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CONTENTS PAGE - SPRING 2023 EDITION

Marocco

Autore e Fotografo: Vittorio Sciosia.

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Il sole scende pigro sull’orizzonte per lasciare il posto al crepuscolo sulla kasbah des Oudaias e sulla foce del Bou Regreg, il fiume che scorre poco più in basso e che dopo qualche metro si getta nell’Oceano Atlantico. Seduto al Cafè Maure, guardo i gatti che cercano una carezza o si riposano sui cuscini. Questa è casa loro, del resto, come anche dei gabbiani che, appollaiati sul tetto, osservano con attenzione in attesa che cada qualche pezzo di cibo o che qualche avventore distratto lo lasci sul tavolo, incustodito, mentre fa foto al paesaggio. Arrivano coppie e famiglie a godere della vista sulla vicina città gemella, Salè mentre sorseggiano un tè alla menta accompagnato dai classici dolcetti alle mandorle e miele. Un luogo magico, il Cafe Maure, posizionato lungo i bastioni della fortezza. Ci sono arrivato entrando dal varco laterale alla grande porta Bāb al-Wudāyya, quasi sempre chiusa, che è la porta d’accesso monumentale a questa piccola cittadella fortificata. Dalla grande porta in legno parte la centrale via Jamaâ, una dritta stradina pedonale costeggiata da negozietti turistici e belle abitazioni bianche che finisce in una terrazza panoramica affacciata sull’Oceano Atlantico, luogo classico per foto ricordo con la vista del mare alle spalle. Sono in Marocco, a Rabat, la capitale amministrativa del Paese nordafricano, anche se la capitale economica, nonché città più popolosa, è Casablanca. Ma il potere politico è qui a Rabat, sede del Palazzo Reale come degli altri Ministeri e banche centrali. Rabat sembra piccola ma è la seconda città del Paese per popolazione superata solo dalla già citata Casablanca, famosa nel mondo per l’omonimo film con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman.

Rabat, insieme a Marrakech, Fes e Meknes sono le quattro città imperiali del Marocco. Seppur siano conosciute come “imperiali”, in Marocco storicamente non ci sono mai stati “imperatori” ma solo sultani e re. Vengono definite “imperiali” perché scelte in tempi diversi come località di residenza dei sovrani.

Partendo da Rabat, oltre la kasbah des Oudaias, da vedere assolutamente anche di sera quando è illuminata da giochi di luce suggestivi, c’è la medina, abbastanza piccola e tranquilla rispetto a quelle ben più famose ed estese di Marrakech e soprattutto Fès. Altra zona da esplorare, la “città nuova” costruita tra il 1912 e gli anni Trenta sotto il Protettorato francese, e che rimane uno dei più ambiziosi progetti urbani del Ventesimo secolo in Africa con grandi viali alberati. In ultimo, da non mancare, la famosa Torre Hassan. Si tratta di un minareto incompiuto, divenuto simbolo della città e posizionato in cima a una collina con vista su Rabat e Salé. Faceva parte della Moschea Hassan fatta costruire da Yacoub el Mansour durante l’ultimo periodo del suo regno che ne cominciò la costruzione per festeggiare la vittoria su Castiglia e Leon ad Alarcos. Ma i lavori si interruppero nel 1199, con la sua morte. Da Rabat poco meno di due ore di bus sono sufficienti per arrivare a Meknes che, delle quattro città imperiali è la più “giovane”. La medina, ossia il quartiere antico e storico della città, nel 1996 è stata inserita nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Il suo cuore pulsante è senza dubbio Place el-Hedim, ampia piazza centrale della città in cui, dal pomeriggio, si esibiscono tutti i tipi di saltimbanchi, incantatori di serpenti, fotografi di strada e tanta umanità. E’ la versione locale della famosa Place Jamaa el Fna di Marrakech. A due passi dalla piazza, guardando verso est, non possiamo non notare la Bab el-Mansour, la più maestosa delle porte imperiali del Marocco, oltre a essere senza dubbio quella meglio conservata, oltre la quale troviamo l’imponente Mausoleo di Moulay Ismail, il “Re Sole magrebino”. Un rifugio dal caos e dal caldo cittadino tra ricamati cortili maiolicati.

In questo itinerario di riscoperta delle città imperiali, finalmente torno a Fès. Fès è stata talmente importante in passato che tra il 1200 e il 1300 è diventata capitale del Regno ed è qui che c’è quella che è considerata la più antica Università del mondo, la al-Qarawiyyin, fondata nell’859. Di Fès si potrebbe e dovrebbe parlare per ore essendo ancora oggi il cuore culturale e spirituale del Marocco. Basti dire che la sua medina, un intrico di oltre 9.000 stradine fiancheggiate da negozi e bancarelle disseminate di fontane, è la più grande area pedonale del mondo dove non circolano automezzi. Fondata nel IX secolo, la Medina di Fes è composta da due città distinte, Fes el Bali e Fes el Djedid ed è tra le fortificazioni medievali più estese e meglio conservate al mondo, tanto da essere stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Obbligatoria una visita al quartiere delle concerie medievali, un luogo da non perdere. Qui sono utilizzati, ancora oggi, i processi in uso nel XVI secolo, quando Fes si impose come leader nella produzione e trattamento delle pelli animali. La più famosa tra le concerie di Fes, è la Chouara, inconfondibile perché ritratta in mille immagini, con le sue decine di vasche di pietra colme di pigmenti e l’odore pungente degli acidi. Tutt’intorno, a mo’ di quinte, le pelli stese ad asciugare. Ma anche il souk dei tintori, poco lontano, è da non perdere. L’unico consiglio da poter regalare per chi arriva in città, è proprio quello di perdersi nei suoi vicoli e nelle stradine per poter scoprire, anche per caso, i gioielli che la medina nasconde. Non c’è alcun pericolo a girare in questo labirinto, al massimo qualche giovanotto che, forse in maniera a volte insistente, si proporrà come guida. Ma non serve una guida, quando siete stanchi di girare e volete uscire, basta andare sempre dritti per arrivare ad una delle tante porte di accesso alla città vecchia. Qui, all’uscita, ci sono sempre stazionamenti di taxi rossi che per pochi dirham, vi porteranno dappertutto. E infine Marrakech, la città simbolo del Marocco, da cui deriva il nome stesso del Marocco secondo alcune interpretazioni. Rispetto alle altre città imperiali, Marrakech la rossa, si trova molto più a Sud, quasi 600 km da Fès. Il cuore della città è senza dubbio la Place Jamaa el Fna, “l’Assemblea dei morti” che in realtà più viva di così non potrebbe essere. Ogni giorno, in particolare al pomeriggio, è un crocevia dei personaggi più improbabili che si possano incontrare, dai venditori d’acqua in costume tradizionale agli incantatori di serpenti c’è solo l’imbarazzo della scelta. Naturalmente bisogna capire che sono qui per racimolare un po’ di soldi, soprattutto dai turisti ai quali “spillano” ogni tipo di valuta, a volte con modi anche aggressivi, appena si prova a fotografarli. Del resto sono lì per questo. La Jamaa el Fna è anche uno degli ingressi alla bellissima medina di Marrakech che vale la pena di visitare con calma anche se, come a Fès, anche qui ci sarà sempre qualcuno che si offrirà di fare da guida. All’interno della Medina, invece, il segreto è perdersi e dimenticare l’orologio. Marrakech è un concentrato di cose da vedere, dai Jardin Majorelle, residenza di Yves Saint-Laurent alla Medersa Ben Youssef, ex scuola coranica più grande e più bella di tutto il Marocco. All’interno dei dedali della medina, le diverse merci sono divise nei Souk. Per chi cerca frutta secca, mandorle e noci, il Souk Kchacha è il mercato in cui andare. Nel Souk Haddadine, invece, si può scegliere tra migliaia di lanterne in diverse forme, colori e design mentre è famoso, per la sua straordinaria gamma di gioielli, in particolare i disegni berberi tradizionali e replica, il Souk Siyyaghin. Marrakech non finisce solo nella sua medina. Il minareto della Koutoubia è il punto di riferimento della città ed è visibile da qualunque zona della città. A sera vale la pena di tornare alla Jamaa el Fna che nel frattempo è diventata un mercato di cibo all’aperto. Tantissimi bancarelle di cibo che preparano spiedini di carne, verdure, pane e tutto buonissimo. Tutt’intorno alla piazza si aprono molti cafè e ristoranti dai quali, salendo al piano alto, si ha una vista spettacolare sulla piazza di sera con tutto il fumo che sale al cielo. La più classica delle prospettive è dal Café Glacier, dalla cui terrazza al secondo piano la vista è davvero unica. Trovare un tavolo in prima fila per sorseggiare un tè alla menta e godersi lo spettacolo è una impresa quasi impossibile a tutte le ore a meno che non si conosca qualcuno nel locale. Oppure il solito “bakshish”, un po’ di soldi sottobanco ad uno dei camerieri. E allora il posto in prima fila è assicurato.

Gulfood Trade Show 2023

28° Edizione Record

Gulfood Trade Show 2023 - 20-24 Febbraio, World Trade Center - Dubai, Emirati Arabi Uniti.

La più grande fiera alimentare del mondo, mai interrotta durante questi ultimi pandemici anni, è giunta alla sua 28° Edizione. 1500 nuovi espositori, una crescita oltre il 30% con più di 5.000 aziende presenti provenienti da 125 Paesi, oltre 20 mila marchi raprresentati, 100 mila nuovi prodotti e più di 130 mila visitatori. Raggiunta un’espansione record, grazie alla costruzione dei tre nuovi enormi padiglioni “Gulfood Plus” 10 mila mq esterni aggiunti all’esistente mega struttura dedicati all’innovazione dei prodotti.

Due dei quali raggiungili tramite comodi ascensori per accedere al ponte sopra la strada, un terzo è stato aggiunto direttamente alla struttura. Poche parole, tanti fatti, a Dubai United Arab Emirates tutto è possibile, visioni e grandi realizzazioni “no limits”.

Una piattaforma globale per scambi di settore su questioni vitali, nuove vetrine di prodotti, innovazione e opportunità di business. Presenti 125 padiglioni nazionali Made in UAE.

