“Lascio tutto e vado a Berlino!” Mistificazioni e verità sulla nuova meta degli emigranti italiani
Margherita Sgorbissa Matricola 114419
UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI UDINE Corso di Laurea Triennale in Mediazione Culturale
Relatrice: Prof.ssa* Iris Jammernegg
Anno accademico 2014-2015
Indice 1. Gli italiani lasciano l'Italia 1.1 I dati ufficiali 1.2 Chi sono i nuovi migranti 1.3 Perché gli italiani lasciano l'Italia 1.4 Alcune testimonianze 2. Italiani a Berlino 2.1 Perché Berlino 2.2 Cenni al sistema assistenziale 2.2.1 Assistenza alle famiglie: il sistema degli asili e i sussidi per i figli a carico 2.2.2 Sussidi sociali e di disoccupazione: le leggi Hartz e il ruolo dei Job Center 2.2.3 L'assicurazione sanitaria: cos'è e cosa prevede 3. Berlino non è il “Paese dei Balocchi” 3.1 Miti da sfatare 3.2 La lingua 3.3 La ricerca della casa 3.4 Riconoscimento dei titoli e ricerca del lavoro 3.5 Fattore culturale: le quattro fasi del “cultural choc” 4. Conclusioni 5. Aloisia Davi: una storia di successo Bibliografia Sitografia
1. Gli italiani lasciano l'Italia 1.1 I dati ufficiali Parallelo al dibattito sull'immigrazione in Italia, che occupa giornalmente un ampio spazio su tutti i media, troviamo sempre più spesso discusso il tema dell'emigrazione dall'Italia, un fenomeno di altrettanto ampio spessore. Quello dell'emigrazione dall'Italia è un fenomeno che diventa giorno dopo giorno sempre più difficile da ignorare: i numeri compongono una realtà dei fatti inequivocabile, davanti la quale non è più possibile chiudere gli occhi, e si riferiscono a quella parte consistente di italiani che sono spinti, da motivi di diversa origine a lasciare il proprio Paese natale e cercare una prospettiva di vita nuova, diversa e forse, in molti casi, migliore in un altro Paese. «Il numero di emigrati italiani è pari a 82 mila unità, il più alto degli ultimi dieci anni, in crescita del 20,7% rispetto al 2012. Tale incremento, insieme alla contrazione degli ingressi (pari a mille unità, 3,5% in meno del 2012) ha prodotto nel 2013 un saldo migratorio negativo per gli italiani pari a -54 mila, quasi il 40% in più di quello del 2012 nel quale il saldo risultò pari a -38 mila»1.
Il rapporto Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente dell'Istat dell'anno 2013 offre un dato non trascurabile che mostra una situazione in cui sempre più spesso e in maniera consistente, gli italiani optino per la soluzione dell'emigrazione. Anche il Rapporto annuale 2014 conferma come il numero di emigrazioni sia in crescita continua: Sono sempre più numerosi gli italiani che si trasferiscono all’estero: aumentano gli espatri e calano i rientri. Nel 2012 gli italiani di rientro dall’estero sono circa 29 mila, 2 mila in meno rispetto all’anno precedente, al contrario è marcato l’incremento dei connazionali che decidono di trasferirsi in un Paese estero. Il numero di emigrati italiani è pari a 68 mila unità, il più alto degli ultimi dieci anni, ed è cresciuto del 35,8 per cento rispetto al 2011.2
Possiamo dunque a tutti gli effetti definire quella italiana una popolazione di emigranti, che in conseguenza alle trasformazioni economiche, politiche e sociali che hanno capovolto il Paese dal 2009 a oggi, cercano oltre i confini della Penisola l'occasione per una vita diversa da quella italiana, ma anche per scoprire e vivere nuove mentalità, sperimentare sistemi alternativi, e forse più compatibili con le loro esigenze. 1.2 Chi sono i nuovi emigranti? Il rapporto “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente” dell'Istat dell'anno 2013 si riferisce a una fascia precisa di età nella quale in modo particolare gli italiani scelgono di emigrare: fra i 20 e 45 anni. Le mete prescelte mettono al primo posto Regno Unito, poi Germania, Francia e Svizzera. I Paesi Europei in cui gli stipendi sono alti, l'assistenza sociale è più attenta, le offerte di lavoro più ampie e il sistema burocratico più efficiente. Sono queste le caratteristiche principali a cui gli emigranti sono orientati quando scelgono di emigrare. Nell'introduzione al libro Vivo altrove. Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi (2010), Claudia Cucchiarato descrive in modo molto chiaro chi sono davvero i nuovi emigranti italiani. Giovani, nella maggior parte dei casi laureati, con la voglia di costruire un futuro solido, fatto di meriti e soddisfazioni. Sono descritti come persone che non stanno scappando dal proprio Paese, 1 Rapporto “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente” a cura di Istat, anno 2013, pag. 1 2 Rapporto annuale dell'Istat, anno 2014, pag. 158
ma hanno fatto una scelta consapevole: oltrepassare i confini di una nazione che sempre più spesso si dimostra stretta. I giovani migranti sono coloro che, pur amando l'Italia, non sono riusciti a trovare dentro i suoi bordi le occasioni e le possibilità necessarie per una prospettiva futura stabile. «Sono i “neo-migranti”, gente che parte “per dimenticare”, per lasciarsi alle spalle un Paese che sta stretto, che non piace. Gente che vorrebbe cambiare l'Italia, ma non sa come fare e non sa se potrà farlo in futuro. Quindi cambia paese, se ne va, alla ricerca di maggiori stimoli o di un'alternativa»3. Con queste parole, la Cucchiarato disegna un profilo attuale di quel gruppo di giovani (e meno giovani) che scelgono una soluzione in pieno stile “Europa unita”. Zaini sulle spalle, valigie con dentro solo il necessario, rotte low cost, itinerari brevi, capitali europee: questi sono i nuovi emigranti italiani. Persone entusiaste, che hanno smesso di aspettare il cambiamento e che forse non hanno i mezzi per poterlo compiere, e non subiscono quella rassegnazione che li porterebbe a restare a casa, da mamma e da papà, ad evocare il miracolo delle assunzioni, dei posti di lavoro e dei cambiamenti. «L'Italia non è un paese per giovani»4, così lo definisce l'autrice. Un paese che lascia i suoi giovani in una fila d'attesa senza numero di prenotazione, senza la possibilità di conoscere ciò che troveranno alla fine della fila, e se l'attesa sarà in qualche modo ricompensata, non è più la prima scelta di chi cresce con nuove idee e progetti per il futuro. L'Italia assume, in questo contesto, i connotati di un Paese in cui l'instabilità politica ha rallentato le riforme, specialmente in campo di occupazione, creando un'incertezza generalizzata, e facendo in modo che moltissimi dei giovani italiani, fra cui anche i cosiddetti “cervelli in fuga”, guardino con maggiore facilità e sicurezza ai paesi oltre confine per il raggiungimento dei loro obiettivi e per la conquista di una giusta ricompensa ai sacrifici fatti. I nuovi emigranti italiani sono caratterizzati da una frenesia di fondo, una motivazione fortissima e una mentalità senza frontiere, che li rende lo specchio di quello spirito europeo tanto auspicato, senza ostacoli, dove coloro che vivono in prima persona il principio della mobilità, riescono in maniera concreta a conferire a un'Europa sempre troppo idealizzata, un valore autentico e concreto. Si “auto-eleggono” senza politiche e senza formalità i rappresentanti più vivi dell'Europa unita, assieme al flusso del resto dei giovani in mobilità che solcano l'Europa con gli orizzonti aperti e una creatività nuova nella testa. 1.3 Perché gli italiani lasciano l'Italia Il 18 ottobre 2010, il giornale americano “The Time” pubblicò un articolo dal titolo “Arrivederci Italia, why young italians are leaving”, di Stephan Faris. Riprendendo parte di ciò che Pier Luigi Celli, direttore generale dell'Università LUISS di Roma, aveva scritto in una lettera aperta del 30 aprile 2009 al giornale “La Repubblica”, il quotidiano statunitense analizzò le motivazioni che spingevano allora e che in tutta probabilità continuano a spingere tutt'oggi i giovani italiani a lasciare il loro paese. Il giornalista Faris inizia il suo articolo con una estratto della lettera di Celli, dal quale prendono vita le argomentazioni del giornalista americano, al fine di esporre la situazione italiana come la percepiscono in primo luogo gli stessi italiani. «Questo Paese, il vostro Paese, non è più un Paese dove si può vivere a lungo con orgoglio. Ecco perché, pur a malincuore, il mio consiglio è che voi, una volta completati i vostri studi, prendiate la strada per l'estero. Scegliete di andare dove ancora la legalità ha un valore, così come il rispetto e la riconoscenza del merito e dei risultati». 3 Claudia Cucchiarato, Vivo altrove. Giovani senza radici: gli emigranti italiani di oggi, pag. 3 4 Claudia Cucchiarato, Vivo altrove. Giovani senza radici: gli emigranti italiani di oggi, pag. 5
Queste parole dure, uscite direttamente dalla penna di una personalità che rappresenta l'élite della formazione e dell'istruzione italiana5, riassumono il problema centrale: legalità, meritocrazia e giustizia. L'articolo di Stephan Faris mette in evidenza il problema della disoccupazione giovanile: da una parte i giovani non laureati, in assenza di un posto di lavoro, scelgono l'economia in nero, per ogni sorta di piccola occupazione, dall'altra i giovani laureati non trovano una collocazione professionale in linea con le loro qualifiche. In un quadro simile, l'aspetto economico non può che giocare un ruolo centrale: nello stesso articolo, Faris la definisce una “gerontocracy”: un sistema di governo che da troppo tempo è nelle mani di uomini in età avanzata, comportando un sistema per troppi aspetti conservativo e ostile al rinnovamento. L'economia stessa è fortemente orientata all'attenzione per gli anziani: l'Italia è un paese che investe poco nella disoccupazione, nella cura del bambino e nell'edilizia abitativa, per esempio, e che ha mantenuto le pensioni più alte in tutta Europa6. Questa egemonia dell'anziano si diffonde in larga parte anche nel privato, nelle aziende e nelle corporazioni che dovrebbero offrire un equilibrio di spazi, nel quale l'elemento anziano e giovane convivano in modo produttivo, e invece finisce per creare un habitat sociale e lavorativo sempre più ostile per gli italiani di nuova generazione. Il sistema gerarchico che caratterizza moltissime realtà italiane, sia nel pubblico che nel privato, crea una mentalità secondo cui le reali competenze di un lavoratore, le sue esperienze lavorative e i suoi margini di progresso all'interno di un ambiente professionale contano meno della sua anzianità7. Questo sistema esclude automaticamente tutta la categoria giovanile da molti posti di lavoro a disposizione o rende l'iter più complicato e spesso basato su criteri non riconosciuti, quali nepotismo e raccomandazione. 1.3 Alcune testimonianze In un articolo dell'11 dicembre 2012, il quotidiano italiano “La Stampa” ha riportato un articolo con diverse testimonianze di italiani emigrati. Ciò che ne risulta è un insieme di motivazioni comuni, che hanno spinto i soggetti a optare, come loro ultima possibilità, di giocare per il proprio futuro la carta dell'emigrazione. «In Italia la carriera universitaria è impossibile, tutti sanno che le selezioni per i dottorati non sono trasparenti. E non parliamo dell’avvocatura, per anni non vedi un soldo. In Olanda, invece, ho trovato rispetto e solidarietà sociale. Qui lo Stato non è percepito come un’entità estranea che chiede tasse e non restituisce. Il senso di comunità è molto forte. Se tornerei indietro? Assolutamente no». «Da quando vivo in Germania, però, la mia situazione contrattuale è molto migliorata, dubito che in Italia potrei mantenere lo stesso standard di vita».
