pronti e nelle cui logiche sono già, in larga parte, addentro. Questa “nuova era” è stata definita da Tom Goodwin su Advertising Age, prestigiosa rivista sul mondo dell’advertising, “Thin-ternet”, “Internet sottile”. Il Thin Internet secondo Goodwin rappresenta il punto di arrivo del processo di mutamento agli albori del quale si trova attualmente il web, il cui utilizzo è destinato ad essere sempre più concepito come una serie di interazioni con un ambiente sottile, con un pattern personalizzato di applicazioni, in rete tra loro, che circonda l’individuo con informazioni su misura dei suoi bisogni e delle sue preferenze.
Fig 3.25 Tom Goodwin, exec VP and head of innovation at Zenith
164
Nell’articolo su AdAge Goodwin scrive: «il web sta cambiando, si sta trasformando sempre di più da spazio profondo - inteso come vasto mare in cui navigare - in un ambiente sottile che ci circonda e ci offre informazioni personalizzate, su misura delle nostre necessità. Siamo ormai passati dal “surfing”, al “searching” al glancing (ossia dal “navigare”), al “ricercare”, al “dare un’occhiata”, e nel nuovo Thin-ternet le esperienze di navigazione e ricerca si trasformano in un’esperienza in un ambiente più piccolo, poco profondo, cucito sulle nostre esigenze, la cui chiave di volta è la personalizzazione. (…) Internet diventa thin, sottile, raffinato e ubiquo: pensiamo all’Internet of Things, che collegherà alla rete tutto ciò che ci circonda, pensiamo ai Google Glass e agli Smartwatch, pensiamo a Siri, ad Amazon Echo e a tutte le altre versioni degli assistenti vocali. Un paio di esempi? Lo smartphone ci avvisa che il treno
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
è in ritardo e ci propone, in alternativa, una prenotazione con Uber. Oppure, lo smartwatch ci avvisa che un amico è nelle vicinanze e ci invita a cogliere l’occasione per usare quel coupon che il pub della via accanto ci ha regalato. In questo contesto, nella visione del Thin Internet, l’advertising e il marketig sono da re-immaginare: avremo nuove categorie di prodotto da vendere, nuove possibilità di proporre contenuti personalizzati, nuovi spazi e nuovi modi per trovare clienti e fidelizzarli, nuovi comportamenti da analizzare per offrire contenuti sempre più specifici e precisi, oltrepassando persino il concetto di nicchia.» A conclusione dell’articolo Goodwin definisce il Thin-ternet “la quarta era del web”, affermando che: «La prima era è stata quella dei portali, quando Yahoo e AOL erano i punti di riferimento e il web era nella sua fase 1.0. Il portale era lo spazio in cui fare tutto, perché completo: in sostanza, si riproponeva il modello del magazine cartaceo, autosufficiente e completo. La seconda è stata l’era del primo Google, quando gli utenti hanno preso il controllo e i portali sono stati sostituiti dai motori di ricerca. Quest’era coincide con il “web profondo”, in cui i contenuti che cerchiamo “emergono”, grazie ad algoritmi complessi, dal mare magnum del web. L’era attuale è composta da un mix di tre dinamiche diverse: la “classica” ricerca delle informazioni che desideriamo, i social media e infine le app, nuove e vecchie allo stesso tempo, micro-portali ritagliati su misura dell’utente e delle sue necessità. Nella quarta era in cui stiamo per ritrovarci oltre a svilupparsi le app, l’Internet of Things si diffonderà nelle nostre città e progredirà il predictive computing. Il web diventerà una rete sottile e pervasiva degli ambienti della nostra vita, una rete attraverso cui è possibile comunicare l’informazione necessaria al momento giusto, basandosi sulla conoscenza approfondita dei nostri comportamenti e desideri (con tutto ciò che questo comporta, nel bene e nel male); l’internet of Things rappresenta
il futuro: per anni abbiamo riso all’idea che le piante “potessero tweetare” e che “i frigoriferi potessero fare telefonate” supponendo che un giorno questa tecnologia avrebbe consentito di dare vita ad idee fantasiose e al contempo di risolvere problemi. Già oggi è possibile osservare applicazioni dell’Internet of Things come le smart home o le connected car. Ma ciò che l’IoT rappresenta davvero è una tecnologia che sarà in grado di aiutarci in modi inediti, sempre più specifici e contestualzzati.» Riassumendo i concetti espressi da Godwin, è possibile dare un nome a quelle nuove logiche secondo cui i consumatori 3.0 si relazionano con la rete, a quella nuova concezione della comunicazione e dell’utilizzo del web che rendono sempre più inadeguati e distanti le logiche dell’approccio push dell’advertising tradizionale, che sono all’origine dei problemi dell’advertising contemporaneo e che impongono la necessità di un salto evolutivo da parte di quest’ultimo per riallinearsi ai nuovi consumatori ed incontrarne compiutamente le istanze. Questo nome è Thin-ternet, un nuovo modo da parte degli utenti di relazionarsi con la rete, basato su pattern di applicazioni connesse tra loro e dedicate a funzionalità specifiche, personalizzati sulla base delle specificità di ciascun utente; un ambiente sottile, modellato sui bisogni e le preferenze degli individui, un ecosistema che li circonda e che consente loro di accedere all’informazione giusta, nel momento giusto, a seconda delle loro necessità. A partire da tale sintesi, è dunque chiaro come l’Internet of Things possa essere ascrivibile al concetto di Thin-ternet, e come l’Advertising of Things, come evidenziato nell’ultimo punto dell’elenco dei passagi paradigmatici riportato alla fine del precedente paragrafo, possa tradursi in un “Thin Advertising”, (coniando un termine che sia grado di identificare il nuovo paradigma pubblicitario agli albori del quale ci troviamo e nei confronti del quale l’IoT può rappresentare il vero e proprio step-change, favorendo un vero e proprio salto evolutivo al suo interno), in una “pubblicità sottile, che avvolge l’individuo, modellandosi in real time sulla base delle sue interazioni e delle sue preferenze ed esigenze contestuali
165
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
e che prende vita attraverso un pattern mediale personalizzato composto sulla base delle sue caratteristiche specifiche.