Gulfood 2023, per la prima volta annovera espositori da Armenia, Cambogia e Iraq.

Durante la sua visita del 20 Febbraio a Gulfood, Sua Altezza lo Sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, Vice Presidente, Primo Ministro e Sovrano di Dubai, ha dichiarato: “In linea con la nostra visione di protagonisti leader nel plasmare il futuro dei settori vitali che riguardano la prosperità e la crescita globale, gli Emirati Arabi Uniti continuano a riunire nazioni, mercati e industrie per discutere questioni vitali che hanno un impatto sulla sostenibilità delle economie e delle società. Gli Emirati Arabi Uniti si impegnano a fornire uno standard di vita eccezionale per tutte le persone che vivono nel nostro Paese, nel quale diamo massima priorità alla garanzia della sicurezza alimentare e alla creazione di catene con forti ecosistemi mirati all’approvvigionamento alimentare. Promoviamo con tutti i mezzi la condivisione delle conoscenze per agevolare l’utilizzo di nuove tecnologiche soluzioni mirate all’accesso equo alle risorse alimentari, per la produzione, la distribuzione e il consumo sostenibile del cibo in tutto il mondo”.

Più di 200 espositori italiani solo con Italian Trade Agency Dubai - I.C.E. Istituto Commercio Estero, più altre Altre di padiglioni legati a diverse associazioni regionali italiane.

Durante la prima giornata, aprono ufficialmente i lavori dell’Italian Food Lab il Ministro dell’Agricoltura S.E. Francesco Lollobrigida, S.E. Lorenzo Fanara Ambasciata d’Italia ad Abu Dhabi / Embassy of Italy in Abu Dhabi, S.E Giuseppe Finocchiaro Consolato Generale d’Italia Dubai, Amedeo Scarpa Italian Trade Agency Dubai - I.C.E.

Istituto Commercio Estero - The Extraordinary Italian Taste - Dopo l’inaugurazione la Delegazione Italiana proseguirà con la visita agli stand degli espositori italiani. I lavori dell’Italian Food Lab sono stati e coordinati dal Culinary Director Chef Walter Potenza coadiuvato dallo Chef Samuele Crestale.

Molte “Masterclass” e “Live Show Cooking”, performate dai Michelin Guide Starred Chef e “Dubai Best Chef” dei migliori chef dei ristoranti italiani degli Emirati allo scopo di introdurre, presentare e promuovere i prodotti degli espositori italiani presenti alla manifestazione.

S.E. Mariam Al Mheiri, Ministro dei cambiamenti climatici e dell’ambiente, apre la conferenza “Gulfood Ispire” rimarcando il ruolo cruciale degli United Arab Emirates Emirati Arabi nell’affrontare le sfide alimentari globali, in linea con i temi centrali di quest’anno. “I sistemi alimentari sono al secondo posto dopo il settore energetico come principali fonti di emissioni che stanno causando il cambiamento climatico. I nostri attuali sistemi alimentari sono inefficienti, non sostenibili e fortemente interconnessi con il cambiamento climatico. Costituiscono un terzo del problema, ma allo stesso tempo possono essere anche la soluzione contro cambiamento climatico. Negli Emirati Arabi Uniti abbiamo sviluppato un piano per trasformare i nostri sistemi produttivi alimentari. In qualità di ospiti della COP28 (Conférence des Nations Unies COP23), gli Emirati Arabi Uniti intendono portare i sistemi dell’agricoltura e i sistemi alimentari fuori dall’ombra, per due terzi dando maggiore visibilità all’innovazione climatica tanto necessaria in questo spazio con quelli più sostenibili”. Gulfood - Sustainable UAE Eating - Climat change - Food & Beverages.

Nel nuovo padiglione Gulfood Plus, si svolgono i lavori di Gulfood Top Table - Dubai World Cuisine - YouthX Academy Challenge - Gulfood Chef Talks - ICCA Dubai. Masterclass, Show Cooking - interventi e disquisizioni gastronomiche dei protagonisti della Cucina Internazionale-Globale a Dubai United Arab Emirates. Michelin Guide Starred Chef ***Heinz Beck – *Gregoire Berger - *Saverio Sbararagli - *Giovanni Papi.

Gulfood da anni è riconosciuta tra le più importanti fiere di uno dei settori in più rapida crescita del pianeta con un mercato valutato oltre i 5 trilioni di dollari a livello globale, le opportunità di business sono enormi e la posta in gioco è molto alta. “Per crescere, bisogna rimanere agili, acquistare i prodotti più recenti dai fornitori più competitivi, conoscere i prezzi del settore in tempo reale e riconoscere le future tendenze”. Ecco perché Gulfood è la porta di accesso alle nuove attività alimentari dei mercati consolidati, emergenti in evoluzione”. Il motto degli organizzatori.

Gulfood, il più vivace spettacolo annuale del cibo e dell’ospitalità al mondo, chiave d’accesso per il Medio Oriente, Asia e Africa. Coinvolge tutti i settori legati al cibo: Food & Drink - Beverage Equipment - Restaurant & Cafe - Food Service & Hospitality – Multi Media online food delivery e gli sistemi innovativi operanti online. Rinomato per la sua efficiente e perfetta organizzazione (largamente imostrata non mancando nessuna edizione durante la pandemia) spazi sontuosi e le opportunità commerciali leader a livello mondiale.

Gulfood 2023 mira a fornire una piattaforma per scambi di settore su questioni vitali, nuove vetrine di prodotti e innovazione e opportunità di business. 125 i padiglioni nazionali, Gulfood 2023 presenta partecipanti per la prima volta, tra cui Armenia, Cambogia e Iraq. Gulfood 2023 si concentrato in particolare sul ruolo dell’industria alimentare per la creazione di sistemi alimentari più sani e resilienti, contribuendo a invertire l’inflazione globale. Gli Emirati Arabi Uniti ospiteranno “COP28” alla fine del 2023. Evento che riunisce l’industria globale del F&B per discutere il processo di accelerazione per la produzione e il consumo alimentare più sostenibili.

Gulfood Trade Show 29° Edizione si svolgerà dal 9-23 Febbraio 2024.

Taste of Dubai 2023

Il più popolare evento gastronomico degli Emirati Arabi Uniti

Taste of Dubai - Media City Amphitheatre, 3-5 Febbraio 2023.

Maurizio Pelli Editore

Fotografia: Taste of Dubai

Il Festival enogastronomico più popolare di Dubai United Arab Emirates. Ristoranti Michelin Guide Starred e non, tra migliori della ristorazione “Gourmet e Fine Dining” di Dubai. Chef di fama mondiale, tra i quali ***Massimo Bottura - “Torno Subito” Dubai, Chef *Akira Back - Akira Back Dubai” Shang Palace Restaurant at The Shangri-La Hotel Dubai - Carnival by Trèsind, nuovi talenti e chef emergenti più in voga negli Emirati. Tutti i ristoranti partecipanti presenteranno un menu di 3-5 piatti, serviti in porzioni da assaggio, che permetteranno ai visitatori del di creare un loro menu degustazione personalizzato mirato alla scelta dei ristoranti prescelti. “Masterclass e Workshop” non stop gratuiti per il pubblico, performati dagli chef della Philips Cook School - Waterfront Market BBQ School - Kibsons Cooking Challenge - ICCA Dubai.

Piu di 15 mila visitatori appassionati “Food Adicted” presenti durante questi 3 giorni di intrattenimento enogastronomico. Quest’anno partecipano Chef John Torode, nota celebrità del panorama culinario del Regno Unito, famoso per la sua passione per l’industria, recentemente Recentemente insignito MBE (Member of the Order of the British Empire) per i suoi servizi a Food, Broadcast e Charity

Lo Chef francese Daniel Boulud, originario di Lione, oggi una celebrità negli USA tra i più autorevoli chef americani. molto atteso non solo a questo evento, anche nella sua Brasserie Boulud, a Dubai per sue estravaganti-coreografiche creazioni.

*Akira Back, famoso “globalizzatore internazionale del gusto”, il miglior ristorante giapponese-coreano-asiatico di Palm Jumeirah dell’Hotel W Dubai.

Un’occasione unica di testare i “piatti d’autore” a prezzi popolari della migliore ristorazione in città; Carnival di Tresind - Rhodes W1 - Bushra di Buddha Bar – Indiya - 11 Woodfire - Shang Palace - Sucre e Lowe - Reif, di Reif Othman - Fi’lia - The Nine e Goldchix by Goldfish.

Per chi non si ciba di carne, durante questa edizione, Taste of Dubai offre e presenta le specialità di Thryve, la prima impresa della regione che propone unicamente prodotti vegetali.

Per attrarre un grande numero di appassionati visitatori, Taste of Dubai non offre solo del buon cibo, ma anche intrattenimento dal vivo di “Band” locali, che performano un vasto repertorio di musica per tutti i gusti; rilassanti esibizioni acustiche e vivaci “Dj Set” nei diversi settori dell’area del festival che permettono ai visitatori di ballare dall’apertura alle 12:00 alla chiusura dell’evento delle 24:00.

Disponibili un “V.I.P Lounge” e “Children Space” zona dedicata all’intrattenimento dei bambini, dove i genitori possono lasciare i loro piccoli per sessioni a pagamento di 2 ore, in totale sicurezza e scatenarsi senza preoccupazioni, in balli da mezzogiorno a mezzanotte.

Doveste decidere di partecipare il prossimo anno, andateci in taxi. Taste of Dubai ha già iniziato i preparativi per la prossima edizione 2024.

Ferrari Racing Days

Yas Marina F1 Grand Prix Circuit - Abu Dhabi.

Maurizio Pelli Editore

Fotografia: Ferrari Racing Days

Un “Parterre” di Ferrari a perdita d’occhio, schierate davanti al Ferrari Sales Dubai - Al Tayer Motors. A Dubai United Arab Emirates gli eventi si organizzano esclusivamente in grande stile. Un breakfast buffet internazionale, letteralmente per tutti i gusti, riccamente allestito al secondo piano della Concessionaria Ferrari, le hostess accolgono gli ospiti ai tavoli da cocktail tra le Ferrari in vendita esposte nell’autosalone in attesa del “Briefing” che coordinare la partenza in direzione Yas Marina Circuit - Yas Island, Abu Dhabi.