Così raccontano prima Mariolina Eliantonio, 34 anni, originaria di Pescara che ora si trova a Maastricht, nei Paesi Bassi, a lavorare all'università come ricercatrice e docente alla facoltà di Giurisprudenza, e poi Leonardo de Ferraris, 33 anni, di Ferrara, un medico che oggi è impiegato in un'azienda farmaceutica in Germania.
5 La Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli, nota con l'acronimo LUISS, è un ateneo universitario privato di Roma, nato nel 1974 e formalizzato legislativamente a seguito del D.P.R. numero 1131 del 31 ottobre 1981 6 Stephan Faris è un giornalista freelance, ha conseguito un master degrees alla Columbia University Graduate School of Journalism. Nel 2003 ha lavorato per New York Daily News, con un reportage sull'invasione in Iraq e scrive periodicamente per il quotidiano “The Time”; 7 Federico Soldani, epistemologo italiano attualmente residente a Washington D.C.
Anche il blog “Emergency Exit” che raccoglie sulla piattaforma web le testimonianze di chi ha lasciato l'Italia, riporta alcune voci di chi ha scelto l'estero non solo come seconda opportunità, ma anche come soluzione alle carenze che il sistema italiano presenta per chi in Italia è giovane e di prospettiva ne ha sempre di meno. Le voci sono quelle di Eugenia, emigrata a Monaco di Baviera, che in un post del 10 settembre 2014 scrive: «Sono Eugenia, una venticinquenne che l´anno scorso, dopo una laurea in Ingegneria, ha scoperto la necessita´di lasciare il suo paese. Un paese che ama tutt'ora e da cui mai avrebbe pensato di doversene allontanare. La mia scelta è scaturita da un accumulo di rabbia. Rabbia per non trovare un lavoro che mi permettesse di essere finalmente indipendente economicamente dai miei genitori, dopo tutti i loro sforzi per permettermi di studiare, senza avere pretese di ricchezza». E di Anna, emigrata a Brest, in Francia, che in un altro post del 28 maggio 2014 dice: «mi chiamo Anna, ho 25 anni, sono laureata in Medicina e Chirurgia e abito a Brest, in Francia. Sosterrò tra 3 settimane il concorso francese per l’ammissione in specialità. Avevo un biglietto sola andata in tasca prima di sapere la data della laurea. Oggi tra tutti i miei compagni di corso sono la sola ad avere la certezza di poter continuare la propria formazione. Sono stata coraggiosa, ma, a volte, piango ancora di nostalgia». Più recente è invece l'articolo di Eleonora Bianchini per “Il Fatto Quotidiano” del 4 gennaio 2015, nel quale rimanda ad altre testimonianze concrete di italiani all'estero, la cui emigrazione ha determinato una svolta per la loro vita e soprattutto per la loro carriera: in particolare è interessante citare le esperienze di Simone Speggiorin, specializzato in cardiochirurgia infantile all'Università di Padova, la cui storia viene riportata in un articolo del 14 gennaio 2014 sempre per “Il Fatto Quotidiano”, e quella di Maria Paola Clarizia, oggi ingegnere alla NASA e mamma di un bambino di quattro anno. Simone Speggiorin, a “Il Fatto Quotidiano”, sottolinea in particolare la differenza fra i sistemi di insegnamento, soprattutto nell'aspetto pratico, riscontrata fra l'Università italiana e quella inglese. Le condizioni contrattuali sono decisamente diverse da quelle che in tutta probabilità avrebbe trovato in Italia: «Tanti libri, tanto studio, poca, pochissima pratica in sala operatoria. “Anche se tu vuoi fare esperienza, non te la lasciano fare”, confessa Simone con l’amaro ancora in bocca. In Italia, purtroppo, funziona così: “Durante la specializzazione – spiega – non operi, le operazioni le guardi e basta. Finiti gli studi ottieni un diploma, sei legalmente abilitato a fare interventi, ma non ne sai fare mezzo”[...]. Insomma, se fosse rimasto in Italia, avrebbe campato da precario. In Inghilterra invece sa che le regole del gioco sono diverse. “Qui durante la specializzazione fai un training di almeno 300 operazioni e se l’ospedale ti prende usi bisturi e ferri, non fai finta”. Allora prepara i bagagli, prende un volo low cost e dice addio a Olmo di Martellago, in provincia di Venezia, il paese dove è nato e cresciuto. […] Cura i bambini con malformazioni cardiache, fa tre interventi alla settimana a cuore aperto, inizia alle 6.30 del mattino e stacca senza orari, a volte anche a tarda notte. Altro primato: è il chirurgo con meno anni in Europa ad avere eseguito un trapianto di polmoni su un bambino di soli sei mesi»8;
E così anche Maria Paola Clarizia, racconta la sua esperienza, facendo capire come in Italia il fatto di essere madre e avere una famiglia sarebbe stato problematico e di quanto invece sia risultato 8 Estratto dall'articolo di Chiara Daina per “Il Fatto Quotidiano” del 14/01/2014
irrilevante in una domanda d'assunzione alla NASA. «L’essere diventata madre prima dei trent’anni per Maria Paola Clarizia non è stato un ostacolo al successo. Neanche con una carriera alla Nasa e una missione sui cicloni tropicali da portare a termine. Oggi, che ha 31 anni e suo figlio quattro, si rende conto che è stata fortunata e il suo destino non sarebbe stato la stesso se fosse rimasta in Italia. “Quando ho fatto il colloquio per entrare nel team della Nasa non mi hanno chiesto se ero sposata, avevo figli o avevo intenzione di farne. Sono stata io, alla fine, a precisare che ero già madre di un bimbo piccolo, che ho un compagno con un lavoro a tempo indeterminato a Southampton, dove viviamo, e che non mi sarei potuta trasferire negli Stati Uniti. E il responsabile della missione, un professore del Michigan, non ha fatto una piega e ha risposto che non cambia niente mandare una mail da oltreoceano piuttosto che tra piani diversi nello stesso ufficio. Mi ha presa al volo”. Maria Paola è la più giovane della missione “Cygnss” (Cycolne global navigation satellite system), formata da 15 operatori, tutti americani a parte lei, che lancerà otto micro satelliti a bassa orbita intorno alla Terra per capire come si formano i cicloni tropicali e migliorarne il metodo di previsione»9.