Fig 3.26 Scena tratta dal film “Minority Report” di Steven Spielberg (2002): il protagonista John Anderton cammina in un centro commerciale del futuro ed innumerevoli ologrammi pubblicitari si rivolgono a lui chiamandolo per nome tramite una tecnologia a scansione e riconiscimento della retina
Fig 3.27 Progetto “Hyper-Reality” di Keiichi Matsuda: pubblicità visualizzate in Augmented Reality che invadono ogni spazio dell’ambiente urbano; uno scenario che esemplifica l’utilizzo di tale tecnologia secondo logiche puramente quantitative, opposte al modello di Goodwin
166
Ma è assolutamente importante specificare che “ciò non è automatico”: l’Internet of Things può essere funzionale al Thin-ternet, ma ciò non significa che l’IoT vi dia necessariamente e imprescindibilmente vita. L’Internet of Things è uno strumento: l’idea di Advertising of Things esposta nel precedente paragrafo coincide con una possibilità di utilizzo di quello strumento, con la capacità di coglierne le potenzialità per consentire un’evoluzione della pubblicità in direzione della risoluzione delle criticità che, ancora oggi, l’affliggono. Il rischio è che quando l’Internet of Things sarà effettivamente pervasiva di ogni ambiente della nostra vita quotidiana, vi si pensi semplicemente come a “una nuova rete da saturare”; l’introduzione di inediti ed innumerevoli touchpoint, la pervasività della rete nel mondo fisico “delle cose” e negli ambienti reali potrebbero anche tradursi in una nuova forma di pervasività da parte degli annunci, nella mera moltiplicazione in senso quantitativo dei messaggi pubblicitari, e in tal senso, nella continuazione delle logiche quantive dell’approccio push, amplificate e rese ancora più forti. L’Internet of Things, in sostanza, offrirà delle opportunità che, però, dovranno essere colte, per scongiurare il rischio di un Advertising of Things del tutto simile alle visioni distopiche della pubblicità nelle metropoli del futuro, proposte da cult fantascientifici del calibro di Minority Report (dove le città del futuro sono saturate da pubblicità che si rivolgono direttamente ad ogni individuo “inseguendolo” in ogni ambiente metropolitano). In definitiva, il Thin-ternet è una concezione dell’utilizzo della rete, è un modello, l’Intenet of Things è uno strumento che può essere utilizzato o meno secondo quel modello, il Thin Advertising è a sua volta un modello di comunicazione pubblicitaria, e l’Advertising of Things è un advertising che si serve dell’Internet of Things e che può, o meno rappresentare una visione che sposi il modello del Thin Advertising; dunque, l’Internet of Things può essere utilizzato secondo il modello del Thin-ternet, così come l’Advertising of Things può prendere vita nel-
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
la forma del Thin Advetising (e quindi, in questo modo, opporsi all’approccio push, contrastare l’advertising waste e agire in modo mirato, personalizzato, utile, rilevante e attento alle esigenze e alle preferenze specifiche e contestuali di ognuno, mirando ad una comuncazione esperienziale e ad una connessione autentica con gli utenti nel perseguimento di obiettivi relazionali, ossia tradursi nella forma delineata in questo elaborato teorico).
Fig 3.28 Google Glass per l’Augmented Reality
Fig 3.29 Esempio di Augmented Reality visualizzata tramite Ipad
Come è stato anticipato dalle parole di Goodwin su AdAge, il Thin-ternet rappresenta una nuova era di internet, il punto di arrivo di un processo di cambiamento del modo in cui gli individui si relazionano con la rete, in cui l’Internet of Things non sarà l’unico, possibile, attore. Il concetto di Thin-ternet può coinvolgere anche tecnologie come quelle ascrivibili all’Artificial Intelligence (insieme delle tecnologie pertinenti alla progettazione di sistemi hardware e sistemi di programmi software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, in termini di ragionamento, funzioni ed azioni, emulano quelle dalla mente umana, per mezzo di sofisticati procedimenti algoritmici), come il Cognitive Computing (piattaforme tecnologiche basate sulle discipline dell’Artficial Intelligence e del Signal Processing, che comprendono, tra le altre tecnologie, sistemi di apprendimento, ragionamento, elaborazione del linguaggio, riconoscimento degli oggetti, sistemi di interezione uomo-computer e di generazione di dialoghi e narrazioni) o tecnologie come l’Augmented Reality (tecnologie che cosentono di sovrapporre, alla normale realtà percepita dai nostri sensi, informazioni virtuali), per citarne alcune, sempre ed ovviamente a patto che se ne colgano le potenzialità “nel modo giusto” e che tali innovazioni vengano utilizzate, ciascuna secondo le proprie funzioni e secondo le potenzialità che è in grado di mettere in campo, per favorire l’interazione con quell’ambiente sottile da parte degli utenti che il concetto di Thin-ternet sta a rappresentare. Allo stesso modo, nell’ambito dell’advertising, sebbene l’IoT possa essere considerato il vero e proprio step-change del nuovo paradigma pubblicitario del Thin Advertising, anche tali tecnologie potranno contribuire a darvi forma (a condizione che si abbandonino le vecchie logiche
167
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Fig 3.30 Differenaza tra il modello dell’approccio push (messaggi pubblicitari indifferenziati veicolati secondo modalità broadcast e capaci di generare un certo numero di lead tra i tanti destinatari intercettati) e il modello del Thin Advertising a cui l’Advertising of Things dovrà aderire (messaggi pubblicitari mirati sul singolo utente, modellati sulle sue specificità e sul contesto spaziotemporale che lo rigurda, all’interno di un ecosistema interconnesso)