Una Ferrari della Dubai Police fa da “apripista” per immettete le più di 200 ” Ferrari Middle East Fans” sulla Sheikh Zayed Road Hight Way Abu Dhabi-Dubai fino an confine territoriale con l’emirato di Abu Dhabi, dove passerà l’incarico alla Abu Dhabi Police che scorterà le Ferrari sino al Yas Marina Circuit, Yas Island. Inserito nel convoglio, seguo e mi accollo a una mitica Ferrari F40 sino all’arrivo al Ferrari World Abu Dhabi, destinazione della Tradizionale Parata di tutte Ferrari partecipanti.

In attesa dell’inizio delle gare si sale alla Ferrari Hospitality, con una vista spettacolare sul circuito, dove un “lunch buffet” in classico stile “Emarati” e internazionale preparato e allestito dal W Hotel Abu Dhabi Yas Island. Oltre al buffet, un corner sfornava un’autentica mini Pizza Napoletana e mini Burger al BBQ, preparati al momento “non stop” per tutta la durata dell’evento.

Interviste a piloti e personaggi del mondo delle competizioni automobilistiche e intrattenimento musicale dedicati gli ospiti durante il “silenzio dei motori” tra una gara e l’altra.

Il programma della prima giornata:

10:00 - Cancelli aperti

10:00 - 10:25 -Pratica F1 Clienti

10:40 - 11:10 -Ferrari Challenge Qualifiche 1

11:25 - 12:10 - XX programma pratica

12:25 - 13:25 - Pratica della sfida del club

14:30 - 16-00 - Pratica Club Competizioni GT

16:15 - 17:15 - Pratica della sfida del club

Alle 17:30 tra una competizione e l’altra entrano in pista tre diverse Ferrari F1 - Pratica F1 Clienti che all’improvviso rombando della loro copiosa scuderia di cavalli coprono ogni altro suono o rumore. Impressionante la differenza di prestazioni con qualsiasi altra auto da corsa delle diverse categorie in competizione.

18:30 - Sfida Ferrari Gara 1

19:30 - 20.15 - Pratica del programma XX

20:30 - 22.30 - Pratica Club Competizioni GT

Mentre le competizioni “Ferrari Racing Days” Ferrari Middle East Fans proseguono sul circuito illuminato in notturna giunge l’ora di cambiare abito, in previsione del “Gala Dinner Party”.

Giusto il tempo di scattare qualche foto all’esclusiva Ferrari Monza SP2, prima di raggiungere il futuristico W Hotels Worldwide di Ferrari World Abu Dhabi e salire all’architettonicamente incredibile “Roof Garden”

Una Cena di Gala non convenzionale - statica, dove gli ospiti non avendo un posto fisso a tavola interagiscono tra loro, un “Trend” divenuto di moda durante gli eventi più esclusivi di questi ultimi mesi negli Emirati.

Tavoli da cocktail e confortevoli divani-poltrone a modi “Salotto”, decine di portate in mini porzione servite ininterrottamente a rotazione da un numeroso “team” di inservienti già prima dell’apertura di uno dei migliori buffet di decisa impronta italiana (non a caso lo è anche la Ferrari) di mia memoria, perfettamente organizzato, coordinato e allestito dal ristorante italiano Amici del W Hotel rrari è pronta a riportare i Ferrari Racing Days come primo evento dell’anno ad Abu Dhabi dal 2 al 5 Ringrazio Mr. Yulian Markov Todorov per il gradito invito e per gli scatti fotografici pervenuti alla “pecora nera” del convoglio a bordo di una Porsche “Blu”.

Ottimo l’intrattenimento musicale a cura delle affascinate duo femminile dal repertorio classico, moderno e arabic fusion, perfetto sottofondo musicale strumentale per questo esclusivo evento V.I.P. Dal rombo dei motori alla musica dei violini, così, si concludono le due motoristiche giornate del Ferrari Middle East Fans - Passione Rossa - Al Tayer Motors.

Evento perfettamente organizzato in ogni dettaglio, complimenti alla Al Tayer Group per questi due giorni di coinvolgente passione sportiva automobilistica targata Ferrari - Passione Rossa.

Sidra de Hielo, Valverán alcanza el reconocimiento internacional

Articulo: José Luis Del Campo Villares Sumiller

Fotografias: El productor Llagares Valverán en el articulo y World Cider Awards

A los que sois amantes del vino, sin duda que os suenan los afamados ‘Icewines’, los denominados ‘Vinos de hielo’ tan reconocidos en países como Alemania, Canadá, EE.UU. o Austria. Tanto es así que nos estamos encontrando últimamente vinos elaborados de forma similar en muchos países.

Pues hoy os presentamos la ‘Sidra de Hielo’, donde se traslada la elaboración de estos reconocidos vinos al mundo de la sidra.

Y, como no podía ser de otra forma, viajamos a Asturias, punto referente de nuestra geografía de elaboración de sidras, para conocer Llagares Valverán.

En la localidad de Sariego nos encontramos este proyecto que se fundó en el año 1998. Tras diez años de investigación, fue en 2007 cuando vio la luz esta sidra de hielo, siendo la primera y más exclusiva de la península ibérica. Estamos ante una sidra cuya elaboración se inspira en la de las ‘ice ciders’ canadienses.

Es en este punto donde debemos de recalcar que, aunque en España la producción de sidra viene de generaciones, siempre se ha asociado el consumo de este tipo de bebida a épocas navideñas (las de elaboración comercial) como alternativas a champagnes o bien al consumo tradicional con el conocido “escanciado” que nos encontramos si viajamos a Asturias o si nos acercamos a muchas sidrerías que están repartidas por toda nuestra geografía.

Y esto si que, hasta no hace mucho, era un elemento diferente al consumo de sidras en otros países, donde se consumen como cualquier otro tipo de bebida, vinos o cervezas, lo que hace que se haya convertido en una bebida de gran demanda, con numerosos elaboradores y diferentes estilos. De hecho, al igual que existe un ‘mundo propio’ dentro del mundo de la cerveza, en muchos países también se puede hablar de un mundo dentro de la sidra.

Valverán, un proyecto diferente

Sin duda, dentro de nuestra gastronomía, la tradición de la sidra era algo presente desde hace mucho tiempo, pero se solía circunscribir a la geografía asturiana. Por eso, en el año 2007 parecía algo novedoso, rompedor, transgresor y de éxito incierto el elaborar una ‘Sidra de hielo’.

Y el tiempo no solo ha demostrado que era un acierto, sino que esta sidra ha alcanzado el reconocimiento internacional en muchos certámenes, siendo la pionera dentro de las elaboraciones españolas en este perfil de bebidas.

Este éxito fue fruto de la idea visionaria de José Masaveu, director general de Bodegas Masaveu, siendo su proyecto más personal de este miembro de la familia, tras casi diez años de investigación y ensayos.

“Valverán 20 Manzanas” es el nombre que tiene esta bebida, encerrando su nombre una enorme curiosidad ya que, 20 son las manzanas que son necesarias para elaborar cada botella de 37,5 cl., ya que contiene el mosto concentrado de mínimo 20 de estas piezas de fruta.

¿Cómo se elabora?

Para la elaboración de esta ‘Sidra de Hielo’ hay que realizar un complejo proceso de congelación a 20 grados bajo cero, una posterior fermentación durante 10 meses y una crianza sobre lías finas de 8 meses.

El periodo completo suele rondar en torno a dos años desde que se recogen las manzanas hasta que esa botella llega al consumidor final manteniendo las cualidades frutales y sensoriales iniciales.

Origen de la materia prima

Hoy en día Llagares Valverán cuenta con 40 hectáreas inscritas en ecológico, que se ubican dentro de la Denominación de Origen Protegida Sidra de Asturias. Concretamente las situamos en la Finca El Rebollar en Sariego (Asturias), donde nos podemos encontrar con la friolera de 20.000 manzanos de 11 variedades diferentes (Blanquina, Xuanina, Regona, Raxao, Fuentes, Collaos, De la Riega, Verdialona, Perico, Durona de Tresali y San Roqueña) que permiten elaborar una edición limitada a 20.000 botellas de esta distinguida sidra de hielo repleta de matices.

Esta sidra de hielo se puede definir como una bebida fresca y sorprendente que armoniza a la perfección con foie, quesos y postres poco dulces.

Y es que es una bebida que no solo se puede consumir como postre, entendiendo esto como una bebida para probar después de la comida. Al contrario, presenta un perfil para disfrutar de ella durante toda una comida o cena, lo mismo que ocurre ahora con muchos vinos espumosos que se elaboran con un perfil gastronómico. Comenzar nuestro ágape con esta sidra, continuar los platos con ella e incluso acompañar un postre no demasiado dulce, es posible.

Reconocimientos internacionales y nacionales

Siendo como es una sidra referente dentro de España, los últimos reconocimientos recibidos demuestran que ha alcanzado un reconocimiento internacional de prestigio y calidad.

Gran Oro en el Primer Concurso Internacional de Sidras CINVE o la Medalla Master en The Global Cider Masters 2022 (máxima distinción del concurso organizado por la prestigiosa publicación anglosajona The Drink Business), son dos de los premios que ha obtenido esta ‘sidra de hielo’ en el año pasado y que la han posicionado como referente a nivel mundial dentro de las denominadas ‘Sidras de Hielo’.

Y es que, además de los dos galardones anteriores, Valverán 20 Manzanas ha sido galardonada en diferentes concursos nacionales e internacionales de gran prestigio como son World Cider Awards, Gilbert & Gaillard o Great Lakes International Cider & Perry Competition, donde compitió ‘cara a cara’ con las afamadas “ice ciders” canadienses.