2 Italiani a Berlino
2.1 Perché Berlino Alla domanda10 “perché secondo te tutti gli italiani vanno a Berlino?”, Gabriella di Cigno, autrice del libro Tutti a Berlino. Guida pratica per italiani in fuga (2014), risponde: «(...) Credo che bisogna ragionare anche per categorie: i giovani genitori trovano un tappeto rosso, i single non si sentono in minoranza (sono la maggior parte degli abitanti), gli omosessuali possono vivere alla luce del sole e dimenticarsi un contesto omofobo ostile, i disoccupati possono sperare di trovare uno straccio di lavoro, i professionisti come ingegneri o informatici sono ricercatissimi, le persone intraprendenti trovano una nicchia di mercato e realizzano la loro idea imprenditoriale con minor rischio ed energia di quel che occorrerebbe in Italia». Quello che Gabriella di Cigno cerca di sottolineare è che Berlino si configura ormai come una capitale di ampie vedute, che riserva un posto per tutti e anche piuttosto comodo. Non fa distinzione di categoria, non chiude le porte a nessuna potenzialità, anzi: è una piazza di sperimentazione e possibilità, un mare in cui è relativamente facile nuotare e la creatività viene premiata. A venticinque anni dalla caduta del Muro, Berlino è risorta dalla sua travagliata vicenda storica in modo del tutto peculiare, coniugando il suo passato con un futuro di innovazione e avanguardia. L'esperienza della città divisa, dove da una parte si è diffusa la falsa riga dello stile americano e occidentale, mentre dall'altra si imprimeva una rigidità tipicamente sovietica, ha prodotto un contesto atipico e difficilmente paragonabile ad altre realtà europee. La città, nella necessità di ricongiungere le sue parti, ha dato spontaneamente vita a un'atmosfera di apertura, che nello stesso tempo non dice addio alla tradizione, né al suo aspetto storico. Berlino è il luogo dove, principalmente, i contrasti possono convivere: da una parte, l'attenzione all'arte e alla cultura concede uno spazio autonomo e sempre in fase sperimentale ai nuovi artisti e portavoce dei nostri tempi, che fanno sì che le strade, i centri sociali, i piccoli atelier, i club diventino “hotspot” di innovazione e di grandissimo interesse culturale. Le nuove idee, i progetti artistici, le attività a sfondo culturale cooperano per dare forma a una realtà dinamica, sfaccettata e piena di stimoli. Questa “cultura della cultura” fa sì che in ambito professionale, così come sociale,
9 Estratto dall'articolo di Chiara Daina per “Il Fatto Quotidiano” del 6/11/2014 10 Tratto da un'intervista di Marina Convertino per “Dol's Magazine” di novembre 2012
ci sia un'attenzione equa per tutte le categorie. Si può citare l'esperienza delle start-up11, che a Berlino trovano un campo fertile e facilitato, incoraggiando i progetti imprenditoriali e le idee di coloro che hanno ricavato dai cambiamenti dei nuovi tempi, sistemi e tecnologie d'avanguardia (soprattutto nel campo dell'alimentazione, delle vendite online, del settore ambientale e della cooperazione sociale). Dall'altra parte, Berlino mantiene intatto il suo imprescindibile carattere tedesco, ossia un contesto che, pur distinguendosi per una certa libertà d'espressione, di costume e di possibilità, è fondato su un sistema burocratico, amministrativo, socio-economico ben preciso, valido per tutti i Länder tedeschi, quello del Bund tedesco. Questo quadro, per molti aspetti solido, fa sì che Berlino sia un porto sicuro, dove le regole e le leggi esistono non solo per “disciplinare” i suoi cittadini, ma per dare una base comune sulla quale tutti devono poggiare. Capiamo dunque che Berlino, sebbene a molti appaia come un “Paese dei Balocchi”, è un contesto in cui i “balocchi” rispondono a una regolamentazione ben precisa e sono motivo d'attrazione proprio perché fondati su un sistema che regola la loro esistenza. Gli italiani registrati a Berlino, come cita il manuale Tutti a Berlino. Guida pratica per italiani in fuga (2014), sono quasi ventimila, un dato che fa salire la comunità degli italiani al terzo posto fra le comunità di immigrati più numerose nella capitale tedesca. «Dal 2012 il flusso non è cessato e tanto meno si è affievolito il fascino della capitale prussiana, nonostante siano in molti a darla per «normalizzata» e in discesa nella hit parade delle mete più ambite degli italiani in fuga».12 Il Magazine online “Berlino Cacio e Pepe”, diretto dai giornalisti italiani Andrea d'Addio e Mauro Mondello, ha dato vita a un punto di riferimento per tutti gli italiani che vivono nella capitale tedesca e anche per quelli che a essa guardano come prossima meta o semplicemente come città del cuore. Il Magazine è una guida quotidianamente aggiornata, che conta sulla rete (Facebook) quasi 24 mila fans, e con migliaia e migliaia di visite giornaliere al blog. Alla base del successo riscosso dal magazine c'è sicuramente la volontà e la capacità – grazie anche a un eccellente team di collaboratori - di riportare quasi giornalmente le esperienze e le impressioni di chi ha trovato a Berlino una realtà perfettamente calzante alle proprie esigenze e all'immaginario di vita che sentiva più vicino al loro. Ma anche articoli di carattere tecnico, dove si spiegano nel concreto le più importanti burocrazie da sbrigare quando si arriva in città. La nuova sede, inaugurata a marzo 2015, ha offerto un luogo fisico per l'organizzazione di laboratori, workshop e serate dove gli italiani possono incontrarsi e ricomporre la rete di amicizie o semplicemente dedicare il loro tempo libero, in lingua italiana e fra italiani, con diverse attività proposte dalla redazione. Marianna Usai, in un post del 24 febbraio 2015, scrive «È la città dei controsensi, o forse no: è la città delle cose che coesistono. [...] E ti parla la gente a Berlino! Ti sorride e ne vedi tanti di modi di vestire, di camminare e ne senti di accenti, finché ti sembrano tutti uguali e finisci per constatare che sono quello che sono: tante persone colorate. Eleganti Unter den Linden; composte e mondane, alla sera, tra le luci del Ku’damm; libere con la musica tra le mani e i passanti a fargli compagnia; bambine con un ciuffo di panna nella cioccolata. [...] A Berlino è plausibile che ti facciano una foto davanti ad una crêpe e poi, quando riguardi la foro, scopri che a far la posa dietro di te c’era un perfetto sconosciuto che ora ci dà le spalle facendo finta di nulla e bevendo la sua Club Mate. La 11
Con Startup si intende la fase iniziale che concerne l'avvio di una nuova impresa, vale a dire il periodo nel quale un'organizzazione cerca di rendere redditizia un'idea attraverso l'uso di processi ripetibili e scalabili. Il termine era inizialmente usato solo per indicare la fase di avvio delle aziende nel settore di internet e delle tecnologie di informazione. Ha successivamente assunto il significato di ciò che in Borsa si chiama «matricola». L'approccio di gestione è di tipo Lean Startup e Minimum Viable Product 12 Gabriella di Cigno e Simone Buttazzi, Tutti a Berlino. Guida pratica per italiani in fuga, QuodLibet editore, 2014, pag. 27
fidanzata ci guarda come per dire “abbiate pazienza” e noi ricambiamo con un tacito sguardo che significa: “nessun problema, andrà nel nostro album dei ricordi”. […] È forte Berlino, è bella. Spigolosa e materna.[...] È una città fiera, superba. Fortemente voluta. E’ moderna. Irriverente. Con l’irriverenza di chi sa che si è fatto da solo. È un testo scritto di corsa e senza punti di sospensione; una fotocopia venuta troppo scura; una fotografia satura di colore; la reazione esagerata di una donna che sa che può avere tutto e nel segreto della sua stanza, ricorda gli anni andati dei giochi. Eccola Berlino, ecco la città che da vicino ti fa sua e da lontano, ti manca terribilmente. Berlino non si dimentica». 2.2 Cenni al sistema assistenziale A seguire, una breve descrizione della gamma dei principali servizi di assistenza sociale previsti dal sistema tedesco, di cui si può godere una volta che si risiede regolarmente a Berlino. La residenza, acquisibile con un'operazione che prende il nome di Anmeldung (registrazione), è facilmente ottenibile dal momento in cui si è in possesso di un contratto regolare di affitto13 Una volta in possesso di questo, è sufficiente prendere appuntamento all'ufficio del proprio distretto (Bezirk) e in meno di un'ora si otterrà un documento ufficiale di attestazione della residenza in città e un codice, equivalente al codice fiscale italiano, lo Steuernummer, per la regolamentazione delle imposte. Una volta in possesso dell'Anmeldung, si potrà accedere a una serie di servizi di assistenza sociale: occupazione (e disoccupazione), centri dell'infanzia, sussidi sociali, contratti lavorativi, assicurazione sanitaria. 2.2.1 Assistenza per le famiglie: il sistema degli asili e i sussidi per i figli a carico Una legge entrata in vigore il 1° agosto 2013 prevede che, in Germania, ogni bambino abbia diritto alla collocazione presso uno degli asili, chiamati Kindergaststätten. Questo è indipendente dalla situazione lavorativa dei genitori, vale a dire che il diritto è tale a prescindere se i genitori abbiano un'occupazione o no. I Kindergaststätten possono essere pubblici, privati o semiprivati e tutti e tre gli enti vengono finanziati in maniera consistente (decine di milioni di euro) dallo Stato. Dai tre ai sei anni la legge prevede l'ammissione gratuita agli asili, a eccezione di un contributo per la mensa e una quota base nel caso in cui l'asilo sia privato o semiprivato. Per i bambini sotto i tre anni è previsto un costo che, tuttavia, è determinato in baso al reddito annuale del nucleo familiare. La legge prevede inoltre un minimo di cinque ore garantite di sorveglianza del bambino all'interno della sede scolastica. Si sottolinea il fatto che un figlio nato in Germania da genitori stranieri (ma europei), assume la cittadinanza effettiva tedesca. A Berlino, come nel resto della Germania, sono previsti contributi specifici per i figli a carico. Si tratta del Kindergeld, una somma che è riservata al bambino (residente in Germania, e non necessariamente nato in Germania), di circa 184 euro mensili, che sussiste fino al diciottesimo anno d'età e viene prolungato fino al venticinquesimo, nel caso in cui il figlio si iscriva all'università. Per il secondo figlio, la cifra raddoppia e per il terzo triplica. Dal quarto in poi è fissa a 215 euro. Contributo per i figli a carico è anche il Kinderzuschlag, un importo specifico per coloro che versano in situazioni economiche particolarmente difficili, previsto dal pacchetto di aiuti sociali chiamato Hartz IV, in vigore dal 2005. Esistono contributi anche in relazione all'acquisto di una casa, Heimzulage, e un contributo per il pagamento dell'affitto, Wohngeld, sempre forme di agevolazione finanziaria dei nuclei familiari. 13 “Primi passi in Germania. Guida per un primo orientamento”, a cura dell'Ambasciata Italiana a Berlino, Com. It. Es Colonia e Dortmund, 2013, pag 7