quantitative dell’advertising), ed essere quindi utilizzate per dare vita a quella pubblicità sottile prodotta dall’incontro dell’advertising con il concetto di Thin-ternet (soprattutto quando l’abbattimento dei costi di simli sistemi ne produrrà una maggiore diffusione commerciale). È bene ribadire che tali tecologie non sono che alcuni esempi delle innovazioni che potranno essere utilizzate nell’ambito del Thin-ternet e del Thin Advertising ed è inoltre necessario specificare che esse rappresentano argomenti di enorme vastità, troppo grandi e complessi per essere esaurientemente approfonditi in questa sede. Ma l’aspetto più importante del Thin Advertising non riguarda tanto il modo in cui, singolarmente, tali innovazioni tecnologiche consentiranno di dare forma al Thin Advertising, ma le inedite e rivoluzionarie dinamiche
168
comunicative che potranno nascere grazie alla loro commistione, e alla loro commistione con l’IoT. Ad esempio, i dati generati da un ecosistema di smart devices IoT inteconnessi a partire dalle interazioni compiute dagli utenti nell’ambito di situazioni e contesti specifici, codificati secondo linguaggi univoci, sistematizzati all’interno di data hub ed aggregati ad altri dati relativi alla storia di profilazione dell’utente (acquisiti tramite compravendita programmatica), potranno essere letti ed interpretati da sistemi di Artificial Intelligence in grado di determinare relazioni tra le informazioni secondo nuove, sempre più raffinate e sofisticate chiavi interpretative, frutto, per l’appunto, della loro “intelligenza”, ma soprattutto della loro capacità di apprendimento (dai sistemi di machine learning con evolute capacità inferienziali
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
all’Affective Computing, che sta acquisendo sempre maggiore capacità di riconoscere e simulare le sensazioni e le emozioni umane). Una volta acquisite le informazioni oggetto di interesse da parte dei brand grazie all’estrazione di valore dai dati prodotta dai sistemi di Artificial Intelligence (estrazione di valore che coivolgerà il collegamento di tali informazioni alle informazioni provenienti “dall’esterno”, come quelle estratte dai Socia Media Analytics o prodotte attraverso sistemi di Mobile Profiling), potrà essere definita la comunicazione con l’utente, in modo personalizzato e contestualizzato, sulla base del quadro che esse determinano. Tale comunicazione, che avverrà per mezzo dei devices interconnessi nella rete IoT, potrà servirsi di sistemi di Cognitive Computing in grado di interloquire con gli individui in tempo reale e rispondere scientemente alle loro esternazioni e richieste specifiche e contestuali, e dell’Augmented Reality che consentirà, ad esempio, di visualizzare, attraverso dispositivi come smartphone o google glasses, pubblicità personalizzate o informazioni sul prodotto, invisibili alle altre persone. È evidente come in un simile contesto tali tecnologie si integrino tre loro definendo un ecosistema nel quale ciascuna di esse, secondo le proprie funzioni e utilizzando i linguaggi che gli sono propri, lavorino di concerto nel dare vita ad una comunicazione basata sull’interazione ed interlocuzione diretta ed “intelligente” con il singolo utente, in grado di modellarsi sulla base delle sue azioni e risposte specifiche e di rivolgersi unicamente a lui in modo personalizzato e contestualizzato senza coinvolgere altri individui. Tale esempio, oltre a rappresentare un sistema perfettamente ascrivibile al concetto di “pubblicità sottile”, mette in gioco non solo un pattern mediale, ma un vero e proprio pattern tecnologico in grado di immergere l’individuo in una comunicazione ad egli esclusivamente rivolta, nella quale vengono coinvolti sensi e canali differenti, che si complementarizzano in un unicum comunicativo esperienziale.
169
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
3.5 Un’evoluzione non priva di rischi e di implicazioni etiche
A conclusione di questo elaborato, dopo aver esplorato e i benefici che l’IoT potrà offrire tanto al mondo dell’advertising quanto ad ogni altro settore, è doveroso guardare ora “al rovescio della medaglia”, approfondendo i rischi e le implicazioni etiche che avranno origine dallo sviluppo e dalla diffusione delle tecnologie IoT. Essi riguardano principalmente: •
• • •
•
•
•
l’utilizzo degli ecosistemi IoT come “nuova rete da saturare” e come strumento di prosecuzione delle logiche quantitative dell’approccio push; la tutela della privacy degli individui; la sicurezza dei dispositivi IoT e la protezione dei dati; la regolamentazione dell’utilizzo dei dati personali da parte dei produttori degli smart devices e la disciplina delle attività di compravendita dei dati; la necessità di sviluppo di un codice etico condiviso per l’utilizzo delle tecnologie IoT e per l’attuazione delle operazioni di marketing ed advertising; la diffidenza da parte delle persone nei confronti di un’interconnessione ancora più pervasiva e costante, e nei confronti dello sviluppo dell’intelligenza attribuita alle “cose”; i rischi legati alla possibilità che la personalizzazione nelle attività di comunicazione incentivi l’individualismo e l’isolamento sociale e che le relazioni uomo-macchina si sviluppino a discapito delle relazioni tra le persone.