Viajamos al mundo de la Godello, varietal blanca por excelencia para muchos de este país

Articulo: José Luis Del Campo Villares Sumiller y Frank Deveraux Somm

Fotografias: sobrelias.com

Habitualmente solemos hablar de viajes a los vinos de una determinada zona geográfica. También solemos hablar de nuestras visitas a una bodega concreta, contando su historia, su estilo de elaborar grandes vinos. Pero hoy realizamos un viaje diferente. Hoy nos trasladamos en nuestra máquina del tiempo a dar un paseo por una varietal, una uva concreta. Os presentamos el viaje al mundo de la Godello, para muchos, la varietal blanca por excelencia en España, aunque no sea la que mayor producción tiene.

Historia de la Godello

Os prometemos como mínimo un viaje ciertamente curioso, donde descubriremos tanto los orígenes ancestrales, históricos y geográficos de la que sin duda, a día de hoy, es la variedad blanca de moda en España.

Para empezar a presentaros la Godello o Godelo como la conocemos por estos lares peninsulares damos un salto temporal, nada más y nada menos que de 8 siglos que nos lleva al siglo XIII.

Nos encontramos fuera de la península, pero no muy lejos, en nuestro vecino Portugal, para rastrear la historia de nuestra protagonista de hoy. Y es que la Godello se cree que procede, y por eso hemos viajado hasta allí, de una zona histórica de Portugal. Una zona histórica llamada Trás-os-Montes e Alto Douro, situada en el noreste del país. Aunque su demarcación territorial ha variado a lo largo de la historia, equivale a los actuales distritos de Vila Real y Braganza, y parte de los de Viseu y Guarda.

Siendo su capital actual la citada Braganza, toda esa zona la vienen a llamar el Montesino, justo... justito en el cuadrante nororiental de nuestro vecino país. Toda esa zona está practicante rozando con nuestro país. Es limítrofe geográficamente con Galicia con el Bierzo y con Zamora.

Según los estudios y los archivos históricos bajo guarda y custodia actualmente en el antiguo convento de San Francisco datados de mediados del XIII, ya aparece nuestra protagonista donde se la nombra y se la conoce como Godelo no Godello. En esta zona se empezó a hablar de esta variedad allá por 1572, un tal Fernández en sus escritos es el primero que menciona a esta variedad.

Sin embargo, se sabe que a la Godelo, a lo largo de los sucesivos siglos en algunas zonas Orientales de nuestro vecino país se la confundía muchas veces con la Verdello (Verdejo).

Godello en España

Los viñedos más antiguos que existen de esta variedad GODELLO en nuestro país están en Zamora, concretamente en Villamor de los Escuderos. Se ubican en una viña que data del año 1800 y que todavía a día de hoy produce vino. Es pie franco (evidentemente), prefiloxérica.

Sin embargo, allí la Godello tal como la conocemos procede de un viñedo que lo planto en su día José Ramón Galloso en la aldea de Portela. Os sonará de la misma manera, si os digo que dicho visionario personaje, era el bisabuelo de los que ahora poseen administran y la gerencia de la Bodega Valdesil en la provincia de Ourense, comarca de Valdeorras, en concreto Borja y Raúl, herederos de la familia Prado-Galloso.

En una finca originaria que se llamó Pedrouzos Villamarziel, por aquel entonces como os digo se plantó Godello. Como podéis imaginar, en aquella época todo el mundo en la zona lo trato de loco. Tengamos en cuenta que era 1885, Galicia acababa de pasar el Mildiu, el Oidio y posteriormente la Filoxera.

Y este señor, este quijote visionario, empezó a plantar Godello, nada más y nada menos, cuando la tendencia era plantar Jaén (Jaén es la Palomino que conocemos todos), Garnacha Tintorera o variedades internacionales porque eran más productivas.

La Godello en nuestros días

Es relativamente reciente, en base a análisis genéticos, que se haya logrado discernir gracias (y es justo citarla) a la MW Jancis Robinson, que la Godello provenir proviene del Sauvignin (variedad francesa) y de la Castellana Blanca.

Ya en 1970, se empieza a intensificar la búsqueda después de tantos años la Godello en y tierras gallegas. Significativamente y como no podía ser de otro modo y forma, el único lugar donde tras análisis genéticos se encontró la Godello en todo su esplendor fue en esta finca citada Valdelsil.

Es cuando se empieza a plantar la Godello en el Bierzo y en Valdeorras ya actualmente implantada como la conocemos hoy en día. Estos dos feudos Bierzo y Valdeorras son a día de hoy los dos por excelencia donde sin lugar a dudas reina esta variedad (no únicos, ya que nos encontramos la Godello en zonas de Monterrei, Ribeira Sacra, Ribeiro e, incluso, en Rías Baixas).

Si viajamos a la zona descubriremos que el Bierzo está en el corazón del río Sil. Y si seguimos la ribera del sil a través de los cañones, aparecemos irremediablemente pasando por Valdeorras en ese paraíso de la naturaleza llamado Ribera Sacra (sur de Lugo y norte de la provincia de Ourense).

Podemos decir que la Godello se expandió a lo largo y ancho de las orillas del río Sil, procedente de Portugal entrando por Zamora y de principio a fin.

Los vinos Godello

Metidos en materia sobre las características de esta variedad diremos que es una uva que destaca especialmente por su acidez media-alta. Quizás no tenga ese punto de acidez tan alta como la Albariño pero prácticamente están a la par. Podríamos decir que aromáticamente es una variedad más austera en intensidad, pero que ofrece una paleta aromática más amplia, desde toques cítricos, fruta blanca (manzanas, peras), incluso plátano, con su toque de frutosidad tropical sin llegar a la piña.

Al ser de amplio espectro aromático le va como anillo al dedo la crianza sobre lías y, por supuesto, el paso y la crianza en barrica, confiriéndole así siempre esos típicos toques amielados de los que tanto disfrutamos. Quizás la descripción más acertada sobre ella es que tiene la frutalidad del mejor vino blanco de Burdeos a la par que la mineralidad y elegancia se un vino de Chablis.

Esa mezcla de matices la hacen ser potente sabrosa y sobre todo le confiere una altísima capacidad de guarda.

Y como ejemplos de estos vinos, tenemos que hablar de los que elabora Rafael Palacios en Valdeorras, en la zona del valle del río Bibei donde, a modo de ejemplo, elabora el vino ‘Sorte O Soro 2020’, primer vino gallego en recibir los 100 puntos de la prestigiosa revista ‘Wine Advocate’ de Robert Parker.

Recientemente, hemos podido disfrutar también de la primera añada del vino ‘Finca A Devesa 2021’, un Godello que elabora Adega O Cepado también en Valdeorras, donde se puede apreciar de forma excelente lo bien que le sienta el paso por barrica a los vinos elaborados con esta uva.

Otros estupendos vinos ejemplos de esta varietal y en diferentes zonas de elaboración, son los que nos acerca el grupo bodeguero Familia Méndez-Rojo, que nos trae Godellos elaborados en Valdeorras como son sus ‘Mil Ríos Godello’ y ‘Mil Ríos Godello Barrica’ en su proyecto Adega Terriña; otro Godello elaborado en Ribeira Sacra como es el ‘Vía Romana do Camiño Godello’ de su proyecto Vía Romana Adegas y Viñedos; y su ‘Lagar de Deuses Godello’ que elabora en el proyecto del mismo nombre en Monterrei. Todos ellos perfectos reflejos de la tipicidad de esta uva, así como de los terroirs típicos de cada una de estas zonas.

Si nos preguntáis cuáles son las diferencias que podemos encontrar en la cata de los diferentes vinos Godellos según la zona geográfica de procedencia nosotros creemos que los que se elaboran en la comarca de Valdeorras presentan unos toques tropicales que no presentan los de otras zonas cuando tienen una crianza en la que pasan un tiempo en barricas de roble.

Los de Monterrei, presentan toques más profundos, fruto de que las condiciones climáticas de esta zona de Galicia son más próximos al clima continental que al Atlántico.

Los de Ribeira Sacra tienen toques minerales muy marcados, además de que proceden de la denominada viticultura heroica (o de alta montaña), procedentes de los extraordinarios viñedos en bancales que nos encontramos en esta zona, en los reconocidos internacionalmente como los Cañones del Sil.

Los del Bierzo se diferencian entre ellos por la zona de elaboración dentro de esta misma comarca ya que la variedad de suelos y composiciones, así como orientaciones de las parcelas, hace que haya vinos Godellos realmente diferentes que proceden de uvas realmente próximas en términos de distancia. Si que se caracterizan todos por una muy buena acidez, mucha fruta y vivos en el paso por el paladar.

Sin lugar a dudas, quizás estemos ante la uva la variedad blanca de moda de este país.

Chianti, afamado y a la vez desconocido. Viaje a través de la su historia y sus orígenes ancestrales

Articulo de: Frank Deveraux Somm

Fotografías de: Bodegas de Chianti - Toscana

Dentro de Italia nos encontramos con unas 526 indicaciones geográficas y, dentro de ellas, conocida a nivel mundial, destaca sin lugar a dudas nuestro protagonista de hoy, el CHIANTI. Chianti, afamado y a la vez desconocido. Os propongo hoy un viaje a través de la historia y orígenes ancestrales de estos supervinos. Vinos exportados a multitud de países a largo y ancho de todo el mundo, por no decir a prácticamente todos.

Sin embargo, pese a ser una Denominación tan afamada, no deja de ser para muchos una gran desconocida fuera de los círculos más técnicos y profesionales. Y esto se debe en gran parte, a que la legislación Italiana es muy confusa y da pie a multitud de digamos ciertas confusiones.

Pero para esto está hoy servidor aquí, con mi ya ‘poco a poco’ conocida máquina del tiempo.

Os propongo un paseo por la historia del Chianti, lo más sencillo y ameno posible, para que todos absolutamente todos terminemos por conocer lo que es y lo que no es un auténtico CHIANTI.

Historia del Chianti

Para empezar que no es poco, el consumidor medio, ya no digo el neófito, se puede encontrar con multitud de indicaciones con este vino en su nombre:

• CHIANTI Clásico

• CHIANTI Reserva

• CHIANTI Superiore

• CHIANTI Rufina

• Los Super Toscanos

• La Colli Florentina

Vamos, que son muchos términos y no es fácil aclararse, siendo muy probable agobiarse y (a no ser que tengamos a nuestro servicio un buen profesional) terminar por no saber, exactamente lo que estamos bebiendo o catando.