Il primo consiste in un contributo di base erogato dallo Stato per chi è in procinto di acquistare la prima casa, diluito in otto anni, con l'aggiunta di una somma per ciascun figlio a carico per tutto il periodo. Il secondo, su base di reddito e numero di componenti del nucleo familiare, è destinato al pagamento della quota d'affitto e viene calcolato in base al limite di spesa per la casa. 2.2.2 Sussidi sociali e di disoccupazione: le leggi Hartz e il ruolo dei Jobcenter Fra il 2003 e il 2005, la Germania ha messo in atto una riforma del mercato del lavoro, guidata dal cancelliere Gerhard Schröder del SPD. Il suo governo, nel 2002, ha istituito una commissione per riformare il mercato del lavoro. Alla sua guida è stato posto Peter Hartz, che era uno dei più influenti consiglieri personali di Schröder ed ex manager della Volkswagen - tesa a rinvigorire il Welfare tedesco e a diminuire il tasso di disoccupazione del paese: obiettivo del piano Hartz era dimezzare nel giro di quattro anni il numero di disoccupati che all'epoca ammontava a 4 milioni. La riforma, che prende il nome di “Riforma Hartz”, dal nome del membro della commissione per i servizi moderni per il mercato del lavoro Peter Hartz, ha avuto un riscontro molto positivo sull'economia tedesca, che a dieci anni dall'attuazione, versa momentaneamente in una situazione positiva, con un tasso di disoccupazione del 6,7%14 . Le riforme del pacchetto Hartz15, entrate in vigore progressivamente fra il 2003 e il 2005, consistono nella concessione da parte dello Stato di diverse modalità di sussidi, destinati ai disoccupati ma non solo: oltre ai servizi di collocamento dedicati ai disoccupati (o agli occupati che guadagnano poco), i Job Center si fanno carico anche di servizi di consulenza, assistenza sociale, assistenza giovanile e allocativa, consulenza per tossicodipendenze e debiti. L'Hartz I ha avviato la semplificazione delle procedure di assunzione e ha determinato la nascita dei Job center, ossia dei centri per l'impiego ai quali possono rivolgersi coloro che cercano lavoro o sono in condizione di disoccupazione, attraverso delle procedure che li guidano nella possibilità di ricevere i sussidi. L'introduzione di “buoni” per la formazione (l'iscrizione a un Job Center conferisce delle riduzioni presso enti formativi quali scuole di lingua e scuole di formazione professionale, che in molti casi si traducono in vere e proprie estinzioni dal pagamento. Fra gli obblighi del Job Center rientra anche l’iscrizione ai corsi di lingua e alle cosiddette Ausbildung (corsi di formazione), per imparare la professione) e la presenza di mediatori specifici che accompagnano il soggetto nell'iter di inserimento al mondo del lavoro indicano un trattamento personalizzato, che varia a seconda delle esigenze, e teso alla risoluzione “ad personam” del problema di ciascun disoccupato. L'Hartz II ha permesso la nascita del contratto Minijob, l'erogazione di finanziamenti per le nuove forme di lavoro autonomo (start-up) e un maggior sostegno per la fascia d'età over 50. Il Minijob è un sistema di lavoro con un contratto che prevede uno stipendio massimo di 450€. Rappresenta, per molti immigrati e disoccupati, una soluzione temporanea, ma necessaria per il reinserimento nel mondo del lavoro. Questa forma base di impiego è consigliata anche agli studenti, in quanto prevede un monte ore non superiore a 20 (varia dalle 10 alle 20), garantendo un'occupazione e uno stipendio minimo. Il Minijob prevede sia una forma aziendale che una privata, vale a dire che ci si può impiegare sia presso un'azienda, che stipulando questa tipologia di contratto ha una tassazione minore rispetto ai contratti tradizionali, e concedere incarichi in periodi specifici (Natale, festival, fiere) 14 Dato riportato da un articolo per “La Stampa” in data 28 agosto 2014, “Germania, aumentano i senza lavoro ma il tasso di disoccupazione resta stabile”, secondo l'Ufficio Federale del Lavoro 15 F. Salvatori ,“La Riforma Hartz e le politiche occupazionali in Germania”, a cura dell'Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali, Modena, 2005
e per periodi determinati, soprattutto nel campo della gastronomia, della ristorazione e degli alberghi, ma con una buona conoscenza della lingua, anche in uffici amministrativi e aziende di pulizia. Per la forma privata, solitamente il lavoro previsto è di assistenza alla persona (badante, baby sitter, aiuto compiti) o di servizio di pulizia. L'Hartz III ha convertito l'Ufficio Federale del Lavoro in Agenzia Federale per l'Impiego. L'Hartz IV è invece il punto più importante e delicato del pacchetto di riforme, il cambiamento cruciale che rappresenta per molti tedeschi e non tedeschi una fonte di sussistenza irrinunciabile, che negli ultimi dieci anni è stata intensamente discussa e, spesso, anche duramente contestata da alcune parti politiche. L'Hartz IV prevede due ammortizzatori sociali, chiamati Arbeitlosengeld I e Arbeitlosengeld II. Il primo è un'indennità di disoccupazione, e il secondo un sussidio sociale. L'Arbeitlosengeld I è un sussidio di disoccupazione a cui si ha diritto per un minimo di 6 fino a un massimo di 24 mesi. Esso dipende principalmente dall'età del beneficiario, dai mesi di lavoro e dal tempo in cui ha versato i contributi per la disoccupazione. La somma del sussidio è determinata sulla base dello stipendio lordo che il soggetto percepiva negli ultimi 12 mesi di attività lavorativa, ma entrano in gioco anche fattori come la presenza di persone a carico nel nucleo familiare. Il sussidio è pari circa al 60% dell’ultimo stipendio netto ricevuto. La domanda per il sussidio va presentata all'Agenzia Federale per il Lavoro (Arbeitsamt) prima della scadenza del contratto, con allegata la lettera di licenziamento. Nel caso in cui il licenziamento sia volontario e richiesto, si otterrà il sussidio a partire da tre mesi dopo la data di licenziamento. Nel caso in cui sia l'azienda a licenziare il soggetto, il sussidio verrà erogato immediatamente. L'Arbeitlosengeld II è un sussidio previsto per coloro che non presentano i requisiti necessari per richiedere l'Arbeitlosengeld I, ossia non hanno un'esperienza di lavoro precedente di almeno 12 mesi e non hanno quindi diritto al sussidio di disoccupazione in senso effettivo. L'Arbeitlosengeld II non è da intendere propriamente come un sussidio vero e proprio, ma una garanzia dei mezzi finanziari minimi per chi è alla ricerca di un'occupazione o non presenta i requisiti fisici per accedere al lavoro (difficoltà linguistiche e/o fisiche). Per l'ottenimento dell'Abreitlosengeld II, conosciuto anche come Hartz IV, è necessario rivolgersi ai Job Center, enti che sono collegati al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il Job Center assiste il soggetto a livello economico e lavorativo: da una parte, se viene ritenuto idoneo al conseguimento del sussidio, il disoccupato vede coperte le spese di affitto, riscaldamento e assicurazione sanitaria, con un ulteriore accredito di massimo 380 euro. Dall'altra parte, esiste una consulenza attraverso mediatori per la ricerca del lavoro, che si occupano di redigere un profilo personale sulla base degli interessi e delle competenze del soggetto, per indirizzarlo al lavoro più adatto. Il richiedente ha determinati obblighi nei confronti del Job Center qualora sia stato riconosciuto beneficiario del sussidio sociale, come l'obbligo di spedire un numero minimo di candidature per un posto di lavoro e rispondere sempre ed entro tre giorni dalla ricezione alle candidature ricevute; uscire da Berlino per un massimo di soli 21 giorni all'anno, comunicare eventuali stati di malattia e, nel caso in cui intervenga la necessità di un corso di lingua (il Job Center offre gratuitamente un servizio di integrazione linguistica con un corso chiamato Integrationskurs), l'obbligo di frequentare il corso e consegnare le attestazioni, inviare lo status dei movimenti bancari ogni tre mesi, per dimostrare di non abusare dei contributi ottenuti. Le proposte di nuovi colloqui di lavoro inviate dal Job Center non possono essere rifiutate, pena sanzioni che possono tramutarsi, in caso di costante rifiuto, nella sospensione dei contributi statali (si parte da una perdita del 10% del sussidio, fino a quella totale del 100%). Questo sistema prevede accurati controlli per evitare che i beneficiari se ne approfittino, inoltre viene prolungato ogni sei mesi, affinché vi sia lo stimolo a trovare lavoro. Per dimostrare che lo stato non aiuta i richiedenti senza un dovuto criterio, ma favorendo effettivamente chi vuole lavorare e non abusare del denaro, i beneficiari dei sussidi sono obbligati a sottoporsi al test anti droga.