Come è stato anticipato nel precedente paragrafo, affinché l’advertising si possa realmente evolvere, non è sufficiente l’impiego di nuove tecnologie, e in particolare l’impiego dell’IoT, ma è fondamentale che quest’ultime vengano utilizzate aderendo al modello del “Thin Advertising”, attuando una comunicazione “sottile”,
170
effettivamente utile, rilevante e valoriale per le singole persone e coerente con il contesto nel quale si esprime. Come è stato detto, infatti, l’IoT, così come le altre tecnologie prese in esame, per quanto rivoluzionarie siano le dinamiche di comunicazione che è in grado di mettere in gioco, non è che uno strumento, un sistema, il cui utilizzo può rivolgersi alle finalità auspicate, così come al loro contrario (al pari di ogni rivoluzione tecnologica che, prima dell’Internet of Things, ha stravolto il mondo della comunicazione, dall’affermazione del web alla diffusione dei social media). Il presupposto fondamentale per l’affermazione e lo sviluppo del modello di Advertising of Things descritto in questa trattazione riguarderà pertanto la capacità di cogliere tali potenzialità in modo creativo, privilegiando logiche qualitative di interazione personalizzata con l’utente anziché logiche quantitative di comunicazione broadcast con un target di riferimento. Dopo l’applicazione delle logiche qualitative e del modello del Thin-ternet alla comunicazione pubblicitaria, un altro presupposto fondamentale alla concretizzazione del modello di Advertising of Things descritto nel precedente paragrafo riguarderà l’adozione di un’etica comportamentale condivisa nell’utilizzo dei dati degli utenti. Questo punto rappresenta la vera e propria “Spada di Damocle” nei confronti dell’affermazione dell’IoT, giacché la diffusione e l’estensione dei suoi ecosistemi sarà inevitabilmente destinata a complicare ulteriormente una situazione già “scottante”. Attualmente, infatti, colossi come Facebook e Google, che di fatto accentrano la maggior parte dei dati personali prodotti a livello globale, si stanno scontrando con numerose accuse di “gestione poco limpida delle informazioni sugli utenti”, in particolar modo per quanto riguarda la vendita a terzi.
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
Contro Google, ad esempio, già a partire dal 2011, sono state avviate in 27 Paesi europei, da parte di sei regolatori per la protezione dei dati tra cui il commissario dell’informazione britannico, operazioni di investigazione sulla gestione dei dati sensibili delle persone, e l’Antitrust UE ha intrapreso azioni legali, con l’accusa di violazione della privacy, che rischiano di costare alla multinazionale una multa da un miliardo di dollari. All’origine di simili problemi, oltre che le speculazioni più o meno verosimili sulle attività di spionaggio programmatico attuato da queste aziende, emerge con assoluta evidenza l’inadeguatezza e l’insufficienza delle attuali norme per la regolamentazione della gestione e dei sistemi di compravendita dei dati degli utenti, sia in ambito del diritto informatico internazionale sia per quanto riguarda le legislazioni a livello nazionale, a fronte di una crescita esponenziale dei volumi dei dati e di uno scenario dell’interconnettività sempre più complesso, articolato e pervasivo. È facile comprendere, pertanto, come l’affermazione e la diffusione dell’Internet of Things in ogni ambiente della nostra vita quotidiana porterà a Big Data esponenzialmente più vasti, e come a fronte della possibilità di acquisire in real time informazioni su ogni singola azione compiuta dagli utenti (sia nel mondo fisico, sia nel mondo virtuale) tracciando dunque una “mappa elettronica”, un “calco digitale” della loro quotidianità, ed “entrando dalla porta principale della loro vita reale”, sarà necessario implementare un efficace sistema normativo in grado di tutelare la privacy degli utenti all’interno di una rete di interconnessione incredibilmente più articolata e complessa, che estenderà ulteriormente l’universo del web attuale. L’insufficienza legislativa nei confronti della tutela della privacy di persone ed aziende e in ambito della regolamentazione di questioni quali la titolarità dei dati, le dinamiche di “compravendita” delle informazioni PII e le modalità di autorizzazione al loro utilizzo da parte degli interessati, è principalmente un problema politico, conseguente ad una generale impreparazione dei governi nei confronti di un mondo tecnologico sempre più dinamico e che sta attraversando una fase di profonda evoluzione. Tali insufficienze rappresentano l’ostacolo principale alla concretizzazione di quell’idea di “internet