Orígenes

Teniendo en cuenta que Italia como estado es relativamente joven, existe desde hace 160 años, si que es verdad que es un viejo no, viejísimo país, con una tradición vitivinícola milenaria en la que ya nos podemos encontrar con los orígenes de estos vinos.

Los ETRUSCOS, un pueblo anterior y que oscureció durante siglos a los mismísimos Romanos. Según estudios realizados y contrastados, ya producían vino hace unos 3.000 años.

Los Romanos, como todos sabemos, se apropiaron entre comillas de la ‘Cultura Elena’ de la Cultura Griega y expandieron su imperio y conocimientos por todo el Mediterráneo y, prácticamente, por casi toda Europa. Eran grandes consumidores de vino, hasta el puntode que una de las leyes principales y más curiosas que poseían era ni más ni menos larelacionada con el vino, aquella que decía que:

‘En todo territorio conquistado, y antes de proceder al asentamiento, como motivo referencial (al igual que hizo Noe nada más bajaron las aguas y tocó tierra) tiene que plantar siempre una viña’.

Vamos, lo que conocemos actualmente como una ‘vitisvinifera’. Pero con la peculiaridad, y eso lo dejaba bien claro dicha esta Antiga Ley Romana, que nunca se plantaría una viña, en territorio, campo, tierra, valle o montaña, donde pudiera plantarse cualquier otro cultivo biológico.

O sea, ya conocían y de qué manera, lo que la vid prefería, una necesidad de suelos pobres en materia orgánica y a la par altos en sustancias minerales.

Al caer el Imperio Romano, la actual Italia paso a convertirse en una suerte de multitud de ciudades estado. Pero esto, y no me quiero adentrar más en ello, daría para uno de mis pasajes de la historia más amplio y extenso. Pero hoy hablamos de los CHIANTI, así que cogemos la máquina del tiempo y nos vamos a desplazar a 1816.

Una vez llegamos, observaremos con curiosidad innata como el gran Duque Consimos III de Medici fue el digamos creador y el desarrollador de la primera zona vitivinícola llamada por denominación CHIANTI.

La verdad es que el Gran Duque por ‘ser agraciado’ era ‘el señorito’, aparte de cuidarse muy mucho la apariencia. Alto bien parecido y poderoso, llevaba a las doncellas literalmente de calle. Podríamos decir que fue de los primeros ‘metrosexuales’ de la historia.

Pero además era un gran aficionado y bebedor de aquel gran y sublime vino que se preciara y pasará por su mesa. Por ello que era francamente sencillo, verlo beber y deleitarse en las balconadas de su palacio Pitti, con aquel vino que el propiamente fundó y potenció y que a día de hoy se le denomina CHIANTI Clásico.

Volvemos a coger la máquina del tiempo y damos un salto que nos va a llevar a la unificación de las ciudades estado en un solo país (a excepción, de solo un estado, el llamado a día de hoy San Marino), lo que hoy conocemos como Italia. Ya se empezaba a hablar de DOC, DOCG e IGP (Denominaciones de Origen Controlada, Denominaciones de Origen Controlada y Garantizada, Indicaciones de Garantía Protegida).

Volviendo al principio del artículo, el vino italiano es un puzle realmente complicado, complejo y difícil de descifrar en ocasiones. Pero la región más famosa, la que más exporta y la que es más conocida es la región de CHIANTI.

Se encuadra entre las ciudades de Florencia, Aretzo, Siena y Pisa. Por cierto, el aeropuerto más cercano es el de Pisa si queréis visitar la Toscana Italiana.

Todas estas ciudades fueron las que originariamente encuadró el Gran Duque al crear como hemos dicho el CHIANTI. Todo el vino embotellado dentro de este cuadrante se le conoce y etiqueta como CHIANTI Clásico.

En el siglo XIX, una vez ya constituido el estado Italiano, fue su segundo presidente Betino Ricasoli (el Barón de Ricasoli), que aparte de presidente era también viticultor con viñedos familiares dentro de la región de CHIANTI, el que dio un enorme impulso a lo que se conoce como el CHIANTI moderno, definiendo las uvas que se podían utilizar las mezclas que se podían hacer, comenzando la expansión mundial de este preciado vino.

Desde 1932 hasta hoy

En 1932 se formó lo que se conoce como los nuevos CHIANTI. Ampliándose las ciudades originales a otras varias nuevas zonas productoras.

Desde 1932 la producción de Chianti se extendió a las provincias de Arezzo, Florencia, Pisa, Pistoia y Prato. Actualmente, el área del Chianti está dividida en ocho sub-áreas:

Classico, que abarca parte de las provincias de Florencia y de Siena; Se identifica con un sello que lleva un Gallo negro, de ahí recibe su denominación de “Chianti Classico Gallo Nero”.

• Colli Aretini, en la provincia de Arezzo

• Colli Fiorentini, en la provincia de Florencia

• Colli Senesi, en la provincia de Siena

• Colline Pisane, en provincia de Pisa

• Montalbano, que abarca parte de las provincias de Pistoia y de Prato

• Montespertoli, en el territorio de Montespertoli, provincia de Florencia

• Rufina, en el territorio de Rufina (pronúnciese «Rúfina»), provincia de Florencia.

Después de la Segunda Guerra Mundial, los Americanos e ingleses comenzaron a importar este vino que habían conocido durante la guerra, convirtiéndose en los mayores embajadores del Chianti por todo el mundo, hasta tal punto que en el mundo anglosajón se llega a conocer el CHIANTI como el CHIANTISHIRE (SHIARIE es el término en inglés que viene a definir un condado). Esto fue la antesala para que en 1967 apareciera por primera vez la DOC CHIANTI.

No obstante, en la década de los 70, se produce una gran depresión y gran desprestigio de estos vinos ya que primaron las grandes producciones de uva (parece mentira siendo una DOC) a la selección del grano y viñedo primando la cantidad sobre la calidad, llegando los vinos de CHIANTI durante unos años ser conocidos como vinos de baja calidad, vinos baratos.

¿Os suena esta historia aquí en España también verdad?

A consecuencia de esto, una serie de bodegas y productores deciden salirse de la DOC y las normas a las que obligaban.

Así, por ejemplo, había que utilizar un 10% de uva blanca o no se podían utilizar uvas extranjeras como la Cabernet, la Merlot o la Syrah.

Estos productores hacen caso omiso y empiezan a añadir esa serie de variedades foráneas como la SANGIOVESE (uva principal del CHIANTI) o las citadas anteriormente.

Estas variedades enriquecen de tal manera aquellos vinos que, incluso saliendo al mercado como Vino de Tavola (Vino de mesa), se convirtieron en los vinos más demandados que los vinos más prestigiosos o los vinos más caros italianos, llegándose a pagar entre 5 y 10 veces más que los propios vinos de la DOC CHIANTI.

Y estos vinos (por ejemplo Tignanello o Sassicaia) son los que se les acabó denominando SUPERTOSCANOS.

Como aún nos queda mostraros más y gran parte de la historia moderna de nuestro invitado de hoy el CHIANTI, de momento lo dejamos aquí, eso si os emplazó al siguiente artículo. Donde seguiremos la historia, para que al terminar lo tengamos todo clarísimo de la forma más sencilla posible.

Así pues, como me gusta decir a mi habitualmente....

Pronto más y mejor Chianti e historia

Mongarda, il coraggio di distinguersi

di Filippo Freda Sommelier Fotografia Cantine Mongarda

“Due sentieri trovai nel bosco ed io scelsi quello meno battuto. È per questo che sono diverso”.

Ho pensato tante volte a questa frase di Robert Frost, contestualizzandola ai giorni nostri, alla mia vita, alle scelte che si è costretti a prendere e che, osservando la clessidra del tempo, diventano maledettamente decisive.

Questa sera c’è un cielo nuovo sopra la città, un vento da Nord-Est sussurra la favola di un luogo incantato fatto di colline senza tempo e rigogliosi vigneti. È la storia di Col San Martino e di una famiglia coraggiosa, la cui saggezza enologica è in totale simbiosi con la natura che la circonda. Loro sono i Tormena e Mongarda è il nome del loro prezioso tesoro; uniti producono vini spumanti dalla spiccata personalità.

Il sudore e la caparbietà assieme ad un ambiente pedoclimatico composto da terreni vivi, microclima e biodiversità, offrono in cantina la possibilità di creare vini eccezionali, intrisi d’identità, di poesia.

Il mio giradischi sta riproducendo le immortali note del Notturno n. 2 di Chopin ed io verso estasiato il Mongarda Metodo Classico nel calice. Il fascino del Glera proveniente da una singola vigna coltivata a mano si trasforma in brillante giallo paglierino. La spuma abbondante delizia la vista per poi sparire, lasciando il palcoscenico ad una moltitudine di finissime bollicine, che come stormi di uccelli migratori si librano in volo sognando l’Africa.

Ventiquattro mesi di sosta sui lieviti hanno donato a questo Valdobbiadene Prosecco Superiore un magnifico perlage ed uno specchio olfattivo complesso ed intenso. Avvicino il mio naso predatore al calice e catturo suadenti carezze di frutta tropicale, accompagnate da note di salvia, timo e da ricordi di crema pasticcera. La notte è una fanciulla fuggente e adesso è tempo di bere. Il vino scivola in bocca come sapone tra le mani mostrando una gradevole mineralità; appena 2 grammi litro di zucchero consentono di bilanciare meravigliosamente la vena aromatica del Glera, che in questo scintillante abito da sera esibisce tutto il suo fascino. Sorso dopo sorso apprezzo l’equilibrio tra freschezza e morbidezza e mi godo la persistenza gusto olfattiva assai lunga, armonica ed impreziosita da sentori di cocco e frutta secca.

La bottiglia sta finendo lasciandomi galleggiare in una placenta di benessere.

Penso al miracolo della natura, all’importanza di assecondarne i ritmi. L’amore che si dà alla natura è un amore in prestito, perché essa nel tempo te lo rende. Questo a Mongarda lo sanno bene; hanno il coraggio di distinguersi ed il risultato si scorge nel calice.