2.2.3 L'assicurazione sanitaria: cos'è e cosa prevede «Lasciare l'Italia, comporta per tutti gli emigranti la rinuncia alla copertura del sistema sanitario italiano, o meglio la perdita del diritto all'assistenza sanitaria, che scatta al momento della cancellazione presso l'anagrafe del comune di provenienza e in seguito all'iscrizione all'ente AIRE (…). Questo significa che, per chi decide di stabilirsi in Germania per più di sei mesi, è necessaria una copertura sanitaria idonea, in linea con la normativa dello stato»16
Ogni italiano che decide di lasciare l'Italia, rinuncia automaticamente ai servizi di assistenza sanitaria ai quali aveva diritto nel proprio Paese. Cambiare nazione non significa solamente approdare in un contesto di riferimenti culturali differenti dal Paese d'origine, ma soprattutto far fronte a un nuovo sistema burocratico e legislativo, che prevede l'adattamento a pratiche diverse e in molti casi esclusive del Paese d'arrivo. È il caso dell'assistenza sanitaria, che in Germania prevede un iter particolare, diverso rispetto a quello italiano. Nel periodo di passaggio, che burocraticamente potrebbe richiedere un determinato lasso di tempo, è possibile presentare alcuni modelli che garantiscano la copertura del periodo fra lo slaccio dall'assistenza italiana e l'allaccio a quella tedesca: un lavoratore distaccato o un pensionato possono ricorrere al modello S1, che permette di continuare a usufruire dell'assistenza sanitaria a carico dello Stato italiano. I lavoratori autonomi e gli inoccupati possono ricorrere al modulo E104 per accertare che la copertura sanitaria sussista fino al momento del cambio della residenza, trasferendo inoltre l'assistenza sanitaria all'estero a proprie spese. Ci sono inoltre i formulari E106, per coloro che pagano le tasse in Italia, facendo sì che la cassa tedesca sia una cassa “di soccorso”, e E112 per le donne che hanno partorito in Italia. Il sistema sanitario tedesco si basa su una larghissima serie di assicurazioni che possono essere private (Krankenversicherungen) o pubbliche (gesetzliche Krankenkassen). La differenza fra le due consiste nel criterio di formulazione dei contributi, vale a dire che per le assicurazioni private vengono considerati l'età e il rischio malattia, la presenza di malattie croniche nell'assicurato; ciò comporta per i giovani un costo quasi irrisorio, ma con l'invecchiamento, aumentando i fattori di rischio, aumenta anche il costo dell'assicurazione. Le assicurazioni pubbliche, invece, prevedono un contributo uguale per tutti, che viene stabilito in baso al reddito lordo (in ragione del 15,5%). Queste dipendono, come si evince dal nome, dallo Stato che dispone il sistema di accesso alle prestazioni in modo uguale per tutte le assicurazioni pubbliche. Il sistema sanitario tedesco tiene conto di un'ulteriore distinzione fra lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi, dipendenti con reddito superiore ai 53.550 euro l'anno (la soglie viene ritoccata ogni anno) e funzionari dello Stato. Per i lavoratori dipendenti, esiste l'obbligo di assicurarsi a una Krankenkasse pubblica (secondo il Versicherungspflicht). Il costo mensile destinato alla Krankenkasse è del 14,6% sulle entrate lorde, più un costo aggiuntivo stabilito dalle singole assicurazioni che si aggira circa allo 0,9%. Il 7,3% viene coperto dal datore del lavoro, che detrae il costo direttamente dalla busta paga. (La stessa condizione vale per i dipendenti con contratto Minijob, per gli studenti, i tirocinanti e in generale tutti i lavoratori con uno stipendio mensile compreso fra i 451 e i 4.575 euro), l'altro 7,3% più il costo aggiuntivo sono a carico dell'assicurato. Questo significa che anche nella forma base di contratto regolare (Minijob), si ha diritto a un'assicurazione sanitaria pubblica, che incide sullo stipendio circa il 10% e offre una copertura per trattamenti medici e dentistici, con scelta libera del medico e del dentista, cure ospedaliere, alcuni medicinali, occhiali, cure complementari, apparecchi acustici, sedia a rotelle, misure di prevenzione e precauzione di alcune malattie, ortodonzia preventiva e misure di prevenzione collettiva ed individuale, inoculazioni preventive, cure dentistiche (nella maggior parte dei casi fino ai 18 anni), applicazioni di dentature e corone necessarie. 16 Tratto da “Tutti a Berlino. Guida pratica per italiani in fuga”, di S. Buttazzi e G. di Cigno, Quodlibet editore, 2014, pag 115
Compresa nel tasso assicurativo è la Pflegeversicherung, ossia il compenso destinato al servizio di accudimento dell'assicurato in caso di mancata autosufficienza per anzianità o malattie gravi. Le assicurazioni pubbliche offrono anche la garanzia di copertura sanitaria al nucleo familiare senza costi aggiuntivi, con la sola assicurazione del capo famiglia, nel caso in cui gli altri componenti non abbiano reddito o ne abbiano uno che non supera i 395 euro. Lavoratori autonomi, dipendenti con reddito alto, funzionari dello Stato non sono vincolati alla scelta di un'assicurazione pubblica: possono stipulare un accordo con un'assicurazione privata, tenendo conto del fatto che i costi mensili varieranno nel corso degli anni a seconda di fattori quali l'età, il fattore di rischio per malattie e mancanza di autosufficienza, o con un'assicurazione pubblica, nella quale il costo del contributo rimarrà sempre lo stesso, su base del reddito lordo. Scegliendo di assicurarsi con una gesetzliche Krankenkassen, stipuleranno una “freiwillige Versicherung” (freiwillige significa letteralmente “volontaria”, ma può risultare forviante: l'assicurazione sanitaria è, di fatto, obbligatoria e il termine si riferisce alla condizione dell'assicurato che, nei casi suddetti, è tenuto a farsi carico della spesa assicurativa). 3 Berlino non è il “Paese dei Balocchi” 3.1 Sfatare i miti «Berlino? Un mito, ma non per tutti. Il numero degli italiani nella capitale tedesca continua a crescere dal 2010 raggiungendo nel 2013 lo 0,7% del totale ed il 4,2% tra tutta la comunità straniera. Si tratta di 22mila persone, senza contare chi non è registrato all’ambasciata. Non sono però tutte storie di successo. E sono sempre più i casi di chi deve mettere da parte le illusioni e confrontarsi con una realtà meno accogliente di quel che si pensa» Così scrive il giornalista Andrea d'Addio in un reportage per “Il Fatto Quotidiano” del … aprile 2015, con il quale indaga sulla reale condizione che vivono gli italiani a Berlino, con particolare attenzione all'ambito lavorativo. Quello che il reportage cerca di sottolineare – e non per la prima volta – è che Berlino, pur offrendo un'alternativa allo stile di vita “italiano”, non è per nessun verso un “Paese dei Balocchi”. Molti italiani scelgono la capitale tedesca, idealizzandone il contesto e ignorando gli aspetti più concreti del sistema presente, che non è privo di contraddizioni spesso affini a quelle che si riscontrano in Italia. Nonostante la parvenza di ottime prospettive, e l'appoggio alle esperienze positive di chi effettivamente ha trovato a Berlino un trampolino di lancio per una nuova vita, il trasferimento in un'altra città e specialmente in un altro Paese rimane un processo non senza difficoltà e ostacoli. Molti italiani lasciano il proprio Paese credendo di trovare un paradiso di possibilità lavorative, di affitti bassi, sussidi a libera disposizione per poi scontrarsi con la dimensione reale di una città che gode sì di una gamma più vasta di possibilità e agevolazioni, ma pur sempre in possesso delle sue peculiarità economiche, culturali e lavorative che vengono spesso trascurate nel momento della decisione di emigrare. 3.2 La lingua «“Laureati? Sei mesi di corsi intensivi non sono sufficienti per il mercato del lavoro” – Sono parole di chi lavora nella ristorazione, ma non si tratta di casi isolati. Gli ostacoli per gli italiani a Berlino sono tanti e creano la condizioni per lo sfruttamento. Il primo – e più importante – è la lingua. “Ci si trasferisce senza parlarla e sei mesi di corso, anche intensivi, non
sono abbastanza per proporsi veramente nel mercato del lavoro dei laureati”, ci racconta Lucia Cocci, docente di tedesco freelance e reclutatrice per tre anni di personale per un’importante azienda berlinese. “Ingegneria, economia, pubbliche relazioni, architettura: a volte è possibile riuscire a lavorare con l’inglese, ma la concorrenza è alta. A Berlino non arrivano solo italiani, ma giovani e meno giovani da tutto il mondo. Quindi una buona conoscenza del tedesco è un punto in più che fa la differenza»17 Il mito secondo cui “a Berlino basta parlare l'inglese” è da sfatare. Che Berlino sia una città molto grande e multiculturale, grazie al quale la lingua inglese è molto diffusa e parlata (i giovani la parlano molto bene, ma non vale lo stesso per le persone adulte o anziane), non rende l'inglese la lingua ufficiale, tanto meno nel mondo del lavoro. Si possono certamente trovare professioni in cui la lingua inglese è richiesta e usata, ma è necessario tener presente che le domande di lavoro, i colloqui e la parte organizzativa all'interno delle aziende vengono svolte in tedesco, lingua che diventa determinante al momento delle candidature. Anche se la scelta ricade sul settore della gastronomia e della ristorazione, bisogna considerare che le figure professionali legate a questi ambienti sono ugualmente tenuti a confrontarsi con parlanti di lingua tedesca. È quindi richiesto un livello minimo (spesso corrispondente al B2) che consenta al dipendente di sostenere una conversazione con la clientela. Pochi sono gli ambienti lavorativi in cui è richiesto esclusivamente l'italiano: la conoscenza del tedesco e di una seconda lingua straniera è un requisito di base in moltissimi posti di lavoro. Questo permette facilmente di capire che la lingua tedesca diventa il primo ostacolo, non solo nel mondo del lavoro. La burocrazia, la sanità, le relazioni interpersonali risultano agevolate da una minima padronanza linguistica, un dato di fatto che mette alle strette molti italiani che lasciano l'Italia senza una conoscenza adeguata dell'inglese e del tedesco. La questione linguistica è un punto dolente, ma non insormontabile. I Job Center, per esempio, all'interno dei servizi per l'assistenza sociale, prevedono una parte formativa non solo professionale, ma anche linguistica, indirizzando i soggetti che presentano debolezze sotto questo punto di vista a scuole private e pubbliche, in molti casi offrendone l'accesso a costo zero. Molti italiani scelgono di iscriversi alla Volkhochschule, le cosiddette “università popolari”, in cui parallelamente ai corsi di lingua, viene proposta anche tutta una serie di attività per il tempo libero (yoga, corsi di cucina, laboratori creativi...) tese all'integrazione degli stranieri nell'ambiente tedesco. Alla Volkhochschule (tendenzialmente ogni municipio ne ha una) vengono proposti corsi di lingua di tutti i livelli europei, ad un costo contenuto e di buona qualità. Il problema che più frequentemente si riscontra nell'ambiente delle Volkhochscule è il sovraffollamento, che da una parte preclude l'iscrizione ai corsi (è consigliabile presentare la domanda d'iscrizione con largo anticipo) e dall'altra influisce sulla qualità dei corsi. Tuttavia, risulta un ottimo compromesso fra la necessità di apprendere la lingua e quella di conoscere nuove persone e allargare il nucleo di conoscenze sul posto. Oltre la scuola “popolare” (sovvenzionata dal Bund tedesco), esiste una vastissima costellazione di scuole private, dove i costi variano dai più simili alle Volkhochschule, a quelli decisamente più elevati (Goethe Institut). Le scuole private garantiscono maggiore flessibilità di orari, offrendo la possibilità di scegliere fra più fasce, un numero minore di persone per classe, vari tipi di corsi fra cui quelli dedicati esclusivamente alla conversazione o alla preparazione al test del DaF 18 o a quello per il conseguimento della cittadinanza. 17 Citazione tratta dal reportage per “Il Fatto Quotidiano” di Andrea d'Addio del 12 aprile 2015 18 Dal sito ufficiale “TestDaf Institut”: «Il compito principale del Test DaF è l'elaborazione del Test Deutsch als Fremdsprache. Il TestDaf è valido in tutto il mondo e riconosciuto da tutte le Università tedesche come test di lingua per l'ammissione degli studenti stranieri»