of Things” intesa come rete globale di interconnessione “persone-oggetti, persone-persone, oggetti-oggetti”, ed evidenziano pertanto la necessità che i governi creino gruppi di lavoro gestiti da tecnologi in grado di indicare ai parlamentari le giuste azioni da intraprendere. Di conseguenza, queste carenze hanno effetto anche sulle garanzie di sicurezza offerte dai produttori di smart devices ai propri utenti. Secondo i risultati dell’analisi internazionale svolta nel maggio 2016 dalle Autorità per la protezione dei dati personali di 26 Paesi, appartenenti al Global Privacy Enforcement Network (GPEN), su oltre trecento dispositivi elettronici connessi a Internet (come smart watches e wearables, contatori elettronici e termostati di ultima generazione) il 59% degli apparecchi non offre informazioni adeguate su come i dati personali degli interessati sono raccolti, utilizzati e comunicati a terzi, il 68% non fornisce appropriate informazioni sulle modalità di conservazione dei dati; il 72% non spiega agli utenti come cancellare i dati dal dispositivo; il 38% non garantisce semplici modalità di contatto ai clienti che desiderano chiarimenti in merito al rispetto della propria privacy. Questi punti rappresentano i presupposti fondamentali sia rispetto alla possibilità di dare vita ad un nuovo mercato dei dati (che preveda l’utilizzo di data hub o sistemi multipiattaforma di comunicazione tra i brand), sia rispetto ad ogni altro modello di gestione dei dati per finalità commerciali, il cui sviluppo non dipenderà solo dalla regolamentazione delle relazioni tra i diversi attori coinvolti negli ecosistemi IoT, ma soprattutto dalla capacità di sviluppare autentici rapporti di fiducia con i consumatori, agendo con trasparenza ed assumendo un’etica comportamentale volta al rispetto dei diritti degli utenti. In tal senso è possibile affermare che per dare vita all’Advertising of Things secondo il modello presentato in questa tesi, sarà ancora una volta fondamentale aderire a quel “get naked” con cui sulla copertina di Wired del 2007 i brand venivano esortati a considerare la “Transparency” di Diegoli come l’elemento cardine del rapporto con i propri clienti, ed eleggere quella stessa etica di cui parla Iabichino in Invertising come l’imprescindibile
171
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
costante di ogni operazione di comunicazione. Come affermato più volte nel corso di questa trattazione, è importante ribadire che la “linfa vitale” dell’Advertising of Things dovrà essere necessariamente rappresentata da una combinazione dell’etica e della trasparenza con la capacità di essere realmente utili e rilevanti per i consumatori, determinando con essi un’interconnessione fondata sullo scambio di valore; la rilevanza, ancor più dell’etica, infatti, costituisce la più efficace “medicina” contro gli atteggiamenti oppositivi nei confronti della pubblicità. Gli studi di Enrico Finzi e di Paolo Iabichino, le indagini di Accenture, i dati relativi alla decrescita del settore pubblicitario e l’aumento degli ad blocker negli ultimi anni (e in generale tutti i dati e le argomentazioni riportati in questa trattazione relativamente alle criticità del’advertising contemporaneo), non sono altro che una dimostrazione di come gli atteggiamenti oppositivi che si sono via via affermati con la New Economy e il cui culmine è rappresentato dalla pubblicazione di No Logo di Naomi Klein e da movimenti come il culture jamming e AdSuck, non sono mai tramontati del tutto. L’avvento di internet e l’affermazione dei social media hanno sempre sortito sui consumatori un duplice effetto: da una parte hanno raccolto consenso intorno alle nuove potenzialità comunicative che hanno introdotto, soprattutto per quanto riguarda l’interattività e la personalizzazione; dall’altra parte la natura data-centrica della comunicazione che attraverso di essi prende vita ha sempre ingenerato un certo sospetto ed una certa diffidenza nei confronti della possibilità di accesso alle informazioni personali delle persone. Lo stesso discorso sarà valido per l’Internet of Things, in quanto rivoluzione tecnologica che, al pari della nascita del web e dei social media, stravolgerà radicalmente il mondo della comunicazione. La possibilità di ottenere una conoscenza come non mai approfondita della vita quotidiana delle persone, analizzando in tempo reale perfino le singole azioni che compiono ed ottenendo così una profilazione arricchita da informazioni comportamentali con un inedito livello di dettaglio e di completezza, sta già generando un acceso dibattito intorno ai pericoli di violazione della privacy.
172
A tal proposito Giovanni Buttarelli, European Data Protection Supervisor, scrive: «Non vogliamo ridurre lo sviluppo delle nuove tecnologie ma c’è un problema di rispetto della persona, un concetto moderno di rispetto anche della nostra dignità, perché in un mondo in cui siamo costretti ad amministrare tutta la nostra vita attraverso uno smartphone o un tablet lasciamo tracce e siamo molto più monitorati (…). Questo porta ad una raccolta massiva, capillare e senza fine di informazioni che permettono di creare nostri profili dei quali sappiamo poco o niente. Questa sarà sempre più una realtà con l’internet of Things». Secondo un’indagine condotta nel 2015 dall’Icontrol State of the Smart Home, inoltre, il 44% degli intervistati si dichiara preoccupato riguardo alla possibilità che l’Internet of Things possa creare nuove forme di violazione della privacy, preoccupazione alimentata in buona parte anche dalla vulnerabilità all’hacking che allo stato attuale presenta la maggior parte delle tecnologie IoT (si pensi che sempre nel 2015 un team di ricercatori di Microsoft e dell’Università del Michigan ha rilevato numerose falle nei sistemi di sicurezza della piattaforma SmartThings di Samsung, evidenziando la vulnerabilità di tutti gli smart devices prodotti da questo brand). Nell’ambito