Questa sera c’è un cielo nuovo sopra la città, un vento da Nord-Est sussurra la favola di un luogo incantato, mentre il vinile di Chopin continua a girare; la melodia è finita oramai, ma lui non vuole arrendersi al silenzio.

Digital Wine Teller and Sommelier Marco Felicissimo Sets the Benchmark

Instagram: @marco_felicissimo_sommelier

Photos by Marco Orrù,

Instagram:

@mo_art_ph

Interview By: Journalist Margaux Cintrano

BIO

My name is Marco, I’m Italian and I prefer to define myself as ‘Digital wine teller’. I’m a certified sommelier (Italian Sommelier Association - AIS) and recently I also passed the exam WSET 2 with distinction in English. I have been studying wines and their respective regions for more than twenty-five years. I like tasting wines and good food, travelling and exploring wine regions all over the world to get to know as much as possible, there is so much to learn! I love sharing my experiences and what I have learned about the wine world. I have travelled to several wine regions and there is still a lot to see out there. All wine regions are fascinating and every bottle of wine tells its own story.

Margaux: What and who were the catalysts that empowered you to study to become a sommelier ? Where were you born and raised in Italy?

Marco: I’ll start by answering the last part of the question. I was born in Abruzzo region but raised in Rome as my parents moved there when I was a child. In summertime, as a kid I used to spend some time with my grandfather in Abruzzo and I remember being fascinated by his activities at the vineyard taking care of the Montepulciano vines and, of course, by him drinking his own wine for dinner.

In addition, I have always loved good food, either traditional dishes or more gourmet preparations and eating a good meal goes together with drinking wine, it is a well rooted habit. It is actually an historical combination, for centuries food and wine have been paired for a convivial meal with friends or just within the family. This is another aspect about wine that fascinates me. We don’t have to forget that wine origins date back 10,000 years! Especially for Mediterranean countries, the so called Mediterranean diet (UNESCO World Heritage) is the exemplification of the conviviality, the habit of eating together which is the foundation of the cultural identity and continuity of communities. It is a moment of social exchange and communication, an affirmation and renewal of family, group or community identity and wine has always been there to enhance this convivial attitude. This is why I continue to study wines and explore wine regions when I can. There is so much to learn. Every wine is the result of the history of the territory where it comes from, especially if we speak about native grapes.

Growing up I also realised how much I was in love with the Italian wine regions’ countryside. Even now a long walk in a hilly area through vineyards is for me something that I would love to do every day, something that is unbeatable, especially in some regions like Tuscany and Piedmont. I’m sure our lovely Luna, the golden retriever, agrees with me!

Margaux: As in all fine wines of the world and as you mentioned, grapes are woven inextricably through the fabric of daily Mediterranean life. With this in mind, what are some of your favourite wines from France, Italy and Spain?

Marco: This is a difficult question, there are outstanding wines made from different grape varieties in those three countries and beyond. I’ll answer by focusing on the native grape varieties and their respective important designations of origin, rather than specific wines. My favourite wines are usually monovarietal ones. I generally prefer red wines but it obviously depends on the food you want to pair the wine with. As far as Italy is concerned, I’m in love with the Nebbiolo grape variety and its main expressions from Piedmont region: Barolo, Barbaresco, Roero, Ghemme and Gattinara. In particular, the one that is always able to trigger positive emotions in me, it is Barolo. Generally speaking, Nebbiolo is a fascinating grape and full of contrasts; wines from Nebbiolo are incredibly complex with seemingly disparate notes that come together to form a beautiful whole. Very often its colour is pale garnet, it has high acidity and concentrated flavours, as well as a high level of tannins which might take years to tame. On the nose, you can smell ethereal notes of rose petals as well as earthy tar. On the palate, fruit notes include red currant, cassis, black cherry, raspberry, strawberry, and cranberry. These notes are balanced by secondary flavours of forest floor, limestone, spices, violet, rose, tar, balsamic notes, and truffle. The interplay between acidity, primary and secondary notes, and tannins is something special, difficult to find in other red wines. From my point of view, Burgundian wines made from Pinot Noir grape are France’s distinctive feature. In that region, drinking Pinot Noir wines dates back to the first century during the Romans’ occupation of the Gaul region (France). Red wines from Pinot Noir are rich and complex but not particularly heavy or strong in alcohol. They usually have a complex set of aromas of black cherry with hints of spiciness like cinnamon, along with earthy notes such as mushrooms, leather, truffles and meat. Pinot Noir is another incredible grape variety able to satisfy the most demanding wine connoisseurs but it might be difficult to be appreciated by wine novices, this is actually true for both Nebbiolo and Pinot Noir varieties. Tempranillo, which is Spain’s most important black grape variety, is one of my favourite Spanish grape varieties. It is a versatile grape considered native to the Rioja region. In this case, instead of focusing on the well-known top-scoring wines from Rioja and Ribera del Duero, I would suggest the Tempranillo based wines from the Toro region where actually the grape is called Tinta de Toro. The ampelographic characteristics are very similar to those of the Tempranillo or Tinto Fino, but since it has been located in the area for several centuries, it has a name and personality of its own. Wines made from Tinta de Toro can have flavours of cherries (red and black), raspberries, blueberries, blackberries, plum, spices and herbs. Oak barrel maturation adds flavours of vanilla, cocoa, tobacco and caramel. The Toro designation is becoming more and more important and wines from this region have started winning important awards.

Margaux: To produce a fine wine, it takes vision, optimal climate, geological features, commitment amongst many other factors. What are your views on the growing number of organic wines ?

Marco: I would like to introduce my answer by mentioning a recent very interesting analysis carried out by Madeline Puckette, famous Wine Communicator and co-founder of Wine Folly, and Carlo Mondavi, grandson of Robert Mondavi. According to the results of this study, four pillars can essentially summarise what makes a great wine: excellent quality grapes, high level wine making, long term vision and art. Also, this statement by Robert Mondavi gives a better idea “Making good wine is a skill, making fine wine is an art”. These pillars are of course influenced by the terroir (mother nature’s influence on grape growing including climate, soils and other aspects dealing with the natural world), the vintage (the choices made by humans to facilitate grape growing throughout a single year/vintage; i.e. pruning, irrigation, soil treatments, pest management, harvest timing, etc) and, last but not least, the type of viticulture (from less to more sustainable: conventional, organic, biodynamic, and the innovative permaculture). With regard to the type of viticulture, nowadays, great vineyards lean towards becoming sustainable. If you look at a winery’s vineyard as a whole, you’ll notice that their viticultural practices lean towards sustainable viticulture. Especially in France, the best wineries are sustainable because they have a long term vision. This is slowly happening also in Italy, where some of the best wineries have already adopted organic and/ or biodynamic practices. Some of them are not officially certified but they are de facto organic/biodynamic. The importance of the long term vision derives from the fact that most people, mistakenly, think of sustainability in terms of environment only. Sustainability also involves social and economic aspects, in particular these are: environmental responsibility, social equity and economic viability. These three aspects reinforce each other and have as a result a long term increase of profitability aimed at maintaining the winery, the land and the community. My view on this is that the process of increasing wineries’ sustainability is already ongoing and spreading more and more among wine producers. They are in fact aware that without a high level of sustainability there will be no future and this process is irreversible.

About the grape quality, the first pillar I mentioned, another great statement by Robert Mondavi is “You can make bad wines with great grapes but you can’t make great wine with bad grapes”.

Margaux: What have been some of your most successful wine and food pairings ? How do you pair a wine with complex Asian foods for example ?

Marco: Some of my best pairings, recently one was beef Wellington paired with Brunello di Montalcino Riserva 2006 by Le Potazzine winery. This was a perfect match, wine and beef enhanced each other. Another pairing that might sound simple was cold cuts (no spicy ones), such as parma prosciutto and smoked speck paired with Lagrein rosé by Pfannenstielhof winery (Lagrein is a native black grape from Alto Adige region, Italy). I find rosè wines made from Lagrein grape special, yes they of course have a lower tannin content than red wines, but this wine in particular has a good body, structure and very pleasant acidity and it goes perfectly with both fatty and lean cured meats. Many cured meats are full of flavours, like prosciutto and speck, and choosing the wrong wine such as a more structured red can make the flavour of prosciutto bitter, with the risk of breaking delicate balances. For this reason, it’s better to pair cold cuts with rosè wine. The acidity and juiciness of a Lagrein rosè will respect and enhance the taste of the cold cuts I mentioned and will take you on a neverending journey of wonderful sensations with an incredible persistence from both the wine and food.

Asian cuisine, on the other hand, has flavour profiles that range from sweet, spicy, sour, salty, bitter to umami, with many dishes combining several flavours in one. We all know ingredients like soy and fish sauce, ginger, lemongrass, kaffir lime leaves, and hoisin sauce, just to mention a few. In addition, spices and herbs such as cardamom, cumin, coriander, garam masala are not at all flat in aroma nor in flavour and they are often used in combination. These ingredients and spices are wonderful in Asian dishes, but flavours like these can very easily flatten out many wines, neutralising their fruity characters, and make them taste dull, hollow, bitter, oaky, or alcoholic. This is why matching Asian food with wine can be for a lot of people almost intimidating and this is understandable considering the variety and possible combinations of Asian flavours. In general, to pair with Asian food I would choose a light to medium-bodied white wine that is dry to semidry (off-dry) but certainly with high acidity. Clean, high acid wines have a refreshing vibrancy that is good to counter some Asian flavours. A good example of this kind of wine can be Sauvignon Blanc, which usually has a penetrating acidity and straight flavours. But also unoaked Pinot Gris, Spanish Albariños, and sparkling wines can be a good match. Aromatic wines with pronounced fruit flavours and high acidity work very well with some Asian strong flavours, like for example Rieslings from Germany, Austria, Alsace, and Australia. Juicy low-tannin red wines can be a good match too. In this case I would go for a Gamay from Beaujolais or a Spanish Garnacha (Grenache). Garnacha is more full bodied than Gamay, but can also be a good pairing. Always speaking in general, with Asian food we should avoid Chardonnays especially the ones with oaky and toasty notes as well as Cabernet Sauvignon and Merlot.