Spesso, tuttavia, il livello “minimo” di tedesco, quello di cui si entra in possesso per affrontare la vita quotidiana, a Berlino non basta. Per chi ambisce all'ingresso all'università o a una carriera in ambiti professionali specifici, è necessario dimostrare di possedere un determinato livello linguistico, piuttosto avanzato. Soprattutto per l'università, al momento della domanda d'iscrizione (o per i test d'ammissione), è richiesto il certificato del test DaF, conseguito con un risultato preciso, che varia a seconda della facoltà e dell'università scelta. 3.3 La ricerca della casa Un altro grosso problema per chi decide di trasferirsi a Berlino è quello della casa. L'agenzia di consulenza per l'acquisto di immobili “Berlin Paris Invest”19 stima un aumento in tutti i distretti della città dell'8,6% degli affitti fra il 2012 e il 2013, questo significa che il costo di un'abitazione in città è in costante aumento. Chi cerca casa si affida molto spesso ai social network, richiedendo l'accesso a uno o più gruppi dedicati agli italiani a Berlino, in particolare sulla piattaforma Facebook. Grazie alla rete virtuale, a volte è possibile inserire il proprio annuncio personale o leggere quello di chi offre per brevi o lunghi tempi la propria stanza o il proprio appartamento. Si tratta di una vera e propria “caccia” alla casa: a fronte di alcune offerte ci sono moltissimi richiedenti che spesso si ritrovano a lottare contro il tempo e la concorrenza per ottenere un tetto sopra la testa. Proprio dall'interno delle community online, ho potuto appurare che la scelta migliore per chi parte dall'Italia senza la famiglia, un compagno o una compagna è quella per via privata, orientandosi verso l'opzione di una casa condivisa, le famose “Wohnungsgemeinschaften” dette semplicemente “WG”, dove è facile ritrovarsi a vivere anche in cinque o sei persone, condividendo gli spazi comuni e il costo dell'intero affitto. Non è raro imbattersi in annunci online o affissi in giro per la città, e trovare date precise per veri e propri “provini”, durante i quali gli inquilini della casa valutano i candidati (possono arrivare fino a 100 candidature, per case situati nei punti più centrali e gettonati della città) per poi sceglierne solo uno, a cui sarà destinata la stanza. Si tratta spesso di Zwischenmiete, i cosiddetti subaffitti, non sempre a contratto regolare e le cui condizioni non risultano trasparenti e vengono anzi facilmente manipolate dagli inquilini già presenti nell'appartamento. Molte volte è necessario inviare decine e decine di candidature per rientrare almeno nei primi dieci richiedenti, in modo tale che gli inquilini considerino la richiesta e ammettano il richiedente alla “valutazione”. Questo succede soprattutto nei quartieri più in voga, dove la maggior parte di chi arriva in città desidera andare a vivere. Si tratta di distretti dove l'atmosfera berlinese è più viva, più caratteristica e dove le tendenze underground e artistiche della città si fanno sentire di più. Per chi parte dall'Italia con un compagno, una compagna o una famiglia, anche se si gode di una certa disponibilità economica, nel momento in cui si inizia la ricerca di un appartamento, è presto chiara l'immensa difficoltà che si incontra: imbattendosi nei vari annunci, si noterà che i requisiti richiesti sono sempre più dettagliati e restrittivi. Si inizia con l'Anmeldung (il certificato di residenza), che per chi ancora non ha una sistemazione, nemmeno provvisoria, risulta già problematico: chi cerca casa, mira alla possibilità di ottenere l'Anmeldung, ma spesso senza l'Anmeldung è difficile trovare casa. (Per molti affittuari, l'Anmeldung è una garanzia che dimostri come il richiedente abbia già vissuto in città per un determinato periodo e in modo relativamente stabile). Oltre che l'Anmeldung, viene richiesto un documento rilasciato da un ente chiamato Schufa, l'agenzia nazionale per la tutela della sicurezza dei crediti, che si occupa di registrare la 19
La BPI è una società di consulenze per investimenti immobiliari a Berlino. Dalla sua fondazione nel 2006 assiste i propri clienti in maniera professionale accordando particolare attenzione alla concreta realizzazione degli obiettivi prefissati da parte della clientela
situazione di credito e/o debito, che accerta la “fedina finanziaria” o meglio detta l'affidabilità dal punto di vista economico. Una volta in possesso dell'Anmeldung e del documento della Schufa, è necessario presentare la propria busta paga. In mancanza di un lavoro, sarà molto difficile ottenere un contratto d'affitto (la stessa cosa vale anche per chi è alla ricerca di una stanza in casa condivisa). Nel caso in cui non si disponga ancora di un posto di lavoro, è possibile ricorrere al Bürgschaft, un documento di garanzia che può essere sottoscritto da un parente o da una qualsiasi persona che funga da garante, alla quale l'affittuario può rivolgersi in caso di mancato pagamento, che tuttavia non sempre viene accettato, soprattutto se firmato da garanti del proprio paese d'origine. I costi di cauzione sono anche un problema non trascurabile: possono raggiungere fino agli 600-800 euro in caso di appartamenti rinnovati o in zone centrali. 3.4 Riconoscimento dei titoli e lavoro Lasciare l'Italia con un titolo formativo o di studio può rappresenta, da una parte, un vantaggio dal punto di vista della qualificazione e dell'attestazione delle competenze, eppure dall'altra creare un problema per l'aspetto burocratico: è necessario, una volta arrivati in Germania, procedere con le operazioni di riconoscimento dei titoli, che richiede spesso processi burocratici lunghi e non sempre destinati ad andare a buon fine. Per chi arriva a Berlino con una laurea, triennale o magistrale (o entrambe), è necessario rivolgersi a un traduttore giuridico (l'Ambasciata Italiana a Berlino mette a disposizione un elenco di nomi a cui riferirsi per le traduzioni) per la richiesta delle traduzioni ufficiali dei titoli di studio. Anche la traduzione del diploma è molto importante: nella domanda per un posto di lavoro vengono richiesti tutti i titoli di studio e, nel caso di conseguimento del diploma di scuola superiore, è necessario presentare anche la traduzione di questo. Per chi fosse in possesso di titoli professionali, è necessario che questi vengano riconosciuti dagli organismi tedeschi. La Germania ha da poco aperto un portale online20 che guida gli stranieri (comunitari e non) alle operazioni di riconoscimento dei titoli. Inserendo la propria professione è possibile approdare a tutte le informazioni sulle modalità di riconoscimento, sugli uffici a cui rivolgersi e le possibilità lavorative che un determinato titolo offre in Germania. Il portale mette a disposizione anche un motore di ricerca delle offerte di lavoro. Gli italiani che arrivano a Berlino si orientano spesso come prima scelta verso il campo della gastronomia e della ristorazione: camerieri, aiutocuochi, lavapiatti e baristi sono le professioni più diffuse fra coloro che cercano una prima soluzione professionale in città, soluzioni che non implicano una totale conoscenza della lingua tedesca (spesso neanche di quella inglese) e che offrono un punto di partenza per l'inserimento nel mondo del lavoro. Il problema, come già citato dal reportage di Andrea d'Addio per “Il Fatto Quotidiano”, è che molte volte i gestori di ristoranti, bar e locali non rispettano le norme in vigore, né le condizioni dei contratti. Il lavoro viene pagato in nero o attraverso contratti “fittizi”, facilmente manipolabili. E anche la legge sul salario minimo garantito21 viene raggirata e ignorata dalla maggior parte dei datori di lavoro. Si può dire che le medesime problematiche riscontrate in Italia, sono facili da ritrovare anche a Berlino, a volte persino da parte degli stessi gestori italiani che hanno aperto un'attività in città. Lo sfruttamento, il lavoro in nero, le ore non pagate rappresentano un grosso problema per coloro 20 “http://www.riconoscimento-in-germania.it/” 21 “Il 3 luglio il parlamento tedesco ha approvato una legge che istituisce in Germania un salario minimo garantito di 8,50 euro all’ora. Dopo mesi di trattative tra i sindacati e le associazioni di imprenditori, il provvedimento ha ottenuto 535 voti a favore e 5 contrari, mentre le astensioni sono state 61. La misura riguarderà circa 3,7 milioni di lavoratori. Sono esclusi i giovani di età inferiore ai 18 anni, i lavoratori stagionali e i venditori di giornali. La norma entrerà in vigore il 1 gennaio del 2015” dall'articolo “La Germania approva un salario minimo garantito” su Internazionale, 3 luglio 2014;
che vedono nella Berlino degli ultimi anni una meta sognata e apparentemente ideale. La delusione sofferta da chi ritrova in terra tedesca le controversie che ha lasciato in Italia lascia una sensazione di amarezza e spaesamento in chi la vive. Ha fatto scalpore la questione di una nota catena di pizzerie, denunciate per sfruttamento, mobbing e vessazioni sul posto di lavoro attraverso una lettera aperta degli ex lavoratori. Nella lettera, citata nell'articolo de “Il Fatto Quotidiano” del 12 aprile 2015, i lavoratori testimoniano che «nella Berlino “dei sogni e delle speranze” ogni immigrato italiano è passato per uno dei tre ristoranti a chiedere lavoro […]. “I ritmi di lavoro sono di otto ore ‘alla catena’ senza pausa“. In più “le paghe sono da miseria, ma soprattutto i soldi ti vengono dati spesso in nero”. E a fine mese spesso viene consegnata ai lavoratori una “busta paga falsa che ti invitano a firmare”, in cui l’importo scritto non corrisponde a quello erogato al lavoratore. In più “ti tolgono 90 euro per il cibo e le bevande consumati nel mese precedente”. Ferie malattie? “Bisogna combattere per farsele pagare”. E “quando uno chiede spiegazioni rimangono vaghi, ma se si insiste possono arrivare al sequestro di alcuni documenti presi al momento dell’assunzione». Questo dimostra che, pur essendo una città dalle porte aperte, Berlino non ha sempre sorprese gradite da offrire e che, come per ogni contesto, c'è del buono e del meno buono. E' importante lasciare il proprio paese con una certa consapevolezza di ciò che si andrà a trovare, nella sua dimensione più concreta e realistica. E' importante informarsi sui vantaggi e gli svantaggi che un trasferimento può comportare, le risorse da offrire e quello da poter “sfruttare” in terra ospitante, gli ostacoli che si presenteranno e le modalità con cui affrontarle. Pianificare una partenza non significa solo trovare un tetto sopra la testa e un curriculum alla mano, ma conoscere a fondo le caratteristiche positive e negative che si andranno a trovare lasciando l'Italia. Sebbene per certi aspetti il sistema tedesco presenti dei vantaggi, in particolare dal punto di vista del Welfare e del lavoro, non è esente da contraddizioni e difficoltà: lasciare il proprio Paese significa prima di tutto lasciarlo con una certa coscienza e pianificazione, che potrà, anche in minima parte, proteggervi dalle delusioni e dagli aspetti negativi. 