del marketing e dell’advertising, pertanto, la contrarietà manifestata da una parte dei consumatori (o per lo meno da una parte di quella minoranza di consumatori che conosce l’Internet of Things) nei confronti delle capacità di profilazione consentite dalle tecnologie IoT, percepite come una possibile minaccia per la propria privacy (le quali si aggiungono, inoltre, alle preoccupazioni legate all’evoluzione delle tecnologie di artificial intelligence impiegate per l’interpretazione dei Big Data, sempre più sofisticate e sempre più in grado di emulare le facoltà intellettive umane), potrà essere contrastata, oltre che con la trasparenza e con l’adozione di una rigorosa etica comportamentale (nonché, ovviamente, con l’assunzione dell’autorizzazione da parte degli utenti all’uso dei propri dati a fini commerciali come conditio sine qua non di ogni operazione pubblicitaria), con la rilevanza dei contenuti proposti, ai quali gli utenti possano riconoscere utilità e valore; la capacità di dare vita
CAPITOLO 3 | UNA PROSPETTIVA EVOLUTIVA PER IL FUTURO DELL’ADVERTISING
a contenuti pubblicitari effettivamente rilevanti rappresenterà infatti la condizione essenziale affinché gli utenti si mostrino disposti a rilasciare informazioni personali ai brand consentendo loro l’acquisizione e il trattamento di dati sensibili (anche PII) a fini commerciali (come dimostrato dallo studio condotto da Microsoft Advertising riportato nel secondo capitolo di questa trattazione, nel quale viene rilevato che oltre il 39% degli intervistati si dichiara disposto ad acconsentire all’utilizzo commerciale dei propri dati personali in cambio di contenuti realmente utili e altamente personalizzati), condizione che, se attualmente si mostra già necessaria nell’ambito, ad esempio, del digital advertising e del social media marketing, risulterà ancor più fondamentale con l’affermazione e la diffusione della rete IoT. Sebbene non siano di principale interesse in questa sede, è necessario specificare che le implicazioni etiche inerenti l’IoT non riguardano soltanto le questioni relative al rispetto della privacy delle persone, ma anche innumerevoli altri ambiti che per necessità di sintesi non potranno essere qui approfonditi (si pensi ad esempio ai sistemi di automazione e alla capacità degli oggetti connessi o della rete stessa di prendere decisioni; se una vettura senza conducente ha come unica alternativa all’investire un bambino che sta attraversando la strada quella di puntare verso un marciapiede dove camminano dei pedoni, che scelta farà? E chi sarà responsabile per quella scelta? Il programmatore che ha fisicamente scritto il codice di controllo dell’auto? Il produttore? Oppure nessuno?). L’ultimo importante elemento su cui si vuole porre l’attenzione in questa sede riguarda il modo in cui l’affermazione di una rete IoT realmente pervasiva e radicata capillarmente nelle nostre vite potrà influenzare le dinamiche di relazione sociale tra gli individui. Quando l’Internet of Things uscirà dai micro-ambienti e pervaderà ogni ambiente del mondo fisico mettendo in rete innumerevoli dispositivi, come è stato detto più volte, si moltiplicheranno esponenzialmente le opportunità per i marketer di entrare nella vita delle persone acquisendo informazioni comportamentali attualmente irraggiungibili.
Grazie a questo, aderendo al modello del Thin Advertising, sarà possibile dare vita a forme di comunicazione altamente personalizzate e modellate sulle specificità di ogni singolo consumatore, privilegiando modalità di interazione uniche e peculiari per ciascun individuo. Il rischio principale di un simile scenario riguarda la possibilità che la specificità e l’alta personalizzazione della comunicazione incentivino l’individualismo, a discapito delle relazioni sociali. Guardando al modo in cui l’affermazione del web e dei social media ha influenzato la società, ancora una volta, l’effetto è stato duplice: da una parte la comunicazione in rete ha dato vita a nuove forme di socialità, dall’altra le relazioni virtuali si sono talvolta trasformate in un surrogato delle relazioni reali; inoltre, l’interattività e la personalizzazione impiegate nella comunicazione digitale da una parte hanno stimolato l’affermazione della propria unicità da parte degli individui, dall’altra hanno alimentato nuove forme di individualismo, producendo un sostanziale superamento dei gruppi di appartenenza e di certe forme di comunità reali. Con ogni probabilità, tali dinamiche si ripeteranno, in qualche misura, con la diffusione della rete IoT: la prospettiva di una pubblicità “sottile” che si serve di smart devices che circondano costantemente gli individui per modellare la comunicazione specificatamente su di essi, infatti, pone il rischio che l’interazione costante e pervasiva con gli oggetti possa in qualche modo dare forma a delle “bolle digitali” nelle quali chiuderci, e nuocere quindi alle relazioni interpersonali. Per questo motivo è importante che l’interconnessione con e tra gli oggetti sia sempre funzionale all’interconnessione tra le persone e che la comunicazione che si esprimerà attraverso la rete IoT privilegi nuove forme di socialità sfruttando opportunamente le grandi potenzialità comunicative e relazionali che essa è in grado di offrire.