One of my favourite thai dishes, Tom Kha Gai (coconut soup with chicken) is a spicy dish with a lot of flavours. Finding a perfect pair can be a challenge. In this case, the wine needs to have a good acidity level and citrus notes to balance the coconut milk. In addition, from the wine we need some sweetness to calm down the spiceness. A dry Riesling Spätlese from Germany pairs very well with spicy Thai food in general and with this dish. It has the right acidity. If the soup is extra spicy, you can go for an off-dry Riesling Spätlese, or an off-dry Gewürztraminer or Pinot Gris from Alsace. If the soup is not typical spicy I suggest a Sauvignon Blanc from New Zealand. This wine melts all the flavours together and is a winner with many Asian dishes.

Yes, there are no doubts that it is difficult to pair wine and Asian food but it is not impossible. A lot of dishes, spices, herbs and flavour combinations make the pairing really hard. Even with a hot spicy Indian dish like chicken or pork Vindaloo there is room to pair wine. In this case the dominant flavours to match are the sauce and the spice level. The spices should be matched with a white with residual sugar or a fruity light red. Both served cool. Hot Indian food needs in fact an off-dry, fruity or flowery white wine. Again, Riesling Spätlese is excellent also with spicy Indian food. Pinot Gris and Gewürztraminer from Alsace (France) can also work well. Rosé wine can also be a choice but you have to go for something strong and fruity. For example, some Rosé wines made from Syrah grape with the “Saignée Method”, are darker, richer, and bolder compared to other Rosés. You should avoid light Provence Rosés. Also a Sparkling Rosé is a good match. If you want to drink red, choose a wine with fresh fruit and good acidity. And stay away from tannic wines. Along the lines of what I just said, try to experiment matching wine with the almost infinite Asian dish variations, in some cases you will be positively surprised!

Margaux: What about working with cheeses, wild mushrooms, truffles and caviar ?

Marco: Pairing wine and cheese is very interesting because there are infinite possibilities given the incredible number of cheeses you can find around the world. Avoid pairing an heavy wine with a mild cheese because the wine will completely overpower the cheese. The same happens with a strong cheese as it will overpower a light wine. In general, we can say that a light wine should be matched with a mild cheese, and a sweet or heavy wine with a bolder, more mature flavoured cheese. Some good pairings are for example, a typical fresh French goat cheese paired with young, crisp and dry white wines like Sauvignon Blanc, Vermentino and Chenin Blanc, etc.. This cheese can also be paired well with the acidity of sparkling wines, with light, unoaked, low tannin red wines and with some dessert wines like white Port and Fino Sherry. These pairings are fine also with soft cheese like Camembert. If we speak of aged cheese like for example an aged Comté, Grana Padano, Cheddar, etc. the right match would be with tannic red wines (Cabernet Sauvignon, Chianti / Sangiovese), with full bodied white wines, with sparkling wines and with dessert wines (Sherry, Port, Vin Santo). When we speak about mushrooms we obviously mean Mushroom dishes, we need to take into account both the type of mushroom and the preparation of the dish with its spices and sauces which play an integral part in determining which wines will complement them. Starting from the mushroom variety, delicate varieties, like lobster, enoki, maitake, and oyster, are best served with lighter white wines, like sauvignon blanc, semillon, riesling, a light chardonnay, or light, fruity reds, like Beaujolais. Earthy mushrooms like shiitake, portabello, porcini and morel pair well with fuller bodied wines, like a barrelaged chardonnay, pinot noir, nebbiolo, syrah, cabernet sauvignon.

In my view, we should look for simplicity when we use mushrooms in a dish. Simple preparations means that the mushrooms’ flavours are drawn out and will stand out, which is actually what we want if we use beautiful wild mushrooms. This makes also wine pairing easier. One example, sautéed mushrooms in butter or olive oil, with light seasonings is a great way to emphasise the flavours of mushrooms. They can be used as a pasta sauce and paired with a pinot grigio or chardonnay. Of course, sometimes you need to prepare other dishes with mushrooms and other ingredients that might make the pairing difficult. In this case we can apply the kind of general rule I already mentioned. Light to medium bodied wines paired with delicate mushroom varieties (like chanterelle or oyster mushrooms), while earthier/meatier varieties (portobello, porcini, and shiitake, for example) pair better with bolder wines.

Regarding the pairing with truffles, well, we should know this very well in Italy, considering that Italy boasts the world’s oldest and largest tradition of truffle hunting, which is part of the UNESCO intangible cultural heritage list. In Italy there are more than 70,000 licensed hunters who search for truffles in the forests at night with their inseparable dogs, which are essential assets to detect the scent of truffles from under the soil.

Truffles are extremely aromatic, in fact you can smell the good quality ones from metres away. Considering that they have almost no taste, the ingredients on or with which they are used make a big difference to pair the right wine. Truffles have the unique ability to transpose the aromas of the earth into edible form. All truffles release musky nuances that recall the experience of walking in the woods after the rain. White truffles do the same but in an especially delicate and refined way.

I can make some examples of wine pairings with truffles and the main ingredients used with them. Aged Chardonnay wines with not too heavy oaky notes are a good match with white truffles on neutral and creamy dishes with eggs, like soft scrambled or baked eggs. A cheese fondue with white truffles is also a good pairing with an aged Chardonnay.

Tajarin (Piedmontese for tagliatelle) with butter and white truffle risotto also match complex white wines with a little bottle age like a good quality Trebbiano d’Abruzzo. This wine in particular can provide also honeyed and earthy flavours along with good acidity which makes it a perfect match for these dishes.

If we consider white truffle with meat as the main ingredient, a medium-bodied Nebbiolo pairs very well with a beef tartare (steak tartare). A medium-bodied Nebbiolo-based wine can also be paired with eggs and cheese dishes. If you prefer to have red instead of white wine, a fuller-bodied wine like a Barolo and a Barbaresco can be paired with a juicy fillet of beef with white truffle. Generally, black truffles require slightly bolder and more rustic wines, richer and less elegant.

For example with Scamorza cheese and black truffles a full-bodied white wine made from neutral grapes such as oak-aged Vernaccia di San Gimignano or Chardonnay, which have less distinct aromas and are not aromatic.

If we want to pair some types of pasta and black truffles, for example Strangozzi (from Umbria ‘spaghetti’), as well as meat courses, the best choice is a medium-bodied red wine made from Sangiovese or Sagrantino grape, such as a Montefalco Rosso from Umbria, not a Sagrantino di Montefalco which is too full bodied. These are examples but there are plenty of medium-bodied red wines in Italy and abroad that can be paired with black truffles.

For the caviar I will not speak about the typical pairing with ice cold vodka because I will stick to wine. Chilled white wine is usually an appropriate pairing for nearly every type of caviar. What you need is a wine with moderate to low sweetness and a light body to avoid overwhelming the caviar. Very dry white wines should be avoided because of the salinity of the caviar. A slightly fruity wine with some citrus notes, high acidity, light body is the best match for the sapid and creamy caviar. Off-dry Riesling is a classic pairing with caviar, thanks to its moderate level of sugars, aromatic characteristics and minerality. Some wines from Chablis can also be good caviar companions because they are light and fruity, with hints of stone fruit and lime. Avoid buttery and oaky Chardonnay. The main concept for pairing wine with caviar is to avoid wines that can be protagonist, in this pairing wine has to be a kind of second character, and this is even more true with rare and expensive caviar such as Beluga caviar. To conclude, we can say that generally speaking most still white wines pair well with caviar as long as they are light, chilled and fruity.

Another world famous and excellent pairing is caviar with Champagne, a pairing that also symbolises luxury. But you can pair other sparkling wines as well, such as Spanish Cava and Italian Prosecco, with the same excellent result. I suggest you stick to the “brut” and “extra-brut” types of sparkling wines to keep sugar to a minimum and balance out the caviar saltiness. It is important to remember to use lemon on the caviar to increase the level of acidity.

High levels of sugar in wine can create an interesting unexpected contrast when paired with caviar. For this reason, sweet wines like Moscato, German Riesling, or even fortified wine can pair well because the caviar saltiness will balance out the wine sugars.

Margaux: Tell us about the growth of sparkling wines which have become extraordinarily popular especially during the Spring and Summer Seasons.

Marco: sparkling wines have always been associated with celebration but consumer habit has changed because these wines are more and more consumed in more casual occasions or as an everyday wine. According to some recent studies, the pandemic also contributed to change the way sparkling wine is perceived and these wines are now drunk at home more regularly. In any case, the pandemic has only accelerated an already growing trend of sparkling wines becoming more popular for casual day-to-day consumption. This trend is pushing this wine category into a new phase of growth. Someone has defined this process as “democratisation of sparkling wine”. Prosecco, for example, one of the Italian sparkling wine, produced with the tank method not the traditional method, is the world’s most popular sparkling wine. It sells more bottles than French champagne and Spanish cava combined.

It is a fact that sparkling wine is not only being associated with formal events and special occasions, to become a wine that can be enjoyed in more relaxed contexts and more frequently. This wine is now viewed as a relaxing drink at the end of the day and one that could be drunk during an informal meal at home.

Some data about sparkling wine consumption. The world’s most valuable sparkling wine market and its third largest volume market, the United States, reported its twentieth consecutive year of growth in 2022. In fact, between 2019 and 2022, the number of Americans drinking sparkling wine has increased by 30%. Not only are more people drinking sparkling wine, but they are also drinking it more frequently. According to a recent survey, almost a quarter of people interviewed reported drinking sparkling wine at least twice a week.

As you know, French people have always considered Champagne as a wine to be consumed daily throughout a meal and now this habit is spreading. I think this is a really good habit!

Margaux: While I had been in Milano for a few days just recently, I noticed the popularity of Trentino –Alto Adige Reds. I must say, the soul of these wines captured the essence of structure, longevity, harmonious seamlessness and paired perfectly with several dishes. Which of these reds, would you recommend ? Marco: when we speak about a region like Trentino-Alto Adige I’d like to focus on the native grapes from this region. Some of them are a true expression of the history and the multi-faceted terroir of the region. Two native black grapes from this region are Schiava and Teroldego. There are others of course.