3.5 Fattore culturale: le quattro fasi del “cultural choc”. Anche il fattore culturale rientra nelle difficoltà riscontrabili da coloro che decidono di lasciare l'Italia e approdare a Berlino. Sebbene alla base della decisione di emigrare vi siano ragioni quali una certa insofferenza legata allo stile di vita vissuto nel proprio paese, ragioni economiche e lavorative, ragioni sentimentali, di studio, e altre ancora, non è scontato che la partenza si risolva da subito in un benessere. Quello che avviene in chi approda in un nuovo contesto è ciò che l'antropologo Kalvero Oberg ha definito “choc culturale”. Definendolo come «uno stato di ansia che risulta dalla perdita di tutti i riferimenti familiari e dei simboli legati all'intercorso sociale»22, lo choc culturale si riferisce, soprattutto sul piano psicologico, a quello stato emotivo di chi si ritrova in un ambiente nuovo, lontano e diverso da quello d'origine, che può causare un insieme di reazioni legate alla perdita del proprio contesto familiare e all'approdo a una cultura in possesso di stimoli che apparentemente non hanno alcun significato e risultano difficilmente comprensibili, in quanto derivati da esperienze nuove e diverse. Si manifesta con sensazioni di spaesamento, irritabilità, paura di essere umiliati, ignorati, derisi e insultati dall'ambiente esterno, ma più semplicemente anche con un atteggiamento di chiusura, diffidenza, caratterizzato da un blocco permeante che impedisce la socializzazione e la relazione con il mondo esterno23 Le differenze culturali, in modo particolare quelle fra la cultura italiana e tedesca, sono particolarmente sensibili: emergono in modo rilevante quelle che sono le tipiche differenze fra il contesto “Sud” e quello “Nord” dell'Europa. Sono spesso confermati i classici stereotipi secondo i 22
Kalvero Oberg, Cultural shock: Adjustment to new cultural environments, Practical Anthropology 7 (1960), pp. 177–182 23 Adler, P.S. 1975. The transitional experience: An alternative view of culture shock. Journal of Humanistic Psychology 15 4, pp. 13–23
quali gli abitanti dei paesi nordici siano più freddi, chiusi, riluttanti a relazioni durature e poco confidenziali, mentre quelli dei paesi meridionali hanno maggiore facilità all'apertura e ai rapporti interpersonali, a instaurare sintonia e confidenza quasi subito al momento dell'incontro. Le tradizioni della cultura tedesca rappresentano in certe occasioni una sorpresa per gli italiani in Germania: festività molto vissute quali il lunedì di Pasqua (in Italia è l'occasione per ritrovarsi, mangiare assieme, uscire in compagnia) e il Ferragosto, non rientrano nel calendario delle festività tedesche, dando l'idea che la realtà del Paese ospitante sia meno aperta allo svago e allo spirito di aggregazione che invece è forte nella tradizione italiana, e che diventa per gli emigranti a Berlino un modo per avvertire maggiormente la mancanza di casa24. Tuttavia, lo “choc culturale” descritto da Oberg si articola in quattro fasi, fra cui l'ultima è proprio quella dell'adattamento, a cui molti arrivano senza fatica, completando un percorso intenso, che spesso aiuta a comprendere meglio il proprio ruolo all'interno di un sistema nuovo e sviluppare la coscienza personale in prospettiva dei cambiamenti vissuti e che ancora dovranno presentarsi. Oberg descrive una prima fase caratterizzata dall'entusiasmo e dal fascino per le novità, che spinge a una grande apertura e curiosità nei confronti del contesto d'arrivo e una certa disponibilità ad accogliere gli stimoli che ne derivano. All'insorgere dei primi ostacoli e delle prime difficoltà, si passa alla fase della crisi: i problemi legati alla dimensione più concreta della vita quotidiana (ricerca della casa, lavoro, trasloco, la lingua straniera) trasformano l'entusiasmo in uno stato di stress, il fascino in una sensazione di irritabilità e la curiosità in chiusura. Si soffre di una delusione e disillusione generalizzate che oscurano le reazioni iniziali. Con l'accettazione delle problematiche e la presa di coscienza delle differenze che intercorrono fra contesto di partenza e contesto di arrivo, si supera la fase di crisi e si apre una di maggiore consapevolezza, che porta a un nuovo stato d'animo in cui coraggio, pazienza e organizzazione della propria nuova vita prendono il posto dello stress e dello spaesamento. Diventa più facile avvicinarsi alle caratteristiche del contesto d'arrivo, si conquista una certa disinvoltura nel parlare la lingua straniera e nella tolleranza delle nuove abitudini. L'ultima fase è appunto quella dell'adattamento, dove ormai le novità e le differenze culturali vengono assimilate ed entrano a far parte della propria sfera quotidiana, senza destare la stessa sorpresa dei primi tempi. L'integrazione è un processo sempre meno percepito, in quanto ormai quasi completamente superato: il passaggio da una sponda culturale all'altra si sta per completare o diventa sempre meno turbolento. Il superamento del fattore culturale non è scontato: alcune persone, costrette da situazioni precarie a cercare un'alternativa in un altro Paese, non sempre riescono ad accettare e affrontare le differenze. Molti sono gli italiani che, non essendo riusciti a realizzare il proprio progetto all'estero, sono costretti o semplicemente optano per il rimpatrio. Il ritorno a casa rappresenta per alcuni una soluzione temporanea, un momento per rimettere assieme le risorse e ridisegnare un progetto, per poi pianificare una nuova partenza in un futuro vicino o lontano. Per altri, invece, il ritorno rappresenta il punto d'arrivo di un'esperienza di emigrazione: sono molti i casi in cui, partiti con un'idea poco realistica o non pianificata, gli emigranti decidono di rientrare in seguito a una delusione, un fallimento o un'impossibilità di realizzare le prospettive di partenza. 4. Aloisia Davi: una storia di successo Molti sono invece coloro che, in tutto e per tutto, a Berlino hanno trovato una seconda possibilità e hanno fatto della città la loro nuova casa, la loro occasione per realizzare i sogni di una vita. A proposito, riporto un'intervista personalmente realizzata a Aloisia Davi, che ha acconsentito di 24 La questione degli stereotipi italiani e tedeschi e della comunicazione fra cultura italiana e tedesca vengono analizzati dall'elaborato del professor Claus Ehrahrdt dell'Università di Urbino, “Comunicazione interculturale Germania - Italia: Contesto scientifico-sociale e contenuti di un corso di laurea binazionale”, pubblicato per il sito www.ledonline.it nel 2004
riportare la sua esperienza in virtù di renderla una testimonianza concreta di come l'emigrazione possa, in molti casi, rivelarsi una soluzione vincente. Quello che emerge dal suo racconto è innanzitutto la necessità di cercare, fuori dai confini italiani, una realtà più affine a un modo di pensare nuovo, non sempre adattabile a quello del contesto del Paese natale. Aloisia Davi sottolinea l'importanza di un'emigrazione programmata, nella quale siano già in parte presenti degli obiettivi chiaramente stabiliti. Determinante per la realizzazione delle prospettive all'estero sono il senso di impegno e sacrificio, tenacia e costanza.
Quando hai pensato di trasferirti a Berlino? Circa 5 mesi prima di partire. Quali sono stati i motivi fondamentali che ti hanno portato a questa decisione? (se sono motivi molto personali, basta rispondere con “motivi personali”) Io e il mio ragazzo volevamo andare a vivere all’estero. L’Italia ci stava stretta, soprattutto per la mentalità. Noi siamo vegani, antispecisti, antirazzisti, antiomofobi e anticlassisti. Avevamo bisogno di un posto dove la mentalità fosse più aperta. Inoltre volevamo vivere assieme e quindi trovare un lavoro (che ci piacesse e ci permettesse di vivere una vita dignitosa). Perché proprio Berlino? Non ci siamo fatti trascinare dall’hype nei confronti di questa città, come hanno fatto molti emigranti che conosco che sono venuti qui. Prima di partire abbiamo scritto una tabella che conteneva i nomi di alcune città europee che ci interessavano e i fattori che per noi sono importanti in una città. Dalla selezione (informandoci tramite internet) sono rimaste Berlino e Vienna. Abbiamo scelto Berlino perché la trovavamo più internazionale. Con che tipo di competenza linguistica e titoli professionali sei partita? Io avevo una laurea triennale in Scienze economiche, conoscenza intermedia di inglese e francese, ma nessuna conoscenza del tedesco. Avevi già un progetto di cosa avresti voluto fare a Berlino? Se sì, quale? Se no, dopo quanto tempo ha iniziato a prendere forma la tua vita berlinese? Non solo avevo un progetto ma era definito nei minimi dettagli. Volevo iscrivermi alla magistrale di economia politica alla Freie Universitat e trovare un lavoro part-time inerente al mio studio. Noi siamo arrivati il 27 gennaio 2013 a Berlino e ad ottobre dello stesso anno studiavamo già all’università. Quali sono state le maggiori difficoltà che hai trovato nei primi mesi? Sembra banale dirlo.. la lingua! E un po’ anche la mentalità. Noi italiani siamo un po’ più faciloni con le regole. All’inizio trovavo la mentalità tedesca troppo rigida e severa. A quali enti ti sei rivolta per risolverli? Non ci siamo rivolti a nessun ente. Abbiamo studiato tedesco allo sfinimanento. Alla mentalità mi sono pian piano abituata. Alcune persone non riescono a ragionare sulle regole, escludono totalmente che ci siano eccezioni. Se qualcosa va al di fuori di ciò che è stato detto loro di seguire vanno nel pallone. Quando ho a che fare con uffici pubblici un atteggiamento del genere può essere davvero irritante. Come si è sviluppata la tua nuova vita a Berlino? Adesso studio in una delle nove Università di eccellenza tedesche, la Freie Universitat ho imparato tantissimo in un solo anno. In più da un po’ di mesi lavoro al DIW Berlin (Istituto tedesco per la ricerca in economia), che è il più importante istituto di ricerca in Germania in questo campo. Ad
esso vengono commissionate analisi trimestrali dell’economia tedesca direttamente dal governo. Sono entrata lì non conoscendo nessuno, solo con le mie capacità. Una cosa che in Italia è semplicemente inimmaginabile. Sento che sto imparando tantissimo e ho un riscontro concreto di quello che faccio. Qui si studia e si lavora sulle ultime frontiere della ricerca. Non soltanto da manuali, ma da articoli scientifici appena pubblicati. E’ davvero il massimo. L’ambiente è davvero stimolante e lo stipendio è molto buono. Oggi puoi dirti soddisfatta? Assolutamente si! Che difficoltà riscontri attualmente nella tua vita a Berlino? Trovare un alloggio adeguato e non costoso. Tuttavia ora che sia io che il mio ragazzo lavoriamo possiamo pensare di spendere qualcosa in più per la casa. Ti manca l'Italia? L’Italia no, mi mancano a volte i miei genitori. Spero che un giorno potrò guadagnare abbastanza per andare a trovarli quando mi pare. Però dall’altro canto penso che non sarei potuta crescere così tanto se fossi rimasta sotto la loro tutela. Penso che a volte la cosa migliore che possano fare i genitori è lasciare che i figli prendano la propria strada.