173
Conclusioni
Al termine di questa trattazione è possibile proporre una sintesi dell’elaborato dal punto di vista metodologico, al fine di illustrare il percorso teorico che ha consentito di giungere alle conclusioni sintetizzate a valle del seguente elenco. A partire dall’analisi dell’evoluzione della pubblicità nella storia, svolta al fine di comprendere il percorso che l’ha condotta allo scenario contemporaneo, e delle modalità attraverso le quali si è espressa nelle diverse fasi della sua “fenomenologia”, sono stati messi in luce i problemi che hanno preso forma con l’avvento del web, generati dall’inadeguatezza delle vecchie logiche quantitative dell’advertising tradizionale offline nei confronti dei nuovi consumatori dell’era di internet: tali problemi riguardano fondamentalmente il persistere delle modalità interruttive e pervasive dell’approccio “push”, che danno vita ad una comunicazione pubblicitaria in larga parte decontestualizzata, invasiva e irrilevante per i destinatari a cui viene rivolta; si è rilevato come tali criticità, nonostante siano state mitigate da importanti innovazioni (nell’ambito, però, del solo advertising online, come il Programmatic Buying, il Native Advertising e le tecniche di Advanced User Profiling), permangano in una certa misura nella contemporaneità; si è considerato come il persistere delle superate logiche dell’approccio push, all’origine di problemi di natura economica per il settore pubblicitario e di comportamenti oppositivi da parte dei consumatori, rischi di aggravarsi considerevolmente nel prossimo futuro, giacché esso sarà stravolto da importanti rivoluzioni tecnologiche in
174
grado di spalancare definitivamente le porte a un nuovo paradigma del mondo della comunicazione, sempre più interconnesso ed interattivo, nel quale i consumatori saranno proiettati; si è proceduto a raccogliere le opinioni circa gli obiettivi che l’advertising dovrà perseguire nel prossimo futuro, espresse da alcuni dei maggiori esperti dei settori della pubblicità, del marketing, della comunicazione e delle nuove tecnologie, e se ne è ricavato il minimo comune denominatore, coincidente con la necessità che l’advertising si evolva sempre di più in una comunicazione data-centrica, personalizzata, contestualizzata rispetto alla situazione spazio temporale contingente per gli individui ai quali si rivolge, interattiva, rilevante e volta al perseguimento di obiettivi profondamente relazionali, volti alla connessione con i consumatori e allo scambio di valore. A partire dalle ricerche fin qui sviluppate è stato dunque possibile ipotizzare che, all’interno dello scenario delle nuove tecnologie, l’Internet of Things, quando diventerà una vera e propria rete pervasiva del mondo fisico e non sarà più relegata a micro-ambienti (qual è principalmente allo stato attuale), potrà rappresentare lo step-change di questa possibile trasformazione della pubblicità. Dopo aver condotto un breve approfondimento sull’IoT relativo alla sua storia, al suo livello di diffusione e ai principali ambiti applicativi che finora l’hanno riguardata, sono state dunque sviluppate le argomentazioni a sostegno dell’ipotesi formulata, a partire dalle quali è stato possibile arrivare alle conclusioni che verranno di seguito sintetizzate.
Da quanto emerso a valle delle analisi e delle ricerche svolte è possibile, dunque, affermare che l’Internet of Things potrà offrire all’advertising potenzialità rivoluzionarie affinché compia un vero salto evolutivo in direzione delle prospettive auspicate dagli esperti del settore presi in esame. Ciò in quanto: •
consentirà di passare dalle indagini di mercato e dall’analisi dei percorsi di navigazione degli utenti sul web alla valutazione di quello che potrebbe essere definito come un “calco digitale” della vita delle persone, una profilazione dettagliata fatta di grandi volumi di dati generati da smart objects interconnessi, arricchita con informazioni comportamentali con un livello di dettaglio prima irraggiungibile;
•
introdurrà nuovi touchpoint con l’utenza e consentirà di sfruttare inediti canali di comunicazione, aprendo nuove prospettive per l’advertising interattivo e per la pubblicità esperienziale;
•
potrà rappresentare un ponte ideale tra l’advertising online e l’advertising offline, ponendosi come catalizzatore per l’osmosi tra virtualità e “mondo delle cose”, nonché tra mondo digitale e mondo analogico, e consentendo di “riqualificare” la pubblicità tradizionale, che sarà così in grado di giocare un ruolo fondamentale all’interno degli ecosistemi IoT.
Inoltre è necessario considerare che lo sviluppo del modello di pubblicità descritto potrà avere luogo solo a seguito di un’evoluta e ferrea regolamentazione delle modalità di acquisizione e vendita dei dati degli utenti, di adeguate ed aggiornate norme per la tutela della privacy e a seguito dell’affermazione di un’etica comportamentale condivisa che, al fianco della rilevanza e del valore offerto, rappresenterà la chiave per ottenere il consenso dei consumatori alla base delle operazioni di marketing e advertising che prenderanno vita in questo nuovo scenario. Una volta specificato ciò, è possibile concludere che in definitiva, per le ragioni prima elencate, se la creatività al servizio della comunicazione dei brand coglierà in modo sostanziale ed applicherà nell’ambito di iniziative pubblicitarie le rivoluzionarie potenzialità dell’Internet of Things, “traslandole” nel mondo dell’advertising secondo proprie chiavi interpretative, sarà finalmente possibile finalizzare la transizione in una nuova era della comunicazione pubblicitaria, nella quale poter superare le criticità contemporanee e rincontrare finalmente le istanze dei nuovi consumatori.
Lo sviluppo e la diffusione pervasiva dell’IoT non saranno però una condizione sufficiente al compimento di tale salto evolutivo, che potrà essere compiuto solo aderendo ad un modello di “pubblicità sottile”, in grado si superare le logiche di massa e di modellarsi sulla base delle specificità di ciascun individuo, una concezione della comunicazione pubblicitaria nella quale, oltre all’Internet of Things, altre innovazioni quali l’Augmented Reality o le diverse forme di Artificial Intelligence, qualora se ne coglieranno le potenzialità nel modo giusto, potranno avere un ruolo determinante.