Wines made from “La Schiava” grape, also known as Vernatsch, can be found in one of the subzones in the Alto Adige/ Südtirol DOC, which is called St. Magdalener/Santa Maddalena. The vineyards are located on the slopes around Bolzano, and the wines are made from at least 85% Schiava (Vernatsch) and a maximum of 15% of other local red grapes. One of my favourite is St. Magdalener Classico Annver by Pfannenstielhof winery with its freshness, pronounced fruit and floral aromas, and spicy notes. An incredibly elegant and balanced wine with its distinctive fruit component, mild acidity and velvety tannins. Regarding the pairing this wine is very flexible, it can pair with several dishes from the mountain regions or Mediterranen ones.

I was impressed by a Teroldego based wine, which is the Teroldego Rotaliano Luigi Riserva by Dorigati winery. In particular, I tasted the 2018. This wine is made from grape from the cru “vigna Sottodossi”. The wine has a deep red ruby colour. On the nose, notes of black plum and blackberry are intertwined with aromas of cocoa, balsamic notes and liquorice. On the palate, a wonderful harmony between freshness, fruitness and good structure leads towards a long balsamic and fruity finish. This wine is the perfect match for a typical dish from the region: venison fillet with blueberries.

Visions Gourmandes, L´art de dresser une assiette comme un Chef !

Photographies

Auteur

Philippe Germain

Philippe Germain Éditions

visionsgourmandes.com

Concept: Athos, Portos, Aramis

Quelle classe ! Quelle élégance ! Dans leurs petits costumes stricts et bien coupés, ces vaillants mousquetaires hors normes devenus symboles de noblesse, rendent un hommage mérité à une cuisine simple et universelle qui excelle à métisser les cultures, ici, la tradition occidentale et ses assemblages de saveurs avec l’art japonais et sa inimitable minutie.

Ingrédients:

Pavé de saumon découpé en 3 losanges

Sauce à base de soja et wasabi

Graines de pavot

Quenelle de purée de légumes blancs (pomme de terre, fenouil, céleri, panais) recouverte de sésame

Ciboulette

3 petites fleurs blanches

Fleur de pensée

Dressage:

Préparer votre sauce au vinaigre et, à l’aide d’une pipette, dessiner un grand cercle de petits points équidistants en vous aidant d’un gabarit en cercle.

Découper 3 beaux losanges dans un pavé de saumon bien épais.

Tremper une de leurs faces dans des graines de pavot légèrement huilées pour qu’elles se fixent.

Modeler une quenelle de purée à l’aide de deux cuillères à soupe.

Tremper la quenelle dans des graines de sésame légèrement huilées et la placer sur l’assiette en arrière-plandes losanges. Continuer par les brins de ciboulette et de discrètes petites fleurs blanches.

Terminer par une belle pensée à la robe de velours.

La plus élégante présentation se fera sur une assiette ronde unie.

Vous pouvez décliner cette présentation avec des ingrédients sous forme de bouchées, ou avec un pavé de viande divisé en trois, ou encore avec de gros sushis.

Concept 1.

Il aime jouer avec les formes, les textures et les couleurs de de son cortège et nous propose de tester des accords aux goûts inédits. Dans cette composition facile à réaliser, il parviendra toujours à nous charmer, dans des circonstances festives ou quelquefois plus ordinaires.

Concept 2.

Cette réalisation sophistiquée au plan visuel peut tout à fait se mettre à la portée des amateurs passionnés, soucieux de mêler gourmandise et esthétique. Elle exprime de la douceur, grâce à cet assemblage de goûts et de matières. Si elle requiert un peu de technique, c´est surtout la patience et la persévérance qui façonneront une oeuvreéblouissante.

Concept 3.

L´essentiel d´une belle création, réalisée à partir d´un classique de la gastronomie consiste à innover dans la manière de choisir, de découper et d´agencer les ingrédients. Alors, en se laissant entrainer dans cette présentation simple mais énergique, les cuisiniers exigeants comme les débutants sauront la reproduire de manière précise et artistique.

Concept 4.

La création littéraire l´a malmené dans un fameux conte qui en a fait son héros malheureux et pourtant, le canard a été, de tout temps, infiniment choyé dans nos assiettes et nos cuisines. Sur tous les continents et dans tours les cultures, il sait nouer de solides et savoureuses alliances sucrées-salées, comme de sublimes associations aigres

Parador De León - Hotel San Marcos

Articulo: Margaux Cintrano, Periodista y Fundadora

Fotos: The Parador Hotel Network - parador.es

A orillas del río Bernesga, donde le cruza un puente del XVI, es uno de los paradores más bonitos y más elegantes del país. Su primera dución, como si la historia se repitiera, fue la de albergue de peregrinos en el siglo XII. Un tiempo después pasó a propiedad de los caballeros de la Orden de Santiago, quienes en 1514, iniciaron la construcción del edifico actual ya que el anterior hospital se había quedado muy pequeño. Después alojaría a Quevedo, quien permaneció cuatro años preso, hasta 1643, por orden del conde - duque de Olivares.

La más representativo del edificio es sin duda la fachada plateresca, medallonesy la imagen de Santiago Matamoros. El claustro, terminado en el XVIII, ha sido ajardinado en su parte central y la parte cubierta de la planta baja se utiliza para exponer estatuas, estelas, sarcófagos y otras obras del vecino museo. En el piso superior, acceso reservado, muebles antiguos, arcones y espejos.

Teniendo en cuenta que se trata de un alojamiento de cinco estrellas, las habitaciones disponen de todas las comodidades más el encantoi de un lugar tan lleno de arte yhistoria. Incluso algunas camas tienen dosel. Para su decoración se han utilizado muebles castellanos junto a algunos antigüedades.

León y Sus Monumentos

Una ciudad a la que sobran motivos para ser visitada. Bastaría la catedral para justificar cualquier estancia en la ciudad, pero si a la joya del gótico se añade la del románico de San Isidoro, ya no cabría excusa para postergar la visita. Y si a la gran oferta artística, sumamos la gastronómia, el ambiente cultural mejor de escritores, poetas y pintores y la gran animación de sus bares y calles, evidentemente la visita se impone.

La Catedral

Una de las más grandes maravillas del gótico. Su construcción se inició a principios del XIII y se prolongó durante un siglo. En 1302, se dijo la primera misa al público. Desde esa fecha han sido necesarias varias reformas mas y consolidaciones: en 1631 se derrumbó la bóveda del crucero, en 1775 el terremoto de Lisboa se hizo sentir en la catedral por lo que fue necesario emprender nuevas obras de consolidación, en el sigo XIX hubo que cerrarla al público para que se realizara una profunda restauración que sirvió para retirar algunas “modernizaciones” anteriores. Hoy, bastante deteriorada por el mal de la piedra. Los trabajos siguen gracias a la campaña “Salvemos las catedrales.”

La belleza y la luz que entra por las vidrieras, 1.800 m2 en total, hace que el visitante se olvide de todo lo démas. La visita se contunará por las diferentes capillas, deteniéndose en la de Nuestra Señora del Dado. Enfrente unos interesantes frescos del XV. La capilla de Santiago, con más bonitas vidrieras y la capilla de San Andrés.

San Isidoro

La otra joya de la ciudad, corresponde a lo que se ha denominado “Capilla Sixtina” del románico español. El origen de este panteón fue una pequeña iglesia, levantada sobre un templo romano, que destruyó Almanzor durante su campaña por el norte. Tras el traslado del cuerpo de San Isidoro desde Sevilla en 1060, se ultizó como Panteón Real, donde descansan más de una veintena de reyes y reinas y otros tantos príncipes y nobles.

Palacio de Los Guzmanes

Actual sede de la Diputación es un edifico del XVI con un patio plateresco.

Plaza Mayor

En la zona conocida por Barrio Húmedo, esta Plaza porticada es escenario de uno de los mercados más tradicionales de la capital. Uno de sus lados está ocupado por el Consistorio, desde cuyos balcones las autoridades seguían los espectáculos que se celebraban en la plaza. En las calles inmediatas, bares para todos los gustos.

Gastronomía y Restaurantes

La tradición leonesa en este campo es una de las más arraigadas. Los grandes autores de la ciudad y provincia siempre que pueden hacen alguna referencia a los ricos platos de la tierra, includia: Sopa de trucha pimientos de Bierzo, puerros de Sahagún, las carnes y cecina de ternera. Los vinos de Bierzo están sobresalientes y están comenzando a ganarse premios de los críticos gourmets y catadores famosos.

Recomendación:

Parador De León: Mollejas, Cecina, Cocido Maragato, Trucha Rellena, Judias de la Bañeza. Cocina Leonesa y temporal. Tiene un Menú del Día, las cenas y un Menú por los niños.

Casa Pozo: Una amplísima gama de pescados – la frescura está garantizada.

Adonías: Las carnes rojas son una especialidad.

Bitácora: Importante son los pescados dorada con setas y rodaballo al caviar de Oricia.

La Bodega Regia: Entre los platos más solicitados: Cecina de vaca, pimientos de Bierzo y lechazo asado.

El Faisán Dorado: Innovaciones cada día incluida Bogavante con gallo de corral y Foie grâs de pato con manzana y uvas. En la lista de vinos, caldos de Bierzo, Ribera de León y La Rioja.

Meson El Racimo De Oro: Cocina típica de la zona: Ensalada de trucha salvaje, congrio con ajoarriero, rabo de toro y por el postre, peras al vino tinto.

Qué es Desafío Dali

Articulo: Margaux Cintrano – Periodista

Fotografia: Ifema – Madrid

Desafío Dalí es una nueva forma de disfrutar del arte de una forma nunca antes vista que llega a IFEMA Madrid. Una immersion en el mundo del artista, tanto sus obseiones como sus obras. Conoce al artista desde un prisma diferente y muy personal.

Un recorrido guiado a través de un espectacular formato escenográfico y technologico. Más que 2.000 m2 incluyen realidad virtual 3D realidad aumentada, audio visuales, micro mapping y la mayor exposición de cuadros del artista en formato digital del mundo.

¿ Te atreves a conocer a Dalí ?

Descrubre al genio del Siglo XX cómo nunca antes.

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