5. Conclusioni In conclusione, non è difficile affermare che quella dell'emigrazione è ormai una scelta ampiamente diffusa fra la popolazione italiana. Emerge in primis la necessità di allontanarsi da un contesto nazionale in cui la crisi economica ha provocato una certa difficoltà nell'ambito dell'occupazione, qualsiasi siano gli orientamenti professionali. La mancanza di impiego, in particolare per i giovani, le condizioni di contratto e la richiesta di alcuni requisiti che dimostrano di non essere al passo con le esigenze del momento (in riferimento soprattutto alla questione della conciliazione fra lavoro e famiglia, percepito in modo particolare dalle donne25) spingono un numero via via maggiore di italiani ad ampliare gli orizzonti di ricerca e guardare ai contesti oltre confine per costruire il proprio futuro. Tuttavia, non si tratta solamente di motivi economici e professionali: ciò che interviene nella scelta di emigrare è anche la volontà di vivere in un contesto in cui mentalità e filosofie di vita “alternative”, nate recentemente e in risposta alle tendenze della società attuale (si fa riferimento, ad esempio, alla filosofia alimentare vegetariana e vegana, alla tolleranza verso gli orientamenti sessuali non tradizionali) riescano a convivere alla pari con quelle più tradizionali, e nel quadro di un sistema che, il più delle volte, appare più accessibile di quello italiano (il sistema burocratico, le condizioni contrattuali e il welfare). La ricerca di un “altrove” è così individuabile soprattutto nella necessità di un ambiente più aperto e sfaccettato, dove ciò che è “altro” non venga additato come negativo o sbagliato. E molti italiani hanno trovato proprio a Berlino l'ambiente ideale che facesse fronte a questa esigenza. Questo insieme di fattori sono dunque alla base della nuova tendenza all'emigrazione, che però non sempre si risolve in un'esperienza positiva, ma comporta delle difficoltà che è molto importante considerare al momento della partenza. Affinché la scelta di cambiare Paese si coniughi in una svolta positiva, è indispensabile che essa sia affiancata da una certa pianificazione. Con questo non si intende di certo una progettazione rigorosa, punto per punto, di ogni singolo aspetto della nuova vita all'estero, bensì una presa di coscienza delle differenze, dei cambiamenti e delle risorse che il contesto d'arrivo determinerà nella 25 Si fa riferimento al paragrafo 1.3
nuova vita. È importante mantenere una visione concreta e obiettiva, in ogni punto a favore e a sfavore del Paese verso cui si tende, ma anche una riflessione sul ruolo effettivo che lì si andrà a ricoprire: pensare a un possibile lavoro o ad altre possibili fonti di mantenimento economico, i costi complessivi della vita nel Paese d'arrivo, ecc... . Chi decide di partire, sceglie spesso di affidarsi alle esperienze e alle testimonianze di chi è già all'estero: credere che “se è andata bene a loro, allora andrà bene anche a me” è un atteggiamento ottimista e positivo, ma non deve far cadere nell'inganno dell'illusione e della mistificazione. È importante informarsi e conoscere a fondo lo stile di vita, in ogni suo aspetto, del Paese in cui si vuole emigrare. Non basta affidarsi alle esperienze personali di amici, conoscenti o parenti: ognuno porta con sé un bagaglio di “requisiti” diversi, sia a livello professionali e formativo (i titoli o le esperienze lavorative), sia a livello personale (il proprio carattere, le proprie attitudini e il modo di reagire al cosiddetto “choc culturale”) che rappresentano le varianti in base alle quali l'esperienza di emigrazione può diventare positiva o negativa. Credere che i vantaggi siano sempre proporzionali agli svantaggi, e che nel nuovo Paese si troverà solo del buono rischia di diventare una premessa superficiale, capace di portare a ulteriori delusioni: senza una giusta organizzazione della partenza, l'emigrazione può tradursi in uno spreco di energie, ma soprattutto di soldi e di tempo. Se preceduto, invece, da un periodo all'estero (anche di poche settimane) che permette di avere un primo contatto con il nuovo contesto, o anticipato da una prima esperienza a breve termine (alcuni mesi) che faccia toccare con mano la realtà che si va a incontrare, l'espatrio può rivelarsi una scelta vincente e capace di dare la risposta giusta alle problematiche che hanno spinto a lasciare il Paese d'origine. Berlino, in particolare, ha prodotto questo effetto in molti italiani: a fronte di molti casi di persone che nella capitale tedesca si sono affermate in tutto e per tutto, ci sono diversi esempi di chi è caduto nell'incantesimo delle mistificazioni, ignorando gli aspetti più concreti del suo sistema, e ritrovandosi deluso dall'idea che se ne era creato al momento della partenza. La testimonianza più viva e in tempo reale della questione è riscontrabile sui social network, in particolare su Facebook, dove spopolano i gruppi per gli italiani a Berlino e dove, quotidianamente, insorgono aspre polemiche fra persone con diverse esperienze di emigrazione. Quello su cui molti insistono è proprio la necessità di non considerare Berlino come un oasi indenne da difetti, che accoglie chiunque, indistintamente: è vero che sa distinguersi per una certa tolleranza e per un certo sistema assistenziale, tuttavia ci sono difficoltà concrete a cui bisogna far fronte. Ritrovarsi in un Paese straniero senza conoscerne la lingua, senza un tetto sopra la testa e senza una prospettiva di occupazione non sono le condizioni ideali per rimediare al malessere accusato nella vita in Italia. Berlino è una città molto grande capace di offrire molte opportunità in diversi ambiti, tuttavia è allo stesso tempo un contesto urbano intricato, con le sue peculiarità che non sempre lasciano spazio a tutte le tipologie di personalità: adattarsi, anche a livello culturale e tradizionale, è una prerogativa fondamentale per potersi approcciare serenamente all'arrivo in città, premessa spesso discussa e mal percepita da chi fa fatica a slegarsi dai riferimenti culturali italiani. In questo senso si sottolinea l'importanza della lingua, della conoscenza a del rispetto delle regole e delle leggi tedesche, dell'adattamento a una mentalità e uno stile di vita profondamente diversi da quelli presenti in Italia. Si arriva alla conclusione per cui emigrare è diventata una scelta “normale”, che non comporta più le difficoltà di un tempo. In un'atmosfera sempre più aperta, fisicamente e culturalmente, come quella europea, gli spostamenti si traducono in transizioni all'interno di una realtà generale (l'Unione Europea), da un contesto di riferimento a un altro (migrazione da un Paese a un altro), rivelandosi in questo modo una decisione che in molti casi che rappresenta una possibilità in più di realizzare le proprie ambizioni e una via di fuga alle controversie che negli ultimi anni stanno
animando l'Italia, rendendo difficile la prospettiva di rimanerci.
Bibliografia Adler Paul, (1975), The transitional experience: An alternative view of culture shock, “Journal of Humanistic Psychology” 15 4, pp. 13–23 Ambasciata d'Italia a Berlino, (2013) “I primi passi in Germania. Guida per un primo orientamento”, Com.It.Es, Colonia e Dortmund Buzzati Simone e Di Cigno Gabriella, (2014), Tutti a Berlino. Guida per italiani in fuga, Berlino, Quodlibet. Caporale Enrico, “Ragazzi in fuga, così l'Italia perde i cervelli”, “La Stampa”, 11/12/2012 Celli Pier Luigi, “Figlio mio, lascia questo Paese”, “La Repubblica”, 30/09/2009 Cucchiarato Claudia, (2010), Vivo altrove. Giovani senza radici: gli emigranti italiani di oggi, Milano, Mondadori D'Addio Andrea, “Berlino, gli italiani disillusi dal “mito” Germania: “pagati in nero e sfruttati” ”, “Il Fatto Quotidiano”, 12/04/2015 Daina Chiara, “Chirurgo in Uk, a 34 anni trapiantò polmoni su bebé. In Italia sarebbe precario”, “Il Fatto Quotidiano”, 14/01/2014 e “Ingegnere (e mamma) alla Nasa. 'In Italia mandavo cv. Nessuno ripondeva'”, 06/11/2014 Ehrahrdt Claus, Comunicazione interculturale Germania – Italia: contesto scientifico-sociale e contenuti di un corso di laurea binazionale, a cura di Led on Line (Electronic Archive of Academic and Literary Texts), Università di Urbino, 2004 Faris Stephan, “Arrivederci Italia, why young italians are leaving”, “The Time”, 18/10/2010 Istituto Nazionale di Statistica, (2013), Rapporto Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente, a cura dell'Istituto Nazionale di Statistica, Roma Istituto Nazionale di Statistica (2014), Rapporto annuale 2014, a cura dell'Istituto Nazionale di Statistica, Roma Oberg Karlovo, (1960) “Cultural shock: Adjustment to new cultural environments”, “Practical Anthropology” 7, pp. 177–182 Salvatore Franco, (2005) La Riforma Hartz. Le politiche occupazionali in Germania, a cura dell'Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazioni Industriali, Modena
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