175
Bibliografia
Adland: A Global History of Advertising Mark Tungate A History of Advertising Stephane Pincas, Marc Loiseau Sociologia della comunicazione Luciano Paccagnella La digitalizzazione dei media Fausto Colombo Digital Advertising Andrew McStay Digital advertising 3.0. Il futuro della pubblicità digitale Paolo Mardegan, Giuseppe Riva, Sofia Scatena Jab, Jab, Jab, Right Hook: How to Tell Your Story in a Noisy Social World Gary Vaynerchuk Audience: Marketing in the Age of Subscribers, Fans & Followers Jeffrey K. Rohrs Invertising - Ovvero, se la pubblicità cambia il suo senso di marcia Paolo Iabichino Hacker, Maker, Teacher, Thief: Advertising’s Next Generation Creative Social Beyond Advertising: Creating Value Through All Customer Touchpoints Yoram (Jerry) Wind, Catharine Findiesen Hays Trendology: Building an Advantage through Data-Driven Real-Time Marketing Chris Kerns Being Digital Nicholas Negroponte
The Second Machine Age: Work, Progress and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies Andrew McAfee Designing the Internet of Things Adrian Mcewen, Hakim Cassimally The Internet of Things Samuel Greengard Digital Revolution Inder Sidhu Everyware: The dawning age of ubiquitous computing Adam Greenfield Trillions: Thriving in the Emerging Information Ecology Joe Ballay, Mickey McManus, Peter Lucas Making Things Talk Tom Igoe Affective Computing Rosalind W. Picard Cognitive Computing and Big Data Analytics Judith Hurwitz, Marcia Kaufman, Adrian Bowles Programmatic Advertising: The Successful Transformation to Automated, Data-Driven Marketing in Real-Time Oliver Busch Personalized Digital Advertising: How Data and Technology Are Transforming How We Market Diaz Nesamoney
Sitografia
http://www.business2community.com/digital-marketing/internet-things-future-advertising-01454524#HpcbR9wvdM8TT8vD.97 https://www.promptcloud.com/blog/iot-future-smart-advertising https://www.theguardian.com/media-network/2015/jul/28/internet-things-advertising-marketing http://www.ibmbigdatahub.com/blog/how-internet-things-transforming-digital-marketing http://www.repubblica.it/speciali/repubblica-delle-idee/edizione2012/2012/10/07/news/benvenuti_nell_era_dell_invertising_dove_il_ cliente_online_ha_sempre_ragione-44041896/ http://www.programmatic-rtb.com/ http://www.ninjamarketing.it/2015/01/20/thin-ternet-sfide-advertising-futuro/ http://adage.com/article/digitalnext/advertising-future-thin-ternet/296303/ http://startup-news.it/native-advertising-la-pubblicita-del-futuro/ https://www.insidemarketing.it/programmatic-native-advertising-prospettive/ https://www.ibm.com/blogs/internet-of-things/iot-personalised-marketing/ http://www.focus.it/natura/che-cos-e-il-cognitive-computing https://www.ibm.com/blogs/cloud-computing/2016/11/dynamic-advertising-cognitive/ https://blog.mistercredit.it/2012/10/08/le-tecnologie-del-futuro-tra-pubblicita-e-privacy/ http://electronics.howstuffworks.com/everyday-tech/future-of-communication1.htm https://www.theguardian.com/media-network/2015/sep/01/future-brands-post-human-world https://www.theguardian.com/media-network/2016/apr/21/adblocking-best-thing-advertising-industry https://www.wired.it/economia/business/2015/10/13/pubblicita-futuro-capira-vuoi-prima/ https://www.forbes.com/sites/roberthof/2013/04/10/heres-the-future-of-advertising-according-to-google/#10666aa8270c
http://www.pubexec.com/post/google-envisions-future-online-ads/ https://www.forbes.com/sites/roberthof/2013/04/10/heres-the-future-of-advertising-according-to-google/#7ff7714c270c http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2011/11/10/paolo-iabichino-su-intervistatocom/2778/ https://www.wired.it/internet/web/2015/03/13/internet-dati-personali-petrolio-economia-digitale/ http://www.biometricadvertising.com/?page_id=71 https://www.bbvaopenmind.com/en/the-internet-of-everything-ioe/ http://internetofthingsagenda.techtarget.com/definition/pervasive-computing-ubiquitous-computing http://www.zerounoweb.it/approfondimenti/ricerca-innovazione/intelligenza-artificiale-e-cognitive-computing-i-nuovi-orizzonti.html http://www.telegraph.co.uk/technology/2016/01/21/affective-computing-how-emotional-machines-are-about-to-take-ove/ http://www.businessinsider.com/internet-of-things-devices-applications-examples-2016-8?IR=T
Il progetto di tesi muove dall’analisi delle criticità dell’advertising contemporaneo e si pone l’obiettivo di individuare, sulla base delle ricerche svolte, una possibile chiave evolutiva per il futuro della comunicazione pubblicitaria, che prospetti il potenziale superamento delle problematiche rilevate. L’ipotesi fondamentale che il progetto di tesi intende dimostrare si fonda sull’idea che, per il compimento di questo passaggio evolutivo, potrà essere decisivo servirsi delle potenzialità delle innovative tecnologie IoT (Internet of Things) attualmente in fase di forte sviluppo e destinate ad una vera e propria esplosione nel prossimo futuro: se la creatività al servizio della comunicazione dei brand, infatti, coglierà in modo sostanziale ed applicherà nell’ambito di iniziative pubblicitarie le rivoluzionarie potenzialità di queste tecnologie, “traslandole” nel mondo dell’advertising secondo proprie chiavi interpretative, sarà finalmente possibile finalizzare la transizione in una nuova era della comunicazione pubblicitaria.